Ricerca per Volume

SETTIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume, quindicesimo della serie VII, inizia il 18 marzo Hl34, l'indomani della firma dei Protocolli itala-austro-ungheresi, e termina il 2'7 settembre dello stesso anno, data del rinnovo della dichiarazione tripartlta. itala-franco-inglese sull'Austria. Entrambe le date, la iniziale e la finale, si riferiscono ad atti diplomatici intesi a salvaguardare l'indipendenza austriaca. L'ossatura del volume è infatti costituita dalla questione austriaca, la cui gravità diventa acutissima in seguito al tentativo di colpo di stato nazista e all'assassinio di Dollfuss il 25 luglio. La documentazione, pur senza portare elementi di sostanziale novità rispetto a quanto già noto, illustra non solo l'azione tentata da Mussolini per frenare l'avanzata nazista in Austria ma altresì getta luce sulle diffidenze che quella azione incontra presso le principali cancellerie europee e sullo scarso interesse dell'opinione pubblica austriaca per l'indipendenza del proprio paese.

Anche per quanto riguarda l'altro grande problema che stava venendo sul tappeto, il problema etiopico, la documentazione raccolta nel volume non porta elementi nuovi. Essa però getta ulteriore luce su singoli aspetti della questione: per esempio, sul favore con cui, in seno alle Forze armate, la Marina accoglie l'ipotesi di guerra, e sulle perplessità che invece questa solleva presso l'Esercito, in particolare presso il suo Capo di Stato Maggiore, generale Bonzani.

2. Anche per questo volume la maggior parte della documentazione è tratta dall'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, in particolare dall'Archivio di Gabinetto, dalla Serie Politica 1931-1945, dai registri dei telegrammi

(R. e P.R.) e dai fondi del Ministero dell'Africa Italiana. Altri documenti provengono dall'Ufficio Storico della Marina Militare, dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e da alcuni fondi dell'Archivio Centrale dello Stato: l'Archivio del Ministero della Cultura Popolare, la Segreteria particolare del Duce e il Fondo Badoglio.

3. Vari documenti erano già editi integralmente o parzialmente in alcune pubblicazioni; delle principali si è data sistematicamente notizia in nota.

Le raccolte di documenti diplomatici inglese, tedesca e francese sono state utilizzate in nota solo quando lo si è ritenuto opportuno per fornire una miglior comprensione del testo e degli avvenimenti.

Diamo qui di seguito l'elenco delle pubblicazioni italiane e straniere di cui ci siamo serviti:

Documents on British Foreign Policy 1919-1939, Second Series, vol. VI, Londra, 1957; vol. XII, Londra, 1972;

Documents Diplomatiques Français 1932-1939, Première Série 0932-1935), vol. VI, Parigi, 1972; vol. VII, Parigi, 1979;

Akten zur Deutschen Auswartigen Politik, Serie C: 1933-1937, vol. II, 2; III, l, Gottingen, 1973;

P. ALorsr, Journal (25 juillet 1932-14 juin 1936), Parigi, 1957;

G. RocHAT, Militari e politici nella preparazione della campagna d'Etiopia -Studio e documenti 1932-1936, Milano, 1971;

R. DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974;

B. MussoLINI, Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel, vol. XLII, Roma, 1979.

4. Il volume deve molto, anzi moltissimo, alla collaborazione, ormai consueta ma sempre appassionata e intelligente, che ho ricevuto dalla dott. Emma Ghisalberti Moscati e dal dott. Andrea Edoardo Visone per le ricerche archivistiche, una prima selezione dei documenti e la revisione finale. A loro vada il mio grato e cordiale ringraziamento. Ringrazio anche la dott. Alessandra Raffa per la collaborazione alle ricerche e compilazione dell'Indice dei nomi.

GIAMPIERO CAROCCI


DOCUMENTI
1

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, FRANSONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1115/130 R. Parigi, 19 marzo 1934, ore 19,25

(per. ore 0,10 del 20).

Tutta la stampa dedica largo spazio discorso del Duce (l) e ne commenta specialmente politica estera. Affiora in generale sentimento delusione che prevale specialmente nel commento Pertinax. Accenno revisionismo circa Ungheria ritienesi suscettibile indisporre nuovamente Piccola Intesa. Accogliesi bene rinnovata affermazione indipendenza dell'Austria quantunque vogliasi vedere in contrasto con revisionismo.

Criticasi tesi favorevole riarmamento Germania appoggiata inadempienza nazioni rimaste armate che pretendesi contraddetta da dichiarazioni circa necessità per l'Italia essere militarmente potente.

Avrebbesi voluta pi.ù calda allusione migliorati rapporti itala-francesi. R.ilevasi rivendicazione diritti espansione pacifica Africa Asia trovando alquanto dure certe parole con cui espressa. R.iconoscesi Mussolini aver parlato come uomo di Stato cosciente sue forze in Italia e sua influenza in Europa.

Gabinetto del ministro esteri, dove mi sono recato stamane per altri affari, mi è stato detto che importante discorso del Duce indubbiamente contiene verità innegabili. Spiegasi prima impressione prodotta su stampa francese da maniera forte e aperto linguaggio Duce.

Si suppone che Piccola Intesa possa non essere del tutto soddisfatta e si è ricordato a proposito come commenti su conversazioni romane per accordi danubiani abbiano avuto carattere aperta simpatia e come Governo francese abbia favorito e voglia favorire miglioramento clima politico tra l'Italia e la Piccola Intesa.

Commenti principali su discorso del Duce trasmessi con servizio Stefani.

(l) Si riferisce al discorso pronunciato da Mussollni il 18 m:wzo alla seconda assemblea quinquennale del regime. Cfr. MussoLINI, Opera omnia, vol. XXVI, pp. 185-193.

2

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BERNA, MARCHI, A BUCAREST, SOLA. A L'AJA, TALIANI, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A BRUXELLES, BONARELLI, A LONDRA, VITETTI, E A PARIGI, FRANSONI

T. 406/c. R. Roma 19 marzo 1934 ore 20,15.

(Per tutti) Stefani ha diramato sabato sera testi tre protocolli da me firmati insieme con cancelliere austriaco e Goemboes (1). Gliene invio per corriere alcuni esemplari.

Non ho nulla da aggiungere di particolare alle indicazioni generali fornitele con telegrammi n. 353 (2) e n. 354 (3) -che stabilivano le direttive italiane in materia -e al contenuto di detti protocolli che di tali direttive costituiscono l'avviamento concreto ad una realizzazione pratica.

Confermo quindi per quanto riguarda più particolarmente il protocollo primo, che sono gli stessi principi base che hanno presieduto alla conclusione del patto a quattro i quali hanno determinato anche in questa occasione la politica italiana; più precisamente il proposito di fare opera di collaborazione (non di costituire blocchi e separare l'Europa in campi avversi o quanto meno sempre più divisi) e di preparare le premesse necessarie per una più larga collaborazione con altri Stati. È interessante a questo proposito il confronto fra i trattati che legano gli Stati della Piccola Intesa (preambolo e dispositivo) e il protocollo italo-austro-ungherese.

Per ciò che riflette più specialmente i protocolli secondo e terzo sono i principii stabiliti a Stresa e quelli successivamente specificati nel memorandum danubiano del settembre scorso (4) che (come indicato del resto nei protocolli medesimi) hanno presieduto alla loro elaborazione mediante la conclusione di nuovi accordi bilaterali fra i tre Stati e lo sviluppo di quelli bilaterali esistenti. Pertanto anche qui, cooperazione, non contrapposizione di interessi o di Stati. Per la conclusione di tali accordi, che avverrà coi possibili riguardi agli interessi degli altri Stati (ultimo paragrafo, lettera c del memorandum danubiano), è stabilito il termine del 15 maggio.

Mi tenga informato dell'accoglienza che la firma dei tre protocolli ha

trovato e troverà presso codeste sfere dirigenti e presso codesta opinione

pubblica.

Telegrafato alle principali R. rappresentanze.

(l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 811. (2) -T. 353/C. R. del 5 marzo, non pubblicato: comunicava il contenuto del colloquio SuvichChambrun del 2 marzo per il quale cfr. serie VII, vol. XIV, n. 767. (3) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 774. (4) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 232.
3

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1131/028 R. Belgrado, 19 marzo 1934 (per. tl 22).

Mio telegramma per corriere 026 del 16 corrente e telegramma per corriere di V. E. n. 396 del 17 c.m. (l).

Nel mio telegramma del 16 corrente mi ero astenuto dall'esprimere qualsiasi impressione personale sulla rinnovata notizia di prossimo viaggio ufficiale di Re Alessandro a Parigi. Ciò perchè, malgrado le affermazioni recise di questo ministro di Polonia, avevo qualche motivo pe.r dubitare della esattezza delle sue informazioni.

Infatti Purich mi ha poi detto che non era in vista alcun viaggio di Re Alessandro a Parigi. Dalle sue mezze frasi dovrei dedurre che sono state fatte nuove insistenze per un viaggio ufficiale attraverso Spalaikovich, ma che il Governo jugoslavo non giudica la situazione interna francese tale da consigliare una visita ufficiale del Sovrano jugoslavo a Parigi. Se il Re partirà per la Francia e si recherà a Parigi, così ha concluso ,Purich, ciò avverrà soltanto in forma privata e come tutte le altre volte.

Anche da altra fonte mi è stata confermata la stessa cosa.

Già dissi nel mio telespresso n. 01 del 2 gennaio u.s. (2), allorchè si seppe dell'invito pressante di Naggiar, che era mia opinione che nella situazione internazionale di due mesi or sono Re Alessandro non avrebbe fatto un gesto che avrebbe precisata una sua determinata linea politica. Il tempo trascorso da quel momento e l'evolversi della situazione con gli avvenimenti nuovi che si sono prodotti, allontana sempre più il Re dal compiere un gesto che potrebbe essere male interpretato in Italia, e più ancora, oggi, significare un'attitudine antigermanica che la Jugoslavia vuole evitare di assumere.

4

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 19 marzo 1934.

L'Ambasciatore di Francia è di ritorno da Parigi ove ha avuto delle conversazioni coi principali uomini di Governo.

La situazione nel suo paese non è scevra di preoccupazioni. I partiti di

destra e quelli di sinistra si stanno armando; il blocco delle sinistre appare

particolarmente ben preparato.

Il Signor Doumergue considera tuttavia la situazione con grande serenità

sperando di superare questo momento critico.

In tutti i membri del Governo ha trovato un vivo desiderio di avvicinarsi

maggiormente all'Italia.

Lo scopo principale della gita a Parigi dell'Ambasciatore era quello di avvi

cinare il punto di vista francese a quello italiano nella questione del disarmo.

Egli ha trovato il Governo francese esitante a tale riguardo poiché secondo una

corrente sarebbe più opportuno non venire ad alcun accordo. Si dice cioè che

quando fosse fatta una convenzione i francesi la rispetterebbero e i tedeschi

no; d'altra parte la Convenzione non conterrebbe misure sufficienti ed efficaci

contro gli eventuali trasgressori.

In tal caso la Francia si domanda se le conviene avere le mani legate. Se

però una convenzione si deve fare c'è molta probabilità che la Francia aderi.sca al punto di vista italiano.

Il più vicino alle idee del Capo del Governo è il Maresciallo Pétain.

A proposito del discorso del Capo del Governo (l) l'Ambasciatore mi ha

detto di averne avuto l'impressione di un discorso molto forte e molto inte

ressante; mi ha fatto un accenno ad un rilievo contenuto nel discorso stesso

alla mancata conclusione di accordo con la Francia, come se questo fosse un

indiretto rimprovero all'Ambasciatore di Francia a Roma e mi ha assicurato

della sua massima buona volontà ·per contribuire a regolare tutte le questioni

pendenti tra i nostri due Paesi.

Gli ho detto che l'accenno contenuto nel discorso del Capo del Governo

non aveva certamente il significato che egli pensava. Il fatto che ad onta della

migliorata atmosfera gli accordi non siano conclusi è la pura e semplice verità

che conveniva rilevare.

Infine l'Ambasciatore mi ha detto di avere parlato col Ministro Pietri sulla

possibilità di un accordo navale. Ha delle buone impressioni e non esclude di

venire in uno dei prossimi giorni a portare una proposta precisa. Vuole proce

dere però con la massima prudenza per non ritrovarsi nella situazione di qual

che tempo addietro quando egli in buona fede credeva che vi fossero le basi

di un accordo mentre i punti di vista erano ancora distanti.

Nel frattempo la discussione sul disegno di legge relativo al secondo «Dun

kerque » è stata rinviata alla «rentrée » della Camera.

Ho detto all'Ambasciatore che noi siamo sempre disposti a discutere ma

che non prendiamo nessuna iniziativa al riguardo.

(l) -Non pubblicati. (2) -Non pubblicato.

(l) Cfr. n. l, nota l.

5

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 19 marzo 1934.

Il signor Lugosianu è venuto a informarsi sugli accordi di Roma (l).

Si meraviglia che si sia fatto un accordo politico, mentre io stesso gli avevo detto che il compito della riunione sarebbe stato di carattere economico e che non si sarebbero fatti dei patti politici.

Gli ho risposto rettificando le sue affermazioni. Gli avevo detto che nel campo politico non si sarebbe fatto certamente niente di sensazionale che si scostasse dalla politica finora seguita.

Il Ministro di Romania mi chiede poi se noi vogliamo avere delle preferenze come contropartita per i vantaggi concessi all'Austria ed all'Ungheria.

Gli rispondo che questa non è la nostra intenzione, ma che desideriamo che si stabilisca un certo equilibrio fra le importazioni e le esportazioni in modo da non aggravare la passività della nostra bilancia commerciale.

Il Ministro Lugosianu mi chiede poi qualche dettaglio sui vantaggi che vogliamo concedere all'Ungheria per il grano.

Gli rispondo che i particolari dovranno essere studiati dai tecnici. Si sono considerati due metodi: quello di un acquisto ad un prezzo tale che sia rimunerativo per il produttore ungherese, e quello della costituzione di un fondo comune sempre allo scopo di sostenere i prezzi del grano ungherese. Tanto l'una che l'altra delle soluzioni è nell'interesse di tutti i paesi produttori di grano che tendono a mantenere alti i loro prezzi interni.

6

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 19 marzo 1934.

Colloquio con il ministro di Cecoslovacchia.

Sembrava soddisfatto per la firma del Protocollo (l), la cui preparazione ha definito un atto politico assai felice.

M'ha detto che Benes dovrà tenere domani o doman l'altro un discorso politico. Per questa occasione egli è venuto a chiedermi in via confidenziale, se credevo che V. E. avesse da manifestare qualche desiderio o qualche suggerimento.

Gli ho spiegato allora le direttive politiche che hanno condotto alla firma dei protocolli danubiani e gli ho detto che poiché V. E. è rimasta soddisfatta

della intonazione che Benes ha dato alla sua ultima intervista col giornalista americano Knickerbocker (1), il Ministro degli Esteri cecoslovacco non ha che da perseverare su tale linea di condotta.

Poiché mi ha chiesto ancora -e sempre in via confidenziale -se in qualche altro modo ritenevo che la Cecoslovacchia potesse collaborare alla riuscita di questo momento politico, gli ho detto che, come egli aveva potuto vedere dal testo dei protocolli, la preparazione della parte economica durerà fino al prossimo maggio. Fino allora non v'è quindi che da fiancheggiare quest'opera costruttrice, sviluppando quello spirito di détente e di collaborazione europea che ha ispirato a V. E. la concezione del Patto a quattro e del Patto danubiano (2).

(l) Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 811.

7

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1188/471. Berlino, 19 marzo 1934.

Il Maggiore Renzetti, Presidente della Camera di Commercio Italiana di Berlino, ha avuto ieri una conversazione con il Primo Segretario di questa

R. Ambasciata, circa questioni che interessano i rapporti itala-tedeschi.

Ho incaricato il cav. uff. Magistrati di compilare, in proposito, un breve promemoria, che ho l'onore di qui unito inviare, in copia, per opportuna conoscenza.

ALLEGATO

MAGISTRATI A CERRUTI

APPUNTO. Berlino, 17 marzo 193·1.

È venuto stamane a vedermi il Maggiore Renzetti. Abbiamo avuto occasione di parlare della situazione attuale.

Mi ha confermato le notizie, da lui precedentemente riferite, sulla « macchina indietro» fatta negli ambienti hitleriani circa la questione austriaca. Dopo avermi detto di aver sostenuto vari contraddittori con personalità di un certo interesse e di aver loro mostrato come l'Italia non abbia mai mutato il suo punto di ·vista sulla questione stessa, ha insistito sulla considerazione che, oramai, concedendo ai tedeschi «una piccola soddisfazione morale» si potrebbe ottenere una vera « détente ». Gli ho allora chiesto quale potrebbe essere, a suo modo di vedere ed a quello dei suoi amici tedeschi, questa soddisfazione ed ho messo in rilievo il fatto che, specie dopo le conversazioni di Roma, nulla si sarebbe potuto concepire e fare senza la persona di Dollfuss. Dopo avermi fatto osservare che è appunto Dollfuss la persona della triade austriaca più favorevolmente vista dagli Hitleriani, mi ha accennato alla sua impressione che la « soddisfazione » in questione andrebbe ricercata nell'ammettere qualche nazionalsocialista (non Habicht) in seno al Governo austriaco e nel fare avvicinare la Germania, prima degli altri Paesi, al nucleo itala-danubiano, patrocinato a Roma.

Abbiamo in seguito fatto cenno al problema generale dei rapporti itala-tedeschi.

Mi ha riferito la sua impressione che taluni giornali italiani, nella recente polemica, siano andati troppo oltre nell'attaccare il Regime hitleriano e la stessa persona del Cancelliere (mi ha portato ad esempio un articolo di Sommi Picenardi, apparso sul «Regime Fascista»). Tali attacchi che appaiono però essere stati, in seguito, calmati, ed il fatto che ad ogni occasione si insista, su taluni fogli italiani, sulla necessità che i Tedeschi ammettano pubblicamente sempre ed in ogni campo la priorità delle innovazioni e delle riforme ideate ed attuate dal Regime Fascista in Italia, non possono non toccare la suscettibilità tedesca. Ad una mia osservazione che una tale suscettibilità non impedisce che nella realtà i tedeschi abbiano copiato e continuino a copiare, anche nel campo corporativistico, i nostri Istituti, ha insistito sul fatto che il Governo hitlerianò, per ragioni di prestigio e di politica interna, non può apparire pubblicamente come un plagiario delle innovazioni italiane. Una tale situazione, per lo sviluppo delle buone relazioni itala-tedesche, dovrebbe essere compresa da taluni elementi italiani. Passando poi al problema ebraico ed accennando alle critiche sorte in Italia intorno ai sistemi usati dal Regime Hitleriano, mi ha detto che tale questione difficilmente può essere compresa, nei suoi giusti termini, da noi, dato che in Italia non è mai esistito un problema di tale natura, ed ha concluso dicendo «Non dimentichiamoci poi che, qualora gli ebrei fossero venuti al potere in Germania, saremmo stati i primi a !asciarci la testa». È molto meglio quindi veder sventolare le croci uncinate.

Passando alle questioni pendenti di carattere turistico, mi ha detto che si prevede un notevole afflusso di tedeschi in Italia nei prossimi mesi. Egli sta ora lavorando, a seguito di uno scambio di idee avuto con il Senatore Puricelli, per l'invio a Milano, alla Fiera, di un Rappresentante del Governo tedesco. Ritiene utilissimi gli scambi di personalità e spera anche di organizzare un viaggio a Roma di tedeschi della migliore Società in occasione del Concorso Ippico. E mi ha infine detto che, secondo quanto egli ha anche inteso suggerire in conversazioni con esponenti dell'economia e della finanza del Reich, sarebbe molto opportuno che S. E. il Capo del Governo si facesse l'iniziatore di un Congresso a Roma di personalità europee (non di uomini di Governo) che potrebbero così avere l'occasione di scambiare, in forma amichevole, le loro idee sugli attuali problemi economici, ed anche politici, dell'Europa.

(l) -Cfr. serle VII, vol. XIV, n. 780. (2) -II presente appunto fu comunicato a Praga con telespr. 211453/34 del 7 aprile.
8

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE A GINEVRA, BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1120/18 R. Ginevra, 20 marzo 1934, ore 17,11 (per. ore 19).

Malgrado scarsa capacità di reazione che la Lega delle Nazioni ha diriwstrato in questi ultimi tempi di fronte alle critiche universali seguite alle dichiarazioni del Gran Consiglio, ultimo discorso di V. E. (l) ha suscitato qui grande impressione. Esponenti francesi e Piccola Intesa si sono compiaciuti in facili superficiali critiche ripetendo quanto pubblicano giornali francesi di sinistra e sopratutto argomenti Ere Nouvelle su accordi balcanici e articolo editoriale Temps odierno.

Alcuni aggiungono che discorso avrebbe diminuito enorme successo diplomatico conseguito con firma protocolli italo-austro-ungheresi.

A queste critiche superficiali risponde convinzione diffusa tra elementi inglesi e nordici che approvano discorso, mettendolo in rapporto con la realtà della situazione, specialmente di fronte memorandum Hitler sul disarmo, redatto con estrema moderazione e che invece di polemizzare con la Francia s'indirizza Italia e Inghilterra, nonché di fronte risposta francese negativa nella sostanza e che riconferma irriducibile tesi francese.

È chiaro -dicesi qui -che V. E. nel suo realismo costruttivo, dopo aver fatto quanto umanamente possibile per avvicinare a sè la Francia ha aperto la via alla necessaria collaborazione Germania nei problemi danubiani dopo aver sanzionato intangibilità Austria.

Naturalmente stampa locale asservita circoli segretariato si fa eco malumore francese e Piccola Intesa. Journal de Genève parla di voltafaccia e Moment, Journal des Nations, ripetono solite critiche improntate consueta malafede.

(l) Cfr. n. l, nota l.

9

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1124/31 R. Bucarest, 20 marzo 1934, ore 19,50 (per. ore 22,40 del 20).

Telegramma di V. E. n. 406/C. (l)

Nei miei colloqui con questi ambienti governativi e con organi più responsabili di questa opinione pubblica avevo messo nei giorni scorsi in completa luce, sulla scorta delle direttive fornitemi da V. E., i principi cui si sarebbero ispirate conversazioni a tre di Roma. Mi risulta che prima dell'inizio di tali conversazioni questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri per ordine di Titulescu ammalato, aveva chiamato a sè tutti i rappresentanti della stampa romena e li aveva invitati alla calma e alla massima ponderazione di linguaggio, facendo loro rilevare che dalla riunione di Roma, essendo escluso problema della restaurazione absburgica e quello di un'unione politica austro-ungarica, non poteva derivare altro che una più [stretta] collaborazione economica fra l'Italia, Austria e Ungheria, collaborazione che, specialmente se avesse costituito, come egli si augurava, una nuova tappa allo sviluppo del piano danubiano del settembre scorso (2), avrebbe potuto anche rappresentare un passo nel riavvicinamento fra Piccola Intesa ed Italia.

La stampa rumena ha fino ieri obbedito a queste direttive del Governo, e nel dare notizia dei risultati dei colloqui di Roma ha sottolineato con evidente compiacimento che negli accordi conclusi non si faceva alcun cenno diretto al problema della revisione dei trattati e che l'Italia mostra favorevole disposizione abbondando nei sacrifici economici, verso Austria e Ungheria, di voler offrire a questi due paesi un rompenso per l'esplicito rinvio delle più scottanti questioni politiche.

Questo atteggiamento sereno della stampa rumena era poi incoraggiato sia dal tono della stampa francese, chiaramente collaborazionista, sia da quello delle note agenzie telegrafiche internazionali (specialmente agenzie Sud Est e Radio Centrale) che sono normalmente ispirate dal Quai d'Orsay e dal ministero degli affari esteri di Praga.

Debbo però riferire stamane un improvviso e sensibile cambiamento di tono di tutta la stampa rumena. All'ottimismo dei giorni passati fa oggi riscontro e contrasto un profondo pessimismo, vedendosi nel discorso di V. E. da una parte una minore cordialità verso la Francia (armamento) e dall'altra una nuova presa di posizione da parte della politica italiana a favore delle rivendicazioni ungheresi.

Ho controllato che il cambiamento di tono non è stato ispirato da questo rnin;stero degli affari esteri che non ha avuto tempo materiale di intervenire rra si è automaticamente verificato ispirandosi ai telegrammi di stanotte dell'agenzia Havas.

Non mancherò alla luce del telegramma di V. E. di insistere presso ambienti governativi e presso la stampa sul carattere degli accordi di Roma, aperto e cosi leale, alla collaborazione della Romania e degli altri due Paesi della Piccola Intesa che nel proprio interesse della pace hanno tutto da guadagnare nell'avvicinarsi alle direttive della nostra politica economica nell'Europa danubiana quali esse risultano dal memorandum italiano del settembre scorso.

(l) -Cfr. n. 2. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 232.
10

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 20 marzo 1934.

Sir Eric Drummond è venuto a chiedermi qualche notizia sugli accordi di Roma. Notizie che gli ho fornito. A proposito del discorso del Capo del Governo (l) mi ha chiesto a quali affidamenti precisi dati all'Ungheria si riferisse la relativa frase del discorso. Gli ho detto che c'è l'art. 19 e la lettera di Millerand.

11

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 589/131. Gerusalemme, 20 marzo 1934 (per. il 26).

Il Dottor Chaim Weizmann, capo morale e «Deus ex machina » del Sionismo contemporaneo, è giunto da circa tre settimane in Palestina, dopo la

sua nota sosta romana. Preso com'egli era dalle prime visite ai vari nuclei ebraici sparsi nel Paese, io avevo potuto incontrarlo solo di sfuggita in qualche cerimonia o invito dati in suo onore a Gerusalemme. Ma fin dal primo incontro egli ebbe a mostrarmi una marcata cordialità, e direi una effusione, che sorpassavano i limiti dei nostri rapporti personali ancora superficiali. Mi accennò subito all'udienza concessagli a Roma da V. E. (1), e mi disse che desiderava venire a parlarmi.

È, infatti, venuto da me ieri.

Il Dott. Weizmann si prepara a recarsi in Siria, per abboccarsi con l'Alto Commissario de Martel, in un incontro «sul posto» progettato con lui recentemente a Parigi. Egli mi disse che la questione di un'immigrazione ebraica in Siria è ora effettivamente sul tappeto; forse più per desiderio francese che per una specifica tendenza ebraica. In Francia, anche di recente, uomini politici e perfino qualche Ministro in carica gli avrebbero detto chiaramente che la migliore soluzione al grave problema economico che travaglia quel paese di mandato si vedrebbe in una immigrazione ebraica di uomini e di capitali. Le autorità francesi sul posto, invece, considererebbero con marcata apprensione l'eventualità di quell'immigrazione, per motivi contingenti di ordine pubblico ed anche per considerazioni di portata più vasta proiettantisi nel futuro. Esse temerebbero, infatti, che l'immigrazione sionista in Siria non porti un nuovo elemento dì perturbamento nella situazione politica già tanto difficile del paese, per le diffidenze e le reazioni che non mancherebbe di suscitare tra la popolazione araba; mentre penserebbero, d'altra parte, che la costituzione di nuclei ebraici in prossimità di quelli già stabiliti in Palestina potrebbe gettare il seme di una specie di irredentìsmo ebraico in Siria, e aprire quindi la via a future pretese di rettifiche di confine tra Siria e Palestina, sotto l'immancabile attrazione della Sede Nazionale Ebraica. Dai discorsi fattimi, non sembra che il Dott. Weìzmann veda ancora bene se finirà col prevalere il filoebraismo della Francia metropolitana, o la prudente e timorosa tendenza avversa degli organi locali della Potenza Mandataria in Siria. Il suo imminente viaggio è appunto destinato a mettere, per quanto possibile, la cosa in chiaro.

In particolare, egli si propone di trattare col Conte de Martel due questioni specifiche attinenti all'argomento: a) la possibilità di acquisto da parte ebraica dì alcune terre *sul confine orientale tra Siria e Palestina, destinate ad integrare una vasta zona paludosa in territorio palestinese (circa 10.000 ettari, presso il lago di Hule) che i sionisti si propongono di acquistare e bonificare rapidamente; b) la possibilità effettiva di stabilimento nel Libano di capitali e dì immigranti ebraici, singoli od organizzati * (2), sui quali gli ·esponenti della popolazione libanese stanno esercitando un'attiva opera di attrazione, come già riferii all'E. V. col mio telespresso n. 470/112 in data del 6 corrente (3).

Domandai al Dott. Weizmann se egli non credesse che il deviare uomini e capitali verso la Siria, «latu sensu », non potrebbe pregiudicare l'opera costrut

lO

tiva che il Sionismo persegue in Palestina, allentando la pressione che esso esercita sul paese di mandato britannico, per forzarne le porte contro tutte le limitazioni e tutti i divieti; ma il mio interlocutore mi confessò senza reticenze che appunto un allentamento di quella pressione egli si augurava. Ecco, dunque, che nel nostro colloquio cominciava a rivelarsi la concezione «moderata» che questo «leader» ha della tattica e delle finalità sioniste.

Il Dott. Weizmann mi accennò quindi ad una soluzione del problema sionista in Palestina sulla base di un'intesa con l'elemento arabo. Questa soluzione egli avrebbe adombrata a V. E., ricevendone l'approvazione ed una promessa d'appoggio che l'avrebbero come tranquillizzato e rincuorato. Il Dott. Weizmann, infatti, ha lasciato trapelare il convincimento che una soluzione d'intesa e di compromesso tra arabi ed ebrei non verrebbe forse, allo stato delle cose, incoraggiata dall'Inghilterra, la quale avrebbe tutto l'interesse a che il conflitto, anche solo potenziale, si prolunghi, per poter giustificare una sua indefinita permanenza in Palestina, così utile e così disinvoltamente sfruttata ai fini della propria politica imperiale. Il «leader » sionista concepirebbe l'intesa cogli arabi sulla base della costituzione di un piccolo Stato ebraico in Palestina, press'a poco nei limiti dei territori finora occupati dai sionisti; dico « press'a poco», perché egli vorrebbe ancora arrotondarli con nuove terre coltivabili, per assicurare maggior respiro ai centri urbani. Il Dott. Weizmann accennava, più precisamente, alla striscia litorale tra Giaffa e Caifa, alla piana di Esdrelon, già resa magnificamente feconda dal lavoro dei pionieri sionisti, e ad alcune zone attorno al lago di Tiberiade, con qualche sconfinamento in Transgiordania. Questi limiti egli riterrebbe sufficienti al futuro Stato ebraico. Per raggiungerli, e per irrobustire con nuovi afflussi la massa della popolazione, occorrono, secondo lui, ancora cinque anni. Prima di cinque anni, quindi, non si dovrebbe parlare di questa soluzione.

*Io non avevo mancato di far presente che non ritenevo da escludersi l'assenso degli arabi ad una intesa sulla base di uno Stato ebraico a proporzioni ridotte, su una base, per così dire, fotografica delle posizioni territoriali e demografiche oggi acquisite dai sionisti *. Il Capo del Governo italiano, che mirabilmente lavora per la pace in tanti settori del mondo, non avrebbe certo negato il proprio appoggio ad un'intesa arabo-ebraica. Ed allorché successivamente il Dott. Weizmann parlò del rinvio a cinque anni, gli domandai se egli non temesse che il rinvio potrebbe costare ai sionisti prove forse ancora più dure che pel passato. Gli arabi, si trovano, egli lo sapeva, in uno stato di tensione che indubbiamente prepara delle crisi di esasperazione. Il Dott. Weizmann le prevedeva e le temeva. Ma quello che più teme oggi, egli disse, sono i sionisti. Secondo lui, i sionisti della Palestina non sono oggi maturi per reggersi indipendentemente. Costituiscono tuttora una massa amorfa, nella quale gli elementi delle più disparate provenienze e delle più contrastanti mentalità sono ben lungi dall'essersi composti in un equilibrio comechessia stabile. l sionisti della Palestina sono profondamente divisi da ideologie politiche, e, col crescente afflusso del capitale, vedono farsi ogni giorno più acuti i conflitti 01 classe. Com'egli ebbe a dire in un discorso di questi giorni a Tel Aviv, *« sionist1 e guerra civile non sono tenuti lontani che dalla gendarmeria inglese! , •.

6 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

Se, in queste condizioni, i sionisti fossero portati di colpo allo Stato, e::>sl sfascerebbero lo Stato, e il sionismo dovrebbe registrare il proprio fallimenw. A meno che non ci fosse un uomo di ferro ... che non c'è!

Il Dott. Weizmann crede, perciò, inevitabile il rinvio a cinque anni della soluzione «piccolo statale». Nel frattempo i dirigenti dovranno attuare u11~ tattica di prudenza, di circospezione e di equilibrio, pronti anche a superare prove dure, che però non potrebbero mai essere catastrofiche; e intanto perseguire con moto intenso quel minimo di amalgama che possa fare della massa sionista il « corpo » del futuro piccolo Stato sionista.

Io credo eccessive le apprensioni del Dott. Weizmann circa l'immaturità della popolazione ebraica palestinese ad un reggimento autonomo. Bssa ha, d'altronde, già fatta con buon successo qualche notevole esperienza nel campo dell'amministrazione municipale, fondando, sviluppando ed organizzando la città di Tel Aviv, che è già il secondo centro urbano della Palestina e che sta per toccare i 100.000 abitanti (quasi un terzo di tutta la popolazione ebraica del paese), se pure, nel quotidiano afflusso immigratorio, non li ha già toccati e superati. Credo, quindi, che col suo rinvio a cinque anni il Dott. Weizmann voglia, più che altro, prender tempo per accrescere le posizioni territoriali e demografiche del sionismo in Palestina. Senonchè, è giustificato pensare che il lasciare deliberatamente ancora insoluto il conflitto arabo-ebraico possa recare convulsioni sempre più gravi al paese, ed ai sionisti danni specifici e generici che forse non verrebbero compensati dagli accrescimenti territoriali e demografici che essi possono ripromettersi nei cinque anni.

D'altro canto occorre tener presenti gli stati d'animo raggiunti dalle due parti in conflitto: il Dott. Weizmann ammetteva che ormai gli ebrei non pensano più di poter ricacciare gli arabi nel deserto, e che gli arabi a loro volta non credono più di poter ricacciare a mare gli ebrei. Questa certezza della reciproca impotenza alla definitiva eliminazione dell'avversario costituisce forse la prima base per una conciliazione transattiva.

Su questa premessa, il Dott. Weizmann non rifiuta di prendere in considerazione una soluzione «moderata» del problema ebraico, la soluzione, come già usa chiamarsi nelle discussioni più o meno teoriche, «piccolo sionista ». Non è da credersi che questo componimento sarà incondizionatamente accettato dalla massa dei sionisti; esso non mancherà, invece, di suscitare furibonde reazioni. Comunque, sostenuto da Weizmann e dalle vaste correnti che lo spalleggiano, esso presenterà, da parte ebraica, concrete possibilità di realizzazione.

Quanto agli arabi, ho già avuto occasione di riferire la mia impressione che essi sottoscriverebbero oggi a piene mani ad una *soluzione basata sullo « statu quo » raggiunto dal sionismo in Palestina, soluzione che, oltre tutto, li libererebbe senza troppo danno dall'incubo di una minaccia progressiva e indefinita. Me lo confermava recentemente in modo esplicito Ihsan bey el Giabri, il noto fiduciario alla delegazione siro-palestinese a Ginevra*.

Orbene, date queste premesse, potrebbe esser non inutile tentar di avvicinare sin d'ora esponenti ebraici ed esponenti arabi sul terreno pratico della suddetta soluzione «piccolo sionista ». Quelli potrebbero ottenere in via di nego

ziazione qualche miglioramento sulle attuali posizioni del sionismo in Palestina (beneplacito all'acquisto di determinate zone terriere ed allo stabilimento di un'altra quota di immigranti; per esempio 50.000); gli arabi finirebbero per accordarlo, pur di chiudere definitivamen!e una partita pericolosa. Quanto alla forma di reggimento politico, Ihsan bey parlava di larga autonomia locale, mentre è evidente che gli ebrei vorranno lo Stato vero e proprio. Comunque: dall'una all'altro il passo non è lungo.

Questa soluzione del problema sionista in Palestina sembra l'unica giustificabile alla luce della Carta del Mandato, ed anche la più conveniente al nostro punto di vista politico (vedi mio telespresso n. 2282/498 in data del 23 ottobre 1933-Xl (1).

Com'è noto all'E. V., Ihsan Giabri e il Dottor Weizmann ripasserrano per Roma nel mese prossimo; entrambi si propongono di chiedere udienza a V. E.

V. E. vedrà se sia il caso di intrattenerli specificamente sulla questione. Io mi astengo di proposito, tanto con l'uno che con l'altro, da ogni atteggiamento che possa aver l'aria di un tentativo di avviarli su un terreno d'intesa, perché penso che un'iniziativa del genere non debba essere assunta senza una grandissima autorità personale. Aggiungo che una simile iniziativa non mancherebbe, probabilmente, di suscitare da parte degli inglesi qualche contrasto più

o meno velato, dato il nessuno interesse che la Potenza mandataria ha, come dicevo, ad accelerare il componimento del conflitto arabo-ebraico*.

Comunque, l'iniziativa, riuscendo, avrà avuto il grande merito di liberare questo settore dell'Oriente da una questione che, avviata com'è, sembra dibattersi in un circolo chiuso, costituendo un ostacolo permanente alla pace nel Mediterraneo orientale.

Per esame ed opportuna documentazione, allego una carta della Palestina, edita nel 1931 (e quindi già un po' arretrata) dal «Fondo Nazionale Ebraico»; in essa sono segnate le posizioni territoriali della colonizzazione ebraica.

Il Dott. Weizmann mi accennò, nel seguito della nostra conversazione, ad una domanda che il Marchese Theodoli gli avrebbe posta a Londra: che cosa darebbero all'Italia gli ebrei in cambio dell'appoggio di V. E.? Egli avrebbe risposto: «in Palestina, per ora, nulla. Siamo ancora troppo piccoli colà». Ma avrebbe offerto il servizio delle proprie amicizie personali per un'azione di avvicinamento all'Italia fascista dei giovani e promettenti esponenti della politica britannica. Avrebbe anche offerto a V. E. il concorso di scienziati ebraici per lo sviluppo e pel consolidamento di certi rami dell'industria chimica italiana.

Sul «nulla» che gli ebrei potrebbero per ora dare in Palestina volli fare delle riserve. E spiegai al Dott. Weizmann, che ne convenne, come, invece, noi ci attendiamo che sin d'ora si imprima opportunamente alla massa ebraica palestinese quel generico orientamento verso l'Italia, il quale, basato sulle ragioni storiche e sulle riconosciute affinità, dovrà essere il substrato dei futuri mutui rapporti politici ed economici. Questo non si fa ancora in misura sufficiente. Gli accennai pure, per parlare di un dettaglio pratico, alla necessità di evitare troppo frequenti e troppo appariscenti infedeltà ai servizi della marina

mercantile italiana, resistendo agli allettamenti di una concorrenza spesso effimera. Queste, dissi, sono cose concrete, che si vedono dal di fuori, e sulle quali giudicano le masse non iniziate alle sottigliezze dei lavorii diplomatici, quelle masse che fanno la cosiddetta opinione pubblica.

Con questa visita e con questo colloquio il Dott. Weizmann aveva voLtto, mi disse, seguire prontamente l'invito che V. E. gli aveva fatto d'intrattenere il Rappresentante dell'Italia in Palestina sulle questioni che egli aveva prospettate all'E. V. Noi ci vedremo ancora; ed egli mi terrà informato dell'esito delle sue prossime conversazioni col Conte de Martel.

Il Dott. Weizmann volle, infine, chiudere la nostra lunga conversazione con l'esternarmi la sua profonda gratitudine per l'appoggio promessogli da V. E., e col dirmi insistentemente quanto l'abbia commosso il senso di profonda umanità col quale l'E. V. considera gli avvenimenti che toccano gli ebrei della Germania.

(l) Cfr. n. l, nota l.

(l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 712. (2) -Questo e i successivi passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussolini. (3) -Non pubblicato nel volume precedente.

(l) Non pubblicato nel volume precedente.

12

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI

T. 1130/85 R. Washington, 21 marzo 1934, ore 17,53 (per. ore 4 del 22). Telegramma di V. E. n. 406 (1). Frequenti conversazioni avute in questi ultimi giorni al dipartimento

di Stato mi permettono di rispondere con sufficiente sicurezza alla domanda contenuta nell'ultimo alinea del telegramma sopra citato.

Azione italiana in favore dell'Austria e dell'Ungheria è stata seguita con simpatia dalle sfere ufficiali americane che hanno veduto in essa coraggioso ed onesto tentativo di dare impulso iniziale al movimento ·per ricostruzione economica e pacificazione politica del settore danubiano. Firma dei tre protocolli è stata quindi accolta con favore come primo passo verso soluzione problema.

Sono stati in modo parrticolare apprezzati larga visione e chiaro proposito di collaborazione cui si è inspirata politica di V. E. In essa questo dipartimento di Stato ha visto con piacere spuntare possibilità di amichevoli intese dell'Italia con Francia per riflesso con Piccola Intesa. A questo proposito occorre notare che attitudine americana verso Germania continua ad essere dominata da sentimenti di grande antipatia verso regime nazista, per cui questi ambienti politici contemplavano con evidente soddisfazione prospettiva di collaborazione itala-francese destinata ad arginare invadenza tedesca.

Attitudine della stampa è stata intonata nello stesso senso. Come V. E. avrà potuto rilevare dai telegrammi Stefani di questi ultimi giorni, giornali americani hanno messo in evidenza posizione dominante as

sunta da capo del Governo italiano nella direzione della politica europea ed hanno in pari tempo constatato con soddisfazione attitudine amichevole della Francia.

È mio dovere aggiungere che discorso pronunciato domenica scorsa da V. E. ha prodotto in questi ambienti un senso di rammarico nel senso che si è veduto in talune dichiarazioni di V. E. nuovi ostacoli alla auspicata collaborazione.

Ciò risulta abbastanza chiaramente dai commenti editoriali segnalati con mio telegramma di ie·ri 84 (1).

Tale impressione che avevo tratto da una conversazione col sottosegretario di Stato mJ_ è stata poi confermata ieri confidenzialmente da altro funzionario del dipartimento di Stato, il quale si mostrava impressionato dalle corrispondenze da Parigi segnalanti reazione sfavorevole della stampa francese.

Mio interlocutore espr.imeva pure timore che dichiarazioni circa Ungheria possano provocare diffidenza e risentimento da parte dei paesi della Piccola Intesa.

Non ho mancato di fargli notare che tono usato nei riguardi della Francia era stato perfettamente amichevole mentre contenuto delle dichiarazioni non era che una onesta constatazione di fatti che tutti conoscevano.

Franchezza di linguaggio e lealtà nella discussione dovrebbero essere apprezzate da tutti come necessarie per chiarire atmosfera e facilitare risultati.

Quanto alle dichiarazioni concernenti Ungheria ho fatto rilevare al mio interlocutore come tema della revisione sia stato toccato con molto tatto ed in forma molto moderata.

Problema però esiste e non poteva essere ignorato sotto ipocrito silenzio. Mio interlocutore mi disse che si rendeva perfettamente conto di queste ragioni. Egli non aveva per nulla inteso fare atto di critica ma solo constatare le reazioni che, a torto od a ragione, erano state provocate dal discorso.

(l) Cfr. n. 2.

13

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1128/51 R. Praga, 21 marzo 1934, ore 20,40 (per. ore 23,30 del 21).

Nella esposiziOne parlamentare Benes circa questione austriaca, che ho trasmesso quasi integralmente con fonogramma Stefani odierno, è da notare sopratutto volontà mantenere situazione aperta a possibilità di sviluppi dei protocolli di Roma e memorandum italiano nel senso di sollecita estensione dei negoziati e delle conversazioni alla Cecoslovacchia.

Ai protocolli e memorandum suddetti viene fatta favorevole e volenterosa accoglienza.

Dopo nette dichiarazioni di V. E. reazione Benes al suo discorso può considerarsi quasi irrilevante in confronto precedenti atteggiamenti polemici di questo ministro degli affari esteri.

Unica replica al discorso è un breve accenno al fatto che «purtroppo taluni passaggi dei discorsi Mussolini possono diminuire la possibilità d'intesa». Ma tale accenno non ha intenzione polemica ed è largamente diluito nelle rinnovate dichiarazioni di volontà di collaborazione.

Da notare inoltre moderate esibizioni Piccola Intesa come soggetto della esposizione in cui Benes ha parlato questa volta molto più in nome proprio che in nome della Piccola Intesa, facendo allusione alla politica di questa ultima ed alla Francia nella misura impostagli dalla coerenza politica.

Altro rilievo è deciso orientamento verso soluzione italiana ed opposizione a soluzione germanica cioè Anschluss, pur con ampio sviluppo di assicurazioni volenterose e cortesi per una soluzione accettabile anche dalla Germania.

Discorso .Benes come di consueto è molto lungo (sessanta pagine) ed alquanto prolisso. Esposizione storica con larghe esibizioni personali ne occupa parte principale.

Essa non aggiunge nulla a quanto Benes mi ha dichiarato personalmente (miei telegrammi filo n. 32 (1), 38, 39 (2), 49 e 50 (3), n. 23 e telespresso n. 253) (4) ed al senso sua intervista Knickerbocker.

Ho avuto occasione vedere oggi Benes ad una colazione subito dopo il suo discorso pronunciato stamane.

Egli mi ha chiesto con visibile premura mie impressioni; gli ho detto che personalmente mi compiacevo di constatare nel suo discorso intonazione generale più calma di quella della stampa romena e francese.

Gli ho chiesto se fosse vero che aveva modificato testo suo discorso dopo discorso di V. E.

Mi ha risposto che era vero, ma quasi in tono di scusa aggiungendo che egli si era lanciato a fondo in dichiarazioni di collaborazione con l'Italia, ma che unicamente per ragioni di politica interna aveva dovuto moderarne il tono caloroso, e che, ciò nonostante egli si attende critiche ed attacchi dai partiti di opposizione.

Dopo di che mi ha espresso sua fiducia che collaborazione auspicata

da convegno di Roma avrà presto a realizzarsi.

Conversazione è stata rapida e senza conclusioni perché Benes doveva recarsi

ripetere sua esposizione al senato.

Né io ho cercato di approfondirla tenuto presente telegramma di V. E..

n. 25 (5).

(l) T. 2684/84 P.R., non pubblicato.

(l) -Non pubblicato nel volume precedente. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, nn. 784 e 790. (3) -T. 2643/49 P.R. del 19 marzo e t. 1123/50 R. del 20 marzo, non pubblicati. (4) -Cfr. serie VII, vol. XIV, nn. 776 e 801. (5) -Cfr. 8erie VII, vol. XIV, n. 790, nota 3, p. 879.
14

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 739/346. Varsavia, 21 marzo 1934 (per. il 27 ).

Ieri sera, dopo un pranzo che Beck mi aveva offerto in casa sua, ho avuto occasione di parlargli nel senso indicatomi con telegramma di V. E. n. 406/C del 19 corrente (l) riconfermandogli che il desiderio di V. E. non è un blocco chiuso, come taluno aveva creduto di poter affermare, ma al contrario di associare in un'armonica collaborazione i Paesi interessati ad un reale assestamento dell'Europa Centrale, da effettuarsi secondo i principi di Stresa e del memoriale italiano del settembre scorso (2).

Beck mi ha ringraziato e dopo aver rilevato che la stampa polacca si è astenuta dal seguire quei giornali di altri Paesi che hanno gettato gridi di allarme, mi ha detto che riconfermava di essere ben lieto della possibilità di collaborare all'iniziativa di V. E. Mi ha ripetuto che la Polonia in merito alla questione austriaca ed al riassetto danubiano non si è compromessa in alcun modo con nessuno, che conserva la sua piena libertà d'azione e che nessuna idea preconcetta e nessun pregiudizio le impedisce di guardare con simpatia all'azione che V. E. svolge per la soluzione di quel problema.

A tali dichiarazioni, non nuove del resto, era presente anche il Sottosegretario Conte Szembeck.

Questo Ambasciatore di Francia parlandomi ieri dell'attitudine polacca dinnanzi al progetto danubiano italiano mi ha detto che Beck rispondendo ad una sua domanda gli aveva dichiarato di esserle favorevole a condizione che si fosse tenuto conto degl'interessi dell'esportazione polacca in Austria e non si fosse ignorato il valore degli scambi esistenti fra i due Paesi. Beck gli avrebbe detto di aver fatto fare a suo tempo dichiarazioni in tal senso sia a Roma come a Vienna.

Poiché fin dal primo momento V. E. mi autorizzò a dichiarare che l'Italia faceva assegnamento sulla collaborazione di tutti gli Stati interessati, e quindi naturalmente anche della Polonia (telegramma di V. E. n. 28 dell'Il marzo) (3) l'atteggiamento favorevole di Beck, ed il commento di attesa del giornale da lui inspirato sembrano chiaramente indicare che la Polonia desidera venire direttamente chiamata in causa nell'azione intrapresa ed in tal senso riconferma la sua adesione all'iniziativa italiana.

Ritengo opportuno di allegare al presente rapporto una brevissima notizia (4) sugli scambi polacco-austriaci, per fornire a V. E. qualche dato sull'importanza di essi ed una sommaria documentazione del valore reale degl'interessi commerciali che la Polonia ha in Austria, questa rappresentando sempre per certe industrie polacche uno dei mercati più importanti.

(l) -Cfr. n. 2. (2) -Cfr. serie VII, vol. XlV, n. 232. (3) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 794. (4) -Non pubblicata.
15

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BERNA, MARCHI, A BUCAREST, SOLA, A L'AJA, TALIANI, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A BRUXELLES, BONARELLI, A LONDRA, VITETTI, E A PARIGI, FRANSONI

T. 413/c. R. Roma, 22 marzo 1934, ore ... (1).

Relazione telegramma n. 406 (2). Aggiungo ulteriori informazioni che l'E. V. (S. V.) potrà dare sulle conversazioni ed accordi di Roma. Si sono firmati tre documenti e cioè:

l. -un protocollo di ca,rattere preval<entemente politico. Per la sua interpretazione mi richiamo a quanto è detto nel telegramma sopraindicato.

2. --un protocollo relativo alla collaborazione dei tre Stati nel campo economico. In questo protocollo sono contenute particolarmente le disposizioni relative alla valorizzazione del grano ungherese in quanto una delle forme previste è quella per la costituzione di un fondo comune che richiede quindi la partecipazione dei tre Paesi. Va messo in rilievo che la valorizzazione del grano ungherese, sia colla costituzione di tale fondo, sia eventualmente con l'acquisto da parte dell'Italia e dell'Austria di un certo quantitativo a prezzo equo è comunque un provvedimento a favore di tutti i paesi produttori di grano che hanno interesse a non vedere deprezzato troppo tale prodotto sui mercati internazionali. Se si chiede se per il grano sia prevista una riduzione di dazi va risposto negativamente. 3. --un protocollo fra l'Italia e l"Austria che prevede principalmente la concessione di dazi preferenziali per prodotti industriali austriaci da determinare. Per quanto riguarda tali dazi preferenziali, si potrà rilevare che se ne è parlato tanto a Stresa quanto nel nostro piano danubiano (3). Nel nostro piano, richiamato nei protocolli ora firmati a Roma, si avverte che la concessione possa essere fatta tenendo conto degli interessi degli altri paesi. In genere si tratterà di concessioni per prodotti che non siano venduti sul nostro mercato in concorrenza con altri e si potrà pensare a qualche sistema per limitare la preferenza ad un determinato contingente. Se verrà chiesto se noi esigiamo delle preferenze doganali come contropartita per le concessioni fatte all'Austria ed all'Ungheria, bisognerà rispondere negativamente aggiungendo che le eventuali concessioni che ci potranno essere fatte per non aggravare eccessivamente la nostra bilancia commerciale, saranno sottoposte alle norme consuete dei trattati commerciali.

A conclusione delle conversazioni di Roma è stato anche parafato un accordo relativo alla migliore utilizzazione del porto di Trieste da parte dell'Austria. Non si tratta di riduzioni doganali ma di facilitazioni per le manipolazioni delle merci ecc. Tali provvedimenti tendono sopratutto a facilitare le esportazioni dei prodotti austriaci.

(l) -Manca l'Indicazione dell'ora di partenza. (2) -Cfr. n. 2. (3) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 232.
16

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 414/51 R. Roma, 22 marzo 1934, ore 4.

R. ambasciata Berlino ha telegrafato 20 corrente quanto segue:

«Ministro d'Ungheria mi informa che farà domani al ministro degli affari esteri del Reich seguente comunicazione:

l. a Roma è stato convenuto di redigere dei protocolli e non un trattato per togliere agli accordi qualunque carattere di blocco chiuso e quindi diretto verso qualsiasi altro Stato;

2. a richiesta di Gombos è stata introdotta la frase relativa alle « premesse reali per una più larga cooperazione con altri Stati» onde rendere possibile tale cooperazione da parte della Germania.

Nell'impartirgli tali istruzioni Kanya informò questo ministro d'Ungheria aver Gombos già fatto tale comunicazione ad ambasciatore di Germania a Roma ed avere S. E. Suvich assicurato Gombos che Governo italiano avrebbe [fatto] dal suo lato analoghe comunicazioni al Governo del Reich » (1).

Affermazione contenuta ultimo periodo telegramma non è esatta.

Presidente Gombos mi aveva esposto in conversazione avuta con lui alla legazione d'Ungheria suo progetto comunicare a Governo tedesco che noi saremmo stati lieti che il primo paese ad aderire a accordo fosse Germania appena realizzate condizioni per possibilità sua partecipazione politica danubiana. Di fronte mie obiezioni presidente Gombos aveva detto rendersi conto differenza situazione Italia Ungheria riguardi Germania e mi aveva chiesto riflettere sulla cosa per dargli una risposta. Giorno successivo palazzo Venezia ho risposto presidente Gombos non sembrare opportuno nostro passo che avrebbe avuto carattere invito alla Germania e sarebbe sembrato conferma di quanto da parte tedesca si andava dicendo che senza la Germania non è possibile un accordo nel bacino danubiano. Gombtis mi ha detto in tale occasione aver fatto dichiarazioni a ambasciatore von Hassell per mettere in rilievo che accordo Roma non rappresentava blocco ma che si sarebbe potuto stabilire quando ci fossero le premesse reali una collaborazione con altri Stati sulla base degli accordi stessi.

Prego vedere Gtimbtis, parlargli in tal senso a nome mio affine di far rettificare se del caso istruzioni date a ministro Ungheria a Berlino (2).

"Presidente del Consiglio Gombos ha subito riconosciuto che conversazioni con V. E. si sono svolte esattamente come riassunte nel telegramma 51 e m! ha assicurato che ne avrebbe fatto sollecitamente Informare ministro d'Ungheria a Berlino rettificando notizia di una comunicazione italiana al Governo germanico».

(l) -T. 1122/101 R. (2) -Colonna rispose con t. 1150/64 R. del 23 marzo quanto segue:
17

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1140/65 R. Belgrado, 22 marzo 1934, ore 17,35 (per. ore 20,40).

Mio telegramma n. 41 del 20 corrente (1).

Ho avuto ieri un lungo colloquio con Jeftic.

Ne trasmetto rendiconto dettagliato con corriere in partenza sabato che giungerà costà lunedì 26.

Mi limito riferire sue dichiarazioni su accordo di Roma:

«Il protocollo politico se mira al consolidamento ed alla pace europea non può aver che il mio consenso.

Dei protocolli economici non posso ancora interamente valutare conseguenze.

Forse tutto ciò mi sarà chiaro prima del mio eventuale prossimo discorso al

Senato».

Per questi punti mi sono valso nel dargli dei chiarimenti delle istruzioni e direttive di V. E. contenute in ultimo nel telegramma n. 406/C. del 19 corrente (2).

18

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1142/107 R. Berlino, 22 marzo 1934, ore 22,35 (per. ore 1,30 del 23).

Riassumo mie impressioni circa effetto prodotto su questi circoli politici dal convegno di Roma e dal discorso di S. E. il Capo del Governo (3).

Non vi è dubbio che si registri ormai insuccesso del Reich nella questione austriaca. Si riconosce che politica svolta da Habicht partì da premessa non esatta che l'Austria fosse in maggioranza nazionalsocialista e matura per immediata << Gleichschaltung '> col Reich. Ciò implica tacita critica a Hitler per aver riposto eccessiva fiducia in Habicht ed aver dato pieni poteri ad un irresponsabile compromettendo relazioni amichevoli con l'Italia.

Protocolli di Roma non soddisfecero data inclusione clausola consultazione

ancorché si sia qui rilevato che quest'ultima è facoltativa e non obbligatoria.

Malumore verso l'Italia si estende in tono minore anche all'Ungheria.

Si ostenta scetticismo circa portata economica degli accordi da concludersi

ulteriormente.

Si manifesta convincimento che senza 1a Germania non sarà possibile raggiungere risultati soddisfacenti e si mostra certa riluttanza a collaborare.

Quanto alle dichiarazioni di S. E. il Capo del Governo non si misero forse volutamente in eccessivo rilievo dichiarazioni ultra favorevoli alla Germania per disarmo e si tacque accenno a Broqueville.

Destò una certa inquietudine dubbio espresso che riarmamento tedesco sia già in corso.

Dopo qualche giorno di depressione ci si attacca ora alla speranza di poter riguadagnare terreno nei riguardi dell'Austria accettando come fondati vari commenti della stampa straniera secondo i quali programma di espansione dell'Italia in Asia ed Africa significherebbe implicita rinunzia ad una politica di penetrazione italiana nel bacino danubiano.

Questo ragionamento corrisponde alla mentalità tedesca che non è sufficientemente elastica per cercare poss.ibilità di manovrar·e simultam~amente ma in modo diverso in differenti settori.

Stessa mentalità fa considerare fallita ogni possibilità di intesa fra l'Italia e la Francia provocando soddisfazione da un lato e riserbo dall'altro, convinti come si è che l'Italia debba fatalmente fare qualche passo per riavvicinarsi al Reich.

Occorrerà ai tedeschi qualche mese di riflessione e di constatazioni per rendersi conto esattamente dello stato delle cose. Nel complesso peraltro i due notevoli avvenimenti romani contribuirono a chiarire situazione.

Aggiungo che addetto militare constatò ancora stamane inalterati sentimenti di fiduciosa collaborazione con l'Italia e l'Ungheria da parte della Reichswehr. Gli furono anzi fatte esplicite dichiarazioni in proposito e gli fu detto che è assurdo pensare ad una intesa politica con la Jugoslavia.

Sentimenti di amicizia e fiducia espresse •personalmente meco nei giorni scorsi anche ammiraglio Raeder, comandante Marina del Reich.

(l) -Con t. 1118/41 R. Galli, rispondendo a.! t. 406/C. R .. si era riservato di riferire sulle impressioni del Governo jugoslavo non appena parlato con Jeftié. (2) -Cfr. n. 2. (3) -Cfr. n. l, nota l.
19

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1160/053 R. Vienna, 22 marzo 1934 (per. il 24).

Questo ministro di Germania, dott. Rieth, ha visto due volte cancelliere formulando seguenti osservazioni:

l -che Governo austriaco, contrariamente a quanto egli, Rieth, aveva creduto di comprendere e segnalare a Berlino, ha sottoscritto in Roma un protocollo di carattere politico. Tale avvenimento, oltre a contraddire sue aspettazioni, produce la conseguenza che il corso dei rapporti politici ed econom1c1 tra Vienna e Budapest (l) viene a trovarsi subordinato al vaglio di Roma,

ed eventualmente a quello di Budapest. Il che non può essere ammissibile, anche in considerazione della comunanza di razza fra Germania ed Austria.

Cancelliere ha replicato non essersi egli mai espresso nel senso sostenuto dal suo interlocutore; e che per quanto concerneva gli impegni politici assunti col protocollo, egli altro non aveva fatto che applicare il trattato di amicizia contratto con l'Italia dal tedescofilo Schober, il quale, se aveva avuto il merito di concluderlo, aveva avuto il torto di non applicarlo. Sua politica era invece d'assoluta fedeltà e lealtà. Se dunque fra Germania ed Austria fosse stato concluso un trattato del genere, egli non avrebbe del pari mancato di attenervisi scrupolosamente.

2 -Che Governo germanico non poteva consentire che Austria concedesse all'Italia diritti preferenziali. Inoltre, benché in modo alquanto confuso, il signor Rieth ha accennato anche al fatto che Germania non potrebbe ammettere, tra Austria ed Italia, accordi di carattere bilaterale, come egli supponeva esser quelli costituenti attuale « regime» (accordi del Semmering). Cancelliere ha risposto che Austria non ha concesso all'Italia alcuna preferenza; e che per quanto riguardava l'allusione generica circa il trattamento preferenziale previsto dal «regime», egli doveva far presente che fu la stessa Germania ad ammetterlo nel febbraio 1932, allorché l'Austria attirò l'attenzione delle Potenze sulle sue condizioni economiche, ed a proporre nel maggio dello stesso anno un accordo preferenziale per il legname, nonché a far presente nella stessa occasione che essa sarebbe stata disposta a studiare ed applicare ampliamenti di tali sistemi.

(l) Recte Berlino.

20

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIÈRE

APPUNTO. Roma, 22 marzo 1934.

Il Signor Wagnière mi parla dell'eco favorevole che ha avuto il discorso del Capo del Governo (l) per gli accenni al suo Paese.

Gli do', dietro sua richiesta, qualche informazione sugli accordi di Roma.

Mi intrattiene poi anche sulla questione Zenit come da appunto a parte (2).

Infine richiama la mia attenzione sulla cerimonia svoltasi a Milano da

parte di quel Fascio svizzero.

La detta cerimonia ha avuto luogo alla sede del Partito Nazionale Fascista a Milano coll'intervento di fascisti italiani. Quello di cui il Ministro si preoccupa è che possa apparire che questi Fasci svizzeri, che attaccano violentemente il Governo Federale, agiscano sotto il patronato delle autorità italiane.

Gli rispondo che questo non è il caso; egli conosce già le disposizioni da me date al riguardo. Debbo supporre, senza conoscere precisamente come si siano svolte le cose, che la sede del Fascio di Milano sia stata data per pura cortesia.

(l) -Cfr. n. l, nota l. (2) -Non rinvenuto.
21

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 22 marzo 1934.

Colloquio con l'ambasciatore di Francia.

Mi ha detto che scopo del suo recente viaggio a Parigi è stato quello di cercare di influire sul suo Governo perché conformasse le linee della sua risposta, che stava preparando per il Governo inglese (1), a quelle del memorandum italiano ovvero, nel caso che non ritenesse possibile spingersi fino a tanto, che evitasse di assumere un atteggiamento che precludesse la via a un eventuale accordo con l'Italia.

Chambrun dice di essere riuscito in questa seconda alternativa. Secondo lui, la risposta francese all'Inghilterra cor:ttiene tre assunti fondamentali: a) la dimostrazione che il Governo francese ha già disarmato fin quanto era possibile, in armonia coi principi dell'art. 8 del Patto della Società delle Nazioni e col preambolo alla Parte V del trattato di Versailles b) l'argomentazione che, al contrario di quanto cerca di dimostrare il memorandum italiano, la circostanza che gli Stati disarmati riarmano convince piuttosto a conservare i propri armamenti, e magari ad accrescerli, anzichè a ridurli c) la convinzione assoluta del Governo francese che qualunque controllo sprovvisto di sanzioni è privo di efficacia.

Chambrun dice di aver avuto lunghe conversazioni con esponenti della politica e dell'opinione pubblica francese, in Parlamento e fuori, la cui unanime opinione è stata che senza risolvere contemporaneamente la questione della garanzia, la Francia non potrà dare la sua firma a nessuna convenzione.

Il problema è dunque imperniato ora e sempre sull'eterna questione della sicurezza. E, come sempre, è ovvio che anche ora qualunque eventuale accordo sulla base di semplice consultazione non potrebbe soddisfare la Francia.

Dalla sua conversazione con Doumergue Chambrun ha riportato l'impressione che il presidente del Consiglio batta sopratutto sulla questione delle riserve istruite. Minor peso sembra dia agli effettivi. Ma si batterà a fondo

sulla questione della istruzione preliminare. Doumergue ha detto di avere osservato che all'inizio dell'ultima guerra gli eserciti francese c tedesco erano più o meno di eguale forza, ma che i primi rovesci subiti dai francesi erano stati causati non da deficienza di effettivi, ma da mancanza di riserve istruite, delle quali i tedeschi abbondavano. A conferma di cio' egli osserva che è stato sufficiente che la Francia portasse le sue riserve dal Belgio a Parigi per istruirle nelle retrovie, perchè l'equilibrio si ristabilisse.

Alla mia obiezione. che il Governo tedesco per il momento non ha nessuna intenzione di far la guerra e che quindi la questione può andar considerata con maggior pacatezza, Chambrun ha detto che questa non è l'opinione né del suo Governo, né la sua personale. La loro opinione è che Hitler e alcuni dei suoi seguaci magari non vogliono la guerra, ma che tutto il resto della Germania è decisa a farla. Il Governo francese, da informazioni raccolte, comprovate dalle numerose pubblicazioni tedesche che hanno per argomento la guerra, è indotto a ritenere che il vecchio spirito militare, innato in ogni tedesco, prendendo forza dalle successive concessioni che gli vengono fatte, finirà per prendere il sopravvento sul Governo, spingendolo a risolvere le questioni nazionali della Germania con la forza.

Concludendo, dalla conversazione con l'Ambasciatore di Francia è risultato chiaro che il punto essenziale della politica francese degli armamenti è ancora alla solita questione della garanzia. Su di essa Chambrun si propone di esporre particolareggiatamente il punto di vista del suo Governo nell'udienza che V. E. gli concederà sabato prossimo.

In linea generale ho fatto osservare a Chambrun che dando la Francia minore importanza alla istruzione paramilitare e all'aumento degli effettivi tedeschi, e impostando invece la questione del disarmo esclusivamente sul problema della garanzia, essa viene a togliere alla questione del disarmo ogni carattere tecnico per trasferirla nel campo della pura politica europea. Nella quale le soluzioni si finiscono per trovare per coincidenza reale di tendenze e di obiettivi e non per successive discussioni accademiche.

Gli ho chiesto poi che cosa la Francia intendesse per garanzia. Mi ha detto che, avendo posto nettamente questa questione a Léger, questi gli ha scritto le seguenti parole: «solidarietà europea in caso di qualunque infrazione degli eventuali accordi raggiunti>>.

Passando a parlare del discorso di V. E. ha detto di sperare che nei prossimi giorni la stampa francese riesca meglio a comprenderne la portata. Intanto egli è davvero fiero di essere stato preso di mira dagli attacchi di alcuni giornali, fra cui l'Echo de Paris di stamane, perché è conscio di aver abbracciato la giusta causa lavorando per il riavvicinamento italo-francese.

Ho condiviso la sua speranza di un miglioramento, dato che questa prima incomprensione è dovuta principalmente al fatto di non aver saputo finora cogliere tutto l'insieme del discorso, ma di aver fermato l'attenzione su particolari avulsi dal contesto.

(l) Con appunto dello stesso 22 marzo da Ginevra Pilotti segnalava, tra l'altro, quanto segue: «Da spiegazioni ufficiose qui pervenute, la risposta, in data 17 corrente, del Governo francese al Governo britannico relativa al disarmo (il cui testo mi si è comunicato confidenzialmente, e sarà reso pubblico a Parigi domani sera) sarebbe opera personale del Ministro degli Affari Esteri Barthou. Essa non corrisponderebbe allo stato d'animo, che sembra a poco a poco prevalere nelle amministrazioni francesi interessate, favorevole, non alla liquidazione pura e semplice della Conferenza, ma alla conclusione di una convenzione di contenuto più 0 meno inspirato ai suggerimenti del memorandum italiano. Essa però non precluderebbe la via a quest'ultima soluzione, perché parrebbe scritta col fine essenziale di mettere da parte il memorandum britannico, del quale soltanto si occupa. Che la nota in discorso risenta più dello stile personale d! Barthou che dello stile diplomatico consueto del Qua! d'Orsay, è indiscutib!le: ma non credo che essa nasconda una divergenza qualunque tra Barthou e gl! uffici». Per 11 testo della nota francese cfr. DDF, vol. VI, pp. 35-39. Essa fu comunicata per telegrafo all'ambasciatore a Londra il 17 marzo e da lui trasmessa al Foreign Office il 19.

22

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1144/229 R. Londra, 23 marzo 1934, ore 0,58 (per. ore 8).

Ho esposto ieri al Foreign Office contenuto dei protocolli di Roma e le direttive della politica italiana nel senso del telegramma di V. E. n. 406 (l). Sargent mi ha confermato quanto già Vansittart mi aveva detto del favore e della fiducia con la quale Foreign Office ha seguito opera di V. E.

Foreign Office è tanto più fiducioso in questa opera in quanto apprezza in tutto il suo valore cura che V. E. ha avuto di impostare sua azione su una base collaborazione con gli altri Stati e sul mantenimento dei principi stabiliti a Stresa. È da sperare che i paesi più direttamente interessati, e particolarmente Cecoslovacchia, comprendano bene spirito della politica di V. E. e diano loro contributo positivo alla ricostruzione dell'Europa danubiana.

Con il fonostampa 218 del 17 corrente ho trasmesso a V. E. commenti stampa ai protocolli di Roma e V. E. avrà visto quanto tali commenti siano cordialmente favorevoli: essi rispecchiano accoglienze che i protocolli hanno avuto tanto negli ambienti politici come nella City. La City vede sopratutto in essi un principio, forse, di azione pratica. Pochi giorni fa in una riunione azionisti esteri della Credit Anstalt prospettive di una intesa dell'Austria con l'Italia sono state giudicate con il più grande favore.

Per quanto concerne Ungheria soddisfazione della City è tanto maggiore in quanto essa teme sarà necessaria una riduzione di interessi nei debiti ungheresi e la prospettiva di accordi economici aperta dai protocolli di Roma, fa pensare che la situazione potrà almeno essere stabilizzata ed una eventuale riduzione, se necessaria, potrà essere fatta ad un livello non troppo basso.

Quello che la City sopratutto spera è che il movimento iniziato da noi nell'Europa danubiana si sviluppi, si consolidi non solo nel campo economico ma anche in quello politico. Ciò è tanto più notevole in quanto negli ambienti finanziari inglesi (meno interessati negli aspetti politici del problema che preoccupati degli interessi degli investitori inglesi) vi erano sino a qualche tempo fa molte incertezze circa la convenienza da parte dell'Inghilterra di opporsi all'unione austro-tedesca che pareva essere la soluzione più semplice per risolvere le difficoltà economiche dell'Austria.

L'atteggiamento di oggi rappresenta dunque una evoluzione della City verso il concetto che l'indipendenza dell'Austria corrisponde agli interessi inglesi.

Ho dato, comunque, istruzioni ai rappresentanti delle banche italiane a Londra di mettere in rilievo che anche per quello che riguarda la salvaguardia degli interessi degli investitori inglesi l'appoggio che l'Inghilterra dà e vorrà dare ai nostri progetti di ricostruzione danubiana costituirà il più efficace contributo a tale salvaguardia.

(l) Cfr. n. 2.

23

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1154/110 R. Berlino, 23 marzo 1934, ore 21,18 (per. ore 0,10 del 24).

Telegrammi di V. E. n. 406/C. e 413/C. (1).

Ho fornito al barone Neurath chiarimenti opportuni circa accordi di Roma.

Egli me ne ha ringraziato ed ha detto che occorre attendere svolgimento ulteriore delle trattative commerciali.

Queste sono solitamente assai difficili, come fu dimostrato da quelle recentemente concluse dal Reich con l'Ungheria, le quali dimostrarono desiderio della Germania di favorire quello Stato perché è evidente che esso avrebbe potuto acquistare gli stessi prodotti a migliore mercato in altri paesi.

Concludendo accordi con Ungheria Reich aveva voluto dimostrare sua amicizia basata su considerazioni di ordine politico, cosi come stava presentemente facendo Italia verso l'Austria e Ungheria.

A proposito della assicurazione datagli che verrebbero usati i possibili riguardi agli interessi degli altri Stati, Neurath, premettendo che non era sua intenzione sollevare nel momento presente alcune eccezioni, osservò che fin dal momento in cui fu comunicato al Governo del Reich il memol·andum danubiano (2), esso aveva rilevato che sua applicazione pratica avrebbe potuto ledere interessi della Germania in qualche punto, cosicché questa doveva riservarsi di fare valere eventualmente sue obiezioni.

24

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 23 marzo 1934.

Di importante mi ha letto una nota del suo Governo di commento alla nota francese (3) mandata a Londra. Mi ha ringraziato, sempre a nome del suo Governo, per quanto nel mio discorso si riferiva alla parità dei diritti. Mi ha dichiarato che la Piccola Intesa cerca la Germania e non viceversa e che a Belgrado i tedeschi discutono questioni di ordine commerciale.

Nel complesso tono minore.

Circa i « Protocolli di Roma » von Hassell non mi ha nascosto il suo disappunto per il Protocollo «consultivo».

(-3) Cfr. n. 21, nota l.
(l) -Cfr. nn. 2 e 15. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 232.
25

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, VASSIF BEY

APPUNTO. Roma, 23 marzo 1934.

Ho convocato l'Ambasciatore di Turchia per richiamare la sua attenzione sull'atteggiamento assunto dalla stampa turca dopo il discorso del Capo del Governo (1), atteggiamento che a parte il fatto che non trova alcuna plausibile spiegazione, non pare in armonia con i rapporti di amicizia esistenti tra i nostri due Paesi.

Vassif Bey mi ha detto di aver già rilevato la cosa per conto suo ma di non essere in grado di dare dei chiarimenti perché non ha ancora i testi precisi dei giornali.

A quanto sa in Turchia ci si è allarmati per una frase contenuta nel discorso del Capo del Governo dove si accenna a Paesi distanti poche ore di piroscafo.

Poiché i Paesi così indicati non possono essere che la Turchia e la Siria, si può forse spiegare in questo modo l'emozione destata nel suo Paese. Gli ho risposto che tale emozione mi pareva assolutamente fuori di luogo per le seguenti ragioni: 1°) -Si tratta di stabilire dei rapporti culturali economici ecc. e quindi nessun motivo di allarme ma anzi di soddisfazione;

2°) -Il Capo del Governo ha accennato a quei paesi dai quali l'Italia è più o meno esclusa e quindi paesi più lontani, certamente non alla Turchia, con la quale già abbiamo molteplici ed intensi rapporti e che non può essere considerata un paese esclusivamente asiatico.

3°) -La frase relativa alla distanza di qualche ora di piroscafo, non era stata detta per indicare nessun paese specificatamente, ma per dimostrare la posizione vantaggiosa dell'Italia di fronte ad altri Paesi nei riguardi del continente asiatico.

L'Ambasciatore si riserva di attendere i giornali incriminati per poi chiarire la cosa.

26

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2867/49 P.R. Belgrado, 24 marzo 1934, ore 19,15 (per. ore 21).

Pubblico Ministero pronunciata ieri requisitoria contro Oreb e compagni.

*Essa è sopratutto un violento discorso politico che si sforza di precisare la tolleranza italiana alla agitazione terrorista degli Ustashi.

7 -Documenti diplomattci -Berle VII -Vol. XV

Tutti i giornali la riproducono per intero con consueto corredo di fotografie * (l).

(l) Cfr. n. l, nota l.

27

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL MINISTRO A PRAGA, ROCCO

T. 425/30 R. Roma, 24 marzo 1934, ore 24.

Voglia trovar modo far sapere a Benes che dichiarazioni da lui fatte 23 corr. alla commissione parlamentare affari esteri chiudendo discussione sul suo discorso del 21 sono state lette con interesse ed apprezzate a palazzo Venezia (2).

28

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 1515/452. Belgrado, 24 marzo 1934.

Mio telespresso 26 febbraio 306 (3). Telegramma di V. E. n. 27 del 13 corr. (3) e miei teleg,rammi n. 35 (4) e

n. 46 (5), del 14 e 22 c.m.

Le trattative commerciali jugoslavo-germaniche continuano, ma scarse e malsicure sono le notizie sull'andamento di esse, tanto che se ne possono sentire delle più contraddicenti.

Per fermarsi ai soli dati pubblici occorre ricordare le dichiarazioni del 16 marzo fatte dal capo della delegazione tedesca Signor Sarnov alla stampa (accordo reale ed a lunga scadenza -accordo bilaterale per l'impiego di mano d'opera jugoslava in Germania e tedesca in Jugoslavia), e quanto pubblicato dal Vreme il 15 corrente: «La fissazione dei contingenti per la importazione dei prodotti agricoli sarà di importanza principale per la esportazione jugoslava in Germania... L'aumento della importazione in Germania avrà per conseguenza l'aumento della importazione da detto paese, e perciò è nell'interesse bilaterale di giungere ad un accordo quanto più largo».

« In assenza di Benes che tornerà stasera dalla sua proprietà di campagna, ho avuto occasione di dire quanto del caso a Krofta perché lo facesse sapere a Benes.

V. E. può calcolare che Benes ne sarà al corrente al più tardi entro martedì mattina. Krofta se ne è mostrato oltremodo lieto e soddisfatto». E con t. per corriere 1210/029 R., pari data, comunicò tra l'altro: « .. Krofta mi ha confermato quanto è stato già rilevato anche nei giornali italiani, e

che, cioè, lo stesso discorso di Benes è stato piuttosto male accolto in Francia. Egli mi ha detto che a quanto pare, in Francia si voleva una diversa impostazione e cioè un atteggiamento più intransigente della Cecoslovacchia in confronto dell'Anschluss, e che probabilmente il tono moderato di Benes verso la Germania non è piaciuto. In quanto all'atteggiamento francese in confronto delle migliorate relazioni di questo paese con l'Italia, Krofta mi ha parlato senz'altro di gelosia ».

Il che sta a confermare le prime ipotesi da me avanzate in vista dell'imminente inizio delle trattative e cioè: esistere circostanze commerciali e politiche, positive e negative, atte ad influire efficacemente sulla possibilità di un assai utile risultato di esse, con un danno in più direzioni ed a più effetti per le nostre esportazioni industriali in Jugoslavia, e per le agricole in Germania. (Vedi mio rapporto 26 febbraio n. 306) (1).

Che qualsiasi miglioramento dei rapporti com;nerciali abbia anche inevitabilmente effetti e valore politico è banale verità che non occorre rilevare. Che perciò la Germania speri dai migliorati rapporti commerciali trarre dei vantaggi per quello che è il suo programma politico mediato ed immediato in Jugoslavia, sulla Piccola Intesa, nei Balcani è anche evidente.

Ma, malgrado le voci che sono qui corse e che continuano a circolare (e che ho anche per doverosa informazione segnalato col mio telegramma n. 46 del 22 corrente nel quale riferivo che Balugic avrebbe recato da Berlino concrete proposte di un patto di non aggressione) stento a credere che la Germania possa raggiungere qui un prossimo concreto risultato politico quale deriverebbe dalla firma di un qualsiasi accordo della natura di cui si parla.

Sussistono in Jugoslavia quelle forze e quelle tendenze che ho più volte segnalato: concrete simpatie, *non decisa ostilità verso l'Anschluss * (2), poi un complesso di sentimenti che non avendo potuto raggiungere un accordo con noi tendono per naturale legge di contrasto a desiderare un successo germanico che possa significare diminuzione del prestigio italiano e scacco della nostra attività anche se poi ciò ridondi a danno della Jugoslavia, stanchezza della tutela francese, e che si sintetizzano in queste direttive di massima:

*a) l'Anschluss è preferibile ad una decisa supremazia italiana nel Centro Europa, se essa non sia punto di partenza per un'estensione di accordi che leghino tutta l'Europa Centrale con la Piccola Intesa. Nel quale solo caso è accettata la supremazia italiana. Ma a tale complesso accordo fa ostacolo la volontà revisionista ungherese * ;

b) se l'Anschluss sia per verificarsi ineluttabilmente (e qui ci si ostina a pensare che l'attuale rinuncia di Hitler all'Anschluss sia solo provvisoria e temporanea, che la attitudine di Dollfuss e di Starhemberg non sia sincera ma che entrambi coltivino precisi e concreti rapporti con l'hitlerismo, che molti dei disciolti socialisti siano già andati a rafforzare le file naziste austriache e attendano un buon momento per sferrare un nuovo colpo decisivo contro l'attuale situazione austriaca) *la Jugoslavia conscia di non poter resistere non vuole si siano nel frattempo create ragioni di dissidio e di ostilità fra essa e la Germania, per meglio così addivenire a quel migliore accordo politico commerciale * che allora sarà ritenuto possibile, ma che fisserà una prepotente influenza germanica su tutti i Balcani.

E ciò tanto più in quanto pur conoscendosi a fondo la forza espansiva del germanesimo e quale sia il suo programma politico territoriale europeo, e che

una copiosa letteratura rivela sempre più nelle decise sue direttive* (ho rammentato in recente occasione lo scritto del Morocutti sulla Grande Germania e la Grande Jugoslavia) * si ritiene che una espansione politica ed anche territoriale del germanesimo sulla Jugoslavia non abbia ad essere che cosa di terzo o secondo tempo, di fronte a necessità più urgenti e pressanti per il Deutschtum nella sua discesa al Mediterraneo, che ha come primo suo maggiore obiettivo Trieste.

Il che però è di domani, non attuale.

Molte settimane addietro Purich, (e ne riferii) mi disse che Rosenberg aveva proposto a Balugic un patto di non aggressione, che Balugic aveva risposto che egli non poteva accogliere e riferire che proposte del Governo, non del partito hitleriano. È egli possibile se ne sia riparlato fra il Ministro jugoslavo ed Hitler? Che tale argomento abbia determinato la visita di Balugic? Dal mio canto nulla posso affermare né escludere, ma solo !asciarmi guidare dalla sensazione. Si è qui ripetuto insistentemente che effettivamente tali proposte erano state portate, che si chiedeva la conclusione di un patto di non aggressione che fosse per la Piccola Intesa attraverso la Jugoslavia, o per la Jugoslavia soltanto. Ma queste voci se anche ripetute da vari miei autorevoli colleghi e che hanno i migliori rapporti col Governo jugoslavo, mi sono smentite da altri. Esse mi sono ancor più smentite da Purich. Forse sono state recate, ma Belgrado non vuole per ora darvi seguito.

Perciò io concludo, pur con la dovuta riserva per ogni diversa realizzazione di domani, che non essendo ancora maturo il momento per un accordo politico con la Jugoslavia che significherebbe una non equivoca deviazione dal sistema francese, la Germania cerca e può trovare per adesso a Belgrado un comune terreno ài discussione politica per questioni che possono sembrare, o sono, di comune interesse e dove gli sforzi politici dei due paesi possono trovare una coincidenza: *diminuzione od esclusione di qualsiasi influenza italiana dal sistema austro-ungherese, alimento della neutralità jugoslava di fronte all'Anschluss, * ricerca poi del suo favore in cambio di determinati vantaggi, ostilità comune alla restaurazione absburgica anche se ciò sembri oggi un poco una lotta contro i mulini a vento.

Si stabilisce quindi un concreto flirt politico fra Germania ed Jugoslavia, si cerca un terreno politico di contatto e conversazione, ma non si può andare ancora più in là. In ogni caso ne viene una facilitazione alle trattative commerciali, che quando saranno compiute influiranno a lor volta sui rapporti politici.

Le quali trattative commerciali (e le supposte politiche) non posso dire se mirino attraverso la Jugoslavia ad un programma generale per la Piccola Intesa. Io sono più propenso a credere che se mai vogliano attraverso la Jugoslavia (che dei tre Stati associati è il relativamente più solido) dissociare la Piccola Intesa.

Giunto a questa conclusione vi è un punto nuovo sul quale mi permetto richiamare la attenzione di V. E. È stato qui ripetuto sovente che la Germania aveva disapprovato il Patto Balcanico, aveva consigliato la Bulgaria a non aderirvi. Con quali scopi?

*Non sono in grado di affermare nulla di definitivo. Certamente V. E. potrà esserne assai meglio informata da Berlino e da Sofia*. Ma qui la sosta di Re Boris a Berlino ed il suo incontro con Hitler e più ancora quella più recente del generale Zekov sono state molto commentate. Tanto più in quanto il generale ha dichiarato (Pravda del 19 marzo) che la Germania si interessa alla Bulgaria, che la sua visita è risultato di iniziativa tedesca, che in Germania si desidera un riavvicinamento fra la Bulgaria ed i suoi vicini, e poi ha riferito la seguente frase di Hitler: * «Se la Bulgaria raggiungerà un accordo con la Jugoslavia, allora detto successo migliorerà la situazione attuale nei Balcani. Tra la Germania e la Jugoslavia non esiste alcun attrito e perciò la Germania non può che essere soddisfatta se possa realizzarsi un riavvicinamento fra Jugoslavia e Bulgaria~ *.

Si direbbe che il tema -Grande Germania e Grande Jugoslavia -abbia così una variazione in tono minore, ed è per questo motivo che la ricerca se sussista veramente un nuovo orientamento nella politica germanica nei Balcani e se essa stia per passare dall'atteggiamento di osservazione tenuto sin qui ad una fase più attiva, e se abbia tale concreto programma (vedi nota), costituisce una non inutile curiosità, poiché se se ne potranno fissare gli eventuali fondamenti reali ciò non sarà privo di diretto e concreto interesse per la nostra politica (1).

(l) -Il passo tra asterischi è stato sottolineato da Mussollni che a margine ha annotato: «Mandare giornali». (2) -Rocco rispose con t. 1184/55 R. del 26 marzo quanto segue: (3) -Non pubblicato. (4) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 803. (5) -T. 1139/46 R., non pubblicato. (l) -Non pubblicato. (2) -Questo e i successivi passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussol!nl.
29

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 1412/449. Belgrado, 24 marzo 1934 (per. il 26).

Mio telegramma n. 45 del 22 corrente (2).

Ho avuto ieri l'altro sera un lunghissimo colloquio con Jeftich. Ne ho stesa un'ampia relazione dalla quale l'E. V. potrà ag·evolmente vedere come esso siasi svolto, e come ogni argomento sfiorato od esaminato, siasi legato logicamente e coordinato al motivo che ha fornito lo spunto.

Sembra però a me necessario nel sottoporla all'esame di V. E. accompagnarla con un rapido esame della attuale situazione internazionale nei suoi riflessi sulla Jugoslavia anche se debba ripetere o richiamare cose già dette

-o riferite. Mi permetto in primo luogo citare il mio rapporto odierno che reca il n. -1515/452 (3) e che tratta dell'attuale flirt politico jugoslavo germanico, poi

Tale linea programmat!ca non esclude l'altra anche attribuita a Berlino della quale si fa spesso anche cenno: Unione Austro-Ungherese-Cecoslovacca sotto l'egida germanica. [Nota del documento].

(3l Cfr. n. 28.

ché esso forma uno degli elementi più interessanti della situazione e si lega intimamente al presente mio esame.

La situazione attuale per essere bene compresa ha da essere guardata fino dalla fine del 1933 allorché nel mio rapporto riassuntivo indicai che la Jugoslavia, superata la crisi interna, si trovava di fronte a tre vie: continuare quella franco-intesista, entrare nella nostra come ne aveva mostrato intenzione e, credo, sincera volontà, appoggiarsi invece alla germanica che ha qui le aderenze dimostratesi fra l'altro nei vari momenti in cui, in grado diverso dal 29 in poi, la questione dell'Anschluss si è affacciata sul tappeto internazionale.

Ho creduto anche affermare recentemente che la storia dell'ante guerra aveva mostrato come i Balcani fossero naturale campo di conflitto delle due forze austriaca e russa fra le quali cominciava a prendere timido posto la italiana, che nel dopo guerra invece la storia avrebbe dimostrato essere la francese solo un'affermazione passeggera e temporanea in funzione anzitutto di difesa dall'Italia, ma che i Balcani dominavano il più naturale campo di espansione della rinnovata forza italiana, in contrasto oggi con la germanica e domani con la russa quando questa avrà ripreso la sua più naturale missione. È del resto ancora oggi evidente che la cultura germanica non è scesa nell'ante guerra al di qua del Danubio, che, sopratutto attraverso la Dalmazia, e fino in Serbia, la italiana ha potuto invece penetrare in grado decrescente fino al Danubio contrastando il passo alla germanica. Nel dopo guerra (ed il fissarsi dell'hitlerismo precipita le mosse e rafforza le tendenze) la tendenza germanica è passare il Danubio, cosi come la italiana compie lo sforzo contrario e giunge perciò a far sentire la sua potenza politica nelle due già nemiche capitali danubiane. Non è senza un grande significato storico o senza indicazione di un nostro deciso fato che sia stato proprio un autentico rappresentante dell'odiata Irredenta a portare a Vienna ed a Budapest la sicurezza, la stabilità, la difesa politica dal germanesimo in nome d'Italia. Ma la lotta è aperta.

Di queste grandi forze storiche si ha nei governanti serbi una sensazione molto precisa. Ciò traspare chiaramente pure attraverso le notevoli contingenze dello sviluppo quotidiano degli avvenimenti politici.

Il discorso pronunciato da Jeftich il 12 Marzo, che risente anzitutto l'orgoglioso superamento della crisi interna, e si appoggia con baldanza sull'attività internazionale della Jugoslavia mossasi abbastanza sicura e con non discutibili risultati (solo il patto balcanico è stato diminuito di una forte percentuale nella sua efficienza a seguito delle riserve greche), riflette quella conclusione che dissi alla fine del 1933, non vuole cioè compromettersi definitivamente per una delle due forze maggiori che cercano nei Balcani la loro preminenza. Contro l'Italia vi sono sottintesi risentimenti così come il piacere di aver potuto tener duro contro la supposta volontà disgregatrice della politica italiana. Ed anche quando si giunge all'accenno dei prossimi accordi di Roma si marca una riserva che è diffidente e sospettosa anche nel timore di una libertà di azione che si suppone accordata dalla Francia. Non ci si vuole compromettere, si vuole anche essere matematicamente sicuri che gli accordi che usciranno da Roma non significhino rinforzata ostilità alla Jugoslavia. Ma sopratutto, ripeto, non si vuole prendere una posizione definitiva.

Il fatto che la Francia sia ricordata una sola volta, proprio alla fine quasi per un obbligo del quale non si può fare a meno, mi pare offra la riprova più certa del fondo dal quale il discorso di Jeftich si muove.

Nel quadro più limitato e più appropriato ad un colloquio quale è quello che ho potuto avere la sera del 22 corrente, credo di ritrovare molti degli elementi base del pensiero attuale jugoslavo.

Al Convegno di Roma il Governo jugoslavo ha guardato partendo da due ipotesi diverse: se esso sia affermazione di potenza italiana senza possibilità di estensione alla Piccola Intesa (od almeno alla Jugoslavia) la ostilità è precisa e non modificabile. In tale caso per reazione si aumenta:no le disposizioni di favore verso la Germania anche se si verifichi l'Anschluss, perché non v'è per vari decenni minaccia alla integrità jugoslava (se il calcolo sia giusto la storia se mai lo dirà). Sussiste invece una disposizione di favore agli accordi se vi sia possibilità di loro sviluppo, e se l'Italia possa far proprio il postulato germanico che è: integrità, inattaccabilità delle attuali frontiere jugoslave (1).

E premesso che non si è compreso a Belgrado lo scalpore francese dopo il discorso del 18 corrente di S. E. il Capo del Governo, e che le fÌ"asi relative all'Ungheria sono state piuttosto considerate come una concessione formale alla mancanza di precisi impegni revisionisti negli accordi di Roma, l'E. V. ricorderà che la riserva da diffidente e sospettosa come nel discorso di Jeftich del 12 Marzo, si è mutata in benevola nel colloquio con me. Il primo esame dei protocolli ha dimostrato la effettiva possibilità della estensione anche alla Jugoslavia. Si vuole però ancora vedere a quale delle due grandi forze che si contrastano nell'Europa Centrale e nei Balcani resterà il predominio.

Intanto dall'Italia si domanda (col pubblico scandalo) la cessazione di ogni attività sostenitrice del separatismo croato per ottenere la sicurezza dell'adozione da parte sua di quel postulato che è condizione sine qua non per arrivare a quella normalità di rapporti e quella massima confidenza di relazioni oggi possibile a raggiungere.

Mi sono chiesto infatti molte e· molte volte in questi giorni quali scopi il Governo jugoslavo volesse raggiungere con la larga pubblicità data al processo Oreb. Vi è certo in primo luogo una soddisfazione personale del Re quasi a sfogo della rabbiosa irritazione provata a Zagabria e forse ancora non del tutto spenta. Vi è quasi da parte sua un senso di sfida. Ma (e le parole di Jeftich mi paiono ben chiare) si vuole, se possibile, un risultato concreto: fine di ogni appoggio ai fuorusciti croati e perché questi, anche se in concreto poco temibili, creano comunque un'agitazione che unendosi al malcontento interno (e se quando parlavo con Jeftich avessi già conosciuto i discorsi di Superina e Maistorovic al Senato me ne sarei ampiamente valso) crea un grosso problema di pubblica sicurezza ed aggrava il maggiore intoppo alla pacificazione interna, ed ancora più perché quando tale appoggio sarà certamente finito,

33~

si ricreerà qui una confidenza cui si aspira, per stabilire le migliori possibili relazioni con noi.

Poi quello che potrà venire verrà. Ma non credo più oggi, nelle condizioni presenti, e fin che vario altro tempo non sia passato dagli ultimi incidenti, che sono occorsi nei rapporti dei due paesi, alla possibilità di quel tale cambiamento di politica che forse era possibile in passato. Ciò anche per la nuova fisionomia hitleriana della Germania, e perché non per suggestione ed influenza francese (questa è ripeto in diminuzione a Belgrado) ma per quel tanto di forza che la Jugoslavia ritiene per avere acquistato dalla nuova sistemazione della Piccola Intesa e dalla Intesa Balcanica, e che non abbandonerà troppo presto.

In questo quadro generale pare a me oggi di dovere fissare l'attuale posizione jugoslava, farne derivare il discorso di Jeftich del 12 Marzo, e spiegare il mio colloquio della sera del 22.

ALLEGATO

COLLOQUIO GALLI-JEFTié

APPUNTO. Belgrado, 22 marzo 1934.

Jejtié. Ho rilevato la frase detta da Mussolini a nostro riguardo. La trovo buona e me ne compiaccio. Potrei dire altrettanto, benché debba ricordare con rammarico che la nostra passata intenzione non era soltanto quella di migliorare l'atmosfera fra i nostri due paesi, ma bensì quella di instaurare tutta una nuova politica. La atmosfera e la fiducia non potranno ristabilirsi finché vi sia da noi il dubbio anche minimo di una tolleranza di attività che ci sono ostili e vogliono la dissoluzione della Jugoslavia.

Noi siamo pronti tuttavia a fare passi in avanti nelle relazioni italo-jugoslave, ma prima di ricominciare, ogni dubbio ed ogni sospetto deve essere sgomberato dai nostri rapporti. Fin che credevamo che l'appoggio dato ai croati da qualche vostro centro fosse più o meno un mezzo di pressione o di mercanteggiamento con noi, non vi davamo eccessiva importanza, e potevamo anche intrattenere sinceramente la illusione che i nostri colloqui giungessero ad una utile conclusione. Questa illusione io l'ho nutrita per anni. Ma dopo quello che abbiamo, nostro malgrado, dovuto ammettere, ogni passo in avanti non è più possibile. Occorre in primo luogo che noi sappiamo se possiamo essere sicuri delle intenzioni italiane o no. Il nostro amor proprio è stato profondamente offeso quando nel '32, quasi alla vigilia di una decisione, Mussolini ci ha fatto sapere che voleva ancora riflettere, risolvere prima altre questioni, giudicare la nostra situazione interna etc. etc. E si è avuta subito dopo la rivolta della Lika che ha trovato alimento nel vostro paese. Poi nel Gennaio del corrente anno è accaduto a Zagabria quello che ora determina il processo di questi giorni.

Io. Permettetemi di essere sincero e di parlarvi a cuore aperto. Nessuno può farlo con voi più di me. Ci conosciamo ormai da sei anni, se sommiamo le ore che abbiamo passate insieme arriviamo a mettere insieme molte giornate. Ebbene io debbo anzitutto ricordarvi che fu proprio il Capo del Governo, appena salito al potere, che nel '22 perseguì quella politica di amicizia che nel. '24 sboccò nel Patto di Amicizia. Se nel '28 il patto morì di inedia non fu davvero colpa dell'Italia. Qualsiasi esame spassionato della situazione svoltasi in quegli anni non può portare ad alcuna altra conclusione. Della lealtà sua e della sua volontà di creare fra l'Italia e la Jugoslavia un unico solido blocco, Mussolini ha dato in quegli anni infinite indiscutibili prove. Perché trascurare gli a-ppoggi da voi dati in Albama ad elementi decisamente ostili all'Italia? Perché non ricordare che la agitazione terroristica della Oriuna che ha

fatto tante vittime e tanti danni, si è iniziata proprio alla fine del '24 ed ha avuto

l'ultimo suo tragico atto nel settembre 1931? perché non tenere presente una vostra

agitazione irredentista che dura tuttora? Tuttavia le profferte e le offerte di Mus

solini a voi non sono più mancate, e neanche le trattative per una utile conclusione

dei nostri rapporti. Ma la Jugoslavia è una parte della nostra politica, non tutta.

Non si può pretendere a Belgrado che si debba solo in primo luogo ed unicamente

pensare alla Jugoslavia. Vi sono nostri maggiori e preminenti interessi che occorre

anzitutto assestare, posponendo la sistemazione di quelli che in un determinato mo

mento e guardati da Roma possono sembrare, anche se la opinione di Belgrado è

diversa, non urgentissimi, e possono non soffrire anche se la soluzione si rinvii.

Quanto al processo di cui ora mi parlate e che riempie di sé molte colonne dei

vostri giornali, permettetemi di parlarvi con sincerità ancora più schietta. Anzitutto

quanto io leggo mi pare una graziosa favola, non una realtà. E non sono abituato

a ragionare che su quanto stimo vero. Ma in ogni caso debbo francamente dolermi

che mentre molti dei dettagli, secondo me inventati dall'Oreb, avete detto a vari miei

colleghi stranieri, a me, malgrado precise promesse, proprio vostre e ripetutemi da

Antich (Ministro di Corte) nulla è stato rimesso di indiscutibile. Cioè non sono stati

dati quegli elementi meno vaghi e meno incerti che potevano permettere delle inda

gini per giudicare fino a qual punto poteva esservi un briciolo di verità nelle fanta

stiche invenzioni di Oreb. Non è stato fatto e ciò è mancanza ad una promessa, e

scusatemi, una scarsa lealtà.

Quanto poi alla validità delle dichiarazioni e dell'atto di accusa non prendete

quello che io dirò come mancanza di rispetto e di considerazione per la vostra magi

stratura, che io giudico altissima. Ma vi è un fatto inoppugnabile che non posso

cacciare dalla mia mente. In questo momento si trova nelle vostre carceri in attesa

di condanna per spionaggio un cittadino italiano, certo Masten. A leggere il suo

atto di accusa si trae la convinzione che il Consolato di Lubiana è un nido di spioni,

che i funzionari di quel nostro Ufficio non fanno che servizio spionistico. Il Masten

dichiara cioè di avere rimesso a determinate e specificate date delle informazioni

militari agli impiega:ti Ricci ed Essant. A parte la singolarità del caso che del Ricci

a me non era mai stato parlato ma bensì dell'Essant debbo notare che questo nome

è ora soltanto venuto fuori dopo che avevo provato che le date alle quali il Masten

avrebbe fornito informazioni militari all'Essant non potevano essere vere perché l'Es

sant a quelle epoche non era a Lubiana. Allora qualcheduno ha tirato fuori il nome

di Ricci.

Ebbene. Io, proprio io, con tutto il daffare che ho, ho fatto venire a Belgrado tanto il Ricci che l'Essant uno dopo l'altro, in modo che non potessero conoscere i rispettivi interrogatori. Li ho interrogati io stesso più volte e per varie ore, con ogni possibile minaccia. In primo luogo neanche al Ricci il Masten aveva potuto fornire alcunché perché il Ricci aveva messo piede in Jugoslavia per la prima volta alla fine di Aprile 1933. Poi noi potevamo documentare che il Masten era stato soltanto quattro volte in Consolato, aveva complessivamente ricevuto 800 dinari di sussidio, e gli erano · state chieste informazioni su cittadini italiani dimoranti a Kranj, il che è nel nostro pieno diritto. Tutto quanto [aveva detto] il Masten di scuole di spionaggio a Trieste etc. etc., non era vero. Ne dovevo concludere, con mio rammarico, e senza alcuna mia intenzione offensiva, che l'atto di accusa contro Masten per quello che riguardava le informazioni militari date a funzionari del Consolato di Lubiana era falso. Ripetevo falso. E secondo ogni probabilità proprio sulla base di quell'atto di accusa il Masten verrebbe condannato fra qualche giorno ad otto o dieci anni di carcere duro!! Ora nel leggere le favole di Oreb consacrate solennemente nell'atto di accusa, e poi ora le sue deposizioni, la mia mente non poteva scacciare la impressione che avevo

ncevuto dall'atto di accusa contro il Masten.

Jeftié. Non conosco questo caso Masten.

Io. Fatevelo raccontare da Purich. Mesi or sono consegnai a Purich una serie di date perché le facesse controllare dalle autorità. jugoslave. Malgrado mia richiesta

di sapere quale risultato avevano dato i controlli, Purich non era mai stato in grado di rispondermi.

Ma sul processo Oreb dovevo ricordargli altre cose. Nel 1930 pochi giorni prima del processo che doveva avere luogo a Trieste contro gli uccisori del giornalista Neri, proprio V. E. mi incaricò di comunicare a Marinkovich che tutto quello che poteva ferire la Jugoslavia ed i suoi funzionari e specialmente lo Juricich, allora console generale a Trieste ed ora Ministro Aggiunto agli Affari Esteri, e gli altri funzionari jugoslavi era stato stralciato dall'atto di accusa, e non se ne sarebbe parlato nel dibattimento. Ciò per evitare l'aggravarsi e l'appesantirsi dell'atmosfera itala-jugoslava, per non turbare una azione di riavvicinamento che è stata sempre a cuore di V. E.

Qui a Belgrado succedeva proprio il contrario. Tutti i giornali erano pieni di dettagli inverosimili ed inaccettabili per me, ma che la pubblica opinione prendeva per oro colato. Se tale propaganda perniciosa continuasse se ne avrebbe un avvelenamento dell'opinione pubblica jugoslava assai grave, con conseguenze, che lo stesso governo jugoslavo avrebbe voluto e coscientemente, e non per migliomre quell'atmosfera come egli affermava ripetutamente.

Perché non ci erano stati forniti i dati richiesti? Egli aveva la prova che quando ci venivano dette cose precise, come nel caso Brkan il provvedimento non tardava. Egli doveva avere già saputo da Ducic che era stato disposto l'allontanamento di Brkan da Zara.

Jefté. Non potevamo fare un processo segreto, non potevamo non dare al pubblico tutto quanto sappiamo. Si tratta di un tentativo contro il Re, si tratta di mandare a morte persone che hanno voluto uccidere il Re. Non possiamo farlo senza che il nostro pubblico ne conosca a fondo tutti i motivi e le ragioni. Se si fosse trattato di uccidere me, allora non aveva importanza fare o no il processo pubblico. Ma qui si tratta di un attentato contro Re Alessandro, contro la stessa Jugoslavia. Occorre che tutti sappiano cosa è accaduto a Zagabria, e cosa si trama all'estero contro di noi, e quali complicità vi sono.

Noi siamo convinti per i primi della sincerità e lealtà di Mussolini. Ma vi sono forze a noi ostili nel vostro paese contro le quali ci dobbiamo difendere. Uno dei modi è quello di far sapere in modo preciso quale sorte attende i pazzi fanatici gli stolti che cadono nelle nostre mani. Dobbiamo dare un esempio ammonitore. E speriamo che con questo tutto abbia un termine. Se no, continueremo a difenderci seriamente, consciamente, decisamente e prenderemo altre misure.

Anche noi abbiamo in Jugoslavia una agitazione irredentista contro di voi. Appena stabilito il governo dittatoriale abbiamo voluto porvi un freno perché col pretesto del patriottismo vi sono individui che reclamano una libertà della quale poi usano a nostro stesso danno, e noi possiamo trovarci in complicazioni e responsabilità non desiderate. Vogliamo noi dirigere la politica, non essere forzati a seguire quella che altri vogliono. Non dico che tutto sia stato fatto subito, e che tutto sia fatto anche oggi per evitare di trovarci a sorprese non desiderate. Ma abbiamo voluto farlo. Tuttavia vedete come ciò nonostante ogni tanto vi sono dei Ciok che fanno o dicono od agiscono in modo da noi non voluto. Se fossimo entrati in altra atmosfem, vi accerto che nessuno di questi avrebbe potuto più parlare. Era la ferma decisione del Re, che aveva voluto un accordo con voi come non aveva mai voluto altra cosa, e che lo avrebbe perseguito fino all'estremo come forse non avete mai creduto.

Perciò il suo disappunto è stato massimo nel settembre 1932, poi la sua irritazione adesso è andata al colmo.

Noi abbiamo fiducia in Mussolini e crediamo alle sue parole ed alle sue intenzioni, ma occorre anche che una certa attività a noi ostile finisca, se vogliamo iniziare un'altra vita.

Apprezzo molto le parole di Mussolini sul nostro paese. Se non vi fosse ora questo processo vorrei rispondervi.

Io. (interrompendo). Ma allora perché lo fate con tanto inutile scalpore?

Je/tié. Vi ho detto perché dobbiamo farlo pubblicamente. Non possiamo evitarlo.

Vorrei rispondere. Ma non so se potrò al Senato dove fra qualche giorno nella discussione generale riparlerò sulla politica estera. Gli accordi di Roma abbiamo atteso con riserva, ma senza preconcetti. Non me ne sono fatto ancora un'idea precisa, e voglio attendere gli sviluppi politici.

Se i politici mirano al consolidamento della pace ed alla tranquillità del centro Europa, non posso esservi che favorevole. Quanto agli economici, che secondo le vostre stesse comunicazioni ufficiali, saranno perfezionati in nuovi prossimi incontri, non posSo pronunciarmi fin che non sia ben chiaro se essi ledono o no nostri interessi o si oppongono a patti convenzionali in atto, e se sono suscettibili di estensione anche a noi. Prima di avere questa certezza non posso esprimere nessuna opinione. Forse prima dell'eventuale mio discorso al Senato potrò avere una opinione più precisa.

Io. La portata ed il valore degli accordi sono ben chiari. Basti confrontare preambolo e giustificativo di essi in confronto con altri accordi similari, per esempio il vostro della Piccola Intesa. Non mi pare del resto che in Cecoslovacchia essi abbiano avuto accoglienza sf,avorevole. E 1a posizione politica vostm è analoga a quella della Cecoslovacchia. Quanto all'essenza ed al meccanismo deg1li economici essa è ben nota, e la accessione ad essi possibHissima. Del resto le basi teoriche furono da noi enunciate a Stresa, sono contenute nel memorandum danubiano. Non vi possono [essere] quindi come non vi sono sorprese e conseguenze inaccettabili ed in opposizione ad accordi esistenti ed in vigore. Il concetto informatore dei protocolli di Roma è « cooperazione».

S. E. Aloisi disse ben chiaro a Ducich prima dell'incontro di Roma quali fossero le nostre finalità e quale il possibile sviluppo primo riguardo alla Jugoslavia.

Jeftich. Si è vero. Ducich ci ha fatto questa comunicazione. Ma essa era del tutto generica, e credevamo ne sarebbero venute di più precise e determinate.

Io. Anche se non vengano di qui ed allora, non credo questo sia un motivo per impedirvi di rispondere a S. E. Mussolini al Senato in quel modo che Voi giudicherete più opportuno e consigliabile.

Jeftié. Si, vedrò. Ma occorre che la attività di certi circoli a noi ostili cessi e che Mussolini intervenga col suo potere per troncarla una volta per semprE>

(l) -Taluno arriva a precisare un programma, certamente corrispondente alla sistematicità germanica ed in ogni caso degno di riflessione e che esso sarebbe su questa linea: Grande Germania, soddisfazione al revisionismo ungherese sopratutto a danno della Cecoslovacchia ma anche contro la Jugoslavia che però troverebbe un suo compenso nell'appoggio alla direttiva Grande Jugoslavia.

(2) T. 1140/45 R., non pubblicato: preannunciava il presente rapporto.

(l) Voglio fare notare che non vi è contraddizione con quanto affermato altrove. La intanglbilità territoriale jugoslava non è (Vedi dichiarazione di Srskich a me nel Giugno 1933) incompatibilità, in determinate condizioni con rettifiche di frontiera. Ma solo, naturalmente in determinate condizioni e contro compensi. [Nota del documento].

30

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1173/113 R. Berlino, 25 marzo 1934, ore 13,38 (per. ore 16,40).

Ho avuto iersera occasione di parlare del disarmo con von Biilow e con il generale von Blomberg contemporaneamente.

Il primo disse che per quanto la cosa possa apparire sorprendente dopo la risposta le notizie giunte al ministero degli affari esteri del Reich... (l) una atmosfera di fiducia.

A suo parere si dovevano ad ogni modo considerare terminate trattative sulla base del progetto inglese. Rimaneva però possibilità discutere sopra quello italiano.

Ho osservato da parte mia che il sistema di trattare questione disarmo a mezzo di note era fallito ed ho ricordato che durante i negoziati per conclusione patto a quattro V. E. aveva più volte fatto rilevare al cancelliere che se si fossero trattati i problemi politici intorno a un tavolo in quattro si sarebbe verificato l'accordo di tre contro uno. Non vi era dubbio che sarebbe stato più facile esercitare una pressione sul quarto agendo in tre di presenza, che lasciando a questo quarto il tempo di redigere note. Trovai consenzienti entrambi i miei interlocutori e sopratutto von Blomberg che ricordò di essere stato presente alle conversazioni e dichiarò che aveva subito riconosciuta la saggia opportunità della proposta di V. E.

(l) Gruppo 1ndecifrato.

31

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1200/054 R. Vienna, 26 marzo 1934 (per. il 28).

Cancelliere mi ha dato comunicazione di due interessanti rapporti dell'incaricato di affari austriaco a Berlino.

Essi riferiscono le informazioni che il predetto funzionario ha raccolte dal ministro di Cecoslavacchia e dall'incaricato di affari jugoslavo in Berlino, circa un colloquio che avrebbe avuto luogo, prima del convegno di Roma, fra Hitler ed il ministro di Jugoslavia Balugic.

Il ministro cecoslovacco a Berlino Signor Mastny, dopo aver ammesso che erano corsi sondaggi « ufficiosi ed occasionali » per un accordo ceco-tedesco (fra l'altro un'apertura fattagli dal ministro dell'economia nazionale, Schmidt, circa l'opportunità di un tal patto, «anche dal punto di vista ottico») aveva dichiarato che il colloquio Hitler-Balugic era avvenuto per espresso desiderio del signor Hitler, il quale sino ad allora non aveva mai ricevuto detto diplomatico jugoslavo, ed alla presenza del ministro Neurath. Il signor Hitler avrebbe, essenzialmente, fatto presente al Balugic:

a) -essere suo desiderio di approfondire le relazioni tra la Germania e la Jugoslavia, innanzi tutto sul terreno economico;

b) -parergli esistere un parallelismo di interessi fra la Germania e la Jugoslavia circa la questione degli Asburgo, e cioè nel senso di evitare la restaurazione.

La versione che dello stesso colloquio ha dato l'incaricato di affari jugoslavo è in genere analoga. Infatti, secondo questi il cancelliere aveva a lungo intrattenuto il rappresentante jugoslavo circa l'atteggiamento italiano nei riguardi della questione austriaca, escludendo che la Germania si proponesse «immediati successi» a danno dell'Austria, e ciò anche per la situazione «gravissima» in cui il Reich, in tale ipotesi, verrebbe a trovarsi, ed aggiungendo:

-che mentre si cerca di allontanare dall'Austria ogni influenza tedesca, l'Italia non solo cercherebbe di esercitarla per suo conto, ma anzi comanderebbe in tale paese;

-che l'Italia vuole essere la padrona assoluta del bacino danubiano, ciò che la Germania non permetterebbe mai;

-che l'allora imminente convegno di Roma gli pareva molto sospetto, ma che il Governo tedesco non aveva alcuna prevenzione al riguardo, sicuro che alcunché di effettivo e di permanente non potrebbe essere conseguito in Europa orientale senza il diretto intervento della Germania;

-che gli Asburgo sono stati i veri autori della guerra e della teoria del « Drang nach Osten ». Teoria questa che è nettamente respinta dall'attuale Germania, la quale, a riprova, è pronta a concludere con Belgrado e con Praga patti dello stesso tipo di quello concluso di recente con la Polonia.

32

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1201/3046/018 R. Budapest, 26 marzo 1934 (per. il 28).

Mio telegramma n. 62 in data 22 corrente (1).

l) -Nel confermarmi stamane che l'atteggiamento ungherese, di fronte all'offerta cecoslovacca di riprendere i negoziati per un trattato di commercio, era esattamente quello del comunicato ufficiale, il presidente Goemboes mi ha detto: «Non abbiamo fretta; ma ho ugualmente disposto perché si cominci ad esaminare quali potranno essere al riguardo le richieste da formulare a suo tempo da parte nostra, in armonia con gli accordi conclusi e da concludere a Roma.

Quanto all'intonazione generale dell'Exposé Benes, non ho davvero molto da dire. Ho l'impressione che Benes sia in ribasso. È un manovratore furbo e nulla più; un po' alla volta, dei suoi vecchi protettori non gli dà più retta nessuno».

2) -Il signor de Kanya mi ha detto stamane da parte sua che questo ministro di Francia si era affrettato ad informarlo che la proposta di riprendere i negoziati per un trattato di commercio con l'Ungheria era stata suggerita a Praga dal Quai d'Orsay. A questo ministro di Cecoslovacchia, che era venuto a comunicargliela, egli Kanya aveva risposto che il Governo ungherese accettava di buon grado l'offerta di negoziati commerciali, sebbene non avesse soverchia speranza di notevoli risultati, data la situazione che la Cecoslovacchia aveva finito col creare ai propri scambi. Aveva inoltre precisato al signor Kobr

che nessuna condizione d'ordine politico avrebbe beninteso dovuto essere avanzata a tale proposito e in tale occasione, in particolare per quanto concerne le aspirazioni revisionistiche ungheresi.

3) -Dai miei ultimi telegrammi Stefani V. E. potrà rilevare la concordanza di vedute che, su questa questione, esiste tra Governo e opinione pubblica ungherese, con quelle sfumature che sono naturale espressione dei diversi indirizzi di uomini politici, partiti e giornali. Così, mentre da parte della maggioranza il mutato tono di Benes è considerato conseguenza diretta se non esclusiva degli accordi di Roma che hanno rafforzato la posizione politica ed economica dell'Ungheria, da parte di certa opposizione è stato dato rilievo alla pressione francese su Praga, che tuttavia si sarebbe svolta, anche per riconoscimento di questa stessa corrente, sulle linee di Roma.

(l) T. 1136/62 R., non pubblicato.

33

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1234/056 R. Vienna, 26 marzo 1934 (per. il 31).

Dopo circa due mesi di assoluto riserbo è venuto stamani improvvisamente a vedermi l'ex ministro Jakoncig, noto per i suoi assidui contatti con i nazionalsocialisti e con Berlino. Mi ha infatti detto di essere di ritorno da quest'ultima capitale, dove aveva visto «molte personalità» traendone la sicura impressione che colà si voglia ormai «una détente con l'Austria», una «liquidazione del passato», sotto il diretto patrocinio dell'Italia. Ha anzi precisato: « Non può essere infatti che l'Italia a raccogliere intorno ad un tappeto verde le due parti » (l).

Ho chiesto al mio interlocutore a che cosa egli precisamente alludesse. Mi ha risposto che se da una parte non v'è dubbio, come del resto lo impone la situazione prodottasi in Austria, che la Germania riconosce ora in modo assoluto !"indipendenza di questo paese, d'altra parte vi sono problemi minori che occorrerebbe chiarire: ad esempio la possibilità che gli emblemi nazisti -come la croce uncinata -vengano consentiti in Austria; l'abolizione della tassa turistica tedesca; lo scioglimento dei campi di concentramento in Austria e del Kampfring in Germania.

L'ex ministro si è poi diffuso a parlare della sommossa rossa; dell'errato atteggiamento assunto dalla stampa tedesca in quella occasione; della perfetta concordia manifestatasi nelle giornate rosse fra l'esercito, la polizia e le altre organizzazioni militarizzate austriache; delle doti del Dollfuss e del suo attuale prestigio. A tale ultimo riguardo il mio interlocutore -e come di passaggio ha trovato modo di accennare con malcelato senso di critica al rifiuto sempre

t. -3143 P.R. del 3 aprile.

opposto dal cancelliere ad ogni idea di consultazione elettorale o plebiscitaria; affrettandosi però subito a rettificare il suo accenno, sostenendo che l'osservazione gli era stata semplicemente suggerita dal magnifico risultato della consultazione italiana. Cionondimeno la mia impressione è stata che i nazisti vogliono tuttora insistere sul punto di una necessaria consultazione elettorale.

Per ultimo il signor Jakoncig, verso il quale io uso sempre il maggiore riserbo, mi ha annunziato che subito dopo le ferie pasquali sarà di ritorno a Vienna e che si farà premura di venirmi a vedere.

(l) -Annotazione a margine di Aloisi: «Il Capo dice tenere il massimo· riserbo perché è un individuo equivoco». Istruzioni in questo senso furono inviate da Aloisi a Preziosi con
34

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1235/057 R. Vienna, 26 marzo 1934 (per. il 31).

Parlando oggi con Starhemberg, il discorso è caduto sulle sue recenti dichiarazioni ai giornalisti anglo-americani (mio teleposta n. 620 del 22 corr.) (l). Mi ha detto che esse sono state travisate dalla stampa estera ed anche da alcuni fogli austriaci: desiderava quindi chiarire il suo pensiero.

Circa il legittimismo, egli si era limitato a ripetere quanto aveva sempre dichiarato: e cioè di non ritenere attuale la cosi detta questione absburgica; di essere favorevole al ritorno in Austria dell'ex famiglia imperiale ed alla restituzione dei suoi beni privati; di essere infine di sentimenti monarchici.

Starhemberg si è quindi diffuso sui motivi per i quali è in principio favorev-ole al rimpatrio degli Absburgo. Egli ritiene che lasciare all'estero, e cioè alla balia di pressioni ed allettamenti di interessati Stati esteri (~a detto risultargli che tanto da parte della Francia quanto della Germania -ha specificato il Kronprinz -non si tralascerebbe di tenersi in contatto con l'Arciduca Otto) sia un errore; e che questo errore potrebbe divenire assai grave allorché, fra qualche anno, l'assillo economico potrà riaprire la questione austriaca. Invece, una volta tornati in Austria, gli Absburgo perderebbero l'aureola dell'esilio e diverrebbero dei pacifici cittadini, su cui sarebbe facile esercitare un'opportuna sorveglianza. Cosicché, a suo modo di vedere, l'eventuale ritorno degli Absburgo non solo non significherebbe alcunché nei rispetti della questione della restaurazione, ma potrebbe anche ovviare ai pericoli dianzi specificati. Starhemberg si è però subito affrettato ad aggiungere, appoggiando con evidente intenzione sulle sue parole, che egli non avrebbe intrapreso alcunché di concreto nei riguardi dell'eventuale rimpatrio degli Absburgo, senza prima essersi messo d'accordo con V. E. Del pari egli riteneva opportuna una visita dell'arciduca Otto a V. E. ed anzi egli erasi già espresso in tal senso con l'arciduca, in un colloquio avvenuto qualche tempo fa nel Belgio (2).

Circa il problema israelitico, nelle sue dichiarazioni ai predetti giornalisti, egli erasi limitato ad osservazioni generiche. Aveva detto ritenere del tutto errata una politica di violenza o di esagerata severità, giacché essa non potrebbe che essere -come del resto sempre è avvenuto -del tutto temporanea, e pertanto di scarsa efficienza. Invece l'essenziale sarebbe di mettere le masse ebraiche di fronte al dilemma di uniformarsi interamente alle leggi dello Stato,

o di lasciar il paese: e ciò a mezzo di una provvida e comprensiva legislazione.

Circa infine la frase attribuitagli di esser egli favorevole ad un regime democratico, a lui pareva del tutto superfluo chiarire che la frase era inventata di sana pianta. Probabilmente era dovuta alla errata interpretazione delle sue osservazioni circa le grandissime benemerenze del fascismo nelle questioni sociali ed in genere verso il popolo.

(l) -Non pubblicato. (2) -Preziosi precisò il pensiero del Governo austriaco circa la questione del !egitt!mismo nel t. per corriere 1507/704 P.R. del 23 aprile, comunicando tra l'altro che era <<!ungi dal Governo federale l'intenzione di reintegrare la casa di Asburgo nei suoi antichi diritti, aprendo così la via alla restaurazione monarchica » e che le disposizioni sulla casa d'Asburgo, dichiarate in passato leggi costituzionali, non sarebbero state incluse nella nuova costituzione tra le leggi aventi carattere costituzionale.
35

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1237/059 R. Vienna, 26 marzo 1934 (per. il 31).

Mio telegramma n. 140 (1).

Cancelliere mi ha detto avant'ieri che il discorso di Benes gli aveva fatto l'impressione di un'esagerata immistione nelle cose austriache. Ha soggiunto che se è vero che la Boemia è un reputato mercato di balie da latte, l'Austria non ha bisogno alcuno di una siffatta prestazione, essendo essa completamente maggiorenne, soggetto e non oggetto di politica estera, e pienamente consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri di Stato indipendente. Di talché egli non

sapeva spiegarsi l'insistenza con cui il signor Benes si era intrattenuto sull'Austria, d'una «questione austriaca» tuttora aperta, ecc.

D'altra parte mi risulta che il segretario generale del Ballplatz si è espresso in modo analogo con questo ministro di Cecoslovacchia, il quale si è affrettato a riferirne al signor Benes, suggerendogli di disperdere in qualche modo l'impressione qui destata da tale discorso. E difatti il signor Benes, parlando ieri alla Camera, ha rettificato il suo precedente discorso, asserendo che se egli aveva parlato di «questione austriaca», ciò non era stato nel senso che l'indipendenza dell'Austria sia oggi in discussione, o che essa costituisca un problema, ma esclusivamente nel senso che l'avvenire dell'Austria deve essere assicurato nel miglior modo possibile. Del pari egli avrebbe fatte sue le stesse parole del cancelliere, dichiarando che l'Austria è un soggetto, e non già un oggetto, di politica internazionale. Di queste dichiarazioni del Benes il Ballplatz si è mostrato stamani meco particolarmente soddisfatto.

Sullo stesso argomento desidero riferire, sempre giusta informazioni del Ballplatz, che avendo questo ministro di Francia segnalato al Quai d'Orsay che il Governo austriaco è d'avviso che il protocollo di Ginevra non possa costi

tuire una <<magna carta» sia perché esso è connesso ad una questione meramente finanziaria e sia perché è sottoposto ad un termine di scadenza, il signor Barthou avrebbe subito replicato che il Governo francese è tuttora del parere che gli impegni presi dall'Austria in detto protocollo sono da considerarsi validi anche al di là della scadenza del prestito, cui esso protocollo riferiscesi (1).

(l) T. 1145/140 R. del 23 marzo, non pubblicato: riferiva circa le impressioni prodòtte in Austria dal discorso di Benes.

36

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 470/175. Ankara, 26 marzo 1934 (per. il 2 aprile).

In occasione del Congresso degli studenti asiatici a Roma la Turchia richiamò i suoi studenti già in viaggio dichiarandosi paese non asiatico (telegramma di V. E. n. 122 del 26 dicembre 1933) (2).

In occasione della enunciazione degli obbiettivi storici additati da V. E. al Popolo italiano, (3), la Turchia insorge proclamandosi Asia, *e quindi oggetto di una minacciosa espansione italiana* (4).

La geografia, messa a servizio degli umori politici, dice al Governo turco di negare l'Asia ovvero di affermarla a seconda che occorra per fare opera di ostruzionismo o di recisa opposizione all'Italia.

Il fatto non è attribuibile alla geografia, che rimane onestamente immutabile tra le vicende dei popoli, bensì alle premesse logiche dei rapporti tra l'Italia e la Turchia. Ora, queste premesse logiche si vanno allontanando, o meglio si rivelano lontane dalla politica iniziata a Milano, della quale la Turchia ha profittato per formare con la Grecia un blocco sud-balcanico e mediterraneo e per iniziare un moto di attrazione verso il blocco nord-balcanico, non certo a vantaggio dell'Italia.

Tutti gli sforzi da noi compiuti per rendere fecondo il seme di Milano non hanno fatto che rivelare maggiormente la loro sterilità; mentre ogni minimo atto contrario ha trovato le condizioni di sviluppo conformi a quel complesso di ragioni storiche, geografiche, religiose ed umane che formano il fondo della avversione del mondo islamico al mondo latino. Il Museo Militare di Sant'Irene a Costantinopoli è cinto da una siepe di bronzei cannoni che sono tutti, uno dopo l'altro, italiani. Questa è la Storia: un passato immenso, invariabile, inesorabile di sangue italiano e di pensiero latino, stabile, costruttivo, proiettato contro il sangue asiatico e contro il mondo islamico nomade e di

struttore. n presente è, nelle relazioni itala-turche, un breve ed incerto equilibrio tra forze naturali e forze artificiali, sulle quali -a rimettere le cose a posto

(-4) I passi tra asterischi sono stati sottolineati o segnati a margine da Mussolinl.

8 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

interviene la Storia, interprete Mussolini, per sconfessare la Politica, come spesso essa suoi fare, ed additare all'Italia gli obbiettivi dell'Asia e dell'Africa.

V. E. non poteva accompagnare la sua parola d'ordine con assicurazioni più umane di civile e pacifico significato, quando escludeva ogni idea di conquista territoriale e parlava di collaborazione. Ma per collaborare occorrono due teste bene intenzionate; ed a nulla vale la buona intenzione di una se l'altra non ne vuole sapere. Ed è questo il caso della Turchia.

*Sul fenomeno del fanatismo turco per la superiorità della propria razza e della propria civiltà, ho sempre riferito a V. E. come di cosa di cui né la scienza né gli uomini possono prendere atto seriamente *; ma la politica può essere fatta anche di aberrazioni che colpiscono la testa ed il cuore di un popolo, come una passione per la quale gli uomini si fanno ammazzare; ed allora, malgrado tutto, bisogna tenerne conto.

La razza turca è la madre di tutte le genti; la civiltà ittita ha preceduto quella egizia e quella etrusca; gli etruschi e gli altri popoli italici sono frutti di una emigrazione turanica. in occidente; la fiaccola della scienza positiva brilla sul capo del popolo turco (discorso del Gazì del 29 ottobre 1933); la frontiera della Tracia è la porta attraverso la quale la civiltà turca si è diffusa nel mondo (discorso del Ministro dell'Interno alla Grande Assemblea Nazionale, il 22 Marzo 1934); dal primo barlume umano sino alle ultime forme della tecnica, sono i turchi che hanno illuminato il mondo; Cesare, Alessandro, e Napoleone semplici attendenti di Attila (risposta del Gazi alla deputazione ungherese per la celebrazione di Attila); tutte verità assiomatiche che non occorre dimostrare. Del culto di Attila, dietro al quale non cresceva più l'erba, Ankara è certo il tempio più adatto; infatti non conosce erba intorno a sé per un raggio di trecento chilometri; il che risulta dovuto al fatto che i turchi vi si sono fermati.

Innanzi a questa missione di civiltà mondiale, l'idea della collaborazione di un popolo che ha qualche pretesa (fortunatamente non identica) ad aver dato i natali agli ordinamenti umani antichi e nuovi, non è sopportabile ai turchi. Se pure fosse possibile convincerli che gli obbiettivi storici dell'Italia non riguardano la Turchia ma il resto dell'Asia prossima o lontana, l'opposizione turca persisterebbe in principio perché è dal popolo turco e non certo dal Popolo italiano che l'Asia deve attendere una missione di civiltà.

La Turchia non è dunque disposta a mettersi da parte; del resto, ciò che essa teme è ben più grave: essa si ritiene indiscutibilmente inclusa negli obbiettivi storici dell'Italia. Questa convinzione è radicata da tempo nello Stato Maggiore turco, come V. E. conosce. Vi è di nuovo questo: * che il Governo cercava o faceva mostra di cercare di persuadere i militari del loro errore; oggi il Governo turco dichiara di non poterlo più fare e di dover dare partita vinta allo Stato Maggiore*.

L'antefatto risiede, oltre che nei cannoni di Sant'Irene, nel fatto d'arme di Prevesa del 29 settembre 1911 che iniziò la grande cacciata dei turchi dall'Europa e dall'Africa; nell'occupazione delle Isole dell'Egeo; nei negoziati di Londra del 1915, col sèguito di San Giovanni di Moriana e di Sèvres; e nella occupazione di Adalia. Anche i greci ebbero antefatti più clamorosi; ed anche i greci sono nelle Sporadi; eppure hanno potuto fondare una amicizia con la Turchia, auspice Milano. Ma tra Grecia e Italia, la differenza di fronte alla Turchia è questa: che l'Italia non è stata sconfitta come la Grecia; che l'Italia non è tremante e guardinga, come la Grecia, intorno a beni mal tolti agli altri; che l'Italia è lanciata verso l'avvenire, mentre Grecia-Turchia godono nel presente il colmo delle loro possibilità; per il che io ho dovuto a varie riprese prospettare a V. E. la inconciliabilità, per noi che vogliamo correre, di andare a braccetto con chi vuole rimanere seduto nella poltrona a bracciuoli; e la inevitabilità dell'accostamento turco ai guardiani del quieto vivere, avversi ad ogni idea di movimento.

Questo atteggiamento generico che la Turchia avrebbe preso in ogni caso, a prescindere da speciali ragioni contro l'Italia, diviene specifico e preciso -come è naturale -sotto l'incubo di una minaccia italiana, a cui tutti credono come cosa rientrante nella corrente naturale della Storia.

L'esplosione anti-italiana a cui la stampa turca si è data con impeto dopo il discorso di V. E. denota in quale terreno ci troviamo: uno di quei terreni che gli agricoltori chiamano <<acidi» e nei quali la stessa opera dei fertilizzanti riescirebbe antiproduttiva perché ecciterebbe le facoltà negative del suolo. Un terreno dove il seme della fiducia non attacca, mentre vi prospera quello dei sospetti e delle paure.

Io credo che non rientra nelle umane possibilità di definire se lo Stato Maggiore turco abbia torto o ragione: dato l'obbiettivo, le vie per le quali le generazioni di domani potranno raggiungerlo, sono infinite; esse non escludono l'evento che lo Stato Maggiore turco teme; dirò anzi che basta il suo timore per creare l'evento, del quale i nostri figli debbono essere sin da ora informati dai loro genitori, onde possano affrontarlo con spirito adeguato.

Per il che mi sembra di poter dire che, data la situazione, la enunciazione degli obbiettivi non ha creato un malessere tra noi e la Turchia ma lo ha semplicemente rivelato, dando una chiarificazione alla natura dei nostri rapporti con questo Paese. Le difficoltà giornaliere, già grandi, saranno accresciute, ma si rafforza il prestigio dell'Italia attraverso il grande fattore politico del «timore che si incute »; il che sta molto al di sopra delle contumelie e delle volgarità che si leggono nei giornali.

La cronaca delle «esplosioni » deve dare il primo posto al consueto personaggio del Ministro degli Esteri, il quale all'indomani del discorso (che, come poi ho saputo era stato ascoltato alla radio da lui e dal Gazi) diceva di non .1vere ben capito il brano relativo all'Asia ed alle «distanze chilometriche» dall'Italia; forse dovendosi trattare di una trasmissione non chiara.

Successivamente egli, senza avere con me alcuna spiegazione, manifestava una viva irritazione ed una preoccupazione notevole verso l'Ambasciatore di Russia ed i Ministri di Austria, Ungheria e Bulgaria, che me ne informavano, zonsigliandomi di andare a rassicurare il signor Tewfik Rustu. Ho risposto ai miei colleghi che sarebbe grottesco da parte mia dare una interpretazione di mia iniziativa alle parole di V. E.; che del resto avevo provato tante volte a diradare i sospetti congeniti del Governo turco senza raccoglierne alcun frutto; che si trattava quindi di un maie preesistente; che se Tewfik Rustu me ne avesse parlato (cosa che finora non ha fatto) gli avrei semplicemente risposto che non vedevo di che egli potesse allarmarsi dato che il suo Governo aveva ufficialmente notificato all'Italia che la Turchia si considera fuori dell'Asia.

*Al Ministro d'Austria il signor Tewfik Rustu ha detto due cose ben gravi:

lo -Che il Governo turco si è subito messo in relazione con quello di Belgrado per prendere un atteggiamento «riservato» di fronte agli accordi itala-austro-ungheresi di Roma; evidentemente questo contatto è ricercato non tanto per quel che interessino alla Turchia gli accordi di Roma, ma per iniziare una azione di appoggio reciproco contro l'Italia.

2° -Che il Governo turco deve ora provvedere alla sua sicurezza, rinforzando il suo apparecchio militare. «Ciò farà piacere al vostro amico Benes » ha detto Tewfik Rustu « perché faremo le nostre ordinazioni in Cecoslovacchia». Ed eccoci già ai dettagli: duecento aeroplani, provvedimenti di organica ed ordinazioni varie per un complesso di 20 milioni di lire turche (185 milioni di lire italiane) all'anno; il bilancio della Difesa Nazionale portato da 50 milioni a 70 milioni di lire turche. Farò controllare l'eventuale sèguito di queste affermazioni, data la facilità di Tewfik Rustu di far mussare le misure militari. «Per conseguenza -dire il Ministro degli Esteri -dovremo chiedere un sacrificio al popolo e dovremo farlo creando nella opinione pubblica la convinzione del pericolo a cui si trova esposto il Paese».

Come si vede, il Signor Tewfik Rustu corre troppo; tuttavia, a meno che

V. E. non mi dia istruzioni in contrario, propenderei per attendere che si fermi da solo, come è probabile; concentrando invece la nostra attenzione sull'eventuale realizzazione dei propositi manifestati non soltanto nell'ordine militare, ma sopratutto nell'azione verso la Piccola Intesa *.

(l) -Nota a margine di Buti: «Sarebbe interessante studiare ad ogni buon fine la questione impregiudicatamente ». (2) -Non pubblicato nel vol. XIV serie VII. (3) -Cfr. n. l, nota l.
37

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1268/640. Vienna, 26 marzo 1934 (per. il 28).

Mio telegramma per corriere n. 051 del 19 marzo (l) e mio rapporto riserva

tissimo n. 590 del 22 marzo (2).

Il Cancelliere mi ha detto avant'ieri che la riforma costituzionale non

potrà essere ultimata, come egli sperava, prima della Pasqua. Se difatti la

questione della nomina dei capitani provinciali e delle relazioni fra di essi

ed il governo centrale potrà essere risolta senza soverchio indugio, resta invece

tuttora sospesa quella più importante della nomina del Presidente della Repub

blica.

A tal riguardo ha soggiunto: «Qui trattasi di persone, e la cosa non è facile».

Ha quindi accennato alle sue «ottime» relazioni con Starhemberg, elogiando l'« istinto politico» del quale il «leader» delle Heimwehren andrebbe sempre più fornendo prove, nonché la sua «sincerità da gentiluomo». Quasi per connessione d'argomento ha soggiunto che il Fey faceva troppo parlar di sè («troppe riviste, troppe parate»); e che anzi egli aveva creduto opportuno di richiamare l'attenzione del Fey sul punto « che se i capitani vittoriosi hanno sempre praticato l'uso di attendere la corona d'alloro, egli -Fey -aveva inaugurato invece la pratica di impossessarsene senz'altro ».

Da parte sua Starhemberg mi ha detto oggi di essersi avant'ieri lungamente intrattenuto col Cancelliere. Essi avevano anzitutto parlato del Fey. Avevano constatato le sue ottime qualità di soldato e di condottiero; le non spiccate doti politiche; la grande sfavorevole influenza esercitata su di lui dalla grande vanità della moglie e dall'arrivismo del suo «entourage» formato esclusivamente da ebrei e da framassoni: influenze che lo avevano spinto ad assumere davanti all'opinione pubblica una posizione centrale e predominante su quelle del capo del movimento heimwehrista, e dello stesso Cancelliere.

Di poi il principe Starhemberg aveva esposto al Cancelliere la sua idea (mio telegramma per corriere sopracitato) circa l'opportunità di formare tre Ministeri distinti:

quello della Sicurezza, alla direzione del quale dovrebbe essere mantenuto il Fey; quello della Difesa Nazionale, che dovrebbe esso pure restare affidato all'attuale titolare;

e quello dei corpi militarizzati, il quale, sotto, ad esempio, il nome di , Ministero dell'Educazione Fisica» (nome scelto per ovviare ad eventuali proteste di contravvenzione al trattato di pace) dovrebbe essere affidato a lui -Starhemberg -con le funzioni di Vice-Cancelliere. (Noto che quest'ultima esigenza non mi fu accennata dallo Starhemberg nel nostro colloquio di lunedì scorso) (l).

Il Cancelliere aveva trovato l'idea molto interessante, e si era riservato di dargli una risposta quanto prima. Del pari il Cancelliere erasi dichiarato completamente d'accordo sul principio che il Fronte Patriottico debba assumere la stessa importanza e la stessa funzione che ha i.l nostro Partito Fascista nei rispetti del Regime; come pure sull'opportunità di far di tutti i Corpi militarizzati (pur !asciandoli nelle loro attuali unità e con le loro attuali denominazioni) la Milizia del Fronte Patriottico, sottoponendola all'immediata direzione dello Starhemberg, nella sua qualità di Vice-Presidente del Fronte stesso.

Per ultimo lo Starhemberg gli aveva parlato della questione della nomina del Presidente della Repubblica, dicendogli senza altro che la questione non era teorica ma pratica, e consistente nella necessità di procedere fin d'ora alla segreta designazione del futuro Presidente, al quale spetterà in definitiva

il compito di essere il patrono ed il garante del nuovo regime. Egli aveva anzi creduto necessario e leale aggiungere che i candidati non potevano essere che essi stessi: Dollfuss e Starhemberg.

Il Cancelliere gli aveva risposto essere d'accordo sul punto che i soli possibili candidati non erano che essi medesimi, ma che circa la scelta definitiva egli doveva riservarsi un più maturo esame, in relazione all'insieme delle decisioni da prendere.

Starhemberg ha soggiunto che il colloquio gli aveva confermato ancora una volta le doti del Cancelliere, e che pertanto egli si sente sicuro che ben presto si perverrà ad una soluzione del tutto corrispondente agli ideali patriottici ed alle esigenze della nuova costituzione.

Starhemberg mi ha infine detto di non aver taciuto al Fey la sfavorevole impressione prodotta dalla troppo premurosa esaltazione della di lui persona da parte degli immediati collaboratori. Fey non se ne era adombrato; ed anzi, in una recente riunione delle Heimwehren, aveva dichiarato che il posto di Vice-Cancelliere è sempre stato da lui considerato a disposizione di colui che ne ha un più giusto titolo: ossia del Fi.ihrer del movimento.

(l) -T. per corriere r. 1126/051 R., non pubbl!cato, con il quale Preziosi aveva riferito circa le apprensioni di Starhemberg per l'atteggiamento di Fey e circa il suo desiderio di mantenere le forze militari, i corpi militarizzati e la polizi,a distinti e sottoposti a tre diversi ministeri onde evitare di perdere ogni autorità effettiva sulle Heimwehren. (2) -Non rinvenuto.

(l) Con telespr. rr. 2704 del 5 aprile Suvich diede istruzioni a Preziosi di comunicare a Dollfuss la proposta di Mussolini di chiamare il terzo ministero <<dell'Educazione giovanile» anziché «dell'Educazione fisica».

38

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1197/240 R. Londra, 27 marzo 1934, ore 21,25 (per. ore 1,30 del 28).

Ho veduto oggi Simon col quale mi sono intrattenuto circa ultima nota francese sul disarmo (1). Simon mi ha confermato che documento francese non (dico non) ha fatto buona impressione in Inghilterra. Esso ha un carattere generico, un contenuto piuttosto negativo e non rappresenta comunque passo innanzi verso una qualche possibile soluzione.

Per ora Governo britannico non ha preso alcuna decisione se non quella di far presente a Henderson opportunità di rinviare riunione del Bureau, fissata per il 10 aprile, o almeno di aggiornare discussione a data che sarebbe in seguito fissata.

Governo britannico ha chiesto inoltre al Governo francese delucidazioni e schiarimenti sui limiti e portata della nota medesima, e precisamente:

1) -È Governo francese disposto a concedere un ragionevole riarmo della Germania come contropartita di un accordo sulla sicurezza?

2) -Che cosa intende in termini precisi Governo francese per garanzia alla sua sicurezza? Come V. E. vede la questione sta entrando piuttosto nel campo della metafisica del disarmo.

Simon terrà V. E. informato delle risposte che saranno date da Parigi e di quanto potrà essere fatto a seguito di esse.

Egli mi ha incaricato intanto di comunicare confidenzialmente a V. E. che almeno finora Gabinetto non ha autorizzato suoi plenipotenziari ad accettare modificazioni al programma fissato nel memorandum britannico e mi ha riferito la buona impressione riportata dal ministro Eden nella sua intervista con Hitler, le cui domande appaiono fondate su elementi di ragionevolezza e sul desiderio di un accordo.

Simon mi ha parlato quindi della politica danubiana e dei protocolli firmati a Roma. Su ciò riferisco a parte (l).

(l) Cfr. n. 21, nota l.

39

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (2)

APPUNTO. Roma, 27 marzo 1934.

L'ipotesi di una ripresa delle conversazioni con la Francia in merito ad un accordo navale, induce a fare le seguenti considerazioni:

l) N?n si può prescindere dal ricordo che fece seguito all'improvviso voltafaccia del dicembre 1933 {3) quando la Francia cambiò sostanzialmente e profondamente le basi sulle quali le discussioni si erano svolte per quattro mesi.

2) Quel gesto parve dimostrazione palese di nessuna volontà, da parte della Francia, di concludere un accordo, ispirato a concetti equi, non ammettendo l'eguaglianza di programmi per le grandi navi, vale a dire tentando di cancellare il diritto riconosciutoci a Washington nel 1921.

3) Oggi una nuova mossa di iniziativa francese deve essere esaminata con la più grande precauzione. L'Italia, il 2 gennaio 1934, presentò alla Francia un progetto di accordo (4) come controproposta all'inaccettabile progetto presentato da S. E. Chambrun.

4) Vi è il caso che la Francia presenti come suo il progetto italiano.

Tale progetto fissava:

<< L'Italia e la Francia si impegnano:

a) -a non acquistare o impostare navi di linea di dislocamento superiore a 26.500 tonn. inglesi, o armate con cannoni di calibro superiore a 330 mm.;

b) -a non acquistare o impostare, in tutte le altre categorie di navi da guerra di superficie (esclusione fatta del naviglio esente da limitazioni quale è definito dall'art. 9 del Trattato di Londra) oltre 30.000 tonn. inglesi

complessivamente, compresi residui dei programml 1932 per la Francia e 1932-33 per l'Italia;

c) -a radiare un tonnellaggio corrispondente di navi antiquate della stessa categoria e sottocategoria al momento della entrata in servizio delle unità di cui al precedente comma b) ».

Il progetto italiano, qui sopra riportato, rappresentava un compromesso, e il patto navale avrebbe dovuto iniziare la serie di accordi, a noi vantaggiosi, in altri campi, giacché il legame di non costruire navi superiori a 26.500 tonn. costituisce un gravame per la nostra marina che si può solo spiegare qualora ci si offrano compensi di ordine politico generale e compensi tangibili sulle questioni che, come V. E. ebbe recentemente a dichiarare, permangono ancora completamente insolute.

Inoltre si deve rilevare che il beneficio di limitare a 30.000 il tonnellaggio da impostarsi nelle categorie di navi da guerra di superficie, fino al 1936, diminuisce di efficacia man mano che tale data si avvicina, ed essa è già assai prossima.

L'avvenuta decisione da parte del Governo francese di impostare un secondo «Dunkerque » e la reazione che tale decisione ha prodotto in Italia hanno indubbiamente dimostrato alla Francia che era inutile illudersi di conseguire una prevalenza speculando sulle nostre possibilità finanziarie.

Fallito il tentativo, la Francia corre ai ripari. Sospende la deci&ione circa il secondo «Dunkerque » ed annuncia possibilità di nuove conversazioni. Gli avvenimenti recenti sconsigliano quindi di aprire discussioni sulle precedenti basi.

È necessario porre in speciale rilievo che, se l'Italia non impostasse al più presto una grande unità, essa si troverebbe, per un periodo di tempo, assai inferiore alla Francia, giacché il primo «Dunkerque » entrerà in servizio nel 1936 ed, eventualmente, il secondo nel 1937, mentre la nostra nave di linea, anche se impostata subito, non potrà esser pronta che entro il 1938.

L'adesione ad iniziare nuove conversazioni non deve implicare minimamente qualsiasi sospensiva nell'impostazione della nave di linea già decretata, giacché, mentre si discute, anche la costruzione del «Dunkerque » procede.

L'Italia si troverebbe con una forza navale inadeguata non solo nei riguardi della Francia, ma anche della Germania.

Il legame di limitare a 27.000 tonnellate le grandi unità della nostra flotta

rappresenta una grande rinuncia da parte dell'Italia; esso fu sempre e soltanto

ammesso qualora fosse accompagnato da una reale intesa politica fra le due

nazioni.

Come corollario a tale premessa si domandava:

a) eguaglianza di programmi, estesa a parecchi anni;

b) i programmi stessi adeguati alle nostre possibilità finanziarie;

c) armonia degli accordi navali col problema generale della limitazione

e riduzione degli armamenti e dell'interdipendenza di quelli marittimi con

quelli terrestri ed aerei..

Qualora questi vantaggi non esistessero chiari e ben precisati, sarebbe per l'Italia dannoso investire le proprie risorse in unità di 27.000 tonnellate, giacché il tipo «Dunkerque » rappresenta l'utilizzazione massima di tale tonnellaggio e sarebbe difficile, se non impossibile, ideare un'unità di eguale dislocamento che avesse una prevalenza sulle unità francesi.

Dal punto di vista militare si deve concludere che oggi non vi è interesse per l'Italia a legarsi le mani e che vi è invece vantaggio ad investire le nostre risorse in unità di maggior tonnellaggio, meglio rispondenti al concetto di nave di linea moderna capace di resistere alle offese del siluro, della mina e della bomba aerea.

Se le direttive politiche fondamentali imponessero la ripresa delle trattative, sembra sia venuto il turno per porre sul tappeto giuste condizioni. Vi è la necessità di spazzare il terreno dall'annosa e spinosa questione della disparità navale fra i due Stati.

Vi è la necessità di dichiarare che alle future conferenze l'Italia sosterrà la riduzione del tonnellaggio dei sottomarini posseduti dalla Francia ad una cifra da convenirsi con accordi fra tutte le potenze. Ciò per tenere conto delle preoccupazioni inglesi e delle riserve da noi fatte al Piano MacDonald.

Vi è la necessità di dichiarare che un accordo non avrebbe per noi valore qualora non contemplasse il concetto dell'eguaglianza di programmi estesa ad un numero sufficiente di anni.

Una politica navale ispirata ai suddetti concetti non ci svincola dall'esaminare le conseguenze che scaturirebbero dal punto di vista internazionale in seguito alla decisione italiana di costruire navi superiori alle 26.500 tonnellate.

Questo argomento è stato già ampliamente illustrato e si può aggiungere che, qualunque sia la risoluzione, non si va contro l'irreparabile.

Così ad esempio, se l'Italia costruisse un 35.000, e la conferenza decidesse di comune accordo di limitare il tonnellaggio futuro ad una cifra inferiore, si potrebbe convenire che tutte hanno il diritto di costruire due 35.000 e che le restanti unità devono invece essere del tonnellaggio fissato dalla conferenza.

La stessa Inghilterra possiede solo due «Rodney » da 35.000 tonnellate e non si vedono inconvenienti a limitare eventualmente a questo numero le unità di tale tonnellaggio per tutte le principali potenze.

Forti del nostro diritto e delle molteplici dimostrazioni date in passato per concludere un acco~do, che la Francia ha dimostrato di non apprezzare nel suo pieno valore, si deve ora giungere alla conclusione che il continuare senza esitazione sulla via intrapresa risponde ai supremi interessi della nostra difesa sul mare.

(l) -Cfr. n. 47. (2) -Mussolini ricopriva anche la carica di ministro della marina. (3) -Cfr. serle VII, vol. XIV. n. 508. (4) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 523.
40

APPUNTO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, BONZANI ClJ

Roma, 27 marzo 1934, ore 16,30.

Mi telefona S. E. De Bono da Palazzo Venezia, che aveva urgenza di parlarmi -lo attendessi in ufficio.

Venuto mi comunica quanto segue: S. E. il Capo del Governo ha determinato di farla finita coll'Abissinia quanto prima.

Prenderà accordi colla Francia e l'Inghilterra così da avere tranquillità in Europa e mano libera in Etiopia. Farà poi nascere il casus belli coll'Etiopia, in modo da attuare non il piano offensivo, ma quello difensivo offensivo.

In questa estate S. E. De Bono accompagnerà Sua Maestà in Somalia -al ritorno De Bono resterà in Eritrea quale governatore, e comandante delle truppe ed allora si inizierà la preparazione e a suo tempo le operazioni. La preparazione deve procedere presto: perché è sicura la tranquillità in Europa, bisogna dare quello che occorre -quello che parte per l'Eritrea sarà immediatamente rimborsato all'Esercito dal Capo del Governo --in modo che l'Esercito non perda nulla della sua efficienza. Venuto da me a prendere accordi. Detto che attendevo ordini, per conto mio non vedevo molto semplice la situazione perché è possibile che gli abissini non attacchino più in unica massa, come nel '95-'96 ora che possono disporre di ufficiali giapponesi o tedeschi o francesi, consulenti di notevole valore professionale, perché la fronte da difendere inizialmente è di 140 Km da Senafé a Tucul, io penso non sarà più larga, e perché la situazione in Europa non è tranquilla. S. E. De Bono mi ha detto di stare tranquillo perché a questo pensa il Duce; ha soggiunto che Jouvenel ha fatto proposta formale di lasciare a noi il pieno uso della ferrovia di Gibuti, il che prova le intenzioni della Francia a nostro riguardo.

Quanto ai 400-500.000 abissini, penserà l'aeronautica a diminuirne il numero, colla sua azione, e in conclusione De Bono manderà da me Orlando per precisare le richieste necessarie all'attuazione del piano difensivo offensivo, e in merito si deciderà In una riunione presieduta dal Capo del Governo a cui interverrà lui, io, Baistrocchi ecc. riunione da tenersi nel prossimo mese di Aprile, nei primi giorni.

Riferito quanto sopra a Baistrocchi nella stessa sera confermando mio parere contrario ad ogni avventura coloniale.

(l) Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

41

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1233/03 R. Bucarest, 28 marzo 1934 (per. il 31).

Le sommosse di Vienna ed il manifesto infiacchirsi, a causa degli avvenimenti di Francia, dell'attività politica del Quai d'Orsay nel settore danubiano, hanno avuto una seria influenza su questa opinione pubblica inducendola ad una anticipata rassegnazione a subire l'iniziativa di Roma.

Poiché era chiaro che né Parigi né la Piccola Intesa sarebbero riuscite a risolvere la questione politica austriaca o ad avviare ad una soluzione il problema economico dell'Europa danubiana, tanto valeva stare a guardare, con riserva, magari con diffidenza, ma non col fucile spianato, quel che Roma sarebbe riuscita a concludere.

In questi ambienti, in complesso non troppo mal disposti, mi era riuscito relativamente agevole, anche in conversazioni e contatti col ministero degli esteri, di presentare nella migliore e più accettabile veste le direttive su cui sarebbero state impostate le conversazioni di Roma.

Ho già riferito per telegramma Cl) come l'atmosfera di forzata rassegnazione che aveva fatto seguito alla notizia della conclusione degli aecordi a tre, sia stata turbata da una nuova crisi di nervi alla lettura di quella parte delle dichiarazioni di V. E. che concernono l'Ungheria. Questa crisi, espressasi per ventiquattro ore nella stampa, non ha però raggiunto il parossismo abituale in questo paese quando si profila all'orizzonte il problema della restituzione all'Ungheria sia pure di un pollice quadrato del mal tolto. Qualche articolo violento, ma anche qualche articolo grossolano, ma è poi succeduto un silenzio accurato che è indice del profondo scoraggiamento che invade questi signori tutte le volte che constatano come la voce del cantore di Parigi non sia più quella.

Pochi giorni dopo il discorso di V. E. (2) ho avuto una lunga conversazione con il sottosegretario di Stato agli Esteri, con il quale limito i miei colloqui da quando Titulescu è in viaggio o è tappato in casa per malattia, un po' vere e un po' immaginarie.

Il signor Radulescu aveva una tendenza a volere imperniare tutte le nostre conversazioni sul discorso di V. E. Gli ho fatto intendere che V. E. nel riaffermare la giustizia di certe rivendicazioni magiare non aveva modificato di una virgola il suo pensiero, che è ormai noto e che risponde alla dottrina, alla filosofia della politica estera dell'Italia e cioè che fino a quando non si sarà fatto luogo alla revisione dei trattati, l'Europa danubiana non potrà entrare in un periodo di pace veramente stabile, veramente duraturo. Nulla di nuovo quindi, e nulla di diverso nelle parole di V. E. Qualcosa di veramente nuovo c'era invece negli accordi di Roma, su cui, a mio avviso, il Governo romeno doveva portare la sua attenzione.

Spostata così la conversazione su un criterio più aperto a qualche possibilità di approcci, ho potuto constatare come il sottosegretario di Stato abbia cercato di sottolineare quelle mie parole, e di soffermarsi su tutte quelle mie affermazioni che gli sembrassero dirette ad allontanare le preoccupazioni della Romania sulle conseguenze politiche del protocollo n. l di Roma, o che comun

que lasciassero trasparire la nostra buona volontà di accettare tn futuro la collaborazione della Piccola Intesa per la soluzione dei più urgenti problemi economici dell'Europa danubiana.

Circa il protocollo n. l, ho energicamente negato che l'Italia abbia patrocinato la creazione di un blocco politico. Gli ho fatto rilevare che se di blocco politico poteva parlarsi, questo era costituito dalla Piccola Intesa, che aveva un segretariato comune, si atteggiava a superstato, reclamava il riconoscimento di «unità internazionale superiore~ aveva un direttorio, ed uno statuto. L'Italia si era invece limitata a promuovere una più intima collaborazione con l'Austria e l'Ungheria, mirando specialmente ad assicurare la completa indipendenza dell'Austria, finalità questa che costituiva, dopo tutto, un interesse primordiale anche per la stessa Piccola Intesa.

Circa gli altri due protocolli ho chiarito che tali accordi in materia economica erano un primo deciso passo per l'attuazione del piano danubiano che resta la piattaforma dell'Italia per la soluzione del problema dell'Europa centrale, piano che è stato da noi concepito anche in vista di rendere possibile la collaborazione della Piccola Intesa ad una seria politica ricostruttiva dell'Europa centrale.

Il sottosegretario di Stato durante tutto il colloquio mi ha dato l'impressione di chi si sforzasse di cercare uno spiraglio di luce nelle mie parole, ma anche di chi temesse di farsi attrarre da un miraggio forse fallace. Desiderio di collaborazione, insomma, che traspariva commisto ad un senso di istintiva diffidenza.

La verità è che in questo momento la Romania è disorientata ed avvilita. Il posto di Parigi non risponde. In quanto a quello di Praga, esso parla un linguaggio che in Romania non si capisce. Alla internazionalizzazione dell'Austria nessuno qui crede. Dopo il discorso di V. E., Titulescu, con un vivace scatto, fece annunziare che avrebbe tuonato in parlamento. Dopo quello di Benes ha fatto sapere che non parlerà più.

Egli, ritengo, non ha voluto far trasparire dalla tribuna parlamentare il profondo disaccordo che esiste tra i due buttafuori della Piccola Intesa nel campo della politica costruttiva dell'Europa centrale.

È possibile per noi, data la gravità del problema austriaco che assilla questi signori (sebbene si permettano il bluff di dire che l'Anschluss non li spaventa) e data la mancanza di un serio piano di azione da parte della Piccola Intesa [sic].

Per quanto concerne la Romania a me non sembra impossibile. Vi sono profonde diffidenze da vincere, e c'è da vincere anche la vivace irritazione di chi si è sentito troppe volte chiamare «mandarino cinese» e peggio, dalla stampa italiana. Ma la battaglia non è di quelle che conviene giudicare perdute prima ancora di iniziarla.

Anzi!

(l) -Cfr. n. 9. (2) -Cfr. n. l, nota l.
42

IL MAGGIORE RENZETTI A ... (l)

L. Berlino, 28 marzo 1934.

Trasmetto in allegato la traduzione in italiano della risposta da me data al giornale Der Deutsche (2), organo ufficiale del Fronte del Lavoro tedesco, per l'articolo del Signor Busch, pubblicato il 25 corrente sotto il titolo «Bilanz einer Studienreise nach Italien », e che ho provveduto di già a trasmettere in plico a parte.

Al contenuto dell'articolo in oggetto si poteva controreplicare in due modi:

o con poche parole di sdegnosa protesta, o dettagliatamente confutando le singole asserzioni.

Ho preferito attenermi a questo secondo sistema, che secondo le mie esperienze ha qui maggiore efficacia, redigendo in forma serena e dignitosa una risposta che meglio si presta a rimarcare la tendenziosità dell'articolista, e nel contempo a sommariamente chiarire alcuni punti concernenti la politica di governo e la saldatura del Fascismo col popolo.

Ho espressamente evitato poi di fare delle critiche al nazionalsocialismo, nonostante che la materia non mi mancasse, per non mettermi sull'antipatica linea seguita dall'articolista.

43

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 438 R. Roma, 29 marzo 1934.

Con telegramma n. 110 del 23 corr. (3) V. E. ha riferito che, a proposito del convegno di Roma, il barone von Neurath le ha tra l'altro dichiarato che il Governo del Reich, fin dal momento in cui aveva avuto comunicazione del nostro memorandum danubiano, aveva rilevato che la sua applicazione pratica avrebbe potuto ledere interessi della Germania in qualche punto, sicché doveva riservarsi di far valere eventuali sue obiezioni.

A tale riguardo credo opportuno ricordare (vedi mio telegramma per corriere n. 1747/C del 6 ottobre 1933) (4) che il signor Ritter nel ricevere a Gi

nevra il detto memorandum non solamente non fece obiezioni di sorta, ma anzi si dichiarò, verbalmente, pienamente d'accordo. L'attitudine del signor Ritter venne poi confermata da dichiarazioni fatte il 5 ottobre 1933 a questo ministero dal signor von Hassell (1).

Malgrado ciò non parmi sia il caso che V. E. faccia ora un apposito passo per rettificare la dichiarazione del barone von Neurath, tuttavia sarà opportuno che ella tenga presente la cosa per il caso che, in seguito, potesse apparire utile precisare come i fatti realmente si sono svolti.

(l) -Da ACS. Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzetti. Il destinatario non è indicato. (2) -Non pubblicata: in essa Renzetti affermava tra l'altro che «le offese contenute nello scritto verso il fascismo, il popolo italiano e, qua e là, verso il suo Duce sono infatti di tale natura da ricordare la malafede dei soliti fogli di ispirazione massonlca o demoliberale, qui definiti « EmigrantenbHitter ». (3) -Cfr. n. 23. (4) -Non pubblicato nel volume precedente.
44

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 29 marzo 1934.

Il Vice Cancelliere von Papen è venuto a vedermi (2) dopo l'udienza concessagli da V. E. (3).

Mi ha intrattenuto sulla questione della Saar, cominciando col dirmi che quanto avevo fatto nell'esercizio delle mie funzioni di Presidente del Comitato del Tre era stato accolto con soddisfazione dal Governo tedesco.

Ha tenuto ad assicurarmi che il Paese è tranquillo. Mi ha detto a questo proposito che ha indotto Hitler a sopprimere nel territorio della Saar il partito nazionalsocialista sostituendolo col Deutsch Front e che riteneva di aver così garantito la tranquillità del Paese in modo di non rendere necessaria la presenza di truppe straniere al momento del plebiscito.

Ho replicato che la costituzione del Deutsch Front e l'azione che stava svolgendo, lungi dal rasserenare l'atmosfera, aveva invece sollevato una serie di incidenti determinando una situazione su cui la commissione di Governo della Saar aveva creduto di dover attirare l'attenzione della Società delle Nazioni e quindi del Comitato dei Tre da me presieduto.

Ho proseguito osservando che, dato l'attuale stato degli animi, vi era da dubitare dell'efficacia, ai fini della pacificazione locale, di provvedimenti consistenti in una trasformazione del partito nazista, come di qualsiasi altra azione limitata agli elementi locali in contrasto, e che inevitabilmente gli incidenti che potessero derivarne avrebbero messo la Commissione di Govèrno e la Società delle Nazioni e quindi il Comitato dei Tre davanti al problema di costi

Sarebbe desiderio dell'Ambasciata che i giornali italiani non parlassero di tale viaggio. Il Signor von Papen ha chiesto di vedere il Barone Aloisi >>.

tuire una forza internazionale destinata ad aiutare la polizia locale che sembrava alla Commissione di Governo assolutamente insufficiente.

Rendendomi conto d'altra parte che la risoluzione del problema dell'istituzione di una forza internazionale incontra allo stato attuale delle cose serie difficoltà e che, quando anche queste fossero superate, l'impiego della forza internazionale nel territorio della Saar darebbe luogo ad altre difficoltà per cui rischierebbe di mancare al suo scopo, mi sono persuaso che la soluzione del problema del plebiscito debba essere cercata con un metodo diverso e su un altro terreno, su quello cioè delle relazioni franco-tedesche, in modo da determinare nel territorio della Saar una situazione di calma e di reciproca fiducia fra gli elementi locali, che permetta il regolare svolgimento delle operazioni del plebiscito. In questo ordine di idee ho chiesto a Von Papen se egli credeva possibile che i Governi tedesco e francese giungano a una intesa sulle basi seguenti:

l) il Governo tedesco dovrebbe impegnarsi a dare istruzioni alle organizzazioni naziste o filo-naziste della Saar di rinunziare a qualsiasi mezzo violento;

2) i due Governi successori presuntivi del territorio dovrebbero spontaneamente e simultaneamente, con pubblica dichiarazione, impegnarsi a rispettare i beni, le persone e le attività legittime dei votanti, qualunque sia il loro voto.

Ho detto a Von Papen che, a mio parere, questa duplice dichiarazione fatta spontaneamente a Parigi e a Berlino non mancherebbe di avere una influenza pacificatrice nel territorio della Saar determinando una détente che permetterebbe di svolgere il plebiscito in condizioni normali. La Commissione dei Tre verrebbe allora liberata dal compito ingrato, ma che in diverse condizioni potrebbe rendersi necessario, di prendere delle misure irritanti.

Von Papen ha accolto con molto favore la mia idea e mi ha detto che ne riferirebbe subito a Hitler.

Nel mio pensiero il metodo che ho suggerito a von Papen per la soluzione del problema del plebiscito, metodo che localmente avrebbe certo effetti sensibili, sarebbe destinato a inserire l'azione italiana, attraverso il Comitato dei Tre e l'azione del suo presidente, in qualsiasi trattativa che dovesse svolgersi fra Berlino e Parigi per la risoluzione delle complesse questioni politiche ed economiche che sono connesse alla definitiva sistemazione del territorio della Saar.

Come è stato già più volte segnalato, una intesa diretta fra Germania e Francia su tali questioni è tutt'altro che improbabile. Von Papen vi è personalmente favorevole e me lo ha confermato. Il Comitato dei Tre, avendone noi la presidenza, ci dà modo di interferire e di influire nello sviluppo delle trattative franco-tedesche per la Saar. Von Papen, infatti, non solo ha accolto il mio suggerimento, ma ha accennato alla possibilità e all'utilità di servirsi del Comitato dei Tre per raggiungere, successivamente all'impegno di massima che dovrebbe essere consacrato dalla dichiarazione, una intesa franco-tedesca concreta e precisa sui vari aspetti del problema della Saar, intesa che dovrebbe costituire la base stessa del plebiscito.

Mi astengo naturalmente per ora da qualsiasi comunicazione al Governo francese come dal dare qualsiasi sviluppo all'idea enunciata nella mia conversazione con Von Papen, in attesa di conoscere se V. E. la approvi e mi autorizzi a studiarne le modalità di attuazione.

(l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 252. (2) -Cfr. il seguente appunto min!steriale del 27 marzo: «L'Amt:asciata di Germania informa che nella giornata di giovedì prossimo sarà di passaggio da Roma, in forma strettamente privata il Vice Cancelliere del Reich, Signor von Papen.

(3) Non si è rinvenuto il verbale di tale colloquio. Per li suo contenuto cfr. Akten, n, 2. pp. 673-674 e ALOISI, Journal, p. 185.

45

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DEL BELGIO A ROMA, LIGNE

APPUNTO. Roma, 29 marzo 1934.

Ha parlato dell'ultima visita di Barthou a Bruxelles, facendo rilevare che essa non ha alterato in nulla le disposizioni del suo Governo di fronte al disarmo. Esse restano quelle rivelate dal recente discorso di Brocqueville che, come si sa, era stato preparato di concerto con Re Alberto.

L'Ambasciatore spera quindi che la Francia, che già comincia a sentirsi isolata sia per l'allontanamento della Polonia, sia per il distacco del Belgio nella questione del disarmo e sia per l'intepidirsi della Piccola Intesa, scossa nella sua politica danubiana, finirà per dichiararsi pel Memorandum italiano, l'unico che egli crede corrisponda alle reali necessità del momento.

Gli ho chiesto di spiegarmi come mai buona parte della stampa belga, e specialmente quella di lingua francese, si dimostra in contrasto con le direttive esposte da Brocqueville. Ha riconosciuto l'esistenza di questo contrasto e mi ha detto che la stampa belga di lingua francese è direttamente sovvenzionata da Parigi.

46

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO ALOISI, E IL MINISTRO DI GRECIA A ROMA, METAXAS

APPUNTO. Roma, 29 marzo 1934.

Il Ministro di Grecia è venuto a comunicare da parte del suo Governo la penosa impressione per la mancata partecipazione del Ministro d'Italia ad un Te Deum per la festa nazionale greca il 25 marzo.

Ho detto che non ero al corrente dell'affare e che gli avrei dato una risposta.

Il Ministro di Grecia ha poi proseguito mettendomi al corrente della penosa impressione prodotta dall'intervista del Ministro Cora a proposito del Patto Balcanico.

Gli ho detto che, pur non potendo esattamente rispondergli su alcuni termini dell'intervista, che mi riservavo di esaminare, essa mi pareva opportuna e necessa;:ia perché egli certamente era al corrente dell'impressione che aveva sollevato in Italia il Patto Balcanico.

Il Signor Metaxas ha continuato a lamentarsi perché il Ministro Cora aveva pregato un Ministro turco di passaggio a Sofia perché il Governo turco facesse pressioni sul Governo greco affinché questi si decidesse a concedere alla Bulgaria uno sbocco nell'Egeo.

Ho risposto al Signor Metaxas che a noi finora non risultava nulla circa tale iniziativa del Ministro Cora, che me ne sarei informato, ma che potevo subito dirgli che il R. Governo non aveva preso alcuna posizione su tale questione.

Per l'incidente di Atene si è provveduto subito a telegrafare al Ministro in Atene per avere spiegazioni (1).

47

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1224/246 R. Londra, 30 marzo 1934, ore 1,32 (per. ore 9).

Nel corso della conversazione di ieri Simon, dopo avermi detto di aver esaminato con molto interesse e attenzione testi protocolli di Roma, mi ha pregato volergli chiarire alcuni aspetti del loro contenuto politico e possibilmente comunicargli qualche elemento concreto sulla portata tecnica degli ulteriori accordi che sono ora in corso di negoziazione.

Simon ha aggiunto che alla Camera dei Comuni egli è stato oggetto di precise domande su questo punto ed egli desidererebbe poter esser in grado di rispondere in modo meno evasivo di quanto ha dovuto fare finora.

Ho detto a Simon che avrei domandato a V. E. notizie che egli desidera ma che poteva essere certo fin da ora che il Governo fascista lo avrebbe tenuto al corrente degli ulteriori svolgimenti previsti dai protocolli di Roma.

Ho quindi ancora una volta illustrato a Simon, sulla base degli elementi fornitimi dall'E. V., contenuto e significato protocolli di Roma. Questi rappresentano senza dubbio l'avvenimento più importante e chiarificatore nella politica danubiana di questi ultimi anni.

Al programma d'assorbimento dell'Austria organizzato dalla Germania ed a quello non meno ambizioso accarezzato dalla Piccola Intesa, Duce ha contrapposto un programma d'azione che è il solo efficace e possibile perché ha contenuto realistico e tiene nel giusto conto interessi di tutte le Potenze, ma in primo luogo interessi Francia e Italia.

Ho insistito sul concetto che Austria è stata minacciata in questi anni non meno dalla Piccola Intesa che dalla Germania . Sin da ora infatti progetti di Benes, pur se diretti a ostacolare azione tedesca, finivano in sostanza col favorirla così come azione socialisti austriaci

9 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

diretta a indebolire il Governo di Dollfuss e il fascismo austriaco ha rappresentato, sino alle recenti giornate della rivoluzione fascista in Austria, uno degli strumenti purtroppo efficaci di propaganda dei nazi.

Noi vogliamo il rafforzamento e non l'indebolimento dell'Austria. Rafforzare gli elementi interni ed esterni costitutivi della compagine nazionale austriaca, mediante un regime politico restaurato e una organizzazione su basi stabili della propria economia interna, in modo da sottrarre Austria al giuoco delle influenze esterne e darle finalmente e per la prima volta quella funzione di potenza d'equilibrio indispensabile più che necessario alla pace dell'Europa centrale e punto per raggiungere (ho continuato) questo scopo, che è nell'interesse delle grandi Potenze e delle piccole, non vi è che una strada: quella battuta dal Duce.

Simon mi ha domandato se è possibile allo stato delle cose cioè dopo firma dei protocolli Roma, possa trovarsi con Cecoslovacchia e in genere con Piccola Intesa qualche terreno accordo per una azione convergente, se non comune.

Tale possibilità sembra a Simon meno difficile che nel passato.

Egli mi ha anche chiesto impressioni di V. E. su ultimo discorso Benes e se notizie circa possibile viaggio di Benes a Roma corrispondano realtà. Ho creduto di ripetere che protocolli Roma non rappresentano nel pensiero di V. E. un programma azione esclusivistica, e che nessuno più che V. E. si augura che Piccola Intesa, mettendo una buona volta per sempre da parte suoi antichi progetti irrealizzabili, accetti programma azione dell'Italia.

(l) T. 442/41 R. del 30 marzo, non pubblicato.

48

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1227/143-144 R. Parigi, 30 marzo 1934, ore 13,40 (per. ore 17).

Ho veduto ieri questo ministro degli esteri.

Barthou mi ha detto che discorso di V. E. gli aveva creato qualche diffi

coltà.

Ho risposto che reazione della stampa francese (l) aveva causato sorpresa

in Italia.

Capo del Governo aveva riaffermato concetti conosciuti di politica estera.

Aveva d'altra parte constatato che le relazioni con la Francia erano miglio

rate da un punto di vista generale, che si era operato un riavvicinamento

morale fra i nostri due paesi e su talune molto importanti questioni d'ordine

europeo e che vedeva in queste la possibilità di ulteriori desiderati sviluppi.

n ministro ha detto che egli riconosceva fondamento delle mie osservazioni.

Si tratta del resto di una burrasca ormai superata.

D'altra parte egli desiderava !ii passare dalle parole ai fatti. Si proponeva di affrontare le questioni alle quali V. E. aveva alluso.

Aveva già interessato il suo collega della Marina a procedere insieme a un riesame dei precedenti dell'accordo navale, mentre si proponeva di studiare personalmente la questione dello statuto degli italiani di Tunisia e quella dei confini della Tripolitania per prendere al più presto, appena possibile, iniziative di nuove concrete conversazioni.

Non mi è sembrato opportuno raccogliere la suggestione che mi era offerta, considerato che la comunicazione del ministro si riferiva a propositi per l'avvenire.

Barthou ha quindi [portato] il discorso sul disarmo. Riferendosi recente conversazione (l) avuta da V. E. con codesto ambasciatore di Francia mi ha detto di considerare con vivo interesse eventualità che «Shupo » siano compresi nel contingente di 300 mila uomini concesso alla Germania.

Circa le garanzie di esecuzione ha detto che il nuovo memorandum britannico è allo [studio] da parte Quai d'Orsay ed ha già formato oggetto di discussione preliminare in consiglio dei ministri. Barthou si è schermito dal darmi particolari, dovendo la questione formare oggetto di discussioni di gabinetto, sulle quali non gli è possibile anticipare pronostici.

Rispondendo ad una mia domanda il ministro degli affari esteri ha detto che personalmente ha una buona impressione. Crede alla possibilità di un ·accordo tra Italia, Francia ed Inghilterra; da parte sua farà il possibile per realizzarlo.

Egli ha poi dichiarato con vivacità che la Francia è lungi dal proposito di voler tirare le cose in lungo. Il periodo delle ferie pasquali e l'assenza del presidente del consiglio, che prende il periodo di riposo nel Mezzogiorno non consentono di dare una risposta prima di Pasqua all'Inghilterra che ne aveva espresso desiderio.

Barthou mi ha assicurato che Londra riceverà la nota francese sulla fine della prossima settimana e che la risposta sarà precisa e definitiva. Informo V. E. ad ogni buon fine che la vita politica è qui totalmente sospesa fino giovedì 5 aprile prossimo.

(l) Cfr. n. l.

49

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 439/86 R. Roma, 30 marzo 1934, ore 17,30.

Trovi modo di fare sapere che campagna contro armamenti austriaci ci ha impressionato molto male a parte fatto che sembra strano sia proprio Germania a toccare questo tasto.

(l) Di questa conversazione non si è rinvenuto il verbale.

50

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

TELESPR. R. 2552. Roma, 30 marzo 1934.

In relazione all'idea avanzata dal maggiore Renzetti nella sua recente conversazione con il Primo Segretario di codesta Ambasciata (l), sulla convocazione a Roma di un Congresso di personalità europee, informo V. E. per Sua conoscenza e perché ne voglia dare notizia al Maggiore Renzetti, che S. E. il Capo del Governo non ritiene sia il caso di dare seguito per ora alla proposta.

Si fa notare inoltre che un Congresso del genere di quello auspicato dal Maggiore Renzetti, ha già avuto luogo in Roma nel 1932, con il Convegno Volta.

51

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 3149/396. Budapest, 30 marzo 1934 (per. il 4 aprile).

Il Direttore degli Affari Politici di questo Ministero degli Esteri mi ha domandato stamane se ero in grado di spiegargli perché la polizia viennese si accaniva contro il movimento croato. Avendogli io detto che non ne sapevo nulla (la cosa non è stata finora rilevata da questa stampa), mi ha informato che in questi giorni i capi del movimento croato residenti a Vienna venivano arrestati o perquisiti ed il loro giornale * era stato soppresso col pretesto che faceva propaganda nazista * (l).

Il barone Apor ha aggiunto che da quanto pubblicavano i giornali jugoslavi era indotto a supporre che la polizia viennese forniva al Governo jugoslavo ampi elementi sui risultati delle perquisizioni. Si domandava quale interesse il Cancelliere Dollfuss potesse trovare in questa campagna contro il movimento croato. Del Regno trino l'elemento croato è il solo seriamente contrario all'Anschluss. Il serbo vi sarebbe favorevole, in quanto vedrebbe nello Anschluss un rafforzamento della posizione della Jugoslavia nei confronti dell'Italia, che sarebbe costretta a sostenerla contro l'avanzata del pangermanismo. Se per il momento Jeftic si limita a tenere nella questione un atteggiamento ambiguo è solo perché la Jugoslavia non può inimicarsi la Francia.

Questi ed altri discorsi di minore importanza teneva il barone Apor per concludere sarebbe desiderabile che --ove non fosse stato già fatto -il R. Governo consigliasse al Cancelliere austriaco moderazione verso i capi croati e cautela nelle inchieste giudiziarie e di polizia.

Ho creduto di capire che qui si è preoccupati dell'eventualità di qualche risultanza di contatti fra i capi croati e la legazione d'Ungheria a Vienna, e sopratutto della possibilità che al Governo jugoslavo ne vengano fornite le prove da qualche elemento della polizia viennese.

(l) -Cfr. n. 7. (2) -Il passo tra asterischi è stato sottolineato da Mussollni.
52

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1230/249 R. Londra, 31 marzo 1934, ore 1,03 (per. ore 6).

Vansittart, che ho visto stamane, mi ha confermato il passo fatto dal Governo inglese a Parigi (l), onde ottenere precisazioni in merito all'ultima nota francese.

In attesa di una risposta questo Governo ha soprasseduto a prendere decisioni.

Secondo Vansittart attitudine tedesca non è così incoraggiante come a prima vista può apparire. Governo di Berlino è ancora lontano dalle linee fondamentali del memorandum britannico.

Ho colto occasione per ripetere che esperienze di questi ultimi due mesi dimostrano unica soluzione realistica possibile è indicata dal memorandum italiano del 2 gennaio (2).

Miei colleghi francese Corbin e tedesco von Hoesch, che ho visto oggi, non mi hanno dissimulato le difficoltà per trovare un terreno sul quale indirizzare in modo positivo la discussione.

Governo francese risponderà probabilmente (e Corbin ha già anticipatamente indicato a Simon le linee generiche di quella che potrà essere la risposta francese) che le sue domande sì limiteranno ad ottenere una garanzia, purché effettiva e reale, dell'esecuzione della convenzione.

Pensiero francese qualsiasi violazione della convenzione dovrebbe automaticamente determinare l'azione concertata di tutte le Potenze firmatarie e precisamente l'adozione di misure diplomatiche, finanziarie, economiche e di sanzioni militari contro l'eventuale trasgressore.

Soltanto in questo caso la Francia sarebbe disposta, dice Corbin, a concessioni, sia nel campo del disarmo, come nel campo del riarmamento tedesco. Questo ambasciatore di Francia ha cercato di dimostrarmi quanto le nuove

proposte francesi differiscono dalle antiche per la sicurezza.

Debbo dire tuttavia che da quanto egli mi ha detto non vedo in che cosa differisca la nuova dall'antica concezione della sicurezza francese. Stesse richieste garanzie contro aggressore, su terreno patto Ginevra, sarebbero oggi ripresentate contro eventuale trasgressore futura convenzione.

Se così fosse, tornerebbero automaticamente alla ribalta tutte le antiche difficoltà di 12 anni di discussioni ginevrine, sopratutto il quesito politico fondamentale: «Sino a che punto è disposta l'Inghilterra a impegnarsi?'>.

Von Hoesch mi ha detto che il Governo tedesco, pur non escludendo di entrare discussione sul [problema] delle garanzie, ·non ritiene di poterlo fare sino a che non conoscerà precisamente quali sono effettivamente le concessioni che la Francia, come corrispettivo, sarebbe disposta a fare sul terreno del riarmamento tedesco. Sembra a Hitler di essere già andato anche troppo in là sul terreno delle concessioni da parte sua.

Von Hoesch mi ha informato del contenuto [di un telegramma] di von Hassell (l) nel quale è riprodotto colloquio recente che codesto ambasciatore Germania avrebbe avuto con V. E. dietro istruzioni di Hitler, il quale lo ha incaricato di ringraziare V. E. per le parole pronunziate nel discorso all'assemblea quinquennale.

V. E. avrebbe confermato all'ambasciatore di Germania che le linee del memorandum italiano del 2 gennaio restano per V. E. immutate e che V. E. ritiene che le difficoltà interne, finanziarie ed economiche della Francia porteranno quest'ultima, presto o tardi, alla necessità di limitare le proprie spese di armamento, e un terreno per un ragionevole accordo (2).

(l) -Cfr. DB, vol. VI, pp. 587-588. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 525, allegato I.
53

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 3082/66 P.R. Roma, 31 marzo 1934, ore 16.

Comunichi a Dollfuss mio vivo compiacimento per accordo raggiunto fra fronte patriottico e Heimwehren, secondo la notizia Stefani. Questo è avvenimento grande importanza sopratutto per unità popolo austriaco e come preludio nuova costituzione che non deve ritardare.

54

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUS SOLINI E DEL GOVERNATORE DELLA LIBIA, BALBO, CON I RAPPRESEN TANTI DELLA DESTRA SPAGNOLA, BARRERA, GOICOCHEA, OLOZABAL E SISARZA

VERBALE (3). Palazzo Venezia, 31 marzo 1934, ore 16.

Il Maresciallo Balbo presenta al Duce i rappresentanti spagnoli: Gen. Barrera, . già Capo di S. M. dell'Esercito, l'ex Ministro Goicochea, ex Ministro della

Dittatura e capo delle Destre nazionali e legittimiste, il Dr. Olozabal, capo dei tradizionalisti e Sisarza, preposto al movimento di azione dei paest baschi.

Goicochea ricorda al Duce d'essergli stato presentato nel 1923.

Il Maresciallo Balbo invita il Generale Barrera, quale capo della delegazione, a parlare.

Gen. BARRERA -Si dichiara onorato e commosso d'aver l'onore di parlare al Capo del Governo italiano, Duce del Fascismo e lo ringrazia dell'aiuto italiano al colpo di stato del 10 agosto, colpo disgraziato ma ricco d'insegnamenti. Anche nelle rivoluzioni è necessario sbagliare per imparare ed oggi le destre spagnuole, unite per il bene comune, al di sopra delle antiche divisioni, sono pronte a ricominciare. Poiché il Duce ha certo idee chiare sulla situazione, egli lo prega di voler porre loro gli argomenti che lo interessano, perché possano illuminarlo in modo assoluto.

DUCE -Desidererebbe conoscere cosa pensino del Governo Lerroux. BARRERA e GOICOCHEA -È un governo addormentatore del quale bisogna diffidare ancor più di un governo di sinistra, perché il popolo, o meglio la piccola borghesia, può adagiarsi nello statu qua. DUCE -Pur tuttavia dovrebbe o vorrebbe essere un governo forte! Il Ministro degli Interni ha recentemente proposto e fatto approvare il ripristino della pena di morte. GOICOCHEA -È una parvenza di energia: il Ministro degli Interni è incapace di far condannare a morte anche una mosca per il suo carattere mite e addirittura pauroso. Del resto non credo che lo stesso Lerroux avrebbe la capa

cità d'andar oltre: è vecchio debole e malato. DUCE -E Gill Robles? OLOZABAL -Uomo di parole ma non di fatti: il suo movimento non ha

una esatta mèta politica e ondeggia fra continui tentennamenti: movimento troppo lontano dall'azione; masse amorfe che oggi hanno quasi accettato la repubblica. Le possiamo paragonare al vecchio partito popolare italiano ed al centro cattolico tedesco. Buona parte degli uomini di Gill Robles domani seguiranno il carro dei vincitori.

DUCE -Qual' è il vostro accordo sulla Monarchia? GOICOCHEA e OLOZABAL -Noi ci siamo perfettamente accordati sul principio: siamo riusciti a seppellire tutto un passato, facendo compl<etamente astrazione dagli uomini. BALBO -Chiarite meglio questo vostro punto di vista.

OLOZABAL -L'erede monarchico tradizionalista è troppo vecchio e d'al~ tra parte Goicochea e Barrera concordano nel riconoscere che è impossibile ricorrere ad Alfonso XIII. Nella di lui famiglia rimane il terzogenito, ufficiale della Marina inglese, ma anche su questo ci sarà molto da discutere (gli altri concordano).

Noi non vogliamo del resto che l'uomo che dovrà incarnare domani la Spagna monarchica possa comunque intralciare il nostro piano di resurrezione del paese. Appena la rivoluzione avrà trionfato, nomineremo un Reggente, probabilmente un militare: poi, in seguito, ci preoccuperemo della Dinastia.

Concludendo noi riconosciamo concordemente che la Spagna deve essere monarchica ma non abbiamo, oltre l'accordo di principio, nessun pregiudizio e non porremo certo ora la questione della persona del Sovrano, perché tutti i nostri sforzi debbono essere rivolti all'azione: il resto verrà poi.

DUCE -Sono pienamente d'accordo. La monarchia come base è una idea fondamentale in Spagna come in Italia. Per quanto riguarda il vostro paese me ne sono convinto leggendo il libro di Madariaga. In quanto alla Dinastia c'è sempre tempo di decidere. Monarchia vuol dire idea e Dinastia soltanto uomini (1).

DUCE -Qual'è la situazione dell'Esercito, Marina, Aviazione?

BARRERA -L'Esercito oggi è pieno di furfanti. Molti degli ufficiali eliminati dai precedenti governi, sono rientrati con la repubblica ed hanno finito per guastare l'ambiente. Ma esistono tuttavia molti ufficiali buoni e reparti sui quali si può fare affidamento, come quelli della Catalogna. La Cavalleria è rimasta pressoché intatta e su di essa si può contare come pure si può contare sulla Guardia Civile. In questo momento abbiamo a Madrid circa duemila ufficiali in diverse forme di congedo: noi li curiamo molto e stiamo inquadrandoli come semplici soldati per farne un reparto scelto al quale dovranno essere affidati nel giorno dell'azione i compiti più difficili. La Marina in Spagna, più che in altri paesi, è una casta a sé. Politicamente è molto incerta; noi non la calcoliamo, ma avrebbe torto il governo se la considerasse a sua disposizione completa. L'Aviazione invece, che ai primordi della repubblica aveva assunto un carattere nettamente di sinistra, oggi è molto migliorata. Anche il famoso Franco ha messa molta acqua nel suo vino: l'Aviazione può essere lavorata in profondità.

DUCE -Ed ora veniamo alla questione delle armi.

BALBO -Abbiamo avuto ieri una esauriente discussione. Penso che per il momento non possiamo dar loro più di un certo quantitativo di bombe a mano,

10.000 fucili e 200 mitragliatrici. Naturalmente queste armi, tranne le bombe, debbono essere prelevate tra il vecchio materiale della guerra mondiale e debbono essere di marca austro-tedesca per non compromettere comunque l'Italia.

DUCE -(rivolto a Balbo) Credo che non sarà difficile trovare queste armi.

BALBO -(rivolto al Duce) Le 200 mitragliatrici le abbiamo già in casse

ad Orbetello e per i diecimila fucili basterà dare ordine a Baistrocchi: così pure

per le bombe che dovranno essere molte e di recente costruzione (fresche).

BARRERA -Abbiamo chiesto al Maresciallo anche un certo numero di

pistole.

BALBO -Come ho avuto occasione di affermare ieri, pistole non esistono nei magazzini militari italiani. Sarà facile procurarsele ovunque, anche nella stessa Spagna. Il mio parere è, che siano completamente inutili: l'uomo che discende nella strada per una rivoluzione, ha bisogno di essere compromesso da un fucile.

DUCE -Come contate di portare queste armi in Spagna?

BALBO -Avevamo deciso di imbarcarle e su questo punto riterrei pm opportuno che l'imbarco avesse luogo a Tripoli, ove bombe, fucili e mitragliacrici possono essere facilmente concentrati e dove un gruppo di comandanti dei reparti rivoluzionari può essere addestrato senza destare sospetti.

OLOZABAL -Spiega che le armi dovranno essere sbarcate al nord sulla costa dei paesi baschi. L'operazione sarà certo difficile ma non di più di quella portata in porto da suo padre che nel '70-'73 è riuscito a far entrare 80mila fucili.

DUCE -Queste armi le avrete. Balbo, che sarà l'intermediario fra voi e me, ve le consegnerà a Tripoli. Io quando aiuto, aiuto e lo sa bene l'Austria. Vi assicuro pertanto che guardo al vostro movimento con molta simpatia. Ed ora passiamo al denaro. Quanto credete vi occorra per un primo momento?

GOICOCHEA -Credo che sia sufficiente un milione e mezzo di pesetas.

DUCE -Esiste una difficoltà tecnica per averle in breve tempo perché le pesetas non si trovano facilmente sul mercato internazionale e dovrò farle comperare a piccole partite per non destare sospetti. Naturalmente non è lo Stato direttamente che interviene, perché, date le leggi italiane, nulla può sfuggire al pubblico controllo. Esistono tuttavia organi economici che obbediscono allo Stato e attraverso i quali l'operazione sarà fatta.

Chiede infine che si dia a Balbo il nome dell'uomo a cui il denaro deve essere consegnato.

OLOZABAL, BARRERA, GOICOCHEA -Sta bene. Ci metteremo d'accordo sull'uomo e lo faremo sapere al Maresciallo Balbo: spiegano quindi che il denaro sarà tenuto fuori della Spagna a S. Juan de Luz a 10 chilometri dalla frontiera.

DUCE -. Conclt.:dendo si dice sicuro della loro volontà di riuscire ad abbattere la repubblica che definisce arretrata di un secolo e legata a principii oltrepassati non solo in Francia ma in tutto il mondo. Rivolge loro un caldo saluto e un augurio di successo.

Il colloquio è durato circa un'ora. I delegati spagnoli insieme con il Maresciallo Balbo si sono poi recati all'Ufficio del Maresciallo dell'Aria dove discutono i diversi articoli del patto segreto. Particolarmente importante il dibattito su quanto riguarda lo statu quo del Mediterraneo. Il Maresciallo Balbo ha fatto comprendere inoltre la difficoltà per il Governo italiano di concedere il riconoscimento di un governo rivoluzionario stabilito in una parte del territorio, punto questo al quale la delegazione spagnola teneva moltissimo. L'evidenza della difficoltà li ha convinti a non insistere. Il trattato viene firmato alle 21 ed il Maresciallo Balbo chiede ed ottiene che l'originale destinato agli spagnoli, per evidenti ragioni di riserbo, sia conservato dagli spagnoli stessi in una cassetta di sicurezza di una Banca italiana. Carpi e Longo sono messi a disposizione di Barrera e Olozabal per affittare la cassetta nella Banca più idonea.

Gli spagnoli hanno inoltre insistito per avere qualche radio da campo in uso dell'Esercito italiano specialmente da usare per lo sbarco delle armi ed il Maresciallo Balbo che non ritiene doversi consegnare un simile delicato materiale di facile riconoscimento come origine, non ha voluto fare promesse e ha risposto evasivamente cercando d'indirizzare gli spagnoli all'acquisto del 1nateriale stesso direttamente alla Siemens.

1o -Spagna e Italia stipuleranno un trattato di amicizia e neutralità nel quale verrà precisato che entrambe le potenze sono d'accordo per il mantenimento dello statu qua del Mediterraneo occidentale per quanto si riferisce ai diritti territoriali della Spagna tanto di sov:r~tà che di protettorato. L'Italia garantirà alla Spagna lo statu quo sopra detto.

Un accordo determinerà previamente ed opportunamente le norme di applicazione di quanto è indicato in questo articolo sviluppando e precisando il suo contenuto.

zo -Spagna e Italia stipuleranno un trattato commerciale ai fini di coordinare le zone di esportazione di determinati prodotti di ambo i paesi con il proposito di costituire un fronte unico rispetto alle nazioni importatrici e concreteranno formule di stretta relazione economica nell'interesse dei due paesi.

3o -Prima degli accordi sopra accennati dovrà aver luogo la denuncia e la rescissione del trattato segreto francospagnolo.

4o -L'Italia si obbliga di aiutare il nuovo governo spagnolo con il riconoscimento in quanto sia internazionalmente possibile.

5o -La clausola n. 4 si applicherà im

mediatamente e le clausole n. l, 2 e 3

a un mese dalla costituzione del nuovo

governo.

ALLEGATO

Roma, 31 marzo 1934.

lo -Espafia e Italia estipularan un tratado de neutralidad y amistad, en el que se precisara, que ambas potencias han de estar conformes en el mantenimiento del statu qua del Mediterraneo occidental en lo que afecta a los derechos territoriales de Espafia tanto de soberania como de protectorado. Italia garantizara a Espafia el statu qua antes dicho.

Un acuerdo determinarli previa y oportunamente las normas de aplicacién de este apartado, desarrollando y puntualizando su contenido.

zo -Espafia e Italia estipularan un tratado comercial a fin de coordinar las zonas de exportaci6n de determinados productos de ambos paises, con el proposito de constituir un frente unico en relaci6n con las naciones importadoras concretando acuerdos de estrecha relaci6n economica en defensa de los intereses de ambos paises.

3° -Tramite previo a los precedentes acuerdos sera la denuncia y rescisi6n de los tratados secretos franco-espafioles.

4o -Italia se obliga a ayudar el nuevo gobierno espafiol reconociendolo en cuanto sea internacionalmente posible.

5° -La clausula n. 4 se aplicara inmediatamente Y. las clausulas n. l, 2 y 3 se aplicaran al transcurrir un mes de la constituci6n del nuevo gobierno (1).

autografe dei partecipanti al colloquio.

(l) -Cfr. AKTEN, vol. Il, 2, pp. 652-653. (2) -Aloisi rispose con t. per corriere 448 R. del 3 aprile, Inviato anche a Berlino. dando comunicazior:e del contenuto del n. 24. (3) -II verbale fu redatto da Balbo e reca l'annotazione: «Riservatissimo per il Duce».

(l) Da questo punto della discussione è apparsa chiara la situazione dell'ex Re: completamente bruciato. Sul suo terzogenito si congiungono diversi punti di vista, ma anche attorno alla sua persona è evidente una atmosfera di assoluta sfiducia: quando si è fatto Il suo nome. Sisarza, che non parla mal, ha avuto una smorfia eloquentissima [Nota del documento].

(l) Il documento reca in calce le firme

55

IL CAPO INTERINALE DELL'UFFICIO OPERAZIONI DELLO STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, DE CASTIGLIONI, A... (l)

PROMEMORIA. Roma, 31 marzo 1934.

L'accordo a tre del 13 dicembre 1906.

Dopo il noto clamoroso incidente di Fascioda, la convenzione franco-inglese

del 1899 delimitò le sfere di influenza tra le due nazioni per quanto riguarda

il Sudàn, tagliando la strada alla Francia.

Restava indecisa la delimitazione delle reciproche sfere d'influenza in Abis

sinia, ma questa interessava anche l'Italia.

Si venne così all'accordo a tre del dicembre 1906.

Tale accordo (all. A) (2) in quel momento, rappresentava per l'Italia il salvataggio di quanto era ancora salvabile delle nostre posizioni in Etiopia e stabilizzava la situazione. Il patto fu ispirato dall'interesse comune alle tre Grandi Potenze di mantenere l'integrità territoriale dell'Abissinia, prevenendo ogni possibile complicazione.

Infatti l'art. 3 dell'accordo stabilisce, tra Italia, Francia ed Inghilterra, l'intesa di mantenere lo «statu quo » politico e territoriale dell'Etiopia e l'impegno assoluto di non intervenire negli affari interni di quel paese.

In caso di avvenimenti che turbassero lo «statu quo », le tre potenze si impegnavano a salvaguardare gli interessi particolari a ciascuna, che venivano determinati nel seguente modo (art. 4): (saranno salvaguardati:) «Gli interessi della Gran Bretagna e dell'Egitto nel bacino del Nilo, specialmente circa la regolamentazione delle acque di questo fiume e dai suoi affluenti, fatta riserva per gli interessi dell'Italia in Etiopia in rapporto alle sue colonie dell'Eritrea e della Somalia, particolarmente per·ciò che riguarda l'hinterland di questi possessi e le comunicazioni tra di essi ad ovest di Addis Abeba; infine gli interessi francesi in Etiopia relativamente alla Somalia francese, al suo hinterl,.and e alla zona necessaria alla ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba »

(V. ali. B).

Le concessioni ferroviarie.

L'intesa contemplava la costruzione dell'ultimo tratto di questa ferrovia (3) e, nel tempo stesso, precisava (articolo 9) che eventuali costruzioni ferroviarie attraverso l'Abissinia, ad ovest di Addis Abeba, sarebbero spettate all'Inghilterra, mentre, sotto gli auspici dell'Italia, avrebbe dovuto costruirsi una linea di raccordo tra Eritrea e Benadir.

Nonostante i trattati, la gara di egemonia fra i rappresentanti delle varie Potenze ad Addis Abeba continuò attiva.

Dopo la guerra mondiale, l'egemonia della Francia nelle faccende etiopiche si manifestò nettamente e culminò con l'ammissione dell'Etiopia nella Società delle Nazioni; col quale atto la Francia sperava -a quanto pare avere praticamente annullato l'accordo del 1906; comunque, essa -avendo già raggiunto, colla ferrovia Gibuti-Addis Abeba, i vantaggi spettantile dall'accordo stesso -ha tutto l'interesse ad impedire la realizzazione dei vantaggi spettanti agli altri contraenti, Italia ed Inghilterra.

L'accordo itala-inglese.

Si desume da un libro bianco britannico, pubblicato il 26 giugno 1926, contenente le note scambiate tra il 14 e il 20 dicembre precedente tra l'Ambasciatore britannico a Roma, Sir Graham, e l'On. Mussolini, circa i negoziati tra l'Italia e l'Inghilterra sui reciproci interessi economici in Abissinia.

Sir Graham faceva presente l'importanza per l'Egitto e per il Sudàn di aumentare, se possibile, il volume delle acque del Nilo per irrigazione e accennava alle offerte fatte dall'Italia nel 1919 di appoggiare la Gran Bretagna per ottenere in Abissinia una concessione per opere di sbarramento del lago Tzana, da dove parte il Nilo Azzurro e costruire una strada automobilistica tra il lago Tzana e il Sudan. L'Italia domandava in compenso l'appoggio inglese per ottenere la facoltà di costruire una linea ferroviaria attraverso l'Abissinia dalla frontiera Eritrea fino alla Somalia Italiana e chiedeva la esclusività degli interessi economici nell'Etiopia occidentale e nei territori attraversati da questa ferrovia.

In quel tempo, l'offerta italiana non fu presa in considerazione sopratutto in vista del concetto di non permettere ad una potenza di stabilire una specie di controllo sulle acque formanti parte del sistema fluviale del N ilo; ma, diceva Sir Graham nella sua nota del 14 dicembre 1925, il governo inglese, desiderando estendere a questa questione lo spirito di amichevole collaborazione che è risultato così vantaggioso in altri campi, in cambio dell'appoggio italiano per ottenere la concessione sulle acque del lago Tzana avrebbe appoggtato la richiesta italiana di una ferrovia. Se avesse ottenuto la concessione sul lago Tzana, il governo inglese sarebbe stato anche disposto a riconoscere i privilegi economici italiani in Abissinia occidentale e a promettere l'appoggio per tutte le richieste economiche dell'Italia in tale zona, alla condizione che il governo italiano avesse riconosciuto la priorità dei diritti idraulici dell'Egitto e del Sudan e si fosse impegnato a non costruire sul Nilo Azzurro e sul Nilo Bianco e loro tributari ed affluenti, alcun lavoro che potesse modificare sensibilmente il decorso del fiume principale.

L'on. Mussolini nella sua nota 20 dicembre 1925 aderiva alle proposte bri

tanniche.

Dopo aver parafrasato la nota britannica l'on. Mussolini scriveva: «In ri

sposta alle dichiarazioni richieste da V. E. ho l'onore di far conoscere che il

governo italiano ha preso atto che il governo britannico si è ora persuaso che le proposte italiane presentate nel novembre 1919 non contraddicevano alla stipulazione dell'accordo di Londra del 13 dicembre 1906, poiché lo scopo di tale accordo, come l'Italia ha sempre sostenuto, è il mantenimento dello «statu quo », in Etiopia, in base ai patti internazionali indicati nell'art. l dell'accordo stesso, e il coordinamento dell'azione degli stati firmatari nella protezione dei rispettivi interessi, in modo che non risulti pregiudizio agli interessi medesimi.

Dato ciò, quantunque le suddette proposte presentate a Londra nel novembre del 1919 facessero parte di un più ampio negoziato di carattere coloniale, in dipendenza del patto di Londra del 1915, negoziato che ha avuto soltanto parziale attuazione, pur tuttavia il R. Governo acconsente a ripetere le proposte suddette, specialmente condividendo il desiderio del Governo Britannico di attuare il principio della cooperazione amichevole, confidando che tale principio possa essere sempre più esteso per la tutela e lo sviluppo dei rispettivi interessi italiani e britannici in Etiopia, naturalmente sulla base e nei limiti delle disposizioni dell'accordo di Londra del 1906.

Ho l'onore pertanto di dichiarare a V. E. che il R. Governo appoggerà il Governo britannico presso quello etiopico perché ottenga da quest'ultimo la concessione di costruire uno sbarramento sul Lago Tzana con diritto di costruire e mantenere una strada automobilistica per il passaggio di merci, personale ecc. dalla frontiera del Sudàn allo sbarramento.

Il R. Governo prende atto d'altra parte che il Governo Britannico appoggerà in ricambio il Governo Italiano perché ottenga dal governo abissino la concessione di costruire ed esercitare una ferrovia dalla frontiera dell'Eritrea fino alla frontiera della Somalia Italiana.

Prende atto che il Governo di S. M. Britannica ha tutta l'intenzione di rispettare i diritti di acque esistenti nelle popolazioni dei territori limitrofi compresi nella sfera di esclusiva influenza economica italiana».

Bisogna considerare che nello stesso volgere di tempo in cui avveniva questo scambio di note anglo-italiane, noi procedevamo all'occupazione della Somalia del nord, il che aveva allarmato l'allora Ras Tafari.

Il nostro GOV!JrnO rassicurò quello di Addis Abeba, mentre, molto saggiamente, il Ministero delle Colonie ordinava al Governo della Somalia di tenere le bande ad una certa distanza dal confine abissino, nelle zone in cui esso non essendo precisato poteva dar luogo a contestazioni.

L'allarme abissino, però, permase a causa delle diffidenze che suscitarono contro di noi rappresentanti ed emissari stranieri.

L'accordo, quindi, anglo-italiano acuì la tensione dell'Italia con l'Abissinia, la quale, spinta dalla Francia (atteggiamento del Governo ed azione della stampa) ricorse perfino alla Società delle Nazioni.

Il Ministero degli Esteri Inglese chiarì la portata degli accordi, onde la situazione ritornò normale. Normalizzazione alla quale contribuì validamente la visita del Duca degli Abruzzi ad Addis Abeba.

*Se gli accordi esistenti si fermano a quelli indicati nel presente promemoria, come risulterebbe ufficialmente a noi, si tratta di ben poca cosa. Ed è evidente come per un'azione nostra offensiva contro l'Abissinia occorrono nuovi accordi che, a mio avviso, dovrebbero sboccare in una vera alleanza

militare per un'azione concomitante, in modo che la guerra sia breve ed il risultato sicuro. È corsa voce che la Francia (in caso di nostro conflitto con l'Abissinia) ci lascerebbe l'uso della ferrovia di Gibuti.

Si avrebbe certo un vantaggio: quello di controllarne i trasporti ed impedire così che altri se ne servano per rifornire (anche durante la guerra) di armi e munizioni l'Abissinia. Ma è un vantaggio negativo, perché per costituirne linea d'operazione occorre domandarci: Conviene costituire una nuova direzione d'attacco con truppe nostre? Avremo un altro corpo di spedizione disponibile? Fin dove ci potrà servire la ferrovia? (interruzioni) Quanto ce la farà pagare la Francia? * (l) * Sopratutto l'ultimo quesito, e quest'altro: quale sarà il potenziale bellico italiano alla fine della guerra? E, nella migliore delle ipotesi, quale sarà l'influenza in politica ed eventualmente in caso di guerra, di questa diminuzione? Sarà compensato da un aleatorio vantaggio morale?* (2).

(l) -Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Il documento venne redatto, su richiesta di Bonzani che lo siglò, «per le superiori autorità>> come risulta da appunto conservato ibid. (2) -Gli allegati non si pubblicano.

(3) La Gibuti-A(~dis Abeba non era ancora ultimata nel 1906 [Nota del documento di mano di Bonzani l.

56

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Londra, 1° aprile 1934.

Ti sarò grato se vorrai consegnare l'unita lettera e rapporto al Duce.

ALLEGATO

GRANDI A MUSSOLINI

L. P. Londra, 1° aprile 1934 (3).

Ti allego un rapporto documentario e complessivo sulla situazione austriaca vista da Londra, o meglio dagli Inglesi.

Non credo Tu troverai molto di nuovo in tale rapporto, che è piuttosto una ricapitolazione attraverso le segnalazioni da me fatte di volta in volta, degli avvenimenti. Ho ritenuto non inutile fare, come si dice, il punto in questo particolare momento. I Protocolli di Roma aprono infatti, a mio avviso, una fase assolutamente nuova del problema danubiano. Dopo tante tergiversazioni, incertezze, stati d'animo, la politica inglese sembra -su questo problema -avere finalmente messo la prua sulla rotta giusta, che è la Tua. Vi è ancora nell'attitudine inglese una zona d'ombra che ho cercato di spiegare nell'ultima parte dell'unito rapporto. Ma anche questa passerà.

ANNESSO

GRANDI A MUSSOLINI

R. 1149/398. Londra, 29 marzo 1934.

Con il mio telegramma odierno n. 246 (4) ho nformato l'E. V. del colloquio che ho avuto ieri con Sir John Simon sul problema dell'Austria e sui caratteri della nostra politica nell'Europa Danubiana. Di questi argomenti ho avuto occasione di

(-4) Cfr. n. 47.

parlare più volte in questi giorni, con perE~malità del Governo, del Parlamento e della City: e l'interessamento che ho trovato in esse per il mantenimento dell'indipendenza austriaca e pel funzonamento degli accordi triangolari, mi ha convinto che con il Convegno di Roma e la firma dei Protocolli Danubiani il prob~ema dell'indipendenza dell'Austria è entrato veramente qui in una nuova fase. Non solo il Governo, ma il Parlamento e l'opinione pubblica si sono orientati più decisamente verso una soluzione positiva del problema austriaco, come quella tracciata negli Accordi del 19 marzo, e per la prima volta, nel corso di questi anni il mantenimento dell'indipendenza dell'Austrta è apparso non come un interesse loca,1e di politica continentale europea, ma sotto la luce di un interesse comune delle Grandi Potenze di Europa. L'importanza di questo fatto non può essere misurata se non tenendo presente tutte quelle che sono state le incertezze, le esitazioni e le contr3iddizioni della politica britannica verso il problema austriaéo, l'evoluzione dell'opinione pubblica inglese verso il concetto che l'i~dipendenza dell'Austria è una garanzia indispensabile di pace e di collaborazione, e finalmente se non ricordando che un interesse britannico al mantenimento dell'indipendenza austriaca, fino a non molto tempo fa, non era riconosciuto né dal Foreign Office, né in seno al Parlamento né nella City.

I. Certo questa era la situazione nel 1931, al tempo del progetto austro-tedesco per l'unione economica fra i due Paesi. Ho appena bisogno di ricordare l'atteggiamento pericolosamente conciliante -come V. E. ebbe a definirlo allora -che il Governo britannico assunse di fronte a questo progetto. Lungi dall'intenderne la portata e le conseguenze politiche, il Governo inglese, per non poter prendere posizione contro di noi e non voler prendere posizione contro la Germania, cercò a quel tempo di ridurre il problema a una semplice questione di conformità giuridica del Progetto alle disposizioni del Trattato di San Germano e del Protocollo di Ginevra; e poi, una volta rimesso l'esame del progetto alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale, si astenne dall'associarsi a noi e alla Francia, mostrando così pubblicamente non solo quanto poca fiducia esso avesse nella fondatezza della nostra tesi giuridica, ma quanto riservato fosse il suo atteggiamento nella questione pout1ca dell'indipendenza dell'Austria. In seno alla Corte, il giudice inglese Sir Ceci! Hurst, fu dei più decisi sostenitori delia conformità del progetto al Protocollo di Umevra: e il suo atteggiamento, definito nel testo del parere dissidente annesso all'Avis Consultatif della Corte, sembrò anche confermare che il Governo Britanmco non conSiaerava con ostilità un più intimo sistema di rapporti fra l'Austria e la Germama -auer1o che allora i tedeschi chiamavano Ausgleichung e v. E. chiamò più realisticamente, l'Anschluss economico.

Questa era allora considerata in Ingnmerra una soiuzione logica e naturale del problema austriaco. Si deploravano i metodi seguiti dal Governo tedesco, non i fini. E se la diplomazia britannica sottovalutava la ponata politica dell'accordo, i giornali -con la sola eccezione di quelli conservawn -sr pronunciavano apertamente in favore dell'Unione economica (V. rapporti di quest'Ambasciata n. 669 del 27 marzo e

n. 702 del 1o aprile 1931) (1). Del resto, ancora nel febbraio 1933, nel corso della discussione che ebbe luogo alla Camera dei Comuni sul progetto di legge per il prestito aus.triaco, questa opinione fu espressa da tutti o quasi tutti gli oratori che intervennero nella discussione; e l'indipendenza dell'Austria fu presentata come una artificiosa costruzione diplomatica, priva di ogni base di realtà, e mantenuta solo dagli intrighi della politica francese. Né Sir John Simon, che pure intervenne alla discussione, cercò di correggere questi giudizi, e anzi credette utile di chiarire che il nuovo Protocollo non imponeva all'Austria nessun nuovo impegno per il mantenimento della sua indipendenza -(V. mio rapporto n. 206 dell'anno scorso) (2).

Questo era l'atteggiamento del Governo britannico al principio del 1933, un atteggiamento che rispondeva alla convinzione che l'Anschluss era una soluzione insieme naturale e inevitabile del problema austriaco e alla opinione della City che un risana

mento della situazione finanziaria ed economica dell'Austria non potesse venire che da una collaborazione intima con la finanza tedesca in Austria o finanche dalla incorporazione dell'economia austriaca in quella del Reich.

II. Tale atteggiamento cominciò ad esser modificato solo dopo l'avvento del Cancelliere Hitler al potere. Cominciò allora ad essere chiaro che tra i fini immediati che il Nazismo si poneva vi era l'incorporazione politica della Repubblica Austriaca. Fu allora che, inserito nel problema generale della resistenza dell'Europa ad una ripresa espansionista da parte della Germania, il problema austriaco cominciò a cambiare nella politica inglese di impostazione.

Come ho ampiamente documentato a V. E., durante il corso di questi mesi, la politica britannica dal giorno dell'avvento dei Nazisti è stata costantemente dominata dalla preoccupazione delle conseguenze che una ripresa della politica espansionista tedesca avrebbe avuto sulla stabilità e sulla sicurezza dell'Europa, e dalla violenta reazione popolare ai metodi del Nazismo. L'interessamento dell'Inghilterra all'Austria è stato anzi in origine suscitato da questa reazione, e ciò spiega perchè più i metodi di propaganda tedesca in Austria si sono fatti aggressivi, più la causa della resistenza austriaca al Nazismo e dell'indipendenza dell'Austria ha at.tirato l'attenzione e suscitato le simpatie di un'opinione pubblica quotidianamente eccita,ta dalla stampa a un atteggiamento generale di ostilità alla Germania. Il danno e il pericolo di un'incorporazione dell'Austria nel Reich non si sono presentati alla mente degli inglesi nel quadro delle conseguenze permanenti che l'Anschluss avrebbe avuto sull'equilibrio politico dell'Europa, ma nel quadro delle conseguenze immediate che esse avrebbero provocato. Poiché il Nazismo pareva aver scelto l'Austria come primo campo di azione oltre le frontiere del Reich, l'Austria apparve alla mente degli inglesi come il primo baluardo che bisognava difendere contro il rinascere del sentimento espansionista tedesco. Questa fu la maniera come l'opinione pubblica vide il problema austriaco: e fu anche la maniera colla quale il Governo britannico si avvicinò ad esso. Mi richiamo in proposito a quanto ebbe a dirmi a quel tempo Sir Robert Vansittart: «Se le Grandi Potenze d'Europa dessero alla Germania partita vinta nella questione dell'Austria, la Germania si sentirebbe autorizzata a osare, dopo una simile vittoria, qualsiasi cosa, e la situazione d'Europa sarebbe di nuovo ad un tratto sconvolta» (V. mio telegramma n. 792 dell'H agosto u.s.) (1). Per il Foreign Office dunque la difesa dell'indipendenza austriaca costituiva soprattutto un episodio in un piano generale di resistenza alla poclitica tedesca. Il Foreign Office riteneva che, per impedire che il Governo tedesco si gettasse in qualche avventata impresa, bisognava far sentire alla Germania, come non le fu fatto sentire nel 1914 alla vigilia della guerra, che l Inghilterra era decisa a impedire qualunque turbamento dell'ordine internazionale. Questo era il fine che esso essenzialmente si poneva; e la fermezza d'intenzioni che esso dimostrava nella difesa dell'indipendenza austriaca era in funzione di questi fini, per realizzare i quali il Foreign Office non credeva di rifuggire dai metodi pericolosi dell'intimidazione -più sollecito, si sarebbe detto, di far sentire alla Germania il suo malcontento che di ottenere dei risultati concreti e duraturi per l'avvenire.

Non era difficile intendere la debolezza di questa posizione, e gli elementi effimeri sui quali essa si fondava. Una volta infatti che il problema del mantenimento dell'indipendenza austriaca era inserito in un problema di direttive generali, esso era anche condizionato al permanere di queste direttive, e cioè alla natura dei rapporti che si sarebbero in definitiva stabiliti tra l'Inghilterra e la Germania. In un periodo di tensione psicologica tra i due Paesi, l'indipendenza austriaca aveva un certo significato, che però sarebbe venuto a cadere al momento che questi rapporti fossero rientrati nella normalità. Questo era assolutamente chiaro. Era altrettanto chiaro che una impostazione del problema dell'Indipendanza dell'Austria nel quadro di una polltica anti-germanica non avrebbe potuto portare a nessun risultato permanente, perchè non avrebbe mai potuto soddisfare gli Austriaci, obbligati ad essere gli strumenti passivi di ua tale politica, e

non avrebbe mai potuto conciiiare i tedeschi all'idea di un'Austria indipendente. Il Foreign Off1ce tuttavia non si metteva da questo punto di vista, soprattutto, io credo, perché in realtà esso si interessava meno alla funzione storica di un'Austria indipendente, che completasse il sistema delle garanzie territoriali e diplomatiche dell'Europa, di quanto si interessasse al problema immediato e generale di una «lezione» da darsi alla Germania e era perciò più incline a dei gesti di ostilità alla Germania, e a far sentire, come dicevo più sopra, al Governo tedesco la pressione del malcontento britannico, che a un'opera accorta, paziente e tenace per difendere l'indipendenza dell'Austria. Il principio dal quale il Governo inglese partiva era che, per quel che riguardava il presente, la soluzione delle difficoltà sorte dal diffondersi del Nazismo in Austria non dovesse cercarsi tanto a Vienna, quanto a Berlino, in una azione comune dell'Italia della Francia e dell'Inghilterra diretta a far sentire alla Germania i pericoli ai quali essa si esponeva colla sua politica. Assai deciso nell'affermazione di questa linea di condotta, non posso dire che esso fosse poi veramente sicuro di poterla mantenere in tutte le sue conseguenze. Vi è stata in questi anni sempre una riserva generale in tutto quello che l'Inghilterra ha inteso di fare nel campo dei rapporti internazionali: la necessità di mantenere le sue responsabilità di azione in Europa entro i limiti nei quali l'opinione pubblica, avversa a queste responsabilità, è disposta a seguire il Governo. Io non so ancora come la diplomazia inglese pensasse di poter conciliare due concetti essenzialmente opposti: da una parte il concetto di una intimidazione della Germania, dall'altra il concetto che l'Inghilterra non dovesse assumersi alcuna responsabilità di azione. Tuttavia in pratica essa è rimasta per lungo tempo ad aggirarsi intorno a dei progetti di intervento collettivo a Berlino tanto minacciosi, quanto vani, paralizzati come essi erano, dalla premessa stessa dalla quale il Foreign Office partiva: che cioè l'Inghilterra non era pronta a far nulla per tradurre in atto una politica di minacce.

Devo aggiungere a completare questo quadro, che il Foreign Office non credeva molto né nella capacità di Dollfuss a resistere alla pressione Nazi, né nella vitalità e nel successo della sua politica. Esso, alla vigilia stessa .della Rivoluzione fascista di Vienna e del mutamento del Regime, giudicava che le ultime ore del Governo di Dollfuss oramai si avvicinassero: e che se la partita austriaca non era del tutto perduta, bisognava oramai calcolare che l'avvento del Nazismo in Austria non era più lontano: uno stato d'animo se non di rassegnazione per lo meno di scetticismo nella possibilità di mantenere la situazione austriaca in condizioni di stabilità.

Non ho bisogno di dire a V. E. quanto questa valutazione sia stata modificata -nelle sue premesse e nelle sue conseguenze -dalla Rivoluzione fascista in Austria. Questa provocò è vero (come ho a suo tempo avuto cura di informare V. E.) in 1\!lcuni ambienti politici inglesi -fra i laburisti colpiti nei loro interessi dallo sradicamento del socialismo viennese e i liberali spaventati dalla vista dell'impiego della forza -un largo movimento di reazione che indebolì la popolarità di Dollfuss, ma le prove di determinazione e di forza date dal Cancelliere, la fermezza con la quale egli poté dominare la situazione subito dopo gli avvenimenti di Vienna e la sua evidente determinazione a condurre un'opera di ricostruzione sociale in Austria, in modo da mettere l'Austria in condizione di resistere alla pressione nazista, dimostrarono per la prima volta compiutamente all'opinione pubblica e al Governo inglese le riserve di energia e di volontà che potevano essere trovate in Austria, le resistenze che potevano essere organizzate, gli interessi che erano capaci di affermarsi, dall'interno per così dire, della vita austriaca contro l'assorbimento politico dell'Austria nel quadro del Nazional-socialismo.

A queste energie e a questi interessi il Foreign Office non aveva accordato che scarsa fiducia. Come ho chiarito sopra, quello in cui il Foreign Office credeva era nella possibilità di arrestare l'azione tedesca verso l'Austria agendo su Berlino e obbligando il Governo tedesco a rinunciare ai suoi piani, non di suscitare e di mantenere una situazione politica a Vienna che costituisce di per se stessa, e per l'azione delle sue stesse forze, la garanzia dell'indipendenza austriaca. A questo modo di vedere la situazione gli inglesi non si sono avvicinati che tardi, dopo che il mutamento di Regime in Austria ha mostrato le possibilità concrete di consolidare la situazione austriaca, e quando essi hanno visto che la Germania prendeva essa stessa atto della nuova situazione che si era venuta a creare in Austria. Mi richiamo ai telegrammi n. 140, n. 183

10 -Documenti rliplomatici -Serle VII -Vol. XV

e n. 188 (1). V. E. avrà rilevato da essi il progressivo evolvere dell'opinione del Foreign Office sulla situazione austriaca -un evolvere lento, come è sempre da attendersi in Inghilterra, ma costante e che -tra il timore che Dollfuss distruggendo il socialismo non avesse aperto la vta al Nazismo, e il timore che le ripercussioni provocate in InghHterra dalla sua azione non gli avessero definitivamente alienata l'opinione pubblica inglese -ha tuttavia permesso che si venisse a formare una nuova valutazione della situazione austriaca, e anche un nuovo orientamento sul problema dell'indipendenza dell'Austria.

III. Non è stato tuttavia che con il Convegno di Roma e con la conclusione degli Accordi Triangolari che questo nuovo orientamento si è definito.

Al convegno di Roma e ai progetti di Accordi Triangolari il Governo Britannico non ha guardato in un primo momento con lo stesso favore e con la stessa fiducia che esso mostra ora. Esso è stato durante questi mesi un po' sempre sotto l'impressione che, noi, per quanto decisi a difendere l'indipendenza dell'Austria, cercavamo tuttavia soprattutto ili trarre un vantaggio dalle difficoltà austriache per creare, con una stretta collaborazione tra l'Austria e l'Ungheria, un sistema l)OUtico ed economico che, messo interamente sotto il nostro controllo, avrebbe dovuto rappre~entare un vero e proprio protettorato dell'Italia nel bacino del Danubio. Queste preoccupazioni corrispondevano alla opinione diffusa in questi ambienti politici che noi avevamo in mente di realizzare in realtà tre cose:

1°) la fascistizzazione dell'Austria e dell'Ungheria;

2°) l'unione economica itala-austro-ungherese;

3°) la collaborazione tra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria in una politica di ostilità alla Piccola Intesa.

Il Foreign Office non andava certo così lontano, ma la necessità stessa nella quale io mi sono trovato più volte di chiarire la nostra posizione può essere prova che a Londra si seguiva la nostra attività non sen2la un certo nervosismo per quelli che potevano essere i fini ultimi della nostra politica danubiana. Questi non sono apparsi chiari alla mente degli inglesi che col Convegno di Roma e con la impostazione che V. E. ebbe a dare ai negoztati condotti con il Cancelliere Dollfuss e con il Generale Goemboes.

I punti fissati da V. E. nei telegrammi n. 353 e 354 (2) hanno portato gli Inglesi a considerare il problema austriaco da un punto di vista più positivo: la city a considerare le possibilità reali di un'azione di rafforzamento dell'economia austriaca e dell'economia ungherese, alla quale essa dopo il fallimento di tanti tentativi di accordi generali e collettivi non credeva oramai più, il Foreign Office a considerare il vantaggio pratico di impostare il problema dell'indipendenza dell'Austria suile basi dei risultati di Stresa e del nostro memorandum danubiano (3), e di porre gli accord-i triangolari come una pietra angolare per un edificio da costnlirsi in comune, con la collaborazione delle Grandi Potenze del Patto a Quattro e dei Governi più direttamente interessati nell'economia del Bacino Danubiano. Di fronte a questa impostazione positiva del problema austriaco il Foreign Office non solo ha subito realizzato la debolezza di un procedimento puramente polemico quale era quello di un'azione diplomatica a Berlino e di una manifestazione anti-germanica a Ginevra, ma ha anche inteso, io credo, che la politica italiana era la sola la quale poteva stabilire delle zone di contatto tra gli interessi delle Potenre -compresa tra queste La Germania -e che comunque evitava il conflitto tra gli interessi italiani e gli interessi della Piccola Intesa.

La sua evoluzione verso questo concetto è stata -durante le ultime settimane

assai decisa, ed essa ha corrisposto a una rapida evoluzione che si è verificata nel

l'opinione pubblica verso il concetto che il mantenimento dell'indipendenza dell'Austria

costituisca per le Grandi Potenze d'Europa un interesse di natura più generale e pm permanente di quanto non fosse stato inteso in Inghilterra finora (V. fonogrammi stampa dal n. 203 al n. 220). A una tale conclusione si è andata inoltre avvicinando anche la City -ed è questo, a mio avviso, uno dei più soLidi guadagni che ci siamo assicurati finora.

IV. Nel 1931 la City, come ho detto, era per l'Anschluss -che considerava allora la soluzione più naturale e più pratica per superare le difficoltà economiche nelle quali l'Austria si dibatteva. Era quello anche un periodo di collaborazione .tra la finanza inglese e la finanza tedesca, e la finanza inglese non aveva ragione di temere che la sua posiZJione a Vienna sarebbe stata danneggiata da un'unione economica tra l'Austria e la Germania. La politica della City era del resto dominata a.llora e lo è stata fino all'anno scorso, dalla preoccupazione di resistere alla politica aggressiva che la finanza francese aveva sviluppato, e alla quale la City cercava dei contrappesi. Non si era profilato ancora il pericolo di una rinascita della potenza militare tedesca e di una politica espansion1sta wn la quale la Germania cercasse di alterare l'instabile equilibrio delle Potenze in Europa. Questi elementi non sono entrati nei calcoli e nelle preoccupazioni della finanza inglese che dopo l'avvento del NazlSmo. Da allora essa ha cominciato a guardare diversamente anche a una possibile espansione del dominio della finanza tedesca su Vienna e della dittatura di Schac,ht sul Cred1tanstalt. «In un pnmo tempo -mi ha detto un banchiere -quando ancora non era precipitata la cris1 bancaria germanica, vi era chi pensava che un dominio della finanza tooesca avrebbe potuto raddrizzare le sorti dell'Economia austriaca e rafforzare quindli le possibilità di recupero dei crediti inglesi, Ora queste possibilità sono, a parere generale, assai pron1emat1che; comunque non ci si riprometterebbe nulla di buono da una estensione della d1ttatura finanziaria Schacht all'Austria; si teme anzi potrebbe sconvolgere l'esecuzione delia moratoria Creditanstalt, raggiw1ta dopo laboriose trattative ed onerose rinunce, che pare funzionare in modo promettente e sull'andamento della quale l'accorcto di Roma non può esercitare che favorevoll ripercusswni ».

Questo punto di vista acquista un signiìicato maggiore se si considera la crescente avversione della City per i metodi di Schacht, le O.il11coltà che gli mglesi incontrano nei negoziati con la Reichsbank per la questione dei crediti britannici, e anche naturalmente l'osti1ltà di alcuni rami importanti del commercio -ad esempio i tessili -che sono sostenuti da potenti interessi ebraici.

Pure messo da parte tutto questo, la City ha visto nel Convegno di Roma soprattutto un principio finalmente di a:.:.ione pratica, ed è in considerazwne di questo che alla riunione dei creditori della Creditanstalt le prospettive di un'intesa economica tra lltalia, l'Austria e l'Ungheria furono giuJ.icate con tanto favore (V. telegramma n. 229 del 22 marzo) (1). Non è infa,tti da trascurare l'aspetto ungherese de·l problema, che per la City non è meno importante. La finanza inglese è fortemente impegnata in Ungheria. L'Inghilterra ha partecipato in proporzioni predominanti (circa 7.900.0(.0 sterline) al Prestito .Internazionale emesso a favore dell'Ungheria sotto gli auspici della Società delle Nazioni nel 1924, ed ha partecipato altresì per 1.600.000 sterline nel collocamento di Buoni del Tesoro ungheresi. Tra il 1926 e 1927 sono state collocate 2.250.000 sterline di obbligazioni municipali ungheresi. Bisogna aggiungere a questi gli interessi bancari rappresentati da una partecipazione di cinque milioni di pengoes al capitale azionario della British and Hungarian Bank e da 98.000 sterline di cartelle ipotecarie emesse sul mercato inglese. Vi sono anche partecipazioni nella Cassa di Risparmio di Budapest, che ha collocato a Londra per 500.0GO sterline in cartelle fondiarie e nella Banca Commerciale di Pest, che ha emesso a Londra circa 300.COO sterline di buoni municipali. Vi è infine l'esposizione a breve termine delle Banche inglesi verso le Banche ungheresi che si ragguaglia a una cifra tra i 4 e 5 milioni di sterline, soggetta a regime di

moratoria mediante accordi per periodi variabili, di cui l'ultimo scaduto il 1° febbraio u.s., che fa capo ad un Comitato dei creditori costituito presso la Martins Bank.

Tutto questo rappresenta un blocco assai cospicuo di interessi privati. Questi sono interessati nel successo degli Accordi Triangolari e nel loro allargamento. « Se l'Italia -mi è stato detto -trova modo di aprire le proprie porte alle esportazioni ungheresi, offrirà un primo interessante sbocco alla produzione agricola ungherese. L'Ungheria è particolarmente colpita dal presente regime di autarchie economiche, le cui ripercussioni si temeva dovessero tradursi in un ulteriore deterioramento della sua situazione interna, con conseguente crescente difficoltà di far fronte al servizio degli interessi sui crediti moratoriali ed tn modo da rendere sempre più problematico il recupero anche parziale dei crediti stessi.

È difficile giudicare se questi scambi itala-ungheresi lasceranno all'Ungheria un margine di utile sufficiente per rialzare le prospettive dei suoi creditori esteri -se non a lunga scadenza. Comunque, dovrebbe bastare a scongiurare il pericolo di una inadempienza dei suoi obblighi per interessi e, in un certo modo, permettere un proseguimento di quelle minute liquidazioni che, con sacrifici ed attraverso varie vie (alle volte forse anche di natura alquanto discutibile) servono pure ad alleggerire la massa dei suoi debiti esteri.

È possibile che questo vada in primo luogo a beneficio dei creditori italiani. Sarebbe in contraddizione con lo spirito della moratoria, ma siccome i creàiti italiani rappresentano in fondo una quota modesta, questa eventualità non pare per ora preoccupare soverchiamente i creditori inglesi. Essi sono comunque preparati ad un sacrificio. Malgrado gli sforzi fatti sinora dall'Ungheoo e malgrado la correttezza con la quale essa ha gestito la moratoria bancaria, si è sempre in qualche modo temuto un tracollo. L'iniziativa italiana riapre prospettive di una sistemazione ordinata, se pure remota».

Questo per quanto ha riguardo agli interessi privati. Ma anche da un punto di vista generale, la City non può che essere interessata al successo della nostra politica. La City non è anti-germanica, e una politica che impegnasse l'Inghilterra a delle dirette e precise responsabilità anti-germaniche, non troverebbe favore negli ambienti finanziari inglesi, che vogliono garanzie di pace e di tranquillità, ma non il rischio che è implicito in qualunque impegno. La nostra maniera di impostare il problema austriaco -sulla base di una equa partecipazione di tutte le Potenze, compresa la Germania, alLa sua soluzione -è quello che risponde di più al punto di vista dal quale la City costantemente parte. Potrei anche aggiungere che risponde al quadro generale che gli inglesi si fanno dei loro interessi politici in Europa.

V. Questo anno di intensa attività politica europea ha messo in chiaro che l'opinione pubblica inglese si dirige costantemente contro quru Paese e quel Governo che minaccia, con la sua azione, di obbligare l'Inghilterra a far fronte agli impegni di garanzie internazionali che essa ha contratti. L'Inghilterra non vuole certo abbandonare questi impegni,

ma è decisa ad opporsi a che si verifichi per essa la necessità di eseguirli. Quando il

movimento popolare contro il Nazismo ebbe a raggiungere qui il punto massimo, una

notevole corrente si cominciò a determinare nel paese che reclainava l'abbandono delle

garanzie di Locarno (V. mio telegramma n. 800 del 16 ottobre e rapporto n. 1274 del

20 ottobre 1933) (l) prova tipica questa di quella contraddizione che è nel fondo della

politica inglese tra le premesse sulle quali essa si fonda e le conseguenze alle quali

essa si rifiuta di giungere.

La nostra politica danubiana ha incontrato qui tanto favore e tanta fiducia per la

Impostazione che v. E. ha dato ad essa di una garanzia di equilibrio e di pace in

Europa, al mantenimento della quale i paesi interessati collaborino. Su questo la City

conta per risollevare l'economia austriaca e ungherese, e il Foreign Office perché la questione austriaca non porti a delle complicazioni politiche, nelle quali l'Inghilterra ·sia obbligata a prender parte.

È opm10ne del Foreign Office che la Germania accetterà il fatto compiuto dell'indipendenza austriaca solo se si troverà di fronte a una concorde volontà delle Potenze di preservare e difendere questa indipendenza. Come ho già riferito a v. E. (V. mio telegramma n. 246) (l) Sir John Simon, nel nostro colloquio di ieri, ha particolarmente insistito sulla possibilità che l'."St.Zione della Cecoslovacchia sia portata a convergere con quella dell'Italia, sulla base del nostro memorandum danubiano. Che questo sia il concetto dal quale il Foreign Office parte è risultato anche chiaro dall'insistenza con la quale il Foreign Office è costantemente tornato in queste ultime settimane sulla affermazione che la base sulla quale V. E. ha impostato la sua politica -collaborazione con gli altri Stati e mantenimento dei principi stabiliti a Stresa -è quella sulla quale si fonda il favore e la fiducia inglese nella sua saggezza e nel suo successo (V. telegrammi

n. 197 (2) e 229 (3). Questa fiducia non è scevra di qualche riserva e di qualche preoccupazione. La riserva alla quale ha fatto cenno il comunicato Reuter del 14 marzo: che il Governo Britannico consideraV'a con vivo favore le conversazioni di Roma come ogni piano di ricostruzione economica del Bacino Danubiano che « non contenga germi di rivalità politiche» (V. tel. n. 209) (4). La preoccupazione che la Jugoslavia, per timore di un aumento dell'influenza italiana nel Bacino Danubiano, si voJga verso la Germania, e che la Romania per timore di una revisione delle frontiere ungheresi, si volga contro di noi, trascinando con sè la Piccola Intesa. Ma sono riserve e preoccupazioni lontane. Quello che vi è di concreto e di positivo è che l'Inghilterra comincia a credere che sia veramente possibile mantenere l'indipendenza dell'Austria, e che tale indipendenza risponda a un interesse generale di equilibrio tra le Grandi Potenze, e nel sistema delle garanzie territoriali e diplomatiche dell'Europa -e dunque ·ad una necessità permanente, che debba essere difesa sopra una base permanente di interessi, e non solo nell'impeto effimero di una opposizione popolare al Nazismo, che se in Inghilterra è tuttora viva, e la Germania fa tutto il possibile per mantenere viva, non rappresenta tuttavia che un aspetto e una fase in un problema ben più complesso come è quello dei rapporti tra la Germania e l'Inghilterra.

(l) -Il passo fra asterischi, autografo del tenente colonnello Maurizio Lazzaro de Castiglion!, non è battuto a macchina. (2) -Il passo fra asterischi, autografo del generale Angelo Tua, sottocapo di Stato Maggiore, non è battuto a macchina. (3) -L'originale reca per errore 3 ma la lettera a Suvich, di pugno di Grandi è del 1° e la risposta di Mussolini [n. 88, nota 2] è del 2. (l) -Non pubblicati nel vol. X della serle VII. (2) -Non pubbl!cato nel vol. XIV della serle VII.

(l) Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 83.

(1) -T. 684/140 R. del 15 febbraio, T. 895/183 R. del 2 marzo, T. 9181188 R. del 3 marzo, non pubblicati. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, nn. 767, nota 1, p. 853 e 774. (3) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 232.

(l) Cfr. n. 22.

(l) Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 307; il telegramma non è pubblicato.

57

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1261/54 R. Atene, 2 aprile 1934, ore 13,40 (per. ore 17).

Senatore Michalacopoulos comunicami che a iniziativa sua e Venizelos e altri capi opposizione era stato richiesto a ministro degli affari esteri presentare Senato protocollo segreto patto balcanico, intendendone discutere clausole allo scopo evitare che esso fosse, in qualsivoglia modo, contrastante con politica seguita sino ad ora da Grecia verso Italia.

Ministro degli affari esteri avendo rifiutato presentare tale documento in seguito accordi presi con altri firmatari patto, Michalacopoulos e Venizelos e altri capi opposizione hanno chiesto e ottenuto che Governo ellenico faccia in seduta odierna dichiarazioni ben più vaste ed esaurienti di quelle già fatte

(-4) T. 143/209 R. del 14 marzo, non pubblicato.

Camera allo scopo di stabilire che Grecia in seguito patto balcanico non potrà mai e per qualsiasi combinazione ess!;!re chiamata a partecipare a conflitto con «grandi Potenze Mediterraneo» intendendo così designare Italia.

Invierò testo tale dichiarazione (l).

(1) -Cfr. n. 47. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 783. (3) -Cfr. n. 22.
58

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1300/062 R. Vienna, 2 aprile 1934 (per. il 7).

Mio telegramma n. 150 (2).

Starhemberg mi ha dato avant'ieri lettura di un accordo intervenuto fra di lui ed il maggiore Stepan, nuovo segretario generale del fronte patriottico. L'accordo consacra il punto principale già segnalato a V. E. col mio rapporto riservatissimo n. 640 del 26 marzo (3): ossia che tutti i corpi militarizzati (pur lasciati nelle loro attuali unità e con le loro attuali denominazioni) dovranno formare, sotto l'immediata direzione dello Starhemberg, quale vice presidente del fronte patriottico, la milizia di esso fronte.

Quest'accordo, di piena soddisfazione dello Starhemberg, che lo ha di fatto proposto, è già stato sottoposto al cancelliere, che non ha mosso osservazioni di sorta: tuttavia l'approvazione di esso resta necessariamente subordinata all'altra connessa questione se cioè detti corpi militarizzati debbano essere sottoposti ad uno speciaJe ministero (cioè quello che vuolsi nominare dell'educazione fisica), oppure restare alle pratiche dipendenze del ministero della sicurezza, come attualmente. In questo secondo caso, e me ne ha fatto un fugace accenno lo Starhemberg, la situazione diverrebbe delicata, giacché la sola e vera autorità preposta a detti corpi continuerebbe effettivamente ad essere quella del ministro della sicurezza, cioè del Fey, creandosi così una incompatibilità con le nuove suaccennate mansioni che dovrebbero essere affidate allo Starhemberg nella nuova organizzazione del fronte patriottico. Donde la delicata natura delle decisioni riservate al cancelliere, circa il cui atteggiamento ho già riferito a V. E. col rapporto suaccennato.

Circa la nuova costituzione confermo a V. E. che il cancelliere ha intensificato grandemente i lavori dello speciale comitato e dello stesso consiglio dei ministri, riunitisi quotidianamente nella scorsa settimana. Tuttavia, non è stata ancora trattata l'importante questione della nomina del presidente della re

pubblica. Ad ogni modo il cancelliere intende portare ogni cosa a compimento nelle prossime due settimane, e qu€sto suo int€nto appare pure dalle pubbliche dichiarazioni da lui fatte in questi ultimi due giorni.

(l) -Il testo fu inviato con il telespr. 2561/383 del 4 aprile che contiene maggiori particolari sulla seduta del Senato greco dedicata all'approvazione del patto balcanico e il seguente commento di De Rossi: «Cosi l'ultima fase di perfezionamento del Patto balcanico ha dato modo di continuare la svalutazione di questo atto, attraverso nuove critiche e appunti. Si ha l'impressione che della opportunità di esso siano dubbiosi ora anche vari membri del Governo e gran numero di uomini .politici popolari». (2) -In risposta al n. 53, Preziosi aveva comunicato con t. 1262/150 R. del 2 aprile: «Notizia circa accordo definitivo fra fronte patriottico ed Heimwehren, qui pubblicata da un solo giornale, è prematura. Negoziati relativi trovansi tuttora stato da me precedentemente descritto>>. (3) -Cfr. n. 37.
59

IL DOTTOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1273/118 R. Asmara, 3 aprile 1934, ore 19 (per. ore 1,55 del 4).

26 marzo -Saied Debbach ha chiesto conferire con me e dopo avermi annunziato che trattative saudiano-yemenite sono fallite mi ha esposto quanto segue: «Alcuni mesi fa egli chiese al Governo colonia. Eritrea aiuti di armi e munizioni per favorire liberazione Asir da dominio Ibn Saud.

Governo dell'Eritrea favorevole a tale concessione, pose come pregiudiziale il benestare dell'Imam. Attualmente Imam Yahia, che al principio doveva avere avuto qualche diffidenza su finalità partito liberale hegiazeno, ha accettato aiuto che questo vuole dare in favore Asir e perciò Debbach prega sollecita esecuzione promesse fatte. In tal senso egli ha telegrafato ieri a S. E. il governatore dell'Eritrea, indicando anche persona alla quale dovrebbero essere consegnate armi e munizioni.

Debbach, data urgenza aiuti e in tema che Imam abbia a cambiare idea o anche ad accordarsi con Ibn Saud, prega Governo dell'Eritrea urgente consegna materiale bellico, o, se ciò non è possibile, voglia compiacersi pronta comunicazione che tale materiale bellico è stato consegnato al rappresentante da lui indicato, bastando per Debbach la comunicazione in proposito in questo momento in cui ha potuto ottenere autorizzazione Imam Yahia, anche se effettivi aiuti tarderanno ad essere inviati, desiderando egli, appena ricevuta tale assicurazione, recarsi colonia Eritrea per conferire (l).

60

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 3 aprile 1934.

L'Ambasciatore Von Hassell parte domani per Berlino.

È venuto per sapere se avevamo niente di particolare da far dire a Berlino.

Gli ho risposto che non vedevo nulla che potesse costituire in questo momento oggetto di comunicazioni particolari; d'altra parte l'Ambasciatore era al corrente dei nostri punti di vista sulle questioni principali che si dibattono in questo momento e avrebbe potuto farne oggetto di conversazioni col suo governo.

Passando in rassegna tali problemi principali l'Ambasciatore mi chiede, a proposito del disarmo, se abbiamo qualche nuova informazione.

Gli dico che siamo in attesa di conoscere la risposta della Francia a Londra, risposta che ci risulta essere in preparazion.e. È chiaro che questa risposta tratterà sopratutto il problema della sicurezza.

Von Hassell ritiene che ora la sicurezza abbia un duplice aspetto: la sicurezza generale per il mantenimento della pace e quella specifica per l'osservanza della convenzione. Mi chiede come vediamo noi la questione.

Gli rispondo che non l'abbiamo ancora trattata a fondo non essendo di fronte a delle proposte precise. Ad ogni modo il punto di vista italiano è quello che in caso di infrazione agli obblighi assunti colla convenzione i partecipanti alla stessa debbano riunirsi per prendere i provvedimenti opportuni. Sarà possibile mettersi d'accordo per l'azione comune (intervento, sanzioni ecc.) e in tal caso si seguirà tale via. Non sarà possibile ottenere l'accordo, e allora ciascuno riprenderà la propria libertà. Pare che questa soluzione dovrebbe corrispondere anche al punto di vista della Francia che oggi ha il dubbio se le convenga fare una convenzione o prendersi addirittura la più ampia libertà di armamento. Noi siamo sempre dell'opinione che convenga arrivare a una convenzione perché la corsa agli armamenti è oltremodo pericolosa, sia dal lato politico, in quanto può portare con facilità a una guerra, sia dal lato finanziario, perché peserà enormemente sui nostri bilanci.

L'Ambasciatore Von Hassell condivide tale punto di vista. A quanto egli sa, la Francia vorrebbe chiedere, in caso di infrazione agli obblighi della convenzione, che fossero fissate fin da ora delle sanzioni che arrivino fino al1a rottura diplomatica, senza tuttavia giungere alla dichiarazione di guerra.

Per quanto riguarda la questione dell'Europa centrale rispondo, a domanda dell'Ambasciatore, che conviene ora lasciar terminare il lavoro ai tecnici per vedere poi, in base ai risultati che se ne avranno, quali siano le possibilità di estensione degli accordi agli altri paesi.

L'Ambasciatore ritiene logico questo modus procedendi.

Riguardo all'Austria, osservo all'Ambasciatore che la tensione fra quel paese e la Germania si è calmata e ciò anche per merito della disposizione presa in Germania di mettere da parte Habicht che rappresentava il metodo brutale e violento.

Von Hassell fa presente però che Hitler non può abbandonare i suoi uomini

come Habicht. In ciò spunta ancora qualche elemento di quel sentimentalismo

caratteristico dei tedeschi meridionali ai quali appartiene appunto il Cancel

liere (l).

Parlandomi poi in genere delle condizioni della Germania, l'Ambasciatore

Von Hassell si mostra preoccupato per la situazione religiosa e specialmente

Sembra però che in quèsto momento più che Habicht si occupi delle questioni dell'Austria un certo Proksch, che sarebbe un emigrato politico originario eU Gmi.ind, persona modesta priva di cultura politica.

Da notizie di fonte autentica m! risulta che la stampa del Reich ricevette l'istruzione di non pubblicare più alcuna notizia diretta ostile ai!'Austrla. Essa è viceversa stata auto

per la campagna promossa dal Vescovo dell'Impero Miiller, che egli considera un « gafteur » e persona di pochissima intelligenza.

(l) Per la risposta cfr. n. 86.

(l) Cfr. il seguente brano del t. per co~ricre 1560/001 R. del 26 aprile da Berlino: «D'altra fonte sempre bene informata mi è stato riferito che Hitler avrebbe dichiarato recentemente che dell'Austria non occorre più occuparsi per vario tempo e che del resto egli era sempre stato contrario alla campagna eU stampa fatta al riguardo. Vien fatto di domandarsi perché l'abbia permessa e perché abbia tollerato !I contegno provocatore del signor Habicht. Anche presentemente il cancelliere pur non prestando più ascolto a Habicht, lo conserva al suo posto.

61

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 3 aprile 1934.

Colloquio con l'Ambasciatore di Francia.

Mi ha chiesto particolari sul viaggio di S. E. Suvich a Londra e specialmente sul suo passaggio per Parigi.

Ho profittato dell'occasione per dirgli che V. E. aveva con sorpresa constatato che alcune dichiarazioni fattegli nel corso dell'ultima udienza (l) accordatagli erano state pubblicate l'indomani su alcuni giornali francesi.

Chambrun è rimasto turbato. Ha cercato di giustificarsi dicendo che in quel momento egli era preso di mira da una campagna di stampa nel suo paese e che per cercare di placarla egli si era effettivamente lasciato andare a qualche cauto accenno sul colloquio avuto con V. E., che poi i giornalisti avevano per loro conto sviluppato oltre il suo desiderio. Egli ne è profondamente spiacente e mi ha chiesto di pregare V. E. di voler benevolmente indulgere a questa sua svista momentanea e dimenticarla, conservando intatta la fiducia nella lealtà e riservatezza che egli ha dimostrato e che continuerà a dimostrare nello svolgimento della sua missione.

L'Ambasciatore mi ha detto poi di avere insistentemente telegrafato al suo governo per avere l'autorizzazione a iniziare conversazioni sulle questioni secondarie pendenti tra Italia e Francia.

62

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 3 aprile 1934.

A seguito di alcune conversazioni avute saltuariamente con l'Ambasciatore d'Inghilterra, questi è venuto iersera a trovarmi per espormi quanto credo doverti subito riferire.

rizzata a riprodurre da giornali esteri gli articoli osti"i che esci pubbl!cassero circa l'Austria.

Non bisogna credere che tutti quanti abbiano accettato senza proteste le disposizioni dettate da Hitler nei riguardi dell'Austria. La parte ultra-nazional!sta del partito è tuttora sotto una profonda impressione per lo smacco subito e nutre sentimenti di rappresaglia non solo contro Doìlfuss ma anche e soprattutto contro l'Italia fascista.

Nella situazione politica delicata in cui si trova la Germania attualmente, essendo insoluti tutti l problemi che l'interessano, l nazionalisti estremisti non potranno far altro che tenere in serbo il loro rancore. Esso però esiste e potrà manifestarsi in occasione più o meno prossima. E' bene che da parte nostra lo teniamo presente».

Il Governo inglese si preoccupa molto degli sforzi che sta facendo la Germania a Belgrado per impedire che quel Paese segua Praga nel suo riavvicinamento verso Roma.

L'Anschluss perderebbe terreno per non dire che tale pericolo sarebbe definitivamente evitato se l'Italia si intendesse con i due Membri più influenti e più importanti della Piccola Intesa.

Sir Eric dice che non bisogna perder tempo per correre ai ripari, perché mentre un anno fa la Jugoslavia era isolata e pronta ad avvicinarsi all'Italia, ora essa si sente lusingata di essere ricercata da Berlino, e si appoggia sulla Piccola Intesa e sul Patto balcanico.

La cooperazione e la pressione anglo-francese possono ancora molto a Belgrado, ma bisogna tener conto che l'influenza ed il prestigio francese vi sono diminuiti in questi ultimi mesi.

Sir Eric si domanda quali cause e quali ragioni impediscano oggi all'Italia di intendersi con la Jugoslavia. Secondo lui tre sono i punti, le questioni od i pretesti di questo profondo malessere che perpetua il pericolo di incendio nell'Europa centro-orientale.

l) La campagna fatta in Italia a proposito della Croazia ha profondamente irritato i Serbi e più specialmente Re Alessandro che ritiene Mussolini responsabile di tutto quello che si è fatto sull'altra sponda dell'Adriatico per la dislocazione e la distruzione del suo Regno.

2) L'irredentismo delle due parti.

3) Il timore di vedere l'Albania scivolare completamente nelle mani italiane o per lo meno diventare una base militare contro la Jugoslavia.

Sir Eric riconobbe meco che queste non sono ragioni serie, per accusare Mussolini e l'Italia di quanto si deplora a. Londra, ma egli non si spiega le cause della cattiva volontà e delle disposizioni d'animo degli italiani. L'Ambasciatore mi ha detto che è necessario conoscere le intenzioni dell'Italia prima che l'Inghilterra agisca insieme alla Francia con una forte pressione su Belgrado, perché è difficile trovare nell'ultimo discorso di Mussolini qualsiasi allusione o parola che possa predisporre benevolmente l'animo dei governanti jugoslavi.

Due o tre anni fa Drummond venne a Roma quando gli Jugoslavi erano

terrorizzati dall'idea che l'Italia da un momento all'altro potesse aggredirli.

Egli ne parlò francamente con Mussolini che lo rassicurò in modo tale ch'egli

poté recarsi direttamente da Roma a Belgrado riuscendo a calmare quegli ani

mi turbati in modo pericoloso per la pace europea.

Ora il compito è più difficile, ma il pericolo di un'intesa tra Berlino e

Belgrado è tale che non bisogna lasciar sfuggire il momento che, secondo il

Governo inglese, sarebbe ancora favorevole.

Qual'è la via e quali sono i mezzi?

Drummond ha fiducia e stima del ministro Ducic che gli ha riferito essere

stato invitato da Mussolini a chiedergli direttamente udienza ogni volta lo

credesse utile o necessario.

Drummond ritiene che Mussolini, parlandogli chiaro e con qualche facilltazione commerciale, farebbe sì che Re Alessandro si decidesse a stenderei la mano. Se Mussolini non crede di agire qui, non sarebbe il caso di incaricare qualcuno di avvicinare i dirigenti di Belgrado onde neutralizzare l'azione dell'inviato speciale di Hitler?

Sir Eric ritiene (ciò che ho capito essere il desiderio di Londra) che si dovrebbe cercare di rischiarare l'orizzonte sull'Adriatico prima che tu, caro Suvich, varchi la Manica.

P. S. -Per tua norma io tornerò a Praga verso la fine del mese per definire la questione dell'Ordine di Malta.

(l) Il verbale di questa udienza non si è rinvenuto.

63

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI

T. PER CORRIERE 455 R. Roma, 4 aprile 1934, ore 11.

Suo telegramma n. 55 (1).

Effettivamente alcuni giornali e in particolare il Tevere e il Lavoro Fascista hanno da ultimo pubblicato qualche battuta polemica contro il patto balcanico, prendendo lo spunto da presunte rivelazioni pubblicate da agenzia Oriente.

Pubblicazioni non hanno però avuto ulteriore seguito specialmente nei confronti greci.

È stata raccolta e pubblicata anche smentita ellenica. Questa legazione di Grecia ha espresso rincrescimento del suo Governo per pubblicazioni avvenute. È stato risposto che esse erano state fatte come è in realtà da giornali e agenzie al di fuori di ogni controllo governativo.

64

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1289/062 R. Parigi, 4 aprile 1934 (per. il 6).

Riferimento al telespresso n. 210313/C. senza data CS.I.I.) pervenuto alla

R. ambasciata il 2 corrente (2).

A proposito della definizione di garanzia, riferita alla fine del citato telespresso, che il segretario generale del Quai d'Orsay, signor Léger, ha data a codesto ambasciatore di Francia, osservo che a una domanda analoga da me formulata il 23 marzo scorso, a Roma, il conte de Chambrun ha risposto in modo forse più preciso. Le garanzie di esecuzione invocate dalla Francia dovrebbero costituire «un atto di solidarietà effettiva nel caso in cui i controllori segnalassero che la convenzione è stata violata». Ho riferito i particolari della conversazione alla quale mi riferisco nel promemoria in data 23 marzo che ho diretto a S. E. il sottosegretario di Stato, prima di lasciare Roma (l).

Circa l'effettiva, pratica portata delle garanzie d'esecuzione che la Francia solleciterà nella risposta, in preparazione, all'ultima comunicazione inglese, si mantiene qui il più assoluto riserbo. Dopo Barthou (mio telegramma n. 144) (2) ho visto il collega britannico, ma non sono riuscito ad aver nessuna più precisa indicazione. Lord Tyrrell mi ha dichiarato di non essere informato delle intenzioni di Barthou. Il ministro degli esteri avrebbe detto a lui quello che ha detto a me e cioè che non può dire nulla prima di aver portato la questione davanti ai suoi colleghi di Gabinetto.

Nell'ultima conversazione che ho avuta con lui, Barthou mi ha anche detto di non escludere che egli possa trovarsi in disaccordo coi colleghi, e ha aggiunto che se non riuscisse a far prevalere le sue idee, egli resterebbe egualmente nel Gabinetto, non sembrandogli opportuno determinare una crisi in questo momento. La qual cosa spiegherebbe, almeno fino ad un certo punto, l'estrema riserva del Quai d'Orsay nel manifestare il suo punto di vista nella questione delle garanzie d'esecuzione, per l'opposizione che esso incontra nel seno del Gabinetto.

Col ritorno a Parigi, fra oggi e domani, dei principali uomini di Governo e politici, assentatisi per le ferie pasquali, vi sarà, lo spero, maggiore probabilità di raccogliere notizie.

(l) -T. 1258/55 R. c\el 2 aprile, non pubblicato (2) -Comunicazione del n. 21.
65

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, VASSIF BEY

APPUNTO. Roma, 4 aprile 1934.

Ho convocato l'Ambasciatore di Turchia e gli ho chiesto informazioni e eventuali spiegazioni sulle dichiarazioni fatte da Tewfik Ruschdi bey al Ministro d'Austria a Ankara secondo le quali la Turchia appoggerebbe la Jugoslavia nella opposizione ai Patti di Roma (3).

L'Ambasciatore di Turchia mi ha detto constargli nulla in proposito, di non credere la notizia esatta. Ad ogni modo se ne sarebbe informato e mi avrebbe riferit-o (l) .

Si sono discusse poi le modalità per le dichiarazioni che devono accompagnare la firma dell'accordo commerciale.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 48. (3) -Cfr. n. 36.
66

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 3249/71 P. R. Roma, 5 aprile 1934, ore 19.

Risulta codesto Governo aver arrestato alcuni capi croati profughi in Austria, perquisito loro abitazioni e, secondo notizie confidenziali, comunicato Governo Belgrado risultato perquisizioni stesse (2).

Prego V. S. intrattenere su argomento cancelliere chiedendogli se tutto ciò risponda nuove direttive Governo austriaco e quale scopo miri (3).

67

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1303/063 R. Vienna, 5 aprile 1934 (per. il 7).

Al Ballplatz si insiste sul punto che il Governo di Berlino, lungi dall'ab

bandonare o dal modificare le sue mire sull'Austria, dimostrerebbe al contrario

sempre più di voler fare di essa il punto capitale della sua politica.

Il sintomo più chiaro e più importante sarebbe dato dalla intensificata

politica di allettamenti effettuata dalla diplomazia tedesca nelle capitali della

Piccola Intesa, sulla duplice base della lusinga economica e dell'interesse co

mune della Germania e dei singoli Stati del centro Europa a frustrare il pre

teso imminente pericolo absburgico. Ciò avverrebbe tanto a Belgrado, quanto

a Praga ed a Bucarest. L'azione sarebbe tuttavia vivissima in Jugoslavia, dove

si speculerebbe non solo di nuovo su di un possibile allargamento dei confini

di quello Stato, a spese della Carinzia, ma anche sulla minaccia della restau

razione absburgica, insistendosi sulle disposizioni legittimiste prevalenti in Croazia ed in Slovenia Cal riguardo, segnalo avermi detto Starhemberg che in queste due regioni il legittimismo avrebbe raggiunto fmme di vera e propria « frenesia »); e sarebbe anche evidente a Praga.

Aggiungo che i piani politici tedeschi per l'Europa centrale e per il vicino Oriente continuano qui ad essere rappresentati in modo analogo alla pubblicazione fatta di recente dalla Reichspost, e sulla quale mi permisi di attirare l'attenzione di V. E. con il mio telespresso n. 693 del 31 marzo Cl).

Infine segnalo la sempre maggiore attenzione che qui si presta alla lotta religiosa in Germania; ritiensi che essa è destinata ad avere grandi ripercussioni nei riguardi dell'Austria, approfondendo l'antinomia spirituale intercedente fra i due Stati limitrofi.

(l) -Da un successivo appunto di Suvich risulta che Vassif bey, dopo aver chiesto informazioni ad Ankara, aveva comunic·ato quanto segue: «Tcwfik Ruschdi bey ha fatto al Ministro d'Austria le seguenti dichiarazioni: che la Turchia assumeva di fronte agli accordi di Roma una benevola neutralità e che attendeva di conoscere l'esito dei negoziati in corso». (2) -Cfr. n. 51. (3) -Per la risposta cfr. n. 72. tn fll
68

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DEL BELGIO A ROMA, LIGNE

APPUNTO. Roma, 5 aprile 1934.

Il principe de Ligne è venuto ad informarmi sull'esito dei colloqui tra Bartllou e Hymans. Egli mi mostra una nota confidenziale ricevuta dal Ministro Hymans in cui si rileva l'inesattezza del comunicato Havas che fa apparire un'assoluta solidarietà tra Francia e Belgio per ogni evenienza. Nelle conversazioni il Ministro Hymans ha tenuto a chial'ire che il Belgio non intendeva essere coinvolto in qualunque caso in un conflitto, ma si riservava di esaminare di volta in volta se interveniva o meno il « casus foederis ». Tuttavia il Ministro Hymans, data la delicatezza dell'argomento, non intende fare delle rettifiche a detto comunicato.

L'Ambasciatore de Ligne mi può assicurare che il punto di vista del Belgio, come è espresso nelle dichiarazioni di De Broqueville -punto di vista che si identifica quasi con quello italiano -rimane immutato. Certamente il Belgio, data la sua situazione, non può che accogliere con tutto il favore un sistema di sicurezza quando però questo offrisse delle garanzie effettive.

A proposito delle dichiarazioni di De Broqueville, il Ministro Barthou ha detto a Hymans che i francesi erano rimasti molto «peinés » per l'affermazione che i tedeschi avevano ragione di riarmare. Il Ministro Hymans ha chiarito che questa affermazione non era stata mai fatta, che si era soltanto constatato il fatto del riarmo della Germania, cosa del resto che avevano fatto anche gli altri come gli italiani.

L'Ambasciatore del Belgio informa ancora che il signor Bourquin, delegato del Belgio a Ginevra, ha avuto occasione di parlare a Parigi con Massigli sull'attuale fase della questione del disarmo. Il signor Massigli gli ha detto che la Francia di fronte al progetto inglese doveva assumere un atteggiamento di

netta ripulsa in quanto gli inglesi pretendevano di armare i tedeschi e disarmare contemporaneamente i francesi. Viceversa la Francia non assumeva un atteggiamento negativo di fronte ai progetti italiano e tedesco. Tuttavia per la Francia la questione non è tanto quella del volume degli armamenti tedeschi, quanto quella del momento in cui tali armamenti dovrebbero avere inizio. La Francia insiste sempre per un differimento di tre o quattro anni. Il signor Bourquin ha riferito al Ministro belga che, secondo la sua impressione, la Francia tende ad avere questo periodo di prova per dimostrare nel frattempo qualche infrazione da parte della Germania e avere una giustificazione per buttare all'aria la convenzione del disarmo.

L'Ambasciatore ritiene che questo pensiero sia forse eccessivamente machiavellico. Tuttavia sa che la stessa impressione si ha anche in Germania. A mia richiesta il Principe de Ligne mi dice non constargli in che cosa consistano le proposte di sicurezza che la Francia sta elaborando.

(l) Telespr. 1360/693, non pubblicato: l'articolo della Reichspost riferiva tra !altro che secondo i circoli nazionalsocialistl l'Austria era importante per la Germania solo in quantovia d'accesso all'Oriente.

69

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. U. R. 1287/587. Mosca, 5 aprile 1934 (per. il 12).

Col mio telegramma filo in data 2 corrente (1), io informavo la E. V. che, in un colloquio avuto lo stesso giorno con Litvinov, questi mi aveva avvertito di una forte, persistente inquietudine suscitata ad Ankara dal discorso del 18 marzo (2). Litvinov aggiungeva pure trattarsi non di una personale reazione di Tewfik Ruschdi Bey, ma bensì di Ismet Pacha e dello stesso Ghazi.

Non potei a meno di fare in proposito le mie più ampie meraviglie. Osservai a Litvinov che se egli aveva letto, come non dubitavo, per intero il discorso del Duce, doveva bene ricordare le inequivoche precisioni da lui fornite: «Nessuno fraintenda la portata di questo compito etc. etc.».

Litvinov mi assicurò di ricordare benissimo queste parole, di non avere anzi

mancato, in base ad esse, di richiamare Ankara -anche in considerazione

della stessa occasione del discorso -ad una più serena visione della realtà.

Ma l'attitudine di Ankara non sembrava di essere per questo affatto mutata e

ciò forse, aggiungeva Litvinov, in conseguenza di articoli di stampa come quello

del Regime Fascista (sembra del 26 (l) marzo) che avrebbe accentuato il carattere <<attivo» dell'opera di penetrazione italiana ed espansione auspicata dal Duce, ed aggiunto specificazioni geografiche di evidente interesse per la Turchia.

In proposito, Litvinov mi menzionò, fra le altre regioni, anche il Mar Nero. Pur non ritenendo che Litvinov volesse, nell'occasione, mettere in bocca ad altri quello che avrebbe forse voluto dire egli stesso, credetti ad ogni buon fine di tagliar corto, dicendo:

-che ignoravo l'articolo del Regime Fascista a cui comunque non riconoscevo la funzione di dare interpretazioni autentiche dei discorsi del Duce;

-che le parole del Duce erano nitide, inequivoche e quindi non suscettibili di essere misinterpretate se non in mala fede;

-che pertanto, se la Turchia aveva creduto di doversene risentire, questo mostrava soltanto (con ciò mi riferivo ad un accenno fattomi da Litvinov a possibili mutamenti negli atteggiamenti politici della Turchia nei nostri confronti) che essa aspettava una qualunque <<occasione» per farlo;

-che comunque non sapevo cosa la Turchia avrebbe potuto fare.

Avendo cercato sopra questo ultimo punto di ottenere da Litvinov delle precisioni, non ci riuscii, il mio interlocutore sembrando peraltro ammettere la giustezza della mia affermazione essere cioè la Turchia in cerca di << occasioni».

Dato anche che Litvinov. quasi allora uscito dalla clinica, era visibilmente sofferente e parlava con difficoltà, non ritenni di insistere con lui, ma mi ripromisi di approfondire la cosa ulteriormente con Karakhan, che è il luogotenente del Kremlino per la Turchia.

Ciò mi è riuscito di fare proprio ieri. Karakhan mi ha confermato le notizie datemi da Litvinov, precisando anzi che l'eccitazione di Ankara sopravvive alle spiegazioni ed assicurazioni che già gli risultavano date da parte nostra a Vassif Bey per bocca di S. E. Suvich. Proseguiva dicendo che la cosa non lo preoccupava solamente in se stessa e cioè dal punto di vista delle relazioni immediate fra Italia e Turchia, la cui amicizia era ritenuta dall'URSS essenziale per la pace nell'Oriente mediterraneo, ma anche in relazione a possibili incitamenti che la Turchia avesse potuto, a torto od a ragione, trarre per ulteriori scantonamenti nella politica balcanica, scantonamenti deprecati e deprecabili dall'URSS non meno che dall'Italia. E qui Karakhan mi ricordò che fin dal novembre scorso, quando cioè egli si recò ufficialmente ad Ankara come rappresentante del Governo sovietico per le feste del Decennale turco, egli aveva potuto rilevare un certo raffreddamento nei rapporti itala-turchi, raffreddamento che, secondo lui, aveva contribuito a determinare la nota attitudine della Turchia a proposito del Patto Balcanico. Karakhan aveva vivamente e personalmente sconsigliato Tewfik Ruschd.i Bey dal cacciarsi in quel

ginepraio. Analoghi avvertimenti erano stati dati da Litvinov qui all'Ambasciatore turco. Ma la Turchia aveva insistito ed è noto a quale prezzo. Orbene, Karakhan attribuiva tutto questo ad un rifiorire di diffidenze turche nei riguardi dell'Italia. Ma perché? Forse per un riaffacciarsi di mal sopite preoccupazioni per mire espansionistiche italiane in Anatolia?

Karakhan non ha saputo (o voluto) indicarmi niente di preciso al riguardo. Alla mia osservazione, peraltro, che la Turchia non aveva da temere la nostra espansione in Asia Minore; -così come è stata qualificata dal discorso del Capo del Governo -più di quello che l'URSS potesse temere quella ad esempio nel Mar Nero, Karakhan rispondeva di comprendere benissimo tutto questo, e di aver cercato di farlo comprendere ad Ankara ma senza apprezzabile risultato.

-Ma se, dissi, S. E. Suvich ha dato delle spiegazioni, che immagino naturalmente esaurienti a Vassif Bey, cosa potremmo fare di più?

-Non so, mi diceva Karakhan, ma forse non sarebbe da trascurare una qualche conversazione diretta con Tewfik Ruschdi Bey nel c'aso che questi si recasse a Ginevra.

Osservato che certamente se Tewfik Ruschdi Bey e S. E. Aloisi si fossero incontrati a Ginevra, una spiegazione fra i due non sarebbe mancata e si sarebbe prodotta naturalmente, io portai la conversazione sopra quelle che secondo Karakhan potessero essere le reazioni turche nei nostri riguardi sul terreno concreto della politica internazionale.

Su questo Karakhan, riprendendo l'accenno fugace già fattomi al principio della sua conversazione, non mancava di precisare che egli temeva sopratutto che la Turchia, distaccandosi progressivamente dall'Italia, si sarebbe trovata automaticamente sospinta sempre più verso una politica balcanica pericolosa e tendenzialmente antitaliana. Egli per esempio temeva che nel prossimo viaggio di Jeftic ad Ankara, Tewfik Ruschdi Bey avesse potuto sentirsi attratto a intrigare con la Jugoslavia, a sua volta, questa, desiderosa di nuove amicizie e di nuovi contrappesi in ragione istessa della diminuzione dell'amicizia e dei contrappesi finora trovati a Parigi. Karakhan riteneva che una azione tempestiva da parte nostra avrebbe potuto impedire, o almeno limitare, queste possibilità. Egli mi prometteva, comunque, appena ritornato a Mosca l'Ambasciatore di Turchia, atteso prossimamente, di interrogarlo al riguardo e di farmi conoscere riservatamente i risultati della conversazione avuta.

Con queste indicazioni da parte di Karakhan, potevo ritenere raggiunto lo scopo della mia conversazione e dei miei sondaggi. Nel trasmettere le indicazioni stesse alla E. V., tengo soltanto ad assicurare che esse hanno, in ogni caso, carattere ed intenti di amicizia per noi. Ciò le raccomanda, anche indipendentemente dal loro valore di merito, alla nostra benevola considerazione, tanto più in relazione alle dichiarazioni a suo tempo, in materia di politica balcanica, fatte direttamente da Litvinov a V. E. in occasione della sua visita a Roma.

Il -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

(l) -T. 1264/61 R., non pubblicato. (2) -Cfr. n. l, nota l.

(l) Annotazione a margine: « 22 ».

70

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1307/208 R. Shanghai, 6 aprile 1934, ore 12 (per. ore 4 del 7).

Mio rapporto riservato n. 97 (1). In seguito alla notizia della sua prossima partenza, ho chiesto a Soong Tse Ven di andare a vederlo ed ho avuto una lunga conversazione con lui. Gli ho domandato se contava di potere, prima di partire dar risposta alla mia comunicazione del 9 febbraio.

Soong Tse Ven ha cominciato col dirmi che in questi ultimi mesi si era verificato un grande cambiamento nella situazione generale ai suoi riguardi: «Oggi non sono più al. potere», ha detto, e ha aggiunto delle considerazioni sugli uomini di Governo di Nanchino per !asciarmi intendere che suoi rapporti con questi sono tuttaltro che buoni.

«D'altronde -ha soggiunto -per provarvi che le mie disposizioni verso di voi non sono cambiate spero molto presto di darvi delle comunicazioni circa una nuova forma di collaborazione italo-cinese che, pur non essendo una collaborazione tra i due Governi come quella proposta al Duce, non sarà per questo meno interessante per il vostro paese».

Gli ho domandato se poteva dirmi qualche cosa come materia e forma di questa nuova collaborazione ed egli mì ha detto che essa sarebbe stata nelle sue linee generali simile a quella proposta a V. E. nell'estate scorsa (2), ma che non avrebbe avuto carattere governativo. Oggi Soong Tse Ven -dopo avermelo personalmente preannunziato per telefono -mi ha fatto rimettere dal signor Tze Tzo Kay la lettera personale e confidenziale che riproduco qui di seguito nella sua traduzione letterale:

« Confermando la mia conversazione confidenziale con V. E. di avantieri, desidero informarla che in conseguenza situazione interna e internazionale si è verificata l'impossibilità di mettere in esecuzione il progetto di collaborazione italo-cinese sulle linee sottoposte da me a S. E. il Capo del Governo a Roma. Durante però, gli ultimi mesi ho atteso ad organizzare una corporazione privata rappresentante tutte le più importanti banche in Cina, inclusa la Centrai Bank, la quale funzionerà da mezzo per assolvere la cooperazione economica con i vari paesi stranieri. Questa corporazione -la Chinese Development Finance Corporation -è stata ora costituita ed è mio proposito di assegnare ad essa il compito di portare innanzi il programma di collaborazione abbozzato nella mia visita a Roma e secondo progetto specifico indicato nella mia lettera dell'8 febbraio.

Tale corporazione essendo di carattere privato e non politico è perfetta

mente libera di concludere affari qualsiasi genere con qualsiasi paese le piac

cia ed è perciò libera da qualsiasi influenza esterna. V. E. può quindi ritenere

che per quanto lo strumento di esecuzione venga ad essere mutato, i progetti

in questione restano inalterati.

Direttore generale della corporazione sarà signor Tze che ha istruzioni di recarsi a visitarla presentando questa lettera. Signor Tze deve essere considerato come nominato da me per discutere particolari con persona che potrà essere nominata dal vostro Governo~.

Signor Tze mi ha chiesto se credevo che R. Governo potesse interessarsi ai quattro punti contenuti nella lettera di Soong Tse Ven dell'8 febbraio (comunicata a V. E. con il mio rapporto predetto).

Gli ho risposto che mi sembrava che tutti i quattro argomenti erano suscettibili di attirare l'attenzione di V. E., che però per potergli dare una risposta più precisa mi occorreva conoscere qualche particolare, cioè sapere almeno quale fine nell'idea di Soong Tse Ven collaboraziòne ch~esta all'Italia, se finanziario o tecnico o se entrambi e 1n quale misura reliquato boxers ... (1). Ciò mi era neeessario non solo per manifestare il mio parere a V. E. sulla opportunità o meno di accogliere proposta ma anche per poter mettere in grado R. Governo di nominare eventuale suo rappresentante che avrebbe dovuto discutere con lui.

Gli ho detto che nome di Soong Tse Ven godeva in Italia grandissimo prestigio, che però prima di pronunciarmi e telegrafare a V. E. credevo necessario avere qualche maggior particolare da comunicare.

Signor Tze mi ha risposto che non era in grado di dare una risposta subito perché era stato incaricato della cosa soltanto due giorni fa. Che avrebbe parlato con Soong Tse Ven e che mi avrebbe riferito ulteriormente.

Mi riservo di telegrafare a V. E. se e appena mi verranno fornite informazioni richieste; credo però fin da ora ovvio rilevare che qualsiasi forma sarà in avvenire per assumere e su qualsiasi materia sarà per vertere nuovo progetto, esso non emanerà più da Governo Nanchino direttamente e nemmeno da Concilio economico nazionale, bensì da impresa privata, sia pure diretta da personalità come Soong Tse Ven.

Impiego di capitali italiani· in tali condizioni dovrà essere, a mio subordinato parere, esaminato con differente criterio da quello richiesto per progetto primitivo che, se realizzato nella sua forma originaria, avrebbe impegnato responsabilità del Governo Nanchino.

Per questa nuova fase assunta dalla progettata collaborazione italo-cinese, gradirei conoscere direttive di massima di V. E. Informo ad ogni buon fine che Soong Tse Ven mi ha detto per ragioni personali ha rimesso di 10 giorni sua partenza.

(l) -Non pubblicato. (2) -C!r. serie VII, vol. XIII, n. 982.
71

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 3288/72 P.R. Roma, 6 aprile 1934, ore 14.

Comunichi a Dollfuss mio compiacimento per costituzione fronte patriottico ex combattenti alla sua dipendenza e attiri sua attenzione sulla necessità di preparare fin d'ora con cura le manifestazioni previste per giorno Ascensione che devono riuscire imponenti.

(l) Gruppo indecifrato.

72

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3355/156 P.R. Vienna, 6 aprile 1934, ore 22 (per. ore 4 del 7).

Telegramma di V. E. n. 71 (1). Cancelliere austriaco mi disse di essere assai vagamente al corrente dei fatti da me riferitigli e che pertanto mi avrebbe fatto immediatamente dare ogni ragguaglio dal competente ufficio. Ma egli teneva intanto a dichiararmi nel modo più esplicito, in risposta alle mie richieste di carattere politico, che non era nemméno il caso parlare cambio direttive o di nuovi scopi. Mi sono quindi recato dal direttore generale affari politici che mi ha fatto una lunga cronistoria.

Questa corrisponde alle notizie già fatte da polizia a commissario Modrini e di cui al telespresso n. 646 del 28 marzo u.s. (2) dall'oggetto «fuorusciti croati l).

Altri elementi fornitimi sono i seguenti:

l) che il commissario polizia addetto legazione di Jugoslavia ha presentato questi ultimi tempi a questa polizia numerose istanze con ogni preciso dato (connotati, indicazione passaporti posseduti, nomi falsi, indirizzi, elementi circa partecipazione attentati) e polizia si è vista obbligata a procedere;

2) che risultanze (ritrovamento ecc.) sono state gravi.

Esse indicherebbero una attività terroristica che non potrebbe essere ulteriormente consentita su territorio repubblica federale. Cosicché è prevista espulsione di tre su cinque arrestati. Per gli altri due gravemente incriminati Governo jugoslavo può chiedere

estradizione la quale, stante attuale trattato e natura politica crimine, verrà con ogni probabilità negata da autorità giudiziaria;

3) che per quanto riguarda colonnello Percevic, di nazionalità ungherese e che si è da tempo allontanato da Vienna, perquisizione operata suo domicilio aveva avuto risultati assai gravi, tanto da far prevedere decreto espulsione.

Segnalo alla E. V. altresì che predetto funzionario mi ha accennato di passaggio a misure espulsione e di controllo prese dalla R. autorità nei riguardi propagandisti nazisti in Jugoslavia e specialmente a Maribor.

Ma da parte mia ho tratto impressione che anche questa volta come già mesi fa, trattasi soprattutto di debolezze austriache verso Jugoslavia, aggra

vate dal fatto che, evidentemente stretti rapporti del servizio polizia di questa legazìone jugoslava con alcuni elementi polizia locale mettono predetto rappresentante diplomatico in grado formulare denunzie precise e circostanziate.

(l) -Cfr. n. 66. (2) -Non pubblicato.
73

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1294/458. Londra, 6 aprile 1934.

Il Foreign Office ha iniziato in questi giorni delle consultazioni con l'Ammiragliato destinate a iniziare il lavoro di preparazione per la Conferenza Navale del 1935. L'Ammiragliato desidera che tale Conferenza abbia luogo nei primi mesi dell'anno venturo, per la considerazione, già fatta presente dai delegati britannici alla Conferenza di Londra, che è necessario alle Autorità Navali avere davanti a loro il tempo necessario per la preparazione dei piani delle nuove navi di linea conformi alle caratteristiche che saranno convenute, e tali navi dovranno essere impostate ai primi del 1937 perché il rimpiazzo delle unità antiquate dell'armata britannica non sia troppo ritardato.

Per rispondere a questa esigenza il Foreign Office pensa che sarà utile che il Governo britannico si metta, appena possibile in comunicazione con i Governi firmatari del Trattato di Washington e del Trattato di Londra e abbia con essi un primo scambio di idee circa: l) la data della Conferenza; 2) il luogo dove la Conferenza dovrà riunirsi; 3) la procedura da seguire.

Per quanto riguarda il 1° punto ho detto già quali sono le idee dell'Ammiragliato; per quanto riguarda il luogo di riunione della Conferenza mi è stato detto al Foreign Office che si era pensato a Tokio, ma che questa idea doveva essere scartata per la evidente difficoltà di carattere pratico che una Conferenza a Tokio presenterebbe. Ancora il Governo inglese non ha alcuna idea sull'argomento, ma mi è sembrato di intendere che esso preferirebbe dopo tutto che la Conferenza si tenesse a Londra.

Circa la procedura da seguire le idee sono ancora abbastanza vaghe. In una conversazione che ho avuto con il Signor Craigie, il quale continua ad essere incaricato delle questioni relative al disarmo navale, egli mi ha detto che a suo avviso bisognerebbe evitare che la conferenza venisse subito impiantata come riunione di tutte le Potenze interessate negli armamenti navali. Una tale conferenza prenderebbe subito l'andamento della Conferenza del Disarmo, la quale ha provato quanto sia difficile condurre innanzi dei negoziati collettivi fra un numero grandissimo di Stati. La sua idea sarebbe piuttosto di cominciare con una riunione dellP. Potenze firmatarie dei Trattati di Washington e

di Londra, riunione la quale potrebbe dare una prima idea delle possibilità concrete di un accordo, e preparare il terreno per la riunione generale.

Ho chiesto allora al signor Craigie se egli aveva preso in considerazione il fatto che con questa proc·edura si sarebbero escluse all'inizio dai lavori della Conferenza tanto la Germania quanto l'U.R.S.S. Egli mi ha detto che non aveva ancora ben studiato la cosa, ma che qualora si pensasse alla riunione delle Potenze firmatarie di Washington e di Londra, non sarebbe possibile fare eccezione per l'U.R.S.S. e per la Germania senza sollevare le proteste di altri Stati, come la Polonia e la Spagna, che ritengono di dover essere considerate in questioni che essi considerano più che altro dal punto di vista del loro prestigio internazionale. Gli ho chiesto allora come egli pensasse di evitare che la riunione delle Potenze firmatarie e un accordo preliminare tra esse non desse alla Germania e all'U.R.S.S. l'impressione che si volesse mettere questi due Governi davanti a un fatto compiuto, impressione che potrebbe rendere più difficili i negoziati con essi e forse precludere la possibilità di raggiungere un accordo generale.

Craigie mi ha detto che egli non aveva pensato a questo e che comunque egli stesso voleva riconsiderare tutti gli aspetti del problema, prima di potermi dire in maniera più precisa e definitiva il suo pensiero. Ma ha aggiunto che è naturalmente indubbio che il problema che si presenta questa volta alle Potenze firmatarie di Washington e di Londra è molto più complicato di quello che si presentasse al momento in cui questi Trattati furono conclusi. La Francia guarda con preoccupazione sempre maggiore agli sviluppi della politica navale tedesca e la presentazione del progetto di legge per la costruzione di un secondo Dunkerque ne è la prova. Il Governo giapponese sembra che voglia risollevar·e la questione di principio della quota assegnata al Giappone alla Conferenza di Washington e questo fa si che non sia possibile prolungare il Trattato di Washington senz'altro. Una volta rimesso in discussione il Trattato di Washing .. ton si ritorna su posizioni assai arretrate, e che è difficile vedere come possano essere superate. Le previsioni non possono essere perciò che assai riservate.

Ho quindi riesaminato con Craigie quelle che sono attualmente le idee del Governo inglese in materia di disarmo navale, idee che sono già note a V. E., ma che a ogni modo io qui, per maggior chiarezza, riassumo:

l) Nessuna obiezione alla parità con l'America nel tonnellaggio globale di ogni categoria di unità navali.

2) Il dislocamento massimo delle unità da battaglia deve essere ridotto a 25.000 Tonn. ed il calibro massimo dei cannoni a 305 m.m. (Se però la Conferenza convenisse di ridurre anche il dislocamento degli incrociatori, secondo quanto è detto nel paragrafo successivo, il dislocamento delle unità da battaglia potrebbe essere limitato a 22.500 Tonn. ed il calibro massimo a 280 m.m.).

3) Gli incrociatori tipo Washington non dovranno essere più riprodotti: il dislocamento massimo di questo tipo di unità dovrà essere portato a 7.000 Tonn. ed il calibro massimo a 150 mm.

4) Pur ammettendo la parità con l'America nel tonnellaggio globale degli incrociatori, l'Inghilterra intende riservarsi il diritto di costruire il numero di tali unità che essa ritiene necessario per la difesa delle sue linee di comunicazione marittima, cioè almeno 70.

5) Le navi portaerei dovranno avere un dislocamento massimo di 22.000 Tonn. e dovranno essere armate con cannoni di calibro non superi01re ai 155 m.m. Su questo punto le Nazioni sono già fin d'ora press'a poco d'accordo.

6) I sommergibili devono essere aboliti, e se questo non è possibile, il loro dislocamento deve esser·e ridotto a 250 Tonn. al massimo, in modo da impedire che possano operare in alto mare.

7) Subordinatamente all'accettazione del principio dell'abolizione dei sommergibili, il tonnellaggio globale dei cacciatorpediniere potrà essere ridotto di un terzo rispetto a quello consentito dal Trattato di Londra.

Questa è da considerarsi al momento presente la posizione del Governo inglese. Ho chiesto a Craigie se egli credeva che la costruzione del Dunkerque e gli sviluppi della politica navale francese avrebbero modificato il punto di vista inglese per quanto riguarda il tonnellaggio unitario massimo delle navi di linea. Craigie mi ha risposto, che a suo avviso, l'Inghilterra poteva «mantenere per ora la sua proposta di riduzione a 25 mila tonnellate anche se quella, alternativa e condizionata, di ridurre le navi di linea a un tonnellaggio massimo di 22.500 Tonn. si poteva considerare ormai come irrealizzabile. L'esistenza di una nave come il Dunkerque non modifica il carattere di una flotta; questo sarebbe modificato solo se il Dunkerque fosse effettivamente seguito da altre navi dello stesso tipo e dalla loro costituzione in formazioni nuove. La vera difficoltà a ridurre il tonnellaggio delle navi non viene, secondo il Foreign Office, dall'esistenza del Dunkerque, ma dall'atteggiamento americano che si mantiene ostile a qualunque riduzione del tonnellaggio unitario. Da quanto Craigie mi ha detto ho tratto l'impressione che il Governo britannico considera suo interesse abbandonare la sua proposta di riduzione del tonnellaggio massimo a 22.500 Tonn., proposta della quale esso si vuole servire probabilmente per negoziare anche su altri punti cogli Stati Uniti. Esso quindi affetta forse una maggiore indifferenza verso le costruzioni navali francesi di quanto in realtà non abbia.

Io ho tuttavia fatto notare a Craigie come la costruzione del Dunkerque e il progetto di legge presentato dal Governo francese alla Camera per la costruzione di una seconda nave di linea tipo Dunkerque non erano certo iniziative che avrebbero facilitato l'accordo perché noi non potevamo davanti a queste costruzioni prendere un atteggiamento o disinteressato o remissivo. Craigie ha convenuto che la politica navale francese non poteva essere più infelice e mi ha fatto notare anche che la Francia dopo aver fatto cadere le basi di un accordo raggiunto a Roma nel 1931 fra V. E. e il Signor Henderson non ha poi in realtà mai utilizzato i margini del tonnellaggio che essa allora reclamava. Senza dunque alcun vantaggio per sé, essa ha rinunziato all'accordo con l'Italia che sarebbe stato utile politicamente non solo nei suoi rapporti col Governo italiano, ma anche nei suoi rapporti col Governo britannico, un esempio veramente tipico della lentezza di movimento della diplomazia francese e della corta visione che gli uomini di Stato francesi hanno mostrato nel problema navale.

Nel complesso il Foreign Office non mi sembra molto fiducioso nelle possibilità di successo della Conferenza del 1935. È da tenersi anche presente che vi sono in Inghilterra forti correnti, tanto negli ambienti politici quanto in quelli navali, che sono ostili al Trattato di Londra e ne sollecitano la revisione. E vi sono anche uomini politici, come Winston Churchill, e giornali, come quelli di Lord Beaverbroock, che reclamano il ritorno alla libertà delle costruzioni navali e ad una politica navale indipendente, la quale ristabilisca le forze e il prestigio dell'armata britannica che essi considerano diminuiti in seguito all'accettazione della parità navale con l'America e delle limitazioni imposte dai due Trattati Navali. Il problema del disarmo navale sarà prossimamente discusso dal Gabinetto, e il Gabinetto costituirà, nel suo seno, un Comitato speciale di Ministri che dovrà definire la politica britannica di fronte alla Conferenza del 1935 (1).

(l) Cfr. l seguenti brani d! un promemoria del ministero della marina del 19 aprile: «II rapporto col quale S. E. Grand! riferisce le Idee del Governo Inglese sulla questione del disarmo navale nel presente momento, costituisce utile corredo alla formazione d! una conoscenza completa circa gli indirizzi presi dagli Stati principali nei riguardi della loro politica navale. Non vi è finora stata una ferma proposta per discussioni a due, a tre, o a cinque, ed è per questo che, mancando qualsiasi terreno d'intesa, ciascuno Stato, preso singolarmente, deve manifestare l punti d! vista che più gli convengono, cioè quelli sui quali prender posizione al principio della battaglia già sapendo che dovrà ritirarsi da alcuno d! essi per maggiormente rafforzarsi su altri. È questo il caso di quanto il Signor Craigie ha esposto a S. E. Grand!. Craigie nel 1930-31 era II consulente del Forci;;a Office che godeva la fiducia d! Mac Donald e che, attenendosi strettamente alle direttive dell'Ammiragliato, ha cercato di conciliare le cose salvando sempre al massimo grado gli interessi Inglesi. E questa constatazione non è da porsi in seconda linea qualora si ricerchino tutte le cause di un mancato accordo !taiofrancese... Circa l'inclusione o meno della Germania e dell'U.R.S.S. alla conferenza navale, si può osservare quanto segue: l) Tutti gli Stati armati hanno la convenienza di legare alle stesse restrizioni gli altri Stati che per la loro Importanza potrebbero dare ai propri armamenti uno sviluppo sfrenato, dannoso alla causa del disarmo ed alla sicurezza degli altri Paesi. 2) L'U.R.S.S. e la Germania, essendo potenze di primo ordine dovrebbero essere chiamate a partecipare alla conferenza non solo per dare un riconoscimento che sono delle grandi nazioni, ma principalmente perché è interesse di tutti a che intervengano e che l loro armamenti subiscano le stesse limitazioni degli armamenti degli altri. Del resto, il fatto che l'U.R.S.S. e la Germania già facevano parte della Conferenza Generale del Disarmo sta a dimostrare come questa tesi avesse già avuto una soluzione nel senso sopra indicato... Le idee inglesi d! limltar·e il tonnellaggio a 25.000 o a 22.500 e le artiglierie, rispettivamente, ·al 305 e al 280 m.m., discendono da riflessioni d'ordine economico e d'ordine strategico. Il costo complessivo d! una nave aumenta. naturalmente, col tonnellaggio e colla stessa somma se ne possono provvedere d! più per quanto più limitato è il massimo raggiungibile. L'Inghilterra, avendo molte basi, può fare a meno di una certa aliquota di tonnellaggio che altri Paesi, come gl! Stati Uniti, devono destinare al depositi del combustibile per garantire un'adeguata autonomia. Tre ostacoli si vedono sin d'ora per l'accettazione della proposta inglese: a) la nota attitudine americana che, per varcare il Pacifico, domanda navi di grande tonnellaggio armate col calibro superiore al 305; b) l'avvenuta decisione, da parte del Governo francese, d'impostare un secondo «Dunkerque >>, cosicché la Francia, al momento della conferenza, avrà in preparazione una divisione di navi da 26.500 tonnellate standard; c) la risposta italiana scaturita dalla necessità di contrastare, nella forma più adeguata, la superiorità che la Marina francese acquista col possesso di due incrociatori da battaglia armati col cannone da 330 e dotati di 29 nodi di velocità. È naturale che l'Inghilterra tenti di avanzare Ie proposte in esame, ma sulla loro accettazione si devono sollevare seri dubbi. E la stessa Inghilterra userà questo orientamento con discrezione e come materia di trattazione. Non si potrebbe rinunciare a navi che impongono cosi pesanti sacrifici finanziari senza conseguire vantaggi di grande peso in altre direzioni. Volendo fissare per il futuro navi di linea di tonnellaggio più ristretto, si potrebbe convenire che ciascuna grande potenza ha il diritto di costruire un numero limitato di unità d! tonnellaggio maggiore... le quali alla loro volta impongono all'Italia la costruzione di navi di linea colle caratteristiche massime, o quasi massime, ammesse dalle convenzioni In vigore. Senza la nave di Unea tascabile, la Francia non avrebbe probabilmente fino ad oggi preso alcuna iniziativa nella categoria delle navi di linea... Riassumendo, si può dire che sui problemi: l) tonnellaggio ed armamento delle grandi navi; 2) tonnellaggio degli incrociatori; 3) sommergibili le tesi inglesi difficilmente avranno successo. Da ciò si può concludere sulla necessità di preparare il terreno se si vuole raggiungere un accordo qualsiasi. Finché l'Inghilterra proporrà l'abolizione del sommergibili, II Giappone l'abolizione delle navi portaaerei, l'Italia l'abolizione contemporanea delle navi di linea e dei sommergibili, ciascuna Potenza proporrà di disfarsi di quelle categorie di armamenti che sono per lei meno utili, conservando invece quelle dalle quali essa deduce specifici vantaggi, si. vede che le discussioni non raggiungeranno pratici risultati».

74

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

'l. 1299/273 R. Londra, 7 aprile 1934, ore 2,30 (per. ore 8,40).

Henderson è venuto oggi, accompagnato da Agnides, a trovarmi all'ambasciata. Egli mi ha detto che prima di partire per Ginevra voleva mettermi al corrente delle sue intenzioni circa riunione Bureau Cl).

Dopo aver parlato a lungo delle difficoltà che egli deve incontrare come presidente conferenza, dopo aver ripetuto che egli ormai si domanda seriamente se non sia giunto momento lasciare incarico che non gli ha procurato se non delusioni e che gli impedisce dedicarsi suoi doveri di capo partito, mi ha detto alla fine che egli non è contrario a un nuovo aggiornamento purché esso sia chiesto dai delegati dei Governi alla riunione di martedì e ne siano indicate le ragioni in modo che ciascuno possa assumere proprie responsabilità.

Nel richiamare mia attenzione sul fatto che Governo inglese sarà rappresentato dal ministro Eden, Henderson mi ha pregato dire a V. E. quanto egli apprezzerebbe presenza di S. E. Suvich.

Venendo a parlare del merito della questione, e cioè dello stato attuale dei negoziati, Henderson ritiene che un certo passo innanzi è stato fatto, che l'ultima proposta cancelliere Hitler lascia aperte molte possibilità ma che il nocciolo della questione consiste in questo momento nell'esito che avranno le conversazioni sul problema delle garanzie per una leale esecuzione della convenzione.

Secondo Henderson, se il Governo francese di oggi si limitasse alle richieste avanzate dal Governo Daladier, forse una intesa su questo punto (che secondo Henderson è il più difficile) non sarebbe impossibile.

Disgraziatamente non si sa ancora esattamente che cosa i francesi vogliano.

Henderson mi ha detto di ritenere che al momento in cui si è giunti un accordo preliminare fra Gran Bretagna Italia e Stati Uniti da sottoporre poscia a Parigi e a Berlino metterebbe forse questi due Governi nell'obbligo morale accettarlo.

Questa, come V. E. sa, è una vecchia idea fissa di Henderson.

(l) Con t. 440/77 R. del 30 marzo Aloisi, nel comunicare a Londra la notizia della convocazione del Bureau per il 10 aprile, aveva chiesto di essere informato circa le intenzioni dl Henderson al riguardo.

75

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A TOKIO, AURITI, A WASHINGTON, ROSSO, AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A LISBONA, TUOZZI, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, A TIRANA, KOCH, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A BRUXELLES, BONARELLI, E A VARSAVIA, BELARDI RICCI

T. PER CORRIERE 461/C. R. Roma, 7 aprile 1934.

(Per tutti tranne Londra) Per sua notizia comunico quanto telegrafato a R. ambasciata Londra:

(Per tutti) Telegramma di v. E. n. 246 (1).

V. E. potrà confermare a Simon che le norme pratiche per l'applicazione dei protocolli di carattere economico verranno definite, sia con l'Austria che con l'Ungheria, nelle nuove conversazioni che avranno luogo dal 5 corrente al 15 maggio p.v. e che nel corso di queste conversazioni il R. Governo terrà presente la necessità di evitare ogni soluzione che possa essere, o soltanto apparire, contraria alle finalità da raggiungere, indicate tanto nel corso dei lavori della conferenza di Stresa che nel memorandum italiano del 29 settembre 1933 (2), Al termine di tali conversazioni si avranno elementi di giudizio più precisi sulle possibilità avvenire. Intanto si può finora anticipare quanto segue circa le finalità da raggiungere sia immediate che successive giusta l'anzidetta conferenza di Stresa ed il memorandum danubiano, e cioè in linea generale per l'Austria e l'Ungheria, miglioramento delle condizioni economiche, e possibilmente anche finanziarie, dei due paesi, come primo passo per l'attuazione di un programma di più vasta portata diretto a migliorare le condizioni economiche e finanziarie dei paesi successori dell'ex Impero austro-ungarico, o più generalmente dei paesi dell'Europa centro-orientale, affine di rendere possibile una loro più larga partecipazione ai traffici internazionali in genere, e di spezzare il cerchio di economie chiuse nel quale questi paesi hanno, in grande parte per necessità di cose, tendenza a chiudersi.

Nei riguardi particolari dell'Austria il R. Governo, pure essendo disposto ad ammettere alcuni prodotti industriali di detto paese ad un trattamento preferenziale, intende contenere tale vantaggio in limiti ragionevoli e cioè tali che non possano apportare vero pregiudizio alle produzioni similari nazionali, o incidere in modo apprezzabile sugli interessi dei paesi terzi. Perciò si propone non solamente di procedere ad una accurata scelta dei prodotti che potranno godere di tale vantaggio, ma di limitare altresì il vantaggio stesso nei confini dello stretto necessario. Si cercherà in seguito di creare

una profittevole collaborazione delle industrie italiane e austriache; questa però non potrà risultare che da accordi tra produttori, da prendersi gradatamente a misura che le circostanze lo consiglieranno o permetteranno.

Nei riguardi dell'Ungheria il problema principale che il R. Governo si propone di risolvere è quello di procurare all'eccedenza di produzione di grano di detto paese un prezzo sufficientemente rimunerativo e tale da coprire almeno i costi di produzione. Per fare ciò due soluzioni sono per ora previste:

1° -La creazione, considerata dalla conferenza di Stresa, di un fondo comune (pel momento austro-itala-ungherese) destinato a integrare in certa misura il deficiente prezzo del mercato mondiale.

2° -L'acquisto da parte dell'Italia e dell'Austria, beninteso a un prezzo che corrisponda a quanto sopra detto, di un apprezzabile quantitativo della eccedente produzione ungherese.

L'altro prodotto dell'Ungheria che ha per l'economia di detto paese una grande importanza è, come è noto, il bestiame. Di questo l'Italia già acquista un largo quantitativo, che rappresenta circa il 50 % dell'esportazione totale, mentre una buona parte del residuo è acquistata dall'Austria (1).

Tutti gli accordi che verranno conclusi avranno carattere bilaterale e su questa base l'Italia è disposta a negoziare in seguito con ogni altro paese dell'Europa centro-orientale, escludendo ogni possibilità di accordi collettivi con aggruppamenti di Stati, specialmente quando essi abbiano carattere prevalentemente politico. Si tratta di un programma di larga portata, a carattere non monopolistico, che non potrà trovare attuazione che per successivi sviluppi. Esso dovrebbe avvantaggiare i paesi danubiani e di riflesso e pei rapporti, sia particolari che generali, che hanno con essi gli altri Stati, anche l'economia europea in genere e tra l'altro la Gran Bretagna, non fosse che per ragioni della maggiore tranquillità che la sua attuazione dovrebbe portare in questa reg.ione e pei rapporti finanziari che vi ha codesto paese.

(l) -Cfr. n. 47. (2) -Cfr. serle VII, vol. XIV, n. 232.
76

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 466/72 R. Roma, 7 aprile 1934, ore 21.

Secondo informazioni fornite dal ministero colonie, R. console Harrar ha riferito Governo Somalia che sultano Hussein Elmi capo degli Ogaden Macail si è presentato Harrar a degiac Gabrè Mariam offrendogli di collaborare con

lui per attaccare nostri posti frontiera. Tribù Ogaden Macail che vive da anni ai margini dela nostra Somalia appariva sinora sotto diretta influenza Governo Mogadiscio.

Su richiesta R. ministero Colonie, pregasi V. S. far conoscere telegraficamente maggiori informazioni su questo passo dell'Hussein Elmi, facendo possibilmente indagare da R. console Harrar motivi che hanno indotto capo suddetto interrompere suoi rapporti con Governo Somalia e rivolgersi invece autorità abissine, assumendo contegno ostile contro di noi (l).

(l) Con t. posta 3121/389 del 26 marzo, non pubblicato, Colonna aveva riferito un colloquio con Giimbos circa gli scambi !taio-ungheresi nel corso del quale quest'ultimo gli aveva detto di aver chiesto al Governo italiano il rapporto l :2, mentre Jung aveva proposto l: 1,2: in ogni caso, secondo il presidente del Consiglio ungherese, sarebbe stato possibl!e accordarsi su una via di mezzo.

77

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 7 aprile 1934.

L'Ambasciatore Chambrun è venuto a comunicarmi l'unita nota (2) della Francia diretta all'Inghilterra. Ha avuto incarico dal Ministro Barthou di consegnarla al Capo del Governo, ma per non disturbarlo mi prega di incaricarmi della trasmissione.

La nota è stata consegnata ieri sera dall'Inghilterra e il Governo francese teneva che, prima che a qualunque altro, ne fosse data comunicazione all'Italia.

L'Ambasciatore osserva poi che la nota contiene alcune richieste di chiarimenti agli inglesi che saranno meglio specificate ulteriormente. Parte poi dal principio che, se si vuole abbandonare la via sino qui battuta del disarmo per metterei su una nuova via che porti al riarmo degli Stati legati dai trattati di pace, bisogna avere l'autorizzazione in proposito dalla Commissione generale. Osserva ancora l'Ambasciatore che Barthou gli ha fatto sapere che in tale nota non si parla del progetto italiano, perché bisogna prima liquidare la questione del progetto inglese nelle conversazioni tra Francia e Inghilterra; è intenzione del Governo francese di basarsi largamente sulla nota italiana, appena tale fase sia superata.

Ringrazio l'Ambasciatore di Francia per la sua comunicazione.

Osservo a mia volta che, se mai, la Commissione generale dovrà essere sentita dopo raggiunto l'accordo fra le Potenze principali, perché altrimenti si riaprirebbe alla conferenza di Ginevra tutta la discussione del disarmo coi risultati che ciascuno può facilmente prevedere.

L'Ambasciatore è anche d'opinione che convenga seguire questa via.

Mi dice poi l'Ambasciatore che il Ministro Barthou è molto dispiacente per gli impegni già presi di non poter esser a Parigi al mio passaggio né nell'andata né nel ritorno.

(l) -Il presente telegramma fu inviato per conoscenza anche al Ministero delle Colonie (2) -Cfr. D D F, vol. VI, pp. 160-162.
78

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, VASSIF BEY

APPUNTO. Roma, 7 aprile 1934.

Ho convocato Vassif bey in relazione al recente discorso di Tewfik Ruschdi. Gli ho detto che tale discorso, che gli ho fatto leggere nel riassunto dell'agenzia telegrafica turca, ha fatto al Capo del Governo una cattiva impressione.

Pare del tutto inopportuno l'accenno alle isole; non è ammissibile che si riportino le dichiarazioni cosi leali ed amichevoli da parte nostra senza che ci siano delle corrispettive espressioni da parte turca. Anzi Tewfik Ruschdi bey parla di «mantenere buone relazioni » il che è una frase convenzionale che si può usare con paesi coi quali non si ha nessun particolare rapporto. Nell'insieme poi la cosa è stata presentata come se la Turchia fosse venuta a chiederci delle spiegazioni, passando poi ad altri argomenti. Ciò falsa completamente la situazione dato che invece eravamo noi a ritenere del tutto priva di fondamento la reazione turca al discorso del Capo del Governo. Ciò a parte il fatto che non pare corrisponda alle buone norme quello di leggere all'assemblea i telegrammi degli ambasciatori; ma questo è un fatto che riguarda la Turchia e non riguarda noi.

Le osservazioni che ho fatte all'ambasciatore si basano sul riassunto dell'agenzia telegrafica turca. Potrebbe darsi che lo stesso non fosse esatto e che avesse omesso, nel riferire il discorso di Tewfik Ruschdi bey, le dichiarazioni di cui deploriamo la mancanza. Anche in questo caso però dovremmo lagnarci che non siasi voluta dare pubblicità a tali dichiarazioni.

L'ambasciatore Vassif bey non conosce il testo del discorso, riceverà fra qualche giorno il testo integrale; si riserva di darmi una risposta. Se le cose stanno come riferite dall'agenzia telegrafica turca egli si rende perfettamente conto del nostro disappunto e mi esprime a titolo del tutto personale il suo sincero dispiacere.

Egli ammette anche che non è conforme alle norme consuetudinarie leggere in Parlamento i telegrammi inviati dagli ambasciatori. Si riserva quindi di rispondere fra qualche giorno.

79

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIÉ

APPUNTO. Roma, 7 aprile 1934.

Ho avuto una lunga visita del signor DUCIÉ che mi ha chiesto notizie sulle trattative attualmente in corso fra Italia, Austria e Ungheria, dimostrando la mancanza di ogni più vaga idea al riguardo delle questioni che formano oggetto dei detti negoziati.

Lo ho informato che eleviamo il dazio sul legname, ma che siamo disposti a fare un trattamento di preferenza alla Jugoslavia perché non ne abbia danno.

Mi ha parlato poi di argomenti storici, filosofici, di politica generale, senza alcun accenno ai rapporti attuali fra i nostri due Paesi.

80

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 1311/157 R. Vienna, 8 aprile 1934, ore 1,10 (per. ore 5,30).

Seguito mio telegramma n. 156 (1).

Mi sono recato dal segretario generale affari esteri il quale era stato evidentemente già avvisato da cancelliere austriaco del mio passo di ieri circa fuorusciti croati.

Dopo lungo esame della questione segretario generale mi ha detto in tutta confidenza:

1°) -che risultato inchiesta polizia non sarà comunicato questa legazione di Jugoslavia;

2°) -che non vi è «nessuna» probabilità che autorità giudiziaria conceda estradizione due incriminati per gravi attentati;

3°) -che per colonnello Percevic egli crede che si potrà forse evitare espulsione dietro però promessa di astenersi da ulteriore attività;

4°) -che per gli altri tre arrestati, per i quali direttore generale affari politici prevedeva ieri espulsione, nulla poteva per il momento dirmi.

Ha aggiunto però che lunedì avremmo potuto esaminare confidenzialmente insieme dossier.

Alla fine del mio colloquio è sopraggiunto direttore generale affari politici. Dal suo dire ho tratto conferma del vivace atteggiamento da lui assunto in favore misure di rigore. Da parte mia non ho mancato ribattere con opportuni argomenti che questione ha carattere essenzialmente politico, in quanto una esagerata valutazione dei fatti potrebbe essere indice di una determinata tendenza politica.

Egli ha recisamente smentito tale mia illazione, richiamandosi sia al fatto della gravità delle denunzie e delle imputazioni, che all'accoglimento da parte jugoslava delle richieste austriache contro nazisti tedeschi in Jugoslavia.

Ho ribattuto sottolineando assoluta sproporzione fra i due atteggiamenti (2).

(2} In riferimento al presente telegramma Suvich inviò con t. 473/75 R. del 10 apr!Je le seguenti Istruzioni: «Nell'esaminare insieme con segretario generale affari esteri incartamento relativo arresto fuorusciti croati, V. s. faccia presente opportunità revocare divieto pubblicazione bollettino Gric, restituire corrispondenza sequestrata e ridurre al minimo espulsioni ».

(l) Cfr. n. 72.

81

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1330/154 R. Parigi, 9 aprile 1934, ore 22,05 (per. ore 1 del 10).

A proposito della nota preliminare francese all'Inghilterra (l) il collega britannico mi ha detto essergli stato assicurato che il Governo francese farà seguire fra pochi giorni le precisazioni che gli sono state chieste sulle garanzie di esecuzione.

Tyrrell ha aggiunto confidenzialmente che nell'invitare Gabinetto Parigi ad individuare esattamente le garanzie desiderate aveva evitato con cura, conformemente alle precise istruzioni di Londra, di impegnarsi comunque.

Ho domandato poi al mio interlocutore se era in grado chiarirmi perché Barthou, dopo aver assicurato a lui e me che alla fine della scorsa settimana Governo francese avrebbe assunto posizione decisiva e definitiva in materia di ga;ranzie di esecuzione, a v esse diretto a Londra nota interlocutoria perdendo tempo prezioso.

Tyrrell mi ha risposto in confidenza che il ministro degli esteri è in disaccordo con alcuni colleghi di Gabinetto nominandomi Tardieu, Marin e anche Herriot.

Tendenza di opposizione a Barthou vedrebbe nella fine della conferenza salvezza della Francia consentendo al Governo di riprendere in pieno rlarmamento del paese.

Doumergue tiene posizione intermedia ma egli stesso crede, lo ha detto a Tyrrell stamane, che il Reich a causa dell'imbrogliata situazione interna sarà condotto a scatenare la guerra fra qualche mese.

Dipenderà dalle circostanze del momento se si butterà sulla Francia o piuttosto sulla Russia.

Tyrrell è ottimista invece nei riguardi del suo paese nel senso che egli crede e spera che, se la Francia sarà indotta a formulare domande moderate accettabili di garanzie, intesa sarà possibile.

Ambasciatore d'Inghilterra ha osservato che le cifre del bilancio militare tedesco pubblicate recentemente, che contemplano aumenti di armamenti aeronautici e anche navali, hanno aperto gli occhi a molti in Inghilterra.

È !n vista di questo fatto che il Fore!gn Off!ce dà alla nota francese un valore positivo che altrimenti non avrebbe».

Diana osservò con t. 1341/126 R.. Berlino lO aprile: «La sola cosa che sembra accertata è che la nota francese ha carattere dilatorio ed è probabile che sia stata inviata soprattutto !n vista dell'odierna riunione d! Ginevra per evitare alla Francia d! trovarsi !n posizione difficile ed essere nuovamente accusata di intransigenza e nello stesso tempo permettere al Comitato di Ginevra di aggiornare le sue sedute dopo d! aver constatato che le conversazioni per un accordo sono tuttora in corso fra le pr!nc!pal! Potenze interessate».

Tyrrell suppone che le garanzie di esecuzione che la Francia solleciterà potranno essere, come del resto scrivono i giornali, di tenore economico-finanziario ed evidentemente anche militare, proporzionate all'infrazione constatata.

(l) Grandi comunicò con t. 1334/279 R. del 10 aprile: «La nota francese risponde, secondo !l Fore!gn Off!ce, imperfettamente al quesiti posti dal Governo inglese. Tuttavia, m! è stato aggiunto, dalla nota stessa traspare che il Governo francese si va avvicinando se non verso !l concetto della riduzione del suo! armamenti almeno verso quello che un limitato riarmo della Germania è preferib!le ad un incondizionato regime d! libertà, e ciò costituisce già un progresso apprezzabile.

82

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHVALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 10 aprile 1934.

Il Ministro Chvalkovsky è venuto a chiedermi se c'erano delle novità nella questione degli accordi danubiani, che potessero interessare il suo paese.

Gli ho risposto che non c'erano novità e che non ce ne possono neanche essere perché per ora noi concentriamo la nostra attenzione sugli accordi con l'Austria e con l'Ungheria. Dipenderà dall'esito di questi di vedere se e quale seguito si potrà dare alla cosa. Il problema dell'estensione è grosso poiché non si tratta solo della Piccola Intesa ma anche della Germania e eventualmente di altri Paesi.

Il Ministro non vorrebbe che poi il suo paese si trovasse di fronte ad un fatto compiuto e quindi si mettesse il dilemma: o prendere o lasciare.

Gli rispondo che questo non è nello spirito delle nostre trattative in quanto noi non facciamo degli accordi plurilaterali che potranno essere aperti alla adesione di altre Potenze, ma negoziamo a due a due; rientrano in un certo senso nel metodo del nostro sistema anche i negoziati che ora la Cecoslovacchia sta facendo con l'Austria e con l'Ungheria.

Il Ministro è di questa stessa opinione e in tal senso ha anche scritto a Praga. Egli pensa però che sarebbe opportuno che dopo la conclusione delle nostre trattative con l'Austria e con l'Ungheria si potessero iniziare subito dei negoziati con i paesi della Piccola Intesa per non dare l'impressione della stabilizzazione di un blocco contro un altro blocco.

Gli rispondo che oggi è ancora un po' presto per decidere che cosa converrà fare; comunque egli sa che noi non vogliamo né creare, né dare l'impressione che si sia creato un blocco.

Il Ministro di Cecoslovacchia mi dice poi di avere avuto da Benes istruzioni di mettersi a nostra disposizione per la questione del disarmo, in quanto egli come relatore generale possa giovare.

Il Signor Chvalkovsky rileva infine l'atteggiamento di adesione ai punti di vista italiani assunto da Benes nell'ult.imo periodo sorvolando anche sui punti delicati sui quali la Cecoslovacchia non può essere d'accordo, come quello del revisionismo; anzi, a proposito di quest'ultimo, il Ministro osserva che siamo arrivati ad una fase di maggiore intransigenza nel suo paese e ciò per colpa degli ungheresi. Costoro, a forza di sostenere che non esiste una nazione cecoslovacca ma due nazioni, una ceca e una slovacca, hanno messo quest'ultima di fronte alla responsabilità di cedere una parte del proprio territorio. Questo evidentemente gli slovacchi non lo faranno mai e si opporranno anche nel modo più energico a qualunque tendenza del genere che per avventura potesse partire da Praga.

83

IL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, CIANO, AL MAGGIORE RENZETTI (l)

L. Roma, 10 aprile 1934.

A seguito della mia del 6 corrente (2) voglio comunicarLe che il noto articolo del signor Busch sul Der Deutsche ha dato luogo ad un corsivo polemico sul periodico antifascista La Libertà che si pubblica a Parigi. Ciò sta a dimostrare quanto sia stata opportuna e tempestiva la Sua risposta.

In attesa di conoscere se questa è stata pubblicata...

84

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. u. 653/470. Praga, 10 aprile 1934.

Mi perviene notizia che il Senatore Marchese Theodoli si appresterebbe a tornare a Praga verso il 21 aprile. Suppongo che anche questa volta ufficialmente Theodoli verrebbe come inviato dell'Ordine di Malta e per sistemare le note questioni dell'ordine stesso.

Ma V. E. non ignora, ed io l'ho fatto risultare in forma discreta ma anche precisa, che Theodoli pone la suddetta missione in secondo piano, per pres·entarsi come inviato speciale e straordinario del Capo del Governo presso Benes.

«Sondare e riferire circa il pensiero di Benes » mi disse che erano i limiti dell'autorizzazione datagli dal Capo del Governo. Sebbene ciò fosse stato fatto ampiamente e continuativamente da me da 20 mesi a questa parte, io mi adoperai perché Theodoli potesse apportare nel miglior modo il suo contributo volontario alla mia missione ufficiale.

Tale contributo si è rivelato del resto superfluo, perché le vere detenninanti dell'atteggiamento di Benes sono stati gli atti politici del Governo italiano: protocolli di Roma, discorso del Capo del Governo, illustrazioni e chiarimenti da me forniti in base agli ordini del Governo ed infine mie dirette comunicazioni emananti dal Capo del Governo e da me trasmesse al Benes in esecuzione dei telegrammi n. 17 dell'8 marzo (3) e n. 30 del 24 marzo (4).

In quanto al punto di vista di Benes, esso è stato manifestato nella maniera più esplicita nel suo discorso e nelle successive sue dichiarazioni parlamentari, nonché in quelle frequenti e precise che egli ha fatto a me e che io ho volta per volta riferite.

In queste condizioni, ho il dovere di dire rispettosamente, ma francamente, a v. E. che qualsiasi ulteriore intervento del Marchese Theodoli nelle trat

12 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

tazioni relative ai rapporti tra l'Italia e la Cecoslovacchia mi appare non solo superfluo ma fuori di posto.

Non dirò che la sua ultima missione sia stata dannosa, ma certamente essa ha arrecato qui una confusione che non ha giovato alla chiarezza della nostra poli tic a. Infatti:

0 ) Il Ministro d'Ungheria ha manifestato allarme e preoccupazione per la «missione speciale e segreta di un inviato di Mussolini per trattare con Benes » (vedi anche telegramma di Berio ancora durante il mio congedo e prima dell'arrivo di Theodoli circa voci polacche) (l).

2°) Il Ministro di Francia ha tratto l'impressione di conversazioni segrete assai più misteriose di quelle normali.

3°) Il Ministro Benes ha dovuto anche lui credere a chi sa quali obiettivi del Capo del Governo che gli avrebbe inviato «un emissario speciale». Io ho dovuto faticare non poco a spiegare in questi ambienti che il Marchese Theodoli era venuto per affari dell'Ordine di Malta e basta. E non mi ha fatto certo piacere sentire il Ministro di Romania dire a Benes: « Hébien, voilà Musselini qui vous fait la cour ».

Tutto questo a prescindere dalla mia situazione, che, se può essere irrilevante per quanto concerne la mia persona di Fascista servitore dello Stato e del Regime, mi impone il dovere di salvaguardare la dignità della carica di Rappresentante dello Stato e del Duce.

Che Theodoli si limiti a trattare le questioni dell'Ordine di Malta non basta. Dopo il precedente del mese scorso, e nell'attuale fase particolarmente importante e delicata delle relazioni italo-cecoslovacche, nessuno ci crederebbe; e la sua venuta a Praga apparirebbe inevitabilmente, anche dopo la sua recente nomina a Senatore, come una personale e straordinaria missione datagli dal Duce per trattare con Benes ed invitarlo eventualmente a recarsi a Roma.

La situazione dell'Ordine di Malta che Theodoli deve sistemare attende il

suo regolamento dal 1919. Non sarà gran male se Theodoli riprenderà le sue

trattative fra un mese o due, quando la «diretta presa di contatto con Benes »,

di cui ai telegrammi di V. E., sarà o avvenuta o rinviata a data più lontana.

Fino allora io ho il dovere di pregare V. E. di volere prendere in benevola considerazione quanto ho avuto l'onore di prospettarle, e, qualora il mio subordinato punto di vista incontri l'alta Sua approvazione, indurre il Marchese Theodoli, per ragioni di opportunità politica, a rinviare a data ulteriore la sua seconda visita a Praga.

Mi affretto a soggiungere che nessuna animosità mi inspira, avendo in

vece amicizia e simpatia pel Theodoli, che, nei giorni della sua permanenza

a Praga, si è manifestata in sincera cordialità di rapporti. Occorrendo sarei

pronto a dirgli francamente quanto precede e suppongo che egli stesso non

dovrebbe aversene a male. Egli ha visto come io sia non meno di lui in otti

me relazioni personali col Benes; se fosse altrimenti il mio posto non sa

rebbe qui.

Aggiungo che proprio nella settimana in cui Theodoli verrebbe a Praga, si troverà qui in visita ufficiale il Signor Barthou, ed anche questa coincidenza non potrebbe che ingenerare equivoci e commenti tendenziosi che si ripercuoterebbero in Germania, in Ungheria e altrove.

Spero che V. E. vorrà scusare la mia franchezza, dettata unicamente dagli interessi del servizio e della politica.

(l) -Da ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzett!. (2) -Con tale lettera non pubblicata, Ciano aveva comunicato a Renzetti il desiderio di Mussollni di conoscere se e quando la risposta all'articolo di Busch fosse stata pubblicata. (3) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 780. (4) -Cfr. n. 27.

(l) T. 602/13 n. del 9 febbraio, non pubblicato nel volume precedente.

85

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1358/29 R. Gedda, 11 aprile 1934, ore 17 (per. ore 20,10).

Stamane Ibn Saud è arrivato a palazzo reale di Kuzam ed ha ricevuto il corpo diplomatico.

Nella udienza concessami, protrattasi oltre un'ora, Ibn Saud mi ha detto aver fatto possibile per scongiurare la guerra «che è orribile cosa» ma che Imam Yahia, contrariamente agli impegni presi, ha cercato seminare dissensi in Asir.

Ibn Saud ha soggiunto che egli avrebbe potuto approfittare situazione sfavorevole in cui si trovava Imam mentre trattava con Inghilterra. Ciò egli non ha fatto perché ha voluto la pace fino all'ultimo momento, ma è stato costretto scendere in campo per la difesa suo territorio e suo onore.

Nel corso della conversazione Ibn Saud ha fatto ripetute dichiarazioni sincera amicizia per l'Italia ed ha espresso sua piena fiducia nella reciprocità di tali leali sentimenti da parte del R. Governo.

Sua Maestà mi ha pregato far pervenire a V. E. suddette dichiarazioni. Ho ringraziato il Re e gli ho detto che Italia segue politica di amicizia leale con Regno arabo-saudiano. Ero sicuro interprete sentimenti del mio Governo esprimendo voti che conflitto attuale abbia presto ad appianarsi. Segue rapporto.

86

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. s. 475/46 R. Roma, 11 aprile 1934, ore 24.

Suoi telegrammi nn. 114, 118, 123, 125 e 128 (1). Come già indicato nel telegramma di questo ministero n. 39 del 30 mar

zo u.s. (1), forniture armi potranno essere eseguite non (dico non) a rappresentanti fuorusciti liberali hegiazeni ma al Governo yemenita.

Quanto precede le valga di norma generale nei suoi colloqui al riguardo con codesto Governo e col Saied Dabbagh, col quale tuttavia nulla asta che ella continui mantenere contatti a semplice titolo informativo.

Aggiungesi, per quanto riguarda 12 autoblindate e 6 carri assalto che El Dabbagh avrebbe acquistato privatamente in Italia e che sarebbero trattenuti da Governo Eritrea per mancanza permesso esportazione, che nessuna comunicazione al riguardo è pervenuta da Governo Asmara. Comunque se Governo yemenita intendesse procedere tali acquisti, Sanaa potrebbe presentare offerte relative.

(l) È pubblicato solo 11 t. 1273/118 del 3 aprile per 11 quale cfr. n. 59.

87

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1390/04 R. Bucarest, 11 aprile 1934 (per. il 14).

Dopo il discorso del signor Titulescu ho avuto occasione di incontrarmi con il sottosegretario di Stato signor Radulescu al quale, pur facendo trasparire che le dichiarazioni di Titulescu nei riguardi dell'Italia erano state prudenti e riguardose, anzi in taluni punti improntate a manifesto desiderio di collaborazione, non ho però celato che non potevo approvare il tono del discorso nei riguardi dell'Ungheria, tanto più che da parte del Governo magiaro nulla era stato fatto, ufficialmente, per mettere sul tappeto la questione revisionistica. Il discorso di Titulescu era stato a mio avviso, oltre che violento, inutilmente polemico, e non era certo fatto per calmare gli animi in questa parte dell'Europa. Il sottosegretario di Stato ha voluto dilungarsi a spiegarmi tutti i pericoli che comporta per la Romania la propaganda revisionistica magiara, ma io gli ho semplicemente opposto che tale propaganda non era condotta da uomini al Governo, mentre il discorso di Titulescu rappresentava una presa di posizione del Governo romeno di fronte a quello ungherese.

Il signor Radulescu ha tenuto poi a domandarmi qualche chiarimento su

quanto gli avevo esposto qualche giorno prima circa i protocolli di Roma (mio

telegramma per corriere n. 3 del 28/3) (2). Si interessava di conoscere fino a

qual punto i protocolli di Roma potevano costituire un terreno di collabo

razione con la Piccola Intesa, e se essi erano aperti all'adesione di terzi. Gli

ho spiegato che i protocolli come tali non erano aperti ad adesioni di terzi:

ma che i protocolli n. 2 e n. 3 indicavano chiaramente la strada (accordi bila

terali) su cui ciascuno degli Stati della Piccola Intesa si poteva mettere con

noi, nonché con l'Austria e l'Ungheria, per facilitare la soluzione del problema

dell'Europa centro-orientale. I protocolli di Roma costituivano cioè una tappa

verso la realizzazione del piano abbozzato nel nostro memorandum danubia

no: (l) se la Romania o tutti e tre i Paesi che costituiscono la Piccola Intesa desideravano marciare nella stessa direzione, sapevano fin d'ora che l'Italia avrebbe visto con simpatia il loro avvicinamento alla nostra direttiva.

Su questa stessa questione ha desiderato interrogarmi il signor Titulescu. Quale era la procedura per « amorcer » una collaborazione? Intendeva l'Italia farsi promotrice di un incontro? Ho risposto negativamente. Per quanto mi constava noi non eravamo favorevoli a conferenze che hanno sempre fallito lo scopo. Circa la procedura, a me pareva che il memorandum italiano aprisse la strada ad opportllni contatti.

Titulescu ha obiettato che noi, per i primi, non avevamo più .parlato del memorandum. Gli ho fatto presente che io lo avevo a più riprese intrattenuto su questo argomento, e ne avevo altresì a lungo parlato col sottosegretario di Stato. Lo ha ammesso, ma ha altresì aggiunto che sia da Praga che da Belgrado egli aveva riportato la sensazione che il memorandum, prima degli accordi di Roma, era stato da noi messo un po' da parte. In ogni modo egli, pur con determinate riserve, era disposto oggi a parlare e a trattare. Ma con chi? Dove? Non era possibile far luogo a qualche approccio a Ginevra con Ciancarelli o con altra persona autorizzata?

Ho tenuto a fargli rilevare che, a mio avviso, ogni eventuale contatto sarebbe stato poco produttivo se, nei riguardi del memorandum, egli non avesse cessato dal suo atteggiamento di «diffidente adesione» e se non avesse abbandonato le riserve che egli metteva a nome di altri (Cecoslovacchia).

Mi ha risposto in maniera stentorea, e perciò nulla affatto convincente, che egli aveva la massima fiducia nelle possibilità che offre il memorandum italiano. Lo aveva dichiarato al Parlamento, e me lo confermava. Certo la Romania avrebbe posto le sue condizioni, e cioè che nessun vantaggio doveva essere assicurato all'Ungheria se non fosse stato estensibile anche alla Romania. In quanto al secondo punto, fino a quando noi non avessimo cominciato a trattare, la Romania doveva far causa comune con gli altri due. Eguale pregiudiziale, mi ha detto, voi troverete a Belgrado e a Praga. Noi siamo una confraternita e rispondiamo tutti in coro. Questo però, ha aggiunto a mezza. voce, non significa che ciascuno di noi è disposto a dimenticare i propri interessi per zelare quelli degli altri. Ha terminato ripetendo che sarebbe stato lieto se avesse potuto parlare a Ginevra con qualcuno.

(l) -T. 443/39 R., non pubblicato. (2) -Cfr. n. 41.
88

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. 2884. Roma, 11 aprile 1934.

Ho sottoposto al Capo del Governo il tuo rapporto sull'atteggiamento inglese di fronte alla questione austriaca (2).

Il Capo lo ha letto con molto interesse, come potrai rilevare dalla lettera a te diretta che ti trasmetto qui unita (l).

(l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 232. (2) -Cfr. n. 56, annesso.
89

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1366/160 R. Parigi, 12 aprile 1934, ore 1!0,15 (per. ore 22,30).

Ministro degli affari esteri mi ha riparlato delle tre questioni in sospeso fra l'Italia e la Francia che egli dice voler regolare. Le elenco nell'ordine nel quale mi sono state nominate: l) -accordo navale;

2) statuto degli italiani in Tunisia;

3) -frontiere Tripolitania.

Barthou mi ha informato di essersi già intrattenuto col suo collega della marina dell'accordo navale e di aver constatato le buone disposizioni del ministro Pietri.

Per le altre due questioni egli ha o:dinato al segretario generale degli affari esteri, di ritorno lunedì 10 corr. dalle vacanze di Pasqua, di approntare ogni cosa con sollecitudine per avviare conversazioni con noi (2).

Il ministro degli affari esteri mi ha detto di avere apprezzato quanto V. E. ha detto a Besnard, e cioè che per il regolamento delle vertenze pendenti noi non abbiamo nulla da offrire alla Francia all'infuori dell'amicizia italiana.

La dichiarazione del ministro degli affari esteri mi sembra degna essere notata ad ogni buon fine perché rappresenta implicito riconoscimento del punto di vista italiano.

90

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, JANNELLI

T. 482/48 R. Roma, 12 aprile 1934, ore 23.

Suo telegramma del 7 corrente (3). Per varie considerazioni è opportuno che non si dia l'impressione che facciamo pressioni perché signor Muscianoff passi per Roma.

-
(l) -Il testo del!a lettera, ed. in MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, p. 75 era il seguente:«Il tuo rapporto sull'atteggiamento inglese nei confronti del problema austriaco è una pagina di storia contemporanea. Bisogna inchiodare gli inglesi nel loro atteggiamento odierno ed evitare gll eterni andirivieni del loro empirismo, oggi dominato soltanto dallo spirito di conservazione ». (3) -T. per corriere 1323/020 R., non pubblicato, con cui Jannelli aveva riferito circa la partenza di Muscianov per Parigi, Londra, Berlino e Roma.
91

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1389/068 R. Vienna, 12 aprile 1934 (per. il 14).

Telegramma di V. E. n. 75 C1).

Segretario generale, esaminando meco questione fuorusciti croati, ha insistito vivamente sulla necessità di procedere in cui si sarebbe venuta a trovare polizia. Inoltre ha di nuovo accennato a ragioni di opportunità politica dirette al doppio scopo: l) di facilitare espulsione propagandisti nazisti tedeschi dalla Jugoslavia, e 2) di propiziare favorevole risultato ad un passo che cancelliere intende fare a Praga per ottenere controllo su fuorusciti socialisti austriaci, nonché divieto

loro giornale.

Ho dimostrato ancor una volta inesistente corrispondenza fra casi in questione. Ad ogni modo segretario generale, con reticenze e riserve, mi ha lasciato comprendere:

l) Che nessuna espulsione è finora avvenuta e che nulla, almeno per il momento, gli lascia intravvedere tale evenienza;

2) che bollettino « Gric », passato questo speciale momento, potrebbe riprendere sua attività con nuovo nome e diverso direttore. Signor Kodanic sarebbe poco indicato sia pel fatto sua nazionalità austriaca, e sia per la circostanza che note recenti ordinanze sulla stampa escludono pubblicazioni dirette contro capi Stati esteri, ed implicano così una diretta responsabilità del Governo;

3) che colonnello Percevic, passato qualche tempo, e sopratutto dopo esaurito il passo austriaco a Praga, e con qualche assicurazione da sua parte potrà tornare a Vienna. Mi consta che quanto precede è stato anche accennato a questo rappresentante ungherese;

4) che circa estradizioni richieste dal Governo jugoslavo per nominati Artukovic e Singer, questione è sottoposta ad autorità giudiziaria. Questo ministro di Jugoslavia fa grandi pressioni affinché almeno il secondo sia estradato. Segretario generale, nel riferirmelo, ha accennato che anche se autorità giudiziaria (eventualità ch'egli continua a considerare improbabile) le ammettesse, resterebbe decisione ministro giustizia. Ad ogni modo egli prevede che entrambe dette persone non potrebbero non essere espulse;

5) circa corrispondenza sequestrata colonnello Percevic, segretario generale mi ha detto che essa è stata ed è esaminata in modo riservatissimo. Che per quanto riguardava eventuali sequestri operati presso fuorusciti, egli non sapeva ancora nulla di preciso. Si sarebbe informato e mi avrebbe ragguagliato.

(l) Cfr. n. 80, nota 2.

92

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3695/031 P. R. Belgrado, 12 aprile 1934 (per. il 16).

Questo R. addetto militare mi ha detto che il colonnello Roatta, capo del nostro ufficio informazioni, gli ha privatamente espresso il progetto di una sua visita ai RR. addetti militari dei paesi balcanici quindi anche a Belgrado.

Il colonnello Franceschini ne ha tenuto parola al generale Aracic, capo dell'ufficio informazioni jugoslavo, che si è mostrato assai lieto di tale eventualità anche perché egli ha conosciuto personalmente il Roatta avendo prestato servizio a Varsavia quale addetto militare contemporaneamente al col. Roatta.

La eventuale visita del Roatta al col. Franceschini, pur restando nel campo strettamente privato e personale, faciliterebbe una uguale visita del gen. Aracic a Roma di che questi ha ripetutamente espresso il desiderio al col. Franceschini.

Dal canto mio non posso che esprimere favorevole parere a tale presa personale di contatti che forse potrebbe servire a smussare fra i due Stati Maggiori molte prevenzioni e diffidenze, ed a facilitare il compito non lieve del nostro addetto militare a Belgrado.

Prego V. E. farmi conoscere, per ogni mia eventuale norma, se approvi (l).

93

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, CIANO (2)

PROMEMORIA. Berlino, 12 aprile 1934.

Mi affretto a confermare quanto ho già esposto nel mio secondo rapporto del 9 corrente (3) e cioè che il giornale Der Deutsche non ha risposto finora che indirettamente alla mia replica, avendo l'estensore della nota, Signor Busch, preferito, per comodità polemica, di rivolgersi apertamente al Signor Casini.

Essendo interessante che il giornale Der Deutsche pubblichi la mia nota, sto agendo in questo senso. Con l'occasione mi propongo di eliminare una serie di malumori, di incomprensioni e di teoriche ostilità al Fascismo e al corporativismo che si stanno manifestando, in seno ad alcuni gruppi nazional-socialisti e del Fronte del Lavoro, per molteplici intlllitive ragioni.

Tale compito mi viene momentaneamente ostacolato dal fatto che le maggiori personalità di governo, a cominciare da Hitler e da Goring, e del Fronte del Lavoro (Dr. Ley e Dr. Frauendorfer) sono in viaggio e non torneranno a Berlino che tra cinque o sei giorni.

Mi riservo pertanto di trasmettere nella settimana prossima ulteriori notizie.

(1) -Annotazione a margine dl Mussolinl: «SI». Aloisi rispose con t. 3916/650 P.R. del 21 aprlle, ore 22: «Sta bene ». (2) -Da ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzetti. (3) -Con tale rapporto, non pubblicato, Renzettl comunicava che Busch g!l aveva risposto solo indirettamente esprimendo la sua alta ed incondizionata ammirazione per il Duce.
94

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 13 aprile 1934.

Il Ministro Lugosianu mi chiede informazioni sulle trattative di Roma.

Lo avverto, in relazione alla sua domanda, che fino a che non siamo arri

vati ad un risultato definitivo fra noi -Italia, Austria e Ungheria -non si

può parlare di estensione ad altri degli accordi in parola.

Parlandomi delle condizioni del suo paese il Ministro mi dice, in forma del tutto confidenziale, che egli ritiene l'attuale Governo molto debole e che non vede dopo la caduta di questo quale altra soluzione parlamentare si potrà avere.

Egli per il suo paese non vede che una soluzione dittatoriale, ma non vede la persona del dittatore. Gli chiedo se il Re stesso non potrebbe assumere la dittatura come è avvenuto in Jugoslavia.

Mi risponde che non lo crede: il Re ha una grande influenza nella politica interna ma la sua posizione di fronte al paese è ben diversa da quella di Re Alessandro.

Il Ministro Lugosianu mi dice che appena egli ritorna in Romania rientrerà nella politica per occuparsi di tale problema.

Gli chiedo sullo sviluppo del movimento delle «guardie di ferro», facendogli osservare che in Francia si teme molto per un orientamento della Rumania verso la Germania.

Il Signor Lugosianu mi risponde che le preoccupazioni da un certo punto di vista possono apparire giustificate perchè la «guardia di ferro», che ha una innegabile importanza nella situazione attuale della Rumania, è notevolmente orientata verso il nazional-socialismo tedesco.

95

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

PROMEMORIA. Roma, 13 aprile 1934.

La seduta del Bureau ha concluso, come noto, nelle seguenti disposizioni procedurali:

l) Un'ulteriore riunione del Bureau il 30 aprile.

2) Convocazione della Commissione Generale per il 23 Maggio, preceduta da apposita riunione del Bureau per la preparazione dell'ordine del giorno.

3) Facoltà al Presidente di ritardare, se necessario, di qualche giorno queste date. Il Presidente, appoggiato dalla Delegazione russa, ha insistito perché la facoltà di ritardo fosse contenuta nel limite di tre o quattro giorni al massimo. I delegati della Svizzera (Motta) e del Belgio (Carton de Wiart) hanno invece opinato che i suoi poteri dovrebbero essere più lati, ed io li ho appoggiati, aderendo specialmente alle parole del delegato belga, e riferendomi alla necessità di non legarsi troppo le mani circa la convocazione della Commissione Generale. Non ho creduto valesse la pena di insistere più marcatamente, perché la seduta del Bureau del 30 corrente permetterà di adottare la posizione definitiva che converrà, specie dopo il viaggio di S. E. Suvich a Londra.

La deliberazione di cui al n. l) (riunione del Bureau al 30) è stata provocata dal rappresentante inglese, ed è stata accettata dai francesi senza opposizione ma senza piacere. Eden, per spiegarmene le ragioni, si è spinto fino a farmi capire che il suo Governo --in previsione della prossima nota francese, ch'esso intende considerare come definitiva -ed in vista del riarmo tedesco che sta divenendo ufficiale (v. budget tedesco) credeva necessario di stringere i tempi e serbarsi quindi la maniera di prendere al più presto una posizione netta a Ginevra, ove occorresse: perciò, la sua richiesta di convocazione del Bureau per il 30 corrente.

Egli mi ha dato l'impressione cl1e Simon intenda ritentare in qualche modo il gioco del 14 ottobre, rivolgendolo questa volta in special modo contro la Francia: metterla colle spalle al muro, sotto la minaccia di una presa di posizione di carattere perentorio. In sostanza, l'Inghilterra contemplerebbe l'ipotesi di dichiarare al Bureau, il 30 aprile, che essa non è in grado di impegnarsi in una convenzione che comporterebbe pesanti garanzie e nessuna misura di disarmo: e, in tal modo, rigetterebbe sulle spalle della Francia la responsabilità dello scacco.

La deliberazione 2) (convocazione della Commissione Generale al 23 maggio) è stata promossa ed imposta da Henderson, sotto la precisa ispirazione di Barthou. Essa è quindi d'origine puramente francese.

Ho interrogato Massigli sul significato preciso che la Francia intende dare alla convocazione del 23 Maggio. Egli mi ha detto:

l. Che Barthou avrebbe preferito una data anche più vicina, ma, volendo prima compire il viaggio di Varsavia e Praga, elaborarne i ris).lltati ed evitare le feste di Pentecoste, non gli era stato possibile anticiparla.

2. Essere opinione del Governo francese che se per quella data non si fosse potuto raggiungere un accordo soddisfacente, almeno fra i tre (Italia-FranciaInghilterra) il tempo utile per i negoziati sarebbe da ritenersi finito. Infatti, il riarmo della Germania si persegue con un ritmo più accelerato e apertamente

(v. budget tedesco). La Commissione Generale del 23 maggio non dovrebbe quindi trovarsi davanti ad una situazione ancora in svolgimento, bensì davanti ad una situazione definita o positivamente o negativamente. Perciò la Francia dà alla data del 23 maggio un carattere irrevocabile ed alla seduta un significato definitivo.

3. Chiestogli se credeva probabile o possibile che, per quella data, si fosse raggiunta una concordanza per lo meno dei punti di vista dei tre. mi ha risposto essere pessimista al riguardo. Secondo lui, gli inglesi non concederanno garanzie sufficienti per l'esecuzione del Trattato, se non nel caso in cui la Francia consenta ad assumere, e definire nel Trattato stesso, certe misure di disarmo reale. Ciò essendo assolutamente escluso dato il pericoloso ed illegale riarmo tedesco, le trattative sarebbero condannate a fallire. In tal caso, la seduta del 23 maggio servirebbe a Barthou per giustificare la Francia, di fronte al mondo, rigettando la colpa del fallimento sull'Inghilterra e sulla Germania.

Sotto la veste della procedura adottata dal Bureau, si disegna quindi chiaramente il gioco opposto della Francia e dell'Inghilterra, diretto a crearsi ciascuna il migliore terreno per gettare sull'altra l'odiosità di un eventuale insuccesso delle trattative.

Le impressioni nettamente pessimistiche che derivano da quanto sopra, vanno però, a parer mio, corrette alla luce delle seguenti considerazioni, che riposano su notizie da altre fonti attendibili:

l. Eden ha portato a Ginevra, da Londra, la persuasione, dominante in questi ultimi giorni nel Governo britannico, che il Governo francese non vuole la convenzione, e che l'attesa nota francese, colle presumibili esagerate richieste sulle garanzie e sulla sicurezza, sarà redatta in modo da rendere impossibile al Governo di Londra, nonché di accettarla, neppure di imbastirvi la continuazione della discussione.

Ora, è invece possibile che l'attesa nota francese sia più moderata assai di quanto a Londra si attenda, giacché Barthou, dal giorno in cui si è intrattenuto con Eden a Parigi ad oggi, avrebbe compito una completa evoluzione verso l'opportunità di una convenzione sulle linee del memorandum italiano; ed avrebbe recentemente tirato dalla sua il più ostile oppositore, il Generale Weygand, cioè lo Stato Maggiore.

2. Massigli, in addizione al suo consueto pessimismo ed alla sua asprezza anti-tedesca, non sarebbe al corrente delle vere intenzioni di Barthou, tanto più che è stato ora quindici giorni assente dal Ministero. Sarebbe quindi una fonte prevenuta e non bene informata della recente evoluzione di Barthou.

In conseguenza di questa, parrebbe invece che il Governo francese tenda a moderare le proprie richieste di garanzie, in modo da renderle accettabili dall'Inghilterra, e che a Parigi si nutra la speranza di potere giungere, prima del 23 maggio, ad una intesa della Francia coll'Italia e l'Inghilterra. In tal caso, la seduta della Commissione Generale servirebbe -in un modo la cui tattica delicata non sarebbe ancora precisata, neppure nelle grandi linee -a coprire e motivare davanti l'opinione pubblica francese e mondiale, il gran salto dell'accettazione, da parte della Francia, della tesi del riarmo tedesco.

Non sarebbe neppure da escludersi che le disposizioni concilianti della Francia giungessero fin al punto di facilitare all'Inghilterra la concessione di garanzie, accettando qualche misura di disarmo -p. es. nell'aviazione -: misure forse di qualche appariscenza esteriore e numerica, ma puramente fittizie nella realtà (p. es. radiazione di vecchi apparecchi ecc.). S'intende che il Governo britannico sarebbe più il complice che la vittima di tale finzione, studiata per fornirgli un utile alibi di fronte ai vasti circoli laburisti e disarmisti inglesi.

Durante la seduta del Bureau il Signor Sandler, ministro degli Esteri di Svezia, ha annunciato che la Svezia avrebbe diretto una nota al Presidente della Conferenza, in cui saranno esposti i requisiti che la Svezia ritiene essenziali per una convenzione. Essi coincidono sostanzialmente colla posizione inglese.

Sono poi stato susseguentemente informato che la nota sarà comune pei tre Governi scandinavi, e che si è ottenuta l'adesione anche della Spagna e della Svizzera, a firmare il documento.

Il ministro Westmann, delegato svedese al disarmo, mi ha confidenzialmente fatto capire che, se fosse stato in lui, si sarebbe astenuto da ogni dichiarazione orale e scritta. Pur difendendo il contenuto della nota, dimostrandomi che essa segna un passo avanti verso la Convenzione, in quanto che comprende il riarmo tedesco e le garanzie, ammise che l'apporto di notevole valore morale ch'essa arreca alla tesi inglese esigente misure di disarmo, è atto a rendere più lunga e più difficile la soluzione. Personalmente è persuaso che, se una convenzione si farà, non può essere che nel senso del memorandum italiano. Ma i Governi scandinavi sono socialisti e, parlando, non potevano dire diversamente.

Ne ho discorso con Massigli, il quale è rimasto assai contrariato dell'iniziativa svedese, tanto più se altri vi si associano. Essa, in sostanza, costituisce infatti un colpo contro la negativa francese di disarmo. Anch'egli ritiene che questa mossa, pur non avendo una portata sul risultato finale, contribuirà piuttosto a crescere le difficoltà di una soluzione favorevole.

Il discorso del delegato sovietico non aveva portata pratica. Egli ha constatato che la causa del disarmo è fallita, e che s'inizierà anzi la corsa agli armamenti. Ma la Conferenza, aggiunse, può continuare a lavorare Io stesso, studiando il perfezionamento e la generalizzazione di patti di sicurezza, di non aggressione e di definizione dell'aggressore, proposti dai Soviet e già applicati fra alcuni Stati dell'oriente europeo e dell'Asia. Il presidente Henderson si è limitato a fargli notare che non vede come si possa parlare di trattati di sicurezza abbandonando le idee di riduzione degli armamenti ed in mezzo ad una corsa universale al riarmo.

Nei circoli ginevrini si interpretano le dichiarazioni sovietiche come un segno di ulteriore riavvicinamento della Russia alla Lega, dettato dal bisogno di garantirsi verso l'Europa e trovare un appoggio contro il Giappone.

Il delegato polacco ha dichiarato che, di fronte alle idee che spuntano sullo spirito della nuova convenzione (vedi riarmo tedesco) il suo Governo riserva ogni attitudine. Siccome finora la Polonia aveva ufficialmente sostenuto la tesi che la Germania dovesse rimanere nei limiti imposti dal Trattato di Versailles, le espressioni del delegato polacco rappresentano in realtà un primo passo prudenziale verso l'ammissione del riarmo tedesco.

Riassumendo, le mie impressioni di Ginevra si concretano come segue:

l) I Governi responsabili sono ora tutti più o meno persuasi che una convenzione non può essere conclusa che nello spirito del memorandum italiano, e sono anche persuasi ch'essa rappresenterebbe il minor male o il maggior bene possibile, e che quindi converrebbe marciare in quella direzione.

2) Ma sono ostacolati da diuturne tradizioni di concetti e di parole, dai partiti di opposizione, dalla stampa libera, dalle opinioni pubbliche in parte sviate e in parte deficientemente informate, dai postulati anti-militaristici, dai socialisti, dai teorici del pacifismo, ecc.: in breve, da un insieme formidabile di forze, che, per motivi onesti o disonesti, in buona o cattiva fede, vogliono o figurano volere il meglio e fanno il male. Fra le democrazie europee, soltanto il Governo belga ha avuto il coraggio di romperla con questi ostacoli e certamente il suo esempio non può che avere incoraggiato Barthou nella sua eventuale evoluzione verso una concezione realistica della questione.

3) Se i Governi prevarranno, il punto morto odierno sarà superato.

4) La notizia dei provvedimenti budgetarii tedeschi, dopo il primo momento di irritazione e di paura, viene ad assumere più che altro la funzione di un monito a far presto.

96

IL SOTIOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 489/81 R. Roma, 14 aprile 1934, ore 24.

Mio telegramma n. 75 (l).

Occorre che azione Governo austriaco tenga presente necessità di evitare tutto quello che possa condurre qualsiasi pubblicità sui fatti di cui fuorusciti sono incolpati. Sotto questo aspetto converrà pure che siano considerate possibili espulsioni.

97

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 14 aprile 1934.

Sir Eric Drummond mi ha chiesto se noi avevamo preso posizione nei riguardi dell'aumento dei bilanci militari tedeschi e in genere quale impressione ne avevamo avuta. Mi rilascia l'unito appunto.

Gli ho risposto che non avevamo preso posizione. L'aumento dei bilanci militari non può essere considerato una sorpresa, perché è chiaro che i tedeschi, di fronte alle tergiversazioni degli altri, stanno armando. Certamente è sintomatico il fatto che oggi lo facciano così apertamente. Ciò deve indurre a venire al più presto ad una-soluzione.

L'Ambasciatore mi parla poi delle notizie che si hanno a Londra sull'opera di avvicinamento tedesco verso la Jugoslavia. A Londra ci si preoccupa anche delle nostre difficili relazioni con la Jugoslavia che lasciano il campo aperto ai tedeschi.

Gli rispondo che le relazioni con la Jugoslavia sono normali e che non è escluso che anche per gli interessi economici, che sono notevoli fra i due paesi, i rapporti fra gli stessi possano essere intensificati.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 192/158/34 (1). Roma, 13 aprile 1934.

His Majesty's Government are seriously concerned by the heavy increases in the German Navy, Army and Air Ministry estimates. The Army increase is very heavy and that for the Air Ministry represents an increase of 250 % on the 1933 figures which is equa! to a sum of about L. 10.000.000 at the present rate of exchange.

His Majesty's Government have addressed an official enquiry in writing to the German Government asking for detailed information as to the reasons for these increases at the present time. A written reply has been proposed. Meanwhile certain informa! explanations have been received from the German Embassy in London. The Army increase is stated to be necessary in view of preparations for transforming the German Army into a short service militia as contemplated in the disarmament negotiations. The naval increase is said to be occasioned by the necessity for renewing antiquated shipping. The Air Ministry increase is said to be due partly to the replacement of single-motor commerciai aeroplanes by machines with two or three motors, development of long distance flights especially during the winter, and extension of night f!ying, trans-maritime aviation and scientific research; the remainder of the Air Ministry estimate consists of expenditure for protection against air attack, including construction of splinter and gas proof basements, instruction in poison gas defence measures, the furtherance of fire extinguishing systems.

His Majesty's Government are anxious to 1earn the views of the Royal Italian Government with regard to the position revealed by these German estimates. In particular, they would be grateful if they might be informed whether the Royal Government have made any comments on these estimates and whether they have received from Germany any explanations similar to those ùetailed above.

(l) Cfr. n. 80, nota 2.

98

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 1979/609. Belgrado, 14 aprile 1934.

La condanna alla pena capitale di Peter Oreb e compagni non è stata fin'oggi eseguita.

Riferisco, con riserva, la voce che qui corre non essere improbabile che Re Alessandro, cui da varie parti viene attribuita la decisione di dare ampia

pubblicità a questo processo, faccia annunziare uno dei prossimi giorni l'avvenuta concessione della grazia sovrana ai condannati. Se la cosa si verificherà, la grazia non potrebbe avere altro significato ed altro fine che quello di sancire il carattere di mandatari dei condannati e di colpire, col provvedimento in loro favore di commutazione di pena, quelli che sono stati additati all'opinione pubblica quali mandanti (Governo italiano e capi del fuoruscitismo croato).

Ciò potrebbe però prestarsi ad una ritorsione da parte nostra, mettendoci in grado di affermare che il provvedimento di grazia prova invece che Oreb e compagni sono stati imbeccati, e che esso vale a ripagarli delle loro false affermazioni.

Oggi, a distanza di 15 giorni dalla sentenza, si possono intanto trarre le seguenti conclusioni:

l) L'effetto scandalistico internazionale, che è stato anche indubbiamente una delle basi della decisione di dare la più ampia pubblicità al processo, è stato tutt'altro che raggiunto. La stampa francese sulla quale evidentemente si contava (ma che, in questi momenti, diguazza in ben altri e propri scandali) non ha, tranne insignificanti eccezioni, raccolto e rilanciato in pasto al pubblico internazionale quanto è stato ampiamente sviscerato nel dibattimento Oreb sulla moralità dei rapporti fra gli Stati e sulla organizzazione degli « ustasi » in Italia. Ho già segnalato a V. E. i commenti apparsi sulla stampa estera quali sono stati qui ripresi dalla stampa locale.

Trasmetto oggi un articolo apparso oggi sull'ufficioso Echo de Belgrade del 12 corrente che vuole confutare una sortita dell'agenzia «Oriente», ed un secondo articolo dello stesso numero del giornale che riporta l'esposizione del processo Oreb fatta dal Journal des Nations di Ginevra.

2) Ciò non toglie che tutte le Rappresentanze Diplomatiche in questo paese abbiano riportata l'impressione e l'abbiano riferita ai loro Governi, della verità delle deposizioni di Oreb e compagni, ed abbiano creduto interpretare il silenzio del Governo ·italiano come un riconoscimento della propria colpa ed impossibilità di una qualsiasi smentita. Ne è stato fatto aperto cenno tanto a me quanto ai miei segretari da vari rappresentanti (Nunzio Apostolico compreso). Alle malevole e pungenti domande non sono mancate tuttavia opportune repliche.

3) Nella società serba le dichiarazioni dell'Oreb hanno avuto una notevole ripercussione. Conseguenza un visibile raffreddamento delle relazioni di società con i componenti la R. Legazione.

4) Silenzio assoluto al Ministero degli Esteri. Nessun accenno al processo né durante il suo svolgimento né a sentenza pubblicata.

Le autorità periferiche hanno invece reagito nei soliti modi che si verificano ad ogni nube che si affaccia sui rapporti fra i due Paesi: manifestazioni a Zagabria, escursioni di connazionali da Sussak, rifiuti di permessi di soggiorno a connazionali (Caso Maricich), rifiuti di visti di uscita a connazionali (Caso Novak), ostruzionismo postale sulla corrispondenza indirizzata in

lingua italiana, arresto di connazionali nelle zone di frontiera (caso dei tre studenti zaratini) ~cc.

Devesi riconoscere che la « montatura » del processo è stata tale, che non poteva non provocare una qualche reazione (che pure è stata molto inferiore a quella che era lecito prevedere) nell'animo di qualche funzionario jugoslavo della periferia, eccitato dalla notizia di preparazione all'estero di un attentato contro il Sovrano e dell'organizzazione di bande armate pronte a compiere incursioni nel territorio jugoslavo (vedi le recenti apprensioni e predisposizioni delle autorità del Litorale Dalmatico di fronte alla propalata notizia di sbarco di «ustasi » in Dalmazia).

Come pure è da riconoscere che gli incidenti sollevati hanno ricevuto quasi tutti favorevole soluzione da parte di questo Governo centrale.

Il processo Oreb resta ad ogni modo un punto molto [sensi]bile (l) nei rapporti tra i due Paesi, e un episodio che potrà in [ogni mom]ento esserci opposto, come pure un elemento da tenersi in evidenza per tutto un prossimo periodo delle relazioni itala-jugoslave.

(l) Questo promemoria riproduce quasi integralmente un telegramma di Simon a Drummond del 12 aprile ed. in DB, vol. VI, p. 629.

99

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 613. Belgrado, 14 aprile 1934.

Le notizie fornite dalla opposizione croata al R. Console Generale in Zagabria su prossimi mutamenti ministeriali debbono essere accolte con ogni possibile riserva (2).

Cioè, mutamenti ministeriali sono sempre possibili e si parla infatti del ritiro di Srkuli perché seriamente ammalato di stomaco, come di qualche altro Ministro, forse il Radivojevic Ministro delle Comunicazioni colpito dalle accuse di corruzione dalla passata sessione della Skupcina, ma non nel senso indicato dalla opposizione croata. Sette generali al Governo significherebbe un nuovo e totale indirizzo politico che nulla sembra giustificare.

Sulle effettive diverse tendenze che qui si svolgono ho informato dettagliatamente il 26 marzo u.s. V. E. (3), e non vi è nulla per ora di nuovo e di essenziale da aggiungere.

Quanto a Re Alessandro, è noto che tutti gli anni a questa stagione egli si reca per due o tre settimane a Niska Banja. Verosimilmente egli andrà in

Secondo tale notizia il Re si troverebbe attualmente in preda a delle frequenti depressioni nervose e allucinazioni alle quali andrebbe soggetto e che si verificano ogni qual volta sorgono importanti avvenimenti politici interni ed ester!, in nesso con la sua persona. L'attuale stato di depressione del Sovrano, dicono essere stato provocato dalla notizia dei preparativi di un attentato contro la sua persona.

A causa di questa infermità il Re avrebbe rimandato il viaggio a Parigi che si diceva avrebbe dovuto fare prima della partenza del Ministro Barthou per Varsavia e Praga ».

Maggio a Hassan Pijesak, poi nel Giugpo a Plitvice e quindi a Bled, come di consueto. A Niska Banja egli fa sopratutto una cura di riposo e per dolori reumatici.

È del tutto fantastico ed inventato che il Re abbia allucinazioni, etc. Ritornato da qualche giorno a Belgrado ha avuto a pranzo a Dedinje i Ministri di Inghilterra e di America con altre personalità straniere la sera del 12 corrente. È stato trovato dai suoi ospiti in ottime condizioni di salute e di eccellente umore. Le ragioni della non accettazione dell'invito a Parigi sono note a V. E. per i precedenti miei rapporti fino dal Gennaio u.s.

(l) -Le lacune sono dovute al deterioramento del documento. (2) -Umiltà aveva informato in proposito con il telespr. 209 del 9 aprile d! cui si pubblicail brano seguente: «I circoli massoni di questa città diffondono la notizia che Re Alessandro si trova già da quindid giorni a Nis e che ricusa d! ricevere in udienza anche le persone più intime.

(3) Non pubblicato.

100

IL GOVERNATORE DELLA LIBIA, BALBO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P.RR. Roma, 14 aprile 1934.

Il latore, Colonnello Longo, ti consegnerà:

lo il verbale di Palazzo Venezia Cl) ;

2° il testo dell'accordo.

Oltre la questione finanziaria è urgente quella dell'armamento. Il concentramento delle armi dovrebbe esser fatto a Tripoli, a mezzo del Piroscafo Alice della R. Aeronautica, a cura del Colonnello Longo.

Dovresti pertanto dar ordine a Baistrocchi di procurare:

lo circa 10.000 fucili di provenienza bellica;

2° due milioni di cartucce;

3° cento casse di bombe a mano.

Le mitragliatrici dell'altra volta (200) sono ad Orbetello e possono essere imbarcate da un momento all'altro. A Tripoli farei poi concentrare circa 20 fra i capi del movimento, per prendere conoscenza dell'uso delle armi.

101

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI (2)

T. 494/84 R. Roma, 15 aprile 1934, ore 23.

Bisogna sottolineare a Dollfuss che le manifestazioni del l o maggio -giorno celebrativo della nuova costituzione austriaca -devono riuscire imponentissime e ciò per ragioni morali e politiche di ordine interno, ma sopratutto internazionale. Altrimenti molti e in ogni caso troppi austriaci seguiranno alla radio le manifestazioni germaniche dello stesso giorno.

13 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

(l) -Cfr. n. 54. (2) -Minuta autografa dl Mussolinl.
102

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI

T. R. 495/118 R. Roma, 16 aprile 1934, ore 14.

Rapporto di v. S. n. 97 (l) e tel-egrammi d iV. S. nn. 208 (2) e 23 (3).

Visto che progetto collaborazione italo-cinese non potrebbe concretarsi che attraverso « Chinese Development Finance Corporation », sta bene anche questo tramite; occorre però che ente predetto offra necessarie garanzie finanzia;rie e che proposte particolareggiate richieste da V. S. a signor Tz.e risultino accettabili da nostre industrie.

In via di massima ritengo che la cosa potrebbe essere tanto più interessante per noi quanto maggiore fosse parte del saldo indennità boxers che, in relazione accordo di Londra l o luglio u.s., Governo cinese vi dedicasse (pur non trattandosi più di collaborazione tra i due Governi) e quanto maggiore fosse partecipazione personale italiano alle imprese, potendo noi fornire personale direttivo più facilmente che capitali.

Prego V. S. comunicarmi quando le avrà ricevute proposte di cui sopra e ogni utile notizia sulla solidità dell'ente di recente costituito, accompagnate da parere di V. S. affinché possa fare esaminare il tutto anche dai ministeri tecnici e gruppi interessati.

Gradirei infine che V. S. mi facesse conoscere suo avviso circa qualità persona che da parte italiana dovrebbe trattare con « Chinese Development Finance Corporation ».

103

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1415/069 R. Vienna, 16 aprile 1934 (per. il 18).

Telegramma di V. E. n. 81 (4).

Segretario generale mi ha detto che ogni riserbo è stato ed è usato nella questione dei fuorusciti croati, tanto dai giornali quanto dalla polizia, che ha ricevuto istruzioni in tal senso. Egli ha anche rilevato che i due sottoposti alla procedura di estradizione -e cioè l'Artukovic ed il Singer -hanno il diritto di assumere avvocati difensori. A costoro soltanto, a suo avviso, potrebbe esser comunicato, ai fini della difesa, qualche elemento o documento da essi richiesto.

Con riferimento poi al punto 5 del mio telegramma per corriere n. 068 del

12 aprile (5), segretario generale mi ha detto che, secondo quanto ricordava,

polizia non aveva rinvenuto corrispondenza presso il nominato Peknikar che trovasi in arresto per passaporto falso e detenzione armi. Materiale sequestrato ai due individui nominati più sopra trovasi invece presso autorità giudiziaria. Ha spontaneamente aggiunto di aver raccomandato al ministro della giustizia di oculatamente vigilare sull'affare in questione (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 70. (3) -T. 1309/213 R. del 7 aprile, non pubblicato. (4) -Cfr. n. 96. (5) -Cfr. n. 91.
104

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

L. R. 3034. Roma, 16 aprile 1934.

Come certamente Ella sa, nelle notizie che saltuariamente escono in codesta stampa circa i lavori preparatori in corso per la nuova costituzione come pure in dichiarazioni del Cancelliere e del Ministro Ender si è fatto a più riprese richiamo alla Bolla Pontificia Quadragesimo anno come uno degli elementi base ispiratori della riforma costituzionale.

Pur rendendoci conto che non sia né possibile né forse opportuno che nei testi legislativi concernenti la nuova costituzione si faccia qualche esplicito accenno al Fascismo, tuttavia per molteplici considerazioni sarebbe però egualmente opportuno che non si facesse esplicito richiamo neppure alla Bolla sopra indicata.

Nei preamboli ai testi come pure nei considerandi che generalmente precedono i testi costituzionali di leggi connesse, potrebbe piuttosto farsi conveniente menzione di principi cristiani di ordinamenti corporativi o anche più indeterminatamente di Neuordnung.

Mi rendo conto di tutta la delicatezza della questione, ma tuttavia Ella potrebbe trovare modo incidentalmente di far giungere in proposito al Cancelliere qualche suggerimento a titolo di osservazione prevalentemente personale (2).

Aggiungo che il ministero della sicurezza ha dichiarato che il colonnello Percevic potrebbe recarsi a Vienna anche a partire dalla settimana in corso ».

O nessun preambolo o solo un pizzico di austriacantesimo nuovo stile, di cristianesimo e di berujstiimdische ordnung o Neuordnung. Non ti pare? Il preambolo dell'Ordinanza sui Sindacati potrebbe dare lo spunto».

(l) Con successivo t. per corriere 1465/0171 R. del 17 aprile, Preziosi comunicò ancora quanto segue: «Al Ballplatz mi è stato detto che il nominato Kodanic. redattore del Gric, è stato liberato; che il Peknikar trovasi invece ancora in arresto, ma ai soli fini di polizia;che studente Quaternik, che poté evitare l'arresto per essere stato tempestivamente messo sull'avviso, è riuscito a fuggire in Germania (dove però -sempre a quanto mi è stato riferito -sarebbero adesso praticati aspri criteri di severità verso 1 fuorusciti croati); che infine il materiale contro i due individui per cui è stata chiesta l'estradizione non sembrerebbe di grandissima importanza.

(2) Il senso di questa lettera era stato suggerito a Suvich da Salata che gli aveva scritto in data Roma, 3 marzo: «Dalle notizie anche dirette che ho da Vienna, le cose della nuova costituzione austriaca marciano bene, tenendo conto anche delle preoccupazioni di cui si è parlato nelle nostre recenti conversazioni. Bisognerebbe però cercar di evitare che nel preambolo della nuova Costituzione, dove certo si eviterà di richiamarsi al Fascismo, non si faccia richiamo né diretto né indiretto alla Bolla Quadragcsimo anno che specialmente Ender ha sempre in bocca.

105

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1409/164 R. Parigi, 17 aprile 1934, ore 20,50 (per. ore 22).

Pubblicazione delle cifre del bilancio della guerra del Reich ha riattivato la corrente di opposizione delineatasi una settimana fa nel seno del Gabinetto francese come esposto nel mio telegramma n. 154 (1).

Il proposito manifestato dal Governo tedesco di procedere alla trasformazione del proprio esercito senza curarsi menomamente delle trattative in corso, le spese preventivate per l'aviazione, denotano agli occhi sfere politiche francesi la volontà decisa della Germania di attuare un programma predisposto senza alcuna considerazione alle più elementari convenienze.

Segretario generale degli affari esteri nell'espormi stamane la nuova situazione aggiungeva che la nota francese all'Inghilterra potrà non essere così conciliante come si prevedeva.

Il consiglio dei ministri dovrà occuparsene oggi e nuovamente giovedì o venerdì.

Non è dato prevedere indirizzo che prevarrà ma è fuori dubbio che sta riprendendo piede il dubbio nella lealtà della Germania, la quale non si cura neppure di nascondere il suo gioco.

106

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1413/59 R. Praga, 17 aprile 1934, ore 21,50 (per. ore 1,30 del 18).

Circa prossima visita Barthou a Praga Benes mi ha dichiarato che nei relativi comunicati e discorsi egli intende marcare propositi di volenterosa collaborazione con Italia per soluzione problemi danubiani, sulle linee del memorandum italiano e dei protocolli di Roma, in perfetto accordo, naturalmente, con la Francia, ed auspicando collaborazione anche con la Germania.

Su questo ultimo punto però Benes non sa fino dove Barthou sarà d'accordo.

Benes ha aggiunto che accenni alla Società delle Nazioni figureranno cer

tamente nelle dichiarazioni ufficiali, per cui ho creduto chiedergli se tali ac

cenni prenderanno posizione circa progetto italiano di riforma dell'istituto gi

nevrino.

Benes mi ha allora detto che ignorando egli del tutto in che consistano tali progetti gradirebbe di parlarne con me prima dell'arrivo di Barthou che giungerà qui giovedì mattina 26 aprile.

Con riferimento telespresso circolare di V. E. n. 20333/90.000 del 30 gennaio (l) sul qual-e non ho creduto finora opportuno parlare con Benes, preg·o

V. E. telegrafarmi con cortese urgenza se ha particolari istruzioni da darmi per

norma linguaggio circa attuale fase del nostro punto di vista al riguardo. Eventuali istruzioni dovrebbero giungermi entro lunedì 22 corrente (2).

(l) Cfr. n. 81.

107

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO

T. 499/44 R. Roma, 17 aprile 1934, ore 22.

Rapporto di V. E. n. 175 del 26 marzo (3).

Invierò a V. E. istruzioni con apposito telespresso, ma intanto conviene che ella si adoperi opportunamente per chiarire malintesi e sospetti da lei segnalati, che sarebbe tanto più increscioso che perdurassero, quanto meno essi rispondono alla realtà e non possono giovare né agli interessi nostri né a quelli bene intesi di codesto paese. Occorre sorvegliare i possibili sviluppi del patto balcanico, intorno al quale le ho già fatto conoscere il mio pensiero: esso rappresenta una deviazione dalla politica che codesto paese è naturalmente chiamato a svolgere nel suo interesse e in quello delle normali relazioni fra Stati nei Balcani, e conviene che con un'opera di persuasione opportuna e continua la Turchia giunga a rendersene conto, evitando in ogni caso che gli errori commessi si aggravino.

108

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1430/037 R. Praga, 17 aprile 1934 (per. il 19).

Benes, che ho visto stamane, mi ha confermato la sua volontà di dare ampia e volenterosa collaborazione all'applicazione del memorandum italiano per le questioni danubiane e dei protocolli di Roma.

Quanto protocolli Roma, istruzioni impartitele sono comuni a tutte RR. rappresentanze; e non ho attualmente altre particolari indicazioni da fornirle».

Al riguardo egli ha tenuto a farmi le seguenti dichiarazioni: 1°) Non è esatto che Piccola Intesa abbia intendimenti di perpetuare disagio economico dell'Austria e dell'Ungheria, la cui ripresa è invece interesse diretto della Piccola Intesa e specialmente della Cecoslovacchia, a causa dell'innegabile interdipendenza economica dei cinque Stati danubiani pur nel più vasto quadro comprendente anche Italia e Germania. 2°) Agli aggiustamenti economici tra Austria, Ungheria e Italia, che saranno elaborati in esecuzione dei protocolli di Roma, dovrebbero seguire sollecitamente trattative con gli Stati della Piccola Intesa, sempre, naturalmente, in vista di quegli accordi bilaterali cui si inspira concezione itallana. In tale ordine di idee Be,nes intende entrare appena possibile in negoziati con Austria e con Ungheria, nonché, se sarà H caso, con Italia. 3°) Benes crede desiderabile che l'Italia estenda indi negoziati ad altri Stati della Piccola Intesa per completare rete di accordi bilaterali che, per essere organica, dovrebbe cominciare col comprendere i cinque Stati danubiani e l'Italia. 4°) Solo quando tale rete di accordi fosse sufficientemente perfetta, trattative dovrebbero estendersi a Germania, quale fattore peraltro indispensabile della ricostruzione centro-europea; e ciò perché aggiustamenti fra Italia e Stati danubiani sarebbero, secondo Benes, più facilmente raggiungibili che quelli di tutti i suddetti Stati con la Germania. Ho obiettato a Benes che quest'ultimo punto sembravami poter rischiare di irrigidire Germania rendendola suscettibile e sospettosa con procedura che sembrerebbe metterla davanti a fatto compiuto. Ben es crede poter eliminare tale pericolo in due modi: a) pel fatto che forse Germania non attenderà consensi o inviti di terzi per entrare in dirette trattative con Austria ed Ungheria; b) con una rigida procedura di trattative bilaterali per cui nessuna trattativa dovrà avvenire tra blocchi o a nome di blocchi. Ho creduto a questo punto di farmi dare formale ed esplicito atto da Benes che per quanto lo riguarda non vi sarà alcun tentativo di inserzione della Piccola Intesa nelle trattative, e che anche nella cooperazione della stampa trattative verranno accuratamente presentate come attività separate di ciascuno degli Stati della Piccola Intesa, la quale non dovrà mai figurare come tale negli sviluppi dei protocolli di Roma e del memorandum italiano. Benes mi ha dato di buon grado assicurazioni in tal senso, pur avvertendo che, naturalmente, Stati della Piccola Intesa agiranno di conserva, mantenendo contatti interni. Egli ha convenuto che tale procedura è nell'interesse stesso degli Stati della Piccola Intesa in quanto loro trattative con terzi Stati saranno per loro stessi tanto più agevoli quanto più saranno indipendenti. Giusta mio telegramma filo odierno n. 59 (l) Benes si propone svolgere programma suddetto della politica cecoslovacca in perfetto accordo con la Fran

eia, ed egli confida di non incontrare difficoltà da parte Barthou, che in massima avrebbe già dato sua adesione, salvo, come ho riferito per collaborazione con Germa-nia sulla quale Benes orede che dovrà svolger,e azione persuasiva presso Barthou stesso.

Lo ho caldamente incoraggiato su questa via ed egli ha convenuto meco che indirizzo escludente Germania ricostituirebbe nell'Europa centrale quella politica di blocco che patto a quattro ha felicemente respinta dal piano di ricostruzione europea e che certamente Italia non intende lasciar risorgere.

Continua col n. successivo (1).

(l) -Non pubblicato nel volume precedente. (2) -Suvich rispose con t. 508/37 R. del 20· aprile quanto segue: «R. Governo resta d'avviso che problema Società Nazioni potrà essere trattato dopo questione disarmo. In ogni caso non per ora. Direttive contenute nel telespresso n. 20333 -come lvi indicato -hanno del resto carattere riservato.

(3) Cfr. n. 36.

(l) Cfr. n. 106.

109

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1431/038 R. Praga, 17 aprile 1934 (per. il 19).

Il presente telegramma fa seguito al precedente n. 037 (2).

Circa situazione austriaca Benes mi ha detto che vi è luogo di felicitarsi della cristallizzazione oramai verificatasi e che corrisponde a quanto egli aveva sempre designato come una imprescindibile necessità per l'Europa.

Quasi a prevenire facili osservazioni retrospettive, Benes ha soggiunto che teneva ad esprimermi tale suo sincero compiacimento perché è stato detto che esso Benes aveva altre aspirazioni, per lo meno sul modo di arrivare allo scopo. L'importante è invece che lo scopo sia stato raggiunto essendo esso Benes perfettamente indifferente al come e per merito di chi vi si sia arrivati.

Ho naturalmente mosso qualche facile osservazione a Benes, il quale ha convenuto che si era giunti attraverso la sconfitta di quegli elementi socialdemocratici fra i quali egli contava le maggiori aderenze ed i maggiori appoggi; e che, se pur non si volevano ricercare i meriti, una certa riconoscenza era per lo meno dovuta a chi aveva contribuito a conseguire uno scopo cosi essenziale per la Cecoslovacchia, come la riaffermata indipendenza dell'Austria.

Benes ha di buon grado riconosciuto i meriti dell'Italia il cui appoggio egli ha definito decisivo pel successo Dollfuss, mentre di quest'ultimo ha riconosciuto che aveva agito con molta intelligenza e abilità.

In quanto ai suoi amici socialdemocratici d'Austria, Benes ha pure ric~nosciuto che costoro erano anschlussisti allorquando si trattava di aggregare l'Austria ad un Reich socialista; ma ha aggiunto che egli lo sapeva benissimo e sapeva pure che Renner e Bauer, contrari all'Anschluss dell'Austria al Reich hitleriano, sarebbero tornati ad essere annessionisti per poco che in Germania, per azzardata ipotesi, l'hitlerismo avesse avuto a declinare. Ma Benes pretende che egli avrebbe a tempo debito tenuto d'occhio tali tendenze.

Comunque, tutto ciò è storia retrospettiva.

L'importante, ha concluso Benes, è che la situazione in Austria, pur essendo soddisfacente e promettente, ha bisogno di essere attentamente sorvegliata, perché esposta a quotidiani pericoli. Egli ravvisa in Austria tre grandi forze: l'idea hitleriana, l'idea democratica e l'idea cattolica. Quest'ultima -che è la più forte, e che ha avuto i forti appoggi dell'Europa, dell'Italia fascista e del Papa -ha vinto, e Dollfuss è stato abile con lo stroncare la socialdemocrazia per avere un solo avversario invece di due.

Ma le difficoltà di Dollfuss non sono finite, e per poco che egli vacilli, i suoi avversari riprenderanno l'offensiva. I dissensi personali intorno al cancelliere sono funesti e pericolosi.

Gli austriaci conservano lo spirito d'indisciplina ereditato dall'Impero. L'autoritarismo non viene accettato da loro così come lo accettano i tedeschi di Germania.

Perciò Dollfuss deve stare sempre in guardia e con lui le forze interessate al mantenimento ed alla consolidazione della situazione ottenuta in Austria. Queste le osservazioni di Benes che ho creduto interessante riferire.

(l) -Cfr. n. 109. (2) -Cfr. n. 108.
110

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL CAPO DELLE HEIMWEHREN, STARHEMBERG (l)

APPUNTO. Roma, 17 aprile 1934.

Starhemberg riferisce che le cose in Austria vanno discretamente bene; la riforma costituzionale sarà proclamata il 1° maggio ed entrerà in vigore in parte subito in parte appena si saranno realizzate le premesse (ordinamento corporativo).

I nazional-socialisti sono in evidente notevole regresso: è possibile però che tentino anche un atto di forza che però sarà facilmente represso. Si è creata a Budapest una centrale nazional-socialista che dà parecchio fastidio: recentemente c'è stata a Budapest una riunione di tutti i capi austriaci nazional-social.isti. Anche numeroso materiale di propaganda entra dall'Ungheria in Austria. Il Cancelliere ha pregato di informare di quanto sopra il Capo del Governo.

Il Capo del Governo provvederà a richiamare senza indugio su questi fatti l'attenzione del Governo ungherese. Ora il problema che si posa è quello di venire alla liquidazione dei partiti e al rafforzamento del fronte patriottico. Il partito cristiano-sociale è praticamente sciolto. Dollfuss in questo come in tutto il resto ha agito con molta abilità e tempestività. C'è un dissidio fra Starhemberg e Fey sulla funzione che devono avere nella nuova fase della politica au

striaca le Heimwehren. Starhemberg ritiene che al punto in cui siamo arrivati non si possono più mantenere le Heimwehren in una posizione di isolamento con funzione di controllo dal di fuori su quanto si fa nelle file del fronte patriottico: meglio entrare in pieno e prendere i posti di comando. Perciò Starhemberg è disposto ad entrare nel Governo mantenendo il posto di sotto capo del fronte patriottico e di capo delle formazioni militarizzate del fronte stesso.

Fey è di opinione invece diversa. Egli vorrebbe che le Heimwehren rimanessero più indipendenti per esercitare un controllo e una pressione maggiore.

Starhemberg d'altra parte crede che nel fronte oatriottico il nucleo delle Heimwehren, che è il meglio organizzato e auello che ha una forte coesione interna, si imporrà di fronte ai cristiano-sociali e agli altri gruppi che sono più o meno frazionati.

Il Capo del Governo è di opinione che il programma di Starhemberg sia buono e vada applicato.

(l) Al colloquio era presente Suvlch, estensore dell'appunto.

111

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, BONARELLI

T. 500/52 R. Roma, 18 aprile 1934, ore 13,30.

Decifri Ella stessa.

Secondo accordi presi con questo ambasciatore belga 26 corrente mese proveniente Londra arriverei Bruxelles via aerea ore 11,45 ripartendo stesso giorno Italia treno 19,20.

Durante pomeriggio mi proporrei recarmi codesto presidente consiglio e dal ministro affari esteri per restituire visita fatta scorso autunno da conte Broqueville a S. E. il Capo del Governo e per un generico scambio di idee sulla situazione. Mia visita avrebbe carattere privato come quella fatta da Broqueville.

Prego V. S. dopo avere accertato che mio viaggio colà riesca gradito voler fissare con predette autorità necessari appuntamenti.

La S. V. vorrà anche vivamente pregare codesto Governo di tenere la cosa del tutto riservata fino al mio arrivo onde è consigliabile non abbia luogo alcuna colazione che comporterebbe la necessità di diramare inviti in precedenza.

Della mia visita si dovrebbe dare notizia alla stampa soltanto dopo avvenuta mediante comunicato di cui sarà redatto il testo nel corso della visita stessa.

Prego V. S. assicurarmi telegraficamente non appena presi opportuni contatti Governo belga (1).

(l) Bonarelli rispose con t. rr. 1441/53 R. del 19 aprile, non pubblicato, comunicando che il ministro degli esteri belga gli aveva detto di essere ben felice di poter ricevere Suvich nel pomeriggio del 26.

112

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1417/67 R. Tokio, 18 aprile 1934, ore ... (l) (per. ore 16).

La stampa pubblica un comunicato del ministero degli esteri, ma qualificato non ufficiale, che qui appresso si riassume: si deve comprendere che il Giappone è chiamato ad esercitare i maggiori sforzi per svolgere la propria missione nell'estremo Oriente e ad assumere la propria responsabilità. Il Giappone, malgrado si adoperi a conservare ed a rafforzare le relazioni amichevoli con le varie Potenze considera naturale che per mantenere la pace e l'ordine nell'estremo oriente debba agire solo e sulla propria responsabilità. Soltanto la Cina può dividere con lui tale responsabilità. Il Giappone desidera ardentemente mantenere l'unità e ristabilire l'ordine in Cina, ma ciò non può essere raggiunto che attraverso gli sforzi della Cina stessa.

Il Giappone nell'interesse della pace si opporrà ad ogni tentativo della Cina di avvalersi dell'influenza delle altre Potenze per respingere il Giappone, come si opporrà ad ogni tentativo cinese per resistere agli stranieri mediante altri stranieri.

Il Giappone si attende che le nazioni estere considerino la speciale situazione creata dagli incidenti in Manciuria a Shanghai e si rendano conto che lo svolgimento delle operazioni in comune anche di carattere tecnico assumerebbe eventualmente un significato politico per la Cina. Queste operazioni se attuate darebbero luogo a complicazioni che renderebbero forse necessarie delle discussioni sulle zone di influenza e financo il controllo internazionale e la spartizione della Cina con i più seri effetti sull'Asia orientale e, da ultimo, sul

·Giappone. Il Giappone deve quindi fare obiezione a tali intraprese dal punto di vista di principio; non riterrà tuttavia necessario intervenire nei riguardi di qualsiasi Potenza straniera che negozi individualmente con la Cina riguardo alle proposte di contenuto finanziario e commerciale finché tali proposte non siano nocive alla Cina e non turbino la pace. Altrimenti il Giappone sarà obbligato ad opporsi. Per esempio fornire alla Cina aeroplani militari, il costruire aerodromi, il distaccare istruttori e consiglieri militari o contrarre prestiti per provvedere fondi a scopi politici tenderebbe separare il Giappone ed altri paesi dalla Cina e riuscirebbe pregiudizievole alla pace in Asia orientale. Il Giappone si opporrà a tali progetti. L'atteggiamento suddetto dovrebbe risultare chiaramente dalla politica seguita dal Giappone nel passato, ma poiché i gesti per l'assistenza collettiva della Cina da pa~te delle Potenze estere divengono troppo notevoli sembra opportuno fare conoscere il punto di vista giapponese.

(l) Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

113

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1421/132 R. Berlino, 18 aprile 1934, ore 19,50 (per. ore 24).

Ambasciatore di Francia ha così riassunto impressione dei suoi recenti colloqui di Parigi: Barthou è migliore ministro degli affari esteri che la Francia abbia avuto da molto tempo.

Egli ha conservato intatto il suo spirito vivace di dieci anni fa.

È un ministro che legge rapporti dei suoi agenti diplomatici e che riflette su quanto essi espongono. Differisce in ciò da molti suoi predecessori i quali avevano idee preconcette che non cambiavano nemmeno di fronte all'evidenza dei fatti.

Barthou ha compreso situazione presente. Si rende conto della necessità concludere una convenzione per limitare riarmamento dei vari Stati stabilendo in pari tempo i provvedimenti da adottare contro gli eventuali contravventori.

Incontra però ostacoli gravissimi in seno Gabinetto, sopra tutto da parte di Tardieu il quale è intransigente in modo assoluto tanto da non essere ragionevole e da ritenere possibile che Germania faccia prossimamente la guerra.

Doumergue è influenzato da Tardieu ed ossessionato dall'idea che suo Gabinetto possa passare alla storia come quello che consenti alla Germania di stracciare il trattato di Versailles.

In tale stato di cose, in presenza di notizie contraddittorie della stampa tedesca circa contenuto della nota francese al Governo britannico ed in mancanza, sino ad ora, di informazioni dirette, ambasciatore di Francia propende a ritenere che il Gabinetto francese, dopo una discussione che crede sarà stata molto burrascosa, abbia deciso di rivolgere a Londra una domanda la quale, pur non volendo essere l'ultima parola della Francia, porrebbe chiaramente al Governo inglese il quesito di dichiarare se esso sia disposto a firmare una convenzione in cui sia stabilito il riarmamento della Germania e fissate contemporaneamente le modalità per una azione comune degli altri firmatari in caso di inadempienza da parte di uno ovvero più di essi. A suo modo di vedere tale azione dovrebbe consistere nella decisione delle varie Potenze di ricorrere, previo esame, ad uno dei quattro provvedimenti seguenti: richiamo all'ordine; rottura delle relazioni diplomatiche; blocco economico; dichiarazione di guerra.

Ove Inghilterra dovesse tergiversare nel dare sua adesione ad un simile modo di procedere, mio collega francese teme che Governo di Doumergue potrebbe indursi a rompere trattative per conclusione di una convenzione.

Egli lo deplorerebbe tanto più che è convinto che grande maggioranza opinione pubblica francese, nonostante mancata sua preparazione da parte di vari Governi e grazie al suo buon senso, si rende conto che la Germania sta già armando in barba al trattato di Versailles e che è pertanto meglio fissare la misura del suo riarmamento che lasciarla libera di aumentarlo indefinitivamente.

Ho osservato che dalle mie informazioni risultava avere ormai la Reichswehr reclutato circa 85.000 uomini oltre il quantitativo consentitole dal trattato di Versailles il che faceva ritenere che entro la primavera del 1935 essa disporrebbe di un esercito di 300.000 uomini. Ogni giorno di ritardo nel firmare una convenzione aggravava la situazione.

Ambasciatore di Francia ne convenne.

Aggiunse aver fatto del suo meglio per far comprendere a Parigi che una convenzione nella quale Francia, Italia e Inghilterra riconoscessero il diritto della Germania di riarmare ma stabilissero in modo non equivoco misure per impedire alla Germania di divenire pericolosa per la pace europea, avrebbe costituito un ammonimento per il partito nazionale socialista tale da indurlo a non spingere troppo oltre gli armamenti del Reich.

114

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 18 aprile 1934.

L'Ambasciatore Chambrun mi comunica di avere avuto notizia da Parigi che gli saranno inviate fra breve alcune proposte relative alle questioni in sospeso fra la Francia e l'Italia. Quando tali proposte gli saranno pervenute si permetterà di chiedere udienza al Capo del Governo. Mi dice poi che si preoccupa della impressione che potrà fare il mio passaggio a Parigi senza vedere alcuno degli uomini di Governo francese, data la fatalità che il Ministro degli Esteri non può essere presente per il suo viaggio a Varsavia ed a Praga. Egli spera che io trovi tuttavia qualche momento per intrattenermi col Capo del Governo francese.

Gli rispondo che naturalmente io sarei ben lieto d'intrattenermi con lui, che però la cosa non è agevole data la ristrettezza del tempo della fermata del treno a Parigi.

L'Ambasciatore mi chiede soltanto di poter dire a Parigi che si potesse combinare un incontro ad onta della ristrettezza del tempo sua impressione è che la cosa non sarebbe sgradita.

Gli rispondo che non vedo alcuna difficoltà perché egli faccia una tale comunicazione di sua iniziativa. Lo avverto, su sua domanda, che al ritorno non è possibile perché io prenderò la linea di Bruxelles.

L'Ambasciatore andrà a Milano nei prossimi giorni per assistere il Mini

stro del Commercio di Parigi nelle trattative che avrà col sottosegretario

Asquini. Egli cerche~·à di influire in tutti i modi perché si possa venire ad un

accordo che consenta di allargare ed aumentare i traffici fra i nostri due Paesi.

Si riserva eventualmente di venire a farmi ancora una visita prima della

mia partenza.

115

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIÉ

APPUNTO. Roma, 18 aprile 1934.

Il Ministro DUCIÉ non ha nulla di speciale da dirmi né da chiedermi. Vorrebbe soltanto essere orientato sul nostro punto di vista nei maggiori problemi del momento.

Gli do qualche ragguaglio. Ad un mio accenno che in un seeondo tempo gli Accordi di Roma potranno avere ulteriori sviluppi -accenno messo in relazione con la mia affermazione che la Jugoslavia è un Paese che ci interessa particolarmente -egli non reagisce in nessun modo lasciando cadere la cosa. Si preoccupa personalmente molto dell'Anschluss pensando che questo vorrebbe dire il dominio della Germania su tutta l'Europa danubiano-balcanica.

116

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 1439/173 R. Parigi, 19 aprile 1934, ore 18,25 (per. ore 21,15).

Mio telegramma n. 165 (1).

Barthou mi ha detto di aver incaricato codesto ambasciatore di Francia di pregare V. E. di incontrarsi col presidente del consiglio nell'ora che V. E. passerà a Parigi nel viaggio per Londra.

Il ministro degli affari esteri mi ha rinnovato espressioni rammarico per sua assenza dipendente da suo viaggio Polonia Cecoslovacchia che non gli è possibile differire.

Parmi superfluo ripetere che mi sono attenuto strettamente alle istruzioni di cui al telegramma n. 123 (2) e non ho preso nessuna iniziativa.

117

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 3830/70 P.R. Roma, 19 aprile '1934, ore 20,30.

Da fonte austriaca (3) vengo informato che a Budapest si è costituita centrale propaganda nazionalsocialista. Si sarebbero recentemente radunati Bu

«Comunico V. E. che arriverò Parigi 22 corrente mese ore 10,43 ripartendo ore 12,20 per Londra. Non è mia intenzione mettermi a contatto Governo francese. Qualora però fosse manifestato all'E. V. il desiderio di ricevere una mia visita prego lnformarmene perché lo possa eventualmente studiare opportunità prolungare mia permanenza costà. Prego V. E. non prendere lnlzlatlve al riguardo~.

dapest capi nazismo austriaco. Anche numeroso materiale propaganda entrerebbe da Ungheria in Austria. Prego richiamare sul fatto attenzione codesto Governo informandosi che cosa consti al riguardo.

(l) -T. 3759/165 P.R. del 17 aprile, non pubblicato, con il quale Pignattl riferiva una conversazione avuta con Léger circa il viaggio di Suvich a Londra. (2) -Con t. 3634/123 P.R. del 14 aprile Suvich aveva telegrafato quanto segue:

(3) Cfr. n. 110.

118

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1438/134 R. Berlino, 19 aprile 1934, ore 22,20 (per. ore 1,30 del 20).

Ambasciatore di Francia che è molto amareggiato per la nota (l) che il suo Governo presentò a Londra mi ha detto stamane che egli aveva svolto a Parigi tutta la sua attività esponendosi personalmente affinché fosse seguita la via delle ragionevoli concessioni.

Testo nota dimostrava come le sue speranze ancorché non eccessive fossero state ugualmente ottimiste e come avessero invece prevalso le tendenze rigidamente intransigenti.

François-Poncet mi confidò che da parte di taluni membri del Gabinetto (credo che si tratti di Tardieu) incomprensione della situazione in Germania è tale che alle sue insistenze fu obiettato che il regime hitleriano doveva ormai considerarsi spacciato e che sarebbero bastati pochi mesi per vederne la fine.

Alle mie manifestazioni di sorpresa, collega francese rispose che quanto mi aveva detto era la pura verità.

Espressi a François-Poncet mie personali apprensioni perché una nota redatta nei termini di quella francese, provenendo dal Governo di una grande Potenza che deve avere pesato la portata delle sue espressioni, dà adito al timore di essere alla vigilia di qualche grave passo da parte della Francia.

François-Poncet mi ha risposto che non diversamente si era espresso egli stesso a Parigi, facendo presente al suo Go·.:erno come un suo atteggiamento intransigente nei riguardi del riarmamento tedesco non poteva rimanere platonico se non si voleva che ne scapitasse prestigio della Francia.

Viceversa sarebbe stata irta di pericoli la strada delle sanzioni per inadempienza da parte del Reich delle clausole del trattato di Versailles.

Secondo il parere del mio collega francese ciò che colmò esasperazione della frazione intransigente del Gabinetto francese fu la pubblicazione degli stanziamenti in bilancio delle spese militari del Reich.

Ancorché essi non costituissero nulla di nuovo o di sconosciuto, la «visione scritta» dell'infrazione tedesca agli obblighi del trattato di Versailles aveva fatto si che prevalessero le tendenze radicalmente negative.

Occorreva aggiungere che le spiegazioni fornite dalla Germania all'Inghilterra erano apparse prive di tatto e come una presa in giro.

Esse ammettevano infatti senz'altro proposito del Reich di riarmare mentre se gli stanziamenti non avessero avuto luogo in questo momento (si poteva infatti provvedere con stanziamenti ulteriori) o non fossero stati resi pubblici o se per lo meno fossero stati giustificati come una necessità ipotetica nel caso in cui si addivenisse alla conclusione di una convenzione, essi avrebbero prodotto molto minore irritazione in Francia.

(l) Del 17 aprile. Cfr. DDF, vol. VI, pp. 270-272.

119

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI (l)

APPUNTO. Roma, 19 aprile 1934.

L'Ambasciatore Bastianini espone la situazione in Polonia dominata dal fatto centrale dell'accordo con la Germania, accordo che è molto stretto e passibile di notevoli ulteriori sviluppi. La collaborazione tedesco-polacca si estende un po' a tutti i campi: politico, economico, culturale. In Polonia c'è un grande desiderio di avvicinarsi a noi. Si dichiara fin d'ora che la Polonia è disposta a seguire quella qualsiasi politica che noi faremo nel bacino danubiano partecipandovi anche attivamente. D'altra parte la situazione della Francia è molto gravemente compromessa in Polonia. L'Ambasciatore Bastianini non crede che la visita attuale di Barthou potrà cambiare in nulla la situazione.

Il Capo del Governo è disposto ad una politica di avvicinamento alla Polonia e non esclude che si possa addivenire fra qualche tempo con la stessa ad un Patto che può avere un aspetto politico ed economico.

Il Capo del Governo ritiene che la Polonia faccia nei riguardi della Germania una politica di realizzazione immediata in quanto è evidente l'interesse della Polonia di vivere in pace con la Germania senza avere la minaccia della rivendicazione per il corridoio. Viceversa la Germania fa una politica di lunga portata in quanto intende arrivare a una forma di intima intesa e collaborazione con la Polonia che faciliterà la soluzione del problema del corridoio il giorno che si potranno dare degli indennizzi alla Polonia a spese della Russia. Tuttavia questo quadro non esclude una forma di nostra intesa con la Polonia.

n Capo del Governo ha anche dichiarato che nel caso si dovessero riunire le grandi Potenze per discutere i problemi più importanti del momento egli intenderebbe invitare anche la Polonia.

L'Ambasciatore Bastianini si riserva di esaminare quale forma potrebbe assumere questo avvicinamento italo-polacco.

(l) Al colloquio era presente Suvich che redasse il presente appunto.

120

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 19 aprile 1934.

L'Ambasciatore Chambrun è venuto a portarmi una nota francese, che allego (1).

Mi aggiunge quelle che sono state le dichiarazioni fatte dal Ministro Barthou all'Ambasciatore inglese Campbell in occasione della consegna della nota. Si tratta di una decisione di cui il Governo francese non si nasconde la gravità; è però una decisione maturata, alla quale hanno partecipato all'unanimità tutti i Ministri, di cui sei sono stati Presidenti del Consiglio e cinque Ministri degli Esteri. Questo atteggiamento francese è stato determinato dalla impostazione di bilancio dei nuovi crediti militari tedeschi che portano un aumento corrispondente a circa 2 miliardi di franchi; e si noti bene che si tratta del bilancio '33-'34 e non del bilancio futuro. Il Governo tedesco non poteva dichiarare in forma più precisa la sua volontà di andare per la propria strada armando con tempi accelerati senza tener conto delle conversazioni in corso fra le Potenze.

L'Ambasciatore ha l'impressione -che mi comunica in via del tutto confidenziale -che Barthou, Pétain e Pietri fossero contrari ad un atteggiamento così deciso ma devono essere stati travolti dall'opinione degli altri.

L'Ambasciatore confida che nell'atteggiamento da prendere si vorrà tener conto di questa circostanza, che non è ammissibile, che mentre noi si sta discutendo la Germania prenda delle decisioni che per la loro gravità tagliano i ponti. Mi prega di considerare la cosa con molta calma, tenendo conto che l'opinione prevalente nel Ministero, rappresentata sopratutto dai tre Ministri sopra ricordati, è quella di voler venire ad un accordo con l'Italia.

Rispondo all'Ambasciatore che noi consideriamo questa fase, come tutte le altre, con la massima calma: non ci si può nascondere però la gravità della decisione francese. Non c'è dubbio che da molte parti, specialmente da parte tedesca, si dirà che la Francia voleva rompere e non era in cerca che di un pretesto, pretesto che gli è stato fornito dai crediti militari nel bilancio degli Esteri. Ora effettivamente non si vede la via di uscita.

Ginevra evidentemente non può fare nulla perché in assenza della Germania non è possibile metterei d'accordo né per la riduzione e neanche per la

limitazione degli armamenti: altrimenti si rovescerebbe la situazione attuale. La Germania, libera di riarmare e noi legati dalla convenzione. Senza accordo vuol dire la corsa agli armamenti coi pericoli che essa comporta.

(l) Cfr. n. 118, nota l.

121

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DELL'U.R.S., s. A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 19 aprile 1934.

Ho convocato l'Ambasciatore Potemkin e l'ho intrattenuto sull'atteggiamento della Turchia nei nostri riguardi, atteggiamento del quale siamo particolarmente malcontenti.

L'Ambasciatore si rende perfettamente conto della fondatezza di queste nostre osservazioni. Egli sa che Litvinov ha intrattenuto sull'argomento anche l'Ambasciatore Attolico (l): gli ha parlato del viaggio, che pare quanto mai inopportuno, di Kemal pascià a Smirne, circondato da tutto lo Stato Maggiore, viaggio che vuole avere un carattere di protesta contro eventuali mire territoriali sulla Turchia.

Il Signor Potemkin poi trova che il discorso di Tewfik Ruschdi bey è una vera «gaffe», sia per aver dato pubblicità a dei telegrammi riservati mandati dall'Ambasciatore che per avere omesso qualunque parola di amicizia verso l'Italia. Egli crede che questo atteggiamento risalga all'opera personale di Tewfik Ruschdi bey. Avverte invece che Vassif bey è orientato in senso del tutto diverso: egli sente profondamente il disagio di questo atteggiamento del suo paese e ora anzi intende andare ad Ankara per chiarire le cose. La situazione di Vassif bey è molto delicata perché egli è in leggero sospetto presso il suo Governo che lo ritiene troppo proclive a sostenere gli interessi italiani in contrasto con quelli turchi. Se Vassif bey fosse allontanato da Roma, l'Italia perderebbe qui un suo sincero amico.

Ho risposto all'Ambasciatore Potemkin che non dubito di questi sentimenti di Vassif bey e che cercheremo di evitare che la sua situazione personale sia resa più difficile.

Potemkin afferma che una buona amicizia fra l'Italia e la Turchia è della massima importanza per la Russia. La Turchia è oggi un po' il perno di tutta la situazione perché se la Turchia si stacca dall'Italia e si avvicina alla Piccola Intesa attraverso il Patto balcanico, ne deriva un rovesciamento della presente situazione a favore della egemonia francese sui Balcani.

Riferisco all'Ambasciatore le impr·essioni avute dai colloqui con Bastianini (2) sull'intima unione tedesco-polacca in tutti i campi, politico, economico, culturale.

14 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

L'Ambasciatore mi dice di avere le stesse informazioni: non crede però alla sincerità né dell'una né dell'altra. Va osservato che la Polonia fa anche con la Russia una politica intensa di scambi culturali, ma ciò non ha grande Influenza sui rapporti fra i due Paesi. La visita di Beck a Mosca non è stata soddisfacente. Beck si è mantenuto molto riservato e ha avvertito che la Polonia non potrebbe aderire a nessuna manifestazione che neanche lontanamente potesse urtare la Germania.

(l) -Sl riferisce forse al colloquio cul al n. 69. (2) -Cfr. n. 119.
122

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. f?. 1469/666. Mosca, 19 aprile 1934 (per. il 23).

Nel colloquio avuto con lui al principio di questa settimana, Litvinov ha, per la seconda volta in quest'anno, portato di sua iniziativa la conversazione sulle relazioni itala-jugoslave.

Dopo aver udito da me quanto, in base ai più recenti rapporti ricevuti in comunicazione, ero in grado di dirgli, Litvinov ha tenuto a informarmi risultargli da buona fonte che il Re Alessandro aveva recentemente dichiarato in una conversazione privata avuta con un pubblicista che «la Jugoslavia non è contraria all'Anschluss e anzi la v·edrebbe c·on piacere come mezzo per indebolire la posizione internazionale dell'Italia».

Richiesto se la Jugoslavia avrebbe gradito di avere delle frontiere comuni con la Germania, Re Alessandro avrebbe ulteriormente risposto che essa «non vedeva difficoltà a provarci ».

Riferisco quanto sopra per debito d'ufficio, tanto più trattandosi di informazioni evidentemente datemi perché io a mia volta le ripetessi alla E. V.

123

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO

T. f?. 505/23 R. Roma, 20 aprile 1934, ore 2.

Suo telegramma n. 29 (1).

Prendo atto dichiarazioni fattele da Re Ibn Saud ed approvo contenuto

risposta da lei formulata, conformemente ad istruzioni di cui al mio tele

gramma n. 16 (2).

Ella potrà, alla prima propizia occasione, dichiarare che R. Governo è lieto di constatare la ripresa di contatti fra Ibn Saud e l'Iman per dirimere conflitto in corso, e si augura vivamente che divergenze fra i due Regni arabi possano essere definitivamente risolte nell'interesse della stabile pacificazione della penisola araba; e ciò in conformità ai sentimenti di amicizia che hanno ispirato conclusione dei trattati italo-saudiani del 1932.

Aggiungo, per sua norma personale e quale direttiva di massima, che sia la conclusione dell'accordo anglo-yemenita che dà alla Gran Bretagna più dirette possibilità di azione nei riguardi del Governo di Sanaa, sia gli avvenimenti recenti che sembrano preludere all'abbandono da parte dell'Imam dei suoi diritti sull'Assir e sul Negeran, e allo stabilimento, almeno per qualche tempo, di pacifici rapporti fra i due Regni arabi, ci rendono più liberi, nella esplicazione di una più attiva azione politica nei riguardi di codesto Stato (ora che la R. legazione ha di nuovo il suo titolare), anche per controbilanciare per quanto possibile le influenze altrui, oggi costì preminenti. Ciò dovrebbe corrispondere anche all'interesse e alle vedute di codesto Governo (mi riferisco fra l'altro alle dichiarazioni fattele da Ibn Saud). Tale azione dovrà naturalmente essere condotta gradualmente anche perché non appaia che il R. Governo agisce sotto l'influenza dei recenti avvenimenti (1).

(l) -Cfr. n. 85. (2) -T. 477/16 R. de!l'll aprile, non pubblicato.
124

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1454/69 R. Tokio, 20 aprile 1934, ore 6,10 (per. ore 7,45). Mio telegramma in chiaro n. 67 (2).

Ho chiesto vice ministro affari esteri quale valore dovesse darsi al comunicato di questo ministero esteri dichiarato da esso non ufficiale. Risposta volutamente ingarbugliata giunta conclusione che quel comunicato corrispondeva alle idee ministro.

Gli ho osservato che in tal caso suo contenuto mi pareva grave non solo da un punto di vista teorico in quanto toccava indipendenza di uno Stato sovrano quale è Cina e libertà d'azione così sua come di altri Stati sovrani ma anche da un punto di vista vratìco in quanto pur affermando scopi pacifici

{l) Cfr. il seguente brano dl un appunto di Jacomonl per Mussollnl dell'l! aprlle su una sua conversazione con El Giabrl:

«A Gerusalemme dove egli si trovava di recente ha avuto scambi di idee col Gran Califfo prima che questi affidasse, or è qualche giorno, alla missione panaraba l! compito di tentare una mediazione fra lo Yemen e lo Hedjaz. Egli afferma che sono già stati presentltl Ibn Saud e Imam Yahia. Il primo avrebbe risposto in forma evasiva e il secondo invece nella formula più conc!llante. El Glabri non ha fiducia nel successo della missione panaraba. Egll si propone quindi di sottoporre a V. E. la convenienza che l'Italia si faccia lei iniziatrlce di una meditazione o d! un appello alla pacif!cazione, che potrebbe essere rivolto ai due Stati in guerra dalle Grandi Potenze che abbiano sudditi mussulmanl quali l'Italia, la Gran Bretagna e la Francia, oppure dalla Società delle Nazioni ». {2) Cfr. n. 112.

poteva cagionare giustificate reazioni e turbare azione internazionale in Estremo Oriente.

Egli ha replicato che questo Governo era obbligato agire in tal modo dalla suprema necessità difendere suoi più vitali interessi e che del resto comunicato seguiva linea di condotta tracciatasi dal Giappone fin dalla sua uscita dalla Società delle Nazioni.

Ho osservato che ciò poteva essere vero come sviluppo logico astratto del punto di vista di questo Governo ma che in concreto Giappone non aveva mai, che io sapessi da allora a oggi, esposto un veto così chiaro e ripetuto.

Ciò mi appariva fatto nuovo di cui nessuno poteva disconoscere gravità e prevedere conseguenze.

Egli non ha replicato a tono ma ha convenuto sulla possibile gravità di tali conseguenze e ammesso implicitamente che esse erano state considerate e già accettate.

Richiesto infine sulla forma che sarebbe stata data al veto giapponese e sui suoi limiti egli ha risposto non saperlo.

Mio collega tedesco che aveva avuto occasione di parlare con il ministro affari esteri mi ha detto non aver avuto spiegazioni né più chiare né più soddisfacenti.

Comunicato non mi meraviglia per se stesso giacché programma giapponese del suo esclusivo predominio nell'Oriente (comunicato ripete formula Hirota nel suo discorso alla Dieta parlando di Asia orientaie e non di Estremo Oriente) si afferma sempre più qui con il risveglio del nazionalismo quanto maggiore appare debolezza dell'Occidente disunito ed agitato.

Può meravigliare invece momento scelto giacché cosiddetto pacifista Hirota mostrava ora propositi di migliorare rapporti con Stati Uniti ove suppongo gesto Giappone produrrà impressione sfavorevolissima. Secondo ambasciatore di Francia decisione Giappone deriverebbe dalle preoccupazioni che notizie ufficiali e private avrebbero qui destato circa effetti degli sv.ilupp1 sempre maggiori dell'aiuto internazionale alla Cina.

Non so se spiegazione non debba invece considerarsi nella piega che potrebbero avere preso conversazioni Shanghai e nella eventualità che Cina si apparecchi a mutare sua politica verso il Giappone.

Tattica che questo seguirà sarà forse in rapporto con la reazione dell'Occidente e forse appunto per serbare libertà di manovra esso si è valso di tale forma anfibia quantunque non nuova qui, di un comunicato governativo ma non ufficiale che dovrebbe conseguire scopo minacciare senza esporre Giappone a fondo fin da ora facendogli assumere precisa responsabilità di ogni parola del comunicato stesso.

Tuttavia quali che siano ulteriori sviluppi tattici mi sembra certo che il piano strategico rimarrà immutato e che soltanto la forza delle armi potrà fermare questo Stato sulla via che ha prescelto e che considera impostagli dai suoi fondamentali interessi nonché dalla sua mistica missione (1).

(l) Ritrasmesso a Washington, Londra, Berlino, Parigi e Mosca con t. 515/C. R. del 23 aprile.

125

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1449/179 R. Parigi, 20 aprile 1934, ore 13,45 (per. ore 16).

A una serata all'ambasciata del Giappone alla quale assisteva il presidente della repubblica, ho avuto occasione di incontrare iersera colleghi e giornalisti.

Solo generale argomento di conversazione era la nota francese all'Inghilterra. Alla prima impressione di sorpresa è seguito un senso più o meno celato di preoccupazione per le temute conseguenze.

Non ho nascosto ai miei interlocutori la mia impressione.

La Germania con la pubblicazione delle cifre del bilancio militare e la risposta alla nota inglese aveva commesso due errori madornali, errori che potevano essere messi a profitto dalla Francia per le ripercussioni che già si manifestavano nell'opinione pubblica inglese.

La nota francese, male accolta in genere, distrae l'attenzione dalle gaffes tedesche. La Francia si è messa su una strada che potrebbe essere senza uscita e conduce alla corsa agli armamenti e alla guerra.

La parola « guerra » produce sugli ascoltatori un effetto magico.

La replica è in generale una protesta energica delle pacifiche intenzioni del popolo francese che non vuole la guerra. Seguono poi critiche alla nota Barthou che è giudicata eccessiva e limitatrice della libertà di manovra della Francia.

Credo segnalare in modo speciale atteggiamento dell'ex ambasciatore Hennessy, proprietario del giornale nazionalista Quotidien e della nota scrittrice Geneviève Tabouis dell'Oeuvre.

Il primo ha espresso il proposito di non seguire l'ispirazione che viene dalla nota Barthou che egli giudica scritta con deficiente senso diplomatico. La Tabouis si è elevata con vivacità contro la dittatura Doumergue-Tardieu che dirige di fatto e male i destini della Francia. Il presente telegramma continua col numero di protocollo successi v o (l).

126

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1458/180 R. Parigi, 20 aprile 1934, ore 19 (per. ore 21,30).

Proseguirò nel mio lavoro che ha lo scopo di aprire gli occhi sulle conseguenze dell'atteggiamento intransigente francese.

Ho detto a Landini di regolarsi analogamente nelle sue conversazioni. Se dovessi mutare o anche solo rettificaTe le su accennate direttive prego V. E. telegrafarmi.

Se linea che seguo incontra l'approvazione dell'E. V. l'azione della R. ambasciata dovrebbe essere assecondata dalla nostra stampa. Mi parrebbe grave errore se la stampa italiana assumesse un linguaggio violento od anche soltanto acre verso la Francia. Se ne vedrebbero subito le conseguenze con la ricostituzione del blocco di tutti francesi. Anche Blum che stamane ha attaccato nel suo giornale la nota del ministero blocco nazionale, si unirebbe immediatamente ai sostenitori del ministero.

Se invece la stampa italiana, marcando la sorpresa per la nota francese, si dimostrerà preoccupata delle conseguenze dell'atteggiamento del Gabinetto di Parigi e lo farà in termini precisi, seri e gravi, la ripercussione sarà notevole qui perché si avrà più viva e reale la sensazione del pericolo cui si va incontro.

Il popolo francese, ne sono convinto, non vuole la guerra. Ma quali fini perseguono il presidente del consiglio ed i suoi colleghi di governo? E' lecito il dubbio. Non si può escludere ancora che ci si trovi di fronte ad una manovra. Però il gioco inscenato dal ministero attuale dato che si tratta di manovra, è rischioso anzi addirittura azzardoso.

(l) C!r. n. 126.

127

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1455/114 R. Washington, 20 aprile 1934, ore 19,03 (per. ore 4 del 21).

Sottosegretario di Stato col quale mi sono intrattenuto sulla questione disarmo mi ha detto che a suo avviso recente nota francese all'Inghilterra chiudeva oramai la strada a qualsiasi tentativo di accordo fra grandi Potenze e che conferenza del disarmo non avrebbe potuto fare altro che constatare proprio fallimento. Ambienti politici e stampa deplorano situazione insistendo sulla necessità per Stati Uniti di mantenersi estranei alle gravi situazioni politiche che ne potranno derivare.

128

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1457/137 R. Berlino, 20 aprile 1934, ore 20,22 (per. ore 2 del 21).

Von Neurath mi ha detto che impressione del Governo del Reich per nota francese all'Inghilterra è stata di stupore perché esso riteneva che dopo tanti scambi di vedute si fosse finalmente giunti al punto da potere concludere una convenzione. Severità addotta dal Governo francese a giustificazione suo rifiuto ammettere riarmamento del Reich fa retrocedere trattative non solo al 14 ottobre ma ancora più indietro. Governo del Reich non intende almeno per ora prendere alcuna iniziativa. Secondo questo ministro degli affari esteri è l'Inghilterra che deve ora far conoscere in primo luogo quello che pensa della nota francese. Von Neurath mi disse che altrettanto interessante sarebbe stata la reazione dell'Italia la cui condotta fu dal primo momento decisa e rettilinea. Ministro della Reichswehr col quale ebbi poco dopo lungo colloquio nel confermarmi che atteggiamento del Reich sarà quello di attesa espresse avviso che nota francese non costituisca ad ogni modo fine delle trattative ma sia piuttosto da un lato segno della debolezza del Gabinetto francese che rifugge dall'assumere responsabilità e dall'altro sintomo del suo desiderio di valorizzare la Società delle Nazioni ritornando a fare di Ginevra il centro delle discussioni del cosiddetto disarmo. Secondo ministro della Reichswehr a ciò non dovrebbe essere estranea intenzione della Francia di rioccupare presso Polonia e Piccola Intesa posizione di grande alleata inspiratrice della loro politica che per varie ragioni è andata scemando da un anno in qua. Alla mia richiesta tendente a conoscere le ragioni della pubblicazione del bilancio del Reich con i noti aumentati stanziamenti militari ministro in via strettamente confidenziale rispose che egli si era opposto a tale pubblicazione che il cancelliere aveva appoggiato suo modo di vedere. Si erano però fatti valere meschini argomenti burocratici secondo i quali sarebbe stato indispensabile pubblicare stanziamento stesso. Ancorché la cosa fosse assurda dato che non vi è controllo parlamentare sulle spese del Reich, le insistenze della burocrazia furono tali che cancelliere il quale era molto stanco e voleva iniziare il periodo del riposo pasquale finì per accondiscendere.

Ministro della Reichswehr aggiunse che da questo episodio si può dedurre come il senso politico dei tedeschi lasci sempre molto a desiderare.

Da contatti avuti personalmente con circoli giornalistici e da sondaggi fatti è risultato che non si giudica situazione assolutamente compromessa e si spera sopratutto nell'opera dell'Italia considerata la potenza che potrebbe salvare situazione. Questa è ad ogni modo ritem:ta seria.

Mi fu nuovamente espresso timore che Francia possa indurre a pretendere dalla Germania cessazione del suo riarmamento e controllo relativo. Taluni giungono sino al punto di ritenere possibile presentazione di un ultimatum al riguardo. Altro timore esistente è quello che uno degli scopi dell'atteggiamento francese sia quello di non restituire la Saar alla Germania o per lo meno di non restituirla per intero.

129

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1475/55 R. Ankara, 21 aprile 1934, ore 14,35 (per. ore 17,45).

Da accertamenti di varia fonte bilancio visita Jeftic risulta il seguente:

a) Governo turco avrebbe posto pregiudiziale di non intendere assumere atteggiamenti contrari all'Italia.

Tale pregiudiziale che costituisce resipiscenza rispetto a stato d'animo di un mese fa è risultato delle dichiarazioni di V. E. a codesto ambasciatore di Turchia e delle istruzioni di cui al tel. di V. E. n. 44 (l) che sono arrivato a svolgere presso questo Governo prima dell'inizio conversazioni con Jeftic.

b) Non vi è stato alcun protocollo scritto, ma semplice scambio di vedute sul consueto tema della pace e sul principio dei Balcani ai popoli balcanici.

c) Esame situazione patto balcanico dopo noto atteggiamento greco ha portato alla decisione di profittare dell'incontro dei quattro firmatari a Ginevra in occasione lavori di maggio per invitare ciascuno dei quattro a precisare suo modo di intendere obblighi del patto dopo di che sarà definita portata di detti obblighi.

d) Per clausole militari annesse al patto balcanico niente di stabilito. Tuttavia Ismet ha detto ad ambasciatore dell'U.R.S.S. che Turchia tntende limitare dette clausole, quando si discuteranno, a semplice obbligo di prestare truppe alla frontiera dello Stato contro cui patto dovrebbe funzionare. Con questa concezione Turchia limiterebbe alla Bulgaria proprie clausole militari e cioè [escluderebbe] dal proprio campo di azione balcanico frontiere albanesi per mancanza di frontiere comuni. Anche questa concezione sarebbe in relazione a rapporti della Turchia con Italia. e) Si sono genericamente rafforzati rapporti di fiducia e di simpatia fra Turchia e Jugoslavia. f) Jeftic avrebbe comunicato a Governo turco essere probabile firma di un patto di non aggressione isolato fra Jugoslavia e Bulgaria. Egli si recherebbe a Sofia per sviluppare questa eventualità.

130

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3940/82 P.R. Budapest, 21 aprile 1934, ore 20,15 {per. ore 1 del 22).

Telegramma di V. E. n. 70 (2).

Questo vice ministro affari esteri, personalmente preposto vigilanza attività germanica in Ungheria, dicesi in grado escludere nella maniera più categorica che notizie riferite da fonte austriaca abbiano qualsiasi fondamento, e specie per quanto concerne passaggio materiale propaganda in Austria, ci sarebbe grato di qualche elemento sufficientemente circonstanziato per una inchiesta che egli assicura sarà severa (3).

È noto d'altra parte a V. E. atteggiamento di questo Governo recisamente contrario ad attività nazista in Ungheria, in ciò confortato da pressoché unanime ostilità opinione pubblica contro social-nazionalismo.

Notizia di una pretesa riunione capi nazismo austriaci potrebbe essere in relazione con venuta Budapest del sostituto di Habicht, signor Rauther, di cui al mio telegramma posta n. 408 del l o corrente (l).

Avverto ad ogni buon fine che in tale occasione sul Temps sono apparse notizie del genere di quelle ora riferite da fonte austriaca.

(l) -Cfr. n. 107. (2) -Cfr. n. 117. (3) -Annotazione a margine d! Buti: «De Astls. Chiedere se ne abbiamo; in ogni modo parllamone •·
131

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 509/92 R. Roma, 21 aprile 1934, ore 23.

Seguito telegramma 72 del 7 corrente (2).

Avendo Governo Somalia confermato notizia che abissini stanno formando 2 gruppi armati somalo-etiopici di mille uomini ciascuno al comando del sultano Ussen E1mi dei Macail e fuoruscito Ornar Samantar, destinati attaccare Ualual e Uarder, ai cui pozzi abbeverano presentemente numerosi gruppi nostri sudditi e genti Ogaden, ministero colonie ha dato istruzioni Governo Mogadiscio adottare provvedimenti necessari onde evitare che colpo di mano predetti armati possa alterare attuale stato di fatto nostra occupazione pozzi anzidetti.

Quanto precede si partecipa per sua opportuna conoscenza e perchè V. S. possa ancora una volta -ove lo ritenga del caso -attirare la più seria attenzione di codesto Governo sull'azione aggressiva che degiac Gabre Mariam va svolgendo contro di noi. E ciò anche per determinare responsabilità Governo etiopico (3).

132

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEl;IPR. 605/233. Roma, 21 aprile 1934.

Il telegramma di V. E. n. 44 (4) mi è giunto subito dopo l'arrivo del Signor Jeftich ad Ankara e mi ha permesso di avere con questo Ministro degli Affari Esteri una conversazione chiarificatrice prima che egli iniziasse i suoi colloqui col collega jugoslavo.

Dopo le spiegazioni date da V. E. all'Ambasciatore di Turchia a Roma (5), io avevo potuto nuovamente abbordare in atmosfera più calma il problema dei rapporti italo-turchi, problema che avevo presente, del resto, nell'azione da me

{l) Non pubblicato. {2) Cfr. n. 76.

{5) Non si è trovato Il verbale di questo colloquio.

spiegata per la conclusione dell'accordo commerciale per evitare che dopo la mancata intesa di Roma, il malessere si propagasse in una sfera di interesssi materiali, ed in un momento estremamente delicato.

La necessità di questi sforzi deriva dalle possibilità favorevoli che il nostro compromesso politico con la Turchia può avere nella situazione balcanica e del Mediterraneo Orientale a patto che se ne conoscano i limiti e si guardino freddamente quelli che sono i veri sentimenti di questo Paese verso di noi, le sue tendenze e le sue possibili aderenze alla nostra politica.

Si tratta di un compromesso imperniato per la Turchia sulla sicurezza di non essere attaccata da noi e, per noi, sulla sicurezza che la Turchia non abbia a prestare la situazione geografica degli Stretti a servizio di una politica a noi contraria.

Una visione dei rapporti italo-turchi che presupponesse una cooperazione oltre questi nudi limiti realistici rasenterebbe l'illusione. Per contro una politica che entro questi stessi limiti minimi non offrisse a ciascuna delle due parti la sicurezza che essa attende, determinerebbe deviazioni insanabili.

Tewfik Rustu mi ha detto che il Governo turco vuole porre ogni impegno per ricondurre i rapporti itala-turchi alla politica di Milano, mettendo fine ai numerosi malintesi che sono sorti dopo l'entrata della Turchia alla Società delle Nazioni.

Volendo risanare la situazione con buona volontà reciproca, occorre, secondo le istruzioni di V. E., evitare che gli errori del Patto Balcanico si aggravino con una ulteriore deviazione della Turchia verso la Jugoslavia e la Piccola Intesa. Questo obiettivo deve essere guardato tenendo presente -ormai che le apprensioni turche per la Penisola Anatolica sono state calmate dalle dichiarazioni di V. E. a Vassif bey -che l'altra molla sensibile della Turchia è rappresentata dal problema degli Stretti ove il Governo turco è altrettanto e forse più suscettibile in materia di sicurezza.

La così detta politica di Milano mirava ad una triplice turco-greco-bulgara (telegramma di V. E. per corriere n. 2033 del 21 novembre 1933) (l) appunto per allargare la zona di respiro degli Stretti e portare la loro linea di difesa dalla frontiera trace alla frontiera macedone. Essa mirava anche, e naturalmente, al fine più vasto di separare le due famiglie slave dei Balcani cd impedire che

la Bulgaria, attratta nell'orbita jugoslava, rafforzasse la pressione slava sull'Adriatico, sull'Egeo, sul Bosforo, e sul Mar Nero.

Mancata la possibilità di avere la Bulgaria dalla propria parte, la Turchia ha provveduto a controassicurarsi a Belgrado ed a Bucarest, come era prevedibile e come era previsto (mio rapporto n. 420/132 del 7 marzo 1933) (2); ma essa mentre ha tagliato le ali alla politica bulgara ha anche strappato parecchie penne a quella della Jugoslavia che aveva tutti i numeri per vincere nella gara di attrazione della Bulgaria.

Intorno a questo nodo nevralgico, il Governo turco, fra gli altri malintesi, deve anche aver nutrito insieme con la Grecia preoccupazioni e sospetti sul

conto nostro; il che sembrerebbe inverosimile, data la nostra posizione antijugoslava, se non trovasse conferma in alcuni dei rapporti che codesto Ministero ha ricevuto e diramato in questi ultimi tempi con riguardo alla situazione balcanica. In essi si parla della formazione del blocco jugoslavo-bulgaro come di cosa da prendere in vantaggiosa considerazione sotto l'egida dell'Italia, facendo sboccare la Jugoslavia a Salonicco -per allontanarla dall'Adriatico -e la Bulgaria a Dedeagach.

Come mezzo per esasperare la Grecia e la Turchia e scavare un fossato incolmabile fra esse e gli Slavi del Sud, non ve ne sarebbe di più energico. Ma a quale prezzo?

Un rancore altrettanto profondo si formerebbe in Grecia e in Turchia contro l'Italia; contro questa Italia che avrebbe sacrificato la causa greca e la causa turca ed avrebbe assunto la responsabilità di aprire agli Slavi del Sud le soglie del Mediterraneo.

La Jugoslavia, che respira oggi malamente con mezzo polmone atrofizzato in Adriatico ove è imbottigliata dal canale di Otranto, acquisterebbe un polmone libero sull'Egeo.

Il blocco slavo-balcanico diverrebbe padrone del corpo centrale della Penisola colà stesso dove dovrebbe penetrare invece il nostro taglio orizzontale albanese-bulgaro destinato a fare dei Balcani due tronconi. Sarebbero invece gli jugoslavi a tenere un'ala in Adriatico, una in Mar Nero, la fronte all'Egeo ed un tentacolo verso gli Stretti.

Il bacino del Mediterraneo Orientale, che cerchiamo di tenere precluso ad influenze avversarie, aggirato dalla via di Salonicco, aprirebbe le sue basi alle squadre di altri Paesi scoprendo il fianco del nostro traffico orientale finora relativamente sicuro.

Si può anche parlare di una intesa (che meglio definirei tregua) fra l'Italia e la Jugoslavia, come intermezzo fra due atti della tragedia adriatica, a condizione che essa non serva a turbare irrimediabilmente a nostro danno l'equilibrio delle forze e quello delle posizioni geografiche già abbastanza compromesso dai vari Bissolati e Sforza.

Non è dunque da ricercare nella imbastitura di un blocco jugoslavo-bulgaro sotto il nostro patronato, la soluzione della situazione balcanica e mediterraneo or.ientale. Al contrario, se vogliamo continuare nel sistema greco-turco, inteso nei limiti di quel minimo che esso può dare e che ha pure valore notevole per la libertà e neutralità degli Stretti, dobbiamo dare alla Turchia la sicurezza che non ci adopereremo mai a dirigere gli Slavi del Sud sull'Egeo e sugli Stretti. Quando il Signor Tewfik Riistu parla di ritornare alla politica di Milano; quando mi dice di avere temuto che la Bulgaria non si mettesse in relazione con «una Potenza mediterranea » ai danni della Turchia, çiò deve dipendere dal fatto che egli, dopo la visita fatta a Sofia con Ismet Pascià, ove gli si parlò delle rivendicazioni territoriali bulgare per lo sbocco a Dedeagach, cominciò ad essere assillato dall'idea che l'Italia favorisse la Bulgaria a puntare verso Sud sviluppando una intesa di essa con la Jugoslavia. Di ciò egli non mi fece mistero; ma mi sembrava che le mie assolute negazioni in proposito fossero bastate a tamponare la falla. Ma più tardi il Ministro di Grecia ad Ankara, discutendo con me il Patto Balcanico, usciva fuori con la dichiarazione che la Grecia innanzi all'idea di essere sacrificata dall'Italia dovette pensare « ai casi suoi » e mettersi sulla via di una intesa generale che le garantisse l'ordine di cose esistente nei Balcani. Qualche tempo dopo la visita a Sofia di Ismet Pascià, l'Addetto Militare aggiunto francese a Stambul interpellava il nostro Addetto Militare per conoscere quale era il vero pensiero dell'Italia sulla eventualità di deviare la Jugoslavia verso Salonicco e di dare uno sbocco territoriale alla Bulgaria in Egeo. Il Colonnello Mannerini disse, in quella occasione, il fatto suo al sotto-collega francese, con quella chiarezza militare che lo distingue.

Dinanzi a questi sintomi, di cui ora si trova il filo conduttore nelle tendenze a far patrocinare dall'Italia l'avvicinamento bulgaro-jugoslavo e gli sbocchi a Salonicco e Dedeagach, debbo nettamente avvertire che non vi potrà essere opera di chiarificazione con questo Governo se malauguratamente esso dovesse avere nuove sensazioni di una qualsiasi azione o manifestazione italiana che, per quanto inverosimile, ed anzi per questo stesso più enigmatica, facesse supporre che da parte nostra si possa lontanamente favorire la formazione del blocco jugoslavo-bulgaro nei Balcani.

Delle consuete ragioni di sospetto che qui si nutrono verso di noi per il solo fatto della nostra presenza nelle isole del Dodecanneso non sarebbe neppure il caso di parlare se il Signor Tewfik RU:;;tti, nell'ultimo colloquio avuto con me, non avesse cominciato a far un lungo giro sulle relazioni tra vicini le quali sono influenzate, secondo lui, dai preparativi militari che ciascuno fa in prossimità dell'altro, e non avesse poi finito con parlare esplicitamente della Base di Lero. Gli ho risposto che le sue teorie erano giuste per le fortificazioni terrestri, ma che le basi navali hanno una funzione assolutamente diversa, tanto è vero che nessuno ha mai interpretato Gibilterra come una minaccia verso la Spagna, o Malta come una minaccia verso l'Italia, e che le ottime relazioni ispano-britanniche ed itala-britanniche sussistono da secoli malgrado quelle fortezze. Una base navale sorveglia i mari dove le flotte di tutto il mondo possono incontrarsi e dove le correnti di traffico mondiale si svolgono e vanno protette. La base italiana nell'Egeo non è altro che una protezione per le nostre comunicazioni commerciali nel Mediterraneo Orientale. Al che risponde Tewfik Riistii che nessuno le minaccia. Io gli obietto che qualcuno le minaccerà il giorno in cui esse si riveleranno vitali per noi. Ed egli a dire che allora queste stesse basi non saranno sufficienti; ed io a rispondergli che questa sarebbe una ragione per farne di più forti.

Queste battute abbiamo interrotto da ambedue le parti dicendo che la politica non aveva ad essere soverchiata dall'arte militare finché gli sforzi dei due Paesi erano ispirati ad una concezione di pace; e che quanto vi era di buono e di salutare in questo momento era la constatazione della volontà comune di superare i malintesi e ritornare ad una politica di reciproca comprensione; ed egli fu ben lieto di apprendere che io facevo ciò secondo lo spirito e per ordine espresso di V. E.

Per quello che riguarda la visita di Jeftic, riferisco per telegramma-filo (1).

(3) -Per la risposta cfr. n. 161. (4) -Cfr. n. 107. (l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 397. (2) -Non pubblicato nel voi XIII, serie VII.

(l) Cfr. n. 129.

133

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, DOUMERGUE

APPUNTO. Parigi, 22 aprile 1934.

Sono stato ricevuto dal signor Doumergue al Quai d'Orsay. Il Presidente del Consiglio, dopo alcune parole di cortesia indirizzate al Capo del Governo italiano, mi ha fatto una lunga disquisizione sulla necessità e la fatalità che i nostri due Paesi, Italia e Francia, siano uniti nella stessa politica: i malintesi e le divergenze di opinioni sono di carattere passeggero, ma le grandi linee sono concordanti. Questa solidarietà italo-francese è determinata dalla posizione che ha sempre assunto e che assume tuttora la Germania, posizione che rappresenta l'antitesi di quella che è la civiltà latina e mediterranea. La romanità è stata difesa in Italia e in Gallia contro i germani, il cattolicesimo che ha forma ed espressione romana e latina è penetrato molto più tardi in Germania che negli altri paesi, e la Germania, alcuni secoli più tardi, ha approfittato della riforma per prendere una posizione antitetica contro il mondo latino; oggi i tedeschi ritornano alle loro concezioni primitive, alla mentalità di Arminio e al paganesimo del Walhalla tedesco. Il presidente Doumergue dice che a S. E. Mussolini, che è dotato di particola,re s·enso storico, non possono sfuggire queste circostanze.

Il signor Doumergue tende a mantenere il discorso in queste linee generali di critica storica; riesco, non senza sforzo a portarlo sui problemi concreti del momento.

Egli vede un grande pericolo nella attuale Germania. Hitler è un uomo che ha certamente delle grandi qualità, ma è un fanatico; manca dello spirito di comprensione e del realismo che caratterizzano i latini. Egli non sarebbe tanto preoccupato della situazione se Hitler avesse in mano la Germania come Mussolini ha in mano l'Italia. A una mia osservazione che il regime hitleriano per il momento appare abbastanza solido per dover contare con esso, il Presidente mi risponde che il pericolo consiste appunto in questo: che in condizioni di pace l'hitlerismo non sarà rovesciato mentre questo potrebbe essere facilmente soppiantato in caso di guerra in cui prenderanno il sopravvento i Generali della Reichswehr, i circoli legittimisti e gli antichi partiti di destra. In caso di guerra Hitler e il suo partito non avranno da fare altro che entrare nei ranghi delle organizzazioni militari già predisposti. D'altra parte per quanto si possa avere fiducia nella buona fede di Hitler, non si può dimenticare che ancora nel '22 (l) egli scriveva una lettera a von Papen in cui dichiarava che bisogna armare senza riguardo per nessuno, che poi verranno le Confe

renze a sanzionare lo stato di fatto. È appunto quello che sta avvenendo ora. I nuovi crediti militari ne sono la prova più evidente.

Osservo al Presidente Doumergue che il fatto che la Germania stia riarmando era un fatto pacifico già prima della notizia relativa all'aumento dei bilanci militari; si tratta della misura di questo riarmo: ora noi abbiamo l'impressione che ogni giorno che passa la Germania si sente più sicura del fatto suo ed aumenta le proprie pretese. Con ciò non si vuole dire che la Germania possa fare in Europa tutto quello che le pare e piace e che gli altri debbano stare passivamente a vedere, ma, se si vuole fare un tentativo di accordo al quale naturalmente deve partecipare anche la Germania, conviene che tale tentativo sia fatto al più presto possibile. Ora, anche quando si volesse condividere l'esattezza della diagnosi della situazione attuale fatta dal Presidente Doumergue, sarà sempre da discutere se l'attitudine assunta dal Governo francese sia la più idonea ad arrivare allo scopo che ci proponiamo. Da qualunque parte si esamini il problema la soluzione rientra in una delle due categorie: o fare un accordo con la partecipazione della Germania, o riprendere ciascuno la propria libertà, il che vuole dire corsa agli armamenti e conseguente aumento del pericolo di guerra. Ora la via scelta dalla nota francese che propone un semplice ritorno a Ginevra, non pare che possa servire ad altro che a rinviare una decisione con pericolo di compromettere la soluzione pacifica.

È chiaro che la Germania in queste condizioni non verrà a Ginevra e d'altra parte non si può pensare ad un accordo fra noi senza la Germania perché questo limiterebbe la nostra libertà lasciando invece la Germania completamente libera di fare quanto le piace.

Il Presidente Doumergue risponde che è ben lungi dalla Francia qualunque idea di guerra: la Francia è profondamente pacifica ma si difende di fronte a questa minaccia che sente crescere rapidamente. Egli non dispera che la Germania rientri alla Società delle Nazioni: la Società delle Nazioni ancora, ad onta di tutto, esercita la sua influenza. D'altra parte egli ritiene che nell'atteggiamento tedesco ci sia molto di bluff, favorito dal fatto che gli altri non sono uniti. Egli conosce per lunga esperienza i tedeschi e sa che questi fanno i prepotenti di fronte alla debolezza degli altri, ma se le altre Nazioni si mettessero d'accordo sul serio e facessero la voce grossa egli non dubita che la Germania diventerebbe umile e accetterebbe molte delle condizioni sulle quali oggi dice di non voler trattare. Egli crede che questa unione di fronte al pericolo tedesco sia necessaria anche per altri possibili sviluppi della politica della Germania.

Egli ha molto apprezzato e riconosciuto in pieno quanto noi abbiamo fatto per difendere l'Austria: la Francia ci è stata vicina in tutti i modi e intende partecipare all'azione italiana, ma non ci si può illudere che Hitler abbia rinunziato all'Austria. Egli crede anzi che l'Austria rientri più direttamente e più profondamente di altri problemi nel quadro delle ideologie del Fi.ihrer tedesco. Hitler è un tedesco del sud e non considera Berlino la capitale della idea tedesca; Berlino è una città fondata nella landa che può rappresentare la civiltà amministrativa ma non il centro ideale della Germania. Nell'idea di Hitler la futura capitale morale è piuttosto Vienna, la città che è stata per molti anni sede degli Imperatori tedeschi, la città da cui può partire lo slancio per l'espansione tedesca verso l'Oriente. Può anche aver presente Hitler che Vienna è a breve distanza da Trieste. È certo ad ogni modo che Vienna in mano alla Germania rappresenta un atout formidabile per l'espansione tedesca verso l'Oriente. Gli Stati della Media Europa e dell'Europa balcanica _diventerebbero niente altro che dei vassalli della Germania. Egli ha avuto modo di far considerazioni su questo punto -senza che abbia bisogno di spiegarsi con me più chiaramente -con Capi di Stato e di Governo dei Paesi interessati.

Gli rispondo che non ho bisogno di dirgli come noi vediamo il problema ·dell'Austria perché le nostre azioni parlano più chiaramente di qualsiasi discorso. Tuttavia ammettendo i pericoli a cui il Presidente ha fatto cenno non so vedere come il ricorso suggerito dalla Francia alla Società delle Nazioni possa portarvi un rimedio.

Il Presidente Doumergue sa che S. E. Mussolini non ha troppa fiducia nella Società delle Nazioni, deve confessarmi che neanche lui ne è fanatico, ma tuttavia la Società delle Nazioni rappresenta un istrumento politico con certe possibilità per rafforzare la causa della pace a cui in determinate circostanze non si può rinunziare. Ad ogni modo egli tiene a farci sapere che la Francia non intende per niente rompere le trattative; soltanto non ha potuto continuare l'attuale fase dei negoziati di fronte alla evidente determinazione tedesca di non tener conto delle nostre proposte ma di volere riarmare per conto suo. Egli pensa anzi che converrà continuare gli scambi di vedute per vedere se non si può trovare una diversa impostazione del problema a cui potrebbe poi aderire anche la Germania.

Gli rispondo che dopo due anni di discussioni non vedo la possibilità di grandi novità. Io ritengo che ancora oggi la via della soluzione sia il piano italiano che tiene molto conto delle necessità della difesa francese. Siamo stati noi i primi a dichiarare l'impossibilità del disarmo in questo momento in quanto eravamo persuasi che la Francia non vi si sarebbe giammai indotta; in Francia si pensa ugualmente ma non lo si dichiara con altrettanta chiarezza.

Il Presidente Doumergue afferma che prima della conoscenza dei bilanci militari tedeschi le cose erano bene avviate e la Francia si avvicinava rapidamente al punto di vista italiano. Naturalmente tutto ciò non è possibile quando si vede che la Germania vuole bruciare le tappe per armare rapidamente.

Il Presidente Doumergue apprezza in questa occasione l'atteggiamento del

la stampa italiana che mantiene un contegno riservato lasciando aperte tutte

le possibilità; l'opinione pubblica inglese è in parte orientata in favore della

nota francese perché l'Inghilterra sente molto il pericolo di questo rapido riar

mo tedesco.

Il Presidente Doumergue mi prega di portare le sue considerazioni a co

noscenza del Capo del Governo. Egli quando era Presidente della Repubblica

aveva progettato, in una tournée nel Mediterraneo, di passare da Napoli per

avere il piacere di incontrarsi con S. E. Mussolini; quella volta il suo progetto

non ha avuto successo, chissà che l'avvenire non gli riservi questo piacere.

(l) Recte 32.

134

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1493/33 R. Gedda, 23 aprile 1934, ore 14 (per. ore 17,30).

Telegramma di V. E. n. 23 (l).

Nella mia prima conversazione con Fuad Hamza venuto ieri da Mecca ho colto occasione per far dichiarazione contenuta nel telegramma di V. E. suddetto. Fuad Hamza ha risposto prendendo atto con soddisfazione dei voti amichevoli espressi dal R. Governo che non mancherà di comunicare al suo Sovrano.

Sottosegretario di Stato per gli affari esteri mi ha detto di aver speranza che il conflitto collo Yemen possa presto essere risolto. Parlandomi della sorte degli Idrissiti alla quale l'Imam Yahia si interessa per evidenti ragioni di prestigio, Fuad Hamza mi ha espresso la certezza che Ibn Saud sarà magnanimo nei loro riguardi e concederà loro la grazia. Disposizioni favorevoli del Re da ricercarsi anche nel fatto che Idrissiti durante il conflitto avrebbero cercato di sottomettersi a questo Governo, ma che Imam Yahia allo scopo servirsene come strumento politico lo avrebbe impedito.

Pochi sommari fugaci accenni sottosegretario Stato per gli affari esteri mi ha fatto sulla delegazione musulmana.

135

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 23 aprile 1934.

Ho convocato Vassif Bey per mostrargli gli articoli del deputato di Ankara, Aga Gunduz, comparsi in tre numeri successivi del giornale Milliyet (2).

Gli ho detto che, a parte l'ignoranza che questi articoli rivelano, essi costituiscono una vera provocazione contro l'Italia. Ma ciò che è più grave è che il Signor Gunduz è un deputato del tutto sconosciuto e che se quindi in questo

De Falco aveva comunicato che il Milliyet era inviso a Ismet pascià ed ispirato direttamente da Kemal pasclà che aveva con Ismet rapporti di convenienza ma tutt'altro che sinceri ed aveva aggiunto:

«D'altra parte, qui, fin dopo la stipulazione del Patto a Quattro c'è un rancore contro l'Italia che spesso esplode in manifestazioni giornalistiche rabbiose, donchisciottesche, irritanti. Il Patto a Quattro ha fatto troppa paura a questa gente abituata a sfruttare tutte le competizioni fra l grandi Stati europei. E quella paura ha sospinto la Turchia nell'avventura del Patto Balcanico, al quale, del resto, la Russia non è affatto favorevole. Alla Russia infatti non conviene che la Turchia partecipi a coalizioni che superino l'entità di due potenze. La Russia teme che un giorno quelle coalizioni si volgano contro dl !el, eppoi la sua influenza è troppo grande qui per non temere di vederla ridotta da altre Influenze. Ad ogni modo, negli ambienti russi si è anche seccati del dirizzone che prendono le relazioni fra Italia e Turchia, perché la freddezza con noi sl risolve In accrescimento dell'Influenza francese, cosa che non entra nei calcoli russi, l quali mirano alle Influenze uguali e contrapposte per modo che sl ellmlnlno a vicenda ».

momento tali articoli hanno potuto esser pubblicati, ciò non può essere avvenuto che dietro autorizzazione dall'alto.

Vassif bey mi ha risposto che or è qualche giorno ha ricevuto da Tewfik assicurazioni che il Governo turco avrebbe impedito qualsiasi attacco contro l'Italia sulla stampa. Egli non sa quindi spiegarsi come mai tali articoli siano apparsi dopo tali dichiarazioni. Egli mi ha assicurato che avrebbe meglio esaminato la cosa e mi avrebbe riferito in proposito.

Ho profittato dell'occasione per parlargli delle relazioni italo-turche, che giudico cattive sotto ogni aspetto. Ho ricordato che questa deviazione della politica turca dalle linee fissate nel convegno di Milano ha avuto inizio dopo la conclusione del Patto a quattro, malgrado tutte le tranquillanti spiegazioni in proposito fornite a Tewfik. Tale deviazione è andata accentuandosi con la conclusione del Patto balcanico che rappresenta, a mio avviso, una posizione contrastante con la politica di Milano dato che dalla composizione del dissidio greco-turco, avvenuta con la mediazione dell'Italia, sarebbe dovuto scaturire un triplice accordo dei due Paesi con la Bulgaria e fra di loro sotto gli auspici dell'Italia e si è invece avuto il risultato opposto dato che il Patto balcanico non solo non facilita l'avvicinamento della Bulgaria al gruppo cos~ituito dall'accordo di Milano, ma tende invece a spingere la Bulgaria in braccio alla Jugoslavia.

Successivamente ho fatto notare all'Ambasciatore che Tewfik nel suo discorso, pur citando i telegrammi di Vassif, non ha fatto alcun cenno alle relazioni con l'Italia.

Infine, dopo aver brevemente accennato alla scarsa opportunità del viaggio di Kemal a Smirne, mi son soffermato sulla reazione verificatasi in Turchia contro il discorso pronunziato da V. E. all'Assemblea quinquennale del Regime, e precisamente contro quel punto del discorso in cui veniva proclamata la tendenza della nostra politica verso l'Asia e l'Africa. Gli ho dimostrato che i vincoli che l'Italia intende stringere coi due Continenti sono una logica conseguenza della politica di Milano, in quanto che questo accordo è stato concluso appunto allo scopo di porre il Mediterraneo orientale sotto il controllo politico dell'Italia e della Turchia.

Ho concluso queste spiegazioni fatte in tono amichevole, ma reciso richiamando l'attenzione del Governo turco sui seguenti punti: l) il Governo italiano è più che mai fautore della politica di Milano, e per conseguenza del proseguimento di una stretta amicizia tra Roma ed Ankara; 2) dai fatti elencati constatiamo una forte deviazione dalla politica di Milano, con dannose conseguenze in tutti i campi delle relazioni italo-turche; 3) il R. Governo domanda quindi al Governo turco in qual modo esso ritiene di poter ristabilire l'amicizia italo-turca sulla base di due anni or sono.

Vassif non ha contestato alcuno dei punti da me considerati ma ha voluto solo giustificare la conclusione del Patto balcanico. Gli ho replicato di credere personalmente questo Patto inoperante e pregiudizievole alla stessa Turchia in quanto portava al riavvicinamento bulgaro-jugoslavo. Quello però che maggiormente tenevo a fargli osservare in proposito è che la tendenza di questo Patto è essenzialmente anti-italiana. Egli ha asserito che, da telegrammi

15 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

ricevuti da Ankara in questi giorni, risultava chiaro che non esisteva in Turchia alcuna tendenza anti-italiana e che il Governo turco teneva tuttora a non distaccarsi dalle linee fissate a Milano. Gli ho risposto che l'unica dimostrazione di tale assunto ci poteva venire solo da fatti concreti, i quali per il momento mancavano. Dovevo mantenere perciò tutto quanto gli avevo esposto, informandolo che noi avremmo incaricato il nostro Ambasciatore ad Ankara di portare quanto gli avevo esposto a conoscenza del Governo turco (1).

(l) -Cfr. n. 123. (2) -Questi articoli erano stati inviati da Istambul da De Falco con lettera a Morgagnidell'B aprile su cui Mussolini ha annotato: «Importante>>.
136

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

Londra, 23 aprile 1934.

Accompagnato dall'Ambasciatore Grandi ho fatto visita a MacDonald, Simon, Vansittart, Eden, Stanhope. Le conversazioni si sono aggirate su linee generali, tema principale: disarmo. Simon ha chiesto se avevamo deciso quale atteggiamento prendere sulle dichiarazioni giapponesi sulla Cina.

Si è risposto che l'Italia era contraria a tali dichiarazioni, come del resto era stato messo in rilievo dalla stampa italiana, che però il Governo non aveva deciso di prendere posizione.

Vansittart ha parlato della questione dell'Austria e si è avuto modo di chiarire la posizione di Dollfuss, quella di Starhemberg e gli sviluppi in genere della politica austriaca.

Eden si è interessato per il rinvio della seduta del Bureau al 28 maggio; ne avrebbe parlato oggi con Henderson (2).

137

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, PER LA STAMPA (3)

Londra, 23 aprile 1934.

I giornali parlano di démarches che io dovrei aver fatto a Parigi e fare qui a Londra, come se io venissi con delle proposte concrete per negoziare. Conviene riportare la situazione nella sua realtà. La mia visita a Londra è

t. -1499/319 R. del 24 apr!le di cui si pubblica 11 seguente brano: «Nota francese seppure provocata rappresenta secondo l'opinione nostri interlocutori un salto nel buio».

una visita di cortesia per restituire la visita fatta in Italia dai Ministri inglesi; essa è stata decisa già due mesi fa e quindi non sta in alcuna relazione con la fase odierna della questione del disarmo. Passando per Parigi ho approfittato della fermata del treno di due ore e mezzo per fare una visita al Presidente del Consiglio Doumergue (in assenza del Ministro degli Esteri francese), visita che mi era stato fatto sapere sarebbe stata gradita. È evidente che questi incontri danno motivo per uno scambio di idee sulle principali questioni politiche del momento, scambio di idee che è certamente utile per trovare i punti di contatto delle rispettive politiche e cercare di appianare le divergenze sugli altri punti. Ma ciò non ha nulla a che fare con negoziati veri e propri che non formano oggetto dell'attuale mia visita a Londra. D'altra parte dopo la recente nota francese non si vede ancora chiaramente in che modo possano essere riprese le trattative fra i Governi e a quale risultato possano portare, premesso sempre che per ottenere una soluzione soddisfacente bisogna che vi aderiscano tutte le principali Potenze interessate.

(l) -Del contenuto di tale colloquio fu Informato Lojacono çon telespr. 213604 del 26 apr!leperché ne intrattenesse 11 Governo turco, badando particolarmente ai tre punti di cui al penultimo paragrafo. Il telespresso venne inviato per conoscenza a Mosca, Belgrado e Budapest. Il ministro a Budapest venne invitato a dare comunicazione del contenuto del colloquio al Governo ungherese. (2) -Su questo colloquio del 23 apr!le con gli uomini politici inglesi suvich riferi con (3) -Annotazione a margine: «Direttive date da S. E. Suvich a giornalisti italiani a Londra per le corrispondenze sul suo viaggio ».
138

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 24 aprile 1934.

È venuto stamane il signor Avenol a parlarmi della situazione creata al problema così detto del « disarmo » dall'ultima nota francese.

Il signor Avenol, che non nasconde la sua delusione e la sua inquietudine, non dubita che il testo e lo spirito della nota sia da attribuirsi ad influenze potenti manifestatesi all'ultimo momento e che si imposero allo stesso Barthou, partigiano fin allora d'altra politica più conciliativa. Egli crede sapere che Barthou avrebbe anzi manifestato l'intenzione di dare le dimissioni, ma che dovette rinunciarvi in omaggio ai supremi interessi dell'Unione nazionale rappresentatigli dal signor Doumergue.

È difficile, dice Avenol, fare previsioni sul futuro, perché le intenzioni francesi, cioè la manovra politica che quel Governo intende svolgere come seguito alla Nota, non sono né note, né chiare, e, probabilmente, neppure forse concretate in un unanime programma dei diversi uomini al potere e delle diverse tendenze che essi rappresentano. Difficile quindi, decidere ora quale sia la linea di condotta che può avere le migliori probabilità di neutralizzare (se è ancora possibile) le forze negative e potenziare le forze positive della situazione.

Tuttavia, in via del tutto confidenziale e come sua idea personale, egli mi dice di ritenere che, poiché con la nota francese la questione del disarmo può considerarsi chiusa e che invece ora si inizia l'altra del riarmo, converrebbe di cambiare la procedura e cioè sopprimere la Conferenza del Disarmo oramai sorpassata dagli avvenimenti, per riportare tutta la materia del riarmo ad una piccola Commissione del Consiglio della S.d.N. la quale potrebbe

essere diretta in modo da affidare alle principali Potenze la soluzione diplomatica delle gravi difficoltà del momento.

Facendogli meglio chiarire il suo pensiero, ho constatato che Avenol si riferisce al gruppo delle quattro Potenze fra cui già intervennero le conversazioni degli ultimi mesi. Pur non contraddicendo questa veduta, per non soffocare in germe un'idea che potrebbe anche essere l'origine e Io spunto di un nuovo orientamento, ho dovuto fargli osservare come essa si urti contro alcune pregiudiziali gravi. Fra queste, la principale è che la Germania è fuori della S.d.N.; e che altro era ricondurla alla Conferenza, altro ricondurla (così stando le cose) alla S.d.N. Quindi, l'incarico dovrebbe essere affidato non alle quattro, ma alle tre Potenze. Queste, per accettare, dovrebbero avere o sperare di raggiungere fra loro un principio di unità di vedute, principio distrutto, proprio ora, dalla Francia. Si presupporrebbe, come condizione preliminare, l'intesa che è stato impossibile raggiungere, cioè la soluzione del problema che precisamente non si è riusciti a risolvere. Se si ritiene che la Francia abbia in serbo ancora la possibilità di una politica conciliante, l'idea può tuttavia essere presa in considerazione; ma vi è anche il pericolo che essa persegua nel Consiglio la stessa politica che è venuta svolgendo in altre sedi (Conferenze, conversazioni, ecc.) e saremmo al punto di prima.

In ogni modo, ho creduto bene prospettare precisamente l'idea espressami da Avenol per il caso che ne faccia parola a V. E.

139

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 24 aprile 1934.

Colloquio col ministro di Svizzera.

Gli ho detto che dopo avere anche recentemente cercato di facilitare in ogni modo le richieste del governo svizzero nei riguardi di Fonjallaz e dei fascisti svizzeri in Italia, V. E. aveva appreso non solo con disappunto, ma con stupore, la notizia degli incidenti di Ginevra.

Ho fatto rilevare che il R. Consolato in Ginevra, con anticipo di vari gior, ni, aveva prevenuto le autorità competenti della dimostrazione che si stava organizzando contro la Casa d'Italia, ottenendo assicurazioni, che poi si sono dimostrate vane dato che la polizia non intervenne che dopo trascorsa mezz'ora dai primi atti di violenza.

Wagnière ha risposto di essere «désolé et honteux » e mi ha assicurato che avrebbe ancora ritelegrafato al suo governo, al quale aveva già telefonato stamane. Appena ottenuta una risposta, me l'avrebbe comunicata. Personalmente era tanto preoccupato che mi ha accennato alla possibilità che il governo svizzero decida l'invio di un Commissario federale a Ginevra, sospendendo i poteri dell'attuale amministrazione estremista.

140

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEI?PR. 621/242. Ankara, 24 aprile 1934.

Rispondo al telespresso di V. E. n. 211537/C. del 9 aprile corr. (1).

Intorno alla notizia del viaggio in Ankara del Generale Kondylis, Ministro della Guerra greco, ho chiesto ieri direttamente notizie al Signor Tewfik Rustu. Questi mi ha detto di avere ricevuto prima di me il Ministro di Grecia e che solo da quel momento la notizia del viaggio del Generale Kondylis poteva dirsi fondata, perché infatti la visita era stata in massima concordata nel colloquio di ieri.

La data del viaggio non è ancora fissata.

Lo scopo di esso riguarda la situazione della Grecia e della Turchia riguardo alle eventuali clausole militari conseguenti al Patto Balcanico e riguardo alla politica generale dei due Paesi.

Per le clausole militari del Patto Balcanico, mi riferisco al mio telegramma n. 55 del 21 aprile corrente (2).

A proposito di esse, ho detto al Signor Tewfik Rustu che se la questione albanese potrà restare tagliata fuori dalla sfera di azione della Turchia per mancanza di frontiera comune tra i due Paesi, la Grecia non potrà invocare la stessa situazione; da qui le difficoltà ben note, e l'atteggiamento reciso delle opposizioni guidate da Venizelos. Supponiamo ora -come è logico supporre che venendo a parlarsi delle clausole militari e degli obblighi di ciascun firmatario, la Grecia presentasse agli altri tre firmatari le riserve derivanti dalla discussione parlamentare: quale sarebbe l'atteggiamento deUa Turchia? Sosterrebbe essa le riserve della Grecia per fare sboccare gli impegni militari ad una concezione cosi limitata da conciliarsi con quelle riserve?

Il Signor Tewfik Rustu mi ha risposto: «La Grecia e la Turchia si trovano legate all'Italia da analoghi patti e tutto ciò che la Grecia farà in ossequio a tali patti sarà appoggiato dalla Turchia. Passando dal campo giuridico a quello politico, la Turchia non trova ragione alcuna di occuparsi degli affari albanesi e non desidera che la ·Grecia possa trovarsi allo sbaraglio sulla frontiera albanese, con conseguenti ripercussioni mediterranee, e con conseguente necessità della Turchia di sostenerla, e di essere coinvolta negli stessi rischi.

I rapporti della Grecia e della Turchia con l'Italia precedono il Patto Balcanico e questo non può essere interpretato ed eseguito, dai due Stati, se non in forma compatibile con quei rapporti.

La discussione sulle clausole militari non potrà prescindere dunque da tale situazione,.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 129.
141

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PO~TA 2137/700. Belgrado, 24 aprile 1934 (per. il 27).

Jeftic è tornato ieri sera dal suo viaggio in Turchia. Mentre solo fra qualche giorno si potrà forse precisare qualche cosa di più probabile circa i risultati dell'incontro del Ministro jugoslavo degli Affari Esteri con quello turco e gli altri uomini politici turchi, devesi subito mettere in rilievo quello che l'tncontro può avere recato nei confronti diretti dell'Italia.

Già col mio telespresso n. 642 del 17 corr. (l) diretto a V. E. subito dopo la partenza di Jeftic affermai al punto b) che uno dei punti che avrebbe verosimilmente formato oggetto principale della discussione è la inquietudine e la diffidenza dei due Stati verso la politica italiana, diffidenza maturata in Jugoslavia attraverso una serie di fatti noti, e risorta improvvisa ed acuta in Turchia nelle ultime settimane.

E che tale punto sia stato effettivamente argomento dei colloqui devesi desumere, credo senza equivoco, dal seguente passo del comunicato ufficiale pubblicato ad Angora il 21 corrente e riprodotto anche da questa stampa:

«Dans le but d'assurer la liaison nécessaire pour continuer la collaboration commencée de cette façon, la Turquie et la Yougoslavie se communiqueront mutuellement les renseignements qu'elles pourraient obtenir touchant les questions intéressantes ces deux pays et les Balkans en général ~.

Viene del resto a togliermi ogni dubbio quanto mi ha detto ieri sera Puric col consueto suo cinismo. Avendogli chiesto cosa recava Jeftic da Angora, atteso di lì a qualche ora, Puric mi ha risposto sorridendo: «Anche questa volta

a) Patto Balcanico. Le discussioni avvenute In Grecia In proposito, la opposizione di Venizelos, la difficoltà di Tsaldarls di fare accettare alla Camera ed al Senato il Patto, le riserve dovute pubblicamente fare e che, se anche non fanno che confermare la sostanza del Patto, vogliono tuttavia evitare anche soltanto Il sospetto che esso possa avere per la Grecia una punta antltallana, hanno qui sollevata molta Inquietudine, anche del dispetto, ed hanno finito col diminuire parte di quel valore politico che qui si voleva anche nelle apparenze attribuire al Patto stesso, dal quale se si tolga anche un vago sentimento di solidarietà balcanica contro ogni possibile evenienza, anche extra-balcanica, poco o nulla resta a favore della Jugoslavia.

ll: pure noto a V. E. quali risentimenti abbiano destato ad Angora le discussioni greche.

b) V. E. conosce quali siano stati l progressivi elementi di fatto che secondo Il punto di vista di questo Governo, hanno contribuito ad alimentare la diffidenza jugoslava verso la nostra politica. Tra i fatti generali occorre enumerare in primo luogo la nostra tesi revisionista, anche se in concreto e di fronte alla effettiva sua eventuale futura applicazione Il sentimento jugoslavo non sia identicamente intransigente come il rumeno ed Il ceco. Ma 1a situazione internazionale della Jugoslavia i suo! legami e rapporti con le altre due potenze della Piccola Intesa le hanno fatto assumere una posizione antirevisionista e nettamente intransigente, identica a quella rumena e cecoslovacca...

Sulla diffidenza turca verso la nostra politica ho letto molti e significativi accenni di

S. E. Lojacono. In ogni caso essa culmina coll'ultimo discorso di Tevfik Rushdl bey seguito dalla decisione di costruire rapidamente una decina di sottomarini, come sembrerebbe da notizie apparse sulla stampa jugoslava. Egli è che da un lato la Turchia aveva timore di un aumento di potenza jugoslava quale Belgrado avrebbe raggiunto con un accordo politico pieno con Sofia, (l'articolo del Katimerini del 14 corrente è molto significativo) mentre la Jugoslavia non ha ancora la totale sicurezza di ottenerlo, né poi, la forza di mantenerlo contro gli Stati balcanici che (Rumenla compresa) farebbero blocco per opporvis!. Da questo timore e da questa debolezza è derivata la situazione politica esistente tra Turchia e Jugoslavia nel rispetti bulgari ».

l'Italia questa nostra eterna nemica, ha pensato a farci rapidamente realizzare un maggiore accordo ed unirei~

Ed alla mia replica di non capirne le ragioni, Puric ha allora ricordato il discorso pronunciato da S. E. il Capo del Governo all'Assemblea quinquennale del Regime (1). Ho prontamente replicato che ci voleva una buona dose di volontà per trovare in quel discorso qualsiasi ragione di minaccia sia alla Jugoslavia che alla Turchia. Per la Jugoslavia S. E. il Capo del Governo aveva affermato che le attuali relazioni diplomaticamente corrette erano suscettibili di miglioramento, alla Turchia egli non aveva minimamente alluso. Aveva parlato di espansione, e di sola espansione culturale economica etc. in Asia. Notisi bene in Asia. E l'Asia comincia agli Stretti e finisce a Vladivostock. Era volere ignorare lo sforzo dell'Italia Fascista il mettere in disparte la nostra fortissima penetrazione in Persia, l'azione in Cina con la partecipazione di una nostra missione aereonautica, lo sviluppo dei rapporti commerciali in India, la rete della nostra navigazione che batte ogni altra con le sue linee celeri e di lusso, il congresso degli studenti asiatici etc. etc. Volere intendere la denominazione Asia come limitata all'Asia Minore era voluta malafede.

Puric ha a sua volta replicato che in ogni caso tale era stata la impressione e la interpretazione di Angora, e la Jugoslavia non aveva alcun motivo di non approfittarne per trovare un alleato nella sua difesa.

La quale replica di Puric mi induce a fare la ipotesi che la • Jugoslavia cerchi approfittare anche della versione data da molta stampa sugli incidenti occorsi a Salaki (Rodi), per rafforzare la sua posizione ad Atene e mettere in difficoltà quella parte della opposizione che con la sua attitudine ha gravemente infirmato il valore del Patto Balcanico * (2).

(l) Del t. posta 2030/642 del 17 aprile si pubblicano solo l seguenti brani: «Non è tuttavia Inutile ricordare tre punti che verosimilmente costituiscono Il terreno principale sul quale si svolgeranno l prossimi colloqui:

142

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 3979/494. Budapest, 24 aprtle 1934 (per. fl 28).

Questo Presidente del Consiglio mi ha detto stamane avere l'impressione che, per il momento, non soltanto la questione rossa ma anche quella bruna fossero passate in Austria in secondo piano. La questione del giorno era quella costituzionale e legittimista.

Circa quest'ultima le preoccupazioni del Presidente non erano del tutto cessate; neanche le soddisfacenti dichiarazioni fatte in proposito da Dollfuss valevano a rassicurarlo interamente, ché, a parere suo, dovevano attribuirsi piuttosto alle pressioni subite a Roma che non al più intimo convincimento del Cancelliere austriaco.

Riprendendo il tema consueto, n Presidente ha aggiunto che, da un punto di vista più generale, il problema dell'Austria rimaneva pur sempre imperniato su Roma e Berlino; era convinto che S. E. il Capo del Governo e il Cancelliere germanico, *se avessero in proposito un diretto scambio di idee, «s'intenderebbero subito». Tutto il resto, in tal caso, si aggiusterebbe « automaticamente»* (1).

(l) -Cfr. n. 1, nota 1. (2) -Il brano tra asterischi è stato segnato a margine da Mussol!n!.
143

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. R. 1758/904. Vienna, 24 aprile 1934.

Non ho mancato di adoperarmi nel senso e nel modo prescrittimi dall'E. V. con la lettera riservata n. 3034 (2).

Il Ministro Neustadter Stiirmer, che è stato, con l'Ender, il più attivo membro del Comitato per la Nuova Costituzione, mi ha assicurato che in questa non v'ha riferimento alcuno all'Enciclica Quadragesimo Anno. A riprova, mi ha fatto leggere l'articolo I di essa, nel quale, a suo dire, avrebbe solo potuto trovar posto l'accenno in questione. L'articolo suona ad un dipresso: «In nome di Dio, da cui provengono tutti i diritti ecc. ». Ed esso costituisce il preambolo della Costituzione.

Anche da altra fonte mi è risultata la stessa versione: ad ogni modo la mia osservazione -del tutto personale -sull'opportunità di evitare ogni esplicito accenno alla predetta Enciclica, è stata riferita al Cancelliere.

144

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA

T. 524/108 R. Roma, 25 aprile 1934, ore 18.

Henderson ha indirizzato a tutti i membri del Bureau una comunicazione riguardo alla riunione del Bureau e della commissione generale del disarmo chiedendo risposta telegrafica. In relazione alle tue conversazioni in corso con codesto Governo pregherei telegrafarmi tuo pensiero circa risposta da dare 4d Henderson (3).

(l) -Il brano tra asterischi è stato sottolineato da Mussollni. (2) -Cfr. n. 104. (3) -Suvlch rispose da Bruxelles con t. 1530 R. del 26 aprile, ore 20,50: «Bureau e commissione si riuniranno come già sal alla stessa data del 29 maggio. Risponderei adeslvamente ln tal senso». Alolsl rispose Infatti adesivamente con t. 547/3 R. del 30 aprile.
145

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1557/088 R. Berlino, 25 aprile 1934 (per. il 29).

Barone von Neurath mi ha detto che, in occasione del recente passaggio per Berlino del ministro Barthou diretto a Varsavia, aveva inviato alla stazione il capo del protocollo dell'Auswartiges Amt, conte von Bassewitz, per por· gergli il suo saluto e per chiedergli se avesse alcun desiderio da manifestare nei riguardi del suo passaggio attraverso il territorio tedesco.

Il ministro Barthou, nel ringraziare, aveva incaricato il conte von Bassewitz di riferire al barone von Neurath che la nota francese all'Inghilterra non doveva essere considerata come l'ultima e definitiva parola della Francia nella questione.

n barone von Neurath mi ha poi aggiunto che, da informazioni sicure giunte da Parigi, si deve dedurre che l'atteggiamento di intransigenza assunto dal Gabinetto francese è dovuto al fatto che taluni suoi membri ritengono prossima la caduta del Governo nazionalsocialista e mi ha chiesto se io fossi già al corrente di tali impressioni di Parigi. Alla mia risposta che effettivamente anche io avevo avuto, con sorpresa, sentore di tale credenza, il ministro degli esteri mi confidò che lo stesso ambasciatore di Francia François-Poncet era rimasto sorpreso nel constatare nel corso della sua ultima visita a Parigi come effettivamente taluni elementi responsabili non celassero il loro convincimento circa un prossimo fallimento dell'esperimento nazionalsocialista in Germania e gliene aveva fatto parte.

Il barone von Neurath, accennando alla circostanza che il sorgere di tali voci deve essere effetto dei contatti esistenti tra taluni uomini politici francesi e gli elementi tedeschi fuorusciti in Francia, mi ha detto che si ripete a Parigi l'errore già commesso, nei primi anni del fascismo, verso l'Italia di Musso lini.

146

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1559/090 R. Berlino, 25 aprile 1934 (per. il 29).

Mio telespresso n. 659 del 24 corrente ( 1).

Ho chiesto al barone von Neurath di fornirmi gli elementi per permettermi di riferire all'E. V. circa il significato e l'importanza della nomina del signor von Ribbentrop a plenipotenziario per i problemi del disarmo.

Il ministro degli affari esteri cominciò col dirmi che non vi era molto da aggiungere ai motivi che erano stati resi pubblici dalla stampa e che già comunicai all'E. V. Aggiunse che il signor von Ribbentrop si era reso benemerito tanto del cancelliere del Reich quanto del signor von Papen perché aveva arrangiato lo scorso anno l'incontro a Colonia fra questi due uomini di Stato in cui erano state gettate le basi per la loro collaborazione. Poiché il signor von Ribbentrop, grazie alle sue numerose relazioni d'affari in Francia (egli è in contatto con i produttori di vino di Champagne francese essendo il rappresentante in Germania della casa Pommery Greno) ed alle sue relazioni d'amicizia con vasti circoli sociali inglesi si dichiarava in grado di rendere utili servigi alla causa tedesca sfatando leggende messe in giro dai nemici della Germania, il cancelliere del Reich aveva creduto di affidargli ripetutamente l'incarico di avvicinare questo o quell'uomo di Stato «con risultato però costantemente nullo, come quasi sempre accade quando ci si serve di simili agenti ufficiosi». Le missioni affidate al signor von Ribbentrop avevano poi causato un certo naturale malumore in certi ambienti. Era pertanto sembrato opportuno di regolamentare in certo qual modo l'attività del signor von Ribbentrop. Non volendosi metterlo nei quadri dell'Au~wartiges Amt, si era escogitato il provvedimento di affidargli un incarico mettendolo alla diretta dipendenza del ministro degli affari esteri ed a sua disposizione per eventuali ulteriori missioni aventi attinenza con la questione del disarmo. Il barone von Neurath riteneva possibile che il signor von Ribbentrop potesse essere incaricato di recarsi ancora qualche volta a Parigi e Londra per sondare il terreno.

Alla mia richiesta se fosse in vista anche qualche sua gita a Roma il barone von Neurath rispose negativamente.

All'altra mia osservazione che non avevo compreso bene la similitudine che i giornali avevano voluto scorgere fra l'incarico affidato al signor von Ribbentrop e quello del signor Eden, dato che quest'ultimo è membro del Gabinetto britannico e porta quindi una responsabilità, ancorché limitata. il barone von Neurath rispose che il caso è completamente diverso, aggiungendo che nessuno pensa a chiamare von Ribbentrop a far parte del Gabinetto del Reich.

Sin qui le informazioni ufficiali.

In via indiretta e da buona fonte ho appreso che gli incarichi affidati da Hitler al signor von Ribbentrop avevano provocato reclami molto energici da parte degli ambasciatori di Germania a Parigi e Londra tanto più che il fiduciario del cancelliere non credeva tenerli informati delle sue conversazioni con i diversi uomini di Stato francesi ed inglesi. Il provvedimento preso sarebbe quindi effettivamente un modo elegante di arginare l'attività del signor von Ribbentrop, il quale, dipendendo d'ora innanzi dal ministro degli esteri, dovrà in occasione di viaggi in Francia ed Inghilterra tenersi in contatto con quei due ambasciatori del Reich e seguirne in certo quàl modo le direttive.

Tanto il signor von Ribbentrop quanto la sua consorte con i quali ebbi spesso occasione di trovarmi sono persone simpatiche, colte, che hanno viaggiato molto, parlano varie lingue ed hanno quindi idee assai più vaste della maggioranza dei loro connazionali.

Sono note le aspirazioni del signor von Ribbentrop di essere nominato ambasciatore del Reich a Parigi o Londra. L'incarico attualmente ricevuto, se egli mostrerà di possedere serie doti diplomatiche, potrà facilitargli il raggiungimento delle sue aspirazioni.

(l) Non pubblicato.

147

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 25 aprile 1934.

Colloquio con l'ambasciatore di Germania.

Gli ho consegnato l'accluso pro-memoria per cercare di venire ad un componimento sulla questione della Sarre. Ha promesso di riferirne a Berlino, ma mi è parso sfiduciato sulla riuscita dei suoi tentativi.

L'Ambasciatore ha colto l'occasione per chiedermi se V. E. aveva fissato la data del progettato incontro con Hitler a Venezia.

Gli ho risposto di non avere alcuna informazione al riguardo ma di non ritenere, a mio avviso personale, questo il momento più opportuno per un tale incontro, mentre grosse questioni, come il disarmo, non riescono a superare l'attuale pericoloso punto morto.

ALLEGATO

PROMEMORIA

Roma, 25 aprile 1934.

A seguito del colloquio avuto con il Vice Cancelliere von Papen sulla questione delle garanzie da applicarsi in vista del plebiscito della Sarre l'Ambasciatore di Germania ha precisato il modo di vedere del Governo del Reich coi quattro punti seguenti:

1° -«La questione della protezione dei votanti in seguito alla loro partecipazione al plebiscito non ha ragione di essere essendo la votazione segreta».

Al riguardo si osserva: Il fatto che la votazione è segreta non porta come conseguenza che la protezione dei votanti, dopo il voto, non ha ragion d'essere. Il trattato di Versailles ha precisato che il voto oltreché segreto deve essere « libero e sincero». Il che implica che oltre alle garanzie di segretezza che saranno stabilite dalla legge elettorale occorre salvaguardare la libertà e sincerità del voto da ogni minaccia di rappresaglia. La votazione è preceduta d'altro canto dalla campagna elettorale: perché tutte le tendenze possano liberamente manifestarsi, si richiede, come primo requisito, la sicurezza che le opinioni manifestate non espongano poi i loro sostenitori ad atti di violenza contro la loro persona e i loro beni.

2° -«Un'amnistia per la condotta in toto dei singoli votanti nella e durante la campagna elettorale sembra per il futuro impossibile, specialmente per il fatto che si concederebbe in tal modo agli elementi radicali addirittura l'immunità per ogni eccesso, cosa che dunque non si risolverebbe in una maggiore tranquillità della campagna elettorale, bensi nel contrario. Il Governo Germanico ha però un grandissimo interesse che la lotta elettorale si svolga tranquillamente e serenamente. Del resto è impossibile che H Governo germanico dichiari in anticipo che proteggerà da ogni svantaggio tutti i tedeschi della Sarre che votano contro la Germania. Esso potrebbe agire così dopo il plebiscito, ma quale Governo interessato non lo può proclamare prima».

Si osserva:

Occorre precisare che cosa s'intenda quando si parla di dichiarazione di «amnistia». È evidente che non può parlarsi di una dichiarazione preventiva di amnistia per fatti che sono contemplati come reati dalle leggi che sono o saranno in vigore nel Territorio della Sarre fino a quando esisterà il regime attuale: una dichiarazione preventiva di questo genere equivarrebbe ad assicurare l'impunità e quindi a togliere ogni valore alle leggi del Territorio della Sarre che contemplano quei fatti come reati. Ciò che si considera è invece la dichiarazione da parte di ciascuno dei due Governi eventualmente successori di non voler esercitare alcun procedimento contro gli abitanti del Territorio della Sarre per l'attività politica da essi spiegata durante il regime istituito nel Territorio della Sarre dal Trattato di Pace e specialmente durante la campagna per la consultazione popolare. Una obbligazione in questo senso era stata esplicitamente stabilita dall'art. 88 del Trattato di Versailles per la Germania e per la Polonia per quanto concerne l'Alta Slesia. Se l'Annesso all'art. 50 relativo alla Sarre non dichiara in termini espliciti questa obbligazione per i due Stati eventualmente successori, si deve però ritenere che essa deriva dal Trattato come conseguenza necessaria dell'obbligazione di assicurare la libertà e la sincerità del voto. L'affermazione che « è impossibile che il Governo germanico dichiari di anticipo che proteggerà da ogni svantaggio tutti i tedeschi della Sarre che votano contro la Germania, è in aperto contrasto con l'obbligazione assunta dalla Germania in quanto firmataria del Trattato di Versailles, di assicurare la libertà e la sincerità del voto. Non esistono infatti libertà e sincerità se ambedue le Parti non s'impegnano ad astenersi da ogni misura di discriminazione in dipendenza del voto. La garanzia che la Germania dovrebbe dare in tal senso trova la sua contropartita in quella analoga che dovrebbe dare la Francia.

3° -«Non è da temere che un membro del Consiglio domandi un riesame della perizia dei giuristi da parte della Corte dell'Aja, essendo prassi costante del Consiglio di non sottoporre alla Corte dell'Aja perizie di un comitato giuridico da esso istituito. La ragione di questa prassi sta nel fatto che altrimenti nessun giurista di grido sarebbe più disposto dare un parere al Consiglio o ai suoi organi».

Si osserva: Non si può parlare di una prassi per quanto concerne le decisioni del Consiglio circa l'opportunità di domandare un parere consultivo alla Corte di Giustizia su una determinata questione, quando questa abbia già fatto oggetto di altre consultazioni giuridiche. In ogni caso il Consiglio non è legato da precedenti, tanto più quando, come nel caso attuale, la questione ha una particolare importanza. Ma sovratutto occorre osservare che i giuristi, che hanno dato il parere, non costituirono un Comitato di giuristi nominato dal Consiglio ma degli esperti ai quali il Comitato dei Tre si è rivolto per avere semplicemente un parere consultivo: questo parere, appunto perché consultivo, non lega il Comitato del Consiglio e tanto meno il Consiglio stesso il quale è perciò libero di decidere di domandare su qualche punto di carattere giuridico il parere della Corte dell' Aja.

4° -« Ma se pure il Consiglio si dovesse decidere a chiedere un parere della Corte nell'una o nell'altra questione, ciò non potrebbe e non dovrebbe avere mai influenza sulla prossima fissazione del termine per il plebiscito. La Corte potrebbe dare il suo parere in tempo utile in modo da non essere compromessa l'epoca del plebiscito».

Si osserva: Se il Consiglio decidesse di chiedere un parere [della] Corte non si può prevedere esattamente entro quale termine esso sarebbe dato. In ogni caso, poiché il Consiglio dovrebbe attendere il parere della Corte prima di adottare, conformemente al para~ grafo 34, le norme relative all'organizzazione del plebiscito, è molto probabile che la consultazione popolare sarebbe ritardata. Quanto precede in risposta ai quattro punti sollevati dal Governo germanico. Dal canto suo il Governo francese, a quanto risulta non sembra disposto ad accet~ tare una interpretazione del Trattato di Versailles nel senso che esso non contempli la sicurezza interna della popolazione della Sarre da eventuali rappresaglie dopo il plebiscito perché la libertà del voto non si potrebbe dire garantita se coloro che avessero votato in senso contrario al risultato del plebiscito fossero poi esposti alle rappresaglie degli avversari. Appoggiandosi a quanto avvenuto nei Territori Renani dopo l'evacuazione delle truppe interalleate e malgrado gli accordi intervenuti a Londra, Aja e Wiesbaden, il Governo francese sembra ritenere necessaria una dichiarazione di garanzia che con~ templi almeno per un periodo di transizione una procedura che ne assicuri l'esatta osservanza e sarebbe pronto ad accettare per quella parte del Territorio della Sarre che potesse spettargli in piena sovranità un regime di garanzie analogo a quelle stabilite nelle Convenzioni delle Minoranze o nella Convenzione di Memel. Il Barone Aloisi prega il Governo del Reich di riesaminare la questione tenendo presente quanto precede e volergli far conoscere il pensiero definitivo del Governo germanico in merito alla questione delle garanzie.

148

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

Londra, 25 aprile 1934 (1).

Simon mi chiede notizie sulle conversazioni di Parigi.

Espongo in riassunto il colloquio con Doumergue: la Francia si era avvicinata negli ultimi tempi al punto di vista italo-inglese sperando in una soluzione favorevole del problema delle garanzie, quando i crediti militari te

deschi sono venuti a guastare tutto. La Francia non può continuare la discussione per la limitazione degli armamenti quando la Germania dimostra, nel modo più evidente, l'intenzione di armare rapidamente senza riguardo per nessuno.

Ho risposto che mi rendevo conto dello stato d'animo francese ma non vedevo quale soluzione il Governo francese si prospettasse. Le possibilità, secondo me, sono o un accordo con Germania, o eventuali sanzioni con tutte le conseguenze, o riprendere ciascuno la propria libertà. Ginevra in assenza della Germania non pare possa arrivare ad alcuna conclusione né è da sperare per ora che la Germania rientri.

Un accordo fra le tre Potenze, Italia, Francia e Inghilterra, fatto nello spirito della Confetenza del Disarmo, ci legherebbe le mani lasciando invece

completa libertà alla Germania. Il fatto stesso di fare un accordo senza la Germania può già significare il riconoscimento della libertà d'azione alla Germania.

Doumergue mi ha risposto che la Francia non pensa ad applicare metodi violenti e che il popolo francese è contrarissimo a una guerra preventiva, che la Francia non è favorevole a lasciare a ciascuno la libertà di riarmare, ma che il Governo francese ritiene a parte l'autorità che ancora può esercitare Ginevra, che se le altre Potenze potranno mostrarsi concordi, la Germania accetterà un eventuale progetto di convenzione.

Ho risposto che non credo che la Germania subirà le seduzioni di Ginevra né che accetterà, come imposizione, un progetto preparato in sua assenza. Questo il risultato del colloquio con Doumergue che, come si vede, non offre molte prospettive.

Aggiungo che in Italia si è avuta l'impressione che la nota francese costituisca un pericolo di rottura delle trattative. Chiedo poi le impressioni del Governo inglese.

Simon risponde che il Governo inglese condivide l'impressione italiana e che è contrario a una soluzione a tre. Aggiungo che non vedo quale soluzione si possa trovare a Ginevra. Il fatto di avere la presenza di altri Stati non può che complicare le cose.

Simon osserva che bisognerebbe cominciare col sapere esattamente che cosa vogliono i francesi. Fino ad ora i francesi si sono dichiarati disposti a non disarmare, ma non hanno ammesso in principio il riarmo della Germania. Egli vorrebbe sapere da me se abbiamo notizie più precise sulle intenzioni francesi al riguardo.

Gli rispondo che l'impressione è che in Francia si andasse maturando uno stato d'animo favorevole all'accoglimento della tesi su cui più o meno si trovavano d'accordo inglesi, italiani e tedeschi. I crediti militari germanici hanno offerto però un pretesto al Governo francese che non aveva il coraggio di prendere nettamente posizione di ripiegare su una tesi di intransigenza, che non porta nulla di buono, ma che non lo compromette di fronte all'opinione interna del Paese.

Grandi ritiene che le contropartite che i tedeschi reclamavano per ammettere l'armamento francese erano appunto le garanzie che rappresentano la nuova incarnazione dell'antica tesi della sicurezza: si chiede oggi la garanzia contro il trasgressore come prima si chiedeva la sicurezza contro l'aggressore.

Simon ritiene che fra le due posizioni ci sia una notevole differenza sia per l'occasione che determina l'intervento, sia per la forma dell'intervento stesso.

Stanhope non vede questa grande differenza perché i francesi vogliano in ultima analisi, se gli altri mezzi non servono, un intervento armato.

Devo ancora aggiungere una mia impressione: Doumergue aveva l'aria di ritenere che qualche cosa potesse avvenire prima di Ginevra; non ho potuto arguire che cosa pensasse. Non escluderei che l'idea di Doumergue fosse quella che gli si potesse offrire qualche cosa nel campo della sicurezza agendo contemporaneamente sulla Germania per la riduzione o la non utilizzazione dei crediti militari.

Chiedo se consti quali erano le doa1ande francesi per la sicurezza, domande che per informazioni da noi avute, erano in preparazione prima della recente nota francese.

Simon non ne sa nulla e sarebbe molto interessato a conoscere qualche cosa di preciso. Si decide di proseguire domani la discussione facendo per oggi un comunicato interlocutorio.

(l) Anche se scritto materialmente li giorno 25 l'appunto si riferisce ad un colloquio del 24 aprile. Per il verbale inglese cfr. DB, vol. VI, pp. 641-648. Suvich ebbe tre colloqui con i dirigenti della politica estera inglese, uno il 23 aprile, uno il 24 e uno il 25.

149

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

Londra, 25 aprile 1934.

Conversando sugli eventuali temi delle nostre discussioni in materia di rapporti anglo-italiani ho fatto un accenno a Malta. Ho detto che la situazione non è buona in quanto si era creato uno stato di cose del tutto artificioso che non poteva durare. Si vuole creare per ogni nostro istituto una specie di statuto particolare indicando il numero e la qualifica delle persone che possono frequentarlo ed altre disposizioni del genere che non sono atte certo a diminuire la tensione esistente nell'isola.

Noi abbiamo i11 passato ignorato una questione di Malta, e ancora oggi per noi, tale questione non esiste. Vi sono però degli elementi sentimentali relativi alla lingua e alla cultura che non possono essere trascurati nell'interesse dei buoni rapporti fra i nostri Paesi.

Il Capo del Governo mi ha detto recentemente che la questione di Malta sarà definitivamente eliminata il giorno che la lingua italiana avrà diritto di cittadinanza in tutte· le scuole dell'isola allo stesso titolo della lingua inglese.

Simon ha chiesto se era mia intenzione di discutere la questione di Malta. Gli ho detto che non mi pareva il caso e che mi limitavo a queste considerazioni di carattere generale.

150

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1528 R. Bruxelles, 26 aprile 1934, ore 16,25 (per. ore 17,30).

Ho avuto iersera nuovi colloqui con Simon e Vansittart su linee di massima già riferite.

Confermasi opinione inglese su scarsa possibilità di efficace intervento prima della riunione commissione generale a Ginevra fine maggio prossimo. A termine conferenza è stato redatto comunicato trasmesso da agenzia

Stefani. Ho poi ricevuto stampa mantenendomi a dichiarazione carattere generico collaborazione itala-inglese e armonia intenti della politica due paesi.

Sono giunto qui stamane.

Pur conservando a visita carattere privato sarò tuttavia ricevuto da S. M. il Re che mi ha fatto esprimere desiderio vedermi.

Vedrò naturalmente Broqueville e Hymans.

Proseguo in serata per Roma dove giungerò sabato mattina.

151

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1546/078 R. Vienna, 26 aprile 1934 (per. il 28).

Mio telegramma riservato n. 171 (1).

La questione della adesione delle Heimwehren al fronte patriottico, alle note condizioni, è stata affrontata ieri ed oggi in una riunione dei loro capi federali e regionali. I concetti dello Starhemberg hanno prevalso su quelli del Fey, sicchè è rimasta confermata l'adesione delle Heimwehren al fronte patriottico, sotto la presidenza generale del Dollfuss e la vice-presidenza dello Starhemberg.

La divergenza che corre fra il pensiero dello Starhemberg e quello del Fey è ben nota a V. E.; ed in succinto può dirsi che mentre la tesi del primo, favorevole alla partecipazione delle Heimwehren al fronte patriottico, rispecchia sovratutto l'interesse del paese, quella opposta del Fey rispecchia invece l'interesse del partito. E difatti, per la tesi dello Starhemberg, vale la considerazione della gravità delle conseguenze che avrebbero potuto derivare, nell'attuale situazione, da una scissione o da una mancata intima collaborazione delle Heimwehren con Dollfuss, e quindi dalla non attuazione del tentativo di rigenerazione dello Stato, che vuolsi compiere; e per la tesi del Fey vale la considerazione che l'irreggimentazione del movimento heimwehrista nel fronte patriottico, mentre toglierà alle Heimwehren buona parte del prestigio che loro pr'oveniva dall'essere autonome, non concederà loro per il momento che ben scarse realizzazioni, la profonda fascistizzazione dello Stato e la parità delle cariche fra heimwehristi e cristiano-sociali restando in oggi nel campo delle aspettazioni.

Su questo quadro generale le rispettive teorie dello Starhemberg e del Fey prendono tutto il loro risalto. E mentre del primo si riconosce l'aver anteposto gli interessi del paese a quelli del movimento, e per ciò fare d'aver messo in pericolo la sua stessa situazione personale, stante le gravi difficoltà avvenire, del Fey si riconosce la sensibilità per gli interessi del movimento e per i pericoli cui esso potrebbe andare incontro nel nuovo ordinamento.

D'altra parte, pur riconoscendosi le suesposte direttive ideali dei due

uomini, in alcuni circoli delle stesse Heimwehren già si accenna ad alcuni

loro pretesi accorgimenti pel futuro. E così, nei riguardi dello Starhemberg,

si crede che egli non abbia voluto la fusione dei corpi militarizzati per la sola preoccupazione di poter avere la possibilità di abbandonare, nel caso che l'esperimento intrapreso non dia rapidi frutti, il fronte patriottico ed il Governo, con tutto il suo gruppo, mantenuto tuttora integro e separato dagli altri corpi militarizzati; e che egli, conscio della grande responsabilità assuntasi, non mancherà di mettere nel seno del fronte patriottico uomini capaci di sottrarlo alle intemperanze o agli egoistici disegni dei cristiano-sociali, ispirandosi a quanto ha compiuto Hitler nei rispetti dei partiti e dei gruppi che con lui collaborarono nella prima ora.

N e i riguardi del Fey si suppone che_ questi, col mostrarsi disposto a restare al Governo e nel movimento, a malgrado la perdita del posto di vice-cancelliere ed a malgrado la sua contrarietà al nuovo ordinamento del fronte patriottico, altro non si proporrebbe che di lasciarsi una porta aperta verso il cancellierato e la direzione delle Heimwehren, nel caso che il nuovo ordinamento fallisse, traendo intanto il beneficio di non restar fuori dal Governo, di conservare il suo prestigio -ammantandolo con la veste del sacrificato e di adattarsi al nuovo ordine di cose nel caso in cui esso si sviluppasse favorevolmente. In questa supposizione, giusta le mie informazioni, sarebbero caduti anche il cancelliere e lo stesso Starhemberg, che ad un dato momento, avrebbero avuto financo l'idea di metterlo assolutamente fuori dal Ministero.

Tuttavia, se tale segreta intenzione sia stata effettivamente nutrita, essa avrebbe troppo ignorato la popolarità e la capacità del Fey, il quale conta pure l'appoggio segreto di altri capi heimwehristi, tra i quali, a mio modo di vedere, il ministro Neustadter Stlirmer.

Ad ogni modo non possono non rincrescere queste frizioni tra personaggi fra cui dovrebbe invece regnare la migliore armonia. E specie in questi tempi in cui si appalesa sempre più un risveglio delle opposizioni, e mentre i nazisti sono visibilmente pronti a gettarsi su ogni dissenso fra i tre «leaders » austriaci, onde tentare il noto gioco: allearsi col dissidente -e questa volta sarebbe il Fey -per provocare la reazione e la concorrenza degli altri due, e così porsi in grado di giuocare la partita più conveniente.

(l) T. r. 1526/171 R. del 25 aprile, non pubblicato: riferiva circa le discussioni relative all'eventuale adesione delle Heimwehren al fronte patriottico.

152

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 aprile 1934.

Colloquio con l'ambasciatore di Germania

Gli ho fatto rimostranze per la pubblicazwne del Volkischer Beobachter, facendo rilevare che tanto più essa appariva fuori di posto in quanto che proprio in questi giorni si era parlato in Germania dell'eventualità di un incontro fra V. E. e Hitler. Mi ha assicurato che avrebbe subito telegrafato a Berlino per richiamare su questo incidente l'attenzione del suo Governo.

Gli ho poi chiesto se era vero che 15 direttori di giornali jugoslavi erano stati invitati a Berlino dove si stavano preparando accoglienze in loro onore.

16 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Mi ha detto sembrargli che l'invito sia stato rivolto a direttori di giornali di vari paesi. In ogni modo si è riservato di darmi una risposta precisa dopo aver personalmente assodata la cosa.

A me non risulta che direttori di giornali italiani abbiano ricevuto un invito del genere.

153

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1542/64 R. Praga, 27 aprile 1934, ore 19,25 (per. ore 22,15).

Presente telegramma fa seguito a quello avente il n. di protocollo precedente (l).

Al banchetto e ricevimento di ieri sera mi sono intrattenuto con Barthou che conoscevo personalmente da Parigi e che si è mostrato molto cordiale, esprimendomi il suo compiacimento per buone relazioni itala-francesi.

Si è detto molto spiacente di aver mancato visita di S. E. il sottosegretario di Stato ed ha riaffermato sua fedele amicizia per Italia. Si è infine compiaciuto per atmosfera migliorata che ha qui constatato nelle relazioni fra l'Italia e Cecoslovacchia.

Benes mi ha assicurato che nei colloqui politici preconizza larga trattazione questione danubiana constatandosi accordo circa collaborazione con Italia. Accenni a tale programma dovrebbero essere contenuti nei comunicati finali, come mi è stato assicurato dallo stesso Benes e dal Capo di Gabinetto di Barthou, Rochat, che conoscevo molto bene da Roma.

Quest'ultimo mi ha detto, in via strettamente confidenziale, che si è dovuta abbandonare l'idea di accennare già nei discorsi alla collaborazione anche con l'Italia perchè è stato necessario evitare accuratamente ogni accenno alla Polonia, ciò che rendeva difficile menzionare altri Stati oltre Piccola Intesa.

Nei circoli diplomatici destava molto interesse voce messa in circolazione

dallo stesso Benes che Barthou gli avrebbe raccomandato riavvicinamento

Piccola Intesa all'Italia.

Si aggiunge voce che Francia darebbe prossimamente soddisfazione ad

alcune questioni interessanti Italia per indurla ad accogliere favorevolmente

tentativi di riavvicinamento della Piccola Intesa.

Segnalo infine voci di prossima visita di Barthou a Roma in restituzione

visita S. E. Suvich a Doumergue.

Barthou ripartirà domani sabato a mezzogiorno.

Giornata odierna dovrebbe dar luogo a manifestazioni più importanti sulle

quali riferirò ulteriormente.

(l) T. 1536/63 R. pari data, non pubblicato: riferiva circa la prima giornata della visita di Barthou a Praga.

154

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 1622/093 R. Berlino, 27 aprile 1934 (per. il 3 maggio).

Avendo avuto occasione d'incontrare il segretario .di Stato al ministero dell'aeronautica del Reich, Milch, e d'intrattenermi confidenzialmente con lui parlando della fase critica in cui si trovava la questione del disarmo, egli mi dichiarò, in via riservata, che le varie amministrazioni non avevano mutato di un filo le disposizioni precedentemente impartite concernenti il riarmamento della Germania. Gli stabilimenti industriali continuavano quindi a costruire secondo i piani prestabiliti. L'agire diversamente avrebbe costituito la sconfitta di Hitler la cui predicazione politica da quindici anni in qua era stata quella che non si doveva tener conto delle imposizioni del trattato di Ver~ sailles le quali erano lesive della libertà e dell'onore della Germania. Era del resto convincimento del cancelliere che la Francia, pur non volendo riconoscere di diritto il riarmamento del Reich, non avrebbe osato opporvisi con la forza. Se poi lo avesse fatto, questo non sarebbe stato che un argomento di più per spingere innanzi gli armamenti del Reich in modo da poter opporre quanta maggiore resistenza fosse possibile ad un'offensiva della Francia.

155

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO BELGA, BROQUEVILLE, IL MINISTRO DEGLI ESTERI BELGA, HYMANS, E IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI BELGA, LANGENHOVE

APPUNTO. Bruxelles, 27 aprile 1934 (1).

Abbiamo avuto due colloqui: il primo al Ministero degli Esteri senza la partecipazione di de Bro queville; il secondo alla Presidenza del Consiglio.

Ho riferito ai Ministri belgi le impressioni raccolte a Parigi e a Londra e le poche prospettive che le negoziazioni possano essere efficacemente riprese nelle prossime settimane.

I Ministri belgi sono molto contrariati per la nota francese che ritengono determinata da un movimento di irriflessione e per ragioni di politica interna, e molto preoccupati per il modo come si mettono le cose. È chiaro che i tedeschi fanno una politica del riarmo in pieno senza guardare in faccia nessuno. Il giorno che i tedeschi saranno riarmati, nessuno li tratterrà più.

ti) Sic, ma l colloqui cul l'appunto sl riferisce ebbero luogo 11 giorno 26 e ad essi partecipò l'ambasciatore Vannutelli. Il 27 Suvich non era più a Bruxelles.

L'unica speranza per arrestare questa corsa fatale è quella di fare un accordo finché siamo in tempo. Si sono perdute recentemente delle buone occasioni, forse si può ancora arrivare a qualche soluzione, ma l'intransigenza francese minaccia di rovinare tutto.

Hymans ritiene molto preoccupante lo stato d'animo in Francia che egli non esclude possa essere la preparazione di un conflitto. La nota francese ha sorpreso molto i Ministri belgi perché Barthou quando è stato a Bruxelles, e in seguito anche alle conversazioni avute a Bruxelles, era orientato in modo del tutto diverso. I Ministri belgi chiariscono che fra il Belgio e la Francia non c'è che il Patto di Locarno e un accordo di carattere militare per la collaborazione fra gli Stati Maggiori. Questo accordo militare non è però incondizionato, ma subordinato alla condizione che si verifichino circostanze tali per cui i due Paesi si trovino uniti in caso di un conflitto.

Al Ministro Barthou è stato chiarito che il Belgio non intende partecipare a una guerra che non sia una guerra difensiva in cui intervenga il casus joederis previsto da Locarno.

Hymans mi chiede se a Londra si è parlato di Locarno e se gli inglesi rimangono sempre fedeli a Locarno che per il Belgio rappresenta il punto fermo della loro politica.

Gli rispondo che se ne è parlato solo di passaggio e che mia impressione è che gli inglesi intendano mantener fede a Locarno ma non andare più in là. Se si dovesse giudicare dallo stato d'animo attuale in Inghilterra, si dovrebbe ritenere che gli inglesi cercheranno di evitare di partecipare ad un eventuale conflitto.

Hymans, aderendo al punto di vista italiano, ritiene che Ginevra sia il posto meno opportuno per riprendere le trattative. Se non è possibile trovare altra soluzione, a Ginevra si dovrà trovare il modo di riprendere i contatti fra le grandi Potenze per proseguire poi i negoziati direttamente.

I Ministri belgi confidano molto nell'opera di mediazione che potrà esercitare il Capo del Governo italiano. Osservo che perché un'opera di mediazione possa svolgersi, si richiede un minimo di buona volontà da parte degli altri. I Ministri belgi confermano che da parte loro approvano la linea politica italiana e sono disposti a seguirla.

156

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH ... (l)

Il problema principale e assorbente di questo momento è la questione del disarmo. In genere le impressioni sono intonate a una nota oltremodo pessimistica; solo da parte della Francia si ostenta evidentemente senza convinzione, pensare che le cose possano andare a finire per il meglio. Non ho im

pressioni dirette sullo stato d'animo delle masse francesi, ma mi si riferisce che si vada sempre più rafforzando la persuasione che un. conflitto con la Germania sia inevitabile e che ci si debba preparare ad esso col pensiero che è meglio che avvenga prima che più tardi quando la Germania sarà meglio armata; tutto ciò senza incontrare eccessiva resistenza nell'opinione pubblica. In Francia pare predominante l'impressione che domani, in caso di un conflitto, tutto il mondo sarà per lei: l'Inghilterra per evitare un predominio mondiale della Germania, l'Italia per ragioni di affinità spirituali e per interessi diretti anti-germanici nell'Europa orientale, gli alleati orientali per paura di diventare vassalli della Germania. Pare anche che il Governo francese, influenzato soprattutto da Tardieu, si faccia l'illusione che la situazione interna tedesca sia poco stabile e che il Regime Hitleriano possa essere rovesciato senza eccessiva difficoltà.

Nel Governo inglese prevalgono, nel momento attuale, due preoccupazioni principali: una di politica interna che è quella di non dare agli avversari il pretesto di poter dire che il Governo abbia abbandonato e compromesso la causa del disarmo, la seconda di politica estera, condivisa dalla stragrande maggioranza del popolo inglese, di evitare di trovarsi impegnati in un conflitto continentale. Non è possibile prevedere quale potrebbe essere l'atteggiamento dell'Inghilterra nel caso di un conflitto (non è escluso che l'Inghilterra all'ultimo momento -forse anche dopo l'ultimo momento -vi partecipi) ma pare escluso nel modo più assoluto che sia disposta ad assumere fin d'ora degli impegni che la obblighino a intervenire nel momento del conflitto. Anzi si dovrebbe ritenere, dato lo stato d'animo attuale, che essa farà tutto il possibile per sottrarsi anche agli impegni esistenti. Questa situazione si ricollega strettamente al problema della sicurezza. Dalle impressioni raccolte si dovrebbe dedurre che il Governo inglese era disposto a fare delle concessioni sul terreno delle garanzie prima che giungesse l'ultima nota francese. Concessioni nel campo delle garanzie contro le trasgressioni alla Convenzione per il Disarmo, non però concessioni nel problema della sicurezza da un punto di vista generale. La distinzione fondamentale che l'Inghilterra fa fra l'una e l'altra consiste nel fatto che il primo caso (garanzie contro il trasgressore) non comporterebbe la necessità di un intervento armato, il secondo (sicurezza di carattere generale) invece comporterebbe tale necessità.

La Gran Bretagna pur essendo ora pervasa nuovamente da uno spirito profondamente contrario al Regime e all'attuale politica tedesca, è tuttavia disposta a venire incontro alle richieste germaniche pur di ottenere un accordo. Ritenendo che l'Italia sia altrettanto interessata ad evitare conflitti, vuoi fare sinceramente una politica di stretta intesa con noi. L'opinione inglese è che l'unica base sulla quale si può raggiungere un accordo sia il memoriale italiano (l). Di fronte alla propria opinione pubblica non ha avuto però ancora il coraggio di dirlo chiaramente facendo quindi sapere che ha rinunziato al disarmo. Lo ha detto però in forma velata quando ha parlato del

Piano inglese modificato. Nelle conversazioni avute mi è stato chiarito che le · modificazioni si riferiscono alle proposte tedesche di ammettere per un primo periodo il mantenimento di tutti gli armamenti che oggi hanno le Potenze armate. Sarebbe dunque l'Inghilterra disposta ad accettare una Convenzione composta di due periodi: il primo -5 anni o più -senza nessun disarmo; il secondo con un disarmo graduale in modo da arrivare alla fine del secondo periodo alla parità con la Germania; anzi la Gran Bretagna per l'eventualità di mantenere gli armamenti attuali per un periodo di qualche anno fa delle riserve per proprio conto in quanto ritiene che le si debba concedere di completare i propri armamenti in modo di tornare a quel livello che essa avrebbe mantenuto se negli ultimi tempi non avesse fatto una politica molto spinta di disarmo. Ciò soprattutto con riguardo alraviazione.

Per quanto riguarda la possibile soluzione, l'Inghilterra ha dichiarato in modo preciso di opporsi ad un accordo a tre, che poi dovrebbe essere imposto alla Germania. Intende trattare e conchiudere a quattro, e perciò desidera la collaborazione-intima con l'Italia. Non intende però rinunziare ad andare a Ginevra pure ammettendo che in quella sede non bisognerà discutere la questione di fondo appunto perché vi manca la Germania. È d'accordo con noi (a differenza di quanto si pensa o si finge di pensare in Francia) che non è da farci alcuna illusione sul ritorno per ora della Germania nella Società delle Nazioni.

In Belgio si approva apertamente il piano italiano sia per quanto riguarda la questione di fondo che per quanto riguarda la procedura, cioè le trattative dirette fra le quattro Potenze.

Gli uomini di Governo belgi pensano, pur senza farsi alcuna illusione sulle intenzioni pacifiche della Germania, che bisogna approfittare di prendere la Germania sulle sue stesse offerte per legarla per qualche anno ad una politica di pace; sono profondamente irritati contro la Francia il cui atteggiamento pare dettato oltre che dalla presunzione che tutto il resto del mondo sia per loro, anche da una assoluta incomprensione della situazione reale. C'è anche nei due uomini di governo coi quali ho parlato (Broqueville e Hymans) la preoccupazione che la Francia riesca ad influenzare. nel momento di un eventuale conflitto, (soprattutto attraverso i giornali che sono in mano della Francia) l'opinione pubblica belga a proprio favore.

Per quanto riguarda gli altri problemi e particolarmente il problema danubiano, ho avuto la netta impressione che tanto in Francia quanto in Inghilterra si sia perfettamente disposti a concedere mano libera all'Italia, soddisfatti anzi che in seguito alla nostra politica attiva in tale settore, ci sia in un momento di difficoltà e di tensione come l'attuale, un problema... (l) in meno di cui si debba occuparsi. Ci sono soltanto... (l) riflessi di politica interna che vengono presi in considerazione particolarmente dall'Inghilterra: così l'Inghilterra si preoccupa che in Austria non si crei un regime totalitario heimwehrista (leggi fascista) e che non ci siano delle condanne troppo severe per i

capi social-democratici, fatti questi che metterebbero contro il Governo l'opinione pUbblica laburista e liberale. Caratteristica l'insistenza con cui da parte inglese si è parlato della necessità di migliorare i nostri rapporti con la Jugoslavia (anche Drummond a Roma mi aveva intrattenuto ben due volte sull'argomento).

(l) Suvich rientrò a Roma dal suo viaggio a Parigi, Londra e Bruxelles la mattina del 27 aprile. Si colloca sotto questa data.

(l) Cfr. serie VII, XIV, n. 525, allegato I.

(l) Parola lllegg!b!le per 11 deterioramento del documento.

157

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1062/506. Varsavia, 27 aprile 1934 (per. il 30).

Ho avuto stamani con Beck la prima conversazione dopo il mio ritorno da Roma e riferendomi al colloquio che avevo avuto con lui il giorno precedente alla mia partenza per l'Italia (l) gli ho detto come V. E. apprezzasse l'adesione della Polonia al progetto italiano per l'Europa Danubiana e tenesse nel dovuto conto quel desiderio di collaborazione ch'egli aveva manifestato a Ginevra l'ottobre scorso nel colloquio con Aloisi (2). Ho aggiunto che V. E. tanto più se ne compiaceva in quantoché essendo stata l'Italia larga di aiuti morali e finanziari alla Polonia fin da quando altri la definiva «état saisonnier », il suo rafforzamento come Stato e le ultime importanti realizzazioni della sua politica estera venivano considerati da V. E. come la migliore prova che il suo giudizio di allora sulla vitalità della Polonia rispondeva ad uno stato di fatto.

Beck nel ringraziare V. E. mi ha dato incarico di farLe sapere che proprio la settimana scorsa dopo un esame approfondito della situazione europea fatto in Consiglio di Ministri alla presenza di Pilsudski, questi e tutti i suoi colleghi avevano «avec une joie sincère » constatato che la politica della Polonia e le sue idee in merito alla questioni europee non fossero in nessun modo in contrasto con le iniziative italiane e con i principi morali ai quali s'inspira la politica estera dell'Italia. Ciò -egli mi ha detto -senza fare astrazione dalla situazione danubiana, anzi guardando particolarmente a questa in rapporto alla politica di certi Paesi i quali hanno creduto, raggruppandosi a soli fini negativi, di poter imporre il principio che altri Paesi come l'Ungheria e la Bulgaria non devono avere più diritti. La Polonia rifiuta simili criteri e non vi accederà mai, così come rifiuterebbe -se qualcuno, in pura perdita di tempo, immaginasse qualcosa di simile di entrare in qualunque azione o combinazione volta a contrastare in qualche modo l'Italia, ben sicura che questa si comporterebbe ugualmente nei confronti della Polonia.

Con tali frasi Beck sembra ammettere il revisionismo eccettuato per le frontiere polacche sulle quali del resto gl'interessati banno messo da parte ogni discussione.

Ho risposto che avevo sentito fare da V. E. una constatazione uguale a quella del Governo polacco ed ho aggiunto che tale essendo da lungo tempo la realtà mi pareva che i rapporti fra i nostri due Paesi culturali, economico-finanziari e

politici, fossero suscettibili di utili sviluppi dopo un esame approfondito che sarebbe stato agevole fare con un Paese come la Polonia il quale, a francamente parlare, era padrone delle sue idee e libero da ogni costrizione.

Cogliendo l'allusione Beck ha prontamente affermato tale essere infatti la posizione della Polonia dinanzi ad ogni questione. Barthou stesso lo ha dichiarato e non poteva essere diversamente perché rasserenare l'atmosfera fra i due alleati non vuol dire che la Polonia debba rinunciare alla sua libertà.

Gli ho chiesto allora se poteva precisarmi il punto di vista polacco in merito al disarmo, a proposito del quale egli si era riservato di parlami dopo la visita di Barthou.

La risposta è stata meno chiara che per gli altri argomenti, tuttavia tale da confermare quanto ho riferito a V. E. col rapporto N. 1040/489 del 25 corrente (l) e cioè che tra Francia e Polonia vi è un divario sostanziale e da far ritenere inoltre che tra Polonia e Germania esista già un accordo tacito in proposito.

Beck mi ha detto che la Polonia non si trova in condizioni di far proposte in merito e si limita pertanto ad aspettare che le Potenze aventi iniziative e progetti propri riescano a trovare una base nelle discussioni che stanno svolgendo ai margini della Conferenza. La Francia ha detto la sua opinione. Sarà essa definitiva o potrà subire qualche adattamento? Ciò ha un interesse limitato per la Polonia che è pessimista circa l'esito di tali conversazioni. Cosa ha fatto la Polonia quando la Germania è uscita dalla Società delle Nazioni sollevando una quantità di commenti e di preoccupazioni? Ha seguito la via diretta, si è spiegata con la Germania. Da allora in poi questo è il sistema al quale essa ha fatto ricorso per giungere a dei risultati pratici.

Ho riferito quasi testualmente ed il senso mi sembra chiaro.

Essendosi dovuta interrompere la conversazione per dar posto ad un altro visitatore, Beck mi ha congedato esprimendo il desiderio che io ringrazi vivamente V. E. e pregandomi dl volermi tener pronto la settimana prossima ad una sua chiamata.

(l) -Non si è rinvenuto alcun documento relativo a questo colloquio. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 235.
158

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 536/77 R. Roma, 28 aprile 1934, ore 17.

Edizione berlinese Voelkischer Beobachter del 19 c.m. ha pubblicato una cor-rispondenza da Budapest sul riavvici:namento ungaro-jugoslavo, accennando 1anche alle simpatie che Goemboes avrebbe per la Jugoslavia.

«... Principale il problema del disarmo: Barthou ha parlato chiaro sull'argomento, proprio ricevendo i giornalisti stranieri, ai quali ha riaffermato con forza l'intransigenza francese, ma inutilmente nei giornall polacchi si sarebbe cercata la eco di quelle dichiarazioni, alle qual! invece fa riscontro la riserva del rappresentante polacco alla riunione del "Bureau" a Ginevra, la quale è stata molto giustamente segnalata da Soragna come l'ammissione in principio di un certo riarmo della Germania.

Questa diversità di vedute fra i due alleati, in merito al riarmo tedesco è più che significativa. Essa è la riprova che l'alleanza si è venuta svuotando di una parte molto importante del suo contenuto e nel momento in cui a Parigi si cercano garanzie nuove da aggiungere alle vecchie, una tale constatazione definisce meglio di ogni altra cosa lo stato di fatto... ».

Prego la S.V. di voler attirare l'attenzione di codesto presidente del Consiglio sul predetto articolo, in relazione alle sue disposizioni verso la Jugoslavia manifestate durante la sua recente visita a Roma (l).

(l) Di tale rapporto si pubblica solo il seguente passo:

159

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1600/025 R. Budapest, 28 aprile 1934 (per. il 2 maggio).

Mie Stefani nn. 4020, 4023, 4040 e 4041 (2).

l. Dopo due giorni di permanenza a Budapest -occupati più dai festeggiamenti che dai colloqui politici e commerciali -il presidente del Consiglio bulgaro è ripartito questa notte per Sofia via Belgrado.

Le accoglienze fattegli dagli ambienti ufficiali e dalla stampa sono state solenni e molto calorose; cordiali quelle della popolazione e del parlamento. In tutte si è affermata, con eguale decisione, la nota revisionista, che per calcolo di governanti e per sentimento di popolo doveva costituire il motivo dominante delle manifestazioni. Tale nota, sia pure in tono minore e societario, ha pervaso anche, del resto, i discorsi e le dichiarazioni del signor Muscianoff.

2. Da quanto mi risulta finora le conversazioni di ieri -le quali pare abbiano avuto piuttosto il carattere di amichevole giro dell'orizzonte politico che di trattazione a fondo di questioni particolari -sembra abbiano confermato ancora una volta questo Governo nel convincimento che quello di Sofia non modificherà nelle questioni fondamentali il suo atteggiamento di riserva e di attesa, che qui si ritiene corrispondere, nell'attuale situazione, oltreché agli interessi bulgari anche a quelli magiari.

Budapest continua ad avere fiducia in Sofia; stima che Sofia promette poco, ma mantiene; si rende conto, inoltre, delle ragioni che consigliano oggi a Sofia la prudenza. Se qualche differenza di vedute c'è, questa dovrebbe vertere piuttosto sulla gradazione di tale prudenza, che Budapest sembra non vorrebbe fosse tale da impedire ogni collaborazione attiva anche se cauta tra i due Paesi di fronte alla Piccola Intesa e nel comune interesse della revisione dei trattati.

Per quanto concerne gli accordi tripartiti di Roma il signor Muscianoff avrebbe qui riferito essergli stato detto costà che per esaminare le possibilità di una qualche partecipazione od accessione della Bulgaria occorreva attendere fossero definitivamente conclusi i negoziati economici attualmente in corso tra i tre Stati firmatari. L'interesse, per quanto vivo, ùa lui manifestato a Budapest per tutti i particolari degli accordi stessi e del pensiero ungherese in proposito non avrebbe d'altra parte dato qui l'impressione ch'egli consideri in maniera concreta e come prossima l'eventualità di una tale partecipazione.

3. Circa infine le relazioni commerciali bulgaro-ungheresi, è stato deciso di convocare nuovamente, quanto prima, la commissione mista ad hoc, istituita l'anno

scorso dopo il viaggio del Generale Gombos e del signor Kànya in Bulgaria e che ha avuto recentemente a Sofia le sue prime riunioni.

Nel corso di queste sembra si sia già delineata la possibilità di un accordo, basato sugli scambi bilanciati Cl: l). Data la situazione valutaria nei due paesi, il volume delle esportazioni ungheresi -quasi esclusivamente di prodotti industriali -sarebbe praticamente determinato dalle possibilità di assorbimento del tabacco bulgaro -le altre voci sono pressoché trascurabili -da parte dell'Ungheria.

L'incremento dei traffici che qui se ne spera sarebbe circa un terzo in confronto alla situazione attuale, che è di 2.60 contro 1.50 milioni di .pengo a favore della Bulgaria.

4. Nella breve conversazione che ho avuto con lui in questa presidenza del Consiglio il signor Muscianoff, dopo aver rilevato l'alta soddisfazione procuratagli dal recente incontro con V. E., mi ha pregato di voler far pervenire all'E. V. la rinnovata espressione della sua più viva gratitudine per le cordiali accoglienze ricevute a Roma (1).

(l) -Per la risposta cfr. n. 177. (2) -Non pubblicate.
160

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 1603/082 R. Vienna, 28 aprile 1934 (per. il 2 maggio).

Il discorso pronunciato avant'ieri da Starhemberg in una solenne adunata heimwehrista, ha avuto come tema principale il Deutschtum, la missione dell'Austria nel bacino danubiano, e la capacità dell'Austria a servire la causa del germanesimo, più e meglio di quanto in oggi non si comprenda a Berlino.

Dall'altra parte Steidle, che ha pure pronunziato un discorso, ha evitato accenni polemici nei riguardi della Germania.

Queste due osservazioni, che hanno trattenuto la mia attenzione, hanno ricevuto un adeguato commento in accenni fattimi, in una conversazione strettamente confidenziale, da un mio conoscente, di parte heimwehrista, che anche nel passato mi ha dato prova di essere bene al corrente di speciali e segrete direzioni di detto movimento.

Gli accenni fattimi possono così riassumersi: l) Fey fa calcoli errati. Egli crede che, mettendosi alla opposizione, potrà contare sui «nazionali». In tal caso egli potrebbe trovare di essere stato preceduto da Starhemberg.

2) Starhemberg non si lascerà sfuggire l'occasione che gli è porta dal nuovo ordinamento austriaco, e specialmente dal fronte patriottico che, sotto

la sua sorveglianza segnerà effettivamente la fine dei partiti e sovratutto di quello cristiano-sociale, tanto malvisto dai nazisti.

3) Starhemberg tenterà difatti un componimento con i nazi, i quali al postutto provengono dalle Heimwehren dissidenti, specie della Stiria, dai pangermanisti ed in minima parte dagli agrari.

4) Tuttavia Starhemberg sa bene che suoi accordi diretti con i predetti elementi sono possibili solo se questi ultimi ricevano da Berlino una precisa autorizzazione a trattare con lui; ed egli infatti si rende perfettamente conto che colà travasi la chiave di volta.

5) Starhemberg sa pure che un accordo con la Germania è possibile per l'Austria solo nel caso in cui questa resti stretta all'Italia, giacché da sola essa non dovrebbe che rassegnarsi a subire la legge di Berlino.

Per megl:io controllare le .informazioni del mio interlocutore, gli ho chiesto se gli fosse pervenuta la voce delrarrivo a Vienna di tre emissari nazisti, allo scopo di provocare incidenti pel l o maggio. Il mio interlocutore ha risposto di non saper nulla in proposito, che tuttavia egli credeva di poter escludere in modo assoluto l'ipotesi accennata, la sua fondata convinzione essendo quella di una prossima distensione dei rapporti con la Germania.

Vedrò posdomani Starhemberg, in occasione delle feste alla centuria dei motociclisti bolognesi. Mi affretterò a riferire a V.E. quanto eventualmente egli mi dirà al riguardo.

(l) Con successivo t. per corriere 1648/4287/029 R. del 2 maggio, non pubbllcato, Colonna riferì che Gi.imbi.is si era dichiarato soddisfatto dei risultati della visita di Muscianov e che «quello che più lo rallegrava era l'impressione che il presidente del Consig!lo bulgaro si fosse ormai persuaso della necessità di una collaborazione politica più attiva con l'Ungheria».

161

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

T. 1571/190 R. Addis Abeba, 29 aprile 1934, ore 16 (per. ore 17,15).

Suo telegramma n. 92 (l). Mi sono espresso col ministro degli affari esteri secondo le istruzioni della

E. V. richiamando sua attenzione su atteggiamento degiac Gabre Mariam e sulla sconvenienza del suo gesto di affidare quel comando militare a un nostro fuoruscito e malfattore.

Gli ho detto che Governo della Somalia aveva dovuto prendere necessarie misure aggiungendo che ogni responsabilità per eventuali incidenti sarebbe caduta su Governo etiopico.

Avendomi Blattenghetà Herui chiesto precisargli zona e se essa fosse in territorio italiano ho eluso questione evitamdo nominargli Uarder e Ual-Ual, dicendogli che pur senza conoscere precisi obiettivi :>pedizione, dovevo mettere seriamente in guardia Governo etiopico.

Blattenghetà Herui mi ha risposto assicurandomi che « mai degiac Gabre Mariam avrebbe pensato condurre operazioni in nostro territorio. Che ave una spedizione ci fosse, questa si svolgerebbe in territorio etiopico.

Che in questo caso confidava che nostre popolazioni eventualmente resldenti in territorio etiopico, non avrebbero provocato incidenti. Comunque si è riservato chiedere informazioni al degiac Gabre Mariam.

(l) Cfr. n. 131.

162

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, E A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 542/c. R. Roma, 29 aprile 1934, ore 23.

(Per Washington, Bruxelles, Mosca, Varsavia, Madrid, Ankara, Vienna, Budapest, Bucarest, Praga, Belgrado).

Ho telegrafato alle RR. ambasciate a Londra, Parigi e Berlino quanto segue:

(Per tutti) On. Suvich di ritorno da Parigi, Londra, Bruxelles mi ha riferito l'impressione che non si veda la possibilità di riprendere le trattative fra le Potenze maggiormente interessate nella questione del disarmo, prima della riunione della commissione generale in Ginevra prevista per il 29 maggio p.v.

Di fronte a tale situazione, l'Italia intende naturalmente astenersi dal prendere iniziative di qualsiasi genere.

Mi limito ad osservare che, se la questione sarà portata alla commissione generale nello stato attuale di impreparazione e di mancata intesa fra le grandi Potenze, l'unico risultato pratico che si potrebbe attendere dalla riunione sarebbe la liquidazione definitiva della conferenza del disarmo con tutte le gravi conseguenze, cognite ed incognite, che ne deriverebbero.

Nella migliore delle ipotesi e senza dimenticare il fatto che la Germania non partecipa alla riunione la commissione generale dovrà ancora una volta rinunciare a trovare una via di uscita accettabile per tutti visto che i divari che non si sono potuti comporre in sede di conversazioni diplomatiche non potranno che operare di nuovo e ancora più gravemente nella pubblica seduta e paralizzarla. In tal guisa, la conferenza e la Società delle Nazioni ne uscirebbero menomate di nuovo nel prestigio e con un rinnovato suggello di impotenza mentre il tempo trascorso non avrà fatto nulla per avvicinare una soluzione accettabile anzi avrà potuto creare, come è avvenuto per il passato, nuove difficoltà per una eventuale ripresa delle conversazioni, interrotte proprio ora quando già sembrava disegnarsi la possibilità di un accordo su una base non molto dissimile da quello che è il memorandum italiano.

Mi basta che codesto Governo conosca questa mia semplice considerazione

ed autorizzo perciò V. E. a dare, se del caso, lettura integrale del presente tele

gramma.

163

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERi, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI IN CINA, BOSCARELLI, E A TOKIO, AURITI

T. 543/c. R. Roma, 29 aprile 1934, ore 24.

(Solo per Shanghai e Tokio) -Ho telegrafato alle principali R. rappresentanze quanto segue:

(Per tutti) -Ho trasmesso all'E. V. le notizie pervenutemi da Tokio, da Shanghai e da altre rappresentanze sul comunicato giapponese relativo alla sua politica in Estremo Oriente. Comunicato nonostante buoni rapporti con Governo di Tokio e desiderio di mantenerli non può non preoccupare seriamente R. Governo. Nessuna comunicazione è stata fatta dal Giappone all'Italia ma a giudicare da quello che è di pubblica ragione suo atteggiamento costituirebbe nuova e più esplicita affermazione della tendenza del Giappone di ostacolare attività delle altre Potenze in Cina e la loro libera collaborazione col Governo cinese che finora ha dato alla Cina vantaggi apprezzabili. Comunicato contrasta anzi pienamente col contenuto del trattato di Washington del 1922 delle nove Potenze e la politica che preconizza porterebbe di fatto ad instaurare il controllo del Giappone sulla Cina. Ciò che sarebbe in violazione della sua sovranità e in opposizione ai diritti degli altri Stati. Esso rappresenterebbe pertanto non una garanzia di pace e una ragione di progresso, ma un motivo di malintesi e di complicazioni internazionali con evidenti ripercussioni sulla politica generale nei suoi vari aspetti e problemi. R. Governo nelrinteresse della tranquillità e dell'opera di ricostruzione sia in Asia che di riflesso in Europa, si augura che Giappone possa indursi ad una più equa valutazione della situazione rendendosi conto che l'attuale suo atteggiamento dovrà necessariamente portare a delle legittime reazioni che conviene evitare nell'interesse di tutti e del Giappone stesso.

Quanto precede per sua norma nei contatti che conviene che in proposito ella continui a tenere con codesto Governo, informandomi. (Solo per Shanghai) -Prego V. S. trasmettere R. ambasciata Tokio, cui è anche diretto, presente telegramma col n. 543/C.

164

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 544/41 R. Roma, 29 aprile 1934, ore 23.

Suo telegramma n. 63 del 10 corrente (1).

v. E. può fare sapere che Italia contrariamente a quanto è stato diffuso non ha intenzione di prendere iniziativa unione potenze europee occidentali contro

Giappone per questione espansione commerciale giapponese. Può del pari smentire, ove V. E. lo ritenga opportuno, voci relative mie conversazioni Londra per chiedere solidarietà Inghilterra contro concessioni cotoni ai giapponesi, in Abissinia. Di ciò neanche fatto cenno Londra. D'altra· parte converrà, presentandosene l'opportunità, chiarire che non riconosciamo fondatezza recenti dichiarazioni giapponesi relative Cina e che ci riserviamo continuare con Cina tutte quelle forme di collaborazione che non siano contrarie ai trattati a cui siamo legati.

Aggiungo per sua norma che ci riserviamo di decidere se partecipare e quale forma eventuale azione altre potenze quando questo apparisse necessario nell'interesse nostra libertà movimento in Cina.

(l) T. 1338/63 R., non pubblicato.

165

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1674/747. Mosca, 29 aprile 1934 (per. il 3 maggio).

Conversando ultimamente con Litvinov prima e con Karakhan dopo, ho riportato incidentalmente il discorso sulla Turchia. Ho intanto constatato che essi erano perfettamente al corrente delle rimostranze fatte a Vassif bey da S.E. Suvich (1).

Ho domandato ad entrambi cosa pensassero della visita Jeftic ad Ankara. Entrambi mi hanno assicurato che nulla di nuovo e di concreto era stato concluso.

Alla mia osservazione che, specialmente da parte turca, mi sembrava· che nei brindisi e nelle dichiarazioni di circostanza si fosse, non ostante il carattere notoriamente negativo del patto, cercato invece di sottolinearne il carattere positivo, dlpingencl,olo come punto di partenza e strumento di tutta una nuova politica balcanica di cui la Turchia intendeva esser parte piena ed attiva, mentre da una parte Litvinov osservava con aria di persona che sa che «se non fosse stato per l'URSS Tewfik Ruschdi bey si sarebbe certo spinto ancora di più su questa via», dall'altra Karakhan rilevava che in quelle dichiarazioni bisognava far molta parte alle caratteristiche personali e eiaculatorie di Tewfik Ruschdi bey. Karakhan aggiungeva di non prevedere sviluppi immediati e positivi del patto. Anche in vista dell'atteggiamento greco non riteneva che gli interessati potessero facilmente venire a clausole militari.

Nell'occasione, ho avuto da Karakhan conferma precisa dell'impegno assunto dalla Turchia vis à vis dell'URSS e di cui Tewfik Ruschdi bey ha ottenuto che i Ministri degli Esteri degli altri paesi partecipi al patto gli dessero atto per iscritto. La cosa può quindi ormai passare nella categoria dei fatti definitivamente acquisiti.

Sempre sullo stesso soggetto, parlando col Ministro di Grecia, apprendevo che la cortesia a suo tempo usata da Re Alessandro a Re Boris accompagnan

dosi a Lui per un tratto del suo percorso ferroviario, fu oggetto di vivissime rimostranze da parte di Titulesco, che arrivò a definirla contraria allo spirito del patto balcanico.

Sempre dalla stessa fonte, mi è stato assicurato che Tewfik Ruschdi bey avrebbe, per quanto verbalmente, dato a suo tempo a noi assicurazioni analoghe a quelle date per iscritto all'URSS. Ove la circostanza fosse esatta pregherei, per mia norma, di favorirmene cortese conferma (1).

(l) Cfr. n. 78.

166

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI

T. 546/148 R. Roma, 30 aprile 1934, ore 24.

Primo segretario legazione Cina ha informato -dicendo che la sua comunicazione era confidenziale -che secondo un telegramma diretto dal Governo di Nanchino al suo rappresentante a Ginevra (e da quest'ultimo trasmesso alla legazione cinese in Roma)' Governo cinese intende continuare collaborare col R. Governo nonostante atteggiamento giapponese. Trattasi evidentemente di comunicazione fatta anche agli altri Governi.

Prego comunicare Tokio.

167

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 30 aprile 1934.

L'Ambasciatore de Chambrun è venuto a chiedermi informazioni sulla mia

conversazione col signor Doumergue (2) e sugli incontri di Londra e di Bru

xelles.

Gli ho detto che il signor Doumergue è stato con me particolarmente cortese ma che dovevo confessargli che non ero riuscito a rendermi conto quale fosse attualmente la politica francese.

Secondo l'impressione che abbiamo qui a Roma la via scelta dalla Francia

non può portare ad alcuna soluzione della questione del disarmo: non si vede

la possibilità di raggiungere un accordo a tre per poi imporlo alla Germania, e d'altra parte se la questione dovesse esser trattata in pieno a Ginevra, ciò non potrebbe che rappresentare la liquidazione definitiva del disarmo.

Do' qualche informazione all'Ambasciatore sui punti di vista di Londra e di Bruxelles ove ho avuto confermata l'impressione che la recente nota francese abbia portato la questione del disarmo ad un punto morto senza che per ora si possa vedere una via d'uscita.

L'ambasciatore mi dice che il suo Governo, raccogliendo l'osservazione fatta dal Capo del Governo nel recente discorso all'assemblea quinquennale del partito (l), è deciso a fare delle proposte concrete per risolvere con l'Italia i noti punti rimasti in sospeso fra i due Paesi.

Il suo Governo chiede in via preliminare se il Governo italiano sarebbe disposto a mantenere il punto di vista che aveva manifestato nel 1927, quello cioè che i punti oggetto degli accordi dovessero inquadrarsi in un trattato di amicizia tra i due Paesi.

Rispondo all'ambasciatore che mi riservavo di riferire la sua domanda al Capo del Governo e dargli poi una risposta; osservavo però a titolo personale che la soluzione dei punti in questione non mi pareva rappresentare una questione sufficientemente impOl tante per giustificare un trattato di amicizia (l'ambasciatore -non so se per pura svista -aveva accennato soltanto alle questioni relative agli italiani di Tunisi e ai confini della Tripolitania).

L'ambasciatore mi dice poi voler accennarmi ad una sua idea a titolo puramente personale e confidenziale. Egli pensa che potrebbe essere della più grande utilità se il signor Barthou venisse in Italia per incontrarsi col Capo del Governo. È persuaso che le questioni pendenti troverebbero una rapidissima soluzione e anche di vasta portata.

Mi chiede la mia impressione al riguardo e mi assicura che il suo Governo non gli ha fatto nessun accenno ad una tale eventualità. Rispondo all'ambasciatore che una visita del signor Barthou sarebbe stata indubbiamente gradita; che però bisogna scegliere il momento buono.

Oggi la questione che domina il mondo politico e che desta le maggiori preoccupazioni è quella del disarmo. Nel momento attuale siamo nei riguardi di tale questione in alto mare. Se ne parlerà certamente a Ginevra alla fine del mese e non escludo che in quella occasione i punti di vista francese cd italiano possE~~no divergere. Se l'incontro a cui egli accenna dovesse aver luogo

prima ci troveremmo nella situazione che sulla questione del disarmo per l'incertezza della situazione non sarà possibile prendere alcun accordo e che a poca distanza potremmo trovarci di fronte ad una divergenza di idee fra i due Governi neutralizzando gli effetti benefici dell'incontro.

L'ambasciatore sembra persuaso di queste ragioni.

II signor Chambrun mi parla infine dell'incontro di Milano tra il Ministro Lamoureux e il Sottosegretario Asquini dicendosi molto soddisfatto dei risultati raggiunti.

(l) -suvlch rispose con telespr. 215735/69 del 16 maggio: «Con riferimento al rapporto1674/747 del 29 aprile u.s. Informo che la Turchia ad eccezione d! alcun! chiarimenti tutto affatto generici dati dal signor Rustl bey al R. Ministri ad Atene e Belgrado e più particolarmente al R. Ambasciatore In Ankara non cl ha dato nessun affidamento più concreto del gl'nere d! quelli dati alla Russia». (2) -Cfr. n. 133.

(l) Cfr. n. l, nota l.

168

IL MAGGIORE RENZETTI A ... (l)

L. P. Roma, 30 aprile 1934.

Nel recente colloquio ho dimenticato di segnalare di aver conferito con diversi tedeschi a proposito dell'articolo Busch e di aver loro mostrato la risposta invia tagli.

Mi perviene ora l'accluso Ring, nel quale von Gleichen, suo direttore e direttore del Deutsch Club, prende posizione sia pure cauta in quanto teme le ire degli accesi nazi. Il Gleichen con alcuni suoi amici (nel Club vanno Rohne, Goring, Himmler ed altri) si è posto a mia disposizione per l'azione di chiarimento da compiere.

Segnalo altresì che Rohne nel suo discorso tenuto di fronte alla stampa e ai diplomatici esteri il giorno del mio colloquio con Hitler in seguito ad ordine di questi, citò ad esempio l'Italia fascista.

Il Kronprinz, che non nasconde ad alcuno la sua profonda ammirazione e simpatia per l'Italia fascista e per il Duce, resterà qui fino al 7 corrente. Egli desidererebbe ossequiare, come ha fatto ogni anno, il Duce.

È un elemento del quale occorre tener conto in Germania.

169

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO Roma, ... (l) aprile 1934.

Il signor Akyama, Segretario dell'Ambasciata del Giappone, chiamato a prestar servizio a Tokio, venuto in visita di congedo a questo Ministero, parlando del Manciukuò, ha detto quanto si riassume qui appresso:

l) II Governo giapponese non insisterà, nel prossimo futuro, per il riconoscimento del Manciukuò;

2) Il Governo giapponese intende effettivamente mantenere il principio della «porta aperta » nel Manciukuò;

3) II Governo giapponese non può, da solo, far tutto nel Manciukuò e perciò favorisce l'attività economica che stranieri vanno svolgendo nel Manciukuò, tale attività essendo vantaggiosa all'incremento del paese;

4) In particolare il Governo giapponese, vedrebbe con favore l'attività di industriali e commercianti italiani nel Manciukuò; sarebbe però consigliabile di affrettarsi, in modo da giungere mentre il Giappone ha ancora bisogno della

17 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

collaborazione degli stranieri nel Manciukuò e prima che altri paesi -la Germania è specialmente attiva -vi abbiano anch'essi messo radici nel campo economico.

Per quanto riguarda il collocamento di prodotti commerciali, il signor Akyama ritiene che si potrebbe addivenire ad un accordo tra gruppi commerciali italiani e giapponesi.

Per quanto riguarda altre attività che italiani potrebbero esplicare .in Manciuria il signor Akyama ha accennato alla costruzione di strade.

5) L'attività economica italiana potrebbe svolgersi nel Manciukuò senza toccare questioni politiche; peraltro una più larga rappresentanza consolare italiana nel Manciukuò sarebbe utile anche se i R. R. Consoli dovessero continuare a limitarsi ad avere con le autorità mancesi soltanto rapporti di fatto.

Alla richiesta se poteva ritenersi che quanto egli aveva esposto corrispondesse al pensiero del suo Ambasciatore, il signor Akyama ha risposto affermativamente, anzi ha aggiunto che quanto egli aveva detto, rifletteva, in generale, le tendenze del Governo di Tolda.

In relazione a quanto precede, la Direzione Generale per gli Affari Politici -Ufficio IV -osserva:

l) La regione mancese è notoriamente fertile e ricca: infatti l'immigrazione dalle altre provincie cinesi vi è stata, negli anni recenti, continua e crescente.

2) È da ritenere che, sotto l'influer..za giapponese, la Manciuria sarà messa in valore e si svilupperà più rapidamente di quanto non sia avvenuto finora.

3) È probabile che, in un primo tempo, il Giappone farà effettivamente mantenere il principio della «porta aperta » in Manciuria, sia per ragioni economiche in quanto il compito della messa in valore del paese è troppo vasto perché il Giappone possa adempiervi da solo, sia per ragioni politiche, in quanto conviene al Giappone adoperarsi per calmare la reazione che ha suscitato l'occupazione della Manciuria. Peraltro è anche probabile che, in un secondo tempo, quando il Giappone fosse riuscito a ordinare e sviluppare la Manciuria, si ostacoli more solito l'attività degli stranieri.

4) Notizie pervenute da varie fonti (R. R. Ambasciate in Tokio, Parigi e Berlino) indicano un notevole interessamento di gruppi finanziari industriali e commerciali stranieri alle possibilità che sembrano offrirsi in Manciuria.

5) Dal punto di vista giuridico: Le raccomandazioni della Società delle Nazioni per il non riconoscimento del Manciukuò non impediscono che i cittadini degli Stati che le hanno accettate esplichino la loro attività nel Manciukuò, vi concludano contratti, accettino

incarichi ecc. 6) Dal punto di vista politico: Se è esatto quanto ha affermato il signor Akyama, è possibile che cittadini

ed enti italiani intraprendano attività in Manciuria, senza che l'Italia riconosca il Manciukuò e senza che essa addivenga ad intese di natura politica con il Giappone.

7) In particolare, dal punto di vista della politica italiana in Cina:

È da ritenere che un eventuale interessamento italiano in Manciuria, limitato al campo economico e senza che esso comporti alcuna intesa politica, non sia per influire sfavorevolmente sui cordiali rapporti esistenti con il Governo cinese: del resto, come lo stesso Ministro di Cina presso la Real Corte ha affermato a questo Ministero, anche i cinesi continuano a lavorare in Manciuria ed il Governo di Nanchino tratta con il Governo mancese per regolare con esso i rapporti esistenti di fatto.

Data l'importanza della Manciuria, dato che risulta possibile interessarvisi senza venir meno ad alcun impegno internazionale e dato che sembra possibile lavorarvi senza mutare atteggiamento politico, la Direzione Generale per gli Affari Politici -Ufficio IV -è d'avviso che convenga porre il problema della Manciuria, prima alle RR. Rappresentanze a Tokio e a Shanghai e poi, eventualmente, ai RR. Ministeri tecnici, senJ:a peraltro deflettere dalla direttiva fondamentale della nostra politica in Estremo Oriente, che tende prima di tutto a continuare l'affermazione dell'Italia in Cina.

Certo non v'è chi non veda quale ostacolo rappresenti la concorrenza giapponese; ma se lo studio diretto del problema dimostrasse che, ciononostante, possibilità concrete si offrono all'attività italiana in Manciuria e che noi potremmo avvantaggiarcene continuando a mantenere i cordiali rapporti esistenti col Governo cinese, sembrerebbe opportuno segnalare tali possibilità all'iniziativa privata, facilitandola.

Per il caso che V. E. ritenesse opportuno interpellare la R. Ambasciata in Tokio e la R. Legazione in Shanghai, la Direzione Generale per gli Affari Politici -Ufficio IV -ha redatto l'unito progetto di telegramma (1).

(l) -Da ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzettl. Il dest!nat,ario non è indicato; si tratta probabilmente di Ciano. (2) -Il giorno non è indicato.
170

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1624/037 R. Belgrado, 1° maggio 1934 (per. il 3).

Informazioni confidenziali avute ieri sera affermerebbero che fra Jeftic e Tevfik Ruschdi bey, parlando largamente della situazione balcanica, si sarebbe

Ambasciata Giappone ha ufficiosamente segnalato a questo Ministero possibilità generiche che si offrirebbero alla attività italiana in Manciuria aggiungendo che sarebbe possibile esplicare tale attività senza che si addivenga né a riconoscimento Manciukuò né ad alcun

accordo di natura politica.Gradirei conoscere se V. E. (V. S.) è dello stesso avviso e, in caso affermativo, se Ella vede delle possibilità concrete e se esse siano tali da meritare uno studio diretto.

Pregola anche riferire sulle Rappresentanze Consolari in Manciuria indicando loro grado, organizzazione, località nelle quali si trovano nonché loro rapporti di diritto e di fatto con Autorità mancesi.

Nell'esaminare possibilità attività italiane in Manciuria V. E. (V. S.) vorrà tener presente che è intendimento R. Governo continuare nei cordiali rapporti esistenti col Governo cinese. Il presente telegramma è diretto anche R. ambasciata Tokio cui prego comunicarlo

col. n .... >>. Su di esso è stata apposta la seguente annotazione: «All'Ufficio Cifra non risulta spedito

17.9.34 XII».

concluso che nell'imminente incontro con Muscianoff, Jeftic accetterà la conclusione del patto di non aggressione proposto dalla Bulgaria.

La firma di tale patto dovrebbe però aver luogo solo contemporaneamente a quella di analogo patto bulgaro-rumeno o bulgaro-greco, e non prima.

Ciò. avrebbe Io scopo, dichiarato dai due interlocutori, di evitare un doppio giuoco bulgaro, ma nel pensiero turco, interprete anche del greco e rumeno, vi sarebbe il fine di impedire che la firma di un patto di non aggressione fra Jugoslavia e Bulgaria senza la contemporaneità di conclusione degli altri due, permetta a questi due Stati balcanici di assumere una posizione di preminenza sugli altri, infirmando definitivamente il valore antijugoslavo del patto balcanico.

E' poi noto a V. E. da altre mie comunicazioni, che si trova qui il signor Berati, segretario generale del ministero degli affari esteri a Tirana, venuto per la conclusione dell'accordo di zone di frontiera, e per il perfezionamento degli accordi commerciali. Mi si afferma che da Subotic (v. direttore affari politici) gli è stata tenuta parola di un patto di non aggressione con la Jugoslavia e con gli altri Stati balcanici su una base similare a quella proposta dalla Bulgaria.

Do' queste notizie con ogni possibile riserva, per quanto la fonte sia delle migliori.

(l) Il progetto di telegramma era il seguente: «Riservato.

171

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1641/083 R. Vienna, 1° maggio 1934 (per. il 5).

Mio telegramma per corriere n. 081 (1).

Starhemberg mi ha stamane annunziato la sua nomina a vice cancelliere e la decisione del cancelliere di trattenere Fey nel ministero con la carica di ministro della sicurezza. Ha aggiunto con vivacità che a questa carica era stata però sottratta la competenza sullo Schutzkorps, passata al vice cancellierato, e quindi a lui medesimo, che avrebbe avuto in tal modo la giurisdizione su tutti i corpi militarizzati -allo stato di pace -e su essi medesimi, quando fossero chiamati in servizio ausiliario di polizia, come Schutzkorps.

Per quanto poi concerneva il controllo sulla stampa, il cancelliere ed egli stesso avevano convenuto di sottrarlo al ministro della pubblica sicurezza, e passarlo alle dipendenze della cancelleria.

Fey aveva accettato tutto questo, ma con l'intesa che le predette due sottrazioni alla sua competenza avrebbero dovuto restare segrete, e quindi aver luogo con semplici provvedimenti di natura amministrativa. II che è stato fatto, come risulta dall'annunzio ufficiale sulla nomina dello Starhemberg a vicecancelliere.

(l) T. per corriere r. 1602/081 R. del 30 aprile, non pubblicato, con il quale Preziosi riferiva che, secondo buona fonte heimwehrista, Starhemberg aveva prospettato a Dollfuss l'opportunità di allontanare Fey dal ministero nell'intento di assumerne la successione.

172

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1° maggio 1934.

Colloquio con Vassif bey.

L'ultima volta che intrattenni Vassif bey sull'attuale fase dei rapporti italaturchi (1), egli mi promise di farmi avere presto una risposta chiarificatrice dopo aver consultato il suo Governo. Questa mattina è venuto a confermarmi che il Governo turco intende anch'esso mantenere la sua politica sulle lineè concordate a Milano. Ha voluto fissare i punti della sua dichiarazione nel promemoria che accludo.

Dato che Vassif bey partirà giovedì per Ankara gli ho chiesto di adoperarsi personalmente presso il Gazi -presso la cui persona si trova la chiave di tutte le suscettibilità turche degli ultimi tempi -per condurre a termine l'opera di chiarificazione dei rapporti itala-turchi iniziata a Roma tra noi.

Ha accettato e m'ha chiesto di pregare V. E. di concedergli prima della partenza l'onore di un'udienza per portare personalmente la sua alta parola al Capo dello Stato turco (2).

ALLEGATO

V ASSIF BEY A ALOISI

PROMEMORIA.

Les déclarations que vous avez bien voulu me faire au cours de notre demier entretien et les sentiments d'amitié qui les ont inspirés ont été accueillis avec satisfaction par mon Gouvernement. Nous désirons également rester très amis avec l'Italie en donnant un terme à tous les malentendus. Le pacte Balkanique est pour nous une question et une politique de paix et de sécurité. Toute . complication qui surviendrait dans les Balkans est de nature à porter atteinte tant à la sécurité qu'à la tranquillité de notre pays. Nous sommes attachés fidèlement aux engagements contractuels existant entre nos deux pays et nous n'avons en aucun moment pensé à agir con tre la sécurité et les intérets de l'!,talie aussi bien dans l' Adriatique que partout ailleurs. Nous attendons donc, tout naturellement, que le Gouvernement Italien soit amicalement disposé à notre égard dans la question de la sécurité de mon pays dans les Balkans, question d'une 1mportance vitale pour nous. D'ailleurs, il n'y a rien qui soit dirigé contre l'Italie ni dans le pacte Balkanique ni dans la politique qui a présidé à sa conclusion.

Dissiper les malentendus, poursuivre toujours la politique de Milan et faire une politique de loyale amitié répondent également à notre sincère désir. Nous voulons pratiquer dans la Méditerranée orientale une politique de bonne entente entre l'Italie, la Grèce et la Turquie, politique basée sur le respect réciproque des sensibilités.

Lors des négociations qui ont précédé la conclusion du pacte Balkanique les Etats qui en font partie acceptèrent sans discussion la demande formulée par Tevfik Rlil,itti Bey tendant à tenir compte du Traité d'Alliance existant entre l'Italie et l'Albanie.

(l) -Cfr. n. 135. (2) -Annotazione a margine di Mussolinl: «No».
173

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, A ... (l)

L. P. Praga, 1° maggio 1934.

Nel pregarti di ringraziare a mio nome S. E. Suvich per la benevola accoglienza che volle riservare alla mia lettera del 10 aprile (2) concernente i viaggi del Marchese Theodoli a Praga, ti comunico copia di un telespresso dal quale risulta confermato come il mio punto di vista fosse ben fondato. Ti sarò grato se vorrai mostrarlo a S. E. il Sottogretario di Stato, coi miei deferenti ossequi.

ALLEGATO

ROCCO A MUSSOLINI

TELESPR. 804/573. · Praga, Jo maggio 1934.

Fra i varii commenti e le illazioni cui ha dato luogo la visita del Signor Barthou a Praga, segnalo voci di una sua prossima visita a Roma.

Sono anche tornate in circolazione le solite voci di visita di Benes a Roma. Saint Erice, nel Journal dopo aver parlato di conversazioni già aperte dalla Cecoslovacchia con l'Austria e con la Ungheria, elice: «Mais voici qui est bien plus important. M. Benes n'écarte pas l'ldèe d'un voyage à Rome, don t on a souvent parlé; mais il pense que ce voyage ne aevra se produire que quand les circonstances seront favorables. Le fruit n'est pas mo.r ». (Journal del 27 Aprile).

Al riguardo segnato ancne la corrisoondenza dell'inviato speciale dell'Oeuvre, Geneviève Tabouis, la quale asstcura che «dans le cabinet de M. Benes on parla de l'Italie et du voyage que M. Benes doit faire prochainement à Rome. Un rapprochement notable entre la Tchécoslovaauie et l'Italie sera l'un des résultats les plus intéressants de ce voyage. M. Théodoli. émissaire de Mussolini, n'était-il pas encore à Prague avant-hier? » (L"Oeuvre del 27 aprile). Come V. E. sa il Marchese Theodoli, invece, dopo la sua visita del marzo non è tornato a Praga.

174

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 556 R. Roma, 2 maggio 1934, ore 18.

Mio telegramma n. 542 del 29 aprile (3).

Dopo le conversazioni passate a Parigi, Londra e Bruxelles fra l'on. Suvich e gli uomini di quei Governi, nonché in base alle impressioni ed alle notizie di varie fonti, non ultime quelle di Berlino, ritengo che si possa definire con qualche sicurezza l'attitudine francese, rivelata dalla nota del 19 corrente (4) sul disarmo, come un ripiegamento tattico su posizioni ben definite e tali da potere

diventare una base inequivocabile di partenza per gli sviluppi ulteriori della situazione. Queste posizioni sono:

l. -L'affermazione netta che il riarmo tedesco è una illegalità e che esso va, quale si siano per essere le future decisioni, considerato anzi tutto sotto questo punto di vista pregiudiziale.

2. --Che questa illegalità costituisce un pericolo, sia in quanto è violazione unilaterale di trattati in pieno vigore, sia in quanto che costituisce una minaccia positiva alla sicurezza della Francia. 3. --Che la preoccupazione della sicurezza della Francia passa in primo piano, prima ancora di esaminare se esistano garanzie sufficienti a rendere possibile, dopo un simile flagrante esempio di inadempienza, una convenzione che legalizzi il riarmo tedesco. 4. --Che il ritorno «previo » della Germania nella S.d.N. potrebbe costituire un certo passo verso una maggiore fiducia nella possibilità di una convenzione, ma che la negativa del Reich impedisce l'avverarsi di questa pregiudiziale indispensabile. 5. --Che l'iniziativa unilaterale del riarmo tedesco, essendo stata bruscamente pubblicata nella cifra del nuovo budget, conduce per forza al fallimento dei negoziati di cui esso riarmo era l'oggetto. 6. --Che spetta alla commissione generale della conferenza del disarmo di riprendere la propria opera.

V. E. avrà dunque già constatato che questo complesso di affermazioni non costituisce affatto un programma positivo e che, in un certo senso, non si può neppure affermare che esso si presenti come organico nelle sue parti. Basta considerare che, dopo l'aspra denuncia del riarmo tedesco illegale, non è detto positivamente che esso non possa essere legalizzato e che la conferenza del disarmo od altro ente non ne abbia la capacità. Il punto 3) sembra anzi adombrarne la possibilità dopo calmate le preoccupazioni nella sicurezza francese, preoccupazioni, si noti, indipendenti e preliminari anche all'elaborazione di un sistema di garanzie. L'incatenamento dei periodi potrebbe poi indicare che questo affidamento preliminare dovrebbe essere il ritorno della Germania nella S.d.N. antecedentemente ad ogni ripresa di trattative: condizione però già notoriamente dalla Germania considerata inaccettabile.

Così stando le cose, è, ripeto, evidente che la nota del 19 aprile costituisce essenzialmente un terreno di manovra sgombrato con cura da quelle nebbie, da quelle compromissioni iniziali, con lè quali, secondo il Governo nazionale francese, le iniziative britanniche ed italiane e le conversazioni condotte dal precedente gabinetto avevano alquanto ottenebrati i chiari termini del problema e che esso comporta sviluppi molto vari e molto diversi, sia per il fondo che per i dettagli.

Può darsi, anzi è probabile, che i compilatori della nota abbiano avuto soprattutto in vista questo scopo e siano quindi corsi intanto al più pressante, senza avere chiaramente e definitivamente deliberato sullo sviluppo ulteriore da dare

alla loro politica; attendendo anzt, per deciderlo, di conoscere le reazioni e le intenzioni delle Potenze principalmente interessate e l'atteggiamento e le modalità e la portata del concorso degli alleati e dei clienti.

Parmi tuttavia indubitato che certe decisioni, almeno di massima, debbano ora cominciare a concretarsi. Quale è la tattica verso cui si sta polarizzando la corrente risultante dalle tendenze diverse del Gabinetto?

Questo è il problema ed è problema per noi di interesse eminente, perché il conoscerne od il presumerne a tempo il contenuto ci darà modo di affrontare, preparati, situazioni che, se la corrente prendesse certe determinate e precise direzioni, possono crearci una posizione eventualmente assai delicata.

Pur prevedendo che la prossima riunione del Consiglio a Ginevra possa dare luogo a chiarimenti, prego V. E. di volere seguire e sondare attentamente a Parigi, al Quai d'Orsay, e nei circoli politici e presso le personalità nostre amiche, il corso delle idee e delle deliberazioni; ed informarmene tenendo presente che ci importa di sapere, evitando al possibile però quanto possa portare con sé anche indirettamente, qualche compromissione nei programmi che ci venissero comunque manifestati.

(l) -Il destinatario non è indicato. Si tratta, con ogni probabilità, di Aloisl. (2) -Cfr. n. 84. (3) -Cfr. n. 162. (4) -Sic, ma la nota era del 17 aprile.
175

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 1642/084 R. Vienna, 2 maggio 1934 (per. il 5).

In relazione alle informazioni fornite col mio telegramma per corriere n. 082 (l) riferisco che Starhemberg, a mie opportune indagini, ha stasera precisato:

1l che egli travasi in rapporto in Berlino con esponenti tedeschi nazisti;

2) che a dette personalità ha creduto dover rappresentare che ogni approccio austro-tedesco non possa utilmente prodursi senza anche l'adesione e la partecipazione di Dollfuss;

3) che Hitler si è già mostrato consenziente e che pertanto è probabile che abbiano fra breve luogo gli approcci in parola.

A miei generici scandagli sull'essenza e sui limiti della base su cui dovrebbe convenirsi l'eventuale accordo il nuovo vice-cancelliere non mi ha dato una risposta precisa. Tuttavia, nella conversazione, ho notato com'egli abbia sempre insistito sull'efficace organizzazione che proponesi dare al fronte patriottico nella sua nuova veste di ente giuridico (principalmente la formazione d'un nucleo centrale e chiuso, da essere fornito esclusivamente dalle Heimwehren e dai più sicuri e fedeli elementi dolfussiani; nonché la nomina di suoi fedeli e provati seguaci nei posti principali e d'azione di esso fronte); e ciò quasi per farmi intendere che il fronte patriottico dovrebbe essere e permanere una

essenziale garanzia contro le eventuali intemperanze naziste, ad accordo austrotedesco compiuto.

Da parte mia, pur mantenendomi del tutto riservato, ho creduto utile indagare sull'attività che è stata attribuita al Fey, più di un mese fa, nei riguardi del nazismo tedesco (mio telespresso riservato n. 676 del 29 marzo) (1).

Così ho chiesto allo Starhemberg se quanto egli aveva accennato dovesse intendersi come uno svolgimento delle iniziative attribuite al suo predecessore Fey. Egli mi ha immediatamente risposto che il Fey non aveva trattato a Berlino ma bensì qui a Vienna con agenti a lui noti; e che di ciò egli avrebbe avuto fra breve prove sicure. (Mi ha precisamente detto: " fra giorni miei amici di Berlino saranno in grado di darmi la copia dell'accordo abbozzato dal Fey con note persone qui dimoranti"). Starhemberg mi ha inoltre detto:

l) che Berlino ha fatto sapere ai nazisti austriaci del suo desiderio che le celebrazioni viennesi del 1° maggio non venissero in alcun modo turbate. Che pertanto gli incidenti verificatisi sporadicamente sono da attribuirsi non ai capi, ma esclusivamente ai gregari più faziosi, che spontaneamente si alleano con gli elementi più estremisti;

2) che egli è contrario acché Steidle, nella sua veste di Commissario per la propaganda, proceda ad immediate ritorsioni oratorie ad ogni attacco delle radio tedesche; e ciò perché gli parrebbe opportuno dare a Berlino l'impressione che qui non si voglia né aggravare la situazione, né alimentarla all'infinito;

3) che egli non sapeva esattamente quanti nazisti sarebbero stati liberati dai campi di concentramento austriaci in questi giorni di festività; ad ogni modo non aveva sentito parlare della liberazione del noto capo Frauenfeld, che riteneva tuttora degente in un ospedale, a seguito dell'infermità contratta nel suo antico campo di concentramento; mio telespresso 768 del 7 aprile

u.s. (2).

(l) Cfr. n. 160.

176

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1644/098 R. Berlino, 2 maggio 1934 (per. il 5).

Negli ultimi giorni e dopo un periodo di silenzio si è notata nella stampa tedesca una ripresa di interessamento per la questione austriaca, ancorché essa non sia uscita dai limiti tracciati dall'ufficio stampa della cancelleria del Reich, secondo i quali i giornali tedeschi dovevano astenersi dal pubblicare articoli propri denigratori dell'Austria e limitarsi a dare pubblicità alle critiche desunte dalla stampa estera. E' pure annunciata una ripresa delle conferenze per radio sull'Austria che procurerò di fare ascoltare per rendermi conto del loro contenuto.

Ad una osservazione fatta nei giorni scorsi, conversando con un membro del partito nazional-socialista vicino a .Hitler, che mi sarebbe sembrato prudente che ci si astenesse in Germania da qualsiasi accenno atto a far rinascere una discussione sul problema austriaco, mi fu risposto che il cancelliere era convinto della necessità che non se ne parlasse più per molto tempo.

Devo però dire che l'atteggiamento della stampa non sembra confermare l'assicurazione suddetta.

L'ambasciatore di Francia, dal suo lato, mi ha detto testé che dalle sue informazioni si sarebbe alla vigilia di una ripresa assai attiva della propaganda anti-austriaca.

Segnalo infine a V. E. il fatto che in data odierna mi pervenne un invito stampato del seguente tenore: Der Bevollmachtigte der Landesleitung Oesterreich der N.S.D.A.P. Fritz Rigele und frau Olga Rigele geb. Goring bitten Sr. und Ihre Exzellenz Herrn und Frau Cerruti zum Tee am Donnerstag, 3. Mai um 5 Uhr. (Il plenipotenziario della direzione regionale austriaca del partito nazional-socialista tedesco e la signora Olga Rigele nata Goring pregano le LL.EE. il signore e la signora Cerruti di prendere una tazza di the da loro il giovedì, 3 maggio, alle ore 5). Il signor Rigele è uno dei due cognati austriaci del presidente del Consiglio p russi ano Goering; mi sembra sintomatico il fatto che produca pubblicamente la sua qualità di plenipotenziario suddetto e strano che mandi un simile invito proprio a me. Ciò potrebbe far supporre che il partito, se non il Governo del Reich, ammetta che l'Austria possa essere rappresentata a Berlino da due plenipotenziari, l'uno, il ministro Tauschitz, come esponente del Governo austriaco, l'altro, il signor Rigele, come esponente della frazione in lotta col cancelliere federale Dollfuss la quale aspira a rovesciarlo per prenderne il posto.

Ci sono già state situazioni anormali del genere ma peraltro sostanzialmente diverse, inquantoché è accaduto che Governi rovesciati o soppressi abbiano continuato per qualche tempo a tenere presso Governi simpatizzanti i propri antichi rappresentanti. Non ricordo però alcun caso in cui un partito avversario di un Governo abbia pensato ad accreditare pubblicamente in un altro paese, se non presso il Governo, almeno presso il partito che detiene il potere, un proprio plenipotenziario.

Sono anomalie che per essere di gusto tedesco e nazionalsocialista non sono meno strane e tali da poter essere considerate siccome offensive e provocatorie da parte del Governo austriaco.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Non pubblicato.
177

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1646/4274/027 R. Budapest, 2 maggio 1934 (per. il 5). Telegramma di V. E. n. 77 in data 28 aprile u.s. (l).

Ho portato stamane al presidente Gombos la corrispondenza del Voelkischer Beobachter indicatami da V. E. e che esso non conosceva.

La prima reazione è stata: «E' un articolo su ordinazione (bestellt), un

campione della grossolana diplomazia tedesca».

Avendo io quindi accennato alle disposizioni da lui manifestate in materia durante la sua recente visita a Roma, il presidente mi ha dichiarato che il punto di vista da lui confermato costà non era mutato; non soltanto nei riguardi dellà Cecoslovacchia e della Romania, ma anche in quelli della Jugoslavia un riconoscimento delle aspirazioni revisioniste magiare rimaneva premessa necessaria di accordi con l'Ungheria. Ha omesso in proposito di rammentare quanto pure detto il mese scorso a V. E. e cioè ritenere egli tuttavia meno difficile una intesa del suo paese con la Jugoslavia che non con gli altri due Stati del trinomio. Ha aggiunto invece, nel corso della conversazione, essere d'avviso che il recente riavvicinamento germanico-jugoslavo, oltre e più che una manovra contingente, potesse rappresentare o finire col rappresentare un mutamento durevole delle direttive reciproche dei due paesi in materia di politica danubiana.

Il presidente sembrava avere l'impressione che la Jugoslavia -a somiglianza, del resto, della Cecoslovacchia, la quale stata svolgendo a Berlino una attività che non mancava di infastidirlo -fosse in procinto di sottoporre, in genere, a nuovo accurato esame il suo orientamento. Non pareva il presidente escludesse che, in seguito a un tale riesame, il mutamento di direttive suaccennato potesse, nel caso di Belgrado, assumere prima o poi caratte<-e abbastanza profondo.

(l) Cfr. n. 158.

178

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 563/63 R. Roma, 3 maggio 1934, ore 15,30.

Seguito telegramma n. 59 (l). In relazione accenno fattole da Cadi Abdalla, sono state già impartite istruzioni acché R. nave dia fondo a Hodeida. Presenza R. nave potrebbe tuttavia non essere sufficiente mantenere ordine a Hodeida dove già si sono verificati saccheggi e che potrà fra breve essere investita da truppe saudiane o da ribelli. Comandante R. nave ha quindi istruzioni di provvedere alla tutela dei connazionali e loro interessi. Ove a tal uopo sia necessario potrà anche sbarcare provvisoriamente qualche reparto.

Comandante prima di dar fondo ancora a Hodeida domanderà conferma questo Ministero. Nel frattempo, ella trovi modo intrattenere su quanto precede personalmente Ymam o persona che possa avvicinarlo immediatamente e dia garanzia trasmettergli opportunamente presente comunicazione... ».

Lascio a V.S. di giudicare se informare di quanto precede l'Imam ed in quale misura. Nel farlo ella dovrebbe mettere in evidenza che, data anche la richiesta di mediazione fatta dall'Imam, eventuale nostro sbarco provvisorio, pur non potendo non mantenere ufficialmente carattere di protezione interessi italiani, non potrebbe non giovare Imam, dati rapporti che intercedono fra i due Governi e nostra linea di condotta favorevole inte~;rità Yemen che resta naturalmente immutata.

(l) Con t. precedenza assoluta 554/59 R. del 2 maggio suvich aveva comunicato a Dubbiosi: «Data situazione che si viene determinando nello Yemen, sembrerebbe opportuno che stazionario italiano si recasse a Hodeida...

179

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1639/197 R. Addis Abeba, 3 maggio 1934, ore 18 (per. ore 19,30 del 4).

Ho avuto finalmente lunga conversazione col Blata Herui sui rapporti italo-etiopici in genere. Forse impressionato dal mio recente atteggiamento reciso (miei telegrammi 191 e 192) (l) ha espresso il desiderio di avere con me una conversazione privata, senza interprete (alludendo con ciò d'ora innanzi escludere il segretario generale del ministero affari esteri, notoriamente a noi ostile che è sempre presente ai miei incontri col ministro affari esteri) e con l'aiuto quale interprete di suo figlio esprimendo desiderio «dissipare malintesi » con noi. Riferirò esito conversazione.

Intanto sarò ricevuto dall'Imperatore domani. Per l'andamento dei nostri rapporti generali, è desiderabile sgombrare sollecitamente terreno dalla questione radio, e pertanto mi permetto sollecitare risposta a mio telegramma

n. 180 (2).

180

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, DOLLFUSS

T. 564 R. Roma, 3 maggio 1934, ore 23.

Desidero esprimere a V. E. il mio compiacimento per la promulgazione della nuova costituzione e per le celebrazioni imponenti del primo maggio. Austria può ora -grazie alla tenacia, al sangue freddo e all'intelligenza dell'E.V. marciare decisamente sulla nuova strada. V. E. può contare sull'appoggio cordiale dell'Italia e sulla mia personale amicizia (3).

(l} T. 4366/191 P.R. e t. 4367/192 P.R. del Io maggio, non pubblicati: rifiuto del Governo etiopico di far rientrare a Gondar il console italiano accusato di aver fustigato un suddito etiopico.

«Oltremodo riconoscente all'E. V. delle gentilissime felicitazioni per promulgaz!one nuova costituzione mi affretto ringraz!arla con v!viss!ma gioia anche delle congratulazioni per la mia opera personale che mi sono andate dirette al cuore. L'Austria saprà apprezzare al suo giusto valore l'appoggio italiano ecJ io personalmente m! sento felice d! poter chiamarmi amico dell'E. V.».

(2) -T. 4198/180 P.R. del 26 aprile, non pubblicato. (3) -Minuta autografa di Mussolin!. Dollfuss rispose con un telegramma del 4 maggio, ore 20,35, quanto segue:
181

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL VICE CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, STARHEMBERG

T. 565 R. Roma, 3 maggio 1934, ore 24.

Nel momento in cui V. A. assume la direzione del vice cancellierato in Austria -carica che v. A. ha acquistato il diritto di coprire attraverso anni di lotta quale capo delle Heimwehren -desidero che le giunga l'espressione del mio compiacimento e i miei più amichevoli saluti. Sono certo che l'opera di V. A. consoliderà il nuovo Stato austriaco e ne fortificherà i legami coll'Italia fascista.

182

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1657/0100 R. Berlino, 3 maggio 1934 (per. iZ 6).

Telegramma di V. E. n. 542/C. (l).

Il barone von Neurath che ho intrattenuto stamane nel senso delle istruzioni impartitemi mi ha detto di avere ricevuto dall'ambasciatore von Hassell il resoconto di un colloquio da lui avuto con S. E. Suvich (2) che si era su per giù espresso negli stessi termini.

Il ministro degli affari esteri osservò in primo luogo che, poiché la Germania non partecipava più ai lavori della conferenza del disarmo il suo interesse alle sorti di quest'ultima non poteva certo essere molto grande. Riconobbe peraltro giuste le osservazioni dell'E.V. e si domandò a che cosa potesse giovare riunire il 29 corrente a Ginevra la conferenza del disarmo dato che non le sarebbe probabilmente rimasto altro compito che quello di constatare in un verbale il completo suo insuccesso. Ancorché al Reich data la sua situazione la cosa importasse poco

o punto egli riteneva, accademicamente, che sarebbe stato miglior partito quello di aggiornare la riunione della conferenza del disarmo sino all'autunno. Avrebbero potuto nel frattempo avvenire mutamenti in Francia e sopratutto il Governo francese avrebbe potuto avvedersi dell'errore di calcolo fatto ritenendo che il regime hitleriano avesse i mesi contati. Secondo le sue informazioni tale opinione assai diffusa in Francia avrebbe avuto infatti non poco peso nel determinare l'atteggiamento del Gabinetto Doumergue. La cosa non lo aveva stupito perché si stava ripetendo a undici anni di distanza lo stesso errore di valutazione commesso nei riguardi del fascismo.

Essendomi espresso nel senso del telegramma suddetto di V. E. anche con il plenipotenziario per il disarmo signor von Ribbentrop venuto a farmi una visita egli venne a dichiararmi innanzi tutto il gran conto che faceva dell'opinione dell'E. V. A suo modo di vedere fondato sopra constatazioni personalmente fatte a Parigi, l'atteggiamento assunto dal Governo non rispecchiava l'opinione

della stragrande maggioranza del popolo francese, che in questi ultimi tempi era andata evolvendo in favore del riconoscimento del buon diritto del Reich di riarmare. Egli osservò inoltre che l'ultimo documento francese non era una nota diretta alla Germania ma un semplice promemoria in cui si informava il Governo britannico del punto di vista francese, aderendo così ad una richiesta rivolta da Londra a Parigi. Il Governo del Reich non aveva quindi ragione d'impressionarsi eccessivamente per la ripulsa francese ad ammettere il riarmamento della Germania e doveva tenere viceversa conto del fatto importante che la Francia, in fine del suo promemoria, tende sempre ancora la mano alle varie Potenze esprimendo la speranza che si possa raggiungere un accordo.

Il signor von Ribbentrop, evidentemente molto lusingato della sua recente nomina, espresse la speranza che in un avvenire prossimo la necessità in cui si trova di tenere contatti con i vari paesi possa co1idurlo in Italia, dove ambirebbe ad avere l'onore di essere ricevuto dalla E. V. e di potersi intrattenere con lei del problema affidato alle sue particolari cure.

(l) -Cfr. n. 162. (2) -Non si è rinvenuto alcun documento relativo a questo colloquio.
183

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1658/0101 R. Berlino, 3 maggio 1934 (per. il 6).

Telegramma di V. E. n. 542/C. (l).

Ieri è venuto da me François-Poncet ed abbiamo discorso a lungo della questione del disarmo. Di fronte all'esposizione da me fattagli del modo di vedere di V. E. egli disse che ella dimostrava una volta di più di avere una visione esatta della realtà.

« La conclusione alla quale giunge il vostro Duce, ancorché non la esprima esplicitamente -aggiunse il mio collega francese -è quella che sarebbe preferibile non riunire la conferenza del disarmo fra quattro settimane, per impedire che essa sottoscriva il proprio atto di morte. Ho ragione di dubitare che il Governo francese creda che la situazione sia così tragica e questo non già perché io ritenga infondate le apprensioni del Duce ma perché egli giudica le cose con la mentalità dell'uomo politico sul quale fa sopratutto presa la realtà, mentre gli uomini di Stato che sono al potere in Francia sono imbevuti non di senso politico-realistico ma di senso giuridico.

Quale è la situazione per i signori di Parigi? La conferenza del disarmo è stata posta nell'impossibilità di funzionare oltre dato l'inconsulto ritiro della Germania. Dopo il 14 ottobre le Potenze principali credettero utile di procedere a scambi di vedute ai quali la Francia si ptestò costantemente con buona volontà per dimostrare le sue intenzioni sinceramente pacifiche. Tali scambi di idee contribuirono indubbiamente a sbarazzare il terreno da vari impedimenti e permisero di fare notevoli passi innanzi, senonché quando l'Inghilterra credette giunto il momento per essa di compiere l'ultimo passo, quello di accedere al pro

memoria italiano che riconosce l'impossibilità di disarmare nella situazione politica mondiale presente, volle assicurarsi l'adesione della Francia alla convenzione la cui redazione sembrava dovesse essere imminente. L'Inghilterra scordò però che la Francia, quali che possano essere le opinioni personali dei vari suoi ministri, stava sempre ancora sulla piattaforma della conferenza del disarmo e, dal punto di vista giuridico, considerava che qualsiasi eventuale trattativa doveva necessariamente avere luogo a Ginevra, in seno alla conferenza e sulla base del disarmo delle Potenze armate e non già su quella del riarmamento della Germania.

Il vostro Duce ha saltato di piè pari il fosso e, da uomo pratico si è detto: vediamo di impedire che ci mettiamo sulla strada pericolosa della corsa agli armamenti; facciamo dunque una conferenza per il riarmamento limitato e circondiamo la convenzione delle necessar.ie garanzie per assicurarne l'esecuzione.

Come volete però che degli uomini politici come quelli che fanno parte del Gabinetto Doumergue, sei dei quali sono stati presidenti del consiglio ed hanno legato il loro nome alla storia politica francese degli ultimi trent'anni, possano essere disposti a sconvolgere quanto hanno contribuito a creare e sopratutto avere l'energia di mutare, senza esservi costretti, la base della discussione alla conferenza del cosidetto disarmo?

Non intendo dire con ciò che essi rimarranno sempre irremovibili nel loro atteggiamento. Credo anzi che se a Ginevra, dopo che i delegati francesi avranno fatto conoscere con larga messe di argomenti giuridici la inconfutabilità delle buone ragioni addotte, i delegati delle Potenze principali e quelli degli Stati minori adducessero argomenti contrari e se la stragrande maggioranza constatasse, sia pure cospargendo di lacrime la tomba del disarmo, che non vi è altro mezzo, in un mondo cosi discorde, per impedire la -corsa al riarmamento che di concludere una convenzione limitante gli armamenti di tutti quanti gli Stati, la Francia potrà finire per consentire a ritenere fallite le trattative per il disarmo e prenderà in considerazione la nuova piattaforma della limitazione degli armamenti .

Mi sembra che sarebbe utile che il Capo del Governo italiano fosse edotto di questo stato d'animo del Governo francese, perché egli, nella sua perspicacia e nella esatta valutazione della psicologia politica dei popoli e dei loro governanti, saprà probabilmente trarne delle conseguenze che potranno riuscire assai utili alla causa della pace».

Ho cercato di riprodurre fedelmente il pensiero del mio collega FrançoisPoncet. Riferisco anche le obbiezioni mossegli e le risposte ricevute perché esse completano il suo pensiero.

La prima mia abbiezione fu quella che si poteva dubitare che il Governo francese modificasse il proprio punto di vista sino al punto di ammettere che la Germania, la quale si era ritirata clamoro'samente da Ginevra il 14 ottobre, finisse ugualmente in un modo o nell'altro per avere ragione. La seconda quella che si poteva ritenere che la Francia avrebbe messo in gioco tutta la sua influenza per impedire che a Ginevra si formasse un fronte unico favorevole ad una convenzione di riarmamento limitato.

François-Poncet, pur esprimendosi con molta circospezione ed in modo da non compromettere né il proprio Governo né la propria persona, mi lasciò intendere che a suo avviso né l'una né l'altra cosa si sarebbe verificata perché il Governo francese, dopo di avere, per ragioni giuridiche, assunto il noto suo atteggiamento, deve ora, per ragioni politiche, auspicare che si trovi un modo per uscire dalla situazione presente in modo soddisfacente. In altre parole, più semplici, mi parve di avere compreso il pensiero del mio collega francese così: se la Francia, che non poteva sino al momento presente agire diversamente senza venire meno alla propria tradizione politica dalla guerra vittoriosa in poi, avesse voluto perseverare anche in avvenire nella negazione del diritto della Germania di riarmare, essa avrebbe potuto trovarsi nella situazione critica di dovere ricorrere -per evidenti ragioni di prestigio -a sanzioni o comunque a passi che avrebbero posto anche le altre Potenze in una situazione assai imbarazzante. Era pertanto nel suo interesse di aderire ad una formula la quale, pur riconoscendo fondato il suo atteggiamento sino al giorno d'oggi, le permettesse di battere per l'avvenire altre vie più conformi alla realtà. Così il suo prestigio sarebbe salvo, l'inevitabile (cioè il riarmamento della Germania) avverrebbe in base ad un accordo internazionale e non sarebbe nemmeno escluso che potesse avvenire con partecipazione della Germania a Ginevra. Questa infatti si è ritirata da una «conferenza del disarmo~ che non prometteva di giungere ad alcun risultato, ma potrebbe forse lasciarsi indurre ad aderire ad una «conferenza per il riarmamento limitato e concordato~. totalmente diversa negli scopi dalla prima, sopratutto quando la sua adesione fosse richiesta a lavoro preparatorio della convenzione terminato.

(l) Cfr. n. 162..

184

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 4 maggio 1934.

Sir Eric Drummond è venuto a chiedermi informazioni sul viaggio di Lon-· dra. Anche lui ha l'impressione che in questo momento non ci sia nulla da fare. Da una conversazione avuta con Lugosianu, che ha a sua volta parlato con Titulescu, egli ha appreso che i francesi tentano di fare un'azione di forza sulla Germania per poi ottenere un accordo su una base di armamenti un po' inferiore a quella proposta da Hitler.

Ho osservato all'Ambasciatore che probabilmente queste sono delle illazioni di Titulescu ma non credo che i francesi abbiano un piano. concreto nel senso sopra indicato.

Drummond ritiene che tuttavia bisogna fare uno sforzo a Ginevra per indurre i francesi a riprendere le trattative.

Mi parla ancora delle preoccupazioni del suo Governo per la posizione che la Germania sta prendendo in Jugoslavia, dove invece si vorrebbe che si affermasse l'Italia.

Gli parlo poi io della situazione determinatasi nell'Arabia e gli dico dei provvedimenti presi a tutela della vita e degli averi dei cittadini italiani che si trovano sul posto. Gli parlo anche della possibilità di uno sbarco.

L'Ambasciatore mi dice che gli inglesi non intendono sbarcare perché considerano questa una misura molto grave da prendersi soltanto in caso di estrema necessità. Si limiteranno per ora ad un'azione aerea nell'intento di tenere a bada i nuclei di ribelli e di predoni che potrebbero tentare il saccheggio di Hodeida e di altre località.

Per quanto riguarda un'eventuale azione su Ibn Saud il Governo inglese che ha sempre agito in senso moderatore ritiene che per un ulteriore intervento sia necessario scegliere il momento opportuno altrimenti gli sforzi per ristabilire la pace sarebbero sprecati, con maggiore difficoltà di rinnovarli nel momento in cui potrebbero essere più efficaci.

185

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1673/272 R. Shanghai, 5 maggio 1934, ore 10 (per. ore 23,30).

Cha.ng Kai-Schek mi ha incaricato espressamente di far conoscere a V. E. quanto egli abbia apprezzato suo atteggiamento e sue parole e suoi scritti riferentisi situazione Estremo Oriente. Egli mi ha detto quasi testualmente:

«In tutte le questioni mondiali nessuna parola giunge oggi più opportuna, più decisiva e più coraggiosa di quella di Mussolini. Anche nella recente crisi cino-giapponese provocata da dichiarazioni Giappone del 17 aprile nessuna parola è venuta né da Gran Bretagna né da America che sia stata così decisiva come quella precedentemente detta da Mussolini. Eppure Inghilterra e America hanno in Cina interessi materiali forse più importanti di quelli italiani. Parole di Mussolini invece si ispirano sempre a alti principi di morale e giustizia internazionale. Tutto il popolo cinese ha compreso questa grande differenza; né esso né io la dimenticheremo. Vi prego di comunicare da parte mia a Mussolini questi mie dichiarazioni». Ha aggiunto poi: «Quantunque non conosca personalmente Mussolini ho impressione di comprendere suo pensiero e sua azione e cerco di inspirarmi a suo esempio. Come egli ha voluto che Italia in Europa non fosse seconda a nessuna Potenza cosi vorrei che avvenisse in Asia della Cina e a ciò rivolgo tutta la mia azione di Governo».

Ho risposto a Chang Kai-Schek ringraziando e dicendogli quanto come ministro d'Italia in Cina ero lieto di constatare questa consonanza di idee e di direttive che avrebbero certamente facilitato collaborazione fra i due paesi.

Prendendo le mosse da quanto egli mi ha detto circa sua soddisfazione opera colonnello Lodi e nostra missione aeronautica gli ho detto che ero disposto a discutere con lui qualsiasi altra forma di collaborazione pratica e esaminare qualsiasi progetto positivo che egli volesse formulare e che ero sicuro che v. E. avrebbe preso in seria considerazione ogni proposta di colla·· borazione italiana cinese. Egli mi ha ringraziato e mi ha chiesto di restare ancora un giorno presso di lui per discutere altre questioni aeronautica.

18 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

186

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 573/ 66 R. Roma, 5 maggio 1934, ore 12.

Seguito telegramma n. 63 (1). In considerazione aggravarsi situazione nel bassopiano R. Governo ha deciso, anche per assicurare mantenimento contatti via terra con V. S. e con codesto Governo, di inviare una R. nave anche nel porto di Moka.

V. S., tenendo presenti istruzioni impartitele nel telegramma sopracitato potrà darne opportuna notizia all'Imam confermandogli nostro atteggiamento amichevole nei suoi riguardi e assicurandolo che nostra azione, determinata dalle presenti circostanze, ha carattere provvisorio e si svolge iii applicazione nostre costanti direttive che tendono mantenere immutata integrità territorio Yemen.

187

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1645/191 R. Parigi, 5 maggio 1934, ore 13 (per. ore 15,30).

Segretario generale degli affari esteri mi ha parlato ieri del disarmo ribattendo i concetti della nota all'Inghilterra del 17 aprile. Ha detto di temere che in alcuni paesi si intrattenga l'illusione d'indurre la Francia a recedere dalla posizione presa.

Questo non avverrà.

Il Governo francese si è posto sulla linea dei trattati che sanciscono la graduale riduzione degli armamenti degli Stati non disarmati fermo restando il disarmo degli altri. Segretario generale degli affari esteri dice di relildersi conto della difficoltà estrema di raggiungere un accordo su queste basi, ma stima che la sicurezza della Francia esige la maggiore vigilanza.

Germania arma senza ritegno.

Essa costruisce motori per aeronautica a un ritmo accelerato; le autorità

militari francesi credono che in caso di conflitto l'aviazione avrà una impor

tanza primordiale e sarà l'arma che riserverà le maggiori sorprese.

L'Inghilterra si rende con~o di questo ed ha in corso di esecuzione un

programma di costruzioni aeronautiche finanziate da un bilancio clandestino

di otto milioni di sterline.

Léger mi ha garantito l'esattezza dell'informazione.

La fiducia nella lealtà della Germania non ha avuto mai, secondo il segre

tario generale degli affari esteri, numerosi partigiani in Francia.

Questo sentimento si è generalizzato negli ultimi tempi ed è ormai convinzione della massa che il Governo tedesco prepari la guerra.

Senza entrare in discussione ho osservato a proposito dell'affermata unanimità di consensi, sembrava ormai accertato che il Gabinetto non era stato in un primo tempo concorde riguardo alla nota del 17 aprile e che la tesi della limitazione degli armamenti in relazione ad un controllato parziale riarmamento della Germania, aveva trovato autorevoli sostenitori nel seno del Governo.

Léger ha dichiarato che tale soluzione è incompatibile con la sicurezza della Francia. Egli mi ha citato a questo riguardo una osservazione del presidente del consiglio.

Doumergue avrebbe dichiarato «che i paesi che hanno abbandonato la Società delle Nazioni sono sospetti,, citando Giappone Germania.

Segretario generale degli affari esteri ha soggiunto che il rilievo dell'uomo politico alla cui saggezza il popolo francese si affidava completamente, riassume l'unanime sentimento del paese.

Ho osservato a mia volta che per quanto si trattasse di avvenimento di non probabile realizzazione nella presente contingenza, mi sembrava poter dedurre da quello che Léger mi aveva detto che il ritorno della Germania a Ginevra costituiva il perno della questione.

Segretario generale degli affari esteri lo ha ammesso senza reticenze.

(Segue col numero successivo) (1).

(l) Ctr. n. 178.

188

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1682/199 R. Addis Abeba, 5 maggio 1934, ore 18 (per. ore 0,15 del 7).

Mio telegramma n. 197 (2).

Ho avuto lunga conversazione con l'Imperatore circa questione Di Lauro.

Pur essendo egli rientrato in territorio etiopico col visto dell'incaricato d'affari a Roma Imperatore ha sulle prime insistito perché, dato suo atteggiamento verso un suddito « etiopico , egli non dovesse raggiungere. Gondar. Ho replicato coi noti argomenti. Imperatore ha allora proposto che Di Lauro venisse a patto però questione fosse qui risolta.

Ho rifiutato insistendo che nostro funzionario dovesse in ogni modo raggiungere il suo posto. Dopo lunga discussione Imperatore ha acconsentito. Mi ha però pregato di voler trasmettere al mio Governo il suo desiderio

che Di Lauro sia sostituito entro breve termine. In tal caso Governo etiopico ritirerà sua nota.

Non ho creduto rifiutarmi a trasmettere questo suo desiderio, !imitandomi a dire farò presente ciò al R. Governo. Confermo pienamente tutte le considerazioni che ho fatto nei miei telegrammi precedenti e non vedo quindi che due soluzioni:

l) Rispondere a Governo etiopico che non esiste nessuna ragione per allontanamento Di Lauro, e che quindi R. Governo non ha ragioni di prendere provvedimenti nei suoi riguardi.

In questo caso evidentemente situazione tornerà allo stato acuto di prima, poiché prevedo che Governo etiopico farebbe subito nuove difficoltà a Di Lauro, salvo noi prendere poi le misure già prospettate, con tutte le conseguenze segnalate.

2) Accedere al punto di vista del Governo etiopico, al tempo stesso, seguendo lo stesso metodo, esprimere il desiderio che, basandosi sulle note pubblicazioni italofobe, sia allontanato contemporaneamente Tedla Haile da Asmara; soluzione che potrebbe forse indurre etiopici modificare loro atteggiamento.

Sono in attesa urgenti istruzioni (l).

(l) -Cfr. n. 189. (2) -Cfr. n. 179.
189

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1666/192 R. Parigi, 5 maggio 1934, ore 18,10 (per. ore 20).

Dall'insieme della conversazione ho impressione che il segretario generale degli affari esteri ed il suo ministro non considerino problemi del disarmo sotto la stessa luce. Léger rappresenta piuttosto la tendenza Tardieu-Herriot, che ha trionfato grazie all'appoggio di Doumergue e che sembra avere in questo momento una prevalenza incontrastata.

Ieri sera ho avuto l'opportunità di intrattenermi col presidente della repubblica che mi aveva invitato nel suo palco a teatro. Contrariamente alla sua abitudine il signor Lebrun ha ricercato questa volta la conversazione politica.

Si è parlato a lungo con calma del disarmo.

Non ho nascosto al presidente le apprensioni nostre che sono condivise da

tutti i paesi che hanno il senso della delicatezza della situazione internazionale determinata dalla nota del 17 aprile. Il presidente ha riassunto il suo pensiero nella frase che riferisco testualmente:

« Que voulez vous: contròle, garanties, nous n'y croyons plus! $.

Il signor Lebrun non pensa che Hitler prepari intenzionalmente la guerra.

Egli crede alla sincerità delle dichiarazioni pacifiche del Fuehrer il quale difatti ha bisogno della pace per consolidare il regime.

" Sta di fatto però, ha soggiunto il presidente, che la Germania procede ormai palesemente ad un sostanziale riarmamento e che se Hitler vuole la pace non può dirsi altrettanto delle persone che lo [circondano] ".

Vedrò prossimamente il ministro degli affari esteri.

(l) Cfr. n. 202.

190

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1716/086 R. Vienna, 5 maggio 1934 (per. il 7).

Assumendo un tono del tutto confidenziale, questo mio collega di Germania, signor Rieth, mi ha parlato ieri della situazione austro-tedesca. In succinto, egli ha accennato a due principali sue preoccupazioni:

l) che la divergenza austro-tedesca, col suo «inaspettato) prolungarsi, possa aver ripercussioni sui rapporti itala-tedeschi, creando reazioni e risentimenti (come egli lo aveva notato di recente a Berlino, nonché nel linguaggio delle due stampe) pregiudizievoli entrambi per quelle questioni «di tanto più vitali ed essenziali dell'austriaca» che Italia e Germania potrebbero vantaggiosamente affrontare e risolvere d'accordo sul terreno europeo;

2) che un equivoco si era formato intorno all'Austria, giacché l'Anschluss

come lo aveva dichiarato Hitler fin dall'inizio del movimento nazionalsocialista tedesco -non è un problema attuale, e giacché la questione dell'Austria riveste interamente un carattere internazionale, di talché il mezzo più opportuno per la soluzione del problema austro-tedesco a lui pareva sempre più esser quello d'una diretta intesa fra Berlino e Roma.

Il mio collega ha poi insistito sul punto che egli rivolge tutta la sua attività per una distensione nei rapporti austro-tedeschi; cosicché mentre egli si adopererebbe qui perché non si aggravi la situazione, non tralascerebbe d'altra parte di dare a Berlino opportuni consigli di moderazione.

Da parte mia ho mantenuto un contegno riservato e generico, osservando che la situazione dell'Austria è ormai cosi chiara e definita, che le cause di frizioni austro-tedesche si sarebbero di certo composte, anche in considerazione della volontà e dell'impegno che egli praticava, come mi aveva confidato, nella sua missione.

Senonchè, dall'insieme delle parole e dell'atteggiamento del mio collega, ho tratto l'impressione:

1) che il signor Rieth paventa in realtà che la politica austriaca, nella necessità di provvedere nel miglior modo all'indipendenza del paese ed al consolidamento del nuovo ordine di cose possa finire col cadere in orientamenti internazionali non rispondenti agli interessi tedeschi;

2) che la nuova costituzione austriaca è un conseguimento di carattere e di portata non prevista dal Reich; e che lo spettacolo cosi degno dato dal popolo viennese in occasione del primo maggio abbia fatto sentire al signor Rieth la rapida trasformazione operatasi nell'atmosfera politica viennese, specie in confronto di quella prevalente l'anno scorso, alla medesima epoca.

191

... (l) AL MINISTRO A PRAGA, ROCCO

L. P. Roma, 5 maggio 1934.

In relazione alla tua gradita lettera in data del 1° maggio (2), mi affretto ad assicurarti che è stato tenuto buon conto del tuo punto di vista e che quindi per il momento è da escludersi un viaggio del Marchese Theodoli a Praga.

192

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. R. 576/114 R. Roma, 6 maggio 1934, ore 16,45.

Con telegramma 2 corrente diretto Roma, Londra, Mosca, Bagdad, l'Aja, l'Imam chiede mediazione degli Stati amici fra lui stesso e Ibn Saud.

Se da parte di codesto Governo si intendesse di intervenire presso due belligeranti, Governo italiano -preoccupato che situazione continui peggiorare -sarebbe disposto intervenire pure d'accordo con Governo britannico.

Prego comunicare confidenzialmente quanto precede codesto Governo telegrafandomene avviso. Nel fare questa comunicazione R. Governo intende regolarsi in conformità spirito conversazioni di Roma del 1927.

Per sua norma personale aggiungo che intendiamo con questa comunicazione evitare che Governo britannico, anche in questo particolare aspetto della quistione, prenda iniziativa per proprio conto e magari contro nostri interessi.

193

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI (3)

T. U. 579/47 R. Roma, 7 maggio 1934, ore 18.

Tenendo presenti considerazioni contenute nel telegramma di V. E. n. 69 (4) circa recente comunicato giapponese nonchè nostro modo di vedere in pro

(-4) Cfr. n. 124.

posito indicato nei telegrammi di questo ministero n. 543/C. e n. 41 (1), pregola chiedere chiarimenti codesto Governo telegrafandomi, anche perchè ne abbia norma nell'informare la stampa.

Nonostante conversazione che V. E. ha già avuto con codesto vice ministro degli affari esteri, nostra richiesta chiarimenti con relativa pubblicità appaiono espedienti, specialmente dopo richieste analoghe altre Potenze, per evitare che si diffonda opinione pubblica falsa impressione che R. Governo accetti punto di vista giapponese e che di tale falsa impressione abbiano a risentire sia iniziative italiane in Cina sia di fronte altri Stati situazione del

R. Governo in eventuale scambio di vedute fra firmatari trattato Washington nove Potenze in base articolo sette trattato stesso.

(l) -La lettera è priva di tlrma, ma l'autore è con ogni probab111tà Aloisl. (2) -Cfr. n. 173. (3) -Il telegramma venne trasmesso tramite la legazione In Cina.
194

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLJNI

T. PER CORRIERE 1715/085 R. Vienna, 7 maggio 1934 (per. il 9).

Onoromi di segnalare all'E. V. che in questi ambienti è dato il più grande risalto ai telegrammi che da Sua Santità e dal cardinale Pacelli sono stati rispettivamente inviati -in occasione dell'entrata in vigore del concordato, contemporanea, come è noto. alla pubblicazione della costituzione -al presidente federale ed al cancelliere, e dei quali onoromi, ad ogni buon fine, trasmettere copia con rapporto a parte.

Con l'occasione permettomi di tornare a rilevare quanto sempre maggiore sia l'influenza che l'ide~ cattolica sta esercitando su questa popolazione e quanto sempre più sensibile sia il peso che essa sta assumendo nei rispetti dei criteri informatori cui l'azione di rinnovamento e di ricostruzione governativa si ispira. Ciò, al punto di costituir~ ormai un rilevante e duraturo ostacolo nei rispetti di una piena comprensione e di un possibile livellamento tra questo popolo e quello del Reich.

195

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 maggio 1934.

Colloquio con l'ambasciatore di Francia.

Mi ha pregato di essere messo al corrente dello. stato attuale delle trattative per la Sarre. Gli ho detto, a titolo confidenziale, che avevamo iniziato trattative con Berlino e l'ho pregato di farmi sapere possibilmente prima della mia prossima partenza per Ginevra, l'opinione del Governo francese al riguardo.

Mi ha chiesto poi del disarmo. Gli ho detto che la nostra linea di condotta era ben nota, dato che noi rimaniamo ben fermi sulla linea di condotta tracciata da V. E. nel memorandum italiano, non riteniamo di dover prendere alcuna iniziativa in occasione della prossima sessione. Riguardo alla quale ho aggiunto poi, a titolo personale, che mi sembrava pericoloso presentarsi il 29 a Ginevra a discutere del disarmo senza avere iniziata alcuna discussione in vista di un accordo preventivo. E' chiaro che l'accordo deve esserci prima della riunione per evitare che possa poi mancare dopo di essa. E ciò, indipendE-ntemente dalla considerazione che anche un eventuale accordo raggiunto in sede ginevrina e in assenza della Germania potrebbe apparire a questa come una imposizione, il che l'Italia desidera evitare.

Concluàendo, gli ho detto di ritenere che bisognasse quindi o rinviare la Conferenza o affrettare trattative preliminari che permettano di presentarsi alla Conferenza con un accordo di massima già raggiunto fra le parti. Ho aggiunto che la prossima sessione del Consiglio potrebbe essere la sede adatta a conversazioni del genere.

Ha condiviso questa opinione e mi ha detto che ne avrebbe telegrafato al suo Governo.

(l) Cfr. nn. 163 e 164.

196

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1697/341 R. Londra, 8 maggio 1934, ore 0,07 (per. ore 6,45).

Telegramma di V. E. n. 114 (1). Questo Governo ha ricevuto da parte Imam telegramma analogo a quello diretto a Roma.

Ho detto al Foreign Office che se Governo britannico credesse intervenire presso due belligeranti, anche il Governo italiano, in conformità spirito delle conversazioni di Roma del 1927, sa"ebbe disposto ad agire, d'accordo, nello stesso senso.

Capo dipartimento competente, dopo aver premesso che Imam si è lasciato troppe volte sfuggire anche recentissimamente occasione per una pace onorevole, ha aggiunto essere sua opinione che non (dico non) sia questo, quando la guerra tra i due paesi è ancora nel suo pieno sviluppo, il momento migliore per iniziare con speranza di successo una azione mediatrice.

Il Governo britannico ha cercato sempre di dare, tanto a Ibn Saud quanto

all'Imam, nel corso della lunga controversia, consigli di moderazione e di pace

ed è con ambedue, dopo la conclusione del recente accordo anglo-yemenita, in

buoni rapporti.

Foreign Office si è per ora limitato chiedere Ibn Saud, tramite ministro di

Inghilterra Gedda, quale carattere egli intendesse dare alle operazioni militari,

se di campagna a fondo o di semplice spedizione punitiva e, conseguentemente

con obbiettivi limitati. Non ha ancora ricevuto risposta in proposito.

Possibilità prospettata da V. E. nel telegramma n. 114 sarà ad ogni modo attentamente esaminata da Simon, che ha voluto ieri essere dall'ufficio competente minutamente informato della situazione in Arabia.

Mi è stato aggiunto che resistenza dell'Imam è stata, anche per questo Governo, inaspettatamente debole e fiacca. E' mia impressione che Foreign Office, almeno per ora, non si proponga di aderire a richiesta di mediazione mantenendo atteggiamento neutrale.

(l) Cfr. n. 192.

197

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AI MINISTRI A VIENNA, PREZIOSI, E A BUDAPEST, COLONNA

T. PER CORRIERE RR. P. 583 R. Roma, 8 maggio 1934, ore 11.

Comunichi nella forma più riservata al (per Vienna) cancelliere (per Budapest) presidente GtimbOs per sua esclusiva notizia quanto segue:

Papen durante recente visita a Roma (l) ha nuovamente prospettato opportunità e desiderio mio incontro con cancelliere Hitler. Secondo idea cancelliere incontro dovrebbe avere un carattere occasionale e non ufficiale ed avvenire, quindi, fuori Roma, salvo eventualmente in un secondo momento stabilire incontro ufficiale a Roma.

Ho risposto che non avevo difficoltà, purché la visita fosse bene preparata, data le vaste ripercussioni che essa avrebbe sulla opinione pubblica mondiale.

Nelle mie intenzioni fa parte di tale preparazione anche dichiarazione indipendenza austriaca che dovrebbe essere stabilita preventivamente nei suoi termini precisi.

Era intenzione primo momento fissare detto convegno per prima decade maggio. Successivamente, dato che preparazione non appariva sufficiente ed anche per ripresa agitazione nazismo in Austria, ho desiderato rinvio.

Si parla ora di seconda metà giugno. Terrò informato il (per Vienna) cancelliere (per Budapest) presidente Gombos successive fasi della questione.

198

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1707/41 R. Gedda, 8 maggio 1934, ore 19 (per. ore 23).

Fuad Hamza ha chiesto di vedermi ed ho avuto stamane un lungo colloquio con lui; mi ha fatto seguente dichiarazione con preghiera trasmetterla a V.E.

«Il Governo di Ibn Saud ringrazia il Governo italiano per il contegno amichevole e neutrale avuto durante conflitto attuale.

Ibn Saud, dopo aver cercato i mezzi per evitare la guerra, è stato spinto a dichiararla dal contegno sleale dell'Imam Yahia. Il Re Wahabita sarà obbligato a continuare la guerra fino a che l'Imam non eseguirà tre note condizioni già accettate (1).

Il Governo di Ibn Saud desidera conoscere il punto di vista dell'Italia amica in merito al conflitto attuale e gradirebbe avere qualche consiglio utile circa la continuazione delle ostilità in caso che l'Imam Yahia persistesse nella sua condotta».

A mio avviso situazione giunta ora nella sua fase acuta. Il Governo di Ibn Saud dopo l'occupazione di Hodeida trovasi in un momento di grave incertezza e perplessità, ignorando le intenzioni dell'Imam Yahia di cui non ha notizie.

Questo Governo non si rallegra delle sue vittorie ma guarda con preoccupazione lo sviluppo del conflitto che preferirebbe di non continuare. Ibn Saud cerca evidentemente intervento amichevole dell'Italia affinché essa eserciti sua influenza presso l'Imam Yahia per facilitare l'intesa fra i due paesi.

Questa è l'impressione che ho ricevuta dal mio colloquio odierno.

Prego V. E. telegrafarmi suo punto di vista da comunicare a questo Governo (2).

(l) Cfr. n. 44.

199

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO

T. l?· 586/27 R. Roma, 8 maggio 1934, ore 24.

Suo telegramma n. 37 (3). Dopo avuta notizia che autorità e truppe yemenite avevano evacuato Hodeida e prima ancora arrivo colà forze saudiane, R. Governo aveva disposto invio in quel porto RR. navi (4) onde proteggere vita e beni nostri sudditi e nostre istituzioni in previsione eventuali disordini e saccheggi da parte popolazione e tribù 'bassopiano. R. Governo ritenne anche opportuno, allo scopo sopra indicato, di disporre perché, giunte Hodeida, RR. navi inviassero terra nuclei di sbarco i quali tuttora si trovano in città.

Analogamente è stato procedute, da parte britannica. Navi britanniche sono

giunte Hodeida ed hanno sbarcato reparti prima di noi.

'« l) Effettivo ritiro truppe yemenite dal Negeran;

2) Restituzione di alcuni ostaggi saudiani;

3) Consegna degl! !drlssiti conformemente trattato Aru, poiché loro presenza in terri

torio yemenita è unico strumento sobillatore nella Tehama Asir ».

Occasione che si presenta sembraml propizia sia per affermazione nostro prestigio innanzi a mondo arabo mussulmano sia per controbllanclare influenza inglese e conformarsi alle direttive di V. E. di eu! al telegramma n. 23 » (Cfr. n. 123). Per la risposta cfr. n. 207.

Tanto si comunica per opportuna conoscenza di V. E. e perché V. S. voglia di quanto precede dare comunicazione a codesto Governo informandolo che presenza nostre navi e nostri marinai Hodeida, analogamente presenza navi e marinai britannici, ha carattere transitorio, in dipendenza agli avvenimenti in corso e che sarebbe erroneo interpretarla come atto non amichevole verso Saildia.

V. S. potrà fare ben comprendere che la nostra presenza a Hodeida è in relazione alla presenza britannica; e dichiarare formalmente che nessuna intenzione vi è da parte nostra di intervenire nel conflitto armato fra Saudia e Yemen, come del resto dimostra atteggiamento assunto da reparti sbarcati.

2. -In relazione poi anche alle dichiarazioni fattele costi circa le relazioni italo-saudiane e in applicazione alle istruzioni impartitele con telegramma precedente allo scoppio del conflitto (telegramma n. 23 del 20 aprile) (1).

V.S. potrà accennare discretamente alla importanza degli interessi economici italiani nel Mar Rosso di fronte ai porti eritrei, interessi che ci attendiamo nell'attuale momento di vedere da parte saudiana tenuti nella dovuta considerazione con lo stesso spirito amichevole con cui ci siamo regolati e ci proponiamo di regolarci con codesto Stato. Tale atteggiamento da parte saudiana varrebbe a confermare le favorevoli disposizioni di codesto Governo nei nostri riguardi e potrebbe rendere più amichevoli i nostri rapporti con codesto Stato con suo evidente vantaggio.

3. -Per sua norma personale e per quanto possa apparire superfluo, aggiungo che gli avvenimenti attuali possono portare all'inizio di una nuova fase nei rapporti anglo-saudiani. Da una parte è stata l'Inghilterra che ha evidentemente appoggiato Ibn Saud nelle sue aspirazioni e forse nella sua azione. Dall'altra l'Inghilterra si preoccupa ora che gli avvenimenti vadano al di là delle sue intenzioni. A tale riguardo prego telegrafarmi se sia esatto quanto riportato dalla stampa e cioè che codesto ministro di. Gran Bretagna avrebbe chiesto a codesto Governo fin dove Ibn Saud intenda procedere nell'occupazione dello Yemen.

(l) Le condizioni erano le seguenti (t. 1380/30 R. di Persico del 13 aprile):

(2) Con t. 1720/42 R. dei 9 maggio Persico aggiunse quanto segue: «Mi permetto attirare l'attenzione d! V. E. mio telegramma n. 41 dell'8 corrente.

(3) -T. 1631!37 R. del 3 maggio, non pubbllcato. (4) -Cfr. nn. 178, 178 nota l e 186.
200

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1757/08 R. Bucarest, 9 maggio 1934 (per. il 12).

Alla visita del signor Beck a Bucarest farà seguito, fra pochi giorni, quella di Tewfik Ruschdi bey. I due più rumorosi mestatori di Europa, e cioè Titulescu e Ruschdi bey avranno così agio di vedersi di nuovo, e di tirare un po' i conti dell'azione da loro intrapresa in comune, con il preciso proposito di attirare eia

scuno a sé la Bulgaria o, in via subordinata, di inquadrarla in un cerchio di ferro che impedisse un marcato riavvicinamento bulgaro-jugoslavo. Disillusi entrambi sulla prima parte del loro programma, non hanno oggi che trarre il bilancio dei risultati della seconda e cioè del patto balcanico.

Ebbi già occasione di scrivere in un mio rapporto che la Romania, situata ai margini dell'Europa danubiana e dell'Europa balcanica, non rappresenta una forza politica militare decisiva né nell'uno scacchiere né nell'altro.

Non sto qui ad illustrare la prima affermazione esulando essa dal soggetto di questo telegramma. In quanto alla seconda è ampiamente provato da quanto è occorso dopo la firma del patto balcanico che, immaginato dalla fertile fantasia del signor Titulescu e da lui presentato quale un trionfo per la Romania, oggi che il patto è concluso o non giuoca a favore della Romania o giuoca addirittura contro i suoi interessi.

Basterà ricordare:

l. -il patto balcanico invece di ostacolare, sta promovendo un ravvicinamento bulgaro-jugoslavo, che qui desta non poche preoccupazioni; non è senza significato la circostanza che mentre Tewfik Ruschdi bey si mette in viaggio .per Bucarest, Jeftic e Muschanoff si incontrano a Sofia.

2. -Il patto balcanico ha indebolito le tesi di Titulescu che il protocollo di Londra (definizione dell'aggressore) rappresentava un implicito riconoscimento da parte della Russia dell'annessione della Bessarabia.

Sta di fatto che non solo il patto balcanico non giuoca nei riguardi delle fron

tiere esterne della Romania, ciò che è comprensibile, ma che esso non è operativo

per la Turchia neanche nel caso in cui, verificandosi un conflitto russo-romeno,

la Bulgaria attaccasse la Romania. Titulescu ha cioè dovuto rassegnarsi ad am

mettere che la Turchia consideri la questione della Bessarabia come non defini

tivamente chiusa a favore della Romania. L'unico vantaggio che dal patto balca

nico ritrae la Romania è quello che la Turchia è impegnata a marciare contro la

Bulgaria nell'eventualità che, verificandosi un conflitto ungaro-romeno, la Bul

garia attaccasse la Romania. Questo è tutto: ma può anche essere nulla, se la

Turchia, ispirandosi alla nota riserva greca, si rifiutasse di considerare operativo

il patto, nel caso che una grande Potenza fosse parte del conflitto.

E' certo che la riserva greca ha svuotato in gran parte il contenuto del patto

balcanico. I suoi autori, Tewfik Ruschdi bey e Titulescu, si adopereranno certa

mente a Bucarest per studiare qualche rabberciatura, perché la barca fa acqua da

molte parti e non soltanto da parte greca.

Non so se il bilancio del patto balcanico sia più favorevole per la Turchia. Ma credo che Tewfik Ruschdi bey non abbia molto a rallegrarsi dei risultati, di cui uno, negativo, è ormai più che evidente: la fine della politica di Milano, e un altro si profila nettissimo: l'impossibilità per chi ha integrato le file dell'antirevisionismo di invocare un giorno la revisione delle clausole militari che concernono gli stretti. Un punto che investe direttamente le clausole politiche del patto balcanico è il seguente: quale aiuto può aspettarsi la Turchia dalla Romania in caso di conflitto turco-bulgaro? E' ovvio che in una eventualità simile la prima ad approfittare dell'entrata in guerra della Romania sarebbe proprio la Russia, alleata della Turchia, che si presenterebbe sulla frontiera della Bessarabia.

Il passaggio di Tewfik Ruschdi bey a Bucarest darà luogo ai consueti banchetti diplomatici ed ai consueti brindisi. Ma ho l'impressione che lo champagne sembrerà ad entrambi i compari un po' amarognolo.

Non ho trovato conferma delle notizie, del resto trasmesse da codesto Dicastero con ogni riserva, di un eventuale rifiuto da parte serba della ratifica del patto balcanico. Per ora qui il patto è del tutto dimenticato, e nessuno ne parla. Ma se ne parlerà certamente in occasione della visita di Tewfik Ruschdi bey e non mancherò di trasmettere in proposito quelle informazioni che mi sarà dato raccogliere.

(l) Cfr. n. 123.

201

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 728/285. Ankara, 9 maggio 1934 (per. il 15).

Il signor Tewfik Rustu, dopo la visita a Bukarest, proseguirà per Vienna per ragioni di salute della moglie, e si troverà a Ginevra per la prossima ripresa dei lavori per la limitazione degli armamenti.

In tale sede, secondo avvisi da lui stesso dati a qualche membro del Corpo diplomatico, tra cui il Consigliere dell'Ambasciata d'Inghilterra, egli tornerà a sollevare la questione dell'abolizione delle clausole di demilitarizzazione degli Stretti.

Il Governo turco, a quanto pare, vuole nuovamente lanciare la questione in un momento in cui le maggiori Potenze si presentano a Ginevra prive di un criterio concorde. Il sistema è sempre quello di tentare di prevalere attraverso il dissenso europeo.

Da un anno che questa idea del Governo turco è stata per la prima volta annunziata, non è a dire che i propositi si siano affievoliti. Attraverso la stampa ed attraverso accenni buttati saltuariamente in un circolo o in un altro, il Ministro degli Esteri ha continuato i suoi tiri di aggiustamento sul bersaglio.

A Ginevra egli sosterrà la tesi che la Turchia, innanzi alla libertà di armare che deriverà per tutti gli Stati in seguito al disaccordo in materia di disarmo

o di semplice limitazione di armamenti, intende riprendere la sua libertà nei riguardi delle fortificazioni sugli Stretti.

Tale tesi differirebbe da quella sostenuta nel marzo 1933, e cioè all'indomani del piano Macdonald. Allora, infatti, il governo turco diceva: se il disarmo viene attuato e se vengono abolite le artiglierie mobili superiori ai 6 pollici, lasciando in vita le artiglierie da costa (fisse) sino a 16 pollici, la Turchia, che ha dovuto distruggere le fortificazioni sugli Stretti e che dovrebbe rinunziare alle grosse artiglierie mobili, non potrebbe assicurare la neutralità degli Stretti.

Consentano i firmatari del Trattato di Losanna che la Turchia abbia le artiglierie costiere necessarie a tutelare gli Stretti contro ogni violazione. La tesi turca era dunque subordinata all'ipotesi del disarmo.

Quest'anno, è l'insuccesso del disarmo e la libertà degli altri di correre yerso gli armamenti, che vengono invocate come motivo per una pari libertà della Turchia.

Così, o disarmo o non disarmo, gli argomenti vengono adattati ad una tesi od all'altra, per arrivare allo stesso scopo.

È opinione diffusa che la linea di resistenza a questi obbiettivi turchi abbta ad essere segnata dagli interessi britannici a dominare ed impedire che altri domini le grandi vie del mare. Il Governo turco guarda dunque con molta preoccupazione l'atteggiamento inglese in questo affare degli Stretti; il che non ha impedito al Signor Tewfik Rustu di dire che l'Inghilterra, quando vedrà la fermezza con cui la Turchia perseguirà l'obbiettivo, finirà con mollare.

A me, parlando dell'incubo della Bulgaria la quale, sorretta da un qualsiasi gruppo europeo, potrebbe attaccare la frontiera della Tracia, il Ministro degli Esteri turco ha detto, un po' sul serio ed un po' per fare effetto, che la prima cosa che la Turchia farà qualora si veda attaccata sulla frontiera trace, sarà di chiudere gli Stretti: chiudere ermeticamente, egli dice, senza guardare in faccia nè a neutri nè a belligeranti. I neutri, per passare, dovranno farsi riconoscere veramente come tali, e dovranno dare alla Turchia le garanzie che essa stessa, a suo giudizio, stimerà necessarie e sufficienti a dimostrare il loro carattere di neutralità.

Il Consigliere dell'Ambasciata britannica, Signor Morgan, è venuto a trovarmi, essendo il suo Ambasciatore a Stambul, per avere con me uno scambio di idee in proposito. Egli mi ha detto di avere riferito al suo Ambasciatore, il quale a sua volta ha informato Londra sui propositi del signor Tewfik Rustu.

Ho detto al signor Morgan che sin dall'anno scorso io avevo avvertito questo Governo che nessuna modifica unilaterale poteva venire apportata al regime degli Stretti di fronte ai grandi interessi italiani nel Mediterraneo e nel Mar Nero; e che se il Governo turco poteva essere disposto un anno fa a fornire garanzie separate a ciascuno dei firmatari della Convenzione di Losanna, non mi sembrava -dato il lealismo dei Governi italiano e britannico l'uno di fronte all'altro e dati gli impegni derivanti dal Patto a Quattro -non mi sembrava, dico, che una questione di tale importanza potesse essere risolta senza pieno accordo tra le quattro Grandi Potenze; le quali, esaminando collegialmente la cosa non potevano che convenire in una unica ed identica linea di condotta, vale a dire il mantenimento dello statu quo; che la Turchia sperava di lavorare a raggiungere il suo scopo, attraverso la impreparazione e le esitazioni delle Grandi Potenze e la loro lentezza a mettersi di accordo e ad agire conformemente, e che quindi io avrei avvertito, da parte mia, il mio Governo, come l'Ambasciata britannica aveva avvertito quello di Londra, intorno alle-intenzioni del signor Tewfik Rustu, affinché la nostra delegazione a Ginevra, semprechè V. E. lo creda opportuno, possa formare un fronte unico con quella britannica a riguardo delle eventuali prese di posizione del Ministro degli Esteri turco sulla questione degli Stretti.

202

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. R. 592/109 R. Roma, 10 maggio 1934, ore 17,30.

Suo telegramma n. 199 (1).

Approvo linguaggio tenuto da V. S. ad Imperatore, e prendo atto che questi ha consentito acché Di Lauro raggiunga il suo posto. Non possiamo deflettere dalla tesi del suo ritorno Gondar senza condizioni.

Stabilito questo punto sarà opportuno in quanto possibile cercare di risolvere questione in via amichevole evitando di assumere atteggiamento di assoluta intransigenza. A tale scopo ella potrebbe verbalmente comunicare all'Imperatore che non ci opponiamo ad esaminare quale fondamento abbia reclamo etiopico e particolarmente questione sudditanza Hassen Mustafà che è alla base del reclam·o stesso. Potremmo proporre che tale questione venga demandata all'esame di una commissione mista itala-etiopica, come avvenuto in precedenti casi analoghi di contestazioni di sudditanza.

Questo per quanto riguarda il caso Di Lauro.

V. S. nei precedenti telegrammi nn. 191, 192 e 194 (2) mette con maggior rilievo in evidenza il cattivo andamento dei rapporti italo-etiopici. Ella conosce le direttive generali della politica del Governo italìano nei riguardi dell'Etiopia e ha presenti le istruzioni che le sono state impartite all'atto della sua partenza, alle quali mi richiamo e che non hanno subito mutamenti. È nel frattempo avvenuta una serie di fatti a cui ella fa anche riferimento nel suo telegramma. Concordo pertanto con Lei che convenga procedere ad un'azione di chiarimento generale nei nostri rapporti con l'Imperatore non potendo ammettere che egli voglia assumere un atteggiamento non amichevole verso di noi e dovendo supporre che siano sorti degli equivoci sui propositi italiani che è nell'interesse dei due paesi di spiegare e di eliminare. Mi rendo conto che la natura stessa delle cose rende difficile una chiarificazione duratura, tuttavia non solo conviene tentarla, ma sarebbero evidenti i vantaggi almeno di un tempo di arresto nell'atteggiamento assunto dal Governo abissino verso di noi. Ho presenti le interessanti comunicazioni che V. S. ha in varie occasioni dirette a questo ministero, e lascio a lei, che è sul postò, di esaminare e scegliere il modo più opportuno per procedere a tale opera di chiarimento.

Mi tenga informato.

203

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1736/64 R. Sofia, 10 maggio 1934, ore 19,40 (per. ore 23).

Secondo informazioni comunicatemi da questo Ministro d'Ungheria e che mi riservd di ulteriormente controllare in occasione visita di Jeftic ad Angora

(2} Non pubblicati.

si sarebbe trattato rafforzamento dei legami fra Turchia e Jugoslavia con la stipulazione di accordi, anche di carattere militare che mirerebbero sopratutto alla comune salvaguardia verso l'Italia Cl).

Turchia sarebbe disposta abbandonare sua politica di amicizia verso Grecia per assumere nuovo atteggiamento decisamente orientato verso Jugoslavia.

Secondo medesime informazioni Jeftic avrebbe detto Jugoslavia sarebbe decisa rendere inefficace patto balcanico che non verrebbe da essa ratificato (2).

(l) Cfr. n. 188.

204

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 1834/805. Mosca, 10 maggio 1934 (per. il 14).

Telespresso V. E. in data 26 aprile n. 213604 (3).

Ho messo al corrente Litvinov dell'ultimo passo italiano compiuto nei confronti della Turchia a mezzo di Vassif bey. Avendomi nell'occasione Litvinov informato che era qui Suritz, gli ho domandato se questi potesse dire esattamente in che cosa consistessero le lagnanze turche verso di noi.

Litvinov mi ha risposto:

l) Patto a quattro;

2) Vicende del noto prestito;

3) Discorso Mussolini.

Alle obbiezioni mie sulla assurdità di tutte queste lagnanze, Litvinov mi ha detto che la Turchia sarebbe in possesso di « informazioni segrete » (fortificazioni di alcune isole nostre etc.) cui essa ritiene poter dare un certo credito e che dimost.rerebbero la aggressività delle nostre intenzioni nei suoi riguardi.

Ho domandato a Litvinov se tutto questo non fosse della pura fantasia. Litvinov mi ha detto di esserne sicuro e di averlo detto a Tewfik Ruscdi bey tanto da esser da lui tacciato di italofilia. Tewfik Ruscdi bey, fra l'altro, si è messo in testa che a Roma fra Litvinov e S. E. il Capo del Governo si sarebbe venuto ad intese più o meno segrete: vere fantasie, come si vede.

Litvinov ha anche fatto capire a Tewfik Ruscdi bey che egli tiene alle buone relazioni. con l'Italia, che è una grande, Potenza, e non desidera affatto che una alterazione di rapporti fra Ankara e Roma possa turbarle. Il momento per una chiarificazione gli sembra venuto ed egli spera di potervi contribuire in occasione di un suo prossimo incontro con Tewfik Ruscdi bey, che gli ha manifestato il proposito di vederlo, anche indipendentemente, e magari prima, di Ginevra.

(l) -Annotazione a margine di Suvich: «Mettere una pulce nell'orecchio alla Grecia». (2) -Il presente telegramma venne ritrasmesso ad Ankara e Belgrado con t. 597 R. dell'li maggio. Con successivo t. per corriere 1937/029 R. del 22 maggio Cora comunicò quanto segue: «Sono in grado di specificare che iniziativa conversazioni per stipulare accordi militari rra Turchia e Jugoslavia sarebbe partita dal turchi». (3) -Cfr. n. 135, nota l, p. 156.
205

IL MAGGIORE RENZETTI

A... (l)

L. San Benedetto del Tronto, 10 maggio 1934.

Mi viene comunicato telegraficamente da Berlino, la venuta a Roma, in via privata, di Gtiring accompagnato dal Sottosegretario Rtimur e dal Principe di Assia per il 16 corrente.

Ritengo che Gtiring venga a Roma per tentare di giungere alla risoluzione, sia pure parziale delle questioni pendenti itala-tedesche.

Ho riferito del mio recente colloquio con il Presidente del Consiglio prussiano: aggiungo che egli è avversario dei dirigenti del Fronte del Lavoro, da Egli a me definiti «comunisti »: che Hitler ha sempre fiducia, per le gravi questioni, nel Gtiring (2).

206

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 598/68 R. Roma, 11 maggio 1934, ore 18.

Telegramma di questo Ministero n. 59 (3).

V.S. vorrà far conoscere verbalmente Imam che, avendo navi britanniche Hodeida sbarcato nuclei polizia indiana provenienti da Aden, anche da parte nostra venne provveduto sbarco marinai. Questi verranno reimbarcati non appena reparti inglesi saranno ritirati da Hodeida. Tuttavia nostre navi continueranno rimanere alla fonda dinanzi alla città per ogni evenienza, fino a nuovi ordini.

19 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

V.S. -potrà aggiungere che atteggiamento Governo italiano, ispirandosi a doverosa neutralità tiene conto dei rapporti di amicizia che intercorrono con Governo dell'Imam. V. -S. vorrà indagare in forma molto prudente -ove se ne presenti l'opportunità -se, anche di fronte a fase attuale conflitto e condizioni più gravi che a quanto da qualche parte si riferisce avrebbe posto Ibn Saud, Imam continui considerare desiderabile mediazione potenze.
(l) -Da ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzettl; il destinatario non è indicato. (2) -con L.p. del 12 maggio, non pubblicata, Renzettl comunicò che il viaggio di Giiring in Italia era stato rimandato. (3) -Cfr. n. 178, nota l.
207

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO

T. 599/29 R. Roma, 11 maggio 1934, ore 18.

Suoi telegrammi n. 41 e 42 (1).

Richiamando direttive impartitele con mio telegramma n. 27 (2), V. S. potrà, ringraziando Fuad Hamza a nome R. Governo per dichiarazioni fattele, confermargli che Governo italiano intende mantenersi fedele durante presen

te conflitto alla linea di neutralità che ha caratterizzato buoni rapporti fra il Governo italiano amico e il Governo saudiano.

E' interesse del Governo italiano ed è nello stesso tempo interesse generale che conflitto attuale cessi al più presto e che si possa trovare una intesa fra i due regni arabi. Dal punto di vista del Governo italiano ciò ha particolare importanza per la ripresa delle relazioni commerciali già bene avviate fra la costa araba del Mar Rosso e la colonia eritrea.

Perciò il Governo italiano non si discosterà dall'atteggiamento sopradetto, pur non escludendo la possibilità che -consentendolo le circostanze -esso abbia a collaborare al ristabilimento della pace.

V. S. potrà aggiungere che R. Governo si è espresso nello stesso senso con Governo di Sanaa.

Aggiungo per sua notizia che accenni fatti da Fuad Hamza, per quanto interessanti, non paiono abbastanza precisi per indurci a prendere una iniziativa concreta. D'altra parte, data incertezza circa situazione attuale e suoi ulteriori sviluppi, ed in considerazione anche gravità condizioni poste da Ibn Saud all'Imam per sospensione ostilità, questo Ministero non ritiene convenga per ora intervenire, se non genericamente come sopra indicato, nel merito del conflitto in corso, nè assumere compromissioni relativamente soluzione che conflitto stesso potrà avere sul terreno politico-territoriale.

Accenni fatti da Fuad Hamza costituiscono un filo che bisognerà seguire perché può portare a successivi sviluppi purché nostro atteggiamento non dia appiglio a sospetti o preoccupazioni di codesto Governo.

(l} Cfr. n. 198 e n. 198 nota 2, p. 212.

(2) Cfr. n. 199.

208

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1749/79 R. Mosca, 11 maggio 1934, ore 23,47 (per. ore 4,45 del 12).

In un lungo colloquio avuto ieri con Litvinov, che si prepara partire prossimamente, ho potuto sondare suo programma ginevrino.

Litvinov convinto che la Francia riprenderà tesi priorità sicurezza su disarmo apprestasi questa volta sostenerla. Egli difenderà pure idea patto generale assistenza mutua.

Ove questo fosse respinto non esclude egli potrebbe ripiegare sopra antica idea patto regionale.

È quindi da attendersi (tanto più in seguito ultimi fatti baltici che hanno nuovamente acuito relazioni russo-tedesche) una situazione analoga a quella dicembre u.s. e, cioè una unione baltico-franco-sovietica sul terreno ginevrino.

Litvinov vedrebbe anche possibilità che conferenza, investita questione sicurezza, si trasformasse in un «organo permanente».

Ignoro se e fino a che punto queste siano solo sue idee personali oppure frutto intese con la Francia. Comunque giova non trascurarle. Ne ho già riferito per corriere.

209

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEi?PR. R. 3624/576. Atene, 11 maggio 1934 (per. il 15).

Mio telegramma n. 68 {1).

Per quanto nelle sfere ufficiali elleniche si voglia pur oggi assicurare che il Generale Kondylis non fosse stato investito di alcuna speciale missione politica o militare nel suo viaggio ad Angora, quasi per confermare che nessuna divergenza esistesse fra Angora ed Atene per l'interpretazione del Patto Balcanico e che il Patto Balcanico ed il Patto greco-turco, strumenti di pace, non avessero bisogno di alcuna intesa segreta o palese di carattere militare, è ormai evidente dall'insieme delle dichiarazioni degli uomir:.i politici greci e turchi e dagli echi di stampa dei due paesi, che il Generale Kondylis è stato proprio mandato ad Angora per appianare sospetti e malintesi che erano sorti colà in seguito alle polemiche di Venizelos e dei partiti di opposizione ellenici per limitare e precisare gli obblighi che per il patto stesso incombevano alla Grecia (art. 3 del Protocollo annesso) e conseguentemente per addivenire ad accordi e ad intese militari in relazione al Patto greco-turco e alla nuova

. (l) T. 4402/68 P.R. del 3 maggio, non pubblicato.

situazione politica che si va disegnando in Egeo in seguito ai recenti accordi balcanici.

Mi si assicura che il Generale Kondylis avrebbe raggiunti tali scopi e che avrebbe dissipati dubbi e malintesi che ad Angora avevano perfino fatto dubitare dell'utilità del conservare la Grecia nel Patto Balcanico e abbia sopratutto fatto accogliere le interpretazioni limitative che successivamente alla firma del Patto il Governo ellenico aveva dovuto dare a tale atto internazionale sotto la pressione di Venizelos e delle opposizioni e anche della massa del paese, che è ben !ungi dal voler assumere impegni pericolosi o estranei ai suoi interessi.

Sembra che la partita del Generale Kondylis non sia stata facile, tanto più che durante la sua permanenza ad Angora le voci di armamenti italiani contro la Turchia, propalate dalla stampa con la stessa tendenziosità e forse, come pare, con gli stessi scopi coi quali furono propalate le false notizie degli eccidi di Rodi durante le polemiche del Patto balcanico, rendevano di più difficile accoglimento le limitazioni che la Grecia aveva portato al Patto Balcanico.

Il Generale Kondylis non solo avrebbe pienamente raggiunti gli scopi della sua missione, ma avrebbe altresì ottenuto che la Turchia stessa, a mezzo del suo Ministro degli Affari Esteri, si incaricasse di rompere le più gravi resistenze di Belgrado e Bucarest contro le interpretazioni elleniche del Patto Balcanico per ottenerne la sua rapida ratifica.

I giornali riferiscono infatti che Ismet Pacha avrebbe dichiarato ai giornali greci che «la visita del Generale Kondylis nella nostra capitale ha segnato un pieno successo perché ha dato l'occasione di precisare la politica dei due paesi nella questione del patto balcanico, che serve pienamente gli interessi comuni della Grecia e della Turchia, come di tutti gli Stati balcanici. Noto in particolare che una piena identità di vedute regna fra i due Paesi amici. Noi ricerchiamo sinceramente il rafforzamento dei buoni risultati conseguenti alla conclusione del patto balcanico. Quanto al patto d'intesa cordiale turco-ellenico esso è più solido che mai. Nessun accordo fu mai più conforme al desiderio reciproco dei due Popoli. Noi attribuiamo un gran valore all'amicizia greca. Quest'amicizia e la reciproca fiducia costituiscono un elemento prezioso per il mantenimento della pace e la sicurezza delle nostre frontiere. Questa amicizia è una nobile opera, un'opera di pace e di buona intesa fra due buoni vicini».

Parimenti il Generale Kondylis avrebbe dichiarato ai giornalisti turchi: «Durante la mia missione ufficiale mi sono intrattenuto in uno spirito di vero cameratismo con gli uomini di Stato turchi. Abbiamo scambiato delle idee su tutte le questioni interessanti i due paesi. Abbiamo esaminato la questione della nostra collaborazione sulle basi fissate dal patto d'intesa cordiale firmato ad Ankara, ma nel modo più vantaggioso e più esteso e abbiamo constatato una volta di più la nostra volontà indefettibile di applicare e di estendere il patto balcanico firmato ad Atene, nel suo quadro generale in quanto lo permettano le circostanze e la situazione geografica, allo scopo di assicurare la prosperità dei popoli balcanici».

Infine il Kathimerinì, giornale governativo, ha stasera in merito concluso che:

« Il risultato del viaggio del Signor Kondylis ad Ankara è stato coronato dal successo, perché è giunto a dissipare la legittima sfiducia dei nostri amici turchi, sfiducia provocata dalla polemica del Capo dei Liberali contro il Patto. La Turchia è d'ora innanzi convinta che la sua amicizia con la Grecia può resistere a tutte le prove. Tewfik Ruschdi bey è specialmente indicato per fornire a tutti gli altri Stati balcanici tutte le spiegazioni necessarie sulla sincerità della Grecia e sul suo spirito di solidarietà. Speriamo ora che il Patto Balcanico seguirà il suo primitivo destino che è quello della stabilizzazione della pace nei Balcani».

Ma ad onta di tutte queste assicurazioni e di questa fiducia officiale, una certa preoccupazione si nutre ancor qua per l'attitudine che Rumania e Jugoslavia, e soprattutto quest'ultima, vorranno adottare ad onta dei passi conciliativi che potrà esperire il Ministro degli Affari Esteri turco, innanzi alle limitazioni interpretative del patto balcanico che questo governo ha dovuto adottare, nel timore di essere ormai considerato come un peso morto o come fattore inutile e anche indesiderabile in tale Patto, o come quello che ne abbia, per quanto tardivamente, svisate le finalità che maggiormente interessavano gli Stati balcanici legati altresì alla Piccola Intesa. Ma si ha tuttavia ferma fiduc'ia nei passi che Tewfik bey sta facendo nei Balcani, tanto più che qua ci si rende conto che la Turchia non può più adesso fare a meno del fattore ellenico nel Patto Balcanico, senza perdere o per lo meno di gran lunga diminuire la posizione che a traverso il Patto tende a crearsi nei Balcani e nell'Egeo.

Ma non è certo per noi privo di interesse il constatare che tutta l'attività diplomatica che direttamente o indirettamente sta spiegando adesso, più o meno di buon grado, il Governo Popolare ellenico nei Balcani ha per scopo di ottenere che vengano tolte a tal patto alcune finalità che al momento della sua firma erano state da esso considerate fra le principali e le più importanti.

Allora, come ebbi a segnalare, uomini politici ed organi di stampa amici del Governo, felici di poter adottare una linea di politica estera diversa ed anche in antitesi di quella sinora seguita da Venizelos, non nascondevano la loro soddisfazione di essersi finalmente affrancati da incomodi vincoli mediterranei e da una certa tutela italiana e di aver ormai stabilito come base della politica greca il principio dei Balcani ai popoli balcanici.

Oggi, a due soli mesi di distanza da tutte queste affermazioni, gli stessi uomini politici e gli stessi organi di stampa e, quello che più conta, lo stesso Governo popolare, vanno facendo insistenti pratiche in Turchia e negli altri· Stati balcanici allo scopo di ottenere che sia loro concesso «di applicare e di estendere il patto balcanico in quanto lo permettano le circostanze e la situazione geografica » greca, come ha testé dichiarato ad Angora il Generale Kondylis, cioè a dire di permette•re alla Grecia di non alterare radicalmente la sua politica mediterranea e di non porsi in qualsivoglia modo in contrasto col nostro Paese.

Questa attitudine del Governo popolare, che per quanto tardiva e non spontanea e che si vuol far credere adesso aver sempre corrisposto alle sue direttive politiche, è non solo la dimostrazione che interessi e competizioni di politica interna e pressioni esterne non possono di leggeri permettere alla Grecia il totale abbandono della politica di equilibrio mediterraneo stabilita da Venizelos e da Michalacopoulos, ma è altresì la prova che questo Paese non è in grado adesso, come avevano tentato di fargli credere e di imporgli gli Stati Balcanici facenti parte del sistema della Piccola Intesa e la Turchia, ignorare e tenere in non cale il fattore Italiano nel Mediterraneo e legarsi con coloro che contrastano apertamente o subdolamente la nostra posizione e i nostri interessi nei Paesi di Levante.

210

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. RR. 4663 P.R. Roma, 12 maggio 1934, ore 12.

(Per Vienna) Ho telegrafato alla R. ambasciata a Londra quanto segue:

(Per tutti) Come V. E. avrà rilevato dalla stampa, ha ripreso da qualche giorno attività terroristica nazi in Austria. Sarebbe opportuno che stampa inglese ne traesse nuovo argomento contro nazi.

211

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1770/61 R. Ankara, 12 maggio 1934, ore 13,30 (per. ore 22,30).

Visita generale Kondylis si è iniziata in atmosfera penosa dovuta a pub

blicazione notizie secondo cui patto balcanico sarebbe stato trasformato con

partecipazione Bulgaria ed esclusione Grecia. Ritengo queste notizie fab

bricate da Governo turco per impressionare ministro della guerra greco con

una minaccia di isolamento e renderlo arrendevole innanzi alle richieste che

Stato Maggiore turco si proponeva di fargli.

Secondo numerose informazioni concordi queste richieste avrebbero avuto

per oggetto:

a) Quale assegnamento Turchia può fare su Grecia, contro Bulgaria

qualora questa attacchi frontiere serbe con aiuto di una Potenza extra-bal

canica;

b) Appoggio della Grecia nella questione degli Stretti;

c) Interpretazione del patto greco-turco del settembre 1933 nel senso

di una comune difesa delle frontiere marittime.

Generale Kondylis avrebbe ammesso la prima ipotesi come rientrante nel

l'applicazione del patto balcanico. Sulla seconda e terza ipotesi risposta eva

siva. E' prevista quindi una successiva ripresa delle conversazioni.

Tevfik Ruschdi bey avrebbe promesso di fare da intermediario fra Grecia e Jugoslavia per appianare difficoltà interpretazione patto balcanico ed avrebbe chiesto a Governo di Belgrado a quali condizioni (cioè con qual minimo di assicurazioni da parte della Grecia) esso avrebbe ratificato patto balcanico. Comunicato ufficiale diramato dopo visita e commenti giornali che sono portavoce di questo Governo confermano cordiale amicizia greco-turca e dichiarano assurde le voci di isolamento della Grecia. Ipotesi considerate da Governo turco nei colloqui Kondylis, se mie informazioni sono esatte, sono improntate all'idea fissa della minaccia italiana nei Balcani e nell'Egeo e sarebbero lontane dallo spirito trattato a cui questo Governo dice voler ritornare anzi tenderebbero a volgere due dei membri della così detta intesa itala-grecoturca contro il terzo (l).

Perciò ho chiesto di parlare con Ismet pascià a cui oltre comunicazioni di cui al telespresso di V. E. 213604 (2) esprimerò desiderio di ricevere franche spiegazioni sopra questi ultimi atteggiamenti del Governo turco e sulle sue intenzioni future.

Telegraferò a colloquio avvenuto (3).

212

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1771/52 R. Bucarest, 12 maggio 1934, ore 19,40 (per. ore 0,30 del 13).

Dai discorsi pronunziati iersera al banchetto offerto da Titulescu a Tevfik Ruschdi bey e dalla interpretazione autentica che ambedue hanno voluto farmene dopo il banchetto, rilevo che Titulescu e Tevf:ik Ruschdi bey (non so se d'accordo oppure in concorrenza con Jeftic) sono disposti a raccogliere of'ferta di Muschanoff per la conclusione di patto bilaterale di non aggressione possibilmente ad arrivare addirittura alla conclusione di un patto generale a cinque di non aggressione.

Le resistenze della Bulgaria per accettare definizione aggressore quale risulta dai protocolli Londra verrebbero superate, se ho ben capito, nulla ostando punto quinto della formula Litvinoff-Politis.

Per quanto i due ministri degli esteri abbiano nel banchetto iersera dichiarato con accento sostenuto che il patto a quattro sarà ratificato da tutti i firmatari, è evidente tuttavia il loro imbarazzo per essersi trovata in mano

«Relativamente all'atteggiamento di Ruschdi bey verso di noi desidero aggiungere, giusta riservate informazioni dello stesso Ballplatz, che il predetto ministro turco avrebbe qualche settimana fa proposto riservatamente alla Grecia un "accordo per la difesa dei rispettivi confini marittimi". Il Governo ellenico avrebbe opposto un reciso rifiuto, dichiarando tenere moltissimo alle buone relazioni con ·l'Italia e di non volerle quindi pregiudicare con accordi del genere di quello accennato, evidentemente diretto contro l'Italia».

(-2) Cfr. n. 135, nota l, p. 156.

un'arma, ormai spuntata dalle riserve greche, nonché da quelle che gli stessi paesi promotori del patto, e cioè Turchia e Romania, sono costretti ad avanzare l'uno nei confronti dell'altro.

Di qui il vivo desiderio di Tevfik Ruschdi bey e di Tiitulescu di uscire dalla difficile situazione in cui si sono venuti a trovare e di evitare un possibile collasso del patto a quattro sovrapponendogli, come dichiarano, ma in realtà sostituendolo con una serie di patti e con un patto a cinque di non aggressione. Sarà tnteressante accertare fino a qual punto il riavvicinamento jugoslavo-bulgaro abbia influito nel determinare questo nuovo cambiamento di tattica di Tevf:ik Ruschdi bey e di Titulescu che passa ancora una volta, nei confronti della Bulgaria, dal tono forte a quello dolce.

Ministro degli affari esteri turco parte questa sera per Belgrado ove si incontrerà con Jeftic.

Proseguirà poi con la famiglia per Vienna e Ginevra. Passando attraverso Budapest Tevfik Ruschdi bey si incontrerà con Goemboes e con Kanya ai quali ha fatto ieri sollecitare un abboccamento per mezzo di questa legazione di Ungheria.

Data sua abituale loquacità potrebbero da Budapest pervenirci interessanti informazioni circa tono e la conclusione del colloquio di Belgrado.

(l) Preziosi comunicò con t. per corriere 1922/096 R. del 21 maggio:

(3) -T. per corriere 1907/64 R. del 21 maggio, non pubblicato ma cfr. n. 302.
213

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI E A VARSAVIA, BASTIANINI

T. R. 607 R. Roma, 12 maggio 1934, ore... (Per Londra, Berlino, Parigi) Ho telegrafato ai RR. ambasciatori a Var Ravia e Mosca quanto segue:

(Per tutti) R. Governo segue con particolare attenzione l'attività politica che Germania, Polonia ed U.R.S.S. vanno svolgendo nei paesi baltici specialmente dopo ultima iniziativa Governo lituano per riavvicinamento Lettonia Estonia.

Sebbene si tratti di settore lontano dalle nostre sfere interesse diretto. per sue possibili ripercussioni su politica generale europea, e data attuale situazione generale politica, sembrerebbe opportuno da parte nostra accentuare interessamento alla questione definendo eventualmente in modo più preciso nostro atteggiamento.

A complemento di quello che V. E. ha già riferito e magari riassumendo il già detto, prego V. E. farmi conoscere come venga costà considerata situazione baltica e suoi probabili sviluppi e quale sarebbe a suo avviso linea di condotta

(l} A Berlino, Londra e Parigi Il presente telegramma fu Inviato per corriere. (2} Manca l'Indicazione dell'ora di partenza.

che al R. Governo maggiormente converrebbe adottare sopra tutto in considerazione delle nostre relazioni politiche con codesto Governo.

(Per Parigi, Berlino, Londra)

Prego V. E. farmi conoscere come viene costà considerata questione baltica e quale linea di condotta codesto Governo si propone di seguire (1).

(1). (2).
214

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1786/025 R. Sofia, 12 maggio 1934 (per. il 14).

Prime informazioni raccolte non appena rientrato in sede confermano in complesso quanto ha riferito R. incaricato d'affari con il suo telegramma n. 60 dell'B maggio (2) sulla recente visita del ministro jugoslavo degli esteri.

In una lunga e confidenziale conversazione al riguardo, segretario generale di questo ministero degli affari esteri mi ha ripetuto generico desiderio Bulgaria mantenere buoni rapporti con Jugoslavia giungendo, se possibile, fir~o ad un semplice patto di non aggressione (ma non di collaborazione ha precisato il signor Radeff) secondo il progetto-tipo della Società delle Nazioni, o pattopolacco-germanico, ecc. con esclusione, ben inteso, della nota formula dell'aggressore. A questo riguardo il signor Radeff ha escluso nettamente che il signor Muschanoff abbia potuto dirsi disposto ad accettarla, qualora detta formula fosse approvata dalla S.d.N. (telegramma della R. legazione a Belgrado n. 1625

R. del 30 u.s.) (3).

Nelle conversazioni tra Muschanoff e Jeftic si è naturalmente discorso della eventuale conclusione di un patto di non aggressione secondo la nota proposta bulgara ma si sarebbe trattato di conversazioni generiche e non di un vero e proprio negoziato basato su una o più determinate formule; non vi sarebbero

«Anche !n considerazione di questo. il fare per l'Italia della politica baltica significa in questo momento valorizzarsi al fini ed agli effetti dei proprii rapporti con le tre grandi Potenze baltiche: URSS, Polonia e Germania...

...Il primo contenuto di una politica baltica da parte nostra dovrebbe, a mio rimesso avviso, essere quello di dare a ciascuno d! questi piccoli stati la sensazione precisa che no! seguiamo con interesse le loro vicende, anche all'infuori di quelli che possano essere l nostri rapporti diretti con i medesimi...

...Premesso questo interessamento generico, che prescinde, ripeto, da orientamenti determinati e precisi, mi sembrerebbe pure possibile ed opportuno per noi, specialmente In questo momento, dimostrare un interessamento specifico a determinate questioni e soluzioni toccanti l'interesse, per dir così, collettivo degli Stati in parola.

Uno di questi problemi è, nel momento in cui parliamo, costituito da quello che puòdefinirsi il «movimento verso l'affermazione e la garanzia della indipendenza baltica»...

...L'Italia non dovrebbe esitare a marcare la sua simpatia per un movimento siffatto, in quanto, spontaneo, autonomo ed indipendente... di un movimento, cioè, sostanzialmente se non integralmente, indipendente "erga omnes" ».

state proposte e controproposte anche perché Jugoslavia non è libera nella sua azione in questa materia. Entrambe le parti avrebbero manifestato desiderio concludere patto di non aggressione ma senza dimostrare eccessiva premura e senza nemmeno ventilare che eventuale firma possa avvenire in occasione restituzione visita reale a Sofia.

Come pure non sarebbe esatto (telegramma precitato della R. legazione a Belgrado) che il Governo bulgaro desideri concludere patto non aggressione prima con Jugoslavia che con Grecia e Romania a cagione questioni pendenti con queste ultime Cl). Governo bulgaro desidererebbe se possibile concludere patti non aggressione contemporaneamente con paesi vicini e si spera ancora che note vertenze con Grecia e Romania non si trascineranno più a lungo. Sembra, specialmente dal lato ellenico, vi siano ora buone speranze di una soluzione. Comunque ho ripetuto al signor Radeff quanto avevo già fatto presente al signor Muschanoff a Roma, per incarico dell'E. V., e cioè opportunità che eventuale conclusione patto non aggressione con Jugoslavia non seguisse a così poca distanza firma patto balcanico e che il primo ed unico patto da concludersi non fosse proprio quello con Belgrado.

Mi riservo di riferire ulteriormente al riguardo dopo avere conferito col presidente Muschanoff.

(l) Attolico rispose con R. 1978/871 del 16 maggio, del quale si pubblicano i seguenti passi:

(2) -T. 1709/60 R., non pubblicato: riferiva che la visita di Jeftié a Sofia si era svolta in un'atmosfera definita da qualcuno di «reciproca diffidenza» e che non si era giunti ad accordi definitivi circa il progettato patto di non ag'gressione. (3) -T. per corriere 1625/036 R., non pubblicato.
215

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1840/0108 R. Berlino, 12 maggio 1934 (per. il 17).

Mi sono recato stamane da S. E. Goering per informarlo che S. E. il capo del Governo lo avrebbe ricevuto durante il suo prossimo soggiorno a Roma e prendere con lui opportuni accordi al riguardo.

Il presidente del Consiglio di Prussia mi disse che essendo stato ieri deciso che si tenesse il 22 corr. un importante consiglio di ministri, il tempo disponibile per le sue vacanze di Pentecoste si era abbreviato in modo tale che egli doveva rinunciare a recarsi in Grecia passando per l'Italia. Sarebbe invece volato ad Atene via Breslavia-Ungheria-Jugoslavia in modo da incontrare colà il segretario di Stato Korner ed il direttore generale delle Ferrovie del Reich, Dorpmiiller, che vi si recavano per visitare le autostrade, Avrebbe così avuto agio di visitare la Grecia che ancora non conosceva ed avrebbe poi fatto direttamente ritorno a Berlino.

<<La Bulgaria è ancora disposta a concludere con la Jugoslavia anche subito il patto di non aggressione, mentre da Grecia e Rumania essa chiede la preliminare soluzione delle questioni in corso. La Bulgaria lascerebbe quindi in disparte, nei confronti della Jugoslavia, la questione della protezione delle minoranze macedoni. Se questa informazione sia esatta tale rinvio marcherebbe un punto di fondamentale importanza per lo sviluppo futuro dei rapporti bulgaro-jugoslavi che dovrebbe portare ad uno stretto accordo politico dei due popoli slavi della Balcania ».

Ringraziava ad ogni modo vivamente S. E. il capo del Gaverina di avere cosi cortesemente acceduto al desiderio da lui espresso di essere ricevuto e si riservava di recarsi a Roma nel corso del mese di giugno dato che intendeva acquistare in Italia certe statue che gli accorrevano per completare l'arredamento del proprio palazzo. Sperava che in tale occasione S. E. il capo del Governo avrebbe consentito ad intrattenersi con lui.

Confermo e completo con questa comunicazione quella fatta stamane tele~ fonicamente al comm. Jacomoni.

(l) Galli aveva comunicato quanto segue:

216

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIÉ

APPUNTO. Roma, 12 maggio 1934.

Il Ministro di Jugoslavia è venuto a segnalarmi il Libro del Signor Nokovic dal titolo «Mia risposta al Re Alessandro» seguito da una lettera del Professore Cimbali Docente di diritto internazionale all'Università di Catania, libro che contiene le più atroci ingiurie contro il Re di Jugoslavia e dei propositi inammissibili nei riguardi della distruzione della Jugoslavia stessa.

Il Ministro di Jugoslavia si lagna del fatto che un professore di università italiano, mettendo bene in evidenza tale suo incarico ufficiale, abbia dato il proprio patrocinio a un libro del genere. Chiede poi che si voglia togliere il libro dalla circolazione.

Gli rispondo che non conosco né il libro né l'autore, comunque, a quanto vedo dalla prima pagina, si tratta di un cittadino jugoslavo condannato a morte dal proprio paese; c'è del resto nel libro stesso come anche mi risulta dall'esposizione sommaria del volume datami dal Ministro DUCIÉ, una lettera di introduzione del signor Vivian, giornalista inglese. Ad ogni modo mi riservo di procurarmi il volume e farlo leggere, dopo di che si prenderanno le necessarie misure.

Osservo al Ministro di Jugoslavia che mettendo la cosa sul terreno delle proteste per quanto si scrive in un paese contro l'altro, noi avremmo un ricchissimo materiale da presentargli. Ci sono anche alcune manifestazioni recenti molto alte che hanno fatto pessima impressione; ad ogni modo mi riservo di ritornare su questo argomento nell'occasione in cui gli darò la risposta alla sua odierna domanda.

Il Ministro di Jugoslavia prosegue in tono molto eccitato parlando della difficoltà della sua missione anche per la presenza in Italia dei rifugiati croati che sono sussidiati, armati, che fanno esercitazioni militari e che preparano degli atti criminali da eseguire in Jugoslavia. Il Ministro mi dice tutto ciò in forma riservata per farmi sapere che se il suo Governo non parla di ciò, non è perché non lo sappia, ma perché vuole evitare di parlarne.

Rispondo al Ministro che le sue affermazioni sono parto di fantasda. Noi, evidentemente, non possiamo non dare asilo ai rifugiati politici di Jugoslavia; non è un fatto che ci riguarda se una parte della popolazione jugoslava crede di mettersi contro il proprio Governo.

Il Ministro mi obietta che in Jugoslavia la situazione politica è buona e cne gli stessi uomini politici, come Korosec, internati, non hanno assolutamente ragione di lagnarsi.

Gli rispondo che tuttavia c'è il fatto che alcuni capi dei principali Partiti sono imprigionati e confinati; ma queste sono questioni che non ci riguardano. Sulla sua richiesta di oggi gli darò una risposta.

217

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL CAPO DELL'UFFICIO TRATTATI COMMERCIALI DEL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, PILJA

APPUNTO. Roma, 12 maggio 1934.

E' venuto a trovarmi il signor Pilja, Capo dell'Ufficio Trattati Commerciali di Jugoslavia. Mi ha detto di essere qui per vedere come si può regolare la questione del legname in vista dei negoziati che dovranno aprirsi il 20 corrente. Mi chiede anche qualche ragguaglio sulle trattative con l'Austria e con l'Ungheria, ed in particolare se noi chiediamo come contropartita delle preferenze a nostro favore.

Gli rispondo che non ho visto ancora la conclusione dei negoziati c1'e del resto non sono ultimati. Posso dirgli che il concetto era quello di dare delle preferenze all'Austria senza chiedere delle contropartite della stessa natura. D'altra parte bisogna rendersi conto che è necessario trovare qualche provvedimento per non aggravare a nostro danno la bilancia commerciale per il caso che in seguito alle preferenze aumentino le importazioni in Italia di prodotti che godono delle preferenze.

Il signor Pilja mi dice che il pericolo della fase attuale è quello che per trovare una forma di equilibrio si arrivi alla cessazione completa dei traffici; oggi la bilancia commerciale italo-:-jugoslava è molto più equilibrata di anni fa (se si tiene conto della bilancia dei pagamenti c'è anzi una passività per la Jugoslavia) ma su un livello molto più basso per il ridottissimo volume dei traffici. Il pericolo sta in questo anemizzarsi. Egli pensa che nel Piano italiano sia insito il concetto di favorire la esportazione dei paesi dell'Europa danubiar:a sulla base delle preferenze senza chiedere delle contropartite della stessa natura nella persuasione che l'aumento delle vendite dei prodotti dei detti paesi produrrà già di per sé una maggiore capacità di acquisto e quindi una maggiore possibilità anche di importazioni.

Osservo al signor Pilja che avevo inteso che egli non sarebbe alieno a dare delle preferenze anche a dei prodotti italiani nel caso che si potesse entrare in un negoziato del genere con la Jugoslavia.

Il signor Pilja mi dice che su questo punto egli è in atteggiamento di

attesa. È troppo nota la sua tendenza a fare un accordo economico su larga base con l'Italia perchè egli abbia bisogno di insistere sull'argomento. Egli crede che se vi sono due paesi che devono mettersi d'accordo sul terreno economico, questi sono proprio l'Italia e la Jugoslavia, dal che ne deriverebbe un grandissimo beneficio dall'una e dall'altra parte. Va tenuto conto anche per la Jugoslavia come per gli altri paesi danubiani che essi non attendono che un principio di ripresa per migliorare il loro standard ot lite e quindi sono paesi che presentano molte possibilità per l'avvenire.

La Germania ha capito ciò e si è messa alla conquista di questi mercati.

Gli chiedo su quale base sia fatto il nuovo accordo tedesco-jugoslavo.

Mi risponde che i tedeschi si sono resi conto del fatto che bisognava accaparrarsi la Jugoslavia per l'avvenire favorendo le esportazioni jugoslave. D'altra parte la Germania non ha voluto nè concedere delle preferenze, nè stabilire dei prezzi superiori a quelli del mercato internazionale perchè ciò sarebbe contrario ai vigenti trattati commerciali. Si è fatto quindi fra i due paesi un trattato commerciale normale, ma contemporaneamente si sono fatti dei contratti di carattere privato con alcuni grossi gruppi industriali tedeschi i quali hanno acquistato determinati quantitativi di prodotti jugoslavi a prezzi rimunerativi. Questo sistema si intende di proseguire e di allargare.

Chiedo al signor Pilja se veramente gli acquisti fatti siano importanti. Non risponde direttamente alla mia domanda osservando che comunque si tratta da parte tedesca di un sacrificio che, a quanto ritiene, il Governo ha imposto ai gruppi industriali sopradetti.

Il signor Pilja sarà di ritorno a Roma fra qualche giorno e allora verrà a trovarmi per esaminare la questione del complesso dei rapporti economici itala-jugoslavi.

218

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1966/765. Berlino, 12 maggio 1934.

Non avevo più avuto occasione d'intrattenermi con S. E. Goering dal giorno in cui avevo accompagnato S. E. Suvich, alla colazione da lui offertaci nel suo chalet di caccia.

Dopo avermi fatto la comunicazione relativa al mutamento di programma circa il suo prossimo viaggio in Grecia, che non gli permetteva di transitare per l'Italia, S. E. Goering che era molto rabbuiato mi disse stamane che quanto era accaduto negli ultimi mesi lo aveva profondamente rattristato cosicché egli aveva preferito appartarsi ed aveva rifiutato di occuparsi della questione austriaca. Non aveva quasi più avuto occasione di vedere Habicht di cui aveva deplorato l'atteggiamento, riuscito funesto per i rapporti fra la Germania e l'Italia. Aveva dovuto sopportare la derisione dei molti camerati ostili alla politica di amicizia con l'Italia da lui sempre patrocinata e che egli continuava, nonostante tutto, a ritenere proficua per entrambi i Paesi.

La maggiore amarezza gli era però stata causata dal constatare che la visita a Berlino di S. E. Suvich aveva avuto un carattere completamente differente da quanto era stato stabilito a Roma nei suoi colloqui con l'E. V. Ella gli aveva allora detto che gli affidamenti ricevuti da lui verbalmente a proposito dell'Austria La soddisfacevano pienamente ma aveva insistito perchè fosse assunto anche un impegno scritto per ragioni che egli stesso aveva trovato giuste. Aveva pertanto perorato a Berlino, non senza incontrare ostacoli assai gravi, la causa dell'impegno scritto da assumersi dal Reich circa l'Austria ed era stato stupito di constatare che la visita di S. E. Suvich a Berlino non aveva avuto lo scopo di concludere tale accordo scritto ma si era limitata ad un atto di cortesia durante il quale si erano trattate questioni politiche generali senza far progredire di un passo il problema austriaco.

Ho osservato che mi pareva esservi un equivoco perchè ricordavo con precisione che durante il colloquio circa l'Austria nel suo ch:Uet di caccia S. E. Suvich aveva ad un dato momento accennato ad un impegno scritto come ad un elemento chiarificatore della situazione, ricevendo peraltro la risposta che non era il caso di pensarvi. Poteva pertanto benissimo essere che a Roma fra

V. E. e lui fosse stato considerato opportuno un simile accordo; non dubitavo ch'egli avesse fatto agire tutta la sua influenza per conseguirlo, ma dovevo rilevare che non era eerto dipeso da parte italiana che l'accordo non si fosse realizzato.

S. E. Goering continuò la conversazione dicendo che quando egli pensava di potersi recare a Roma per Pentecoste aveva previsto la possibilità di essere ricevuto dall'E. V. con la domanda: <<ebbene, Goering, sono trascorsi i sei mesi ai quali voi avevate accennato e Dollfuss è sempre ancora al potere». Egli aveva pure preparato la risposta che sarebbe suonata così: <<se V. E. mi avesse detto che intendeva sostenere Dollfuss ad ogni costo avrei parlato non di sei mesi ma di tre anni ».

In Italia si continuava a commettere un grave sbaglio, quello di fidarsi, a proposito dell'Austria, di informazioni errate. Egli non intendeva parlare delle notizie che divulgava Habicht, le quali erano errate per un altro verso. Ma aveva informazioni proprie, quelle che gli fornivano i suoi due cognati, uno dei quali era stato amico di Starhemberg e Ministro con lui ed ora viveva del tutto appartato dalla politica in Austria. Erano entrambi uomini moderati. Essi gli avevano ancora recentemente riferito che l'odio che si va accumulando contro l'Italia in Austria è così grande che noi potremo un giorno avere delle sorprese assai spiacevoli. L'Italia credeva infatti di poter comandare in Austria, in un paese tedesco, e questo non poteva essere tollerato a lungo. L'Italia aveva poi trovato ora un alleato nel Vaticano. La nuova costituzione austriaca, basata sopra un'enciclica del Papa, era la cosa più ridicola che si fosse veduta. Egli era uno studioso di storia ed aveva recentemente letto che ogni qual volta un Governo conclude colla Santa Sede un concordato troppo favorevole alla Chiesa e t~le da permettere a quest'ultima di ingerirsi negli affari interni dello Stato accade che questo Governo segni la propria caduta. Era successo così con Napoleone, con Primo de Rivera che pure aveva grandi virtù politiche, e con un terzo di cui non ricordava il nome. Egli si felicitava del concordato fra l'Austria ed il Vaticano perchè si poteva contare con certezza sulla imminente caduta di Dollfuss.

Se questi e Starhemberg stavano ancora in piedi ciò si doveva unicamente a Mussolini anzi meglio a Suvich. Eppure egli poteva produrre le prove con documenti alla mano che Starhemberg e Fey --non Dollfuss -quattro anni fa tennero discorsi di critica acerba dei nazional-socialisti per la loro amicizia verso l'Italia e la loro rinuncia al Tirolo meridionale.

Osservai che la politica riservava di queste sorprese e rifeci un poco la storia dei nostri rapporti a proposito dell'Austria dal luglio dello scorso anno in poi per dimostrare a S. E. Goering l'errore commesso a Berlino nel non togliere a Habicht qualsiasi ingerenza nelle cose austriache e deferirne la trattazione al tramite normale diplomatico. La divergenza fra Roma e Berlino consisteva infatti in ciò che noi consideravamo il problema austriaco eminentemente internazionale, mentre il Governo nazional-socialista lo considerava puramente nazionale, cosicchè noi eravamo stati costretti, per salvaguardare i nostri interessi i quali richiedono che l'indipendenza dell'Austria sia fuori discussione, a ricorrere a mezzi internazionali.

S. E. Goering ribattè in primo luogo che noi avevamo torto di non considerare Habicht come un uomo responsabile. Egli era il capo legittimo dei nazional-socialisti austriaci, vale a dire del partito politico più forte esistente in Austria.

Rilevai dal mio lato che noi non vedevamo in Habicht che un cittadino prussiano e quindi una persona non qualificata per occuparsi delle cose interne dell'Austria. «Anche il Fiihrer è un austriaco e ciò nonostante è Cancelliere del Reich » fu la risposta di Goering. «Ma prima di aspirare a diventarlo Hitler chiese ed ottenne la cittadinanza in Turingia, cioè in uno Stato tedesco che gliela concesse perchè era sin d'allora retta da un Governo nazional-socialista » fu la mia ripartita. « Vuol dire che si potrà far dare a Habicht la cittadinanza austriaca», ribattè Goering, ed io: «Di solito occorre che un Governo sia disposto ad accordarla». Domandai quindi molto calmamente a S. E. Goering come mai egli, che mi aveva poc·anzi dichiarato di non avere che scarsa fiducia in Habicht; dimostrasse ora di riscaldarsi tanto in suo favore. Erano precisamente queste le cose incomprensibili e che nuocevano ai nostri buoni rapporti. Fra Italia e Germania esisteva identità di vedute in tante questioni vitali che riusciva veramente stupefacente constatare come si volesse giocare l'amicizia dell'Italia su una carta di così poco pregio come quella rappresentata da Habicht.

S. E. Goering che si era andato calmando mi domandò a questo punto che cosa avrebbe fatto l'Italia se avesse avuto ai propri confini uno Stato puramente italiano di sei milioni di abitanti, la cui stragrande maggioranza desiderasse annettersi ad essa.

Risposi che la storia gli dava la risposta al posto mio. Il Conte di Cavour, Ministro del piccolo Regno di Sardegna, aveva agito in modo da fare discutere la questione italiana da un Congresso internazionale al quale chiese ed ottenne di partecipare. La soluzione del problema fu molteplice, ma partì da due atti internazionali: l'alleanza fra la Sardegna e l'Impero francese ed una guerra.

La politica dell'Italia nei riguardi dell'Austria era del resto una conseguenza logica di tutto il nostro passato politico. Bastava gettare uno sguardo sulla carta dell'Europa per rendersi conto che noi non potevamo essere indiffe:·enti alla scomparsa dell'Austria per ragioni politiche ed economiche e che pertanto non potevamo seguire una linea di condotta diversa da quella che stavamo svolgendo.

Credevo di poter assicurare S. E. Goering di una cosa: che durante il mio recente soggiorno a Roma· non avevo riscontrato nei circoli politici italiani alcun sentimento di gioia per la piega favorevole agli interessi italiani presa dagli affari austriaci, ma semplicemente una viva soddisfazione nel pensare che era stato eliminato, almeno lo si sperava, ogni motivo di divergenza fra l'Italia e la Germania. Aggiunsi che V. E. non mi aveva quasi parlato del problema austriaco mentre aveva mostrato grande interesse alla soluzione soddisfacente delle altre questioni vitali per la Germania che può contare ora, come in passato, sopra il valido aiuto dell'Italia.

S. E. Goering fu assai soddisfatto di questa comunicazione, disse che, contrariamente a quanto pensano molti nazional-socialisti dalle vedute meschine, Hitler e lui sapevano quello che avesse significato il trionfo del Fascismo per il successo del nazional-socialismo in Germania. Sapevano pure quello che aveva fatto V. E. per far trionfare i postulati legittimi della Germania e soprattutto si rendevano conto della luce smagliante che circonda la figura storica e politica di V. E. e del prestigio immenso del Suo nome. Ancora recentemente Hitler parlando con lui di V. E. si era espresso in termini che non erano soltanto di ammirazione, ma di devozione sincera.

Per queste ragioni egli 11ersisteva a credere che la politica di amicizia con l'Italia da lui preconizzata fosse buona e dovesse essere perseguita con ogni cura. Egli credeva ora come in passato che il problema austriaco, studiato dall'Italia e dalla Germania con la ferma intenzione di risolverlo, avrebbe potuto servire anzichè a indebolire, a rafforzare l'amicizia dei due Stati. La Germania non poteva rinunciare all'idea di incorporare un giorno un paese puramente tedesco come è l'Austria, ma essa era disposta a stabilire con noi che di tale soluzione non si parlasse, se così si voleva, per tutta la presente generazione.

Ancora una volta ebbi occasione di constatare qual'è la natura di S. E. Goering: uomo impulsivo, ma indubbiamente generoso; proclive ad irritarsi e quindi a ragionare male, ma disposto a ravvedersi di fronte alle obiezioni mossegli; tenace nelle sue idee politiche ma non al punto di escludere qualsiasi compromesso. Le conversazioni con lui si iniziano solitamente in una atmosfera assai buia per finire in un cielo limpido.

Il mio colloquio odierno ha confermato in me il convincimento che l'insuccesso del Governo nazional-socialista di fronte all'Austria è stato un colpo dolorosissimo le cui conseguenze si fanno tuttora sentire. Esso costituì infatti la rottura dell'incantesimo che il nazional-socialismo aveva saputo creare, incantesimo che aveva fatto credere alla stragrande maggioranza dei tedeschi che la Germania hitleriana tutto poteva osare, tutto poteva pretendere perché nessuno si sarebbe potuto opporre al suo volere.

219

IL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO (l)

N. RR. 807. Roma, 12 maggio 1934.

Nella riunione avvenuta il 7 corrente mese a Palazzo Venezia (2), ho sentito che S. E. il Generale Valle accennava alla necessità di avere in Eritrea qualche apparecchio a grande autonomia per poter bombardare Addis-Abeba.

V. E. soggiunse che ciò era necessario per attuare una provocazione decisiva. L'argomento, che evidentemente deve essere stato oggetto di intese fra

V. E. e S. E. Valle, oltrepassa molto la portata di un semplice particolare della preparazione, ed investe, a mio modo di vedere, uno dei più delicati punti della condotta della eventuale guerra fra noi e l'Abissinia.

Reputo pertanto mio dovere avere con V. E. uno scambio di vedute a questo riguardo, prima di sottoporre a S. E. il Capo del Governo la questione per la Sua decisione.

E se V. E. mi consente esprimerò per intero il mio pensiero su tutto quanto riguarda questo possibile conflitto per cui ci stiamo alacremente preparando.

La guerra con l'Abissinia è un avvenimento che noi dovremo affrontare se obbligati, ma che anche con risultato pienamente a noi favorevole, rappresenterà sempre per il Paese uno sforzo onerosissimo.

Calcoli pur approssimativi danno una spesa non lontana dai 6 miliardi, ossia all'incirca un terzo della nostra riserva aurea. Basta questa cifra per dire quanto nell'attuale stato della nostra finanza sia grave il compito che verremo ad assumerci.

Siffatta grave incisione nella finanza, apporterà come conseguenza che tutto il materiale (equipaggiamento, munizionamento, quadrupedi, etc.) che si sarà deteriorato nella campagna non potrà essere sostituito che assai lentamente nelle dotazioni dell'Esercito, come accadde nella spedizione Libica.

L'Esercito quindi attraverserà una doppia crisi: durante le operazioni, per la considerevole sottrazione di forze; dopo la campagna, per il lento rifornimento delle dotazioni.

Situazione questa assai delicata proprio in momenti come quelli attuali, e come saranno probabilmente anche in un prossimo futuro, nei quali l'instabilità dell'orizzonte politico può portare ad un cambiamento molto rapido delle situazioni, e tale da richiedere ad ogni Stato di essere nella massima pienezza dei propri mezzi.

In conclusione la polarizzazione del nostro sforzo in Africa avrà come conseguenza immediata quella di renderei meno efficienti in Europa per un tempo piuttosto lungo.

20 -Documenti diplornalici -Serle VII -Vol. XV

Bisogna inoltre tener presente gli utili che da tale azione noi potremmo ricavare. E' indubbio che nel caso, ripeto probabilissimo, di nostro successo metteremo a tacere le velleità abissine almeno per un cinquantennio; il che certo é da ritenersi come risultato apprezzabilissimo.

Meno favorevole invece si presenta la questione di un eventuale ingrandimento della nostra colonia, giacché, a parte il poco rendimento che potranno dare quelle terre che noi conosciamo già sino ad Amba-Alagi, sta il fatto che il bilancio coloniale si trova già ora in grande difficoltà per le necessità sempre crescenti delle attuali cololllie e dovrebbe attingere alla esausta finanza altre somme per la sonecita attrezzatura militare della parte conquistata.

E' proprio il caso, qui, di dire se il giuoco varrà la candela. Queste considerazioni io mi sono permesso di sottoporre all'esame di V. E., per venire ad una conclusione e cioè che: a noi non convenga di provocare, di deliberato proposito, una guerra con l'Abissinia, ma invece occorra prepararci

con il duplice scopo che i nostri apprestamenti frenino qualsiasi velleità del Negus, o, al caso peggiore, ci pongano in grado di uscire sicuramente vittoriosi dalla dura prova.

Questo concetto, a mio avviso, deve essere quello che deve regolare la linea nostra di condotta verso l'Abissinia, linea di condotta cioè materiata di alto senso di nazionale fierezza, senza però mai trascendere ad atti che rendano inevitabile una rottura, se questa eventualità può essere evitata.

Linea di condotta, ripeto, che deve dettar norme a tutti, ai Governatori delle due Colonie, ai Comandanti di truppe dislocate lungo i confini, ai funzionari nostri con missioni diplomatiche o consolari nell'interno dell'Impero.

Può darsi che nonostante questo nostro contegno risoluto ma pungente, il Negus, per cause che è inutile indagare, si decida ad una guerra contro di noi, si che noi, a tempo informati delle predisposizioni prese dal nemico, fossimo costretti a mobilitare le forze occorrenti e trasportarle in Eritrea.

In questo caso, dato che oramai lo sforzo è in gran parte fatto io convengo che sia da augurarci un urto decisivo dal quale possa risultare quella migliore situazione che noi ci auspichiamo.

Mi soffermo un po' su questo concetto. La campagna del Generale di San Marzano, non lasciò allora soddisfatto il Paese, sebbene nelle speciali condizioni in cui ci trovavamo sia stata condotta con una saggezza mai abbastanza lodata. L'effetto che si ottenne con essa non può dirsi che sia stato uguale a quelle che noi avremmo potuto conseguire con una battaglia favorevole ma in sostanza i risultati da noi ottenuti furono assai ragguardevoli, giacché potemmo subito occupare Cheren e poi stabilirei sull'altipiano.

Forse al giorno di oggi, considerato che il Negus attuale non ha la fama

del Negus Giovanni, una sua ritirata senza combattimento decisivo, specie ora

che fra il Negus Giovanni e lui ci fu Menelik II il vittorioso, potrebbe portare

a conseguenze per noi ancora più favorevoli che non nel 1886.

Ma un argomento è per noi tassativo in questa questione: se noi siamo costretti alla guerra dovremo ad ogni costo ricercare un successo decisivo mediante un combattimento che cancelli in quelle contrade il ricordo glorioso si, ma assai doloroso di Adua.

Concludendo: se costretti alla guerra noi dovremo anelare alla grande battaglia e far di tutto affinché questa avvenga, naturalmente nelle migliori condizioni per noi.

In questo caso io riconosco che davanti ad una eventuale indecisione del Negus ad attaccarci noi dovremo ricorrere a provocazioni che possano indurlo a prendere la decisione da noi auspicata.

Ma anche in questa ipotesi, il sistema di provocazione deve essere analizzato. La provocazione, in questo caso, deve ricercare il lato più sensibile dell'organismo abissino, senza mettere in cattiva luce la nostra azione presso l'opinione mondiale, che non sarà mai dalla nostra parte.

Ora io nego che un bombardamento di Addis-Abeba possa soddisfare alle due condizioni anzidette: ossia dichiaro che detta azione mentre non può essere determinante presso il Negus, per la relativa sensibilità dell'obiettivo stesso, ci metterà ancora più contro l'opinione mondiale.

La provocazione risolutiva potremo invece attenerla col bombardamento continuo delle masse di armati abissini in via di radunata o già radunati, azione questa che -se metodicamente e potentemente condotta -deve porre l'avversario nel dilemma immediato: o ritirarsi prontamente o attaccarci.

Azione questa, soggiungo, perfettamente ammessa dalle consuetudini di guerra e tale perciò da non sollevare correnti a noi poco favorevoli. A questa azione dell'aviazione potrà essere associata l'azione di bande di armati che mantengano in continuo allarme il nemico.

Così come vedo io la questione, non sarebbe dunque necessario cercare nel materiale di aviazione che noi dovremo inviare laggiù una speciale caratteristica di autonomia.

Basterebbe attenerci ai tipi recentemente avviati, il che faciliterebbe anche un rapido apprestamento. Sarei grato a V. E. se volesse farmi conoscere quale sia, sugli argomenti da me trattati, il Suo apprezzamento (1).

In tutti gli elementi costitutivi del potenziale militare;

30) che per questa preparazione occorrono tre anni;

40) che durante questo periodo è Indispensabile cloroformizzare centro e periferia del

l'Impero Abissino In modo da dare Il più possibile garanzia che noi non abbiamo intenzioni aggressive ». L'intera lettera, proveniente da ACS, Fondo Badoglio, è edita In RocHAT, pp. 349-351.

(l) -Ed. in ROCHAT, pp. 324-327 e parzialmente in DE FELICE, pp. 634-635. (2) -Di questa riunione, alla quale parteciparono Musso!ini, De Bono, Balstrocchi, Valle, Badoglio e Bonzani, nel corso della quale si esaminarono varie questioni tecniche relative alle operazioni in Eritrea, non si pubblica il verbale.

(l) Cfr. anche quanto scriveva Badoglio a Mussolini con una lettera rr. p. del 29 maggio: «Le conclusioni alle quali V. E. è pervenuta ieri dopo l'esame del memoriale redatto dal Colonnello Visconti Prasca sono le seguenti: lo) che l'apprestamento bellico dell'Eritrea, di fronte ad un attacco abissino, specie se questo è condotto con celerità, si può definire molto precario e tale da non darci garanzia di poter superare la prova con assoluta certezza; zo) che occorre attivare tutte le provvidenze per attrezzare convenientemente la Colonia

220

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1776/26 R. Ginevra, 13 maggio 1934, ore 14,05 (per. ore 16,15).

Comitato della Sarre si è riunito oggi quinta volta. Riassunto stato attuale dei lavori, si è iniziata discussione circa spese relative al plebiscito e modo di farvi fronte: all'uopo è stata data lettura di un rapporto redatto dal comitato finanziario Lega delle Nazioni che il signor Nemayer ha poi opportunamente illustrato. Discussione è continuata con esame possibili circoscrizioni elettorali che sono state meglio definite attenendosi alla lettera del trattato, ma rinviandone la precisa definizione in relazione alle conclusioni di quella che sarà l'ultima parte dei lavori del comitato. Alla fine della seconda seduta ho informato i miei colleghi circa lo stato delle trattative da me avviate, per loro incarico, per cercare di ottenere dalla Francia e dalla Germania una soddisfacente assicurazione per coloro che avessero votato contrariamente a quello che sarà il risultato del plebiscito. Al riguardo ho esposto i precedenti che V. E. già conosce, e cioè il contenuto della prima risposta germanica assolutamente negativa ed intransigente alle mie prime aperture; come in seguito mie insistenze Governo germanico aveva consentito riesaminare questione e detto di esser disposto a reagire benevolmente ad una eventuale dichiarazione del Consiglio re lativa alla sicurezza dei votanti ma Germania chiedeva che contemporaneamente si procede,sse alla fissata rinrganizzazione della data plebiscito; che in seguito a mia nuova dichiaral'lione che una semplice ed anodina irntenzione quale quella manifestata era assolutamente insufficiente per determinare il consiglio e fissare una data, Governo germanico aveva promesso di riesaminare ancora una volta la questione e far conoscere suo pensiero definitivo. Risposta tedesca pervenuta oggi nel pomeriggio mi è stata comunicata da questo console Germania. Sostanzialmente Governo germanico accetta una mia azione fatta a titolo personale e concepita nel senso che il comitato dei tre proponga al Consiglio una risoluzione con la quale esso Consiglio constata che il trattato di Versailles impegna tutti i firmatari tra i quali in primo luogo Germania e Francia per assicurare un plebiscito litero ed indipendente e che il Consigho inviti per conseguenza la Germania e la Francia a confermare questi impegni. Governo germanico si dichiara pronto a fare questa solenne conferma e chiede che la formula gli sia fatta conoscere prima di essere sottoposta al Consiglio e che il Consiglio stesso fissi la data del plebiscito in questa sessione. Colleghi del comitato hanno preso atto con compiacimento del risultato di queste prime conversazioni incaricandomi di proseguirle. Mi propongo di trattare colla delegazione francese non appena essa giungerà a Ginevra e malgrado notevole divergenza che ancora sussiste fra i punti di vista francese e tedesco, concretare una formula che possa essere accettata dalle parti e conforme alle direttive impartite da V. E.

221

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1780/45 R. Gedda, 13 maggio 1934, ore 14,30 (per. ore 20,30).

Telegrammi di V. E. n. 27, 29 (l) e 30 (2). Soltanto ieri sera mi è stato possibile di avere un colloquio con Fuad Hamza il quale trovavasi a Taif ed è venuto espressamente a Gedda per vedermi.

l. -Circa invio nave e sbarco marinai Hodeida, questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri ringrazia vivamente V. E. per i cortesi chiarimenti fornitigli in merito e mi ha detto che il Governo saudiano non aveva mai dubitato dello spirito amichevole che aveva ispirato i predetti provvedimenti. Mi ha fatto un accenno a un cordiale colloquio tra Faisal e comandante R. nave.

2. -Prendendo lo spunto dall'occupazione di Hodeida ho parlato a lungo con Fuad Hamza dei rapporti economici italo-saudiani.

Egli mi ha assicurato che Governo Ibn Saud nel suo interesse stesso vede con favore lo sviluppo di detti rapporti ed ha espresso il desiderio che siano intensificati i traffici marittimi tra i porti dell'Eritrea Hodeida e Gedda.

3. -Attenendomi alle istruzioni contenute nel telegramma di V. E. n. 29 ho dichiarato a Fuad Hamza che R. Governo intende mantenersi fedele durante presente conflitto alla linea di neutralità che ha caratterizzato i suoi rapporti con Governo Ibn Saud. Sottosegretario di Stato per gli affari esteri dimostrandosi molto soddisfatto per le mie dichiarazioni. mi ha pregato di esprimere a

V. E. la sua gratitudine. Non ho mancato nel mio colloquio di porre in rilievo l'interesse del Governo italiano di vedere cessare le ostilità.

A tale riguardo Fuad Hamza in via confidenziale mi ha detto El Uazir delegato yemenita che trovasi attualmente a Taif aveva proposto a Ibn Saud di sospendere le ostilità impegnandosi di telegrafare all'Imam per indurlo ad accettare ed eseguire tre note condizioni.

Non può affermarsi che vi sia un vere srmistizio ma di fatto le ostilità sono sospese.

4. -Ho comunicato infine a Fuad Hamza la nomina del signor Jamiceli commissario.

Egli sulle prime si è mostrato diffidente ed ho dovuto lungamente spiegargli il carattere della missione ufficiosa del predetto funzionario.

Prego avvertire opportm:amente di quanto precede cc.ùcsto Governo, prospettando convenienza che autorità suuc:iane di occupazione in .Hodeida ricevano istruzioni facilitare opera del signor Jamiceli ».

Sottosegretario di Stato per gli affari esteri si è mostrato infine convinto e mi ha assicurato che avrebbe sottoposto la questione alla approvazione del suo Sovrano che crede sarà favorevole dati i sentimenti amichevoli che Ibn Saud nutre per l'Italia (l).

Quanto missione Tassi, Fuad Hamza ha riconosciuto pienamente suo lato umanitario e ringrazia per l'eventuale assistenza che questi presterà ai saudiani.

(l) -Cfr. nn. 199 e 207. (2) -Con t. 600/30 R. dell'll maggio Suvie h aveva comunicato a Persico: «In vista ritiro reparti italiani sbarcati Hodeida e dati rEevanti interessi nostri in quel porto, R. Governo ha ritenuto opportuno inviare d'urgenza colà persona con l'incarico ufficioso di agente di colle;:amento fra le autorità saudianc di occupazione c la colonia ed istituzioni italiane, ... È stato prescc!to a tal uopo funzionario Jamiceli ...
222

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 610/83 R. Roma, 13 maggio 1934, ore 19,30.

La S. V. voglia esprimere al presidente del consiglio la nostra sorpresa per la presentazione della nota a Ginevra (2) senza averci prima informati. Voglia anche sentire le ragioni particolari che hanno determinato questa mossa anche con riguardo alla scelta del momento.

223

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1781/140 R. Washington, 13 maggio 1934, ore 21,36 (per. ore 6,45 del 14).

Mio telegramma n. 106 (3)

Mettendo insieme quanto mi è stato detto giovedi scorso da segretario di Stato con notizie raccolte successivamente in questi circoli politici e giornalistici credo potere azzardare seguenti previsioni circa prossimi sviluppi della questione dei debiti:

Dipartimento di Stato invierà quanto prima ai paesi debitori comunicazione indicante ammontare delle somme dovute alla scadenza del 15 giugno.

A sua volta presidente invierà al Congresso messaggio col quale molto probabilmente si limiterà a fare esposizione dello stato attuale dei debiti di guerra senza avanzare proposte e senza chiedere all'assemblea poteri speciali per negoziare nuovi accordi.

Ritengo che presidente si asterrà anche dal sottoporre progetto di accordo con Finlandia perchè mi risulta da buona fonte che influenti parlamentari fra cui senatore Borah hanno recentemente avvertito Casa Bianca che tale progetto non avrebbe in questo momento alcuna probabilità di ottenere approvazione del Senato.

Non si può escludere che fra comunicazione del Dipartimento di Stato e messaggio presidenziale possa correre un certo tempo durante il quale presidente cercherà di esercitare pressione per spingere paesi debitori ad effettuare pagamenti.

Comunque dopo queste due comunicazioni, con le quali Governo degli Stati Uniti avrà puramente e semplicemente sollecitato adempimento delle obbligazioni presidente attenderà che ciascun Governo debitore prenda posizione cioè lascerà ad essi iniziativa di offrire eventualmente pagamenti parziali e di risailevare questione della revisione degli accordi in vigore.

Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (1).

(l) -Con t. 1865/50 R. del 18 maggio Persico comunicò che Il Governo saudlano aveva dichiarato d! non poter riconoscere a Jamicell alcuna qualità ufficiale diplomatica né consolare. suvlch rispose con t. 676/36 R. del 22 maggio d! non aver mai Inteso accreditare Jamlcell In tale qualità ma di affidargli una funzione d! collegamento fra le autorità saudiane d! occupazione e la colonia Italiana d! Hodelda. Persico telegrafò Il 27 maggio (t. 1993/54 R.) d! aver ottenuto l'assenso di Fuad Hamza. (2) -Sugli Incidenti di frontiera fra Ungheria e Jugoslavia. (3) -Riferimento errato, trattasi del t. 1394/107 R. del 14 aprile, non pubblicato. con Il quale Rosso comunicava che Il presidente aveva firmato una legge contenente Il divieto di aiuto finanziario per i paesi che non avevano fatto onore alle proprie obbligazioni.
224

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1783/141 R. Washington, 13 maggio 1934, ore 21,37 (per. ore 6,45 del 14).

Il presente telegramma fa seguito al numero precedente (2).

Presidente si [riserva] di decidere circa accettazione dei pagamenti parziali che venissero offerti a seconda dell'entità e della forma dell'offerta stessa e non rifiuterà di ascoltare ragioni che verranno fatte valere in favore di una nuova sistemazione dei debiti.

Tale esame verrà fatto caso per caso secondo proprio merito, presidente avendo fatto comprendere molto chiaramente che non è disposto a discutere questione generale dei debiti di guerra cumulativamente con tutti i debitori.

Quanto alla legge Johnson è ormai evidente che presidente non potrà più considerare pagamenti parziali un motivo sufficiente per dichiarare che paese debitore non è inadempiente ma quasi certamente eviterà di fare dichiarazioni di default nell'atto di accettare tali pagamenti.

In conclusione presidente calcola lasciare porta aperta per eventuali negoziati.

Non ritengo che egli si faccia soverchie illusioni sulla probabilità di ottenere risultati immediati perchè differenza fra quanto debitori sono disposti ad offrire e quanto presidente potrebbe utilmente raccomandare al Congresso come offerte accettabili è ancora troppo grande per giustificare ottimismo a

riguardo. Sua tattica mira più che altro a guadagnare [tempo] evitando che situazione nuova creata da legge Johnson conduca ad una astensione generale da qualsiasi pagamento con apparenza di fronte comune dei debitori.

È mio convincimento che presidente desideri evitare alla prossima scadenza crisi acuta dei debiti di guerra anche per ragioni di politica generale facilmente apprezzabili nelle presenti condizioni dei rapporti fra Stati Uniti e Giappone.

Previsioni che sembrano giustificate allo stato attuale delle cose ed ho creduto opportuno sottometterle a V. E. come elemento di giudizio sulla situazione, pur facendo debite riserve per cambiamenti che potrebbero essere causati da fatti nuovi oggi non prevedibili.

(l) -Cfr. n. 224. (2) -Cfr. n. 223.
225

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 1789/f?. N. R. Bucarest, 14 maggio 1934, ore 13 (per. ore 15,15).

Tevfik Ruschdi bey ha fatto iersera conoscere a questa legazione d'Ungheria che nel suo viaggio da Belgrado a v,ienna non si [fermerà] a Budapest ma che trattenendosi 5 o 6 giorni 1:,1, Vienna confida potere fa,re una breve puntata a Budapest per incontrarsi con Gtimbtis e Kanya (1).

226

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1793/95 R. Budapest, 14 maggio 1934, ore 16,40 (per. ore 20,30).

Mia Stefani n. 4575 (2).

Data feria domenicale è stato possibile parlare soltanto stamane in questo ministero affari esteri col direttore affari politici, cui è stato chiesto anzitutto se sulla cosa, tramite codesta legazione d'Ungheria, fosse stato consultato R. Governo.

Apor ha risposto avere barone Villani ricevuto ieri istruzioni portare a cono1:cenza di V. E. testo nota e ragioni che ne hanno suggerito presentazione, chi€dendo in pari tempo nostro appoggio in Consiglio.

I-:::a aggiunto che il Governo magiaro, pur non facendosi soverchie illusioni circa seguito materiale che nota avrebbe avuto nella procedura societaria, aveva

inteso con essa attirare attenzione opinione pubblica europea su inammissibile modo procedere Governo jugoslavo per esercitare su quest'ultimo pressione atta modificare finalmente atteggiamento; che il Governo ungherese, prevedendo discussione avrebbe avuto luogo soltanto a settembre, aveva contato però avere tempo preparare accuratamente questione; che redazione nota era stata ultimata soltanto alla vigilia presentazione.

Mia prima impressione è che, irritato dal tono delle risposte serbe e desideroso secondo il suo solito attuare « politica mano libera » ungherese, questo ministro Esteri abbia preso senza presentirci una iniziativa cui ripercussioni e sviluppi appaiono ora forse più ampi e solleciti di quanto egli non prevedesse.

Di tutto parlerò al presidente del Consiglio, che rientrerà in città domani mattina, e ne telegraferò risposta E. V. (1).

(l) -Annotazione a margine di Suvich: «Far sapere a Budapest e Vienna che gli parlino fuori dei denti». Cfr. n. 265. (2) -Non si pubblica.
227

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 614/21 R. Roma, 14 maggio 1934, ore 17,30.

Attiro sua attenzione sul telegramma n. 79 in data 11 corrente (2) e sul rapporto n. 749 in data 29 aprile (3) entrambi del R. ambasciatore in Mosca. Ricordo inoltre come atteggiamento che Russia accenna assumere in sede conferenza disarmo è stato già preannunciato dal delegato russo nell'ultima seduta del Bureau il 10 aprile u.s.

Interesseranno le impressioni sia ambienti S.d.N. sia degli uomini politici convenuti Ginevra circa iniziativa di Litvinov che, continuando e svolgendo indirizzi già caldeggiati dalla Russia in materia di sicurezza fin dallo scorso anno, tenderebbero a trasformare conferenza disarmo in una conferenza per la sicurezza senza e contro la Germania.

228

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 1796/159 R. Berlino, 14 maggio 1934, ore 21,10 {per. ore 0,30 del 15).

Mi riferisco alla mia comunicazione telefonica del 12 corr. circa la sospensione del viaggio a Roma di Goering (4). Quando egli mi disse che sarebbe

volato direttamente da Breslavia ad Atene passando sui Balcani aggiunse che

in qualche località avrebbe dovuto scendere per rifornirsi di benzina.

Ebbi il dubbio che si trattasse di Belgrado.

Iersera il mio collega francese spontaneamente mi chiese se sapevo cne Goering contava andare ad Atene passando per Belgrado. In seguito a ciò stamane mi sono recato dal barone von Neurath e gli ho detto in via personale che Goering poteva naturalmente fare. quello che meglio gli piaceva, ma non doveva però stupirsi se i suoi viaggi dessero eventualmente luogo in Italia a commenti agrodolci.

Von Neurath fu sorpreso dalla mia comunicazione perché egli aveva ricevuto da Goering la sera dell'll la richiesta di avvertire l'ambasciata di Germania a Roma del suo arrivo il 12 mattina. Non gli era stato notificato il mutamento di itinerario e tanto meno il proposito di fermarsi a Belgrado.

Ministro degli affari esteri mi sembrò seccato di questa intenzione di Goering e mi disse che gli era stato soltanto comunicato che al ritorno da Atene Goering contava fermarsi a Sofia per far visita al Re Boris e poi a Budapest.

Mi promise di informarsi appena Goering rientrasse a Berlino dal suo chalet . di caccia e di riferirmi quanto avrebbe appreso.

(l) -Cfr. n. 234. (2) -Cfr. n. 208. (3) -Non pubblicato. (4) -N:n è staco rinvenuto alcun appunto in proposito ma cfr. n. 205, nota 2, e n. 215.
229

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL CAPO DELLA SEZIONE ACCORDI COMMERCIALI DEL MINISTERO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHOLLER

APPUNTO. Roma, 14 maggio 1934.

Il Ministro Schiiller ha incarico dal Cancelliere di rettificare una indicazione della nota trasmessa tempo addietro sull'insegnamento privato tedesco nell'Alto Adige.

Nella nota era detto «istruzione nella lingua tedesca~. Andava detto invece: « istruzione della lingua tedesca ~.

Il Cancelliere prega vivamente perché gli si faccia avere una risposta. Ora nell'Alto Adige vi è una grossa agitazione provocata dai nazional-socialisti i quali tacciano il Cancelliere di traditore per la questione del Stidtyrol.

Bisogna rendersi conto delle difficoltà del Cancelliere in tale riguardo per cui una nostra concessione, anche così limitata come egli ha chiesto, gli potrebbe essere di grandissimo aiuto.

Il Ministro Schtiller osserva anche che Goering aveva detto al Capo del Governo che la questione dell'Alto Adige era una questione sepolta mentre i nazional-socialisti la sbandierano in pieno.

Schtiller parlandomi dell'accordo tedesco-ungherese osserva che si tratta

di «ein schabiger Vertrag :.. Tutto si riduce a 500 mila quintali di grano senza

nessuna garanzia per il prezzo. Ora, gli consta, che anche per questa concessione

tedeschi fanno ogni sorta di difficoltà.

Egli ritiene che un altro «bluff» sia l'accordo tedesco-jugoslavo.

230

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 407/253. Tokio, 14 maggio 1934.

Poiché V. E. con il telegramma n. 41 (l) mi aveva dato istruzione di dichiarare a Hirota, presentandosene l'opportunità, quale fosse il nostro contegno nei riguardi del comunicato giapponese, attesi per qualche giorno ma inutilmente tale opportunità. Decisi quindi di andarlo a visitare (7 maggio). Gli smentii innanzi tutto così la voce di una nostra supposta intenzione di capeggiare una fronte economica internazionale anti-giapponese, come quella d'una asserita nostra richiesta di solidarietà inglese contro le esportazioni cotoniere giapponesi in Etiopia; nulla aggiunsi oltre quello che avevo avuto istruzione di comunicare. Neanche Hirota aggiunse checchessia: si limitò a ascoltarmi, con aspetto di chi non abbia mai prestato fede all'una e all'altra voce ma pure si compiaccia del segno di premura e considerazione dato con lo smentirle. Poi siccome nulla mi ·diceva che potesse offrirmi modo di comunicargli, quasi in risposta, la seconda e più importante parte delle istruzioni di V. E., quella cioè del nostro contegno nei riguardi del comunicato, credetti bene fargli senz'altra attesa la dichiarazione prescrittami. Hirota non mutò il cortese sorriso con cui mi aveva accolto fin dal mio entrare nel suo studio, ascoltò serenamente e mostrò solo un vago desiderio d'avere qualche maggiore particolare. Gli osservai che non potevo dirgli più di quanto sapessi io stesso, e ad abundantiam (e anche per evitare malintesi che la non ottima conoscenza di Hirota della lingua inglese potrebbe giustificare) gli ripetetti le istruzioni datemi da V. E. Non sapevo infatti in quel momento null'altro, perché il telegramma di V. E. n. 543/C. (2), in cui è chiarito il punto di vista del R. Governo nella questione, mi è gLunto parecchi giorni dopo (11 corrente). Aggiunsi a Hirota che forse l'ambasciatore giapponese a Roma, se aveva intrattenuto della cosa codesto R. Governo, come secondo questi giornali aveva fatto con il Quai d'Orsay quell'ambasciatore del Giappone, aveva già potuto fornire qui qualche maggiore informazione sul nostro contegno. Hirota replicò che nessuna istruzione aveva dato a Matsushima di fare speciali dichiarazioni al Governo italiano, così come non ne aveva date a Sato a Parigi nei riguardi di quel governo: a Parigi l'ambasciata giapponese si era limitata a inviare un suo segretario al Quai d'Orsay per consegnare .copia del comunicato ufficiale giapponese; se volevo, la avrebbe data anche a me. Poiché avevo già dichiarato quale fosse l'atteggiamento del R. Governo di fronte al comunicato, la consegna ufficiale del testo, avvenendo posteriormente a tale dichiarazione, non aveva più neanche un significato formale, e perciò ringraziai il ministro. Gli chiesi poi se fosse vera la notizia di questa stampa secondo cui egli stava redigendo un contromemorandum, come replica all'americano. Mi rispose non aver nulla ancora deciso; preferire, se possibile, astenersene; intendere farlo soltanto ove ne vedesse la necessità. E siccome pareva attendere la

mia opinione, gli osservai sembrarmi preferibile non inasprire maggiormente la situazione: il Giappone ha ora contro di sè, può dirsi, tutto il mondo civile a causa della sua concorrenza commerciale, e questa non mi pareva una favorevole premessa per un'azione politica anche maggiormente battagliera contro gli interessi di più o meno tutte le altre grandi potenze. Hirota mostrò consentire con me nelle ragioni e nella conclusione.

Qui finì il colloquio, cui, ripeto, Hirota volle mantenere un carattere, con mia stessa meraviglia, di serena cordialità.

Il giorno dopo lessi nei giornali le notizie che accludo in ritaglio (l). Nessuno era stato presente al colloquio, e io non avevo parlato con nessuno della mia conversazione con questo ministro degli affari esteri. È quindi indubbio che egli stesso ha dato su di essa alcune informazioni, su cui poi la stampa si è sbizzarrita. Tutto quello di cui essa dice avrei parlato con Hirota e che non appare in quello che ho sopra esposto è pura invenzione. Non vi è da stupirsene: la stampa giapponese non difetta di fantasia, e tutti i miei colleghi lo sanno per prova. Del resto anche per quanto riguarda me stesso, questa non è la prima esperienza; uno dei maggiori giornali di Tokio m'ha attribuito alcuni giudizi su un'esposizione d'arte antica, da me visitata, ch'io non ho punto fatti.

L'interessante è che Hirota, mentre ha parlato alla stampa dell'accessorio le ha taciuto il principale, e cioè il nostro punto di vista contrario al giapponese e la nostra riserva di libertà d'azione in Cina nei limiti dei trattati. È evidente che questa notizia sarebbe stata sfruttata a suo danno: egli vuol mostrare che, facendo a suo modo, si ottengono gli stessi vantaggi in Cina e si evitano gli svantaggi delle opposizioni che, facendo a modo dei militari, si suscitano nelle altre grandi potenze. Forse per questo ha voluto accogliere con sorridente serenità anche le nostre dichiarazioni quantunque non favorevoli: un suo contegno diverso avrebbe potuto impedirgli poi di non tenerne affatto parola alla stampa.

(l) -Cfr. n. 164. (2) -Cfr. n. 163.
231

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

'I'ELESPR. R. 1952/1014. Vienna, 14 maggio 1934 (per. il 16).

L'attività terroristica, che è andata sempre più palesandosi nelle ultime tre settimane, ha raggiunto, cogli attentati verificatisi nel Salisburghese (mio telespresso n. 994 dell'l! corrente) (2), forme di una certa gravità, lasciando esse presumere l'esecuzione di un piano prestabilito.

Difatti, su questo preciso punto vertevano i maggiori dubbi di queste sfere direttive, propense fino an'altro giorno a ritenere:

l) che la «sporadicità» degli attentati attestasse piuttosto la mancanza di m:ca p:·evia organizzazione, e ciò tanto più in quanto risultava che se Monaco

« ... Circa l'attentato perpetrato sul campo di aviazione eli Salisburgo e gli altri atti di sabotazgio ffltti nel Salisburghese, è uscito btarnane un con1unicato governativo, il quale in1'onna che ·altro ieri sera sono scoppi2.ti a Sa~isburgo lxn dieci petardi>>.

cercava attivare in Austria il movimento di mera propaganda, sconsigliava invece il ricorso alle azioni violente;

2) che le persone degli attentatori lasciavano il dubbio che le loro delittuose azioni fossero da ascriversi a moti individuali, compiuti nella speranza dell'impunità, giustificata dalla fiducia che le autorità avrebbero fermato i loro sospetti essenzialmente su dichiarati e noti nazisti, comunisti o socialisti;

3) e che infine il nazismo appariva, in genere, perdere terreno, tanto che mentre vecchie e note società pangermaniste come la «Deutscher Schulverein Sildmark » avevano chiesto e non ancora ottenuto di entrare nel Fronte Patriottico, sempre più si palesava d'altra parte la tendenza dei socialisti, già cosi fortemente colpiti, a non voler incorrere nei nuovi rischi in un eventuale loro affratellamento cogli attivisti nazisti.

Queste ed altre argomentazioni, formulate anche dal Ballplatz, sono state però messe a tacere di fronte agli attentati perpetrati nel Salisburghese, in occasione del viaggio compiuto colà dal Cancelliere e dal Principe Starhemberg. Adesso infatti si sostiene che, pur non potendosi ancora parlare d'un generale movimento terrorista direttamente ispirato da Berlino, tuttavia andrebbe sempre più apparendo che sia in Germania che in Austria si sono formate nel campo nazista due nette divisioni: l'una moderata e l'altra estremista.

Siffatta induzione del Ballplatz si basa sulle seguenti circostanze:

l) elle dall'inchiesta eseguita nei riguardi del giovane studente tedesco venuto in Austria con l'intenzione di attentare alla vita del Cancelliere, ed arrestato in seguito alle indicazioni pervenute da Berlino, è risultato che egli apparteneva alla Hitler-Jugend di Dresda; che questa associazione è divisa in due frazioni: l'una estremista, alla quale apparteneva lo studente in questione, e l'altra moderata, che aveva creduto di denunziare alle autorità di polizia il criminale piano dello studente militante nella frazione avversaria;

2) che dalle notizie provenienti dalla Germania si è indotti a ritenere che mentre la direzione vera e propria del partito nazionalsocialista è proclive a mantenersi nei riguardi dell'Austria, su linee di moderazione, una frazione di esso, cui apparterrebbe l'Habicht, agirebbe autonomamente, fomentando ed istigando violenze del genere di quelle di Salisburgo;

3) che infine una medesima constatazione può farsi in Austria, dove il nazismo locale apparirebbe anch'esso diviso in due campi: l'uno moderato, e del quale farebbero parte il Frauenfeld, il Riehl ecc., e l'altro attivista e terrorista, facente capo ad individui non ancora rintracciati.

Ciò premesso, è da rilevare che il Cancelliere e Starhemberg, pur avendo parlato a Salisburgo mentre ancor durava l'eco degli attentati consumati o mancati, hanno entrambi accennato alla loro disposizione a stender la mano agli avversari politici, senza procedere a nessuna minaccia o formulare ritorsioni per l'avvenire. Il che farebbe supporre che le prime ottimistiche interpretazioni, più innanzi riferite, rispondevano sopratutto allo scopo di non aggravare la tensione nei riguardi del nazionalsocialismo e forse anche a quello di evitare ogni sospetto che la grave crescente attività nazista potesse essere in rapporto coi cambiamenti sopravvenuti nel governo e nella nuova organizzazione delle forze patriottiche.

Come che sia a quest'ultima versione si è strettamente attenuto meco il Ministro della Sicurezza Fey, cui ho chiesto l'altro giorno il suo giudizio sui gravi fatti del Salisburghese.

Riassumo qui appresso le lunghe dichiarazioni del Fey, perché esse, pur tenendo conto del naturale risentimento del suo animo e quindi della sua tendenza a vedere in ogni avvenimento la prova del fondamento dei suoi avvertimenti e del suo pensiero politico -mio telegramma per corriere n. 078 del 26 aprile -(l) additano sempre il maleficio di quel dualismo di tendenze, fra il Fey e lo Starhemberg, che mi permisi di rappresentare a V. E., nel corso stesso della crisi c~l mio telegramma per corriere sopracitato.

In succinto il Fey mi ha esposto il concetto che il risveglio dei nazisti, più che a direttive di Berlino e di Monaco, sia dovuto:

l) al malcontento della maggioranza della popolazione, delusa di vedere anteposta ai principi fascisti la tendenza clericaleggiante; 2) alla crescente riduzione degli effettivi dello Schutzkorps (a tal riguardo egli ha ironicamete detto: si teme forse un mio colpo di Stato?); 3) al peggiorato morale di detto corpo, in seguito alle diminuzioni degli assegni; 4) all'azione del signor Habicht che, messo in disparte, andrebbe istigando i nazi austriaci, nella speranza che l'eventuale successo della violenza, da lui sempre patrocinata come unico adeguato mezzo di lotta, possa rimetterlo in auge a Berlino; 5) alla delusione di molti patrioti che si incamminerebbero, per via d'attrazione, verso il nazismo; 6) ed infine allo scontento di molti heimwehristi per la partecipazione dello Starhemberg al governo e per la di lui conseguente remissività al Cancelliere.

Da quanto precede V. E. osserverà come la ripresa dell'attività nazista, oltre ad esser riferita -a seconda del rispettivo punto di vista politico dei miei interlocutori -a cause diverse, sia stata e sia interpretata dalle sfere governative in maniera che vuol quasi escludere una diretta fomentazione e responsabilità da parte dei gerarchi del pal'tito nazionalsocialista tedesco.

(l) -Non si pubblil'ano. (2) -Te:espr. 1S21/SS4, non pubblicato; riferiva, tra l'altro, quanto sebue:
232

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 621/68 R. Roma, 15 maggio 1934, ore 1.

Per sua informazione comunico che non eravamo affatto al corrente del memoriale presentato da Ungheria a Ginevra. Se le vengono chieste informazioni al riguardo ri~ponda di non essere al corrente e riferisca.

(1) Cfr. n. 151.

233

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 1816/184 R. Vienna, 15 maggio 1934, ore 19,40 (per. ore 23).

Ho fatto comunicazione di cui al suo telegramma n. 583 per corriere (1). Cancelliere nel ringraziare profondamente V. E., le esprime viva preghiera voler considerare possibilità che vengano date formali assicurazioni, oltre che per indipendenza politica, anche per non immistione negli affari interni Austria.

234

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1808/97 R. Budapest, 15 maggio 1934, ore 19,45 (per. ore 21,30).

Telegramma di V. E. n. 83 (2) e mio telegramma n. 95 (3). Mi sono espresso testè con questo presidente del consiglio nel senso prescrittomi. Mi ha risposto: «Riconosco perfettamente che si sarebbe dovuto consultare prima Roma; l'omissione mi rincresce molto (ripeto molto).

Ne porto la responsabilità perché ho autorizzato Kanya a presentare la nota che egli ha voluto e cui io non ho attribuito .importanza particolare tanto che non l'ho neppure letta integralmente ;,),

Segue rapporto per corriere.

235

IL REGGENTE L'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COSMELLI, ALL'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE

L. 4001. Roma, 15 maggio 1934.

Varata oggi la riforma costituzionale e malgrado i nuovi ultimi incidenti normalizzata maggiormente la situazione, saremmo venuti nella determinazione di dare maggior sviluppo alla propaganda ed alle relazioni culturali tra i due Paesi.

Per 11 Campo Austria, Ella sa già che è cosa decisa e che se ne sta occupando

con la consueta diligenza la Direzione Generale degli Italiani all'Estero.

Vi è poi in corso già da tempo la proposta per la fondazione a Vienna di un Istituto di alta cultura italiana. Vedremo di tener viva la cosa perché possa approdare a qualche realizzazione.

Vi sono poi delle 1niziative o nuove o da intensificare su cui desidererei aver il parere ed i suggerimenti Suoi. Preciso qualche punto:

a) -Organizzazione di viaggi collettivi di giornalisti studenti, professionisti austriaci in Italia e viceversa. Credo necessari degli aiuti economici oltre le facilitazioni di uso. Inutile dire che preferirei di gran lunga escludere qualsiasi particolare aggravio finanziario.

b) -Si potrebbero intensificare le pubblicazioni nelle rispettive stampe riguardanti i due Paesi dando maggiore sviluppo alla parte sociale, artistica, storica con intendimenti simili a quelli perseguiti dagli Enti turistici per far conoscere i Paesi stranieri. Si potrebbe anche vedere di pubblicare qualche numero unico da parte di giornali a vasta diffusione.

c) -Si potrebbe sviluppare gli scambi di conferenzieri in vista. Consta di personalità italiane che sono venute in Austria a tenere conferenze, ma non di personalità austriache venute in Italia.

d) -Si potrebbe anche in relazione alla lettera a) rendere più facile ad organizzare l'afflusso di italiani e reciprocamente di austriaci alle manifestazioni culturali, artistiche e musicali che hanno luogo in Austria a Vienna ed a Salisburgo, ed in Italia in varie città.

Come si presenta attualmente la situazione, per quanto a Lei consta e consti costì, alle Delegazioni dell'E.N.I.T. e della C.T. T.?

e) -Stiamo studiando di dare anche maggiori facilitazioni ai giovani austriaci che volessero intervenire ai corsi estivi per gli stranieri che, come Ella sa, si tengono in molte Università Italiane durante l'estate (l).

(l) -Cfr. n. 197. (2) -Cfr. n. 222. (3) -C!r. n. 226.
236

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1942/786. Berlino, 15 maggio 1934.

Mi riferisco ai miei due telegrammi di ieri ed oggi nn. 159 (2) e 162 (3).

s. E. Goering mi pregò di passare da lui stamane e mi disse di essere stato stupito di avere appreso dal Barone von Neurath che io avevo espresso certi ti

mori a proposito dei commenti a cui avrebbe potuto dar luogo nella stampa italiana il viaggio che egli si proponeva fare recandosi in volo in Grecia, passando sopra i Balcani. Egli mi aveva infatti informato che era sua intenzione di atterrare a Belgrado per pernottarvi e fare rifornimento di carburante ed io non avevo obiettato nulla.

Pregai S. E. Goering di ricordare che nella conversazione avuta meco il 12 corrente egli aveva semplicemente ed incidentalmente detto che nel volare ad Atene avrebbe dovuto pur far scalo in qualche punto. Avevo dal canto mio rilevato la sua reticenza nel precisare la località dove avrebbe sostato ed avevo· naturalmente pensato a Belgrado. Quando appresi dal mio collega di Francia che egli sarebbe realmente sceso a Belgrado avevo creduto intrattenere della cosa il Barone von Neurath perché era mio dovere di vigilare affinché fosse nella misura del possibile evitata o prevenuta ogni causa di malintesi fra l'Italia e la Germania.

S. E. Goering mi mostrò sopra una carta geografica che la strada diretta fra Berlino ed Atene passa per Belgrado, disse che in questa località si trovava pure la principale organizzazione della «Lufthansa » nei Balcani ed un campo preparato per atterraggi notturni.. A parte ciò il Ministro Roehm gli aveva insistentemente detto che egli avrebbe dovuto vedere le Bocche di Cattaro e Ragusa e visitare la Jugoslavia. In terzo luogo egli intendeva conoscere questo Paese dato che vi avrebbe dovuto ritornare in autunno per prendere parte ad una partita di caccia in Croazia dov'era stato invitato dal Conte Drascovich nelle cui riserve si trovavano i più bei cervi d'Europa. Per un cacciatore appassionato com'era lui nulla al mondo avrebbe potuto impedirgli di aggiungere ai propri trofei di caccia quello di qualche cervo di Croazia.

Ripetei a S. E. Goering quanto avevo detto al Barone von Neurath, ch'io non intendevo cioè minimamente influire sulle sue decisioni. Il mio scopo era stato ed era soltanto quello di far rilevare, nell'interesse dei buoni rapporti fra l'Italia ed il Reich, che visite troppo frequenti di uomini di Stato tedeschi in Jugoslavia avrebbero potuto essere commentate da qualche giornale italiano in

termini che avrebbero potuto riuscire non del tutto graditi in Germania. La conclusione di un modestissimo accordo commerciale con la Jugoslavia era stata circondata, da parte del Reich, di insoute manifestazioni, quali l'invito ad un numeroso gruppo di giornalisti jugoslavi a visitare la Germania, con banchetti, d:iscorsi, ecc. Il Ministro Roehm aveva oreduto di recarsi a Ragusa e ciò non era stato apprezzato molto in Italia, dato il momento in cui accadeva. Non era certo cosa nuova per lui che si parlava con insistenza della possibilità di una intesa politico-militare fra la Germania e la Jugoslavia. Per parte mia, a costo di espormi al rischio di errare, avevo sin qui sostenuto che le varie prove di simpatia tedesche verso la Jugoslavia dovevano essere giudicate tenendo presente che il malumore verso l'Italia per la piega presa dalle cose austriache era stato ed era tuttora grande in Germania. Mi sembrava però fuori luogo supporre che la Germania potesse pensare seriamente a stringere con la Jugoslavia accordi politico-militari, sia perché non mi pareva che i due Stati potessero avervi un fondato interesse, sia soprattutto perché in Germania ci si doveva pur render

21 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

esatto conto che un simile eventuale accordo avrebbe tolto di mezzo il maggiore ostacolo ad un'intesa itala-francese..

S. E. Goering mi disse che era assurdo pensare ad una simile cosa. Aperse quindi un foglio piegato che aveva dinanzi a sé e cominciò la lettura di un riassunto-stampa relativo ad una corrispondenza del Daily Mail che parla della visita di sei ufficiali di Stato Maggiore italiani lungo la linea di confine austro-tedesca, di indicazioni da essi date a loro colleghi austriaci per la difesa di certi passi ed in generale dell'attività dello Stato Maggiore italiano in Austria. Ecco a che punto erano giunti i rapporti fra l'Italia e l'Austria.

Dopo di che disse essere vero che egli aveva pensato ad un dato momento di recarsi ad Atene via Italia. Vi aveva però riflettuto e si era convinto dell'opportunità di soprassedere a tale viaggio in questo momento -nonostante avesse bisogno di acquistare in Italia certe due statue che gli occorrono per completare l'arredamento del suo palazzo -perché egli non voleva esporsi al pericolo di giungere in un Paese che amava e nel quale era sempre stato accolto con prove di simpatia e di esservi ricevuto con ben diversi sentimenti. Temeva -perché non dirlo -anche il possibile sarcasmo di V. E. nei riguardi dell'Austria. Che egli mal non si apponesse nel pensare in tal modo lo aveva provato un colloquio da lui avuto il giorno innanzi col Professore Furtwangler che, pur magnificando l'accoglienza oltremodo lusinghiera fattagli da V. E. che aveva voluto assistere pure al secondo dei suoi concerti all'Augusteo, gli aveva però detto di avere avuto la sensazione -soprattutto a causa della scarsa affluenza di pubblico al primo suo concerto -che gli umori verso la Germania fossero più ostili in questo momento in Italia che nella stessa Francia.

Aveva dunque pensato di andare ad Atene direttamente. Pensava a questo viaggio da un pezzo perché il Principe Filippo d'Assia aveva insistito sovente presso di lui perché si recassero insieme a vedere il Partenone. Erano anzi vari mesi che il Principe Filippo faceva studi sull'architettura greca. Nel viaggio di ritorno erano già state previste fermate a Sofia, per far visita al Re, a Belgrado ed eventualmente a Budapest. Cosicché di nuovo non vi sarebbe stata che la visita a Belgrado anche all'andata. Il suo viaggio avrebbe avuto carattere del tutto privato. Lo provava il fatto che egli lo compiva in compagnia del Principe Filippo d'Assia e del Segretari di Stato Milch e Korner, suoi amici fidati, del Ministro prussiano della Giustizia, Kerrl, col quale era legato da vincoli particolarmente stretti, della di lui Consorte che aveva espresso il desiderio di condurre seco la Signorina Sonnemann (attrice del Teatro Statale drammatico di Berlino, recentemente nominata da Goering «artista di Stato » e che notoriamente gode del favore del Presidente del Consiglio prussiano) e del proprio ufficiale d'ordinanza Maggiore Jakobi.

Non era del resto nemmeno certo se avrebbe compiuto il viaggio ad Atene perché poteva darsi che nel Consiglio dei Ministri che doveva aver luogo nel pomeriggio si prendessero deliberazioni che richiedessero la sua presenza a Berlino prima del 24 corrente. In questo caso egli avrebbe forse rinunciato, ancorché a malincuore al viaggio in Grecia e si sarebbe invece recato con i suoi amici ed invitati a Capri e Palermo. Si riservava di informarmi eventualmente in mattinata di domani del mutamento di programma.

Ringraziai S. E. Goering delle informazioni datemi le quali mi erano utilissime perché mi permettevano di mettere nell'esatta luce lo scopo del suo viaggio. Gli ripetevo, e speravo che egli se ne convincesse, che uno degli scopi della mia missione a Berlino era di nulla tralasciare perché le relazioni fra i nostri due Paesi fossero ottime. Ritenevo di potergli nuovamente assicurare nel modo più formale che le apprensioni ed i timori di poter essere ricevuto in Italia con minore simpatia che per il passato erano a mio giudizio del tutto infondati. In Italia taluni attegg.iamenti di organd minori del Nazionalsocialismo avevano potuto dar luogo a commenti non graditi in Germania. Ma ciò non doveva essere sopravalutato né egli doveva credere ad un mutamento di sentimenti da parte di V. E. nei suoi riguardi.

S. E. Goering riprese a questo punto in pieno la conversazione sull'Austria, dicendo che i Nazionalsocialisti avevano preso in assai cattiva parte il telegramma che V. E. aveva diretto al Principe di Starhemberg affermando ch'Ella avrebbe sempre vigilato perché l'indipendenza dell'Austria non fosse minacciata (1). Starhemberg era per i nazionalsocialisti la stessa bestia nera che Nitti o Sforza per i fascisti cosicché essi si erano profondamente risentiti che

V. E. mostrasse di avere considerazione per lui al punto di indirizzargli un telegramma redatto in termini tali.

Del resto V. E. aveva dovuto subire delle influenze estranee nel giudicare il problema austriaco, perché durante le conversazioni con lui Ella aveva sempre dimostrato di avere una comprensione esatta della realtà la quale deve fatalmente portare alla soluzione patrocinata dai nazionalsocialisti. S. E. Suvich che era un ex-austriaco minoritario doveva aver male influenzato V. E., perché egli, a causa della sua origine, aveva un'avversione congenita per i tedeschi.

Ho detto a S. E. Goering che non riuscì v o a comprendere perché egli insistesse sopra questo punto assolutamente infondato. V. E. non aveva mai modificato di un millimetro il proprio atteggiamento di fronte alla questione austriaca che aveva sempre giudicata, secondo principi che potevano non riuscire graditi ai nazionalsocialisti ma che erano fondamentali per gli interessi dell'Italia.

S. E. Goering ritornò a parlare di Habicht, che noi non possiamo mandar giù, di Dollfuss e Starhemberg che sono invisi ai nazionalsocialisti, per dire che era profondamente doloroso per lui pensare che volendo mantenere al loro posto per una falsa ragione di prestigio questi uomini privi di valore, si comprometteva l'amicizia fra l'Italia e la Germania.

È venuto or ora da me il Professar Furtwangler per rendermi conto del suo soggiorno in Italia e dei concerti dati a Roma e Firenze. Egli è gratissimo a

V. E. dell'accoglienza fattagli. Parlandomi del colloquio avuto con S. E. Goering mi disse che aveva creduto accennargli a una certa freddezza verso la Germania, riscontrata in Italia, e che aveva un po' caricato le tinte perché era necessario far comprendere agli uomini più responsabili del partito nazionalsocialista quanto male fanno alla causa tedesca all'estero i ripetuti errori sui quali si vuole insistere.

(l) -Non si pubblica la risposta di Morreale datata Budapest 12 giugno. (2) -Cfr. n. 228. (3) -T. rr. 1812/162 R. del 15 maggio, non pubblicato.

(l) Cfr. n. 181 in cui peraltro non risulta l'affermazione cui Goring fa riferimento.

237

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEf?PR. 1649/610. Tirana, 15 maggio 1934.

Da qualche tempo non andavo dal Re. Dopo le mie dichiarazioni che nella udienza del 24 gennaio (l) avevano posto in modo molto chiaro i termini di una possibile ripresa della nostra collaborazione, mi era sembrato preferibile non dare motivo a facili quanto inutili speranze con mie nuove visite, tanto più che sapendo quanto grande sia la suscettibilità di questi dirigenti esse avrebbero potuto essere interpretate come un mio tentativo d'intervento nelle conversazioni che segretamente si andavano iniziando fra fiduciari del Re e òP.l Clero in materia di Concordato e di riapertura di Scuole confessionali, ciò che avrebbe potuto comprometterne lo svolgimento. *Avendo tuttavia saputo da qualche persona a lui vicina che Re Zog aveva rilevato che da oltre tre mesi il Ministro d'Italia non si faceva vedere, mi sono affrettato a chiedere udienza* (2) facendo sapere al 1° Aiutante di Campo che mi pareva conveniente di tenere al corrente il Re del punto di vista del Governo Italiano sugli avvenimenti di politica internazionale di questi ultimi tempi che hanno particolare interesse per l'Italia. *Mi è stata accordata ieri l'udienza con particolare premura.

Re Zog mi ha trattenuto esattamente due ore*. Il colloquio ha avuto un tono molto cordiale. Ha avuto sopratutto per oggetto la difficile situazione in cui si trova l'Albania. Mostrandomi il cumulo di carte che aveva sullo scrittoio il Re mi ha detto di essere assillato dalla preoccupazione di dar da vivere aì suo popolo che sta attraversando un periodo criticissimo; di vedersi nella necessità di apportare continuamente nuove contrazioni al bilancio dello Stato; di aver deciso di fissare il nuovo bilancio a 18 milioni di franchi oro in confronto di 27 milioni e mezzo del decorso esercizio finanziario e di 31 del precedente 1932-1933. Ha aggiunto trattarsi però di un bilancio provvisorio poiché col prossimo settembre metterà in applicazione un nuovo bilancio che apporterà radicali riduzioni nelle spese militari e nelle spese del Dicastero dell'Interno. Quanto a queste ultime egli conta giungere ad una ulteriore diminuzione dei comuni e delle prefetture e alla totale soppressione delle sottoprefetture. Egli prepara personalmente tutta una nuova delimitazione delle varie provincie con criteri completamente nuovi poiché la divisione del paese nelle attuali zone amministrative è ancora quella stabilita moltissimi anni addietro dall'Impero Ottomano, basata su principi feudali. Quamto poi alle spese militari Re Zog mi ha detto che egli si vede nella triste necessità di preparare addirittura la soppressione del bilancio della Difesa Nazionale, sciogliendo tutta la compagine dell'esercito, la di cui organizzazione aveva dato in questi ultimi anni così brillanti risultati, eliminando gran parte degli ufficiali e dei soldati

e passando i rimanenti nel corpo della gendarmeria, di modo che il Comando della Difesa Nazionale si sarebbe trasformato in semplice comando di gendarmeria e l'esercito, che era stato creato ed organizzato per la difesa dei supremi interessi del paese, sarebbe divenuto -in proporzioni ben più ridotte -un semplice corpo di gendarmi destinato al mantenimento dell'ordine pubblico.

* «In tal modo -ha aggiunto il Re -io conto di potere nel prossimo settembre far approvare un nuovo bilancio di 14 milioni e mezzo o di 15 milioni di franchi oro, il bilancio non di uno Stato ma di una vostra società industriale o casa di commercio. È ben triste, ma devo pensare a far vivere il mio popolo» *.

Ho obbiettato al Re che i popoli non si nutrono di pane ma di ideale patrio e che mi era difficile credere che egli,. primo Re degli albanesi, che con l'appoggio della Grande Alleata sembrava destinato dagli eventi a segnare una data nella storia del suo paese, si rassegnasse a rinunziarvi accontentandosi di dirigere le sorti del suo popolo con gli stessi criteri coi quali un direttore di azienda industriale --ripetevo le sue parole -curerebbe gli interessi della sua Casa. La storia insegna che l'unità e la forza delle Nazioni trovano il loro cemento nelle superiori idealità patrie. Il popolo albanese sotto la guida del suo Re ha felicemente iniziato il cammino verso la formazione della sua unità nazionale. L'Italia Fascista, che in più occasioni ha dimostrato con quale slancio si mette a fianco delle Nazioni deboli per sostenere la loro causa nazionale, ha steso generosamente la mano alla piccola amica, alleandosi a lei, dandole ogni possibile aiuto per aiutare questo popolo ad avere una unità nazionale, con la sua amministrazione, il suo esercito, la sua cultura, il suo spirito patrio, una bandiera da difendere e un Re cui obbedire, sicura di fare di questo nuovo Stato un fattore d'equilibrio sull'Adriatico e nei Balcani. Da lunghi anni l'Albania non godeva di tanta tranquillità e di tanta pacificazione d'animi come in questi ultimi anni, da quando l'Italia col suo aiuto materiale e sopratutto con il grande prestigio morale di cui gode nel mondo -prestigio che è forza dà alla piccola alleata il suo appoggio. Dovevo francamente dichiarargli che non mi rendevo conto come mai egli -in un periodo in cui ogni paese sembra assillato dall'ansia del continuo avanzare, nella coscienza che l'avvenire dei popoli è riservato a coloro che hanno la potenza di farsi largo nel mondo non comprendevo come egli si decidesse a fermare lo sviluppo così felicemente intrapreso dal suo paese che per le tristi sorti sofferte nei secoli passati era rimasto indietro nei confronti degli altri. Il Governo di Roma -tenevo a confermarglielo -manteneva inalterati nei riguardi di lui e del suo popolo i suoi leali sentimenti di amicizia e le larghe sue disposizioni, sempreché tali sentimenti e disposizioni fossero ben compresi ed apprezzati e incontrassero qui reciproc,ità di pensiero. Mi permettevo ricordargli che certi atteggiamenti presi dal suo Governo (!) non potevano non ferire il Governo amico, date le circostanze in cui si produssero. Era naturale che questo attendesse -e continua fiduciosamente ad attendere -che si voglia qui dimostrare il contrario con atteggiamenti che servano a neutralizzare quelli. È doloroso che ciò non si comprenda, e, con dichiarazioni anche autorizzate si parli con tanta facilità di indipendenza minacciata e si manifesti uno spirito tanto ostruzionistico verso ogni interesse italiano. Non gli domandavo nulla. Facevo solo

delle constatazioni e gli esprimevo miei pensieri personali cun quella franchezza alla quale mi sentivo autorizzato dalla stima e simpatia di cui egli si era sempre degnato onorarmi.

II Re, che mi ha ascoltato con molta attenzione, intercalando a frequenti riprese il mio dire con la semplice frase: * « Wass soli ich machen? » * mi ha detto che era profondamente convinto di quanto gli ero venuto dicendo e vivamente addolorato delle disposizioni che egli stava prendendo; ma non poteva assolutamente fare diversamente. Era lui a non comprendere l'atteggiamento del Governo Fascista. Evidentemente il Capo del Governo, la di cui genialità lo mette al primo piano della discussione dei gravi problemi internazionali che agitano oggi il mondo, non può fermarsi al problema albanese; altrimenti non potrebbe insistere su un atteggiamento che l'Albania non merita e che non risulta giustificato dalle circostanze. *Il sentimento di amicizia dell'Albania non può essere messo in dubbio poiché «io -ha detto il Re ho messo in mano all'Italia tutto l'esercito che è ciò che di più geloso può avere un Re. Le ho affidato la creazione e la gestione della Banca cioè le ho dato la finanza della Nazione. Ricordo che una faccenda analoga di Banca fu la causa prima che provocò la rivolta del popolo serbo contro la dinastia Obrenovich » *. Ha aggiunto che questa persistente linea di condotta dell'Italia può aver ora reso perplesso il suo Governo nell'accordare nuove concessioni e pertanto i vari Ministeri dimostrano forse uno spirito maggiormente rigido che non vuole assolutamente però essere spirito ostruzionistico «Io sono anzi particolarmente felice della penetrazione di ogni attività italiana nel mio paese -ha spiegato Zog con assai dubbia sincerità -poiché ho la più alta concezione della sua grande civiltà e dell'alto grado di progresso da lei raggiunto. Di questa sua condizione mi compiaccio vivamente e provo una gioia personale per ogni vostro successo». Riferendosi all'accenno da me fatto sulle propalate voci di minacciata indipendenza, ha dichiarato averne avuto infatti sentore anche lui; che non c'è da meravigliarsene in un paese in cui il sentimento nazionale è animato da tanto fervore. Vedendo nell'accenno da me fatto al riguardo su «dichiarazioni anche autorizzate» una allusione all'intervista accordata dal Ministro degli Affari Esteri al corrispondente del Politika, mi ha domandato se io potevo mai dubitare che quelle dichiarazioni fossero dirette contro l'Italia. Ho risposto che dovevo giudicarle alla stregua dell'interpretazione che era loro stata data in generale da chi le aveva lette e che il meno che potevo dire era che il Ministro non era stato molto felice esprimendosi nel modo che aveva fatto ad un giornalista jugoslavo e che, leggendo quell'intervista data dal membro di un Governo, che non voleva mettere in dubbio i suoi sentimenti per l'Italia, mi ero domandato per quale ragione il Signor Giafer Villa non avesse preferito evitare di accordarla. «Sarebbe stato certo miglior cosa -ha esclamato il Re, sempre pronto a dar torto ai suoi Ministri -Io non ricevo mai i giornalisti; e non ho voluto ricevere il Signor Vuko Dragovich che aveva sollecitato una udienza. Occorre in ogni modo farsi

mettere precedentemente per iscritto, prima di pubblicarle, le dichiarazioni che si accordano ai giornalisti. Invece Giafer Villa non lo ha fatto e ha fatto male». II Re ha poi spiegato che se il Ministro ha creduto farsi intervistare è stato perchè gli era sembrato necessario rispondere al Signor Venizelos e far comprendere anche agli Stati balcanici il torto di aver dimenticato l'Albania nella loro trattazione panbalcanica. «Ma voi siete ben certo, è vero? -ha aggiunto <'Ubito il Re -che l'Albania non sarebbe in .ogni modo entrata a far parte del patto balcanico e non intende entrarvi~ (1).

Ritornando sui suoi piani di riduzioni e soppressioni nell'amministrazione interna e nella difesa nazionale, egli ha dichiarato di essere assai rattristato dal fatto di veder messi così sul lastrico tanti suoi sudditi, ma di essere assolutamente deciso a portare il bilancio nei modesti limiti consentiti dalla possibilità del paese, sui criteri di cui mi aveva fatto parola.

Ho espresso l'opinione che se egli era deciso di venire alla soppressione dell'esercito si sarà anche prospettato che la nostra collaborazione militare ne sarebbe stata gravemente alterata e gli ho domandato se non giudicava forse conveniente di esaminare fin da ora tale questione in relazione a questa progettata soppressione, dato che egli aveva creduto mettermi al corrente. Ha aggiunto subito, con una certa premura di evitare che s'impegnasse una conversazione in questa materia, che tale progetto era stato appena in questi giorni messo da lui allo studio: che egli avrebbe avuto anzi bisogno di ricorrere al riguardo all'ausilio del R. Addetto Militare; che del resto avrebbe conservato i quadri. Non più insistendo sull'argomento ho rilevato però che con le economie già ora apportate nel bilancio provvisorio, di imminente applicazione, vengono introdotte riduzioni di personale e soppressioni di enti che sarebbe bene, come egli stesso del resto mi aveva già detto precedentemente, fossero prese previa consultazione del R. Addetto Militare; ciò avrebbe dato anche modo a questi -ho creduto di aggiungere -di ridurre, in relazione, la missione degli ufficiali organizzatori. Il Re mi ha risposto che trovava la cosa naturalissima e avrebbe dato subito istruzioni al Generale Aranitas di mettersi a contatto col Colonnello Balocco. Ha dichiarato di aver già detto da varie settimane al Generale che rendesse noto al R. Addetto che, in seguito alle decise riduzioni, sedici o diciassette organizzatori avrebbero potuto bastare, di vari comandi ed uffici ai quali i nostri ufficiali sono preposti o addetti essendo decisa la soppressione; assicurando che in ogni modo la cosa sarebbe stata definita fra il Comandante della Difesa e il capo degli organizzatori.

La conversazione è passata poi ad altri argomenti. Si è accennato alla situazione internazionale del momento, senza speciali rilievi. Si sono toccate questioni senza importanza. Mi ha detto di essere molto occupato, ma di trovar sempre tempo per dedicarsi alla lettura e di interessarsi attualmente a Schopenhauer.

Ma allirritazlone del primo momento è seguita una serie di considerazioni, per cui i dirigenti albanesi sono ritornati sulla decisione presa ed avrebbero stab!l!to di intervenire alla prossima conferenza balcanica».

Nell'accomiatarmi gli ho ricordato quel che gli avevo già detto nella pre

cedente udienza, che cioè sarei stato a piena disposizione sua e del suo Go

verno, pronto a venire loro incontro col massimo entusiasmo qualora si inten

desse entrare in quelle concrete conversazioni che, sulla base di quanto nella

precedente udienza gli avevo precisato, fossero destinate a definire la situa

zione degli attuali nostri rapporti, fiducioso che una migliore comprensione

delle cause che tale situazione aveva creato e degli intenti che animano con

chiara lealtà e sincerità il Governo FHscista avrebbe facilitato al Governo di

Tirana il ritorno alla normalità di detti rapporti. Ha dichiarato da parte sua

essere convinto che solo con l'aiuto dell'Italia l'Albania può guardare con tran

quilla fiducia nell'avvenire.

Debbo aggiungere che malgrado le notizie che circolano intorno alla salute

del Re questi mi ha dato l'impressione di godere buona salute.

(l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 606. (2) -I passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussolinl.

(l) Con t. per corriere 1257/019 R. del 27 marzo, Koch aveva comunicato: «Questo Governo ha deciso di non fare più partecipare alle conferenze balcaniche il gruppo albanese. Il ministro degli affari esteri mi ha egli stesso confermato che l'Albania non prenderà più parte alle conferenze balcaniche e che la decisione è stata presa per !"atteggiamento tenuto verso l'Albania dalle Potenze balcaniche in occasione della stipulazione del patto «qui nous a vexé » mi ha detto Giafer VIlla>>. Il 21 settembre La Terza comunicò con telespr. 3279/1337: «Nello scorso marzo in seguito all'esclusione dell'Albania dal Patto balcanico, !l gruppo albanese, presieduto dal signor Mehemet Konitza, decise d! non intervenire alle conferenze balcaniche, ed Infatti non prese parte alla riunione del Consiglio che ebbe luogo il 31 d! quel mese ad Atene.

238

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

· T. 1807/31 R. Ginevra, 16 maggio 1934, ore 1 (per. ore 4).

Telegramma di V. E. n. 21 (l).

Ho avuto vari colloqui con Barthou, Avenol e Eden attraverso i quali ho

cercato di fissare attuale posizione problema disarmo.

Barthou dichiarato non avere ancora alcuna idea determinata, ma da

quanto egli ha detto circa ultimo scambio di note franco-inglese appare chia

ramente la sua presa di posizione contro i principi esposti nel memorandum

inglese, che Barthou considera come tendente a concedere riarmo alla Ger

mania senza assicurare alcun corrispettivo alla Francia. La nota francese 17

aprile, che Barthou mi ha dichiarato aver stesa tutta di suo pugno, previa

consultazione col solo Doumergue, e che mi ha detto avere riscosso l'unanime

approvazione del consiglio dei ministri, può quindi ritenersi come l'esatta espres

sione dell'attuale punto di vista del Governo francese sull'argomento. Francia

si prepara dunque ad affrontare le prossime consultazioni sul disarmo allon

tanandosi dal piano inglese e non accennando, almeno per ora, a nessuna

intenzione di accostarsi a quello italiano.

Essa invece fa fondamento sulla Piccola Intesa. Il riavvicinamento è risul

tato assai chiaro e marcato dalla energia con cui in Consiglio Barthou ha

fiancheggiato delegato jugoslavo nella breve trattazione del ricorso ungherese.

Poiché appare però assai dubbio che essa possa contentarsi del solo appoggio

della Piccola Intesa, vi è da presumere che essa effett:ivamente abbia in animo

di completare il suo schieramento affiancandosi la Russia.

Miei colloqui con Avenol hanno dato consistenza a questa supposizione.

Avenol ha riconosciuto che da quattro, cinque mesi si è avvertito un chiaro

mutamento nell'attitudine della Russia la quale sembra volere far comprendere che Governo sovietico non attenderebbe che un cenno di invito per rientrare nella Società delle Nazioni. Finora questo invito non vi è stato, ma tutto fa ritenere che la Francia intenda riservarsi nelle sue mani questo «atout» ed essere lei a rivolgere l'invito dopo averlo il meglio possibile negoziato contro appoggio della Russia alla nuova politica francese del disarmo. Su questa politica Barthou si mantiene riservatissimo (l) ma ad un certo punto si è lasciato andare ad ammettere che una eventuale iniziativa del genere di quella attribuita a Litvinoff potrebbe essere presa in seria considerazione come una delle poche capaci di fornire via di uscita alle presenti difficoltà.

Dai colloqui con Avenol mi è parso comprendere quali ne sarebbero linee fondamentali:

lo -Poiché conferenza disarmo è fallita, essa potrebbe essere sostituita da una organizzazione speciale in seno consiglio della Società delle Nazioni;

2° -Poiché è stato impossibile raggiungere un accordo mondiale, si potrebbe ripiegare su di un'intesa europea o regionale;

3° -Poiché l'idea della sicurezza attraverso il disarmo si è rivelata irrealizzabile, si contemplerebbe la possibilità di una organizzazione della sicurezza attraverso trattati di mutua assistenza.

Riepilogando, ho tratto impressione che la Francia tenda a riprendere sua vecchia idea della organizzazione della sicurezza, restringendone il campo e sostituendo nel suo schieramento la Russia alla Gran Bretagna; che Gran Bretagna conservi la sua attitudine di opposizione a tale tendenza; che la Russia vada ritraendosi dall'Estremo Oriente e cerchi di nuovo in Europa il campo di azione della sua politica in una organizzazione a carattere anti-germanico, come quella più atta ad assicurarle la pace.

Finora non ho avuto possibilità discutere a fondo con Eden problema disarmo. Mi propongo farlo domani e riferirò risultato colloqui che potranno completare quadro situazione.

(l) Cfr. n. 227.

239

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1834/112 R. Tokio, 16 maggio 1934, ore 12,20 (per. ore 21,50).

Nel domandare a Hirota chiarimenti prescrittimi da V. E. (2) gli ho detto che il R. Governo li chiedeva anche per renderli di pubblica ragione e per comunicare in pari tempo alla stampa punto di vista italiano il quale sarebbe dipeso altresì dai chiarimenti stessi.

speranza.

Malgrado la mia ripetuta insistenza non ha però acconsentito a fornirmi nessuna precisione...

Se atteggiamento presente di Barthou si manifestasse alla fine in funzione di manovra,

bisognerebbe temere seriamente che la Francia si proponga di darsi alla corsa agli armamenti, preludio della guerra ».

Alla mia domanda se volesse darci diretta assicurazlone che il Giappone avrebbe rispettato trattato di Washington e lo avrebbe interpretato secondo lo spirito con cui fu concluso, Hirota ha affermato trovarsi la risposta a tali domande già contenuta nel comunicato ufficiale consegnato all'America ed all'Inghilterra, che quei due Governi avevano stimato soddisfacente e di cui mi avrebbe inviato una copia che del resto mi è già pervenuta.

Gli ho fatto notare come la situazione fosse differente giacché comunicato giapponese era stato redatto dopo la richiesta di chiarimenti da parte dell'Inghilterra e dell'America mentre la nostra richiesta veniva dopo la conoscenza che avevamo già avuto di essa (1).

Hirota ha replicato che pur tenendo presente ciò non poteva se non confermare la sua prima risposta.

Gli ho domandato se fosse d'accordo che io telegrafassi a V. E. quanto precede e che informassi la E. V. che ciò costituiva la risposta del Governo giapponese.

Egli si è dichiarato d'accordo.

Telegrafato Roma e Shanghai.

(l) Cfr. quanto aveva comunicato Pignattl con t. 1782/206 R. del 13 maggio: «La conversazione che ho avuto Ieri con questo ministro degli affari esteri mi ha lasciato perplesso. Barthou si è impiegato a farmi credere che matura un progetto sul quale ripone qualche

(2) Cfr. n. 193.

240

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1832/113-114 R. Tokio, 16 maggio 1934, ore 12,20 (per. ore 23).

Mio telegramma odierno n. 112 (2). Nel mio colloquio di oggi con Hirota questi aveva cominciato con il confermare il comunicato. Alla mia richiesta di maggiori chiarimenti in base alle considerazioni di

v. E. (3) si era poi indotto a rispondere che il Giappone avrebbe rispettato trattato di Washington e che lo avrebbe interpretato secondo lo spirito dei suoi articoli.

Ma quando riassunte semplicemente le sue risposte io gli ho chiesto se come tali potessi telegrafarle a V. E. ha creduto meglio pregarmi di limitarmi a riferire a V. E. secondo ho fatto col mio telegramma n. 112.

Mi ha poi domandato perché· il R. Governo meno soddisfatto del comunicato che non l'America e l'Inghilterra chiedesse tali chiarimenti, ciò che doveva interpretarsi come un segno di diffidenza verso il Giappone senza che questi avesse dato prova di non volere tenere fede al trattato.

Ho preferito non rilevare inesattezza dell'affermazione circa soddisfazione americana e gli ho risposto che il R. Governo era uno dei firmatari del trattato e che aveva interesse così al mantenimento della pace in Estremo Oriente come alla tutela delle legittime attività italiane in Cina.

La ragione della richiesta di tale chiarimento aerlva dalla forma dubbia del comunicato specie nei riguardi dell'articolo 7.

L'Italia nel domandare che i dubbi circa redazione del comunicato fossero chiariti, sperava vivamente che le dichiarazioni del Governo giapponese fossero tali da provare infondatezza dei suddetti dubbi.

Essa era desiderosa di mantenere con il Governo giapponese attuali buone relazioni ma non poteva non preoccuparsi della situazione.

Prima di terminare ho creduto opportuno dire a Hirota aver fiducia che la stampa giapponese non si sarebbe sbizzarrita anche su questi colloqui avvertendolo che io non avevo alcun rapporto con essa.

Colloquio al quale per la prima volta ha assistito un funzionario del ministero degli affari esteri con funzioni di interprete si è svolto in forma cortese ma non è sembrato riuscire molto gradito a Hirota.

Suppongo fosse combattuto fra desiderio di rispondere affermativamente alle nostre domande, evitando così pericolo di un riaccendersi di polemiche di stampa all'estero, ed il timore di attirarsi le ire dei militari e di suscitare polemiche di stampa all'interno con danno, i.n entrambi i casi, della politica che egli cerca di attuare.

(l) -Annotazione a margine di Buti del 17 maggio: «Mi pare che Invece avrebbe dovuto osservare -del resto secondo le istruzioni dategli -: «Prendo atto che date anche a me tali assicurazioni, quantunque non avessi mai dubitato che così fosse la vostra intenzione». (2) -Cfr. n. 239. (3) -Cfr. n. 193.
241

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1822/32 R. Ginevra, 16 maggio 1934, ore 13,10 (per. ore 16).

Dato che alcuni giornali riferiscono il colloquio di Barthou con me sulla questione del disarmo, come improntato ad ottimismo da parte sua, credo opportuno far seguito mio telegramma di ieri n. 31 (l) riferendo particolareggiatamente conversazione avuta con lui:

a) Volendo scagionarsi appunti mossigli da Henderson di cui al colloquio Henderson-Barthou che spedisco oggi per corriere, Barthou ha tenuto far rilevare continuità e coerenza politica francese disarmo.

A tale scopo ha annunziato che il Governo francese pubblicherà presto in un libro bleu la nota francese del 5 gennaio all'Inghilterra, nel quale la Francia rifiuta il piano inglese e le sanzioni progettate.

b) Ha detto che la Francia non accettava né il piano inglese, né quello italiano ma intendeva attenersi a qualche cosa di intermedio che egli non può ancora precisare, dato che dovrà parlarne alla Camera il 25 maggio.

Da molti sintomi ho però ragione di confe,rmare quanto in proposito comunicavo nel mio telegramma di ieri.

c) Non mi ha fatto alcun cenno a una sua eventuale venuta a Roma, ma si è espresso nei termini più amichevoli e ammirati per l'Italia e in questo caso ho seguito con deferenza queste sue dichiarazioni senza darvi particolare rilievo.

.. -~ -. ; d) Alla sua richiesta sul nostro punto di vista attuale sul disarmo ho risposto che noi restavamo fermi al piano italiano e non credevamo di prendere alcuna iniziativa in proposito.

(l) C!r. n. 238.

242

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO ALOISI, A GINEVRA

T. 633/25 R. Roma, 16 maggio 1934, ore 13,15.

Ruschdi bey deve giungere costì da Bucarest dopo aver sostato a Belgrado, Vienna e Budapest. Essendo probabile dopo ultime vicende del patto balcanico che egli d'accordo con Titulescu vada intessendo qualche nuova rete di intrighi, è più che mai opportuno mantenersi con lui nei termini più riservati.

243

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1826/36 R. Ginevra, 16 maggio 1934, ore 23,45 (per. ore 3 del 17).

Eden mi ha detto di avere avuto ieri un colloquio con Barthou.

Questi ha avuto reticenze relativamente all'atteggiamento francese, dicendo anche a lui, come ieri a me, che era costretto a mantenere per ora il segreto su tale punto dato che dovrà farne prossimamente oggetto di un discorso alla Camera, ma relativamente all'atteggiamento russo ha riconosciuto che effettivamente è progettata una venuta di Litvinov a Ginevra per la ripresa del disarmo, nella quale occasione si tenterebbe di gettare le basi per un patto di mutua assistenza franco-russa e si tratterebbe l'eventuale entrata della Russia nella Società delle Nazioni.

Le impressioni che Eden mi ha detto di avere tratte dal colloquio concordano con quanto ho riferito ieri col mio telegramma n. 33 (l).

E cioè che egli ritiene che il Governo francese stia procedendo a Ginevra all'adunata di tutte le forze sue alleate; che baserà il suo atteggiamento alle prossime riunioni del disarmo sulle linee della [nota] francese all'Inghilterra

del gennaio scorso e che tenterà di salvare la conferenza tramutandola in organo del Consiglio della Società· delle Nazioni. Gli ho chiesto allora quale atteggiamento avrebbe tenuto l'Inghilterra di fronte ad ognuna di queste eventualità.

Eden ha risposto che nei riguardi del patto di mutua assistenza l'Inghilterra si è già espressa in senso contrario e .non defletterà da tale linea di condotta;

che relativamente alla trasformazione della conferenza in organo del Consiglio non sembra possano sorgere serie obbiezioni,

e che circa la linea di condotta da seguire in occasione della prossima riapertura della conferenza l'Inghilterra preferisce per ora attendere una maggiore precisazione dell'attitudine francese (1).

(l) Riferimento errato: si tratta con ogni probabilità del n. 238.

244

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 641/89 R. Roma, 16 maggio 1934, ore 24.

Prego comunicare codesto Governo per sua norma che alle pressanti richieste di queste rappresentanze estere per conoscere disposizioni precise degli accordi firmati ultimamente Roma questo ministero risponde dando comunicazione solamente dell'accordo itala-ungherese per la valorizzazione del grano ungherese.

245

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1853/76 R. Belgrado, 17 maggio 1934, ore 15,50 (per. ore 19).

Ieri nel pomeriggio arrivato in aeroplano Goering con principe d'Assia, altre personalità germaniche, riparte stamane per Atene dove si tratterrà tre quattro giorni ritornerà in Germania via Sofia-Budapest.

Ero invitato pranzo legazione di Germania.

Vi assistevano anche ministri paesi toccati da crociera. Nessun jugoslavo.

Seguito ristretto ricevimento con personalità jugoslave vari funzionari inferiori ministero affari esteri.

Nessun membro del Governo.

Gtiering prega tomi far conoscere a S. E. il capo del Governo che sua sosta a Belgrado non aveva alcun significato politico ed era soltanto privata ed inufficiale, determinata soltanto da necessità viaggio.

Avrebbe desiderato fermarsi ma lo aveva evitato per non creare presso

S. E. il capo del governo impressioni diverse dal vero. Egli tendeva a non fare alcuna cosa che potesse avere significato meno che simpatico all'Italia.

Per tale motivo essendo stato sorpreso da ricevimento dopo il pranzo aveva disposto, per marcare visibilmente suoi sentimenti, che tanto lui come personalità germaniche che l'accompagnavano portassero con le decorazioni germaniche soltanto le maggiori decorazioni italiane.

Gtiering che durante tutta la sera è stato a colloquio quasi unicamente con me, si è poi espresso nei termini più calorosi per S. E. il capo del Governo e per l'Italia.

Vedere anche Stefani odierna.

(l) Ritrasmesso a Londra, Parigi, Berlino, varsavia, Mosca, Ankara, Bruxelles, Madrid, Washington, Budapest, Vienna e Praga con t. 643/C, R. del 17 maggio.

246

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1880/092 R. Vienna, 17 maggio 1934 (per. il 19).

Ho visto ieri il cancelliere ed oggi Starhemberg. Con entrambi il discorso è caduto sull'attività dei nazisti e sulla situazione interna (specie nei rapporti del Fey). Riferisco quanto mi è stato detto:

1) Il cancelliere ha notato che l'attività nazista, seppure sporadica e d'iniziativa locale, non può non trovare assenso e sanzione nei dirigenti di Monaco e di Berlino. Essa non è tuttavia preoccupante, ma rappresenta sempre un elemento di frizione col Reich, specie se la si consideri in relazione alla grande attività che svolgono i legionari austriaci sulla frontiera del Tirolo (mio teleposta n. 1039 in data odierna) (l); e specie se si tenga presente che alcune bombe rinvenute di recente sono di marca tedesca, come pure di provenienza tedesca è sempre il materiale di propaganda usato dai nazi locali. Il che sembra dunque indicare che Monaco e Berlino mentre tengono a che gli esecutori degli attentati e gli agenti della propaganda siano esclusivamente individui di nazionalità austriaca, non si preoccupano invece affatto che le bombe, le armi ed il materiale di propaganda siano di provenienza tedesca.

II cancelliere non ha fatto alcun diretto cenno ai contatti dello Starhemberg (mio telegramma per corriere n. 084 del 2 corrente) (2) con emissari nazisti. Ha solamente notato con intenzione che nei discorsi pronunziati da lui

-Dollfuss -e dallo Starhemberg a Salisburgo, subito dopo i noti attentati della settimana scorsa, vi fu una piccola differenza di tono: e cioè che Starhemberg ebbe a mostrare una più viva ed indulgente disposizione verso gli oppositori nazisti.

Il cancelliere ha quindi parlato con grande cordialità dello Starhemberg, esaltando « la loro sincera collaborazione, la completa loro intesa, la sicura loro amicizia'>. Ha soggiunto che nessuna nube oscurava l'orizzonte; e che anche il Fey «andava visibilmente riacquistando ogni giorno più il senso di equilibrio e di proporzione ».

Dollfuss ha quindi accennato alla nuova costituzione. Ha notato che, a malgrado i dubbi da me espressi sulla scelta del maggiore compilatore di essa, il «democratico Ender », questi aveva finito col seguirlo in tutto e per tutto, redigendo un documento che era stato pienamente compreso, ed aveva anche riscontrato approvazione, negli ambienti e nella stampa italiana.

2) Il principe Starhemberg mi ha detto che gli attentati di questi ultimi giorni sarebbero dovuti sovratutto ai comunisti. Gli attentati di origine nazista sarebbero invece esclusivamente dovuti all'Habicht che, avendo tratto l'impressione di una probabile distensione dei rapporti fra i Governi di Vienna e di Berlino, s'industrierebbe, favorendo incidenti ed attentati, a rendere il terreno inadatto per un componimento.

I suoi contatti con emissari nazisti intanto continuavano; ed egli confidava anzi in vicini negoziati, che dovrebbero però intercedere esclusivamente fra Governo e Governo. Il cancelliere era pienamente al corrente della sua attività; ed era con lui d'accordo sul punto che l'iniziativa dei contatti ufficiali dovesse in ogni caso partire da Berlino.

La base dei negoziati restava naturalmente il pieno ed assoluto riconoscimento dell'indipendenza austriaca: così come egli aveva pubblicamente proclamato nel gennaio scorso (mio teleposta n. 194 del 29 gennaio) (1).

Starhemberg mi ha quindi fatto l'elogio di Dollfuss usando all'incirca le medesime parole adoperate meco ieri dal cancelliere nei suoi riguardi. Egli ha quindi notato che la chiave della situazione sta interamente nel senso d'assoluta fiducia che egli Starhemberg saprà ispirare al cancelliere: «fin quando Dollfuss sentirà di poter interamente contare su di me e sul Heimatschutz, non solo mi sarà fedele, ma mi seguirà in tutto e per tutto. Nel caso contrario egli farà come pel passato: cercherà cioè altrove appoggi e sostituti».

Starhemberg ha soggiunto che questa verità non era ancora completamente apparsa al Fey, il quale tuttavia mostrava qualche resipiscenza, avviandosi progressivamente verso una adeguata comprensione della nuova situazione. Ha poi accennato alle continue fl'izioni che si produrrebbero tra il Fey ed il ministero della difesa nazionale, !asciandomi comprendere che il conseguimento di questo dicastero rappresenterebbe per il Fey la panacea d'ogni male: eventualità questa che non sarebbe da escludersi in modo assoluto.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 175.

(l) Non pubblicato nel vol. XIV della serle VII.

247

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 17 maggio 1934.

Ho incontrato Barthou a una colazione ufficiale. Spontaneamente mi ha detto ·che a un dato momento egli esprimerà il desiderio di venire a Roma. In pieno accordo con l'opinione di V. E., egli ritiene però che questa sua venuta potrà essere veramente proficua solo allorché le principali questioni internazionali attualmente pendenti, e specialmente il disarmo, saranno avviate verso una soluzione. Giacché non sono le questioni italo-francesi che maggiormente lo preoccupano. Queste egli le crede di facile soluzione. Sulla questione tunisina egli mi ha detto testualmente: «la sua soluzione dipende da me e io trovo che l'Italia ha ragione». Circa lo statuto navale, ha detto che il Ministro Pietri è un amico dell'Italia ed è assai ben disposto. Solo la questione dei confini libici presenta maggiori difficoltà, ma anche su questa non dovrà essere difficile intendersi.

Secondo le istruzioni di V. E. non ho interloquito, limitandomi ad ascoltarlo con deferenza.

Passato a parlare dalla Sarre, gli ho mostrato la speciale importanza che avrebbe in questo momento il suo autorevole appoggio ai negoziati in corso, sia perché le difficoltà e la passione di parte che si mescola alle trattative rischiano di complicarle quanto più esse si prolungano e sia perché una eventuale complicazione nella questione del disarmo si ripercuoterebbe dannosamente sulle trattative della Sarre, rischiando di comprometterle.

Naturalmente Barthou ha convenuto esser necessario compiere ora il massimo sforzo. Il che non impedisce però che ogni giorno si debba constatare presso la delegazione francese la stessa intransigenza.

248

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. s. 2680 G. Roma, 17 maggio 1934.

Mi permetto di richiamare la speciale attenzione di V. E. sui seguenti rapporti del nostro Ministro ad Addis-Abeba diretti al Ministero degli Esteri e da me oggi ricevuti:

N. 392/272 del 14 aprile u.s.

N. 458/317 del 19 aprile u.s. (1).

Questi due riguardano essenzialmente l'attività inglese per i lavori del lago Tsana.

Di questa attività eccezionale ed invadente pare che capi Etiopici e lo stesso Imperatore siano impressionati. Io chiedo se non si potrebbe di ciò approfittare a nostro vantaggio, prendendo le parti degli inglesi, o magari degli etiopi, qualora se ne presentasse l'occasione favorevole. Con questo lungi da me l'idea di mettere il naso in faccende che non mi interessano direttamente e, tanto meno, di voler insegnare ai gatti ad arrampicare.

Gli altri due rapporti, di ben maggiore importanza sono quelli:

N. 396/275 del 16 aprile u.s.

N. 407/282 del 20 aprile u.s. (l) e riguardano la preparazione militare in Abissinia.

Per quanto riflette i dati contenuti nel primo di detti rapporti relativi agli armamenti etiopici nulla di nuovo è segnalato.

In esso si segnalano invece due fatti che fanno pensare:

a) La preparazione per una possibile offensiva contro di noi da parte loro; offensiva, in massima, da eseguirsi nel caso che noi fossimo impegnati in Europa. Ma non si esclude, adesso, anche la eventualità di poterla effettuare senza che si verifichi la importante circostanza su accennata.

Si sostiene ancora, nel rapporto, che i soffiatori ai nostri danni sarebbero, come sempre, i francesi, specialmente nella persona dei velenoso Colonnello Guillon loro addetto militare.

Indubbiamente se si riescisse a dare la sensazione di un disinteressamento della Francia, noi ne avremmo un sensibile vantaggio.

b) Il cresciuto tentativo di propaganda a nostro danno in Eritrea ed in Somalia.

Io voglio ancora ripetere a V. E. la fede mia nel lealismo delle nostre truppe Eritree e anche delle popolazioni. Non escludo, però, che il giorno -ancora lontano -in cui nelle nostre Colonie si facesse strada la sensazione di una sempre crescente forza per parte dell'Impero confinante, la nostra situazione potrebbe non essere priva di preoccupazioni.

È indubbio che quel che più preme per il quieto, possibile, civile sviluppo dell'Eritrea e della Somalia è il toglierei dalla incertezza sempre crescente.

È superfluo che assicuri V. E. di tutte le mie cure perché i due Governatori siano sempre vigilanti e mi segnalino anche il minimo senso di possibile turbamento.

(l} Non pubblicati.

22 -Documenti dtplomattct -Serle VII -Vol. XV

(l) Non pubblicati.

249

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 1901/233 R. Addis Abeba, 18 maggio 1934, ore 14,35 (per. ore 5 del 20).

Telegramma di V. E. n. 109 (1). Circa questione Di Lauro non mancherò attenermi ordini dell'E. V. e telegraferò esito miei passi. Quanto ai nostri rapporti generali con l'Etiopia, asstcuro V. E. che ho sempre tenuto presenti le chiare direttive impartitemi dall'E.V.

Come osservavo a proposito del recente incidente, così strettamente collegato alla propaganda etiopica fra in nostri fuorusciti, la tracotanza Etiopia è sempre in aumento: e alcuni miei rapporti d'ordine generale avranno già illuminato V. E. su alcune manifestazioni dello stato d'animo Etiopia ai nostri

riguardi. Ma malgrado ciò è sempre stato mio costante intento, di giungere ad una chiarificazione: e poiché V. E. mi invita ad esaminare e scegliere il modo più opportuno per raggiungere tale scopo, mi sento autorizzato a esprimere chiaramente e francamente come sempre mio pensiero. Che quello che da parecchi giorni dico non sia ispirato da umore di quieto vivere o da spirito conciliante lo dimostrano il mio atteggiamento e i miei propositi nell'ultimo incidente e tutte le mie considerazioni. Ora è certo che la colpa dello stato delle nostre relazioni con l'Etiopia ricade sul programma nazionalistico e irredentistico dell'Etiopia stessa; ma se pure vi sono degli interessati a far sorgere equivoci sui nostri propositi, è pur vero che largamente vi influisce l'insieme del nostro atteggiamento. Fin dai primi tempi della mia permanenza qui ho creduto di prospettare all'E. V. quali potevano essere, fra altre, questioni la cui soluzione avrebbe potuto permettere una chiarificaZ!ione di rapporti.

Ma codesto Ministero non credette approvare mie proposte.

Quelle stesse questioni si sono ora aggravate.

Ora è inutile pensare di poter convincere l'Imperatore delle nostre intenzioni amichevoli e dissipare i suoi sospetti se la nostra politica si isterilisce nell'intransigenza e nel puntiglio in alcune questioni che irritano gli abissini in misura maggiore alla lora reale importanza; se la nostra stampa non perde occasione di attaccare l'Abissinia e di strombazzare ai quattro venti le nostre mire vicine e lontane sull'Africa; se principalmente, pur tenendo conto della pendenza della frontiera che produce situazioni poco chiare, vi sono ancora dei residui di quel sistema della così detta politica periferica i cui risultati l'E. V. giudicò ben

illusori quando io partii da Roma, e che sono la causa principale del nostri guai passati e presenti in Etiopia, producendo come solo risultato l'aperta diffidenza etiopica che non si può addormentare con le parole.

Il presente telegramma continua col numero successivo (1).

(l) Cfr. n. 202.

250

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1902/234 R. Addis Abeba, 18 maggio 1934, ore 15,35 (per. ore 5 del 20).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il numero di protocollo precedente (2).

Queste considerazioni non sono semplicemente mie impressioni personali: ma ho potuto convincermene parlando a più riprese con l'Imperatore, col Blata Herui e con capi. Anche l'altro giorno non mi Umitai a trattare con Imperatore del caso Di Lauro; alludendo alla necessità di chiarire fra noi gli equivoci egli mi disse fra l'altro essere convinto delle buone disposizioni del mio Governo e mie; ma sapeva che invece «alla periferia i sentimenti e l'azione erano ben diversi~-L'allusione è chiara. In una recente conversazione confidenziale il segretario generale degli affari esteri, col quale avevo parlato della propaganda antitaliana fatta dagli stessi organi governativi mi ha risposto negando i fatti e aggiungendo «del resto anche a noi raccontano che voi armate i capi a noi ribelli e cercate di sollevare le popolazioni; -il Governo della Somalia lo nega. Ma se il Governo della Somalia volesse aiutarci e veramente collaborare con noi, per esempio se cl avesse aiutati a impadronirci di Olol Dinle, così come gli inglesi hanno fatto per un altro villaggio recentemente, le cose andrebbero diversamente)); pertanto ritengo che allo scopo desiderato occorrerebbe:

1°) Risolvere sollecitamente e con spirito largamente comprensivo e senza intransigenza alcune questioni secondarie pendenti come ad esempio quella della denominazione e delle sedi dei nostri uffic[ e di quelli etiopici di Magalo (miei telegrammi 128, 178 e 208 (3) sui quali desidererei istruzioni in questo spirito). La nostra azione potrebbe allora essere più recisa in più grosse questioni, che toccano il nostro prestigio;

2°) agire sulla nostra stampa: il docile giornalista francese e tedesco colle sue indulgenti menzogne serve assai meglio gli interessi del suo paese che il nostro pubblicista con la sua inopportuna smania di sincerità;

3°) chiarire la situazione alle frontiere magari non opponendosi ad una delimitazione, dare prova di collaborazione premurosa ad Addis Abeba ma soprattutto alla periferia, rinunziando allo spirito e metodi che sono ancora usati; convincendoci che l'azione periferica e il tentare di influire su capi o sulle popolazioni è una politica che, se si vogliono migliorare i rapporti e chiarire gli equivoci, deve essere abbandonata recisamente e completamente non solo per le dannose conseguenze passate e presenti per le relazioni con l'Etiopia, ma anche perché per le mutate condizioni dell'Impero e l'aumentato accentramento, essa oltre che dannosa, è completamente inutile. Infine occorre tenere conto dei preparativi militari etiopici (mio rapporto n. 396/175) (l) dello spirito mostrato nei recenti incidenti e a più forte ragione prepararsi per nostro conto seguire la linea politica indicata se non altro per non affrettare una crisi.

Trasmesso per corriere rapporto dettagliato (2).

(l) -Cfr. n. 250. (2) -Cfr. n. 249. (3) -T. 3370/128 P.R. del 6 aprile, t. 4169/178 P.R. del 25 aprile e t. 4614/208 P.R. dell'8 maggio, non pubblicati.
251

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, E A MOSCA, ATTOLICO, E AL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI

T. PER CORRIERE 646 R. Roma, 18 maggio 1934.

(Per Ankara e Mosca) -Ho telegrafato ad Atene:

(Per tutti) -L'attuale viaggio di Rouschdi bey a Bucarest con sosta a Belgrado fa sospettare, sulla base anche di varie informazioni che le sono state comunicate a parte, che in presenza delle ultime vicende del patto balcanico, la Turchia cerchi di intessere qualche nuova rete di intrighi e di fronte ad accenni di avvicinamento jugoslavo-bulgaro tenda ad evolvere la sua politica nel senso di appoggiarsi piuttosto direttamente su Jugoslavia e Bulgaria con esclusione della Grecia e tutto ciò malgrado manifestazioni che hanno accompagnato la visita del generale Condylis ad Ankara. Sarebbe quindi opportuno che, ove possibile, Ella si adoperasse di mettere nella migliore evidenza costì queste osservazioni.

Richiamo anche la sua attenzione su presunte dichiarazioni che il generale Condylis avrebbe fatto al corrispondente dell'Agenzia Avala da Ankara e pubblicate nella Pravda di Belgrado del 12 corr., dichiarazioni che finiscono con una inutile punta antitaliana.

Circa il signor Venizelos pregola continuare a fargli sentire, sia pure con cautela e tatto, l'apprezzamento vivissimo che facciamo dell'attitudine ferma da

lui assunta circa il patto balcanico nei riguardi ellenici con valutazione che pienamente condividiamo, nel convincimento che un solo pericolo possa minacciare la Grecia; lo slavismo, ed una sola ne sia la salvaguardia: l'amicizia e l'appoggio dell'Italia, anche se isolatamente dalla Turchia.

(l) -Non pubblicato. (2) -È il R.r. 582/274 del 22 maggio che non si pubblica in quanto ripete la sostanza di questo telegramma e del precedente.
252

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. 655/56 R. Roma, 18 maggio 1934, ore 23.

Telespressi di V. E. n. 576 e 811 (1). Delegazione italiana a Ginevra ha appreso in modo sicuro che Litvinov ha fatto domandare a Londra se Governo inglese avrebbe visto di buon occhio ingresso Russia nella S.d.N. ·Governo inglese ha risposto favorev.olmente. Da accenni fatti da Avenol a Pilotti non è da escludere che per agevolare

ingresso U.R.S.S. a Ginevra venga presentata alla prossima assemblea della S.d.N. una mozione di invito al Governo sovietico analogamente a procedura seguita per entrata del Messico e della Turchia. In ambedue occasioni predette inizia

tiva fu presa da membri permanenti del Consiglio con adesione Stati minori. Si ha motivo di ritenere che Francia intenda assumersi iniziativa dell'invito per assicurarsi in contraccambio adesione sovietica ai suoi piani di sicurezza e di mutua assistenza.

Nostro atteggiamento, nei riguardi eventuale proposta di entrata dell'U.R.S.S. nella Lega, non può essere che favorevole. V. E. potrà esprimersi in tal senso, ove venga interrogato al riguardo da codesto Governo.

Sarà opportuno che V. E. continui proficui sondaggi su precisi intendimenti sovietici anche per quanto riguarda azione che U.R.S.S. intenderebbe sviluppare a Ginevra in connessione politica francese di sicurezza.

Opportunamente V. E. ha fatto rilevare a Litvinov l'attuale situazione di debolezza della Lega e l'interesse dell'U.R.S.S. di entrarvi in condizioni che implichino il rafforzamento dell'organismo ginevrino e la possibilità per le Potenze maggiori di svolgervi un'efficace azione. V. E. vedrà quando le convenga riprendere argomento per mettere nella maggiore evidenza criteri costruttivi ai quali si inspira piano di riforma considerato dal R. Governo.

Viene confermato che U.R.S.S. intenderebbe porre come condizione al suo ingresso a Ginevra di essere preliminarmente riconosciuta dagli Stati membri della Lega che non hanno con essa rapporti diplomatici, in particolare la Svizzera, Olanda, Belgio. È stato per ora presentito Motta che non si sarebbe mostrato ostile.

Altra condizione sarebbe la concessione di un posto permanente al Consiglio. È da prevedersi che esso risolleverà pretese altri Stati per analoga concessione. Polonia in particolare intenderebbe farne condizione per la sua permanenza nella Lega (l).

(l) Non pubblicati.

253

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. PER CORRIERE 658 R. Roma, 18 maggio 1934, ore 18.

Telegramma di V. E. n. 54 (2).

Poiché questione di un posto permanente nel Consiglio della S.d.N. desiderato da Polonia non presenta caratteré di immediata attualità sarà opportuno attendere, prima di entrare nel merito della questione, che circostanze si precisino. Comunque ove V. E. ne venga intrattenuto da codesto Governo potrà rispondere che Italia si attiene alle linee ben note della sua politica amichevole nei riguardi della Polonia e potrà assicurare, senza prendere tuttavia alcun preciso impegno che questione sarà considerata con lo spirito della più amichevole disposizione, e che Ella ritiene che non sarebbe certo l'Italia a fare opposizione.

254

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1903/1232/012 R. Varsavia, 18 maggio 1934 (per il 21).

In relazione a quanto ha già telegrafato Aloisi da Ginevra il 16 corrente (3) informo che Beck stamattina mi ha dichiarato inconcepibile per lui idea di un patto franco-russo di mutua assistenza a) perché se Polonia non vi partecipasse non (dico non) avrebbe alcun valore; b) perché Polonia non è stata presentita da Parigi in merito. Mi è sembrato assai seccato di tale proposito francese.

Circa entrata Russia S.d.N. egli dichiarasi scettico, critica coloro i quali attribuiscono a tale eventualità un valore enorme e che per spingere URSS a tale passo che non può darle vantaggi maggiori degli svantaggi vi abbinano combinazioni fantastiche.

Beck verrà a Ginevra il 29 e mi ha confermato intervento Litvinov che in

contrerassi con Titulescu concludendo forse normalizzazione rapporti romeno

sovietici.

Data attitudine Polonia su tutte le questioni in corso concorde o vicina nostri punti di vista mi permetterei sottolineare oppurtunità di nostri seguiti contatti fin da adesso con capo sua delegazione Ginevra.

Comunicato delegazione italiana Ginevra.

(l) -Il presente telegramma fu comunicato a Londra, Parigi, Berlino, Varsavia e alla delegazione italia-na a Ginevra con t. 668/C. R. del 21 ma.ggio. (2) -Con t. 1763/54 del 12 maggio, non pubblicato Bastianini aveva chiesto di essere informato circa l'atteggiamento del Governo riguardo all'eventuale concessione alla Polonia di un seggio permanente nel Consiglio della Società delle Nazicni, aggiungendo che tale seggio, formalmente promesso da Barthou, appariva come una condizione per la permanenza della Polonia nella Società stessa. (3) -Cfr. n. 243.
255

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL PLENIPOTENZIARIO TEDESCO PER IL DISARMO, RIBBENTROP (l)

APPUNTO. Roma, 18 maggio 1934.

Il Signor Ribbentrop ha avuto da Hitler l'incarico di occuparsi della questione del disarmo.

È stato a Londra ove ha visto i principali uomini di governo.

La sua impressione è che a Londra ci sia molto disorientamento.

Per quanto riguarda la Francia egli, pur rendendosi conto dell'attuale atteggiamento intransigente, non è del tutto pessimista perché pensa che i francesi dovranno uscire dalla situazione assurda in cui si sono messi per ritornare alla ragionevolezza.

In Germania si desiderava vivamente di venire ad un accordo. Hitler su questo punto è esplicito. Le domande presentate dalla Germania rappresentano qualche cosa di molto ragionevole. Egli ritiene che queste siano non solo impressioni tedesche ma anche degli altri paesi, come Inghilterra, Stati Uniti, Italia. Si è anzi rimproverato a Hitler per non aver chiesto di più, ma Hitler ha risposto che non si poteva voler tutto in una volta e che bisognava tener conto di certe realtà.

Egli pensa che si potrebbe trovare un accordo sulle seguenti basi: periodo di 5-6 anni senza disarmo da parte delle nazioni armate; concessione alla G<Jrmania di riarmarsi nello stesso periodo secondo le note proposte (armamento difensivo).

Per quanto riguarda gli aeroplani, la Germania attenderebbe due anni perchègli altri abolissero gli aeroplani da bombardamento. Se ciò non dovesse avvenire anche la Germania reclamerebbe di poter ottenere lo stesso tipo di aeroplani. Si potrebbe consentire all'Inghilterra di completare i propri armamenti aerei -oggi in notevole regresso -ottenendo contemporaneamente dalla Francia

una riduzione del suo armamento aereo. Per ottenere però la realizzazione di questo piano occorre rinviare la Commissione Generale.

Egli ha motivi per ritenere che l'Inghilterra non vi sarebbe contraria. Forse il Governo itaLiano potrebbe inte<ressarsi in questo senso presso quello inglese.

Il Capo del Governo ringrazia il Signor Ribbentrop per la sua esposizione.

Il punto di vista italiano è chiaro e definitivo. È stato riassunto in questi giorni nell'articolo pubblicato in tutta la stampa mond:iale (1).

Il Capo del Governo non intende prendere iniziative dl sorta. È disposto tuttavia a fare un passo presso il Governo inglese per cercare di ottenere il rinvio della Commissione Generale (2).

(l) L'appunto è stato redatto da Suv!ch.

256

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, DOLLFUSS

L. P. Roma, 18 maggio 1934.

Ho ricevuto la sua le,ttera del 14 (3) e Le sono ancora in debdto di una risposta per quella antecedente relativa sempre alla questione dell'insegnamento privato in Alto Adige.

Ho preso nota della rettifica da introdurre nel Suo pro-memoria relativo alla detta questione, rettifica che semplifica molto le cose. Ho riferito il contenuto della Sua lettera al Capo del Governo, al quale ho trasmesso anche i Suoi saluti che Egli ricambi ben cordialmente.

Il Capo del Governo m'incarica di informarLa che è disposto ad acconsentire in Alto Adige l'insegnamento privato della lingua tedesca, naturalmente col debito controllo da parte dello Stato. Nel periodo che intercorre tra ora e l'inizio del prossimo anno scolastico saranno presi i provvedimenti opportuni per organizzare tale insegnamento.

La questione va ancora esaminata nei dettagli, ed io mi riservo di riscriverLe fra qualche tempo per indicarLe particolarmente le decisioni prese nei riguardi dei singoli punti da Lei sollevati.

Risponde che si tratta del totale. Gli è stato anche chiesto se, nel caso che la Francia, riducesse il numero degli aeroplani, la Germania sarebbe disposta a ridurre proporzionalmente anche il proprio. Il signor Ribbentrop ha risposto che ciò va da sé, e ha chiesto se effettivamente noi abbiamo l'impressione che le domande tedesche siano moderate. Gli ho risposto a titolo personale dicendo che mi parevano forti le richieste aeree e anche gli aumenti di crediti per gli armamenti.

Venendo a parlare del rinvio della commissione generale gli ho detto essere mia impressione che oramai la stessa non possa essere più rinviata. La riunione si dovrà tenere in ogni caso, salvo poi a cercare di rimandare le discussioni ad un'epoca futura».

(l) -Mussolini allude al proprio articolo sul disarmo pubblicato su Il Popolo d'Italia del 18 maggio e ripreso dai principali giornali italiani ed esteri. (2) -Il presente verbale fu comunicato da Suvich alle ambasciate di Berlino, Bruxelles, Londra, Mosca e Varsavia e alla delegazione a Ginevra con t. per corriere 692/C. R. del 26 maggio con l'aggiunta del seguente brano: «È stato poi chiesto al signor Ribbentrop se il numero degliaeroplani richiesti dalla Germania secondo le note proposte, sia il 50% rispettivamente e il 30%, del totale degli aeroplani posseduti dagli altri Stati, o soltanto degli aeroplani di caccia e ricognizione.

(3) Non si pubblica, In quanto il suo sunto si trova nel n. 229.

257

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTER!!, MUSSOLINI

TELESPR. 775/308. Ankara, 18 maggio 1934 (per. il 22).

Dopo la visita ad Ankara del Generale Kondjlis, questo Ministro di Bulgaria fu chiamato da Tewfik Rustu bey affinché ascoltasse una dichiarazione secondo cui, nella visita del Ministro della Guerra greco e nelle relazioni tra Turchia e Grecia, non vi era nulla di lesivo verso gli interessi bulgari; la politica della Turchia mirando sempre ad un miglioramento dei propri rapporti con la Bulgaria.

Il Signor Antonoff ascoltò scetticamente questa dichiarazione che trasmise al suo Governo, il quale, a sua volta, lo incaricò di dire al Governo turco che nella visita di Jeftic a Sofia, nelle relazioni tra Bulgaria e Jugoslavia e nella eventuale conclusione di un patto di non aggressione bulgaro-iugoslavo non vi era nulla di lesivo degli interessi turchi, la politica della Bulgaria mirando egualmente al miglioramento dei propri rapporti con la Turchia.

Questa comunicazione fu fatta dal Signor Antonoff a Numan bey; il quale, sentendo parlare del patto di non aggressione bulgaro-jugoslavo, esclamò: "Ma come mai potete credere che questo patto abbia a dispiacervi? Tutt'altro ".

Qual'è dunque la vera attitudine della Turchia di fronte al riavvicinamento bulgaro-jugoslavo? Bisogna distinguere fasi ed atteggiamenti:

1a fase -Insormontabile opposizione turca all'idea del blocco jugoslavobulgaro; tentativo di attrarre la Bulgaria dalla propria parte; insuccesso di questo tentativo con conseguente soluzione di compromesso tra gli Stati Balcanici intorno all'oggetto delle loro voglie: «né mio, né tuo; neutralizziamoci a vicenda». Si giunge così al Patto Balcanico.

2a fase -Mentre la Turchia crede di avere imbrigliato il puledro jugoslavo, scorge più lontano l'ombra dell'Italia che attraverso l'Albania si proietta sino a Sofia. L'allarme anatolico si propaga alla Tracia, con la differenza che -secondo le giuste parole di VassH a Roma -l'esercito turco, molto forte in Anatolia, è invece debole sul territorio della Turchia europea a causa della frattura marittima degli stretti che lo dividono in due ed a causa del poco respiro del territorio turco-europeo addossato tra il mare e la frontiera. Che fare? Siamo nell'attuale momento di acciecamento ove tutto sembra dare ragione ai sospetti contro l'Italia.

3a fase -Il portavoce del Ministero Esteri annuncia che il riavvicinamento jugoslavo-bulgaro lo lascia indifferente, anzi...

Gli è che la Turchia si illude sempre che il Patto balcanico, che si potrebbe chiamare il patto degli eunuchi, non soltanto in omaggio a Titulesco, ma per la astensione che ciascuno promette e si attende, renda infecondo il contatto jugoslavo-bulgaro. Su tale errore ho ripetutamente messo in guardia questo Governo; ma, pel momento, l'idea sussiste.

Pericolosissimo invece, agli occhi del Governo turco, il contatto bulgaroitaliano; e per evitarlo, nulla di meglio, per ora, che lasciare correre questa amorosa simpatia tra Sofia e Belgrado; tanto più Sofia si compromette verso un paese anti-italiano come la Jugoslavia, tanto più essa si allontanerà da Roma. Quando poi il giuoco jugoslavo-bulgaro divenisse fastidioso, il patto balcanico fornirà i freni necessari; mentre non ci sarebbero né freni né intralci diplomatici di alcun genere alla eventualità di un libero giuoco della Bulgaria verso l'Italia.

Ho parlato con Numan bey e con Vassif bey di questo pericoloso atteggiamento turco, ricordando loro che un ritorno alla politica di Milano significa una fiduciosa certezza che nessuna delle due parti imbastisca combinazioni che possano risultare contrarie all'altra parte. Orbene, a Milano non si era parlato forse della Bulgaria? E se l'Italia ha, come deve avere, una propria politica in Bulgaria non deve essere, questa, interpretata come una forza di contrapposizione alla Jugoslavia ed alla Piccola Intesa? L'insuccesso della Turchia verso la Bulgaria non deve forse spingere maggiormente l'Italia a tenere la Bulgaria in un'orbita che, attraverso l'amicizia di Roma con Ankara, sarebbe la stessa di quella ove gravitano le amicizie di Milano? Come pensare dunque che l'Italia possa lavorare contro se stessa, aizzando la Bulgaria verso la Tracia, per buttarla nelle braccia della Jugoslavia? Se si vuole ritornare veramente alla politica di Milano, bisogna ritornarvi totalitariamente, senza sottintesi, senza sospetti, senza concezioni intermedie che facciano stare la Turchia in bilico fra noi ed i nostri nemici, o che suppongano l'Italia un giorno amica ed un giorno nemica.

Questi argomenti non possono avere presa immediata nello stato d'animo dei turchi in questo momento; occorrerà ripeterli con pazienza e sperare di vedere che facciano presa mano mano che le mal poste preoccupazioni siano per decadere e che il tempo faccia sbollire le eccitazioni incomposte le quali purtroppo sono alimentate dall'alto, presso qualcuno che vive in uno stato quasi morboso di solitudine, e di auto-esaltazione.

Il mio colloquio con Ismet Pascià, che è fissato per sabato 19 corrente, potrà forse portare un utile contributo ad un principio di ripresa della reciproca comprensione (l).

258

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 2528/856. Belgrado, 18 maggio 1934 (per. il 21).

La recente visita ufficiale di Jeftic a Sofia (la prima fatta in Bulgaria da un Ministro jugoslavo dopo il 1912) ci mette incontestabilmente in presenza del più deciso sforzo per incamminare i due Stati sulla via della buona intesa e di uno stretto loro riavvicinamento.

La visita è prova di per se stessa che numerosi ostacoli e prevenzioni sono già stati superati e che un nuovo «clima » si è creato fra i due popoli, attraverso una continua serie di manifestazioni di riavvicinamento, moltiplicatesi in questi ultimi tempi, da me accuratamente registrate e segnalate a V. E.

I risultati concreti e le realizzazioni raggiunte in tale incontro toccano il campo economico (trattato di commercio, convenzione veterinaria, tariffe ferroviarie, sviluppo e miglioramento delle vie di comunicazione, semplificazione delle formalità dei passaporti); ma questi accordi economici, già fissati od in preparazione, hanno un loro particolare valore in quanto servono a smussare ancora più ogni asperità nei rapporti bulgaro-jugoslavi ed a spianare la via all'accordo politico, cui si tende da ambo le parti con una tenace persistenza che non può più ormai essere messa in dubbio.

Nei riguardi dell'accordo politico, dalle informazioni in mio possesso, risulta che Muscianoff aveva offerto che nel patto di non aggressione, del quale si tratta fra Belgrado e Sofia, fossero deferiti all'arbitrato della Società delle Nazioni le incursioni di bande e gli incidenti di frontiera. Jeftic ha obiettato di non vedere la necessità di questo rinvio. a Ginevra, quando questioni del genere potevano, con amichevole spirito, regolarsi direttamente fra i due Paesi

o tutto al più nel quadro generale balcanico, ed invitato Muscianoff a proporre altra formula che potesse ingranarsi nel Patto balcanico e in quello di Londra sulla definizione dell'aggressore. Jeftic ha insistito perché si possa giungere per lo meno a parafare un testo concreto avanti la visita di Re Alessandro a Sofia, fissata in massima per il mese di giugno prossimo.

Le maggiori difficoltà per questo punto, perciò, non verrebbero tanto da Jeftic quanto da Titulescu, il quale insisterebbe per la inclusione integrale nel futuro Patto di non Aggresione bulgaro-jugoslavo della definizione dell'aggressore quale fissata a Londra.

Ma il punto più significativo dell'incontro di Sofia sta a mio giudizio nel colloqui puramente ufficiosi e privati sui termini in una amnistia ai macedoni da concedersi da Re Alessandro prima di intraprendere il viaggio per restituire a Re Boris la visita qui fattagli il 10-13 dicembre '33. La Bulgaria anzi (secondo quanto mi ha accennato questo Ministro bulgaro) avrebbe indicato a quali categorie di macedoni e per quali reati sarebbe consigliabile estendere la progettata amnistia.

La visita di Jeftic a Sofia segna quindi una tappa importante nella manovra jugoslava, condotta con prudente abilità, specie dopo la firma del Patto Balcanico, tanto nei riguardi dei bulgari quanto degli alleati balcanici per giungere ad un accordo diretto fra i due Paesi. La manovra va ogni giorno più deline!lindosi chiaramente, e l'accordo con la Bulgaria appare sempre più l'asse della politica di Belgrado, dal viaggio circolare balcanico di Re Alessandro dell'autunno scorso ad oggi, contemporaneamente al verificarsi di un rallentamento sempre più rimarchevole dei legami della Piccola Intesa (la Cecoslovacchia sembra quasi ignorata dalla Jugoslavia nell'attuale evoluzione della sua politica estera). È certo anche la neeessità francese di mantenere in vita, di fronte a minacciate maggiori complicazioni europee, la Piccola Intesa, che permette alla Jugoslavia di intiepidire i suoi rapporti in seno ad essa.

A basi del nuovo orientamento della politica jugoslava stanno del resto:

l) sopratutto la diffidenza, fissatasi nell'autunno 1932 verso la politica italiana, direttamente antijugoslava con la sua tesi revisionistica e la sua azione danubiana;

2) la volontà di svolgere una politica propria, a causa della relativa sicurezza che le offrono gli accordi con la Francia e Piccola Intesa, mentre occhieggia con la Germania;

3) il desiderio di giungere --attraverso la relativa emancipazione dei Balkani dalle Grandi Potenze e un accordo con la Bulgaria -ad una affermazione egemonica jugoslava, sulla Penisola che valga ad una almeno relativa indipendenza dalla Francia. Ne è indiretta prova il favore col quale la Germania segue il processo di riavvicinamento bulgaro-jugoslavo, iniziando praticamente una efficace azione di penetrazione, per il momento, economica in questo Paese.

Affermavo più innanzi che la visita di Jeftic a Sofia marcava un punto essenziale nei rapporti bulgaro-jugoslavi. Lo indica principalmente il precipitoso arrivo a Belgrado, al ritorno del Ministro jugoslavo, dei Ministri degli Esteri turco e romeno. Tewfik Ruscdi Bey aveva vagamente preannunciata tale visita, ma quella di Titulescu è stata del tutto inaspettata, come si è potuto rilevare anche da comunicati apparsi sulla stampa locale. Ciò del resto è nello stile dell'agitato Ministro romeno. Motivo dichiarato delle visite è stato di prendere accordi per la prossima riunione a Ginevra sul disarmo e sulle maggiori questioni che saranno dibattute al consiglio della Società delle Nazioni etc. etc. Poi anche lo sviluppo del Patto Balcanico.

Ma il reale motivo della improvvisa calata a Belgrado dei Ministri turco e romeno è stato quello di sorvegliare davvicino l'alleato jugoslavo rispetto al suo procedere verso il riavvicinamento con la Bulgaria, e spingerlo alla ratifica del Patto Balcanico.

Secondo le affermazioni di Tewfik, dopo l'incontro con Kondylis, la situazione con la Grecia è chiarita, secondo Titulescu nulla più si oppone alla ratifica del Patto Balcanico poiché il Governo greco ha assicurato che la dichiarazione interpretativa degli impegni assunti dalla Grecia non annulla il pieno valore esecutivo degli obblighi stabiliti dall'art. 3 del Protocollo Segreto.

La ragione fondamentale della visita (dopo lo scambio di idee avuto a Bucarest) deriva perciò dalla preoccupazione turco-rumena di una rapida evoluzione dei rapporti jugo.slavo-bulgari, nel senso di un concreto pr·osstmo diretto ~iavvicinamento, che non può non andare a svantaggio degli altri stati balcanici. Suo scopo, quindi, quello di controllare il riavvicinamento fra l due Stati slavi, ed inquadrarlo al più presto nel Patto Balcanico premendo sulla Jugoslavia perché lo ratifichi. I due Ministri hanno quindi cercato di smorzare le diffidenze jugoslave verso la Grecia ed ottenere la conferma dell'impegno di Belgrado che la Jugoslavia non firmerà un patto di non aggressione con la Bulgaria se contemporaneamente non si addivenga alla firma di analoghi patti tra Bulgaria Grecia e Romania. Un singolo patto bulgaro-jugoslavo infirmerebbe infatti definitivamente le finalità antijugoslave che sono perseguite dagli altri firmatari del Patto Balcanico.

Non risulta se e fino a qual punto, malgrado le dichiarazioni ufficiali del pieno accordo raggiunto fra i tre Ministri, questo Governo terrà fede a detto impegno. Sembra piuttosto che esso cerchi di tirare le cose in lungo, abilmente destreggiandosi e sostenendo anzitutto la necessità di attendere una chiarificazione della situazione interna greca e forse anche le elezioni.

A conclusione di questa breve esposizione, che completa le notizie trasmesse con la Stefani si può constatare: a) si è ancora in una fase di movimento, né si può fissare quando la situazione giungerà ad un nuovo punto definitivo;

b) persiste una precisa diffidenza jugoslava verso la Grecia per la attitudine di Venizelos. Forse questa diffidenza è ad arte forzata per giustificare la non ratifica del patto e godere di una qualche maggiore libertà di manovra per il fine principale jugoslavo (accordo con la Bulgaria).

L'irritazione turca contro Venizelos sarebbe ancora fortissima. Questi è accusato di rapporti e legami segreti con l'Italia. Malgrado quanto Tewfik Ruscdi avrebbe detto ad J,eftich circa i risultati della visita di Kondylis, è mia impressione, dopo vari colloqui avuti con un collega amico, che la verità sia il contrario. Questi è giunto a dirmi: «E non sarebbe vostro interesse spingere gli jugoslavi a Salonicco per distrarli dall'Adriatico?». Considero tale domanda come una pura espressione personale del mio interlocutore, (al quale ho risposto ricordando l'onesta politica dell'Italia e l'osservanza delle sue amicizie). Ma più ancora che il contesto della domanda, il tono di essa indicava quale sentimento di astio verso la Grecia fosse nutrito dal mio collega.

c) decisa marcia jugoslava verso il riavvicinamento con la Bulgaria, che è ormai l'asse definitivo della politica di Belgrado dall'autunno in qua, mentre la Piccola Intesa è il lato di attività politica meno importante che essa abbia nel suo scacchiere. Jeftich, secondo mie attendibili informazioni, avrebbe dichiarato a Tewfick Ruscdi bey ad Angora, che ormai la Jugoslavia tendeva con ogni sua forza al riavvicinamento con la Bulgaria. Egli dava per altro ogni formale assicurazione che tale obbiettivo non nascondeva alcuna finalità aggressiva, né era incompatibile con la tranquillità balcanica degli altri Stati della penisola, in primo luogo della Turchia. Ma la Jugoslavia non poteva ormai rinunciare a perseguire tale scopo pure inquadrandolo nel resto della sua attività balcanica, e subordinandolo in ogni caso agli impegni preesistenti con gli altri stati balcanici. Tewfick Ruscdi avrebbe accettato di buon grado tale dichiarazione jugoslava. Sarebbe Titulescu quegli che invece se ne sarebbe vivacemente allarmato.

d) reciprocamente la Bulgaria, dopo la conclusione del Patto Balcanico che presto o tardi essa crede sarà ratificato, non vede altra via di uscita e di salvezza che l'accordo con la Jugoslavia. Solo attraverso l'accordo con questa sua sorella slava, la Bulgaria può sperare di non sentire tutto il peso ostile del Patto Balcanico (dichiarazione a me di Kiosseivanoff, Ministro di Bulgaria, dichiarazioni che del resto rispondono interamente al mio pensiero e, come leggo, anche a quello di S. E. Lojacono).

e) da tutte queste premesse traggo una conseguenza e formulo una ipotesi per ora puramente teorica.

La conseguenza è che le rivendicazioni minoritarie per la Macedonia, pur non essendo abbandonate, passano in seconda linea nelle analoghe rivendicazioni bulgare. Che si vuole di più delle indicazioni ufficiose bulgare alla Jugoslavia. per la amnistia ai macedoni che dovrà illuminare la via che condurrà Re Alessandro a Sofia?

La ipotesi, per ora però puramente teorica, è che in seno al Patto Balcanico, quando esso finirà con l'avere una esistenza diplomaticamente perfetta con le ratifiche jugoslava e romena, la Turchia potrebbe tendere ad allentare i suoi particolari legami con la Grecia, e si potrebbe invece formare una linea da Belgrado ad Angora per Sofia.

f) la funzione della Cecoslovacchia è estremamente sbiadita. I suoi Ministri nelle varie capitali balcaniche fanno soltanto da corifei negli innumerevoli transiti e partenze degli uomini di stato rumeno greco turco jugoslavi.

g) il nuovo cemento che unisce la Turchia alla Jugoslavia in contrasto con i rapporti ostili che esistevano fino a poco più di un anno e mezzo addietro fra queste due potenze, è la difesa dalle ambizioni italiane. Le notizie che vengono da Angora a questi Rappresentanti diplomatici a Belgrado affermano concordi una evoluzione rapidissima del pensiero turco nei nostri riguardi. La Jugoslavia evidentemente la alimenta in ogni possibile modo. Non si può però credere si sia già giunti a considerare possibilità militari comuni. Già anche l'esame generico delle possibilità militari rispettive sia offensive che difensive fa rilevare una assoluta disparità e sproporzione di mezzi che una potenza potrebbe prestare all'altra contro l'Italia. Ciò per altro escludendo un disegno militare francese. Se questo invece sia ammesso, il problema si presenterebbe diversamente. Non bisogna dimenticare che una accensione di sospetti turchi contro l'Italia (fortunatamente subito allora sopita e principalmente per spontanea reazione turca che allora credeva a nostri aiuti finanziari ed aveva in Siria qualche contrasto con la Francia) avvenne proprio per insinuazione francese nella primavera dello scorso anno. Ad ogni modo è prematuro pensare a concreti accordi militari turco jugoslavi come comunicati dal Ministro di Ungheria al nostro Ministro a Sofia (telegramma di V. E. n. 65) (l) benchè tale voce certo esagerata e prematura sia però il più preciso sintomo della attuale situazione italo-turca.

h) in questa situazione balcanica non bisogna dimenticare un solo momento la parte sempre crescente che la Germania intende prendere sia con la penetrazione economica sia con l'influenza politica. La Germania ha mostrato la sua contrarietà all'accordo balcanico, il suo favore all'avvicinamento bulgaro jugoslavo. E punta, visibilmente, anzitutto sulla Jugoslavia per il suo nuovo sforzo, come su quella potenza balcanica che sembra presentare in questo momento il massimo di ordine politico, e la più sicura persistente direttiva di politica estera, nella quale i sintomi di scarsa fiducia nella Francia sono anche troppo visibili. Le molto lusinghiere dichiarazioni per la Jugoslavia fatte da

Goering nel suo brevissimo passaggio vanno troppo oltre le consuete frasi di cortesia per non esprimere una ben dichiarata finalità, e fanno dubitare della piena sincerità delle espressioni che per mio mezzo egli ha fatto giungere a

S. E. il Capo del Governo.

(l) Cfr. n. 302.

(l) Sl tratta del numero particolare di protocollo per Belgrado del t. 597 R. per 11 quale cfr. n 203, nota 2.

259

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1870/41 R. Ginevra, 19 maggio 1934, ore 0,35 (per. ore 3).

Ho parlato con Barthou anche Sarre esponendogli ancora una volta argomenti atti a superare resistenza francese alla fissazione data del plebiscito.

Barthou ha replicato governo francese essere assolutamente impossibilitato dare suo assenso fissazione data se prima Consiglio non avrà definite misure garanzia per libertà e sincerità voto.

Dopo lunghe discussioni Barthou ha finito per accettare mia seguente proposta: nella seduta straordinaria del Consiglio che si terrà contemporaneamente alla prossima riunione disarmo, verrebbe letta una dichiarazione sottoscritta tanto dalla Francia quanto dalla Germania «la cui formula Barthou per suo conto ha dichiarato di accettare ~ mentre contemporaneamente Consiglio procederebbe adozione misure garanzia richieste dalla Francia e fisserebbe data plebiscito.

Sottoporrò domani formula dichiarazione ai tedeschi cercando vincere loro resistenza alla accettazione di due sole espressioni contro le quali ancora persiste loro opposizione (l).

260

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1886/164 R. Berlino, 19 maggio 1934, ore 13,12 (per. ore 16,30).

Telegramma di V. E. n. 643/C. (2).

Von Neurath mi ha detto che aveva parlato poco prima con ambasciatore Nadolny giunto recentemente da Mosca, il quale aveva accennato alla possibilità che Litvinov tentasse a Ginevra di proporre alla Francia patto di mutua assistenza franco-sovietica.

Gli ho domandato quale atteggiamento assumerebbe il Reich di fronte ad un tale accordo.

Egli rispose che siccome patto sarebbe stato concluso senza chiedere l'avviso della Germania, questa non avrebbe avuto nulla da dire.

Un simile patto a due, nel momento presente, avrebbe però certamente avuto un carattere aggressivo e come tale sarebbe stato considerato dall'opinione pubblica e dal Governo tedesco.

(l) -Ritrasmesso a Berlino, Londra e Parigi con t. per corriere 660 R., pari data. (2) -Cfr. n. 243, nota 2.
261

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1890/42 R. Ginevra, 19 maggio 1934, ore 23 (per. ore 1,30 del 20).

Dopo conversazioni durate ininterrottamente tutta la giornata è stato possibile compilare uno schema di dichiarazioni di garanzia che è stato accettato tanto da parte francese che da parte germanica.

In un punto solo l'accordo non è stato possibile.

Delegazione francese subordinava la fissazione della data plebiscito alla fissazione delle misure di giustizia e di polizia che il Comitato avrebbe stabilito in consultazione con i Governi francese tedesco.

Francesi osservano che senza questa coordinazione tra la data del plebiscito e le misure di polizia e di giustizia, la Germania non avrebbe alcun interesse di concretare queste misure.

Per contro da parte germanica si osservava non senza qualche fondamento che la Germania non poteva accettare la fissazione della data ad un fatto inesistente cioè a delle misure che ancora non sono concretate e per le quali Germania non poteva aprioristicamente impegnarsi.

Nell'impossibilità di rimuovere le divergenze su questo punto è stato convenuto di tenere fermo lo schema di dichiarazione accettato dalle parti e iniziare subito e senz'altro conversazioni per stabilire le misure di polizia e giustizia.

Se, come prevedo, esse potranno essere concordate prima della seduta della sessione straordinaria, del Consiglio serbata il 30 maggio, in quella stessa seduta il Consiglio con apposita decisione prenderà atto della dichiarazione franco-germanica e fisserà contemporaneamente la data plebiscito.

Invio per posta lo schema della dichiarazione di garanzie.

262

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 666/124 R. Roma, 19 maggio 1934, ore 24.

Imminenza riunione commissione generale disarmo Ginevra prego V. E. voler prospettare ancora una volta inopportunità riunione stessa e pericoli che ne

possono derivare. Ragioni per cui riteniamo che conferenza non possa portare ad alcun risultato sono note a V. E. e sono state discusse in occasione visita on. Suvich Londra.

Mio punto di vista in questione disarmo rimane immutato come prospettato da mio recente articolo (1). Se quindi non si vuole che la questione del disarmo

o meglio della limitazione degli armamenti sia definitivamente sepolta bisognerà trovar modo di rinviare la commissione generale ad epoca successiva che potrebbe essere autunno per dar modo agli Stati maggiormente interessati di riprendere le loro conversazioni. Questa è l'ultima speranza che rimane per evitare il naufragio della conferenza con relativa corsa agli armamenti. È chiaro che sarebbe prefe.ribile rinviare la commissione generale prima che la stessa si riunisca per evitare dei discorsi perfettamente inutili che non farebbero che rendere più acuta la situazione. Anche l'intervento di tutte le Potenze minori che partecipano alla commissione generale non è certo atto a facilitare una soluzione.

Voglia l'E. V. fare presente queste ragioni a codesto Governo per sentire l'opinione dello stesso al riguardo. Se Governo britannico fosse d'avviso svolgere qualche azione per ottenere la proroga della commissione generale prima che la stessa si riunisca, noi saremmo disposti ad unirei a tale eventuale azione. Ad ogni modo quando la riunione della commissione generale non fosse evitabile converrà prendere degli accordi per ottenere in sede stessa di conferenza rinvio di essa ad epoca futura.

Dia al suo passo carattere strettamente confidenziale per cotesto Governo.

263

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 12-19 maggio 1934.

Ho l'onore di riassumere lavori ed impressioni di questa settimana ginevrina.

Disarmo -Oramai il fato è segnato e c'è una generale apatia. L'articolo di

V. E. (l) ha fatto impressione e ha accresciuto l'ansietà. Ma l'impressione generale è che oramai il libero armamento da parte di tutti sia una eventualità assai difficilmente evitabile.

Sarre -In questa difficile situazione si dà da tutti gli esponenti della politica mondiale convocati a Ginevra una grandissima importanza a questa questione che può costituire l'incentivo a una maggiore tensione.

Come V. E. avrà rilevato dai vari telegrammi un buon lavoro è stato svolto. L'inizio è stato penoso dato che i due contendenti si tenevano fermi su punti di vista diametralmente opposti. La Germania poneva la fissazione della data

23 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

del plebiscito come condizione assoluta a qualunque inizio di trattazione. E la Francia poneva come sua condizione assoluta la istituzione di organismi aventi il compito di garantire la piena libertà del voto. Con lento lavorio si è giunti ad ottenere l'adesione di entrambi i contendenti ad una dichiarazione comune da leggersi in consiglio. Nella prossima gita a Ginevra in occasione del disarmo riprenderò gli sforzi per raggiungere l'accordo anche sulla definizione delle garanzie, che è l'unico punto ancora in discussione, se pure il più duro a risolvere.

Ungheria. La discussione sul reclamo ungherese contro la Jugoslavia è stata rinviata a quando si avranno maggiori elementi di giudizio. Intanto l'opinione societaria si è manifestata contro l'Ungheria. Barthou ha colto l'occasione di fare delle decise dichiarazioni di attaccamento della Francia alla Piccola Intesa.

Venuta di Litvinotf. È stata fugacissima ed alquanto misteriosa. Barthou mi ha esplicitamente accennato ad un patto regionale di mutua garanzia. L'impressione generale è che si torni ai blocchi dell'anteguerra come unica possibile forma di garanzia succedanea del fallito disarmo.

Attitudine inglese. Assente nelle grosse questioni, da cui la Gran Bretagna sembra quasi ritrarsi. Pronta e decisa nelle minori questioni particolari in cui sia in giuoco un determinato interesse inglese. Tipico è stato il vivace intervento di Eden nelle questioni della Liberia, che l'Inghilterra ha ora interesse a ridurre in servitù propria e degli Stati Uniti.

Attitudine francese. Dilatoria nella Sarre; ambigua nella questione del disarmo; attiva nello sforzo di rinforzare !e antiche alleanze e di completarle con la rinnovata duplice franco-russa.

La Francia non crede che alle sue armi e ai suoi blocchi per quanto riguarda la sua salvezza e alla Lega per quanto riguarda l'utile procedura da seguire nel conseguimento dei minori obiettivi.

(l) Cfr. n. 255, nota l, p. 274.

264

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (l)

T. 5120/72 P.R. Roma, 20 maggio 1934, ore 2.

Rispondo suo rapporto (2) concernente trattamento fatto in Jugoslavia alla mano d'opera italiana. Si rechi dal ministro degli esteri e dopo avere richiamato energicamente la di lui attenzione sulla situazione, gli annunci che se le oose non cambiano immediatamente, passeremo alle rappresaglie.

(l) -Minuta autografa d! Mussollnl. (2) -Non pubblicato.
265

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 665/92 R. Roma, 20 maggio 1934, ore 2,30.

In occasione della visita di Ruschdi bey, sarebbe opportuno che anche costi gli venisse parlato con tono fermo e deciso circa sua attività svolta nelle capitali balcaniche e tesa a creare nuove inquietudini e nuovi intrighi le cui conseguenze potrebbero del resto rivolgersi contro la stessa Turchia, *e circa la posizione ostentatamente antitaliana presa da lui, dal presidente della Repubblica e dalla stampa turca • (l).

266

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 667/93 R. Roma, 20 maggio 1934, ore 2,30.

Relazione suo telegramma n. 99 (2) non occorre presidente Gombos si occupi di questioni di cui mio telegramma per corriere n. 583 (3). Sarebbe invece opportuno chiedere a Goering che cosa rappresentino e a che cosa tendano le recenti manifestazioni per un avvicina~ento tedesco-jugoslavo alle quali ad onta delle smentite tedesche non si può negare un particolare significato politico (4).

267

IL MINISTRO A TEHERAN, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1946/54 R. Teheran, 20 maggio 1934, ore 18,30 (per. ore 22,30).

Mi riferisco al mio telegramma n. 51 e telegramma di V. E. n. 34 (5).

Ministro degli affari esteri mi ha detto che Scià era rimasto impressionato da dichiarazioni ministro degli affari esteri turco secondo cui, se informazioni qui giunte sono esatte, sarebbe stata data assicurazione ad ambasciatore di

(l} Il brano fra asterischi è di pugno di Mussol1n1. La visita di Ruschdi bey a Budapest non ebbe poi luogo.

(2} T. 1852/99 R. del 17 maggio, non pubblicato, con 11 quale Colonna chiedeva, per conto di Gombos, se Mussolini ritenesse opportuno, nel corso del prossimo incontro con Goring, un accenno da parte del presidente del consiglio ungherese, all'argomento di cui al t. 583.

(3} Cfr. n. 197.

(4} Per la risposta cfr. n. 274.

C5) Non pubblicati.

Turchia a Roma che S. E. Capo del Governo non aveva pensato Turchia in punto suo discorso circa Asia non considerandola come popolo asiatico.

Scià ne ha ricavato conseguenza che altri paesi asiatici, e quindi anche Persia, formano oggetto di considerazioni S. E. Capo del Governo che hanno destato preoccupazioni.

Ho replicato che anche io non avevo informazioni sicure circa assicurazioni fornite ad ambasciatore di Turchia a Roma, che disponevo solamente notizia stampa. Tuttavia non ritenevo interessante ai fini polemici stampa persiana stabilire se la Turchia era o non da comprendersi tra popoli asiatici.

Interessante è invece evitare false illazioni da chiare lecite dichiarazioni del· capo del Governo che specialmente in Persia non potevano essere fraintese. Bastava tra altro porle in relazione còn argomentazioni capo del Governo in discorso studenti asiatici che destarono qui cordiali consensi ed entusiasmi.

Riferiseo quanto precede per il caso sembri opportuno tenere presenti osservazioni questo ministro affari esteri in articolo da pubblicare in stampa italiana e da riprodurre in stampa persiana con opportuni commenti.

Ho detto chiaro a ministro degli affari esteri che quando giornali persiani accennavano a pericoli di violazione dell'indipendenza politica ed economica della Persia dovevano pensare ad altri paesi ma non Italia, così distante e che aveva sempre tenuto nei riguardi Persia chiara insospettabile linea politica estera.

*Questo ministro affari esteri mi ha detto che Scià era rimasto tanto più addolorato in quanto viva e profonda è sua ammirazione per S. E. il capo del Governo* (1).

Ho risposto constarmi tale ammirazione essere contraccambiata e che io ero pronto a ripetere e chiarire personaimente a S. M. Scià esatta portata discorso del Capo del Governo come non dubitavo del resto ministro stesso avrebbe fatto dopo nostra conversazione (2).

268

IL CAPO GABINETTO, ALOTSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 20 maggio 1934.

Prilma della mia partenza il Ministro di Ungheria a Ginevra mi ha confidato che Barthou gli ha parlato della convenienza, per l'Ungheria, di intendersi direttamente con la Jugoslavia, lasciando così cadere la procedura di inchiesta messa in moto presso la Società delle Nazioni, non solo sulla questione degli incidenti di frontiera, ma anche su tutte le questioni interessanti i due paesi.

Il Ministro di Ungheria ha allora chiesto a Barthou se egli intendeva accennare alla possibHità di una conversazione diretta fra Ungheria e Jug.oslavia anche

sul tema del revisionismo. Barthou ha lasciato questo interrogativo senza una precisa risposta. La Francia preferirebbe dunque un dialogo solitario fra i due contendenti sotto i suoi auspici e fuori della Società delle Nazioni.

(l) -Il passo tra asterischi è stato sottolineato da Mussolini. (2) -Annotazione a margine di Suvich: «C. vada dallo Scià a spiegargll ».
269

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1908/310 R. Shanghai, 21 maggio 1934, ore 10 (per. ore 3 del 22).

In tutte le conversazioni che ho avuto con Chiang Kai Schek questi mi ha sempre lungamente e sopratutto parlato di fascismo. Sembrava quasi che egli tenesse a farmi rilevare che le questioni particolari

o tecniche di aviazione ritenevano bensì la sua attenzione e che ad esse egli dedicava ogni sua cura ma che l'argomento che maggiormente lo interessava era il fascismo come dottrina politica e sistema di Governo.

Nell'ultimo colloquio avuto con lui nella sua residenza sul Yang-Tze, dopo avermi rivolto numerosissime domande sull'organizzazione del partito, sulla marcia della rivoluzione, sull'organizzazione della gioventù fascista, sullo Stato corporativo ecc. ecc., prendendo lo spunto da un accenno che io gli avevo fatto circa tre mesi fa a titolo personale (mio telegramma n. 81) (l) mi disse: «come voi sapete io ho iniziato un movimento detto della «nuova vita» che mira al rinnovamento materiale e morale della Cina.

Vorrei che essa si ispirasse ai principi ed alle idee fasciste. Non potreste voi chiedere a Mussolini di dare una nuova prova delle sue simpatie per la Cina e per me aiutandomi anche in questo campo, con l'inviarmi delle persone che potessero aiutarmi consigliarmi e indirizzarmi in questo mio compito? una specie di «missione educativa~ che potrebbe far profittare la Cina dell'esperienza fatta dall'Italia?»

Senza tralasciare di fare riserve generiche ho assicurato Chiang-Kai-Schek che avrei studiato migliore maniera di far pervenire a V. E. espressione di questo suo desiderio.

Impressione da me riportata delle effettive qualità personali di ChiangKai-Schek e della sincerità della sua ammirazione per l'opera del regime, pur da lui imperfettamente conosciuta, mi induce a comunicare quanto precede a

v. E. affinché possa considerare opportunità o meno di venire incontro ai suoi desideri.

Qualora tale opportunità venisse riscontrata mi permetterei di suggerire che invio della persona o delle persone idonee e atte a svolgere opera che dovrà essere loro affidata sia assicurato a titolo grazioso, sia perché nostra missione non abbia a apparire come un nostro desiderio di collocamento nuovi

ZBT

c esperti~. sia perché a me sembra che essa, sotto l'aspetto politico e spirituale interessi noi stessi in misura uguale se non maggiore che la Cina.

Vorrei subordinatamente far presente a tale riguardo analogia di concetto che potrebbe riscontrarsi, nello stanziamento delle somme occorrenti, con quello cui è ispirata concessione di sussidio alle missioni cattoliche sotto il loro aspetto di strumenti di nostra penetrazione spirituale in questo paese.

Credo dover in pari tempo far cenno alle non lievi difficoltà che presenterebbero i programmi da svolgere giacché non sarebbe possibile o per lo meno prudente da parte di chi si accinge all'opera, di gettarne le basi senza essersi prima reso esatto conto delle caratteristiche sociali, economiche e spirituali del popolo che si tratterebbe di indirizzare su un nuovo cammino.

Al rapido acquisto di una tale conoscenza, che è la necessaria premessa di un futuro programma di' lavoro, si presenta un ostacolo formidabile rappresentato dalla lingua e dalla specialissima psicologia orientale che rimane in gran parte impenetrabile anche a chi ha per contro risieduto per lunghi anni in questo paese e si è tenuto in frequenti contatti col suo popolo.

Ciò non pertanto aderire ai desideri espressi da Ciang-Kai-Schek mi apparirebbe sempre opportuno e vorrei aggiungere consigliabile.

Chiang-Kai-Schek si dimostra capace di apprezzare sforzi che vengono fatti per aiutarlo nell'arduo compito di riorganizzazione di questo paese, e di provare in forma positiva la fiducia che ripone in coloro che sanno acquistarsela.

Porre a contatto dell'uomo, che indubbiamente è oggi il solo che ha qui controllo effettivo di Governo, altri italiani che sappiano procurarsene la stima -come è avvenuto per Lodi -rappresenterebbe un altro passo della nostra penetrazione in Cina.

Se non temessi poi di esorbitare dal mio compito vorrei aggiungere un'altra ragione che mi persuade a sottomettere a V. E. desiderio di Chiang-Kai-Schek: la dottrina fascista non ha certamente bisogno né di apostoli né di missionari che vadano a divulgare per il mondo il suo Vangelo, giacché essa si impone sopratutto per i risultati ottenuti.

Il contributo però al rinnovamento materiale e morale di un popolo che ha possibilità infinite come il popolo cinese può essere opera non del tutto inutile e costituire uno di quei «vincoli spirituali~ fra Roma e Oriente ai quali accennava V. E. nel discorso agli studenti asiatici.

Concludendo ripeto che io, pur avendo data Chiang Kai-Schek assicurazione che avrei studiato con ogni cura la migliore maniera di venire incontro al suo desiderio non ho preso alcun impegno con lui, qualora l'idea, in massima, non dispiacerà a V. E. potrò recarmi nuovamente da lui per discutere, in seguito alle istruzioni che V. E. vorrà inviarmi (1), i particolari della sua realizzazione, sia circa numero delle persone da inviare sia circa le loro incombenze.

Nella scelta di tali persone bisognerebbe essere molto indipendenti, e oltre a una buona conoscenza dell'inglese senza la quale le difficoltà verrebbero

ad essere considerevolmente aumentate, occorrerà che esse posseggano larga dose di tatto, specifiche conoscenze tecniche, eccellente costituzione fisica e instancabile volontà di assolvere nel modo più brillante i compiti loro affidati.

(l) T. 492/81 R. del 2 febbraio, non pubblicato.

(l) Cfr. n. 376.

270

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSQLINI, E L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

APPUNTO. Roma, 21 maggio 1934, ore 18,45.

Il Capo mi ha incaricato di riferire molto riservatamente al Cardinale Segretario di Stato che quasi certamente nella prima quindicina di Giugno egli avrà occasione di incontrarsi con Hitler.

In quella occasione egli avrà la opportunità di intrattenersi di questioni varie anche di ordine interno. Il Capo pensa che Hitler stesso lo intratterrà sulla questione o meglio sulle molte questioni in piedi fra la Chiesa Cattolica ed il Nazismo.

Il Capo mi ha ordinato di domandare se la Santa Sede ritiene che Egli debba comunque intervenire ed eventualmente fin dove e su quali argomenti. Il Capo desidera infine di sapere se il Santo Padre abbia dei desideri da esporre per tramite suo e quali -ed Egli si offre di farsene favorevole tramite.

Il Capo del Governo ha soggiunto: «L'importante è sapere che cosa desidera il Papa. Se in argomento poi non entra Hitler ci entro io per dirgli: Che "fesserie" state facendo anche in questo campo?, (1).

271

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 673/57 R. Roma, 21 maggio 1934, ore 23.

Telegrammi di V. E. numeri 112, 113 e 114 (2).

Prendo atto che codesto ministro affari esteri ha fornito anche a V. E. le stesse assicurazioni date a suoi colleghi britannico e americano e la informo che nei prossimi giorni uno dei giornali di Roma, riassumendo quistione sollevata da noto «comunicato :t giapponese, ne farà opportunamente menzione (3).

Egli mi ha assicurato che ne avrebbe parlato al Santo Padre, dopo di essersi annotato pressoché tutto quanto è scritto di sopra, e che mi avrebbe poi fatto conoscere In tempo qualcosa».

(l) Altro appunto di De Vecchi: «Il giorno di mercoledi 23 maggio 1934 -XII -ore 11 ne ho parlato al Cardinale Segretario di Stato.

(2) -Cfr. nn. 239 e 240. (3) -Cfr. Il seguente brano del R. 2264/987 di Attollco del 3 giugno: «Il Giappone si è attirato, sul terreno economico, l'antipatia del mondo Intero, compresa, In fondo, la stessa Inghilterra. Il signor Stomoniakov accennava In proposito alla attitudine di s. E. Mussollnl come ad uno degli elementi di maggior peso sulla opinione pubblica generale •·
272

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 2550/865. Belgrado, 21 maggio 1934 (per. il 25).

Telegramma di V. E. n. 67 (l) e telespresso n. 3985 del 14 c.m. (2).

Mi sono intrattenuto con Jeftic la sera del 19 corrente di vari argomenti ed ho trovato modo di fare entrare nella conversazione la pungente intervista di Re Alessandro al giornalista americano Knikerboker con così evidenti e poco cortesi e corrette allusioni a S. E. il Capo del Governo.

Jeftic mi ha risposto che la intervista era stata concessa al giornalista americano due o tre mesi or sono, che egli stesso era rimasto un poco sorpreso del testo che a prima v,ista gli sembrava differire da quello che il Knikerboker aveva presentato per l'approvazione ed. aveva già chiesto di avere la redazione allora approvata per confrontarla con quanto adesso pubblicato.

Ha aggiunto che il Knikerboker era persona di scarsa buona fede e si era assai pentiti di averlo ricevuto. Anche Jeftic aveva ricevuto il Knikerboker e dal colloquio ne era uscita un'intervista della quale egli era assai malcontento.

Dal mio canto avverto che, per quello che risulta nei precedenti di questo archivio e dai miei ricordi personali, il Knikerboker che passa sovente dalla Jugoslavia risulta persona a noi scarsamente favorevole. Anni or sono cercò anche essere ricevuto da me. Ma mi guardai bene dal dare un qualsiasi seguito alla sua richiesta.

273

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 872. Belgrado, 21 maggio 1934.

Le notizie che dalla opposizione croata si fanno pervenire al R. Consolato Generale in Zagabria sulla situazione generale politica jugoslava vanno sottoposte a preciso controllo poiché di massima sono inesatte od infondate.

Circa i contatti che il dott. Subasic avrebbe avuto con Re Alessandro dopo il ritorno da Parigi del sovrano jugoslavo, debbo ricordare che Re Alessandro fu a Parigi l'ultima volta nel 1932.

Avvertii già a suo tempo che qualsiasi pronostico su un futuro governo affidato al generale Kostich non aveva ombra di fondamento. È del pari puerile pensare ad un governo affidato a Laza Markovich.

Vi sono . con gli ex capi partiti restati fuori dalla Scupcina i soliti contatti che sembrano piuttosto destinati a menare il can per l'aia dando a questi vecchi politici l'illusione di un loro ritorno al potere. Nulla altro per ora.

Le persone che recano queste notizie al nostro Consolato Generale sembrano essere totalmente digiune di qualsiasi conoscenza degli uomini e della reale situazione del loro paese. Esse per altro meritano scarsissimo credito.

(l) Con t. 4809/67 P.R. del 14 maggio, non pubblicato, Suvich aveva Incaricato Galll di far sapere, senza farne oggetto di speciale comunicazione, che l'intervista di Re Alessandro a Knlckerbocker apparsa sull'Intransigeant del 10 maggio aveva prodotto a Roma cattiva impressione.

(2) Non pubblicato.

274

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1966/4951/034 R. Budapest, 22 maggio 1934 (per. il 26).

Telegramma di V. E. n. 93 del 20 corrente (1).

l) -Ho parlato al presidente Goemboes nel senso segnatomi.

Mi ha risposto si sarebbe astenuto dal toccare il primo argomento e avrebbe approfondito il secondo. Ha aggiunto che al generale Fischer, addetto militare germanico a Roma e sua vecchia conoscenza, il quale gli rivolgeva ieri domande insistenti sugli accordi tripartiti, aveva ribattuto: «Mi parli piuttosto lei delle manifestazioni tedesco-jug'Oslave di Belgrado: io a Roma non ho lavorato contro la Germania». Tale frase mi è stata ripetuta negli stessi termini anche da altre parti.

Le preoccupazioni del presidente Goemboes, che ho avuto l'onore di segnalare a V. E. con il telecorriere n. 027 del 2 corr. (2) sembrano essersi effettivamente acuite negli ultimi giorni in seguito all'atteggiamento assunto da Goering la settimana scorsa a Belgrado. Ad esse aggiungesi in lui .la irritazione -condivisa da questa opinione pubblica, rispecchiata a sua volta dalla stampa (mia Stefani speciale n. 4747 del 17 corr.) -per essere state le dichiarazioni jugoslavofile del presidente del Consiglio prussiano effettuate subito dopo la presentazione della nota ungherese a Ginevra e in piena tensione ungaro-jugoslava.

Questo ministero Esteri sembra continuare invece a sottovalutare l'importanza dell'avvicinamento tedesco-jugoslavo in corso, e delle conseguenze per l'Ungheria; esso continua, quanto meno, a non riconoscerla interamente con noi. Il concetto illustratomi testè da Kanya è ancora quello che le manifestazioni deprecate anche da lui, siano frutto dell'<< iniziativa balzana» di Goering, Rèihm e compagni; non siano approvate da Hitler che «non riuscirebbe ad imbrigliare i propri collaboratori »; non corrispondano in una parola, alla vera politica del Reich ... Nessuna richiesta di chiarimenti al riguardo sarebbe stata rivolta finora al Governo di Berlino, né per il tramite di questo ministro di Germania, né per il tramite di quel ministro di Ungheria.

Sia quest'ultima affermazione esatta o no, è comunque mia impressione che il presidente Goemboes . avesse già in animo di parlare in proposito a Goering, all'incirca nel senso indicato dall'E. V.

2) -L'arrivo del presidente del Consiglio di Prussia a Budapest, già previsto per il 25 corr. (mio telegramma n. 99 del 17 u.s.) (l) sembra sarà anticipato di un giorno. Nel programma della sua visita, che dovrebbe durare 48 ore, è compresa una colazione offerta dal reggente ed una partita di caccia nelle riserve governative di Kiràlyszallas (Balaton) dove avranno luogo le conversazioni.

(l) -Cfr. n. 266. (2) -Cfr. n. 177.
275

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1936/79 R. Atene, 23 maggio 1934, ore 22 (per. ore 1 del 24).

A telegrama di V. E. n. 62 (2) e a telegramma di V. E. n. per corriere 646 (3). Ambienti governativi greci e stesso ministro degli affari esteri affettano non nutrire alcun sospetto su attività svolta da Tewfik Ruschdi bey nei Balcani e mostrano essere anzi sicuri che per suo .mezzo patto balcanico sarà presto ratificato da Romania e Jugoslavia. Ma stesso ottimismo non è condiviso in ambienti politici non governativi e dell'opposizione ove effettivamente si sospetta che Tewfik Ruschdi bey stia trafficando per avvicinamento Turchia e Piccola Intesa al di fuori patto balcanico e senza tener conto impegni assunti già con Grecia. Di questi dubbi e di questi sospetti, come di ogni elemento contrario al patto balcanico, non ho mancato di valermi sia direttamente sia a mezzo delle opposizioni per fare comprendere ai governanti greci quanto poco sicuro e quanto poco conforme alle necessità elleniche fosse abbandonare vecchie linee politiche per seguire quelle che fanno capo a Stati balcanici e a raggruppamenti politici che con interessi greci ben poco hanno di comune. Ministro degli affari esteri e suo capo di Gabinetto, che come è noto è suo inspiratore e suo costante collaboratore politico, mi hanno anche recentemente confermato che Governo ellenico non ha mai inteso con firma patto balcanico allontanarsi da stretta intesa e amicizia coll'Italia data comunanza interessi Mediterraneo e ad onta di quanto abbiano dichiarato opporsi stato attuale «non hanno· mai inteso sin dall'inizio trattative per patto balcanico fare atto qualsiasi che nascondesse finalità antitaliane, come del resto ha dimostrato con recenti dichiarazioni interpretative tale patto:..

Per quanto, quando patto balcanico era in auge, stampa e uomini politici partiti al potere non abbiano certamente mostrato eguali sentimenti, per quanto Governo si sia indotto ad accogliere limitazioni interpretative a patto balcanico, per togliergli carattere ostile verso nostro paese, soltanto sotto pressioni opposizione, ho preso atto con piacere tali dichiarazioni esprimendo fiducia che politica ellenica possa, ad onta patto balcanico, mantenere intatti suoi tradizionali intimi legami con nostro Paese e con sua politica mediterranea.

Ma ho osservato a ministro degli affari esteri che per tagliar corto ad ogni speculazione di politica interna o estera mi sembrava opportuno che si studiasse modo di confermare notoriamente e senza sottintesi ed esitazioni suoi sentimenti e sua politica verso Italia anche per evitare che amicizia con nostro paese fosse, come è apparso fin ad ora, monopolio partiti opposizione e quasi in contrasto con direttive governative.

Ministro degli· affari esteri mi ha assicurato che studierà modo per dare seguito a questo mio suggerimento.

(l) -Cfr. n. 266, nota 2. (2) -Il t. 626/62 R. del 15 maggio r!trasmetteva ad Atene Il n. 203. (3) -Cfr. n. 251.
276

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A TOKIO, AURITI, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A L'AJA, TALIANI, A LISBONA, TUOZZI, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, E A TIRANA, KOCH

T. 680/c.R. Roma, 23 maggio 1934, ore ... (1).

Mi riferisco a precedenti comunicazioni relative ai protocolli economici del 17 marzo u.s, (2} e da ultimo al telegramma per corriere n. 461/C. R. del 7 aprile u.s. (3).

La E. V. (S. V.) ha certamente preso conoscenza del comunicato del 15 corr. pubblicato dai giornali per annunciare l'avvenuta firma degli accordi destinati a dare applicazione ai suddetti protocolli. A quanto risulta da tale comunicato credo opportuno aggiungere, per sua opportuna informazione e perché Ella possa, al caso, fornire a codesto Governo gli schiarimenti che esso le richiedesse, quanto segue:

Le merci austriache ammesse a godere di un trattamento preferenziale riguardano un centinaio di voci della nostra tariffa doganale. Quasi tutte però sono merci che attualmente l'Austria o non esporta in Italia o vi esporta solamente in quantità assai limitate. La fissazione del contingenti, insieme ad una

norma limitativa stabilita con una speciale clausola, assicurano che l'Austria non potrà, in ogni caso, sviluppare oltre limiti ragioHevolmente modesti l'importazione in Italia di ciascuna delle merci prese in considerazione. Sicché per ritrarre un benefieio apprezzabile dalla concessione fattale, l'Austria dovrà contare sull'incremento delle sue esportazioni per una buona parte almeno dei suoi prodotti ammessi a trattamento preferenziale. In tal modo la eventuale ripercussione della concessione fatta all'Austria non potrà avere sugli interessi delle singole industrie italiane e straniere concorrenti una influenza apprezzabile e che possa giustificare delle fondate e sentite doglianze specialmente poi da parte di quei Governi che si rendono conto della necessità di portare aiuto a paesi che, come l'Austria e l'Ungheria, si trovano in condizioni economiche oltremodo difficili.

Per quanto riguarda la riduzione di dazi e le concessioni di altra specie in materia doganale che l'Austria ha fatto o farà ai prodotti italiani, queste rientreranno nel regime della clausola della Nazione più favorita.

Nei riguardi dell'Ungheria il comunicato dato alla stampa fornisce indicazioni precise che non hanno bisogno di molti chiarimenti. In sostanza il Governo fascista si è interessato per ottenere che la Società «Safni » (la quale già l'anno scorso comperò l milione di quintali di grano ungherese, a prezzo superiore a quello del mercato mondiale il quale è troppo inferiore ai costi di produzione ungheresi) concludesse questo anno un analogo contratto. L'Ungheria, da parte sua, ha dato alla detta Società il diritto di opzione per un altro milione di quintali di grano per il caso che questa, in relazione all'andamento del raccolto italiano potesse avere interesse a procedere a tale nuovo acquisto. Ma è inteso che ove il diritto di opzione non venisse fatto valere, la «Safni » pagherebbe una indennità, come corrispettivo del diritto di preferenza concessole.

L'Ungheria non ci ha fatto, per ora, concessioni di carattere doganale. In vista però dell'apprezzabile vantaggio che le deriva dagli acquisti di grano sopra indicati, si è mostrata disposta a prendere in considerazione, beninteso sotto il regime della clausola della nazione più favorita, le domande di riduzioni di dazi o di variazioni di classifica doganale che le venissero dirette dall'Italia anche per evitare che l'attuale passività della sua bilancia commerciale nei suoi rapporti abbia ad aggravarsi. E poiché in Ungheria vigono speciali norme che regolano l'importazione, anche tale materia potrà, al fine sopraindicato, essere oggetto di negoziati.

Per quanto si riferisce infine agli accordi del Semmering esistenti fra Italia ed Austria, Italia e Ungheria e Austria e Ungheria, è noto che questi concernono principalmente un sistema di crediti all'esportazione, la cui concessione è fatta da uno speciale Ente finanziato da alcuni Istituti Bancari. Tali accordi, come dice il comunicato, hanno ora avuto un certo sviluppo. Questa però è materia non soggetta all'applicazione della clausola della Nazione più favorita.

Vengono infine le convenzioni per lo sviluppo del traffico austriaco attraverso il porto di Trieste e per lo sviluppo del traffico ungherese attraverso il porto di Fiume. La prima di queste convenzioni era stata parafata nel marzo scorso ed è stata ora firmata; la seconda è stata ora semplicemente parafata. Tali convenzioni non sono in sostanza che un miglioramento di quelle già esistenti e che portano rispettivamente la data del 28 aprile 1923 e 25 luglio 1927.

In sostanza le convenzioni e gli accordi predetti si inspirano tutti alle idee che prevalsero nella conferenza di Stresa ed ai concetti esposti dal Governo fascista nel cosiddetto memorandum danubiano del 29 settembre dello scorso anno (1). Essi pertanto principalmente mirano a dare inizio, sopra basi realistiche, al risanamento economico dei paesi dell'Europa centro-orientale e, con l'aumentare il potere di acquisto di tali paesi, a facilitare la riattivazione dei traffici fra di essi e tutti gli altri paesi. Il Governo italiano non tende, e su questo punto la E. V. (S. V.) potrà occorrendo insistere, a creare una economia chiusa italo-austro-ungherese. Al contrario esso spera di poter contribuire, con la collaborazione di tutti gli altri Governi più direttamente interessati, e specialmente con quella delle grandi Potenze, a portare rimedio alla ben nota ed eccezionale condizione di disagio dei paesi dell'Europa centro-orientale cercando anche di far rivivere, nei limiti del possibile, le correnti di traffico e di affari che prima della guerra esistevano tra le regioni che oggi fanno parte dei diversi Stati successori dell'Impero austro-ungarico.

(Solo Berlino, l'Aja e Madrid) -Si acclude copia del telegramma per corriere sopra citato.

(l) -Manca l'Indicazione dell'ora di partenza. (2) -Cfr. nn. 2 e 15. (3) -Cfr. n. 75.
277

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 681/127 R. Roma, 23 maggio 1934, ore 23,30.

Mio telegramma n. 124 (2).

Dall'esame elementi in nostro possesso circa situazione che si delinea per conferenza disarmo a Ginevra risulta possibilità che venga posta sul tappeto tanto questione sicurezza e mutua assistenza escludendo disarmo quanto quella della chiusura della conferenza e rinvio al consiglio.

Prego V. E. di sentire su tali eventualità opinione di codesto Governo, avvertendo che in linea di massima noi saremmo contrari tanto all'una che all'altra, salvo esame più profondo delle questioni sulla base di elementi che ulteriormente si potrebbero avere.

Esistendo, come si ritiene, su dette eventualità una coincidenza notevole fra tendenze codesto Governo e nostre, può essere utile un tempestivo scambio di idee per concertare possibilmente una comune linea di condotta a Ginevra in difesa dei comuni punti di vista. assecondando in ciò il desiderio espresso da sir John Simon.

Potrebbe anche essere utile una preventiva presa di contatto con Eden, che pare si trovi in Francia, durante suo viaggio per Ginevra in posto da fissare possibilmente alta Italia.

Prego V. E. di una risposta urgente (1).

(l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 232. (2) -Cfr. n. 262.
278

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1942/80 R. Atene, 23 maggio 1934, ore 24 (per. ore 5,20 del 24).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il numero precedente (1).

Per quanto si possa far tara a dichiarazioni elleniche che trovano forse più prossima origine in difficile posizione nella quale si è venuta a trovare Grecia in seguito alle interpretazioni limitative patto balcanico, tanto da sentirsi tenuta un poco da parte da vecchi e da nuovi amici, può effettivamente darsi che Governo popolare non abbia mai inteso, come si assicura adesso, di voler fare alcun atto ostile verso Italia accedendo a patto balcanico.

Governo popolare, desideroso differenziarsi da direttive politiche Venizelos e nuovo a nuovi problemi politica estera, si è forse fatto trascinare ad assumere atteggiamento e responsabilità !ungi dalle sue intenzioni e che ha ricusato poi, per quanto a stento per ragioni di politica interna, quando sono state rivelate da opposizioni.

Importa però adesso che Grecia mantenga tali direttive e non ricada per imperizia suoi governanti o per pressioni esterne sotto influenza quei paesi che ne vorrebbero fare elemento esclusivo loro politica.

A tal fine stimerei sommamente opportuno che con S. E. Maximos e con suoi collaboratori che partono domani per Ginevra siano t'enuti colà stretti rapporti cordiali, affinché si mantengano nelle attuali disposizioni e non subiscano pressioni di coloro che vorrebbero trascinarli verso Piccola Intesa e Francia. Dato carattere di Maximos credo che a tale uopo sarebbe oltremodo opportuno fargli credere che Roma non ha mai dubitato assolutamente amicizia Governo popolare ellenico ad onta patto balcanico e che si è convinti che tali direttive saranno strettamente mantenute. Al suo ritorno ad Atene curerò che tali direttive e promesse dichiarazioni siano rispettate. Qualora poi Governo popolare sotto pressioni esterne si allontanasse da tale linea politica verso il nostro paese non mancherei fare il possibile per ricondurvelo come avvenne testè a mezzo delle opposizioni e sopratutto di Micalacopoulos che adesso è personalmente in politica estera elemento oppositore grande peso e convinto necessità assoluta mantenimento e incremento relazioni amicizia italo-greche.

(l) -Per la risposta cfr. n. 283. (2) -Cfr. n. 275.
279

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 23 maggio 1934.

La Commissione Generale della Conferenza del Disarmo riprenderà le sue riunioni il 29 corrente senza che sia stata concordata fra le principali Delegazioni una linea di condotta, né si conosca con precisione l'orientamento che verrà dato ai dibattiti. Quanto segue si fonda quindi unicamente su elementi di probabilità.

Sembra comunque che la Francia non intenda allontanarsi dalla posizione presa, nell'ultima sua nota al Governo britannico, contro il riarmo della Germania. In tal senso la riunione della Commissione del Disarmo offrirebbe modo alla Delegazione francese di giustificare la posizione assunta, den"!lnciare gli armamenti del Reich, sviluppare la nota tesi che, poiché gli impegni assunti col Trattato di Versailles sono stati violati dalla Germania, manca la garanzia che anche i nuovi accordi non saranno trasgrediti. In particolare la Francia farebbe valere il punto di vista che il riarmo tedesco è contrario alle direttive della Conferenza, intese a promuovere un'effettiva e graduale riduzione degli armamenti verso i livelli più bassi.

A parte l'eventuale posizione polemica contro la Germania, ciò che interessa è l'indirizzo pratico che la Francia, in conseguenza di ciò, cercherà di dare alla riunione. Sembra certo che il signor Barthou abbia un suo progetto concordato, nelle grandi linee, con Litvinoff; tale progetto costituirebbe in un certo modo una prima importante manifestazione degli accordi in corso tra Francia ed U.R.S.S.

Salvo precisioni di dettaglio, pare probabile che tale progetto mirerà, come si è accennato nel Pro-memoria del Servizio Istituti Internazionali in data 14 corrente (1), a spostare i dibattiti dal terreno del disarmo a quello della sicurezza. Tale manovra si presenta del resto come la conseguenza logica della denuncia degli armamenti tedeschi e del pericolo che essi costituiscono per la sicurezza degli altri Stati europei, come è stato espressamente detto nella Nota francese del 17 aprile u.s.

Resta da vedere quale sarà la via procedurale prescelta per realizzare questa iniziativa.

Due possibilità si presentano come più attendibili, rispondenti, l'una, sopratutto al punto di vista sovietico, l'altra più conforme, a quanto pare, alle vedute francesi.

La prima, già accennata dal delegato sovietico, Stein, nell'ultima riunione del Bureau della Conferenza dell'aprile scorso mirerebbe ad ottenere che la Conferenza continuasse i suoi dibattiti !imitandoli però alle questioni della definizione dell'aggressore e della mutua assistenza (questioni di sicurezza).

In altri termini la Conferenza del Disarmo si trasformerebbe in una conferenza della sicurezza. Effettivamente finché la Russia non fa parte della Società delle Nazioni, l'unica possibilità per essa di influire direttamente sulla trattazione di tali problemi è offerta dalla continuazione della Conferenza del Disarmo. Ma ciò non esclude che, ove l'U.R.S.S. ritenesse imminente il suo ingresso nella S.d.N., potrebbe non opporsi o anzi avere interesse a che le stesse questioni fossero discusse in seno alla Lega.

In tal senso si profila la seconda soluzione, alla quale, secondo le voci che corrono negli ambienti ginevrini sembra che vadano le preferenze della Francia: passare, possibilmente senza urti, dalla Conferenza al Consiglio. Per essa la Conferenza del Disarmo verrebbe a rassegnare il suo mandato al Consiglio della S.d.N. e lascerebbe che i problemi della sicurezza siano trattati direttamente dalla Società delle Nazioni e nel suo ambito. Questa seconda alternativa offrirebbe il vantaggio alla Francia di sbarazzarsi della Conferenza del Disarmo e riprendere piena libertà di azione in ambiente, come il Consiglio, che le è politicamente ancora più opportuno.

Qualunque sia la soluzione che finirà col prevalere, ciò che merita di essere ritenuto è che i piani di sicurezza considerati dalla Francia implicano, in conformità alle linee formulate nel giugno scorso dal Comitato di Sicurezza sotto l'ispirazione franco-russa, l'accettazione degli accordi per una rigida definizione dell'aggressore e la conclusione di patti per l'automatica assistenza in caso di aggressione. In questi patti sarebbero forse precisati preventivamente i contributi militari che le parti contraenti si impegnano a mettere a disposizione dell'aggredito. Si tratta cioè, sotto formule societarie, di veri e propri piani di alleanza, che inevitabilmente spingerebbero ad un aumento generale degli armamenti. Con essi verrebbero legalizzati i blocchi esistenti e quelli che si ha in animo di costituire. L'organizzazione della sicurezza sarebbe così in funzione degli interessi francesi ed avrebbe di fatto una portata anti-germanica, mentre al tempo stesso la Francia eviterebbe di ricorrere all'applicazione dell'art. 213 del Trattato di Versailles sul diritto di investigazione, di cui nessuno si dissimula le difficoltà di attuazione pratica.

Resta da precisare, di fronte a tali orientamenti, quale debba essere in linea di principio e quale possa essere in linea di fatto il nostro atteggiamento.

In linea di principio le tesi francesi della sicurezza ispirata al oriterio di accordi particolari e cioè di blocchi contrapposti, ci hanno trovati, per ragioni ben note, costantemente contrari. Su questo terreno la Delegazione italiana ha proceduto all'unisono con la Delegazione britannica. Anche recentemente, in un colloquio col Barone Aloisi, il signor Eden ha confermato il noto atteggiamento del suo Governo di fronte ai Patti continentali europei di mutua assistenza. V'è tuttavia da tener presente che l'Inghilterra, data la sua posizione insulare, può essere indotta a non spingere a fondo la sua resistenza di fronte ad accordi regionali dai quali le sia possibile rimanere estranea. Atteggiamenti di tal genere non sono mancati da parte dei delegati britannici tutte le volte che hanno ritenuto opportuno ripiegare su una linea di minore resistenza.

Sempre in linea di principio all'Italia non converrebbe che si affrontassero i problemi di sicurezza né in sede di conferenza, né fuori di essa.

Nel primo caso potrebbe opporsi dai nostri Delegati che i problemi della sicurezza, quando non sono trattati in connessione con quello del disarmo, non rientrano negli obiettivi pei quali la Conferenza fu convocata.

Nel secondo caso il fatto di rimettere il mandato della Conferenza al Consiglio potrebbe implicare l'abbandono definitivo delle conversazioni sul disarmo, la cui ragion d'essere era data dall'esistenza della Conferenza e dalla necessità di giungere ad un accordo che servisse di base a una convenzione generale.

In linea di fatto tuttavia i mezzi a nostra disposizione, per opporci tanto all'una che all'altra delle due soluzioni predette, non sono né molti né agevoli. Sul terreno della procedura la Francia ha ogni possibilità di far prevalere i suoi obiettivi. A parte il fatto che non le sarebbe forse difficile, ove volesse porre termine alla Conferenza provocare un voto di maggioranza in tal senso, è evidente che è sempre in suo potere porre un termine ai lavori il giorno che di fatto non intendesse più parteciparvi.

Analogamente rimane sempre nelle possibilità della Francia di portare al Consiglio, nella stessa stregua di ogni Stato-membro, i problemi della sicurezza.

Sembra perciò che l'azione da svolgersi dai nostri delegati, anche per ragioni di opportunità pratica nei riguardi della Francia, dovrebbe assumere sopratutto la forma di contatti tra delegazioni.

In particolare la nostra azione dovrebbe combinarsi, mercè immediati, opportuni accordi, con quella degli inglesi che hanno nella questione un interesse più vicino al nostro.

Non sembra dubbio che la soluzione migliore, qualora potesse essere ottenuta, sarebbe di mantenere in vita la Conferenza; il che permetterebbe, mediante un rinvio dei dibattiti, di riprendere le conversazioni al momento più favorevole. E ciò tanto più che, secondo la tesi sostenuta costantemente da

V. E., la constatazione ufficiale del fallimento della Conferenza colpirebbe la

S.d.N. nella sua essenza vitale.

E' possibile realizzare questo proposito, ove la Francia si irrigidisca in altra direttiva? La situazione diplomatica e politica internazionale non lo rende facile. Basta ricordare:

l. -Il riavvicinamento franco-russo;

2. -La concentrazione rafforzata dei satelliti della Francia. Oltre la Piccola Intesa bisogna tenere in linea di conto l'Intesa Balcanica. La Turchia, in particolare, avendoci preceduto nelle intese colla Jugoslavia, lascia vedere che si schiererà nettamente dalla parte della tesi francese. La nuova situazione bulgara, fenomeno conseguente del medesimo ordine di fatti, non ci permette di contare sulla Bulgaria.

A parte l'Austria e l'Ungheria la nostra linea di azione dovrebbe invece comprendere, in primis, come si è detto sopra, l'Inghilterra. È ovvio pensare che anche il Signor Norman Davis, per l'America, potrebbe essere di prezioso aiuto. Anche il Belgio, ad onta delle pressioni francesi, sembra rimanere saldo

24 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

sulle posizioni assùnte tempo fa dal signor de Brocqueville. Per l'Olanda e la

Svizzera, si può arguire che dovrebbero naturalmente pendere verso una solu

zione analoga a quella da noi favorita, e non è da escludere, da un complesso

di impressioni, che gli Stati Scandinavi p·otrebbero a.nch'essi schierarsi coll'In

ghilterra e con noi.

Approcci in tal senso sarebbero utili prima del Bureau del 28, e, possibil

mente, (per es. con l'Inghilterra e col Belgio) anche subito.

(l) Non pubbllcato.

280

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1943/218 R. Parigi, 24 maggio 1934, ore 13 (per. ore 15,25).

Ho domandato al segretario generale degli affari esteri del Quai d'Orsay

se ministro degli affari esteri avesse portato da Ginevra novità in fatto di

disarmo.

Mi ha risposto che la Francia mantiene il suo punto di vista concretato . nella nota 17 aprile all'Inghilterra. Secondo Léger situazione non potrà essere comunque chiarita prima del 28 corrente o 29 corrente.

Se commissione generale disarmo constaterà impossibilità mettere in piedi

una convenzione di riduzione degli armamenti dovrà restituire mandato al Con

siglio della Società delle Nazioni.

Mio interlocutore ha dichiarato che Francia insisterà formalmente perché

dibattito passi a questo punto dalla commissione del disarmo al Consiglio della

Società delle Nazioni.

Non è escluso, secondo il segretario generale, che il Consiglio giudichi oppor

tuno fare un nuovo tentativo di accordo sulla base della limitazione armamenti

combinata con limitato riarmamento del Reich.

Ma un accordo di questo genere metterebbe in pericolo sicurezza della

Francia.

Governo francese è risoluto nel caso dovesse presentarsi accennata even

tualità di esigere come premessa indispensabile l'impostazione davanti al Con

siglio di una larga discussione sulla sicurezza.

La Francia, così mi ha detto Léger, non si propone di formulare proposte

concrete, peserà quelle che saranno fatte da altri e prenderà infine una deci

sione.

Ho domandato quale sarebbe atteggiamento della Francia in caso di un

nuovo insuccesso dei tentativi di accordo in questione.

Mi è stato risposto che la J<,rancia provvederebbe direttamente alla propria

sicurezza. Ho osservato al Begretario generale degli affari esteri che da vari

mesi i Governi italiano e britannico si sforzano indovinare senza riuscirvi quali

siano le pretese della Francia per addivenire ad una convenzione sugli armamenti ed a un limitato e controllato riarmo della Germania.

Se la Francia persiste nel suo mutismo c'è da temere che prevalga in alcuni il dubbio che più che una convenzione regolante la questione degll armamenti, essa desideri riconquistare la propria libertà di riarmare.

Segretario generale degli affari esteri ha replicato che la Francia ha in questo momento una sola preoccupazione, quella della propria sicurezza.

Non si accontenta di una convenzione qualsiasi della durata di qualche anno della quale essa sola farebbe oltre tutto le spese. Ha deciso ormai di giuocare a carte scoperte e di finirla coi mezzucci.

Ci si dica, sono le parole di Léger, che se siamo attaccati saremo validamente sostenuti e che ad una eventuale infrazione della convenzione seguiranno sanzioni e noi saremo d'accordo.

Il presente telegramma continua col n. di protocollo successivo (l).

281

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1945/168 R. Berlino, 24 maggio 1934, ore 14,16 (per. ore 18,25).

Telegramma di V. E. per corriere n. 668/C. R. (2).

Probabile entrata dell'U.R.S.S. nella S.d.N. desta preoccupazioni, sospetti in Germania perché si teme che Francia e U.R.S.S. vogliano fare dell'organismo ginevrino un centro di attività antigermanica.

Ciò nonostante von Biilow mi disse ieri che Germania vedrebbe con favore entrata dell'U.R.S.S. nella S.d.N. sopratutto se i Sovieti, mostrandosi almeno in parte coerenti con loro passato, la subordinassero a una riforma della S.d.N.

Egli apprese con molta soddisfazione che questo è pure il pensiero di V. E.

Osservò a riguardo che anche senza pretendere che una riforma avvenga prima della loro ammissione, i Sovieti potrebbero, seguendo esempio dell&. Germania che fece una riserva per articolo 11, fare all'atto della loro entrata ampie riserve circa contenuto degli articoli 11, 12, 15 ed eventualmente altri. Ciò provocherebbe un movimento in favore di analoghe riserve da parte degli Stati facenti parte della S.d.N. e metterebbe quindi in moto la revisione del suo statuto.

Dal linguaggio di von Biilow ebbi la netta sensazione che egli pensava a trovare il modo per far sì che la Germania possa ritornare a Ginevra. Tale mia impressione trovò conferma in informazioni da ottima fonte secondo cui ministero degli affari esteri tedesco lavora attivamente per convincere partito necessità riparare [errore fatto] nell'ottobre scorso abbandonando Ginevra.

(l) -Cfr. n. 262. (2) -Cfr. n. 252, nota l p. 272.
282

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1950/219 R. Parigi, 24 maggio 1934, ore 19,45 (per. ore 22,15).

Ho osservato (l) che mi sembra comprendere che la Francia domandava una alleanza. Il mio interlocutore ha questa volta taciuto. Ho detto poi di non capire come la Francia potesse desiderare una convenzione sugli armamenti di portata così vasta come quella prospettata dal mio interlocutore. Il fatto che la convenzione avrebbe conglobato buon numero di Stati appartenenti anche ad altri continenti doveva render cauti circa gli obblighi che si assumevano. Avevo presente alla mente gli Stati dell'America Latina e le loro frequenti contese. Mi sembra che nessuno Stato europeo e Francia meno di altri potesse acconsentire a lasciarsi attirare in un simile ginepraio. Léger ha risposto infatti anche l'Inghilterra si era resa conto che in una convenzione sugli armamenti le garanzie di esecuzione dovevano essere contenute. Ma a lato delle garanzie di esecuzione, ha soggiunto segretario generale degli affari esteri, una convenzione sugli armamenti avrebbe dovuto contemplare e risolvere il problema della sicurezza europea, vincolando solo gli Stati del nostro continente.

Ho detto in seguito al segretario generale degli affari esteri che non mi spiegavo insistenza del Governo francese nel volere che il dibattito, del resto sicuro, si svolga davanti al consiglio dal quale sono assenti Stati Uniti, Giappone e Russia.

Segretario generale degli affari esteri mi ha risposto che gli S.U.A., il Giappone e la Russia non hanno interesse particolare al problema della sicurezza europea. Quanto ai Sovieti nulla si oppone a che il consiglio della S.d.N., a conclusione del dibattito, affidi il problema della sicurezza ad un comitato speciale, al quale la Russia parteciperebbe.

Per indurre il mio interlocutore alle confidenze ho osservato che una soluzione potrebbe essere trovata nell'ammissione dei Soviety alla Lega. Segretario generale degli affari esteri mi ha osservato di non credere imminente l'accennata eventualità. Prima di sollecitare la sua ammissione a Ginevra, la Russia desidera di essere riconosciuta da un maggior numero di Stati. Il riconoscimento della Piccola Intesa è, secondo Léger, assai prossimo. La Svizzera si mantiene ostile, ma se la confederazione elvetica rimanesse sola, il Governo di Mosca passerebbe forse oltre.

Segretario generale degli affari esteri mi ha assicurato che la Francia non è stata finora investita di una domanda della Russia per proporne ammissione a Ginevra.

Ho domandato infine al mio interlocutore se il discorso di politica estera che Barthou si propone di pronunciare alla Camera dei deputati il 25 corrente, conterrà qualche notizia sensazionale.

Il Segretario generale degli affari esteri lo ha escluso ed ha soggiunto che il ministro degli affari esteri terrà ai deputati un linguaggio misurato, appunto in vista della prossima riunione di Ginevra.

Ripeto quello che ho detto in precedenti telegrammi e cioè che Barthou e Léger non tengono a volte identico linguaggio. Vedrò sabato 26 corrente questo ministro degli affari este.ri.

(l) Il presente telegramma è la continuazione del n. 280.

283

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINIS'rRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1947/372 R. Londra, 24 maggio 1934, ore 20,35 (per. ore 1,30 del 25).

Mac Donald, Simon e intero Gabinetto sono assenti da più di una settimana da Londra per vacanze Pentecoste, e non torneranno prima di domenica prossima.

Ho riveduto ancora stamane Vansittart col quale mi sono tenuto in contatto questi giorni e al quale ho nuovamente e ampiamente illustrato pensiero di V. E. traducendo letteralmente testo articolo V. E. sul problema degli armamenti, e aggiungendo considerazioni contenute telegrammi nn. 124 e 127 pervenutimi stamane (1).

Non ho gran che da aggiungere a quanto ho comunicato ieri per telefono a S. E. Suvich sull'argomento.

Vansittart confermato ancora stamane che esiste indubbiamente una analogia sostanziale fra vedute Governo fascista e Governo britannico, ma che, giunte le cose al punto cui sono in seguito recente attitudine francese, Gabinetto ha deciso di non (dico non) assumere per ora nuove iniziative e ritiene che prossima riunione commissione disarmo sia ormai inevitabile.

Governo britannico non (dico non) conosce quale sarà attitudine della Francia nella prossima riunione a Ginevra, e ritiene che soltanto dopo che Francia abbia fatto sapere quali sono sue reali disposizioni si potrà giudicare quale sia via migliore da seguire.

Per questo Simon si recherà a Ginevra (sua partenza è fissata per domenica prossima salvo modificazioni ultim'ora) e conta prima di ogni altra cosa aver laggiù opportuno scambio idee rappresentante V. E., non ritenendo Vansittart possibile per mancanza di tempo organizzare incontro prima data fissata riunione.

Continua col n. successivo (2).

(l) -Cfr. nn. 262 e 277. (2) -Cfr. n. 284.
284

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1951/373 R. Londra, 24 maggio 1934, ore 20,34 (per. ore 24).

Vansittart mi ha ripetuto che il Governo britannico desidera oggi più che mai agire di concerto con V. E. per esaminare qualsiasi piano o linea d'azione che la situazione potrà consigliare a seguito incontri di Ginevra ma ritiene prematuro fissare fin da ora elementi per quella che dovrà essere comune azione futura dei due Governi.

La sensazione diffusa in questi circoli politici è che poco o nulla si possa ormai attendere sia da riunioni Ginevra sia da scambi diretti fra Governi su questione disarmo; che l'Inghilterra ha fatto quanto era in suo potere per raggiungere l'accordo fra Potenze su basi eque; che pur continuando sua azione in questo senso non ritiene ormai conveniente al suo prestigio assumersi iniziative che rischierebbero ancora di fallire, che è giunta ora di provvedere efficacemente alla sua difesa militare.

Circa impegni internazionali nel campo sicurezza o della assistenza pensiero maturato in questi ultimi tempi è che l'Inghilterra potrebbe anche assumersi qualche nuovo obbligo, ma a due condizioni: che tutte le Potenze, (in primo luogo Stati Uniti e Giappone) assumessero identici impegni, e che accordo di tal genere determinasse automaticamente effettive misure disarmo generale.

Domani vedrò ancora Vansittart, questo nel caso V. E. avesse nuove istruzioni da darmi.

285

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, E A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 683 R. Roma, 24 maggio 1934, ore 23).

A prossima riunione commissione generale disarmo è possibile che da parte francese o russa siano fatti tentativi

l) -di abbandonare disarmo e !imitarci piano generale o regionale mutua assistenza;

2) -liquidare conferenza disarmo e demandare studio questioni relative Consiglio Società Nazioni.

Noi siamo contrari tanto alla prima che alla seconda eventualità salvo a riesaminare più profondamente la cosa quando fossimo in possesso di nuovi elementi.

Alla prima siamo contrari perché noi mettiamo il disarmo prima della sicurezza, perché riteniamo utile almeno una limitazione degli armamenti per evitare la corsa agli armamenti, perché il patto di mutua assistenza stabilirebbe probabilmente dei sistemi politici con prevalenza di interessi che possono essere non concordanti coi nostri.

Siamo contrari alla seconda perché un ritorno alla Società Nazioni vorrebbe dire riallacciare più strettamente il disarmo ai trattati, perché una discussione al Consiglio escluderebbe definitivamente la Germania, perché tutto ciò rafforzerebbe la S.d.N. nella sua forma attuale mentre noi ne reclamiamo la revisione.

Ci interesserebbe molto di conoscere riguardo ai suddetti punti il punto di vista di codesto Governo. Veda se può ottenere qualche dichiarazione prima della partenza di codesto ministro degli esteri per Ginevra e voglia riferire d'urgenza. Mi rimetto al suo criterio quanto alla convenienza di fare uso, e fino a qual punto, nelle conversazioni con codesto Governo delle ragioni sopra dette (1).

286

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1969/0115 R. Berlino, 24 maggio 1934 (per. il 26).

R. addetto militare m'informa avere appreso da buona fonte che è giunto oggi a Berlino il maggior generale Muff, addetto militare tedesco a Vienna, il quale è venuto per convincere le autorità militari del Reich a far valere la loro influenza sul Governo affinché si addivenga ad un accordo con l'Italia per la questione dell'Austria dato che le mene nazionalsocialiste non hanno probabilità di successo.

R. addetto militare aggiunge avere saputo che al Reichswehrministerium è stata aspramente criticata decisione del presidente del consiglio prussiano generale Goering di sostare a Belgrado e di far visita alle autorità jugoslave.

287

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1971/0117 R. Berlino, 24 maggio 1934 (per. il 26).

Iersera ambasciatore Nadolny che pranzò all'ambasciata mi prese in disparte e mi domandò confidenzialmente se io avessi avuto negli ultimi tempi occasione di constatare che l'amicizia franco-sovietica con le sue minacce ed i suoi pericoli avesse portato ad un riavvicinamento fra Italia e Germania.

Ho risposto a Nadolny che durante un recente breve mio soggiorno a Roma avevo avuto modo di rendermi conto come la condotta politica dell'Italia, rettilinea e corrispondente ai nostri interessi, non fosse stata in alcun modo influenzata dalla diversa valutazione di certi problemi da parte dell'Italia e della Germania.

Mi sembrava quindi non corrispondente alla situazione parlare di «riavvicinamento » fra i nostri due paesi, dato che non vi era stata mai rottura.

La cordialità dei rapporti fra due Stati poteva però essere accresciuta sempre più ed era naturale che la comunanza di interessi vi contribuisse sensibilmente.

Ho detto a Nadolny che egli sapeva meglio di me quale grande impulso all'amicizia franco-sovietica fosse stato dato dall'atteggiamento ostile ai Soviety assunto dal Governo nazionalsocialista, contrariamente ai ripetuti amichevoli suggerimenti pervenutigli da parte dell'Italia. Era evidente che noi avremmo desiderato che il Governo di Hitler avesse curato i buoni rapporti con l'U.R.S.S. e li avesse anzi intensificati dato che ciò avrebbe corrisposto ai suoi più vitali interessi che collimavano con i nostri. L'essersi il Reich ostinato a seguire una via diversa aveva avuto conseguenze funeste, delle cui conseguenze non ci si poteva però ancora rendere esatto conto.

L'ambasciatore Nadolny si lasciò andare meco ad uno sfogo sulla cecità del Governo nazionalsocialista nei riguardi dell'U.R.S.S. Egli mi disse che Litvinov si è ormai lanciato in pieno in una campagna antigermanica e che non è più possibile fermarlo. Unica speranza era che l'arteriosclerosi di cui soffre facesse rapidi progressi.

Quanto all'amicizia franco-sovietica l'ambasciatore Nadolny disse di ritenerla meno solida di quanto si credesse generalmente, perché Litvinov cercava soprattutto di ritrarre degli utili per l'U.R.S.S. dall'amicizia stessa, mentre la Francia voleva che servisse agli interessi propri.

Alla mia osservazione che mi sembrava ad ogni modo pericoloso sottovalutare l'amicizia suddetta, Nadolny soggiunse che egli non intendeva farlo, ma voleva soltanto dire che Litvinov cercava di sfruttare le simpatie della Francia pei suoi fini particolari andando forse nelle sue intenzioni al di là di quanto fosse lecito sperare.

(l) Per le risposte cfr. nn. 300 e 301.

288

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1974/0120 R. Berlino, 24 maggio 1934 (per. il 26).

Il resoconto molto ampio pubblicato da questa stampa della visita con la quale S. E. il capo del Governo volle onorare l'accademia tedesca mostra quanto tale gesto cortese sia stato apprezzato, sopratutto in questo momento.

Altra ragione di viva soddisfazione tedesca fu l'accoglienza fatta al signor von Ribbentrop (1). Il segretario di Stato von Btilow mi disse ieri che l'Auswar

tiges Amt era molto riconoscente a S. E. il capo del Governo di avere ascoltato con tanta attenzione la esposizione del punto di vista tedesco fattagli dal plenipotenziario per il disarmo e di avergli poi fatto conoscere con grande cortesia e lucidità il suo pensiero in proposito.

Lo stesso signor von Ribbentrop, venuto più tardi da me, mi ripeté gli stessi sentimenti. Egli mi disse di essere tuttora sotto la profonda impressione riportata dall'udienza concessagli da S. È. il capo del Governo che aveva voluto mostrarsi con lui estremamente benevolo. Aggiunse che non poteva far altro che felicitare l'Italia di avere tal Duce. Von Ribbentrop che non conosceva Roma aveva ammirato immensamente quel poco dell'urbe che aveva potuto vedere. Era pure rimasto gradevolmente impressionato della perfetta organizzazione dei servizi ferroviari, dell'ordine che regnava nelle strade di Roma e del senso di serena fiducia che traspariva dal volto del popolo italiano.

Tanto von Biilow che von Ribbentrop mi informarono che S. E. il capo del Governo considerava terminata perché fallita la conferenza del disarmo. Il primo aggiunse che il Governo del Reich non era così pessimista; esso era favorevole ad un rinvio « sine die » della conferenza, ma sperava tuttora che si potesse un giorno concludere una convenzione.

Ho osservato che mi sembrava inutile voler correre dietro a delle fisime; la conferenza del disarmo era morta anche se non era ancora sepolta. Pure in Italia si sperava che si potesse concludere una convenzione, ma questa avrebbe eventualmente trattato di un limitato riarmamento e non già del disarmo. Mi sembrava dunque che una chiarificazione della terminologia concernente la conferenza fosse necessaria ed opportuna.

Von Blilow ne convenne ma osservò che a suo avviso non era molto probabile che il delegato di qualche Stato volesse prendere su di sé la responsabilità di fare una proposta in riguardo a Ginevra. Essa avrebbe però forse potuto partire da Henderson, come presidente della conferenza del disarmo, anche per salvare la sua posizione personale e diventare automaticamente presidente della conferenza per la limitazione degli armamenti.

(l) Cfr. n. 255.

289

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 1964/244 R. Addis Abeba, 25 maggio 1934, ore 6 (per. ore 22,40).

Mi permetto attirare l'attenzione di V. E. sul telegramma n. 10943 e seguenti (l) da Mogadiscio che riferis·cono attacchi da parte armati regola,ri abissini del nostro posto di Barrei.

Mentre sono in attesa delle istruzioni di V. E. per la mia eventuale azione, mi permetto far rilevare che la situazione ai confini della Somalia diventa

sempre più delicata e potrà diventare molto grave: ciò che richiede una linea pqlitica generale determinata e ben collegata con la mia azione qui. Gli abissini non solo non vogliono riconoscerei il confine che noi occupiamo, ma intendono attuare anche con la forza il loro programma di consolidamento del loro dominio nell'Ogaden e spingerei o con le buone (mio telegramma n. 243) (l)

o con le cattive a discutere la questione della delimitazione delle frontiere.

La stessa progressione degli avvenimenti è un sintomo: sono prima dei pastori armati, poi dei pastori accompagnati da armati che simulano con razzie tentativi di occupazione di territorio; ora sono addirittura degli armati abissini che attaccano un nostro posto chiaramente esponendone ragioni: è in progetto tentare occupazione di Uarder.

A mio subordinato parere ritengo quindi occorre affrontare il problema in un modo od in un altro.

(l) Non pubblicati.

290

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1975/0121 R. Berlino, 25 maggio 1934 (per. il 26).

Informo per ogni buon fine l'E. V. che nel corso del colloquio avuto avan

. tieri col signor von Ribbentrop (2) egli, dopo avermi detto che secondo le sue informazioni, l'atteggiamento assunto dal Governo francese nella questione del disarmo non corrispondeva al pensiero della grande maggioranza della opinione pubblica francese, aggiunse che ciò lasciava sussistere nel Governo del Reich la speranza di potere, nonostante tutto, riuscire nel suo intento che era quello di intendersi direttamente con la Francia sopra una larga base di comprensione reciproca.

291

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 25 maggio 1934.

L'Ambasciatore Drummond mi intrattiene sulle seguenti questioni:

1° -Arabia. Presenta l'unita nota (3) relativa al ritiro contemporaneo delle forze italiane, inglesi e francesi da Hode,ida. Gli rispondo che su questo punto abbiamo già dichiarato di essere d'accordo.

2° -Questione della fornitura di materiale aeronautico alla Germania. Non è stato possibile fare un accordo sulle proposte presentate dalla Gran Bretagna,

tuttavia il Governo britannico intende di fare quanto sarà in suo potere perché non avvengano, in tale riguardo, infraz,ioni agli accordi internazionali vigenti. Gli rispondo che l'Italia è dello stesso punto di vista.

3° -Conferenza navale. Mi presenta l'unita nota (1) relativa a scambi di idee bilaterali che dovranno aver luogo a Londra fra i cinque Stati firmatari dell'accordo di Washington.

Gli rispondo che la cosa mi pare interessante. Comunque bisognerebbe chiarire in che forma si intendono fare questi scambi di idee. La Gran Bretagna intende agire per conto comune riferendo poi l'esito dei colloqui agli altri Paesi interessati? O è inteso che ciascuno prenda a sua volta contatti con tutti gli altri?

L'Ambasciatore non sa dare precisazioni su questo punto; sentirà Londra. Mi riservo a mia volta di fargli conoscere poi il punto di vista del Governo italiano.

Informo l'Ambasciatore sui passi fatti a Londra per un accordo preventivo con l'Inghilterra. L'Ambasciatore non è informato della cosa, è persuaso che il nostro passo sarà molto apprezzato dal Governo inglese, non crede però che ci sia la possibilità di intese prima di Ginevra, dato che nessuno sa esattamente che cosa pensi la Francia. Egli crede che tanto Simon quanto Eden saranno a Ginevra per lunedì prossimo.

(l) -T. 1965/243 R., pari data, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 288. (3) -Non pubblicata.
292

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA,· POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 25 maggio 1934.

Il signor Potemkin ha avuto incarico da parte del Ministro Litvinoff, che si trova tuttora a Mentone nell'attesa di andare a Ginevra, per la Commissione Generale del Disarmo, di farci le seguenti dichiarazioni:

l) Entrata dell'U.R.S.S. nella Società delle Nazioni. -La questione non è matura nè attuale. Nel colloquio avuto da Litvinoff con Barthou, quest'ultimo ha sollevato la questione. Tuttavia la cosa è rimasta in termini molto vaghi di modo che non c'è nulla di concreto. Ad ogni modo il Governo dell'Unione quando la cosa dovesse maturare avvertirà tempestivamente il Governo italiano per non farlo trovare di fronte ad un fatto compiuto.

2) Eventuale patto di mutua assistenza. -Anche qui la conversazione fra Litvinoff e Barthou è rimasta in termini molto vaghi. La questione è stata sollevata da Barthou ed ha dato a Litvinoff piuttosto l'impressione di un sondaggio che di una proposta concreta. Comunque niente di deciso al riguardo.

L'Ambasciatore Potemkin esclude che Litvinoff abbia preso qualunque iniziativa su tale oggetto.

3) Conferenza del Disarmo. -Litvinoff è stato a Ginevra per rendersi conto della fase attuale di questo problema; ha avuto una conferenza con Agnides, direttore della Sezione, e, come detto sopra, con Barthou che era l'unico Ministro degli Esteri presente a Ginevra in quel momento. II Ministro sovietico sarebbe contrario a liquidare la conferenza per deferire la questione alla Società delle Nazioni.

L'Ambasciatore Potemkin termina col dirmi che queste dichiarazioni rimettono la questione nei suoi veri termini sfrondando tutte le chiacchiere e le illazioni che si sono fatte a proposito del viaggio di Litvinoff a Ginevra.

Ringrazio l'Ambasciatore per le precise informazioni. Alcuni Rappresentanti di Potenze straniere ci hanno già chiesto quale sarà l'atteggiamento dell'Italia riguardo l'entrata dell'U.R.S.S. nella Società delle Nazioni.

Si è risposto che dato che l'Italia c'è nella Società delle Nazioni e dato i buoni rapporti fra l'Italia e l'U.R.S.S. noi non potevamo che vedere con piacere questa entrata.

Per quanto riguarda la Conferenza del Disarmo siamo anche noi d'avviso che non sia conveniente passare tutto il problema al Consiglio della Società delle Nazioni.

Effettivamente anche a noi sono giunte moltissime voci e segnalazioni su quanto Litvinoff avrebbe fatto a Ginevra e sui suoi propositi per la costituzione di un patto di mutua assistenza o di una Locarno Orientale.

L'Ambasciatore Potemkin osserva che chi è interessato a diffondere queste voci per creare un'atmosfera sfavorevole è la Francia. L'Ambasciatore si riserva di farmi avere le ulteriori informazioni che gli pervenissero (l).

(l) Non pubblicata.

293

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHVALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 25 maggio 1934.

II Signor Chvalkovsky mi ha chiesto se poteva avere qualche informazione più precisa degli accordi di Roma: ciò servirebbe anche ai negoziatori di Praga per le trattative in corso con l'Austria e con l'Ungheria.

Prometto al Ministro che gli farò avere i testi. Mi chiede se abbiamo preso qualche decisione nei riguardi della estensione degli accordi di Roma ad altri. Gli dico che la cosa è ancora allo studio.

Il Ministro mi conferma il vivo desiderio della Cecoslovacchia di andare d'accordo con l'Italia.

Una volta era stato accennato da Schubert e da Benes alla possibilità di una unione doganale tedesco-austriaco-cecoslovacca. Benes l'ha respinta. Oggi probabilmente non respingerebe invece una proposta di unione doganale italoaustriaco-cecoslovacca. Però non si tratta di ciò. Bisognerebbe soltanto ottenere che gli ungheresi non fa:cciano la pregiudiziale politica per ogni specie di accordi economici. Le loro aspirazioni revisionistiche nessuno gliele tocca, ma d'altra parte bisogna rendersi conto che nessun governo cecoslovacco potrebbe discutere questo problema. Bisogna che gli ungheresi si rendano conto di questo se vogliono realizzare i fini dell'azione italiana nella Media Europa di cui gli accordi di Roma sono stati il primo inizio. È certo che Kanya che ispira la politica estera ungherese non è un amico della Cecoslovacchia, ma neanche dell'Italia. Egli ha la mentalità del vecchio uomo della Monarchia austroungarica, ma la sua aspirazione principale rimane sempre una: Berlino. Oggi i tedeschi fanno uno sforzo notevole per accaparrarsi i paesi danubiani. Hanno cominciato con l'Ungheria e con la Jugoslavia. Hanno fatto delle concessioni di puro carattere politico. È questo quindi il momento perchè l'Italia, a sua volta, avvicini i Paesi della Piccola Intesa.

Per quanto riguarda la Cecoslovacchia egli ripete che non vede nessuna ragione di dissenso, messa da parte la questione delle aspirazioni ungheresi. La Cecoslovacchia è d'accordo con l'Italia nella sua politica danubiana e nella sua politica del disarmo.

(l) Il presente appunto venne comunicato a Berlino, Londra, Mosca, Parigi, Varsav!a e alla delegazione italiana a Ginevra con t. 735/C. R. del 30 maggio.

294

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIÈRE

APPUNTO. Roma, 25 maggio 1934.

Il Ministro Wagnière mi parla della entrata dell'U.R.S.S. nella Società delle Nazioni. In !svizzera c'è una grandissima opposizione al riguardo, temendosi che questo implichi il riconoscimento dei Soviet da parte della Svizzera, e lo stabilimento in !svizzera della Centrale di propaganda sovietica.

Mi chiede quale posizione prenderebbe al riguardo il Governo italiano.

Gli rispondo cne no1 non siamo contrarl all'ingresso dell'U.R.S.S. nella Società delle Nazioni. D'altra parte per quanto riguarda la Svizzera mi pareva che si potessero adottare le seguenti considerazioni: l'ingresso dell'U.R.S.S. nella Società delle Nazioni non implica necessariamente il riconoscimento dell'Unione da parte della Svizzera.

Varie rappresentanze dei Soviet sono state già più volte a Ginevra senza che ciò abbia dato luogo, per quanto io sappia, a degli inconvenienti. D'altra parte anche in Italia dove la Rappresentanza dei Soviet è stabilita da più anni (pur rendendosi conto che l'Italia ha una situazione particolare) non si sono

•·erificati mai inconvenienti degni di rilievo. Sta anche la considerazione, nell'interesse di tutti e anche della Svizzera, che per facilitare l'evoluzione interna in atto nella Repubblica dei Soviet, è opportuno mantenere i contatti fra l'Unione e i Paesi occidentali.

Il Ministro si rende conto di tutto ciò, ma d'altra parte non può non rilevare il pericolo che una magg-iore attività sovietica può rappresentare nel paese del signor Nicole.

Gli osservo che sta nella buona volontà degli svizzeri di sbarazzarsi dei vari signor Nicole. Il Ministro mi risponde che questa è anche una sua viva aspirazione.

295

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI (l)

T. 690/127 R. Roma, 26 maggio 1934, ore 1.

Governo Somalia in data 22 corr. telegrafa che 15 corr. gruppo 48 armati abissini, sostenuto da alcuni elementi locali e comandato da Cagnasmac Barahei, ha occupato collina prossima nostro posto Barrei intimando a nostri dubat di sgomberare tale posto. Seguito rifiuto opposto da dubat, abissini attaccarono nostro presidio e combattimento durò intera giornata. Abissini respmti avrebbero chiesto rinforzi a Dolo, per attaccare nuovamente. Governo Somalia ha disposto perchè posto Barrei venga convenientemente rinforzato, ed ha confermato istruzioni respingere con la forza eventuali nuovi tentativi violazione nostra linea occupazione. Aggressione abissina è avvenuta malgrado ripetuti avvertimenti dati da nostre autorità confinarie ad autorità etiopiche frontiera che ogni questione confine è di competenza dei due Governi, e non può venire risolta ad iniziativa capi locali e con azioni di forza.

Prego v. s. voler presentare a codesto Governo nostre proteste per aggressione e riserve per danni subiti, chiedendo nel contempo che istruzioni siano impartite d'urgenza a Comandi competenti perché sia vietato a Cagnasmac Barahei compiere ulteriori inconsulti atti ostili contro nostri presidi, che, come abbiamo già mostrato, non siamo affatto disposti a tollerare, quantunque sia nostro proposito contenere incidente nelle sue reali proporzioni, non dando ad accaduto se non portata locale.

296

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, ATTOLICO, E A VARSAVIA, BASTIANINI

T. PER CORRIERE 703 R. Roma, 26 maggio 1934, ore 11.

L'ambasciatore di Polonia signor Wysocky è venuto il giorno 23 corrente a chiedermi notizie sul nostro atteggiamento nella questione del disarmo. Non sa che cosa farà il proprio governo.

Gli rispondo che neanche noi abbiamo assunto un atteggiamento definitivo. Comunque le idee italiane sono note: impossibilità di un disarmo nel primo periodo; opportunità di stabilire una limitazione degli armamenti per lo stesso periodo da parte delle nazioni armate; concessione del graduale armamento alla Germania sempre in questo periodo, per quanto riguarda le armi difensive. Inoltre noi riteniamo che un accordo debba essere fatto colla partecipazione della Germania, la quale deve intervenire fin da principio. Non sembra ammissibile che essa subentri di poi quando la convenzione sia stata preparata dagli altri. Come metodo riteniamo non conveniente portare la cosa alla commissione generale, ma utile invece continuare gli scambi di vedute tra le Potenze maggiormente interessate. Quando le quattro Potenze che hanno già preso dei contatti assieme ad alcune delle altre Cotenze più interessate, come Stati Uniti, Russia, Polonia, fossero d'accordo sullo schema, lo stesso potrebbe essere portato alla conferenza generale per la definitiva approvazione. Noi oggi non sappiamo che cosa pensi la Francia. Il suo contegno -almeno dagli elementi che abbiamo fino ad ora -non ci pare logico, a meno che essa non tenda a spingere il mondo verso una corsa agli armamenti.

Comunque il Capo del Governo, che ha manifestato chiaramente le sue idee, non intende prendere alcuna iniziativa per il disarmo, né fare opera di mediazione.

L'ambasciatore conviene che se si vuol fare un accordo con la Germania, bisogna farla entrare fin da principio, altrimenti essa non vi parteciperà. L'ambasciatore mi chiede poi che cosa pensiamo dell'eventuale ingresso dell'U.R.S.S. alla Lega delle Nazioni.

Gli rispondo che noi vi siamo favorevoli.

Il signor Wysocky mi dice che le notizie diffuse sulla contrarietà della Polonia al riguardo sono inesatte.

(l) Il presente telegramma !u inviato per conoscenza anche al ministero delle Colonie.

297

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 709/117 R. Roma, 26 maggio 1934, ore 17,45.

In rapporto alla prossima scadenza del 15 giugno del debito di guerra verso gli Stati Uniti, informo V. E. che Governo italiano sarebbe disposto eftettuare, anche a detta scadenza, un pagamento dimostrativo di un milione di dollari però ove da parte americana ci venisse diretta una lettera conforme a quella inviata a V. E. il 17 dioembre u.s. (1). Governo italiano tuttavia non prenderà alcuna decisione definitiva prima di avere notizia precisa di quanto faranno per la scadenza del 15 giugno Inghilterra e Francia.

Quanto precede per sua norma personale.

Aggiungo per sua informazione che le cifre che vengono a scadere il 15 giugno sono: per l'accordo di Washington del 1925 capitale dollari 12.600.000, interessi dollari 1.237.750,50 in complesso dollari 13.837.750,50. Per moratoria Hoover capitale e interessi dollari 896.156 totale generale dollari 14.733.906 centesimi 50.

(l) Non pubblicata nel volume precedente.

298

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 714 R. Roma, 26 maggio 1934, ore 2.

(Solo per Vienna) Ho telegrafato al R. ambasciatore a Londra quanto segue:

(Per tutti) R. ministro a Vienna segnala che stampa laburista e liberale inglese persiste nella sua campagna ostile all'Austria pubblicando notizie false e tendenziose, fornite dall'uffico propaganda nazista tedesco, sulle pretese persecuzioni del Governo federale contro il socialismo locale (l).

Con riferimento al telegramma n. 51 del 27 febbraio u.s. (2) di analogo contenuto, prego V. E. volersi opportunamente adoperare per neutralizzare fin dove possibile manovra interessata che ha il preciso scopo di danneggiare il Governo Dollfuss e con esso la causa dell'indipendenza austriaca.

299

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1988/55 R. Gedda, 26 maggio 1934, ore 19 (per. ore 1,30 del 27). Seguito mio telegramma n. 53 (3).

Jussuf Jassyn è venuto stamane a vedermi e ha detto di essere stato incaricato da Ibn Saud di darmi i seguenti chiarimenti circa lo stato attuale dei rapporti saudo-yemeniti:

Il trattato firmato lunedì scorso e tenuto segreto mostra, secondo Jussuf Jassyn, lo spirito di tolleranza di Ibn Saud verso l'Imam; tolleranza che è stata criticata anche dai suoi più fidati consiglieri.

Difatti il Re wahabita non ha avuto ambizioni territoriali poichè possiede già un immenso dominio e non ha la possibilità finanziaria e amministrativa di assorbire nuovi territori. Pertanto egli si è limtato a richiedere all'Imam la

linea di confine esistente a metà tra i due paesi dopo Gebel Arue prima del con~ flitto attuale, Negeran e Jam faranno parte della Saudia. Ibn Saud non sembra fino ad oggi proclive a prorogare armistizio che è un vero ultimatum. Intenzioni dell'Imam Yahia, malgrado i suoi quotidiani telegrammi pacifici a Ibn Saud, non sono affatto chiare.

A tale proposito Jussuf Jassyn mi ha accennato discretamente -e desidera attirare l'attenzione di V. E. su quanto segue -a voci pubblicate da giornali egiziani.

Secondo tali notizie, insinuate anche a Governo di Ibn Saud da agenti stranieri, il motivo della incertezza attuale sarebbe da attribuirsi al Principe Ereditario Seif el Islam Ahmed, il quale sarebbe spinto all'intransigenza da agenti italiani ed aiutato anche finanziariamente dal R. Governo.

Governo saudiano non crede a queste voci, ma desidera avere il modo di smentirle d'accordo con questa legazione.

Io ho respinto recisamente tali insinuazioni e Jussuf Jassyn, nel ringraziarmi, mi ha detto, che, se non avesse avuto fiducia nella mia azione, si sarebbe astenuto dal farmi queste confidenze.

Circa presenza R. navi a Hodeida, Jussuf Jassyn mi ha detto che la presenza ininterrotta in quel porto delle navi crea una sfavorevole impressione e Governo di Ibn Saud esprime il desiderio che la presenza sia alternata da brevi assenze.

Prego V. E. volersi compiacere di telegrafarmi istruzioni in merito (1).

(l) -Con t. per corriere 1920/093 R. del 19 maggio, Preziosi aveva riferito che Dollfuss pregava Mussolini di dare istruzioni all'ambasciata a Londra di chiarire la vera origine di tali notizie. (2) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 752. (3) -Con t. 1962/53 R. del 25 maggio Persico aveva comunicato fra l'altro: «Ministero degli affari esteri saudiano mi ha scritto oggi che Governo Ibn Baud ringrazia Governo itaHano per1 suoi voti amichevoli e si augura di vedere continuare questa fiducia reciproca fra i due paesi».
300

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1983/61 R. Varsavia, 26 maggio 1934, ore 19,45 (per. ore 23). Telegramma di V. E. n. 53

Torno adesso da colloquio accordatomi dal Beck mentre preparasi partire per Ginevra.

Gli ho chiesto suo punto di vista circa eventuali tentativi segnalati da V. E. spiegandogli nostro atteggiamento di grande riserva.

Beck mi ha [detto] anzitutto che nè da parte francese, nè da parte sovietica, Polonia è stata presentita ma che su ambedue questioni Polonia aveva molte riserve da fare.

1°) -Circa eventuale tentativo deferire questioni disarmo al Consiglio della

S.d.N. deve far rilevare che assenza Germania Giappone e Soviety da tale organo non è favorevole ad una proposta del genere. Polonia fa rimarcare che la Germania e Russia sono sue confinanti e che ogni azione giapponese influendo direttamente Mosca è anche causa naturali ripercussioni a Varsavia;

25 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

2°) -Circa piani di patto generale o regionale mutua assistenza Beck mi ha detto che Polonia avendo adottato principio risolvere sue questioni con metodo accordi bilaterali è molto riservata e prudentissima dinanzi simili proposte che muterebbero sostanzialmente sua direttiva di lavoro della quale è soddisfatta.

Ha aggiunto che nessun progetto il quale contraddicesse risultato raggiunto di porre su basi di fiducia e cordialità suoi rapporti con vicini, prima che suoi avversari, potrebbe essere approvato dalla Polonia la quale non crede sia migliore sistema per garantire tranquillità europea quello di facilitare formazione di gruppi di Stati.

Si riserva di studiare a Ginevra, se proposte del genere venissero presentate, tutti i lati di esse in piena libe,rtà perché egli vuole che V. E. sappia essere Polonia interamente libera ed assolutamente decisa a non sacrificare risultato sua poUtica realistica a formule vuote o progetti grandiosi quando suo sistema si è dimostrato migliore tutela suoi interessi.

Beck mi ha detto che giungerà Ginevra lunedì pomeriggio e che sarebbe suo desiderio vedere Aloisi per stabilire con lui uno stretto contatto.

(2). (l) -Cfr. n. 312. (2) -Numero particolare di protocollo per Varsavia del n. 285.
301

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1985/70 R. Bruxelles, 26 maggio 1934, ore 23 (per. ore 1,30 del 27).

Telegramma di V. E. n. 66 (1).

Ho atteso sino ad oggi per conferire con questo ministro affari esteri desiderando farlo dopo consiglio dei ministri riunito stamane per definire linea di condotta a Ginevra e dopo che fossero qui distribuite le dichiarazioni Barthou alla camera dei deputati francese.

Nel frattempo ho avuto occasione incontrare incidentalmente presidente del consiglio ed il ministro del lavoro, capo dei membri fiamminghi del Governo, ed ho potuto sincerarmi oltre tutto tendenza a non distaccarsi per quanto è possibile dall'atteggiamento fino ad ora assunto da questo Governo.

In base al colloquio di stamane con Hymans credo poter escludere con sicurezza che il Belgio simpatizzi con i piani di mutua assistenza perchè sl rende ben conto che essi finirebbero per condurre alla temuta ricostituzione dei blocchi di alleanze.

Belgio sa inoltre che il Governo britannico (verso il quale non prenderà mai per tradizione e per calcolo atteggiamento contrario) non è favorevole al progetto e che esso è promosso dalla Francia in funzione del suo riavvicinamento all'U.R.S.S. tuttora decisamente malvisto a Bruxelles.

Non posso vicerversa escludere che proposta di demandare studio problema al consiglio della Società delle Nazioni incontrerebbe uguale avversione da parte delegazione belga malgrado Hymans mi abbia assicurato che questa ha istruzioni di non prendere a Ginevra alcuna iniziativa e di aspettare che un nuovo accordo si sia verificato fra Potenze maggiori fosse anche per nuova conferenza di riarmamento.

Hymans infatti è troppo legato per suoi precedenti al rispetto dell'organo Società delle Nazioni ed al testo dell'articolo 8 del Covenant cui ha fatto espressamente riferimento nella conversazione.

In ogni caso, anche in questo, Belgio non farà cosa diversa dall'Inghilterra che rimane pur sempre (ed a marcata preferenza della Francia stessa) la sua grande speranza di soccorso nel pericolo.

Unico argomento efficace in senso contrario (del quale mi sono valso opportunamente nel colloquio) è che un ritorno della Germania nella Società delle Nazioni sarebbe definitivamente escluso, secondo che problema disarmo venisse deferito al Consiglio della Società delle Nazioni.

Ripeto che Hymans non mi ha affatto «dichiarato» di essere partigiano di tale soluzione e ritengo che in un primo tempo non si pronuncerà in alcun modo ma ho la convinzione che per considerazioni anzidette non è lecito attendere da lui che vi faccia resistenza.

Telegrafato Roma e Ginevra.

(l) Numero particolare di protocollo per Bruxelles del n. 285.

302

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 825/338. Ankara, 26 maggio 1934 (per. il 28).

Faccio seguito al mio telegramma n. 64 (l) relativo al colloquio da me avuto con Ismet pascià.

La mia comunicazione ha avuto per oggetto innanzi tutto i tre punti prescrittimi da V. E. col Suo dispaccio n. 213604 del 26 aprile u.s. (2), ai quali dunque mi riferisco senza ripeterli.

Le informazioni raccolte in questi ambienti in seguito alle visite di Jeftic e di Kondylis mi avevano dimostrato la necessità di aggiungere a quelle comunicazioni i seguenti punti:

1o -Lo stato di sospetto in cui il Governo turco vive nei riguardi dell'Italia non è compatibile con la politica di amicizia sorta a Milano, dalla quale il Governo italiano non si è mai allontanato ed alla quale il Governo turco dice di volere ritornare.

2° -Questo stato di sospetto sembra avere portato il Governo turco a cercare delle combinazioni politiche con altri Stati (Jugoslavia) per una comune salvaguardia contro l'Italia.

3° -La stessa amicizia turco-greca, nata sotto gli auspici dell'Italia, sembra ora concepita dalla Turchia come un eventuale strumento di difesa comune della Turchia e della Grecia contro l'Italia.

Nel dubbio che le condizioni deficienti di udito di Ismet Pascià potessero impedirgli di rendersi esatto conto di questi tre punti, avevo preparato un appunto testuale che gli feci leggere, senza !asciarglielo.

Ismet Pascià ascoltò e lesse le mie dichiarazioni, dopo di che disse di volere rispondere con la stessa franchezza, «come tra vecchi soldati ».

Seguirò la sua esposizione.

La Turchia ha considerato e considera preziosa l'amicizia dell'Italia, ed è lieta di prendere atto del pensiero del Governo italiano che afferma non essersi mai voluto allontanare dalla politica di Milano e di volerla consolidare. Malgrado una serie di disillusioni provate dalla Turchia dal maggio 1932 al marzo 1934, non vi era sino a tale data uno stato di sospetto.

Ho interrotto Ismet Pascià per fargli osservare che nel febbraio 1933, le banche italiane in Turchia mi rivolgevano domande allarmanti sullo stato dei rapporti italo-turchi, di fronte al ritiro di depositi che avveniva con la motivazione di prossime ostilità tra i due Paesi (mio rapporto n. 2356/960 del 31/XII u.s.) (l) e quasi quasi di un avvenuto sbarco di forze italiane in Asia Minore. Vi era stato forse allora il discorso di S. E. il Capo del Governo? Vi erano state manifestazioni italiane di alcun genere? Nessuna.

Ismet Pascià mi ha osservato che, infatti, in quella occasione il Governo turco non si era affatto turbato di quelle pretese minacce. A mia volta gli ho risposto che se il Governo era rimasto sereno, ciò significava che le disposizioni sfavorevoli erano negli strati della popolazione il che rendeva la cosa ancora più preoccupante perchè congenita.

Tuttavia, ammesso che il discorso del 18 marzo abbia creato un allarme, non vi erano state dichiarazioni precise in senso rassicurante? La mia impressione, dopo le dichiarazioni di S. E. il Capo del Governo a Vassif Bey, lette da Tewfik Rustu alla Grande Assemblea Nazionale, era stata che l'incidente doveva ritenersi felice se era riuscito a promuovere simili parole di sicurezza e di amicizia. Tali parole, non solo non erano state seguite da dichiarazioni egualmente cordiali, ma non avevano neppure portato ad un minimo di serenità.

Ismet Pascià mi ha detto che erano sopravvenute nuove circostanze aggravanti e precisamente le rinnovate opposizioni di Venizelos al Patto Balcanico, le quali avevano posto, in un primo momento, l'ipotesi di una azione italiana in Albania (e fin qui nessuna reazione si era prodotta nel Governo turco) ed in un secondo momento, l'ipotesi di una aggressione dell'Italia contro la Turchia. Venizelos aveva reso un cattivo servizio all'Italia, giungendo a prospettare una eventualità di questo genere; ed il Governo turco, che conosce l'avvedutezza del

vecchio uomo politico, aveva tratto la conseguenza che se egli parlava di una simile ipotesi, ciò dimostrava che questa era nel campo delle cose possibili.

Le preoccupazioni dei dirigenti turchi erano in pieno risveglio per queste discussioni di Atene quando giungeva ad Ankara il generale Kondylis. Ebbene -dice Ismet Pascià -: non è stata affatto la Turchia a prospettare l'ipotesi di una aggressione italiana, bensì il Ministro della Guerra greco. Nel corso delle conversazioni di carattere militare, il generale Kondylis definì i limiti di una eventuale azione della Grecia, ponendo esplicita riserva di neutralità nel caso di attacco italiano in concorso con la Bulgaria. Invitato a precisare se la riserva si intendeva verso la sola Italia o anche verso la Bulgaria alleata dell'Italia, il generale Kondylis avrebbe confermato la neutralità della Grecia di fronte all'una e di fronte all'altra.

Poiché debbo ritenere veritiere le dichiarazioni di Ismet Pascià -unica persona di questo Governo che conservi una linea di lealtà in ogni circostanza le informazioni o impressioni raccolte qui precedentemente e che davano per sicura la collaborazione greca alla Turchia sulla frontiera della Tracia anche nell'ipotesi che l'Italia fosse alleata della Bulgaria vanno rettificate.

A quanto mi ha detto Ismet Pascià, le conversazioni turco-greche furono rimandate a migliore occasione, essendosi manifestato da parte turca il disappunto per la piega inattesa che i greci avevano presa. Secondo il mio interlocutore, il governo turco si era dispiaciuto non che la Grecia rifiutasse di marciare in un senso che gli stessi turchi non intendevano proporre, ma che una ipotesi cosi ardua fosse stata messa sul tappeto, portando l'ambiente ad un grado di sensibilità che non avrebbe permesso di intendersi. Naturalmente Ismet Pascià considera la mossa di KondyUs come inopportuna perché lesiva dei rapporti tra la Turchia e l'Italia. Ha aggiunto però che in tutti i Balcani l'idea di una aggressione italiana contro la Turchia si diffonde sempre più.

Gli ho osservato che tutti abbiamo i nostri nemici e che le voci di cui egli faceva cenno erano da attribuirsi ad una sistematica campagna anti-italiana e forse a quello che era il desiderio di alcuni paesi, di vedere cioè l'Italia impegnata in Anatolia, e deviata dalla sua politica europea. Ho dovuto far toccare con mano a Ismet Pascià la situazione in cui il nostro Paese si trova nel Mediterraneo ove abbiamo voluto salvare un nostro interesse fondamentale, creando nel bacino orientale di detto mare un sistema di amicizie che ci permettesse di fare assegnamento sopra una oasi di tranquillità alle nostre spalle. Questo era il perno della politJica di Milano, ,a cui l'Italia rimane legata perché nessuna delle condizioni politico-geografico-militari allora esistenti è per nulla cambiata. Inammissibile quindi l'idea che alle difficoltà già esistenti noi volessimo aggiungere quelle di un conflitto con la Turchia, che ci porterebbe alla rinunzia dei traffici orientali ed alla estensione, da un capo all'altro del Mediterraneo, di quelle difficoltà già notevoli che si fanno sentire nella metà occidentale di esso. Come la Turchia ha le sue ragioni di sicurezza dalle quali non si allontanerebbe in alcun caso, così l'Italia ha le sue condizioni di sicurezza dalle quali a sua volta non può deviare. Perciò, se è vero che esiste una forza di espansione italiana, essa deve essere considerata obbediente ad una legge naturale di deflusso verso le zone più facili, come avviene per le acque irrompenti da un fiume, le

quali dilagano verso i declivi prima di sommergere le quote più alte. Nella situa

zione del mondo odierno, avanti di attaccare le nazionalità costituite e di battere

contro le rocche forti degli Stati organizzati entro nuclei etnici saldi e definiti,

vi son ancora, come in Africa, regioni che possono passare da una mano al

l'altra senza guerre, senza urti fuori e dentro dei loro confini, con una semplice

intesa pacifica tra le Potenze maggiori. Prima di arrivare ad attentare alla

vita di una grande razza civile e di ledere quel principio di nazionalità di cui

l'Italia è figlia, noi dovremmo aver saturato l'Africa intera e tutta quella parte

dell'Asia che non è organizzata in forme nazionali superiori: un mondo intero.

Ismet Pascià si è reso conto di ciò ma mi ha fatto la risaputa abbiezione

delle ore di viaggio di cui al discorso del 18 marzo. Mi sono permesso di dirgli

che quell'accenno riguardava le distanze di base dell'Italia dai due grandi con

tinenti, senza indicare che ci dovessimo fermare alla prima porta. Che inoltre

la evidenza data da V. E. ad una prossimità di fonti di lavoro che gli Italiani

sembrano ignorare derivava unicamente dalla necessità di contrapporre tale

prossimità alla quasi secolare preferenza degli italiani verso il lavoro transocea

nico che ci aveva tolto milioni di figli a tutto vantaggio di popoli remoti. Questi

però non avevano avuto certo da lamentarsi di questa preferenza perchè ne

avevano tratto vantaggi di progresso inestimabili.

Continuando nella enumerazione dei disgraziati malintesi sorti tra l'Italia

e la Turchia, Ismet Pascià mi ha parlato: *a) del mancato prestito che lo ha

offeso crudelmente non per la parte materiale ma perchè, di fronte allo scetti

cismo dei molti deputati, egli aveva impegnato la sua personale convinzione

che il prestito sarebbe venuto, cosa di cui ora si sente umiliato come di una

ingenuità commessa; b) del mancato appoggio dell'Italia nella votazione di

Ginevra; c) delle proposte del R. Ministro a Sofia per uno sbocco territoriale

della Bulgaria in Egeo. In sostanza, egli dice aver avuto l'impressione in questi

ultimi episodi, che l'Italia abbia cercato di abbassare moralmente e material

mente la Turchia* (1).

Sorvolando sui primi due punti, sui quali non ho mai avuto elementi per discutere, ho dimostrato anzitutto a Ismet Pascià che un Paese il quale voglia l'abbassamento della Turchia non si sarebbe fatto iniziatore della politica di conciliazione turco-greca che è innegabilmente un fatto di tranquillità e di forza per la Turchia nel Mediterraneo Orientale. Per quello che riguarda la Bulgaria, il nostro pensiero è stato sempre di farne un elemento di contrappeso alla Jugoslavia. Ora, siccome sarebbe assurdo per la Bulgaria perseguire le sue aspirazioni su quattro fronti, e siccome essa dovrebbe venire un giorno ad una decisione nel dilemma di farsi amici i vicini del sud per fronteggiare quelli del Nord o viceversa, non ritenevo che si potesse mai attribuire al nostro Paese una politica che, dirigendo le aspirazioni bulgare verso la Tracia, butterebbe automa. ticamente la Bulgaria nelle braccia jugoslave. Che il Governo turco doveva quindi avere fiducia che una nostra politica in Bulgaria non potrebbe che essere conforme agli interessi turchi; cosa del resto già discussa e accettata a Milano

e dopo Milano.

Invece, per quello che riguarda la politica turca nei Balcani, noi non sapevamo ancora quale cambiamento di fronte fosse avvenuto da parte turca verso la Jugoslavia e la Romania non solo in maniera generica ma anche nei riflessi precisi dell'Italia.

Ismet Pascià mi ha risposto, dichiarandomi nella maniera più esplicita ed impegnativa che la Turchia non aveva preso alcuna posizione nè con la Romania nè con la Jugoslavia che fosse incompatibile con la politica di amicizia verso l'Italia. Il Patto balcanico -egli dice -non ha avuto alcuno sviluppo: esso è limitato, nei suoi fini, alla sicurezza delle frontiere di ciascuno dei contraenti di fronte alla Bulgaria. Le clausole militari che saranno discusse non porteranno mai l'esercito turco fuori del settore della frontiera trace. * A questo proposito egli teneva che V. E. fosse assicurato che la Turchia non cercherà mai di ingerirsi nella questione albanese*; ed in risposta ad alcuni dubbi da me manifestati sulla missione di Rushen Eshref in Albania, egli mi ha dichiarato che si trattava puramente e semplicemente di una vecchia aspirazione dello stesso Rushen Eshref di avere una destinazione diplomatica e che gli si era dato il primo posto libero: non essere stata impartita a Rushen Eshref istruzione alcuna contro la politica italiana in Albania.

Ritornando alla Jugoslavia, Ismet Pascià mi ha detto che un conflitto italo-jugoslavo non interessa la Turchia la quale non chiede nè offre una collaborazione turco-jugoslava contro l'Italia perchè sa che la situazione in Adriatico è certamente più pericolosa che in Egeo, e la Turchia non vuole impelagarsi in eventualità che non la riguardano.

La sola eventualità contro cui la Turchia ricerca la collaborazione jugoslava è quella della Bulgaria. Ismet Pascìà non mi ha detto esplicitamente, ma io posso affermare che Turchia e Jugoslavia si schiererebbero insieme contro l'Italia nell'ipotesi di una azione combinata tra Italia e Bulgaria; e questo è l'unico risultato che mi pare di potere trarre in linea pratica contro di noi dal Patto Balcanico. Naturalmente si parla di ipotesi che si avverassero all'infuori della Turchia; che se invece una nostra azione con la Bulgaria fosse il risultato di comuni intese con Ankara, questa -malgrado che oggi dichiari inammissibile tale ipotesi per ostentazione teorica di lealtà verso gli altri firmatari del Patto Balcanico -finirebbe con fare i suoi calcoli di pro e di contro per agire secondo le convenienze del momento.

Venendo a parlare dell'Egeo, Ismet Pascià mi ha detto che le preoccupazioni del Governo turco per i nostri preparativi nelle Isole, sono giunte ad un grado acutissimo. * «Io sono informato giorno per giorno di questi preparativi di cui non si vede la fine. Quando saranno completi potremo giudicare della loro vera portata. Finiranno presto? Non sappiamo. Fino ad allora vivremo nel dubbio) *.

Ho ripetuto ad Ismet Pascià le cose già dette a Tewfik Rustu: trattarsi di una base navale -di carattere limitato a quanto personalmente mi risulta destinata a proteggere le nostre vie di comunicazione, e direi quasi ad applicare la politica di Milano in rapporto a quella tranquillità che ricerchiamo in Egeo: non esservi nelle isole alcun « preparativo ) ma semplicemente una facilitazione alla difesa dei nostri traffici; ogni dettaglio militare scomparire del resto di fronte alle buone disposizioni politiche. Ora il nostro popolo è talmente lontano dal meditare qualche cosa contro la Turchia che se ad un italiano colto di qualsiasi ambiente si fosse detto che il R. Ambasciatore in quel momento si faceva in quattro per tranquillizzare il Primo Ministro turco, quell'italiano sarebbe caduto dalle nuvole. Ma se la Turchia continuava a costituirsi da se stessa come preteso bersaglio dell'Italia, l'attenzione di tutti avrebbe finito con rivolgersi da questa parte e siccome la politica è anche fatta di psicologie collettive, non perchè siano giuste ma pel solo fatto che esistono, la Turchia stessa avrebbe creato in Italia una corrente anti-turca oggi inesistente. Il ritorno della fiducia tra i due Governi avrebbe invece dato rilievo ai fattori favorevoli della situazione togliendo la Turchia dalla posizione in cui si è messa di uno Stato minacciato che cerca aiuti, ristabilendo nella loro integrità i rapporti turco-greci e facendo convergere nel Mediterraneo Orientale tre forze concordi che, se divergessero, si sottrarrebbero l'una dall'altra invece di sommarsi.

Conclusioni da trarre dal complesso della conversazione:

a) Il Patto Balcanico, anche attribuendogli una buona salute che non ha, è un patto a forza centripeta entro i Balcani; non ha la forza centrifuga.

b) Tale forza centripeta non tocca la questione albanese, giacchè -malgrado l'interesse jugoslavo di trascinarvi la Grecia e la Turchia -nessuna di queste due vi si sente attratta.

c) La questione bulgara è investita invece totalitariamente da almeno due dei firmatari: Jugoslavia e Turchia, le quali .hanno stabilito una solidarietà antiitaliana nella ipotesi di azione dell'Italia a fianco della Bulgaria. Di questa solidarietà non fa parte la Grecia. Al di fuori delle frontiere bulgare, non risulta che esistano, in altri settori, impegni di solidarietà jugoslavo-turca contro l'Italia.

d) Il Patto greco-turco di Ankara del 14 settembre 1933 non funziona contro l'Italia nè sul settore bulgaro nè sul settore mediterraneo.

e) I rapporti greco-turchi sono oggi legati ai rapporti italo-turchi e potranno migliorare o peggiorare a seconda delle vicende di questi ultimi.

f) A parte il settore bulgaro, la Turchia è ancora libera di esercitare una politica di amicizia con l'Italia, politica che essa desidera a titolo di sicurezza.

g) Circa i modi per ristabilire l'amicizia italo-turca sulla base di due anni or sono, Ismet Pascià non ha fatto proposte. Ha detto che bisogna ristabilire la fiducia in ogni occasione possibile e che ciò sarà il modo naturale di rientrare nella politica di Milano.

Quest'ultimo punto della conversazione, mi è sembrato il più tiepido; ritengo che Ismet Pascià non voglia o non possa assumere di fronte al Gazi ed al partito anti-italiano la responsabilità di un atteggiamento caloroso per l'Italia senza un processo di maturazione che convinca gradualmente tutti delle nostre buone intenzioni e non esponga lui solo a sbilanciarsi, come sull'affare del prestito.

Non so, a tale proposito, se il Governo turco pensi o meno a dare corpo, con qualche atto, alla politica di sicurezza di cui noi vogliamo convincerlo e di cui esso attende le prove. La mania sinora dimostrata per le stipulazioni internazionali, sia pure di semplice apparenza, mi porterebbe a credere che esso lo desideri; ma un atteggiamento di prudente ritegno forse gli impedisce di fare un accenno che, non accolto, peggiorerebbe la situazione. A maggior ragione me ne sono guardato io, poichè non conosco in proposito il pensiero di V. E.

*Per quello che riguarda i nostri rafforzamenti nelle Isole dell'Egeo, V. E. giudicherà se, lontana ogni idea di menomazione della nostra libertà di armare

o non armare le isole, sia o meno il caso di dare al Governo turco una semplice rettifica al disorientamento in cui esso si trova sulle finalità del nostro rafforzamento. Il mio dovere è di dire che una rettifica del genere, a carattere spontaneo e quindi dignitoso, e con l'affermazione di non essere tenuti ad alcun chiarimento in questo campo, ma di volerlo dare per semplice atto di amicizia onde evitare errori nell'apprezzamento della nostra politica verso la Turchia, riuscirebbe qui salutare.*

A queste condiscendenze dobbiamo sobbarcarci se vogliamo -come V. E. vuole -riprendere in Turchia il terreno della· buona intesa. Un ciclo storico come quello in cui il Popolo Italiano marcia sotto l'impulso di V. E. non può svolgersi senza vibrazioni profonde destinate a creare altrove inevitabili posizioni di diffidenza. Un osservatore malevolo vede 'in queste diffidenze un insuccesso del Fascismo. Sono invece le prove del suo successo. Sono le scosse che il suo spirito eroico diffonde. Se non fosse così, quante giornate più facili, ma che vita scialba.

Con tutto ciò, evitare le difficoltà inutili è legge di buona economia; ed è per questo che se potremo dare al Governo turco quante soddisfazioni potremo -sempre nel quadro delle premesse fondamentali della nostra direttrice storica -sarà mia cura di segnalarne a V. E. le occasioni affinché possano essere presi degli atteggiamenti tempestivi, sia pure in alcuni dettagli che a noi sembrano trascurabili e che qui non lo sono.

In applicazione di questo concetto, ho telegrafato a V. E. sulla opportunità di fare qualche gesto di collegamento con questo Governo sulla situazione bulgara odierna (l).

Non vi è dubbio che il Governo turco è inquieto per quella che si annunzia essere la tendenza individuale di alcuni membri del nuovo Governo di Sofia. Esso vigila le relazioni tra Sofia e Belgrado con una ansietà che dimostra che il Patto Balcanico non è affatto riuscito a creare quello stato di tranquillità che qui si attendeva, almeno sull'obbiettivo principale e forse unico di detto Patto: la reciproca paralizzazione dei contraenti, di fronte alla Bulgaria.

Il Patto Balcanico ha subito un primo insulto ad Atene; forse ne riceverà un altro a Belgrado. La ratifica è incerta. La situazione della Turchia, di fronte all'Italia, è difficile per volontà del Governo turco. Le impalcature del Signor Tewfik Rustu rivelano la cartapesta e il vento degli avvenimenti le scrolla. Forse sarebbe il momento buono per dare corpo alle nostre assicurazioni, facendo toccare con mano alla Turchia che l'appoggio dell'Italia non è manchevole ed è un appoggio valido e amichevole. Senza questa sensazione, chi sa quali nuove fantasie possano sgorgare dalla irrequietezza del Gazi e di Tewfik Rustu: di tali fantasie, quella di una riforma del Patto Balcanico con abbandono della Grecia e con inclusione della Bulgaria è persino oggetto di articoli di giornali, come ebbi già a segnalare a V. E. in occasione dell'arrivo del generale Kondylis ad Ankara. Si tratta di eventualità che segnerebbe la retrocessione della Turchia al grado di satellite del gruppo degli slavi del Sud; e molte sono le resistenze che qui vi oppongono per ragioni di prestigio e per ragioni mediterranee che non consentirebbero alla Turchia di rimanere isolata in fondo all'Egeo con una risorgente inimicizia greca e con la minaccia (visto che ci tengono tanto a parlarne) dell'Italia.

Appunto per profittare di queste incertezze mi parrebbe il caso di fare una tempestiva mossa onde rassicurare questo Governo in un momento ed in un punto nevralgico (l).

(l) -T. 1097/64 R. del 21 maggio, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 135, nota l, p. 156.

(l) Non pubblicato.

(l) I passi tra asterischi sono stati segnati a margine o sottolineati da Mussol!ni.

(l) T. 1957/69 R. del 25 maggio, di cui si pubblica il brano seguente: «Situazione in Bulgaria. viene seguita da questo Governo con viva attenzione non esente da preoccupazioni per eventuali sviluppi verso Jugoslavia ciò che dimostrerebbe errori patto balcanico ed opportunità per la Turchia di appoggiarsi verso Italia ».

303

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1777/677. Tirana, 26 maggio 1934 (per. il 28).

Il mio lungo colloquio col Re del 14 u.s. (2) dopo qualche tempo che non mi recavo da lui, ha dato naturalmente motivo a svariati commenti. È stato notato dai suoi intimi che il Re non si è confidato con nessuno al riguardo, mantenendo il massimo riserbo su quanto formò oggetto della lunga conversazione, ciò ha fatto aumentare la curiosità e ha fatto facilmente supporre che siano state concluse grandi cose. In ogni modo è opinione generale che furono gettate in quella occasione le basi del nuovo accordo fra Italia e Albania, voce questa che non è davvero la prima volta che si è diffusa e ha dato motivo a liete speranze nel cuore di tutti coloro che attendono con ansia il ritorno della manna italiana che venga a lenire le disgraziate sorti di questo paese.

Mi risulta che solo col vecchio Presidente del Consiglio Pandeli Evangjeli, che entrò dal Re subito dopo il mio colloquio, Zog, da lui interpellato al riguardo,

vi fece cenno, esprimendosi in tal senso *«La conversazione non ha portato a nulla di nuovo; ma la si può considerare come una prefazione alle trattative per una ripresa di collaborazione:.* (1).

Ho notato intanto una maggiore assiduità verso la R. Legazione di alcune personalità albanesi che da qualche tempo non si facevano vedere. Il Presidente della Camera, Signor Kocio Kotta, ha desiderato avere una lunga conversazione con me per dichiararmi con tutta franchezza che egli non riesce più a comprendere che cosa si proponga il Re, dove miri, che sorte riservi a questo povero paese. Mi ha confessato che ad un certo momento egli stesso e tutte le autorità di Governo avevano creduto che effettivamente il Governo italiano doveva avere imposto condizioni ben gravose all'Albania per mettere il Re in condizioni di esporre il paese a così duri sacrifici pur di non piegarsi ai voleri dell'Italia. Si riteneva che l'Italia volesse effettivamente violare l'indipendenza del paese. I politicanti, mestatori d'acque torbide; i venduti alla Jugoslavia; la « clique » musulmana che sembra invasa da nuovo fanatismo islamico e, dato l'ascendente che ha sul Re, lo tiene schiavo della politica anti-italiana in quanto anti-cattolica nella quale si è imprigionato; anche certi rappresentanti esteri pronti a lusingare i dirigenti sulla capacità dell'Albania a fare da sé, hanno tutti avuto cura di mantenere viva la campagna della «indipendenza violata». Ma ormai questo giuoco dura da troppo tempo -ha aggiunto l'On. Kotta si fanno troppe parole e nessun fatto, né dato che vengano a corroborare queste facili asserzioni. Si comincia a dubitare fortemente da molte persone benpensanti sul fondamento di esse. Si vogliono precisazioni.

Mi ha dichiarato essere deciso, appena approvato il bilancio e chiusa la sessione parlamentare, di recarsi dal Re, di domandargli con tutta franchezza dove stanno le ragioni che rendono così difficile una ripresa delle relazioni con l'Italia; di attirare la sua attenzione sulla grave responsabilità che egli assume verso il suo popolo !asciandolo abbandonato alle sue sole forze che sono assolùtamente insufficienti a permettergli di vivere a quel grado di civilità senza del quale non si ha più diritto oggi di far parte del consesso dei popoli; di fargli comprendere la necessità di sciogliere il Gabinetto e nominare uomini nuovi per dare la sensazione al Governo di Roma che si ha l'intenzione di seguire una politica nuova, ciò che del resto -mi ha detto l'On. Kotta -il Re era venuto nella decisione di fare circa venti giorni addietro e ne aveva dato notizia a lui cui intendeva affidare il nuovo Gabinetto.

Ho detto al Presidente che la situazione dei rapporti tra i due paesi era molto semplice; la loro normalizzazione e la ripresa della collaborazione potrebbero essere molto facili; che desiderio del Governo Fascista era solamente quello di vederle basate sulla più limpida chiarezza e sincerità; se questo è anche il sentimento del Governo di Tirana sarebbe stato facile a questo vedere dove si trovano le ombre, come si erano formate, e in che modo dissiparle. L'Italia Fascista sta pazientemente aspettando già da parecchio tempo che il Governo albanese voglia dimostrare che i suoi sentimenti non sono cambiati, animata com'è dalle migliori disposizioni per una ripresa di collaborazione che non intende

imporre e che può giustamente domandare sia compresa, apprezzata, gradita e si compia in un ambiente politico sano, amichevole, cordiale. Lo invitavo a cercare nel passato se tutto quanto l'Italia Fascista aveva qui fatto potesse in qualche modo far dubitare delle sue intenzioni; se fra le cause immediate dell'attuale situazione dei nostri rapporti ci fosse un atteggiamento comunque criticabile nei suoi riguardi.

È partito dichiarandosi confortato dalle mie parole. Ha aggiunto che sarebbe tornato a rivedermi. Gli ho obbiettato che avrei sempre conversato volentieri con lui ma che sarebbe stato preferibile, andando in udienza dal Re, come si proponeva di fare, che egli si facesse da lui autorizzare a seguitare queste conversazioni sulla situazione dei rapporti fra i due Paesi.

So che ha chiesto udienza e credo vada dal Re lunedì prossimo.

Con tutta probabilità egli ha inteso con questa conversazione facilitarsi il cammino che dovrebbe portarlo alla Presidenza del nuovo Governo, Presidenza che a quanto pare sentiva quasi sicura tre settimane addietro e ora teme gli sfugga.

*Anche Saraci, Ministro dei Lavori Pubblici, è venuto a vedermi. L'ho trattenuto a colazione e essendo soli abbiamo avuto agio di parlare liberamente. Mi ha espresso in definitiva le stesse preoccupazi-oni dell'On. Kotta *, e ha poi svolto sopratutto-da cattolico che è-l'accenno fatto dal Presidente sull'atteggiamento anti-cattolico assunto dai musulmani della «clique » che circondano e in qualche modo tengono prigioniero il Re, e fanno capo sopratutto a Abdurraman Mathi e Abdurraman Dibra. Mi ha detto che il Re si lascia facilmente influenzare in questo campo poiché è egli stesso educato con sentimento veramente islamico. È esclusivamente lui che ha voluto prendere le note misure contro gli Istituti cattolici, preoccupato come era, in modo esagerato, delle manifestazioni fatte dai cattolici albanesi e dai Capi mirditi a favore dell'Italia. Non è vero che il Re sia ateo --ha detto il Ministro Saraci -egli è profondamente musulmano; ha lanciato una campagna contro i cattolici appoggiandosi sui suoi amici musulmani e ora che vede le tristi conseguenze della sua politica e vorrebbe fare forse macchina indietro si trova legato da coloro stessi di cui si è servito e che sono i suoi cattivi consiglieri. Si nota in questi ultimi tempi -ha continuato il Signor Saraci -una vera ripresa di sentimento religioso dei musulmani; si sono aperte, moschee; si sono riattivate pratiche di culto;

* e conseguentemente si è accentuato il «turchismo »; c'é una certa posa fra i dirigenti e le notabilità mu~ulmani del paese (che sono stati poi quasi tutti educati a Stambul) di parlm·e turco;* si nomina la Turchia con speciale simpatia, quasi con nostalgia; si considerano traditori i cattolici dello scutarino che hanno dato tanti patrioti al paese forse perché il loro patriottismo si è forse sopratutto manifestato contro i turchi; si pensa che se quell'accanimento antiturco degli scutarini non ci fosse stato oggi forse * cattolici in Albania non ce ne sarebbero. Fino a questo punto! *

«Non avete notato -ha rilevato il Signor Saraci -che accoglienza simpatica, intima, cordiale ha quì avuto il Ministro di Turchia? *Egli é stato già in molti centri dell'interno; è stato trattato come in casa propria. Confidenzialmente vi dirò che vale la pena ne seguiate i movimenti e i contatti. Con la comunanza della religione, che é tenuta oggi tanto in auge, egli ravviva il sentimento islamico, divenuto buona merce d'esportazione per il Governo di Ankara, e fa buona propaganda per il suo paese.*

Questa confidenza del Ministro Saraci mi ha interessato poiché mi ha in parte confermato l'idea che mi sono fatto dell'attività che va spiegando il Signor Rushen Eshref, che mi sono dato premura di far vigilare e su cui mi riservo di riferire.

Passando a parlare dei rapporti politici fra i due paesi il Ministro Saraci si è mostrato alquanto pessimista perché pur riconoscendo che il Re si rende ormai conto della necessità di trovare il modo di tornare ad accordarsi con l'Italia trova ben difficile che egli si decida ad agire in tale senso; lo farà solamente quando da parte italiana lo si sarà incoraggiato con qualche concessione che rompa il ghiaccio. Il Ministro, tenendo presenti gli interessi del Suo Dicastero, che sono sempre collegati coi suoi personali interessi, mi ha detto che *un chiarimento dell'atmosfera sarebbe certo facilitato se la Legazione procedesse al pagamento dei mandati rimasti in sospeso per la sospensione del prestito e che si riferiscono a lavori compiuti; che il Governo spera moltissimo che il pagamento si effettui ed è pertanto venuto nella decisione di mandare alla Legazione anche quella parte di mandati che ha trattenuto da quando si accorse che non venivano pagati. (Mi stanno pervenendo infatti in questi giorni).*

n Ministro Saraci, parlandomi del negoziato col Clero di Scutari, di cui egli stesso aveva avuto il segreto incarico dal Re, mi ha detto che esso sembra vada esaurendosi; che il Vaticano non pare mostrarsi favorevole alle proposte fatte e trascini le trattative senza concluderle. Mi ha domandato se da Roma mi risultasse nulla al riguardo. Gli ho risposto di no, non essendomi mai occupato di tale faccenda che vedrei certo conclusa con piacere. Ha aggiunto che anch'egli è all'oscuro perché dopo il primo contatto fu lasciato da parte e non ha escluso pertanto che le conversazioni possano continuare, forse a Roma, a sua insaputa.

* Anche il Signor Mehdi Frasheri è venuto a vedermi * per dirmi che il paese si trova in difficoltà gravissime; che si spera vivamente in un favorevole atteggiamento da parte dell'ltaìia. Ho deviato il discorso portandolo sulla questione dei petroli, essendo egli, come è noto, il Presidente della Commissione che è stata formata per trattare ùelle concessioni petrolifere e avendo egli data la nota risposta all'A.I.P.A. circa le richieste avanzate da questa e la faccenda del prestito. Ho rilevato che veramente si stava tirando un po' troppo la corda poiché, se non erravo, si mettevano delle condizioni all'A.I.P.A. per accettare l'offerta di denaro che questa con tanto cortese gesto stava facendo per venire incontro alla domanda del Ministero dell'Economia Nazionale e si negavano concessioni che erano state formalmente promesse. Non era certo il miglior modo per incoraggiare l'A.I.P.A. a dar sviluppo ai suoi lavori in questo paese. Anche qui il principio di credere che i petroli albanesi siano indispensabili all'Italia, come mi aveva detto un giorno il Ministro degli Esteri mi pareva cattivo consigliere. Ci pensasse. Ha soggiunto che l'A.l.P.A. non doveva prendere alla lettera la risposta che le era stata data e che era sicuro che una volta normalizzati i rapporti di collaborazione fra i due paesi sarebbe stato facile intendersi e che egli da parte sua lavorava attivamente per convincere le Autorità responsabili della necessità di questa ripresa.

Il problema dei rapporti politici fra i due paesi, della òpportunità di contatti della necessità di una ripresa si sta nuovamente agitando. Non mi faccio parte diligente ma seguo con attenzione questa nuova fase di attività opportunamente, valorizzandola là dove l'occasione se ne presenta.

Non mancherò di tenere informata V. E. dei suoi eventuali sviluppi.

(l) -Annotazione a margine di Suvich: «Far sapere a ro}acono che bisogna lasciar passar" questo attacco Isterico. Facciamo quanto sta in noi per chiarire la situazione ma non diamo l'impressione di correr loro dietro». Non si pubblica una lettera datata Istambul del 30 maggio di De Falco a Morgagnl con notizie sulla diffusa diffidenza e ostilità contro l'Italia su cui Mussolinl ha annotato: «Esteri. Importante». (2) -Cfr. n. 237.

(l) I passi tra asterischi sono stati sottolineati o segnati a margine da Mussolini.

304

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1987/376 R. Londra, 27 maggio 1934, ore 3,04 (per. ore 8).

Seguito telegramma n. 372 (1). Sono riuscito avere oggi colloquio con Simon il quale è tornato a Londra stamane per ripartire domani mattina per Ginevra dove sarà lunedì. Viaggerà per via aerea sino a Parigi, dove è possibile egli incontri Barthou durante le ore di sosta e in treno da Parigi a Ginevra.

Ho esposto ed illustrato nuovamente a Simon pensiero di v. E.

Simon mi ha risposto confermando quanto dettomi da Vansittart.

Su alcuni punti Simon è stato ancora più esplicito: egli mi ha pregato di dire a V. E. che allo stato attuale dei fatti e cioè dopo il fallimento negoziati diretti Governo britannico non (dico non) vede come un rinvio richiesto da nostro Governo delle discussioni di Ginevra possa portare a pratici risultati.

Anche se Governo inglese venisse nella determinazione di sostenere questa tesi, Simon ha motivo di credere che una proposta di questo genere sarebbe respinta sia dalla Francia sia da Henderson.

Ho domandato a Simon che cosa prevede allora possa uscire dalla riunione di martedì prossimo.

Egli mi ha risposto che la Francia ha domandato convocazione della commissione e quindi tocca al Governo francese prendere iniziativa del dibattito ed esporre finalmente in chiari termini il proprio pensiero sulla situazione.

Il Governo britannico lo ha già fatto a più riprese senza successo, non ha più nulla da aggiungere dopo la pubblicazione del Libro Bianco.

Simon ignora che cosa dirà Barthou.

Non ritiene tuttavia che il rappresentante della Francia farà un discorso aggressivo; egli si limiterà probabilmente ad esporre ragioni intransigenza.

Secondo Simon dibattito rimarrà probabilmente senza conclusione ma comunque ritiene non possa ormai essere evitato.

Forse lo stesso Governo francese non pensa raggiungere risultati pratici eccetto quello di rendere ancora più difficili se non impossibili risultati convenzione.

Ho osservato che ciò significa in parole chiare fine Conferenza.

Simon ha ammesso che allo stato delle cose si deve considerare con senso realistico questa eventualità; può darsi anche che dopo discorso di Barthou non resti altro da fare.

Ho domandato se tendenze manifestatesi a Ginevra per un riassorbimento della conferenza negli organi della Società delle Nazioni fossero state oggetto di attenzione da parte del Governo britannico.

Simon mi ha risposto di no. Mi ha ripetuto che tutto dipenderà dalla riunione di martedì. Simon aggiunge che non è difficile escogitare delle formule per fare della

conferenza una cosa immortale, e cioè «morta».

Concludendo Simon mi ha confermato desiderio conferire appena giunto a Ginevra con rappresentante italiano nella viva speranza che qualche elemento possa ancora determinarsi durante o dopo arrivo presidenza il quale possa dare alla cooperazione inglese ancora delle possibilità per una nuova ed efficace azione.

(l) Cfr. n. 283.

305

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1992/162 R. Washington, 27 maggio 1934, ore 14 (per. ore 0,30 del 2 8). Telegramma di V. E. n. 117 (1).

Mentre prendo nota di quanto V. E. mi ha comunicato per mia norma personale faccio presente che in seguito 'alla approvazione della legge Johnson sembra da escludere che ultima frase della nota americana del 7 dicembre scorso (2) cioè che presidente «non ha alcuna esitazione personale a dichiarare che non considera Governo italiano come in default » possa venire ripetuta in occasione di un pagamento dimostrativo alla prossima scadenza.

Tanto per ragioni tecniche come per ragioni politiche presidente non può mettersi in aperta contraddizione con disposizioni di una legge in vigore. Legge stessa non obbliga presidente a dichiarare «default» ma al tempo stesso gli impedisce di proclamare inesistenza. Mi richiamo a questo proposito al mio telegramma n. 141 del 13 corrente (3).

(l) -C!r. n. 297. (2) -Cfr. serle VII, vol. XIV, n. 446. (3) -Cfr. n. 224.
306

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2011/168 R. Washington, 28 maggio 1934, ore 11 (per. ore 8 del 29).

Mio telegramma n. 163 (1). Mi è stata rimessa questo pomeriggio nota Dipartimento di Stato in data odierna che trascrivo qui appresso:

«Segretario Tesoro [ha l'onore] di comunicarvi distinta delle somme dovute dal vostro Governo al 15 giugno 1933, 15 dicembre 1933 e 15 giugno 1934 secondo le disposizioni dell'accordo 14 novembre 1925 e dell'accordo sulla moratoria del 3 giugno 1932 informandovi che pagamento può essere effettuato sia alla Tesoreria in Washington che alla Banca della Riserva Federale in New York.

1°) -Ammontare dovuto al 15 giugno 1933: capitale della obbligazione n. 8 scadente 15 giugno 1933: dollari 12 milioni 300 più interesse semi-annuale scadente 15 giugno 1933 su obbligazioni dal n. 8 al n. 62 dollari 1.245.437,50 meno pagamento parziale di interessi per un milione e 20,76. Saldo dovuto 12.545.416,74.

2°) -Ammontare dovuto 15 dicembre 1933: interesse semi-annuale scadente 15 dicembre 1933 sulle obbligazioni n. 9 a 62: dollari 1.237.750; interessi accresciuti 15 giugno al 15 dicembre 1933 sulla obbligazione n. 8 maturata 15 giugno 1933: 7787,50; prima rata semi annuale della annualità dovuta al 15 dicembre 1933 in base accordo per moratoria: dollari 896.155,88; meno pagamento parziale interessi per dollari un milione: saldo dovuto: 1.141.593,38.

3°) -Ammontare dovuto al 15 giugno 1934: capitale della obbligazione n. 9 scadente 15 giugno 1934 dollari 12.600.000; interesse semi annuale scadente 15 giugno 1934 sulle obbligazioni dal n. 9 al 62 dollari 1.237.750; interessi accresciuti 15 dicembre 1933 al 15 giugno 1934 sulla obbligazione n. 8 maturata 15 giugno 1933 dollari 7687,50; seconda rata semi annuale della annualità dovuta al 15 giugno 1934 in base accordo per moratoria del 3 giugno 1932 dollari 896.155,88. Totale: 14.741.593,39 '>.

Finisce testo nota. Totale complessivo non indicato nella nota risulta di dollari 28.428.603,50 milioni. Trasmetto nota per posta.

(l) T. 2013/163 R., pari data, non pubblicato.

307

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2006/225 R. Parigi, 28 maggio 1934, ore 20,15 (per. ore 23,15).

Nel suo discorso più volte citato il ministro degli affari esteri francese dedica all'Italia una concisa frase che dovrebbe essere accolta da noi con particolare compiacimento se potessimo crederla ispirata da una cosciente volontà di raggiungere un accordo.

Dichiaro francamente che non penso che l'« intesa cordiale leale definitiva franco-italiana» auspicata da Barthou possa avere lui per padrino. Al ministro fa difetto, a mio avviso, la volontà di raggiungere una intesa con noi. Intendo dire che egli è incapace di dare all'Italia i legittimi compensi che soli permetterebbero di realizzare l'auspicato accordo.

V. E. sa che, sia che si tratti di trattative commerciali che di negoziati politici, persino le buone disposizioni della Francia svaniscono al momento in cui si tratta di concretarle.

Secondo una inveterata abitudine i francesi d'altro non sono prodighi che di parole. Stampa francese ha lanciato due settimane fa notizia di un prossimo viaggio a Roma di Barthou.

Suppongo si tratti di un ballon d'essai, forse del Quai d'Orsay.

Se tuttavia la visita in Italia del ministro degli affari esteri francese dovrà

avvenire, mi auguro che abbia una preparazione diplomatica adeguata, di modo che Barthou di ritorno a Parigi non possa rallegrarsi di essersela cavata così a buon mercato pronunciando una trentina di discorsi ditirambici, lasciando nelle nostre mani un pugno di mosche.

308

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2056/5215/036 R. Budapest, 28 maggio 1934 (per. il 2 giugno).

Con l'odierno telegramma n. 107 (l) ho avuto l'onore di comunicare a V. E. le principali informazioni ottenute da parte ungherese e le impressioni mie sull'argomento in oggetto.

26 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Riassumo ora qui di seguito i particolari delle conversazioni GoeringGoemboes e le impressioni di Goemboes, quali riferitemi da questo presidente del Consiglio:

l. Considerazioni di carattere generale: notizie qui pervenute da Berlino indurrebbero Goemboes a ritenere che il regime nazista stia attraversando attualmente una «crisi di fiducia». Egli non può, per converso, mettere in dubbio l'assoluta fedeltà di Goering a Hitler.

Goering ha una volontà più forte di quella di Hitler ma è interamente devoto a quest'ultimo che egli considera come « un profeta e il più grande tra i tedeschi vissuti dall'epoca del I)aganesimo fino ad oggi». Non bisogna dimenticare che il Governo di Berlino è un governo rivoluzionario. Ove si tenga presente ciò nel valutare atteggiamenti e relazioni reciproche delle persone che lo compongono, ci si rende conto come Goering sia soltanto il primo collaboratore del « Fi.ihrer ».

Goering è molto modesto per quanto concerne il suo eroico passato militare, molto fiero invece delle sue astuzie politiche: ha raccontato a Goemboes con grande compiacimento e dovizia di particolari la maniera seguita nel silurare von Papen e varare in una settimana il cancellierato di Hitler.

Kanya ha torto di considerare Goering uno squilibrato (Narr); il presidente del Consiglio di Prussia è, invece, un uomo che sa il fatto suo ed è provvisto di una abilità non comune per un tedesco. Gli è che Kanya come molti professionisti è portato a sottovalutare gli << outsiders » della diplomazia...

2. -Jugoslavia: Goering ha dato a Goemboes la sua parola d'onore di ufficiale di non aver fatto a Belgrado le dichiarazioni attribuitegli; non ha mai detto in particolare «essere la Jugoslavia la grande potenza dirigente dei Balcani», né che quel paese fosse stato <<il primo a manifestare simpatia pe,r la Germania hitleriana>>. Ha dichiarato inoltre di «non essersi mai sognato» che alla Germania convenisse un avvicinamento politico alla Jugoslavia «nonostante che egli, Goering, ammiri l'esercito serbo ». Un avvicinamento economico, si: il Reich ha bisogno di sviluppare le sue relazioni commerciali coi Balcani. 3. -Austria: Goering ha ripetuto a Goemboes « non esservi per la Germania questione di annettere l'Austria; la Germania tuttavia non tollererà mai che i nazionalsocialisti in Austria siano perseguitati e picchiati (verpruegelt) ». La Germania vuole che in Austria si facciano le elezioni, perché è convinta Dollfuss sarebbe oggi posto in minoranza.

Goering ha aggiunto essere spiaciuto ad Hitler il telegramma di rallegramenti che il Duce ha inviato a Starhemberg in occasione della sua assunzione al vice-cancellierato (l).

Goering ha chiesto infine a Goemboes: << Perché poi voialtri ungheresi siete contrari all'Anschluss? L'Anschluss ci permetterebbe di collaborare militarmente così bene>>. Goemboes ha sviato il discorso.

4. Legittimismo: Goering ha confermato il suo odio contro gli Asburgo: «Se l'Austria e l'Ungheria --ha detto -procedessero ad una restaurazione, la Germania considererebbe l'una e l'altra sue nemiche, nemiche definitive~.

Quanto agli Hohenzollern, Goering ha dichiarato che in Germania non saranno restaurati mai.

5. Collaborazione militare: A somiglianza dell'atteggiamento assunto negli ultimi tempi dallo Stato Maggiore germanico nei confronti di quello della Honvéd, anche Goering si è mostrato estremamente riservato per quanto concerne gli armamenti tedeschi, che Goemboes invece sa avere appunto negli ultimi tempi ricevuto uno sviluppo poderoso.

(Secondo confidenze raccolte in questo comando di S.M. Goering, dopo aver crudamente affermato che in un'eventuale collaborazione militare l'Ungheria, più che dare aiuto al Reich, avrebbe avuto bisogno di riceverne, avrebbe manifestato l'idea che, nel caso di un conflitto con la Piccola Intesa, convenisse all'Ungheria radunare inizialmente le sue forze verso la frontiera austriaca sgombrando la parte orientale del paese. L'Ungheria sarebbe stata così in condizioni migliori per intraprendere la controffensiva, « appoggiata dalla Germania e dall'Italia~-La Germania, in particolare, «dopo aver occupato l'Austria~ avrebbe potuto dare un forte appoggio all'esercito magiaro specie per le operazioni da intraprendere contro la Cecoslovacchia.

Goemboes avrebbe obbiettato che non vedeva la situazione in modo cosi pessimista: in un'ipotesi del genere le sfavorevoli condizioni strategiche iniziali avrebbero potuto essere migliorate con una rapida azione contro la Cecoslovacchia, diretta a dare maggior respiro a Budapest.

Tono e contenuto del discorso di Goering non sarebbero qui piaciuti affatto.

6. Rapporti itala-germanici: Conformemente alle assicurazioni date, Goemboes non ha fatto cenno a Goering della questione di cui al telecorriere di V. E.

n. 583 (l). Gli ha detto soltanto essere sempre sua idea che ove il Duce e Hitler si fossero incontrati, tutte le questioni pendenti sarebbero state sistemate facilmente. Goering ha risposto: «Noi abbiamo anche chiesto di addivenire a un tale incontro. Il Cancelliere vi è pronto in ogni momento :..

Il presidente Goemboes lla concluso:

« Goering ha una ammirazione sconftnata per S. E. Mussolini. Sono convinto che anche le sue idee personali non contrastano nelle grandi linee con gli interessi ungheresi ed italiani.

Sono convinto pure che, sulla base dell'indipendenza dell'Austria, sia possibile arrivare ad una collaborazione profonda tra la Germania e l'Italia:..

(l) T. 2009/107 R. non pubbllcato, con il quale Colonna riassumeva alcune informazioni riportate più ampiamente nel presente telegramma.

(l) Cfr. n. 181.

(1) Cfr. n. 1n

309

COLLOQIDO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 28 maggio 1934.

L'Ambasciatore Chambrun mi fa rilevare che la Delegazione francese a Ginevra è composta dal Ministro degli Esteri Barthou, dal Ministro della Guerra Pétain e dal Ministro della Marina Pietri, cioè dai tre Ministri che rappresentano, più che qualunque altro, la tendenza filo-italiana del Governo francese.

Egli m'informa di voler telegrafare a Ginevra che se c'è qualche piano francese, sarebbe bene comunicarlo al Barone Aloisi prima che esso sia portato in discussione pubblica in modo che il Barone Aloisi abbia il tempo di prendere preventivamente istruzioni da Roma.

Gli rispondo che noi non possiamo che apprezzare questa attenzione. Che però il Capo del Governo è molto scettico sulla possibilità di risultati concreti a Ginevra -ciò che l'Ambasciatore dice di aver rilevato anche dal recente discorso -e che il Barone Aloisi si manterrà sulle linee del Memorandum italiano che per l'Italia rappresenta ancora l'unica soluzione ragionevole del problema. D'altra parte avverto l'Ambasciatore che non è nelle intenzioni del Capo del Governo di prendere alcuna iniziativa nell'attuale momento o di fare opera di mediazione.

L'Ambasciatore Chambrun chiede poi se ci sia nulla di vero nelle voci di un incontro fra Mussolini e Hitler che circolano sempre con maggiore insistenza.

Gli rispondo che non c'è nulla di deciso che però questo incontro fra il Capo

del Governo e Hitler deve pure avvenire un giorno perché noi lo stiamo dila

zionando da tanto tempo e da Berlino si fanno continue pressioni. Non è pen

sabile in ogni caso che dati questi precedenti il Capo del Governo possa vedere

degli uomini politici francesi se non ha visto prima Hitler. La nostra situazione

con la Germania è d'altronde così chiara che un incontro del genere non può

riservare delle sorprese.

L'Ambasciatore prega ad ogni modo di volergli far sapere la cosa con

anticipo perché altrimenti l'impressione sul Governo francese sarebbe piuttosto

penosa e pensa anche che se si dovesse decidere la cosa sarebbe bene lasciare

passare Ginevra altrimenti la interpretazione di questo convegno potrebbe

risultare del tutto falsata.

Assicuro l'Ambasciatore che gli avrei dato notizia nella eventualità che la

cosa fosse decisa.

Infine l'Ambasciatore mi intrattiene sulla questione della Bulgaria. Ci tiene

in modo assoluto a che non rimanga nessun'ombra di dubbio nel Governo ita

liano che la Francia possa essere entrata in alcun modo nel rivolgimento avve

nuto in quel paese.

Gli rispondo che noi non lo abbiamo mai pensato; c'è stato qualche avve

nimento esteriore che può aver dato l'impressione di un orientamento parti

colare nella politica bulgara (nomina del rappresentante in Francia a Ministro degli Affari Esteri, congedo di Wolkoff) ma non abbiamo pensato mai di farne un appunto al Governo francese che siamo persuasi non entra per nulla in questo movimento.

310

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2026/76 R. Sofia, 29 maggio 1934, ore 20,40 (per. ore 23).

Ho avuto oggi primo colloquio col ministro della guerra col quale ero già in rapporti.

Egli ha chiesto se R. Governo ha intenzione continuare note trattative armamenti poiché il Governo bulgaro desidera condurle a termine; specialmente poi per quanto riguarda seconda parte ministro della guerra proponesi inviare mese venturo Italia commissione per collaudo e consegna prima parte fornitura: in quella occasione egli desidererebbe che commissione fosse autorizzata visitare alcuni stabilimenti industriali.

Ne ho approfittato per provocare dal generale che ha dato tutto il suo appoggio al recente movimento, delle dichiarazioni sulla politica estera. Egli mi ha detto che la sua richieSta continuare trattative segrete sarebbe la prova degli intendimenti verso l'Italia del nuovo Governo che non ha alcun motivo nutrire verso di noi sentimenti diversi da quelli precedenti.

Né la presenza nel Gabinetto di un ministro il quale come pubblicista, ha sostenuto intesa Bulgaria Jugoslavia significa che l'intesa debba sfociare come ripudio o rinunzia alle legittime aspirazioni della Bulgaria.

A ciò non si presterebbe mai né il Re, né l'esercito che ha affidato poteri al gruppo «Sveno » perché unico sinceramente antiparlamentare e principale preoccupazione nuovo Governo deve essere per ora politica interna e non quella estera dovendo prima di tutto riorganizzare lo Stato.

311

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2021/381 R. Londra, 29 maggio 1934, ore 21 (per. ore 1 del 30).

Suo 132 (1).

Quanto riferisce R. ministro a Vienna intorno stampa inglese non è esatto. cosa che del resto risulta dalle mie quotidiane segnalazioni stampa che vorrei pregare codesto ministero di seguire.

Nessun articolo editoriale contrario a Dollfuss è apparso nei giornali inglesl di maggiore importanza durante le ultime due settimane. Non (dico non) sono invece mancate le solite informazioni critiche provenienti corrispondenti inglesi residenti a Vienna. Codesto ministero ritiene che tali notizie provengano da centri nazistl. Non ne dubito.

Ma questi centri che forniscono notizie false ai corrispondenti inglesi si trovano precisamente a Vienna, e allora sarà opportuno che codesto ministero, come mi sono permesso di raccomandare più volte, richiami attenzione R. Ministro a Vienna ma sopratutto attenzione Dollfuss su inefficienza dei propri uffici stampa.

Mia azione su opinione pubblica inglese per una maggiore comprensione della situazione austriaca ha dato già buoni risultati, ed ancora ne darà nel limite del possibile.

Ma è superfluo segnalare sempre quello che si pubblica o non si pubblica a Londra quando gli autori di tali corrispondenze se ne stanno indisturbati proprio a Vienna e cioè a portata di mano.

Aggiungo che noto scrittore laburista Ewer dopo avere visitato Germania trovasi ora, come ho già segnalato, a Vienna da dove invierà senza dubbio al Daily Herald articoli contrari al Governo Dollfuss.

(l) Cfr. n. 298.

312

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO

T. 733/40 R. Roma, 29 maggio 1934, ore 24.

Suoi telegrammi 53 e 55 (l).

V. S. vorrà nel modo migliore far pervenire a S. M. Ibn Saud i ringraziamenti del R. Governo per comunicazioni confidenziali fattele.

Ella ha molto opportunamente respinto subito insinuazioni circa contatti che noi avremmo col principe ereditario presuntivo yemenita per spingerlo ad atteggiamento intransigente e circa aiuti finanziari che gli avremmo forniti. In relazione pregola dire a codesto Governo che, dato che voci segnalate mancano di qualsiasi base, R. Governo riterrebbe per suo conto inopportuno che Governo saudiano pubblicasse un comunicato di smentita; con tale pubblicazione codesto Governo mostrerebbe infatti di avere, pur non prestandovi fede, dato qualche peso alle voci stesse; il che non potrebbe evidentemente tornarci gradito.

Circa permanenza navi da guerra a Hodeida, Governo italiano desidera assicurare Governo saudiano che loro presenza colà non costituisce comunque

atto men che amichevole verso codesto Governo; ma dipende soltanto da carattere attuale situazione ancora instabile, come lo stesso Jussuf Jassyn le ha autorevolmente confermato. È del resto desiderio R. Governo procedere al loro ritiro, non appena ciò verrà giudicato conveniente, anche in relazione ad atteggiamenti e determinazioni degli altri Stati interessati a seguire da presso situazione nell'Arabia meridionale.

(l) Cfr. n. 299 e nota 3 allo stesso.

313

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 468/418. Ginevra, 29 maggio 1934.

Dalla conversazione avuta ieri con Litvinoff,· ho tratto rafforzata la convinzione, che ebbi l'onore di comunicare a V. E. con telegramma n. 40 del 18 maggio (1), che è stata la Francia a prendere l'iniziativa di un patto di mutua assistenza con la Russia, il quale secondo Parigi avrebbe dovuto limitarsi all'Europa, mentre secondo Mosca avrebbe dovuto essere esteso a tutto il mondo. L'idea di questo patto mi sembra rivelare chiaramente l'intenzione francese di risuscitare l'alleanza franco-russa dell'ante guerra.

Condizione per l'attuazione di questo disegno è l'ingresso della Russia nella S.d.N. Litvinoff mi ha però assicurato che finora a questo proposito non vi è nulla di nuovo e che la Russia si limita ad aspettare di esservi invitata.

Queste, le linee generali. Quanto ai particolari, osservo che la circostanza che oggi Litvinoff parlerà prima di Barthou, mentre è stato proprio Barthou ad insistere perché la Conferenza si aprisse oggi, mostra che una intesa è intercorsa fra i due affinché sia la Russia a porre .innanzi alla Conferenza il problema della sicurezza e la Francia si assuma successivamente il compito di sostenere la proposta. Dallo svolgimento di questa manovra dovrebbe scaturire l'occasione dell'entrata della Russia nella Società delle Nazioni.

Nel pensiero di Litvinoff questa politica della mutua assistenza dovrebbe sboccare in patti di non aggressione dotati di sanzioni di carattere economico e politico. Tuttavia, siccome egli stesso mi ha detto di non credere che la Germania e la Polonia possano aderire ad un patto di mutua assistenza proposto dalla Francia, sembra potersi prevedere che si finirà per giungere a patti regionali, ossia alla formazione di blocchi di alleanze.

Con Litvinoff abbiamo anche sfiorato l'argomento delle relazioni italo-turche. Mi ha detto di aver saputo dall'Ambasciatore sovietico ad Ankara, Souritz, che l'irritazione contro l'Italia manifestata in varie occasioni da Tewfik è pienamente condivisa non solo da Ismet, ma anche dallo stesso Kemal.

(l) T. 1872/40 R., non pubblicato.

314

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, CIANO (l)

[Berlino, 29 maggio 1934].

L.P.

Mi riferisco alla conversazione che ho avuto con Lei recentemente, ed alle mie dichiarazioni circa le polemiche che in questi ultimi tempi si sono andate svolgendo tra il Lavoro Fascista e il Deutsche. Come già ebbi ad esporLe, io ho parlato personalmente col Signor Busch, redattore-capo del Deutsche, il quale ha tenuto a pormi in chiaro la sua profonda ammirazione per la figura e l'opera di Mussolini.

Le trasmetto a tale riguardo, qui unito, un estratto di un articolo oggi stesso pubblicato dal Signor Busch sul Deutsche, come commento al recente discorso di Mussolini alla Camera, ed intitolato «Mussolini e la crisi europea» (2).

315

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI (3)

T. 732/61 R. Roma, 30 maggio 1934, ore 1,15.

Con nota verbale del 25 corr. (4) Governo britannico ha fatto presente a

R. Governo opportunità di procedere, in prossimità della conferenza navale, a un preliminare scambio di vedute tra i rappresentanti dei Governi maggiormente interessati. A tal fine delle conversazioni bilaterali dovrebbero svolgersi a Londra. Sono stati presentati in tal senso Governi àegli Stati Uniti e del Giappone. Governo di Washington ha aderito all'idea di uno scambio di vedute su questioni tecniche e di procedura. Governo britannico ha espresso desiderio di iniziare analoghe conversazioni col R. Governo non appena questi lo riterrà opportuno.

Questo ministero, nel riservarsi di dare una risposta alla nota predetta, ha chiesto a Drummond dei chiarimenti sul modo nel quale dovrebbero procedere le conversazioni e cioè se Governo inglese intende agire per conto comune riferendo agli altri Governi interessati l'esito dei colloqui o se ogni Governo deve prendere a sua volta contatti con gli altri. Drummond ha promesso fornire precisazioni al riguardo.

(l) -Da ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzetti. (2) -L'allegato non si pubblica. (3) -Il telegramma venne trasmesso tramite la legazione a Shanghal. (4) -Non pubblicata.
316

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH (l)

T. 5493/57 P.R. Roma, 30 maggio 1934, ore 24.

Suo telegramma 72 (2).

Scopo principale viaggio Kodheli sembra sia quello ottenere pagamento suoi assegni. Si ha però ragione ritenere che coglierà occasione per insistere presso Re Zog per una soluzione compromesso questione scuole confessionali e per riesumare progetto invio Roma di una delegazione straordinaria. Egli cercherà inoltre appurare ragioni prolungata permanenza a Roma di Gemil Dino che egli sospetta possa aver avuto o brighi per ottenere da Re Zog incarico trovare via intesa con R. Governo eliminando così da trattative legazione Albania (3).

317

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2057/0103 R. Vienna, 30 maggio 1934 (per. il 2 giugno).

Cancelliere mi ha chiesto se e quali informazioni mi fossero pervenute da

V. E. sull'attuale situazione interna della Germania. Mi ha ripetuto (mio telegramma p.c. 0100 (4) che tutte le notizie giunte al Governo federale concordano nel senso che essa sarebbe divenuta assai difficile e pertanto aperta ad ogni eventualità; e mi ha accennato di nuovo a quanto gli ha riferito questo nuovo ministro d'America, che ha dimorato lungamente a Berlino.

Ad ogni buon fine riferisco che il predetto rappresentante diplomatico, venuto ieri a vedermi, mi ha detto di nuovo che l'autonomia e l'arbitrio politico dei capi regionali nazisti tedeschi la deficiente autorità del cancelliere e lo scarsissimo controllo sull'amministrazione, renderebbero tanto difficile e precaria la situazione interna della Germania, che il Gove·rno di Washington sarebbe deciso a non addivenire col Governo del signor Hitler ad alcun trattato commerciale, od a qualsiasi rilevante transazione finanziaria od industriale. Allo scopo

di dimostrarmi il disordine politico ed amminist·rativo, che prevarrebbe in Germania, mi ha poi citato alcuni casi occorsi a noti istituti e personalità americane.

Ad ogni modo la sua previsione è che ben presto si delineerà in Germania un movimento di reazione, effettuato da uomini di destra -non ancora del tutto affiorati alla ribalta politica con l'appoggio della Reichswehr e dei cattolici, nonché dello Stahlhelm, il quale starebbe tentando di riprendere la sua antica autonomia.

(l) -Annotazione a margine di Buti: «Telegramma redatto secondo notizie fornite a Faralli e Jacomoni e anche risapute da fonte fiduciaria, 30 maggio"· (2) -Con t. 5363/72 P.R. del 29 maggio, non pubblicato, Koch aveva chiesto notizie circa gli scopi del viaggio di Kodheli a Tirana. (3) -Koch comunicò con telespr. 1807/692 del l o giugno: «Il signor Kodheli è venuto ieri a vedermi. Gli ho domandato qual buon vento lo menava cla queste parti. Mi ha fatto un lungo discorso dal quale ho dedotto che egli è venuto a Tirana per intrattenere Re Zog sulla situazione dei rapporti !taio-albanesi; di aver trovato ccstà al Ministero degli Affari Esteri favorevoli disposizioni per una ripresa di collaborazione; di prepararsi a sondare pertanto l'animo del Re sulle sue vedute per una possibile riprc3a, valorizzando le favorevoli disposizioni di Roma». (4) -T. per corriere rr. 1996/0100 R. del 25 maggio, non pubblicato con il quale Preziosi riferiva, tra l'altro avergli segnalato Dollfuss le notizie riportate dal nuovo ministro degli Stati Uniti a Vienna sulla situazione interna della Germania, giudicata da quest'ultimo estremamente di!ficile e incerta,
318

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIÉ

APPUNTO. Roma, 30 maggio 1934 (1).

Il Ministro di Jugoslavia mi parla dei rapporti sempre difficili fra i nostri due Paesi determinati dal fatto che noi ancora non vogliamo persuaderei che la Jugoslavia è un paese solido anche se ha le proprie crisi e le proprie difficoltà, e che parlare di una «dislocazione» della Jugoslavia è al di fuori della realtà. Questo nostro atteggiamento è dimostrato anche dal fatto che noi continuiamo a tenere i profughi croati uniti nei campi di concentrazione, tutte cose che sono perfettamente a giorno del governo jugoslavo.

Il Signor Ducic non ha alcun incarico da parte del suo governo di parlarmi di ciò; lo fa per l'interesse che porta al migHoramento dei buoni rapporti fra i nostri paesi e perché si preoccupa che, mentre noi stiamo disputando, i tedeschi vanno a prendere le loro posizioni in Jugoslavia. Ora i tedeschi sono il grande pericolo di domani, contro i quali dovremo mettere assieme tutte le nostre forze. I tedeschi stanno rinforzandosi rapidamente e preparando la loro egemonia futura, e tutto ciò col nostro indiretto concorso perché non sappiamo superare le piccole differenze per metterei d'accordo sulle questioni fondamentali.

Il Ministro Ducic ha invece incarico di protestare per l'attività delle nostre stazioni T.S.F. e mi presenta l'unito appunto. L'appunto contiene un'ultima frase dove si parla del contegno sleale delle stazioni T.S.F. italiane.

Rispondo al Ministro che prima di tutto non posso accettare l'ultima parte del promemoria, che perciò gli restituisco.

Per quanto riguarda i fatti denunciati indagherò non essendo la cosa a mia conoscenza. È probabile si tratti di notizie di agenzie che son diramate dalle nostre T.S.F. come le notizie di altra provenienza.

Nel desiderio di migliorare i rapporti fra i nostri due Paesi ci troviamo di accordo: bisogna trovare il momento e le forme opportune e bisogna anche creare in Jugoslavia lo stato d'animo favorevole.

Per quanto riguarda i profughi croati, noi esercitiamo il semplice diritto di asilo.

Il Ministro Ducic si informa poi sullo stadio dei nostri negoziati con l'Austria e con l'Ungheria. Lo metto sommariamente al corrente (1).

(l) La data è annor.ata a rnauo. Non e certo se sta quella di archiviazione o quella di svolgimento del colloquio.

319

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIÈRE

APPUNTO. Roma, 30 maggio 1934.

Il Signor Wagnière è venuto a parlarmi nuovamente del caso del Console federale a Genova Biaggi (2). La situazione diventa sempre più delicata. Nella colonia svizzera ci sono i nuclei fascisti svizzeri che attaccano il Governo federale, le Autorità della Svizzera, i rappresentanti della Svizzera all'estero. Siccome evidentemente questi rappresentanti non possono aderire ad un tale atteggiamento, sono fatti passare per antifascisti svizzeri: poi con un allargamento del concetto, fatto in parte in malafede o in parte magari anche in buona fede, si fanno passare semplicemente per antifascisti, dal che non è difficile passare ad antitaliani.

Impostata la cosa in questi termini è facile capire che alle volte questa campagna contro i Consoli del Governo federale, come avviene a Genova, trovi l'appoggio del Fascio locale e questo certamente nella più assoluta buona fede.

Ora pare che a Genova il gruppo fascista svizzero voglia fare una circolare contro il Console Biaggi. Il Ministro prega di dare disposizioni perchè sia impedita la diffusione di questa circolare. A quanto il Ministro sa, per diffondere tale circolare occorre il consenso della questura.

Rispondo al Ministro che i Prefetti hanno già l'ordine di non facilitare questa campagna, e che rinnoverò tali istruzioni al Prefetto di Genova (3).

320

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 214. Roma, 30 maggio 1934.

You will remember our conversation o n May 25th (4) when I promised to let you know how exactly my Government envisaged the preliminary conversations between the Powers represented at the Naval Conference.

I bave now learnt that their own suggestion is that the first step should be separate conversations in London between His Majesty's Government and

(-4) Cfr. n. 291.

the four Governments concerned, each Government being generally informed of what passes. Such an arrangement does · not, of course, preclude similar bi-latera! conversations between each of the other Governments. In my Government's view, the next step could best be decided upon after the first exchange of views has taken piace, but they feel there would be no difficulty in their arranging for a coordinating agency in London, should this prove to be the generai wish of the Powers concerned (l).

(l) -Annotazione a margine: «Originale inviato al Ministro De Peppo da S. E. Suvich con l'ordine di S. E. il Capo del Governo di sospendere le trasmissioni in lingua croata (copia al ministro Buti) l>. (2) -Il precedente colloquio a proposito aveva avuto luogo il 14 maggio. (3) -Le istruzioni furono inviate con t. 5618 P.R. del 2 giugno, non pubblicato.
321

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2037/52/31 R. Ginevra, 31 maggio 1934, ore 13,12 (per. ore 14,40).

Ho avuto iersera lunga conversazione con Pietri.

Parlando Sarre assicuratomi che elementi italofili gabinetto francese riconoscono pienamente nobiltà tentativi V. E. gettare ponte tra Francia e Germania nella spinosa questione plebiscito.

Passati a scambio di idee su. questione disarmo, abbiamo convenuto che sarebbe opportuno tanto al fine riconoscimento disinteressato sforzo svolto in ogni campo V. E. per pacificazione europea, quanto al fine superamento attuale punto morto che Francia attraverso qualche suo satellite trovi modo di rimettere primo piano discussione memoriale italiano quale unico possibile punto incontro tendenze contrastanti Germania, Francia, Inghilterra.

322

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2060/251 R. Addis Abeba, 31 maggio 1934, ore 18 (per. ore 2,30 del 1° giugno).

Telegramma di V. E. n. 127 (2). Ho presentato protesta al ministro affari esteri esprimendomi nel senso dell'istruzione dell'E. V. con riserva di richiesta di risarcimento di danni. Blattenghetà Herui mi ha dato assicurazione saranno date istruzioni telegraficamente al governatore del Baie perchè incidente non si ripeta. Egli ha osservato che nonostante intesa con i miei predecessori, secondo lui era preferibile lasciare una zona neutra e non fare avanzare i posti armati

delle due parti, dove frontiera non era stata delimitata mentre Governo etiopico non aveva cambiato situazione, i posti italiani sono frequentemente spostati avanti: mi ha domandato quando avevamo occupato Barrei.

Mi ha chiesto quindi che non si fossero fatti ulteriori spostamenti. Ha poi domandato se, per ovviare a tale stato di cose, il R. Governo sarebbe disposto procedere delimitazione delle frontiere. Mi sono espresso, come già in precedenza secondo le istruzioni di V. E. di cui al telegramma n. 153 del 19 maggio 1933 (1).

Blattenghetà Herui ha aggiunto che Governo etiopico ritiene sarebbe opportuno ove R. Governo concordi che prima d'iniziare eventuali lavori di delimitazione sul posto si facesse da speciali tecnici delle due parti un lavoro preliminare sulle carte qui a Addis Abeba.

Ho risposto che avrei portato quanto precede a conoscenza del mio Governo.

Sarei grato fornirmi elementi per una risposta.

(l) -Non si pubblica la nota verbale pari data con cui !'ambasciata inglese comunicava il desiderio del Governo di Londra di conversazionl bilaterali fra i Governi delle Potenze già interessate al disarmo navale. (2) -Cfr. n. 295.
323

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TEHERAN, CICCONARDI

T. 737/45 R. Roma, 31 maggio 1934, ore 18,45.

Telegramma di V. S. n. 54 (2).

Concordo opportunità che V. S., abbia a ripetere allo Scià i chiarimenti già da lei forniti a ministro affari esteri. Non può esservi alcun dubbio che l'Italia intenda collaborare con la Persia come con gli altri paesi del continente asiatico trattando con essi su piede di uguaglianza nell'interesse reciproco e mirando a raggiungere reciproca comprensione.

Come ella sa, è stato pure provveduto a far pubblicare articolo (Tribuna del 27 corrente) secondo è stato da lei suggerHo.

324

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2038/386 R. Londra, 31 maggio 1934, ore 20 (per. ore 22,30).

Con riferimento telegramma di V. E. n. 51 del 27 febbraio scorso (3) e mio telegramma n. 381 (4) segnalo all'E. V. lettera di smentita a notizie allarmistiche sull'Austria apparse nel Times odierno. Lettera a firma vice maresciallo dell'aria Borton è riassunta mio fonostampa n. 384.

( 4) Cfr. n. 311.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 267. (3) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 752.
325

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, E IL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO

APPUNTO. Roma, 31 maggio 1934.

Si esamina sulla base del rapporto del Colonnello di S. M. Visconti Prasca, che ha compiuto un'ispezione in Eritrea, la situazione della nostra preparazione e degli apprestamenti difensivi ai confini dell'Eritrea verso l'Abissinia.

Il Capo del Governo riassumendo la discussione dà le seguenti direttive:

I. Completamento nel più breve tempo possibile degli apprestamenti difensivi;

II. Ad apprestamenti difensivi ultimati, si porrà il problema di provocare indirettamente un'azione da parte dell'Abissinia;

III. Quanto a politica generale nei confronti dell'Abissinia, seguire una politica che tenda ad ev~tare tutto ciò che potrebbe turbare la nostra preparazione militare e quindi una politica che dia applicazione nella misura del possibile al nostro trattato di amicizia. Tenere un contegno di osservazione e dl contatto con la periferia salvo il caso in cui si determinassero seri tentativi di disintegrazione del centralismo che sta alla base della politica dell'attuale Imperatore;

IV. Silenzio assoluto per quanto riguarda la politica di preparazione militare coi Governi di Francia e di Gran Bretagna.

326

COLLOQUIO DEL CAPO GABINETTO, ALOISI, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI POLACCO, BECK

APPUNTO. Ginevra, 31 maggio 1934.

A complemento del colloquio da lui avuto con l'Ambasciatore Bastianini in tema di disarmo (1), il Ministro Beck mi ha detto di aver ripensato sulla eventualità del trapasso del disarmo dalla Conferenza al Consiglio e di non avervi potuto trovare aìcuna seria obiezione, discordando quindi dalla nostra tesi espostagli da S. E. Bastianini. Gli ho risposto che oramai questo punto della questione sembravami non fosse più di attualità.

Ha poi voluto precisarmi il carattere dell'attuale politica della Polonia. Ha detto che esso è realistico e ben definito: mira ad accordi di buon vicinato che

permettano di risolvere questioni concrete. Tale politica non ha la pretesa delle grandi linee, ma la sua stessa modestia la allontana dalla pericolosa formazione dei grandi blocchi. In ciò risiede la sua concordanza con la politica italiana.

(l) Cfr. n. 300.

327

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Ginevra, 31 maggio 1934.

Ieri sera sono stato a pranzo con Barthou e Pietri e di quanto ha fatto oggetto della conversazione Barthou mi ha detto di desiderare che V. E. fosse messo al corrente.

Barthou ha spiegato il tono polemico del suo discorso di ieri sul Disarmo con il risentimento da lui provato venendo a conoscenza che l'Inghilterra, l'America, i neutri e, fino ad un certo punto anche Hymans, avevano complottato di denunciare la Francia, per la posizione da essa assunta con la nota del 17 (l), quale responsabile dell'insuccesso della Conferenza, mentre era stata l'Inghilterra la sola vera causa dell'uscita della Germania dalla Conferenza, e conseguentemente la responsabile della ripresa del riarmamento tedesco.

Barthou tiene a che V. E. conosca esattamente la presa di posizione dei vari elementi politici francesi nei riguardi del Memoriale italiano. Lo Stato Maggiore è favorevole, solo che si riuscisse a stabilire un limite al riarmamento tedesco che l'opinione pubblica francese potesse giustificare ragionevole. Il Consiglio dei Ministri è favorevole, ad eccezione del solo Tardieu, che è contrario, e di Doumergue, che è incerto. In questa situazione Barthou ritiene che la Francia unanime accetterebbe il progetto Mussolini, se si riuscisse a trovare una formula giuridica che permettesse al Governo francese di giustificare e di legalizzare, di fronte al paese, il riarmamento rapido e clandestino della Germania. « Enfin-egli ha detto --le coup de canif donné au Traité de Versailles ». Barthou mi ha accennato di aver pensato a Madariaga come al giurista che potrebbe essere incaricato di trovare questa formula che riesca a fare inghiottire alla Francia il riarmamento tedesco. Io ho ripetuto a Barthou quanto Aloisi aveva suggerito a Pietri in un colloquio tenuto prima del pranzo, e cioè che ci si poteva avvalere del pretesto fornito dalla necessità della trasformazione della Reichswehr, della modificazione dei servizi tecnici ecc.

Passati a parlare della probabile visita di Hitler in Italia, Barthou ha dato quasi per sicura anche la sua visita, in compagnia di Pietri, per la prima quindicina di luglio, ossia dopo la chiusura della Camera francese, che avverrà verso il 20 corrente. Ha tenuto a soggiungere che è bene che V. E. sappia che questa visita è stata decisa in massima dal Governo francese già prima che Chambrun comunicasse a Parigi la notizia della probabile vista di Hitler. Per evitare gli

attacchi di entrambe le estreme al Governo allorchè si sapesse in Francia che Barthou va a Roma dopo di Hitler, sembra che Pietri, partendo ieri sera per Parigi, abbia avuto istruzioni di mettere Doumergue al corrente della cosa perché immediatamente trovi il modo di fare circolare nella stampa francese qualche indiscrezione sul possibile viaggio, al fine che la stampa internazionale possa già riportarne la notizia prima ancora che venga lanciata quella del viaggio di Hitler.

Dopo la partenza di Pietri, Barthou mi ha ancora lungamente intrattenuto sul suo ultimo viaggio nell'Europa centrale e sulla questione austriaca. Con termini espliciti e decisi mi ha incaricato di ripetere che solo la politica di V. E. nell'Europa centrale può salvare dall'Anschluss. Ha ammesso che purtroppo i tentativi di riavvicinamento polacco-cecoslovacco non hanno sortito il successo sperato, ma d'altro canto è stato lieto di constatare che Benes è ottimamente disposto verso la politica italiana nell'Europa Centrale, chiaramente e francamente appoggiata dalla Flrancia. Mi ha raccomandato di coltivare Benes nel mio prossimo viaggio a Praga. Mi ha detto anche che Noel, Ministro di Francia a Praga, ha da lui ricevuto istruzioni precise per appoggiare il Ministro Rocco in tutto quanto può essere utile alla difesa di Dollfuss e della sua politica.

Mi ha chiesto poi se potrebbe esserci una via per facilitare il riavvicinamento a Roma di Titulescu che vivamente lo desidera. Ho risposto vagamente, lasciando cadere l'argomento.

Circa il problema dei rapporti itala-jugoslavi, Barthou mi ha detto di aver parlato lungamente con Jeftic sulla situazione creatasi in Jugoslavia e nella Piccola Intesa dopo l'inizio della politica tedesca degli approcci verso quei Paesi. Barthou è del parere che i tedeschi, malgrado il vanto che ne menano sui giornali, non siano riusciti ad ottenere gran che a Belgrado. Ho potuto comprendere che Barthou è perfettamente al corrente di tutti gli elementi della questione. Una per una, gli sono precisamente note tutte le ragioni della irritazione jugoslava contro di noi. Ma ha finito col dirmi che oggi di veramente grave non rimane che l'irritazione del re. Jeftic e gli altri del Governo sono d'accordo con lui nel ritenere che tutta questa roba se non proprio sorpassata, è però sorpassabile. Barthou mi ha detto di desiderare che V. E. sappia che Je,ftic è pronto a intendersi con l'Italia. Dati gli ostacoli e i risentimenti del recente passarto, Barthou mi ha detto di ritenere però consigliabile che in eventuali contatti non si entri d'un tratto nel vivo della questione politica. Consigliabile, secondo lui, una progressione per gradi, cominciando preferibilmente da accordi di natura economica (1).

Non so se vado oltre il segno. Mi affida l'indulgenza che V. E. mi ha fin qui dimostrata, per collocare nel quadro della nostra politica l'intesa con la Jugoslavia. Ho espresso a varie riprese all'E. V. la preoccupazione che mi ispira l'azione che !l Reich svolge in Jugoslavia. Ho presenti le linee della nostra politica verso l'Ungheria. Ma l'interesse che rappresenta per noi sotto il duplice aspetto politico e commerciale, l'intesa con l'attiguo vicino dell'Est è tale che !l raggiungimento di un accordo non dovrebbe, a mio subordinato avviso, esse;·e a lungo differito».

(l) Del 17 aprilo; dr. DDF", vol. VI, pp. 2'10-272.

(l) Sui rapporti dell'Italia con Cecoslovacchia e Jugoslavia cfr. il seguente brano del t. per corriere 1577/080 R. di Pignatti del 28 apri!e: «In questo momento il ministro cecoslovacco ricerca, mi sembra chiaro, l'intesa con noi. L'E. V. mi consenta di dire che stimo sia nostro interesse di non lasciare sfuggire una propizia occasione. È questo !l momento delle realizzazioni? Non saprei dare una risposta precisa ad una domanda posta in questi termini, anche perché mi fanno difetto troppi elementi di giudizio. D'altra parte la difficoltà sta proprio nel non lasciare sfuggire il momento propizio.

328

COLLOQUIO FRA L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, E IL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO, PACELLI

APPUNTO. Roma, 1° giugno 1934, ore 12.

Il Cardinale mi fa leggere e mi lascia copiare un dattiloscritto evidentemente dettato dal Papa a rapporto a Lui che risponde al passo da me fatto per il Capo del Governo che sta per incontrarsi con Hitler (1).

Ecco il testo così come l'ho scritto in Vaticano:

«Il Santo Padre è sensibile all'attenzione del Capo del Governo e continuerà a dire mattina e sera un «Angelus Dei ~ al suo Angelo Custode. I punti che egli tra gli altri potrebbe toccare con Hitler sarebbero: (parole testuali del Santo Padre)

1°) -Si osservi il Concordato.

2°) -Se crede poterlo dire -che non disturbi e non indisponga i Vescovi quali possono fargli tanto bene e anche, pure non volendo, tanto male perchè cattolici saranno con loro.

3°) -Riconosca il diritto della Chiesa di educare cristianamente la gioventù, con tutti quei mezzi che sono nel rispetivo Paese necessari a tale scopo.

4°) -Cerchi di liberarsi di certi satrapi che gli fanno fare tristi figure (Rosenberg, Goebbels, Baldur von Schirach, Roehm ecc.)~ (2).

329

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. P. RR. 739/138 R. Roma, 1° giugno 1934, ore 19.

Secondo accordi presi attraverso questo ambasciatore Germania noto incontro avrebbe luogo 14 corr. a Venezia.

Intanto ripresa terrorismo nazista in Austria, manifestamente diretta e alimentata oltre confine, e di cui vengono segnalati ogni giorno nuovi episodi, non accenna a diminuire. Ciò non giova certo a preparare atmosfera più propizia all'incontro.

Prego V. E. farlo opportunamente rilevare costà (3).

Quanto al merito dell'appunto il Capo ha voluto assicurarmi che dirà tutto ad Hitler ed ha fatto, di suo, il commento più conforme alle considerazioni del Santo Padre anche sui nomi dei «satrapi » dei quali Sua Santità fa consigliare Hitler di liberarsi>>.

27 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

(l) -Cfr. n. 270. · (2) -Cfr. i seguenti brani di un appunto di De Vecchi su un'udienza accordatagli da Mussolini il .4 giugno alle ore 17,45: «Il Capo ha trattenuto il foglio dattiloscritto nel quale avevo riprodotto l'appunto del Papa da me copiato nelle mani del Cardinale Venerdì l giugno...

(3) Per la risposta cfr. n. 335.

330

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2050/173 R. Berlino, 1° giugno 1934, ore 19,03 (per. ore 22,30).

Barone von Neurath al quale ho chiesto sue impressioni sopra discorso di Ginevra (l) mi ha risposto che esso era ostico fazioso provava quanto opportunamente Reich avesse abbandonato conferenza del disarmo e S.d.N. perché esso poteva così assistere con una certa indifferenza al discorso pieno di cattiveria di Barthou.

Egli pensava che Inghilterra doveva essere assai seccata del linguaggio del ministro degli affari esteri francese.

Poiché discorso di Simon era stato favorevole alla tesi sostenuta dal Reich e dall'Italia esso è stato assai apprezzato dall'opinione pubblica del Reich. Gli sembrava più che probabile che la conferenza del disarmo camminasse

verso il proprio fallimento.

Si domandava però che cosa sarebbe accaduto in seguito e non scorgeva, per il momento almeno, via di uscita alla situazione creata dall'atteggiamento francese.

Se nell'avvenire fosse stata avanzata qualche proposta atta a raccogliere adesione generale e tale da consentire conclusione di una convenzione per il riarmamento limitato, Governo germanico l'avrebbe esaminata con le migliori intenzioni.

Von Neurath mi ha chiesto se barone Aloisi avrebbe fatto conoscere a Ginevra il pensiero di V. E. Ho risposto che tale pensiero era stato esposto recentemente da V. E. in modo così limpido (2) che probabilmente nulla avrebbe potuto essere aggiunto.

Ministro degli affari esteri disse che tale era pure il suo pensiero e che da parte sua aveva rifiutato di fare dichiarazioni in risposta al discorso di Barthou ritenendo che i documenti diplomatici pubblicati dal Governo britannico contenessero esposizione completa dal punto di vista germanico.

331

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2047/53 R. Ginevra, 1° giugno 1934, ore 20,22 (per. ore 2 del 2).

Mio telegramma n. 50 (3). Conversazioni fra delegazioni italiana, francese, tedesca sono continuate tutta la giornata di ieri e di oggi.

Solo stase<ra grazie anche all'appoggio personale del signor Barthou per vincere le resistenze degli esperti francesi, e quelle del barone Lersner nei riguardi del Governo germanico, è stato possibile raggiungere un accordo completo su tutte le questioni ancora in sospeso.

D'accordo coi colleghi del comitato Consiglio ho quindi diretto stasera stessa rispettivamente ai ministri degli affari esteri francese e germanico una lettera identica per domandare loro di precisare le misure d'ordine pratico e le procedure speciali che essi si impegnano di accettare per garantire il compimento delle obbligazioni derivanti dal trattato nei riguardi degli abitanti della Sarre.

Invio per corriere testo della lettera (l). I due ministri degli affari esteri risponderanno con una nota identica il cui testo è stato preventivamente concordato.

Per il mantenimento dell'ordine si è previsto il reclutamento di elementi locali ed eventualmente di elementi esteri per rafforzare la gendarmeria, soluzione che ha raccolto l'adesione della Commissione di Governo e dei francesi e dei tedeschi.

Appianata così ogni divergenza fra tedeschi e francesi è stato convenuto che il Consiglio prendendo atto delle dichiarazioni dei due Governi fisserà la data del Plebiscito a domenica 13 gennaio 1935.

(l) -Non si pubblica il t. 2035/51 R. del 31 maggio con cui Aloisi rlferi circa i discorsi di Simon e Barthou alla commissione generale della conferenza per il disarmo. (2) -Cfr. n. 255, nota l, p. 274. (3) -T. 2025/50 R. del 30 maggio, non pubblicato: riferiva circa l'andamento delle conversazioni con le delegazioni francese e tedesca.
332

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2100/0122 R. Berlino, 1° giugno 1934 (per. il 6).

Marchese Paulucci de' Calboli che trovasi a Berlino per prendere accordi con dirigenti della cinematografia del Reich è stato stamane ricevuto dal cancelliere Hitler in presenza del ministro della propaganda Goebbels e del direttore della cinematografia del Reich.

Quest'ultimo pose in rilievo le buone relazioni esistenti fra gli organi dirigenti della cinematografia italiana e tedesca, insistendo specialmente sull'appoggio accordato ai tedeschi dai delegati italiani al recente congresso cinematografico di Baden Baden. Avendo parlato degli ostacoli frapposti in tale occasione dai francesi Hitler ne prese lo spunto per entrare a parlare di politica. Nei riguardi della Francia egli ripetè per filo e per segno anche al marchese Paulucci le sue idee ben note circa la mancanza di qualsiasi aspirazione territoriale della Germania dal lato occidentale, il carattere infido delle popolazioni dell'Alsazia

e Lorena, l'lnutilità di una conquista da quel lato di territori non abitatj da tedeschi e soprapopolati. Accennando alle minacce che vengono spesso rivolte al Reich da parte francese, Hitler disse che mentre egli è pacifico e si rende esatto conto delle difficoltà che la Germania incontrerebbe per giungere a Parigi deve dichiarare che la Francia sbaglia se si illude di poter facilmente giungere a Berlino. Qualora volesse provare a farlo incontrerebbe una resistenza non indifferente che le costerebbe assai caro.

Le eventuali aspirazioni della Germania dovevano rivolgersi all'est dove vi sono territori vastissimi scarsamente popolati ed adatti ad accogliere coloni tedeschi.

Cancelliere passò poi a parlare dell'URSS ed a questo proposito disse una cosa nuova, vale a dire che i rapporti germanico-sovietici non potevano migliorare a causa della impossibilità per lui di accogliere la richiesta dei Soviet di garantire loro il possesso dell'Ucraina. Come poteva egli garantire il possesso di un territorio che apparteneva all'URSS e sul quale la Germania non aveva alcuna aspirazione Un questa affermazione del cancelliere vi è una contraddizione evidente con quanto egli aveva detto poco prima al marchese Paulucci).

Continuando a parlare dell'URSS cancelliere disse che non vi era nessuna ragione che le relazioni non fossero buone. Non si poteva però pretendere né che egli cessasse la campagna intrapresa per liberare la Germania dal pericolo comunista né che egli si mostrasse simpatizzante verso i Soviet. Ciò lo avrebbe infatti posto in contrasto con sè stesso. (Anche qui vi è una contraddizione).

Hitler disse inoltre di essere sempre convinto che la pace dell'Europa sarebbe stata garantita da un accordo fra Germania Italia ed Inghilterra. Il marchese Paulucci de' Calboli rispose che, a suo avviso, un accordo fra Germania ed Italia non avrebbe dovuto essere difficile da concludere dato che vi è identità di vedute sopra molti problemi politici di grande importanza, mentre le divergenze riguardano questioni dl scarso valore che opportunamente avrebbero potute essere relegate in un secondo piano. Quanto alla adesione dell'Inghilterra vi scorgeva qualche difficoltà dato che il Foreign Office era tradizionalista ed ancor più che l'opinione pubblica britannica, teneva a conservare la amicizia della Francia. Sarebbe pertanto stato necesario che in Inghilterra si modificassero radicalmente i sentimenti verso la Germania i quali, a causa della politica nazionalsocialista in materia di razza e di religione, erano tutt'altro che favorevoli.

Di fronte a questo accenno Hitler cambiò subito discorso.

Il marchese Paulucci de' Calboli vide anche il segretario di Stato alla Propaganda Funk il quale, dopo aver parlato di questioni tecniche, abbordò il soggetto dell'Austria dicendo che riusciva proprio incomprensibile la diffidenza dell'Italia dato che la Germania non ha la menoma intenzione di annettersi l'Austria ed intende semplicemente ottenere che i nazionalsocialisti partecipino al Governo di quello Stato tedesco. Il marchese Paulucci de' Calboll rispose che in Italia era ampiamente diffusa l'opinione che fosse opportuno lasciare che l'Austria regolasse le proprie cose interne per conto proprio, senza ingerenza di altri Stati, nonché il convincimento che la soluzione prospettata dal segretario di Stato Funk non fosse altro che un «Anschluss » larvato.

(l) Non si pubblica.

333

APPUNTO (l)

Roma, 1° giugno 1934.

Telefona l'Ambasciatore Cerruti che Goering è stato da lui con una traduzione dell'articolo comparso sul Popolo d'Italia del 13 maggio intitolato Storia per decreto.

Goering ha anche aggiunto che gli è stato detto che tale articolo fosse della penna stessa del Duce. Goering ha osservato che, se il testo come lo aveva avuto è esatto e se realmente è stato scritto dal Duce, allo stesso doveva essere data grande importanza soprattutto per l'ultima constatazione che lascia molto inquieto il Ministro dei Culti Rust. Goering osserva anche che il detto Ministro è un ammiratore del Duce e ha parlato anche recentemente delle sue benemerenze secolari.

334

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

PROMEMORIA S. 13. Ginevra, 1° giugno 1934.

II 28 maggio la stampa quotata internazionale pubblicava dei telegrammi delle Agenzie Havas e Reuter, nei quali era detto che il Governo inglese aveva ufficialmente interrogato Washington e Tokio per sapere se aderivano ad iniziare conversazioni preliminari relative agli argomenti fondamentali da discutersi alla Conferenza navale prevista per il 1935.

L'ammiraglio Bellairs, esperto dell'Ammiragliato britannico, ha affermato che, quanto hanno riferito le Agenzie suddette, corrisponde a verità. II giorno successivo, sempre nei giornali politici ben quotati veniva riportata la risposta del Governo di Tokio che può riassumersi in questi termini:

l) II Giappone accetta le conversazioni preliminari;

2) Mette come condizione che si discuta di argomenti tecnici e non politici relativi al Pacifico;

3) I Delegati giapponesi incaricati di partecipare alle conversazioni sono autorizzati a raccogliere «suggestioni» da trasmettersi al Governo centrale.

La risposta di adesione degli Stati Uniti è stata comunicata ufficialmente dal Dipartimento di Stato.

Come è noto a V. E., il Ministro Pietri il 29 maggio u.s. mi ha detto che avrebbe desiderato uno scambio di idee, fra marinai, in relazione alla recente mossa inglese relativa alla Conferenza navale del 1935.

Dallo stesso Signor Pietri ho saputo che l'Ambasciatore francese è stato incaricato dal Foreign Office di fare a Parigi la stessa domanda rivolta a Washington e a Tokio.

L'On. Pietri aveva pensato di iniziare trattative, fra Parigi e Roma, appena ebbe sentore della mossa britannica, che in un primo tempo pareva dover essere limitata alle tre Potenze che hanno la necessità che la Francia cerchi di venire ad un accordo con l'Italia in modo che la questione navale francoitaliana sia avviata ad una soluzione prima della riunione della Conferenza preliminare. Barthou ha annunziato essere suo desiderio e intenzione recarsi al più presto a Roma a conferire con V. E. ed è stato largo di assicurazioni circa gli sforzi che egli ha detto di proporsi per venire ad un accordo con V. E.

Norman Davis che ho visto oggi pomeriggio mi ha riferito una conversazione che ha avuto con Barthou e nella quale Barthou si è espresso con lui nello stesso senso.

Norman Davis mi ha anche informato che nessun progresso è stato fatto nelle sue conversazioni con Ammiragliato per quel che riguarda dislocamento e armamenti navi da battaglia.

Ammiragliato ha proposto fissare il dislocamento a 25 mila tonnellate e armamento a quattro torrette binate con cannoni da 12 pollici, sostenendo che tale nave ha autonomia sufficiente per i bisogni che gli Stati Uniti reputano avere.

Norman Davis ha fatto chiaramente intendere che gli Stati Uniti non possono accettare tale tipo di nave che essi considerano anti-economica e che essi intendono restare al tipo delle 4 torrette trine, solo potendo accettare una lieve diminunzione del calibro dei cannoni, e qualche riduzione dislocamento, che non dovrebbe tuttavia scendere sotto le 30.000 tonnellate.

Norman Davis mi ha aggiunto che gli americani non sarebbero comunque disposti a fare questa concessione che solo qualora essi trovassero di loro soddisfazione altre parti trattato, e cioè soltanto qualora essi venissero compensati in qualche altro campo.

Norman Davis parte giovedì per Washington e tornerà qui in settembre. Quanto alla Missione Navale giapponese confermo che essa giungerà a Londra solo in ottobre (l).

COMMENTO -L'ammiraglio Be!lairs, che naturalmente era al corrente dei nostri progetti, non ha in apparenza dato peso alla cosa ... La conferenza generale potrebbe [secondo Bellalrs]riunirsi a Ginevra, dove si potrebbe utilizzare l'organizzazione permanente del Segretariato (Interpreti, stenografi, ecc. ecc.) con limitazione delle spese.

COMMENTO -L'idea di utilizzare l'organizzazione ginevrina è stata espressa anche dal Comandante francese Deleuze. Abbiamo fatto presente che ritenevamo che per ragioni di praticità ed economia conveniva scegliere una città europea.

(l) -L'appunto è privo di firma. (2) -Vitetti sarà delegato aggiunto alla conferenza navale di Londra del 1935-1936.

(l) Si pubblicano qui alcuni brani di una relazione di Ranieri Biscia per Cavagnarl del 4 giugno su una conversazione avuta, Insieme all'ammiraglio Ruspoli, con l'ammiraglio Inglese Bellalrs: «Circa la proporzione fissata a Washington per l'Italia e la Francia In fatto di grand! navi, si è fatto osservare all'ammiraglio Bellairs la difficoltà di scaglionare nel tempo, corrispondente al limite di età, la costruzione di cinque navi soltanto. L'ammiraglio Bellalrs ha riconosciuta giusta l'osservazione, tanto più che il trattato di Versallles concede alla Germania sei navi in servizio e due in riserva... I rapporti poliitci esistenti fra gli Stati Uniti e il Giappone portano l'ammraglio Be!lalrs a ritenere che gli Stati Uniti si manterranno fermi nel domandare un dislocamento delle navi da Battaglia elevate. L'ammiraglio Bellairs ha detto che non si fa illusioni circa l'accettazione delle 25.000 tonnellate come limite massimo unitario che l'Inghilterra ha proposto nelle recenti discussioni.

335

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2066/178 R. Berlino, 2 giugno 1934, ore 19,24 (per. ore 21,15).

Telegramma di V. E. n. 138 riservatissimo (1).

Mi sono subito espresso con il barone von Neurath senso indicatomi.

Egli mi ha detto di avere sin da ieri attirato l'attenzione del cancelliere sulla situazione presente in Austria e sugli inconvenienti che essa può ingenerare. Dopo la mia comunicazione avrebbe riparlato della cosa a Hitler, convenendo pienamente nella necessità che atti terroristici cessino.

Osservò al riguardo che secondo informazioni sue regnerebbe la maggiore confusione e indiscipHna nel campo nazional socialista in Austria, dato che organizzazione della S. A. e organizzazioni pol'itiche perseguono ciascuna politica diversa.

A ciò devonsi probabilmente ascrivere attentati terroristici.

336

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 749/125 R. Roma, 2 giugno 1934, ore 20,10.

Telegrammi di V. E. n. 162 e 168 (2).

Lettera analoga a quella del dicembre scorso rappresenterebbe evidentemente massimo che all'attuale scadenza potremmo aspirare di ottenere col pagamento di un milione di dollari. Assenza completa di pagamento oppure invece pagamento dimostrativo come quello di un milione di dollari rappresenta tuttavia una diversità di atteggiamento che oltretutto potrebbe fare giuoco anche a codesto presidente nella trattazione della complessa questione sia di fronte ai debitori europei che di fronte al congress-o americano. Autor,izzola pertanto entrare in rapporto a titolo personale con Dipartimento Stato per accertare se e quale migliore dichiarazione potremmo attenderci nel caso in cui pagassimo un milione di dollari.

D'accordo con s. E. il ministro delle Finanze.

Partecipazione franco-italiana.

L'ammiDaglio Bellairs ha detto che pur avendo il governo inglese Invitato l'Italia e la Francia, non disponeva di nessuna formula da proporsi per risolvere la questione franco-Italiana In fatto di armamenti navali. L'Ammiraglio Bellairs ha ascoltato con Interesse l'Idea dell'eguaglianza di quote di tonnellaggio da costruirsi annualmente come massimo, riferendo tale quota al tonnellaggio globale della marina oggi più forte, fra le due.

COMMENTO -L'ammiraglio Bella!rs ha dimostrato più interesse per l'idea suesposta anziché per l'altra d! stablllre un tonnellaggio unico uguale per tutti, naturalmente elevato».

(l) -Cfr. n. 329. (2) -Cfr. nn. 305 e 306.
337

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2072/74 R. Ankara, 2 giugno 1934, ore 21,39 (per. ore 2 del 3).

Ho scambiato con questo Governo in data del 31 maggio note di cui telespresso di V. E. 21641/45 del 21 maggio ultimo scorso (l) per chiarire che patto neutralità italo-turco è prorogato di otto anni mercè il giuoco combinato del rinnovo automatico quinquennale e del protocollo di proroga triennale del 1932. Questo Governo accogliendo mia richiesta intende darne notizia alla stampa per avere una occasione di aggiungere un commento favorevole sulle relazioni italo-turche e chiede che anche Governo italiano dia alla stampa stessa notizia e promuova analoghi commenti favorevoli alla Turchia.

Questo Governo attende perciò di conoscere in qual giorno sarà dato in Italia tale comunicato per procedere simultaneamente alla sua pubblicazione.

Prego vivamente V. E. accogliere proposta che inizia la serie delle dimostrazioni a cui questo Governo annette importanza grande per rinascita fiduciosi rapporti e prego altresì cortese risposta urgente potendo anche la maggiore o minore sollecitudine costituire un indizio che questo Governo non mancherà di valutare in bene o in male nella sua acuita sensibilità.

Prego infine segnalarmi commenti più significativi della stampa italiana affinché io li mo,stri qui (2).

338

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2070/55-56 R. Ginevra, 2 giugno 1934, ore 23,15 (per. ore 4 del 3).

Conferenza disarmo ha chiuso prima fase dei discorsi politici e le prese di posizione. Ne è risultato dissidio franco-inglese e .conseguente divisione tutti i membri in due gruppi.

Italia, sottolineato con silenzio decisione fare parte a sé.

Atteggiamento britannico rivelato intenzione evitare, per ragioni politiche interne, responsabilità naufragio conferenza e, per ragioni imperiali, qualunque assunzione impegno. Adattandosi a tale atteggiamento, neutri hanno presentato piano empirico e senza linea decisa sulla falsariga del memorandum britannico.

Francia da parte sua è riuscita nell'intento riporre in primo piano conferenza questione sicurezza.

Schieramento alleati vassalli francesi rivelatosi disciplinato, dando chiara dimostrazione di abile lavorio compiuto da lunga mano che è riuscita a saldare, senza soluzione continuità, anelli di una lunga catena.

Intervento russo, rivelato dall'abile fiancheggiamento di Litvinoff, ha permesso decisa adesione Turchia, e conseguentemente ha portato quella Grecia e Romania, ossia intera intesa balcanica, rendendo facile successiva adesione anche tutt;1 Piccola Intesa. Conferenza ha quindi nettamente rivelato perdurare pericolosa tendenza costituzione blocchi contrapposti, denunziata da V. E. nel discorso al Senato 7 giugno 1933 e perseguita tenacemente dalla Francia in opposizione spirito patto a quattro. Delegazione italiana, attendendosi strettamente direttive V. E., mentre appuntava con silenzio sua presa posizione nella conferenza disarmo, adoperavasi in altro campo risolvere spinosa questione plebiscito Sarre allo scopo eHminare elemento perturbazione europea, interponendo mediazione italiana nell'attuale fase duello franco-germanico e menomando così, almeno parzialmente, formazione blocco alleanze.

Commissione generale disarmo rinviata mercoledì mentre lunedì e martedì si riunirà Bureau in seduta privata. Sedute Bureau saranno dedicate studi proposte di cui al mio telegramma

n. 54 (l) scopo preparazione ordine del giorno per commissione generale. Le tesi opposte si affronteranno quindi di nuovo non più prevalentemente sul terreno politico ma su quello della procedura.

Sir John Simon è partito iersera per Londra pretesto di partecipare lunedì banchetto onore Re Giorgio. Delegazione britannica afferma non sapere se e quando tornerà. Non risulta quindi ancora quale sarà precisamente attitudine britannica al Bureau che dipenderà da istruzioni da Londra. Dobbiamo però prevedere eventualità che discussione sbocchi nella proposta di costituzione di comitati i quali si dovranno occupare sia di tesi di sicurezza che di tesi più o meno formali concernenti il disarmo.

Faccio presente che le questioni, sul terreno procedurale,. sono decise a maggioranza e che certamente, nel caso si delinei la ·Costituzione di comitati, un membro italiano sarà designato a prendervi pàrte. Potremo quindi lunedì essere costretti a dover precisare il nostro atteggiamento di fronte a questo tentativo di continuazione della conferenza.

Salvo si designi una attitudine intransigentemente negativa dell'Inghilterra, nel qual caso informerò, io ritengo che migUore soluzione sia di riprendere

Questo comitato ispirandosi principi di Locarno e del patto balcanico studierebbe immediatamente problema sicurezza specie nello scacchiere europeo ed in base ad accordi generali e regionali...

Elaborazione sistema sicurezza viene presentata come necessaria premessa per successivi eventuali accordi sul disarmo. Mozione turca è stata messa avanti In seguito accordi dell'ultima ora con Litvino!f, la Piccola Intesa, Intesa balcanica e Francia».

linea di condotta già assunta da noi nel Bureau in analoga circostanza, dichiarando come la delegazione italiana non veda alcuna utilità in. questi lavori che prescindono dal fatto capitale che, oltre assenza Germania, manca ogni accordo sui problemi politici e tecnici di fondo, e che in conseguenza i nostri rappresentanti vi parteciperanno più che altro come osservatori ed interverranno solo per elevare riserve su ogni punto che tocchi interessi italiani.

Astensione completa presenterebbe inconveniente di impedirci seguire lavori ed intrighi politici che vi si innestano. Inoltre può darsi che il Bureau stesso venga incaricato di qualche compito a norma delle proposte del gruppo neutro, sicchè il non assistervi porterebbe il nostro ritiro dal Bureau, il che significherebbe ad un dipresso abbandono conferenza, non essendo concepibile che Italia, come grande Potenza, cessi far parte del Bureau di presidenza. Resto in attesa istruzioni di V. E. (l).

(l) -Non pubbl!cato. (2) -Per la risposta cfr. n. 353.

(l) Con t. 2051/54 R., pari data Aloisi aveva comunicato: «l) Gruppi neutri Scandinavia con Svizzera e Paesi Bassi hanno presentato tramite ministro degli affari esteri svedese Sandler dichiarazione in cui si fanno proposte pratiche per continuazione immediata conferenza con lavori da assegnarsi ad un Comitato speciale ed al Bureau... 2) Ministro degli affari esteri turco ha presentato mozione di cui parte saliente è la proposta che il Bureau nomini comitato speciale composto Stati o rappresentanti di gruppi di Stati direttamente interessati sicurezza.

339

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 2 giugno 1934.

L'Ambasciatore Chambrun premette che espone piuttosto considerazioni personali che istruzioni avute dal proprio Governo.

Egli ha riflettuto molto alle possibilità che si offrono ai nostri due paesi per una azione nell'Europa Orientale. Egli ritiene che gli interessi italiani e francesi di fronte alla Turchia e alla Russia siano concomitanti. Quindi non vede perchè le due politiche non dovrebbero procedere parallelamente. Egli pensa in relazione a questo anche al progetto Litvinoff per un patto di non aggressione.

Rispondo all'Ambasciatore che la cosa è interessante e che ci riserviamo di esaminarla. Ciò dovrebbe però costituire una deviazione da quelli che sono gli scopi del problema della limitazione degli armamenti che richiede una convenzione generale fra tutti gli Stati principalmente interessati.

340

COLLOQUIO FRA IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI BELGA, HYMANS

APPUNTO. Ginevra, 2 giugno 1934.

Hymans, che ho visto oggi, ha voluto conoscere la mia impressione sull'avvenire della Conferenza.

Esaminando i punti essenziali del problema del disarmo, gli ho dimostrato le manchevolezze tanto della proposta turca, appoggiata dalla unione balcanica e dalla Piccola Intesa, quanto di quella dei neutri. Nè l'una nè l'altra risolvono il dissidio fondamentale che non è realmente affrontato e r-isoluto che dal memorandum italiano.

Anche lui ha avuto l'impressione che Barthou ha fatto il suo discorso tenendo d'occhio, come possibile punto di incontro, il memorandum italiano. Quanto a lui, Hymans mi ha detto di ritenere esser questa la soluzione ideale.

(l) Dall"esame della corrispondenza telegrafica non risulta che furono inviate dal ministero Istruzioni in proposito.

341

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T POSTA R. 5388/681. Budapest, 2 giugno 1934 (per. il 6).

Ad ogni buon fine mi onoro riferire a V. E. quanto segue:

l. Lraiutante del Principe Starhemberg, Principe F. G. Windischgraetz, giunto qui ieri al seguito del Vicecancelliere, ha detto stasera al primo segretario della R. Legazione, nel corso di una conversazione di carattere personale, essere impressione delle Heimwehren che il nazismo stia attualmente meditando un colpo di testa in Austria, come diversivo alle crescenti difficoltà interne del Reich; ed essere questa la ragione per cui l'Heimatschutz è stato mobilitato. Tale azione nazi non dovrebbe svolgersi alla frontiera, con bande armate o altrimenti, bensì nell'interno del Paese. Al lancio dimostrativo di petardi di carta era succeduto intanto quello di vere bombe ad alto potenziale; la tensione in genere sembrava in procinto di acuirsi; Hitler aveva assunto personalmente la direzione del movimento.

Quello che più preoccuperebbe l'Heimatschutz sarebbe la collaborazione manifestantesi ora tra rossi e bruni, ed in particolare tra i dirigenti del nazismo austriaco e la centrale socialista di Presburgo. Mentre gli elementi migliori uscivano dalle file nazi, queste si arricchivano di ex-marxisti; gli constava inoltre che i nazionalsocialisti avevano acquistato in questi giorni dai socialdemocratici notevoli partite di armi (tra cui 12.000 fucili) che questi ultimi tenevano ancora nascoste a Vienna ed erano sfuggite alle perquisizioni ripetutamente effettuate dalle autorità.

2. Mi risulta d'altra parte in via confidenziale che lo S. M. della «Honvéd » è stato informato, da fonte che esso considera buona, essere giunta in questi giorni da Mosca ai comunisti austriaci la segnalazione che « tra non molto dovrebbe scoppiare in Austria un conflitto armato tra nazionalsocialisti e Heimwehren », e l'ordine di «approfittare di tale situazione».

342

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 435. Ginevra, 2 giugno 1934.

Questo Delegato di Ungheria al disarmo mi ha fatto avere l'unito resoconto di una sua conversazione con Ruschdi bey.

Lo stesso delegato informa anche che finora il delegato bulgaro ha avuto istruzioni da Sofia di uniformare la sua condotta a quella delle delegazioni austriaca e turca.

ALLEGATO

TRÈS CONFIDENTIELIZ

Tewtik Rouscnay Bey a dit que la France est décidée d'employer toute son influence afin que la Conférence s'occupe de la question de la sécurité et parvienne à une convention de sécurité et d'assistance mutuelle. L'Angleterre et l'Italie étaient contre ce pian, l'Angleterre s'y oppose toujours, mais l'Italie a changé ces derniers jours son attitude contraire et semble etre gagnée à ce projet.

Le Ministre des Affaires Etrangères de Turquie trouve que Sir J. Simon a attaqué d'une manière injuste la France, M. Barthou a donc diì riposter et se défendre contre cette attaque.

Sur la demande à quel point sont arrivée !es relations entre la France et le Sovjet, le Ministre a dit, qu'autant qu'il est informé une alliance formelle n'est pas encore conclue à l'heure qu'il est, mais cela peut se faire chaque jour.

Concernant l'Italie il a dit, que l'attitude de l'Italie en face du Pacte balcanique était très changeante. Une fois l'Italie était nettement contre ce pacte, une autre fois elle a déclaré que ce projet lui est indifférent, ensuite elle l'a de nouveau combattu. A la fi:n personne ne savait à Ankara ce qu'elle veut réellement. Maintenant les relations turco-italiennes sont franchement pas bonnes, mais ces derniers temps il semble cependant se montrer une amélioration. Le discours de M. Mussolini dans lequel il disait en automne que le ròle de l'Italie est dominatrice dans l'Adriatique a fait un très mauvais effet en Yougoslavie. Les relations entre l'Italie et la Yougoslavie sont d'après son opinion des plus mauvaises.

L'Albanie est en train de s'éloigner de l'Ltalie. « Nous avons l'Albanie de notre

còté le jour que nous le voulons », dit M. T. Rouchdy.

343

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI GRECO, MAXIMOS

APPUNTO. Ginevra, 3 giugno 1934.

Dopo avere affermato la volontà della Grecia di attenersi alla politica di collaborazione con noi, ha portato il discorso sulle attuali relazioni italo-turche. Gli ho spiegato per sommi capi quanto è accaduto negli ultimi tempi. Allora egli ha detto di aver a lungo parlato della questione con Tewfik e di ritenere che si tratti di malintesi che è possibile chiarire.

344

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2082/180 R. Washington, 4 giugno 1934, ore 14,40 (per. ore 7,30 del 5). Telegramma di V. E. n. 125 (1). Mio collega inglese mi ha dato visione della nota rimessa oggi questo

Dipartimento di Stato e con la quale Governo britannico comunica finalmente che intende sospendere qualsiasi pagamento in attesa che si presenti possibilità discutere problema dei debiti di guerra per giungere ad una revisione degli accordi in vigore.

Di fronte all'attitudine molto netta assunta dal Governo inglese e dalla quale non mi pare che nostra attitudine possa differenziarsi e>redo opportuno soprassedere dal fare presso il Dipartimento di Stato sondaggi prescrittimi che in questo momento potrebbero ingenerare false interpretazioni ed equivoci.

Aggiungo che dato il precedente britannico questo Governo non si attende più ormai alcuna offerta di pagamento parziale da parte di altri debitori.

Mi permetto quindi sottoporre opportunità di indirizzare al Dipartimento di Stato comunicazione analoga all'ultima parte della nota inglese (2) il cui testo suppongo essere già in possesso di V. E.

Attendo comunque nuove istruzioni.

345

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2099/0106 R. Vienna, 4 giugno 1934 (per. il 6).

Starhemberg mi ha lungamente parlato giovedì scorso del maggiore Fey. Mi ha ripetuto, all'incirca, quanto mi aveva già detto il cancelliere (mio telegramma p.c. n. 0104 del 29 u.s.) (3), insistendo tuttavia in modo particolare sui rapporti che sarebbero intercorsi, od intercorrerebbero tuttora, fra emissari nazisti ed il Fey, ai fini di una loro particolare intesa -all'insaputa cioè del cancelliere e del Governo -e sulla conseguente possibilità di « un secondo caso Alberti ». A riprova, ha rilevato che gli emissari nazisti, con cui egli, come già mi aveva detto, era venuto di recente in contatto (mio telegramma p.c. 092 del 17 u.s.) (4) non gli avevano nascosto che «la base principale» per un

accordo austro-tedesco era stata già da essi gettata in precedenti negoziatl intercorsi appunto col Fey.

Circa le trattative da lui personalmente svolte, Starhemberg mi ha poi detto: lo -che esse erano state iniziate per mero caso, i suoi interlocutori altri non essendo che alcuni medici da lui conosciuti in un ospedale di Vienna, dove trovasi da lungo tempo degente sua madre; 2° -che le richieste naziste erano state sovratutto rivolte all'ottenimento di un colloquio fra di lui ed il nuovo capo dei fuorusciti austriaci in Germania; 3° -che egli aveva rifiutato nel modo più categorico di mettersi su questa via, dichiarando che la condizione assoluta per ogni approccio austro-tedesco resta e resterà sempre quella della veste ufficiale che dovranno avere gli eventuali interlocutori; 4° -che egli infine aveva tenuto a mettere al corrente di ogni cosa, fin dal suo inizio, il cancelliere, che aveva approvato il suo operato.

Starhemberg ha infine lodato la dirittura del cancelliere, facendo vivi elogi della grande sincerità con cui questi aveva rappresentato al Fey, sabato scorso, i pericoli del suo ambiguo atteggiamento, nonchè l'urgente necessità di un completo ravvedimento, indispensabile per la sua permanenza al Governo. A tale proposito Starhemberg ha osservato che, a suo avviso, la soluzione più opportuna, nelle attuali circostanze, sarebbe non tanto quella di provocare nel Fey il ravvedimento auspicato dal cancelliere, ma quanto le immediate dimissioni del ministro della sicurezza. A conforto della sua tesi mi ha ripetuto gli argomenti già riferiti a V. E. col mio telegramma per corriere n. 081 del 30 aprile (1).

Intanto, da confidenziali accenni fattimi stamane dal segretario generale, ho tratto l'impressione che il suaccennato discorso tenuto dal cancelliere al Fey abbia in qualche modo attenuato la viva tensione prodottasi negli ultimi giorni fra i tre noti leaders austriaci. E di ciò fanno pure prova i discorsi pronunziati dal Fey avanti ieri e ieri: discorsi nei quali egli riconosce la necessità di una piena concordia fra i difensori dell'indipendenza dell'Austria (mio teleposta

n. 1165 in data odierna) (2) ed inneggia a Starhemberg quale capo delle Heimwehren (mio odierno teleposta n. 1164) (2).

(l) -Cfr. n. 336. (2) -Cfr. DB, vol. VI, pp. 931-935. (3) -T. per corriere rr. 2058/0104 R .• non pubblicato: riferiva un colloquio con Dollfuss circa il diverso atteggiamento di Fey e Starhemberg; il primo portato a riconoscere la necessità di un fronte unico di tutte le forze patriottiche, il secondo tendente a porsi come il rappresentante e il protettore degli ex ufficiali incorporati nelle Heimwehrem viennesi. (4) -Cfr. n. 246.
346

IL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, DOLLFUSS, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L.P. Vienna, 4 giugno 1934.

Ihr sehr geschatztes Schreiben vom 18. v. M. (3) habe ich durch Exzellenz Preziosi erhalten und beehre mich Ihnen sowie S. E. Herrn Mussolini ftir die gute Botschaft herzlich zu danken. Mit dem grtissten Interesse sehe ich den weiteren Mitteilungen entgegen, die Sie mir freundlich in Aussicht gestellt

haben. In Kenntnis des grossziigigen Charakters S. E. des Duce bin ich dessen gewiss, dass die mir aus den mehrfach dargelegten Griinden so sehr am Herzen liegende Frage die denkbar giinstigste und zweckentsprechendste Losung finden wird.

(l) -Cfr. n. 171, nota l. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 256.
347

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2506/319 R. Addis Abeòa, 5 giugno 1934, ore 12 (per. ore 21,30).

Mi è stato riferito che codesto incaricato d'affari di Etiopia avrebbe inviato un rapporto all'Imperatore per metterlo in guardia su pretesi preparativi di un'azione offensiva italiana a corta scadenza, suggerendo di domandare al R. Governo spiegazioni sulle sue intenzioni circa le relazioni col Governo etiopico.

Tale informazione mi è stata data da varie fonti.

348

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2087/59 R. Gedda, 5 giugno 1934, ore 19,30 (per. ore 22).

Ho avuto stamane una lunga conversazione con Fuad Hamza.

Egli mi ha detto che Ibn Saud vedrebbe con grande favore un riavvicina

mento tra Saudia e Italia nella quale vuole trovare un punto d'appoggio.

L'Italia d'altra parte, può esser sicura di incontrare nel Re Wahabita un

amico più fedele e leale dell'Imam Yahia.

Ibn Saud per realizzare tale obbiettivo ha in animo di inviare in missione

Fuad Hamza a Roma verso la metà del prossimo luglio. Scopo della visita è

di esprimere a V. E. gratitudine di Ibn Saud per atteggiamento tenuto dal

l'Italia nel presente conflitto.

Durante la permanenza di questo sottosegretario di Stato per gli affari

esteri a Roma potranno esser discusse con profitto questioni di indole economica

che interessano i due paesi.

Ho risposto a Fuad Hamza che ero sicuro che egli avrebbe trovato a Roma

una atmosfera cordiale e amichevole e che avrei subito comunicato a V. E. il

desiderio di Ibn Saud.

Sottosegretario di Stato per gli affari esteri dopo avermi dichiarato che

Governo saudiano ritiene risolto il conflitto con soddisfazione, mi ha intratte

nuto sull'atteggiamento di Alì el Uasir governatore di Taizz. Questi, non contento

della pace tra i due Sovrani, intende di continuare lotta contro Ibn Saud

indipendentemente dall'Imam cercando di appoggiarsi sia sul Governo di Aden, sia sui fuorusciti hegiazeni fratelli Dabbag, i quali hanno promesso di inviargli con l'aiuto di Asmara 10.000 fucili e 10.000 casse di munizioni. A queste ultime notizie Governo saudiano non ha attribuito soverchia importanza; ma Fuad Hamza mi ha fatto però rilevare che era stata sequestrata recentemente la corrispondenza telegrafica scambiata tra gli stessi fuorusciti ed elementi di Asmara, di cui mi invierà dettagli.

349

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 5 giugno 1934.

L'Ambasciatore von Hassell è venuto per sentire le nostre disposizioni relativamente all'incontro. Per quanto riguarda il comunicato, egli sa da Berlino che si desidererebbe non fare un comunicato al pubblico prima del 14. Lo informo che ne avevo riferito al Capo del Governo il quale non ha difficoltà ad accettare questa proposta.

Gli faccio presente che però oramai più o meno la cosa è risaputa: se ne parla abbastanza apertamente specialmente da parte tedesca. Si potrà rispondere negativamente alle numerose richieste ancora per qualche giorno, ma poi bisognerà decidersi a dare qualche notizia, anche se non in forma ufficiale.

Per quanto riguarda poi il comunicato sulle conclusioni del convegno, l'Ambasciatore von Hassell ritiene che non lo si possa concordare anticipatamente. D'altra parte a Venezia sarà presente anche il Ministro degli Esteri tedesco e quindi il testo si potrà redigere facilmente sul posto.

350

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 5 giugno 1934.

Sir Eric Drummond è venuto a portarmi il riassunto (l) della nota inglese presentata agli Stati Uniti sulla questione dei debiti. Lo ringrazio per la comunicazione e lo informo che noi non abbiamo preso ancora una decisione. Terremo informato il Governo inglese in proposito. Gli chiedo se la Gran Bretagna ha trattato col Governo degli Stati Uniti prima di inviare la nota.

Mi risponde non constargli ciò in modo positivo, ma non lo poteva mettere in dubbio, tanto più che l'Ambasciatore di Gran Bretagna a Washington è stato due volte in questi ultimi tempi dal Presidente Roosevelt.

Gli chiedo se l'impressione che gli Stati Uniti non avrebbero potuto rilasciare una dichiarazione di «non defau1t » si riferisca alla legge Johnson.

Mi risponde affermativamente.

Gli chiedo se non ritenga che siano due cose diverse; il «default» secondo considerazioni generali e il caso contemplato dalla legge Johnson. Mentre non c'è dubbio che i paesi che hanno fatto o facciano dei pagamenti parziali incorrano nelle sanzioni della legge Johnson, si potrebbe pensare forse che questi stessi paesi possano ottenere una dichiarazione di «non default», per le stesse ragioni per cui l'hanno avuta sotto circostanze analoghe in casi precedenti.

Sir Eric Drummond non ritiene ciò possibile. Oggi il Presidente è legato da una legge approvata dal congresso che stabilisce delle sanzioni per i governi che non paghino integralmente: ciò non può non influenzare la posizione dei debitori anche da un punto di vista generale.

Chiedo all'ambasciatore quali rea~ioni si debbano aspettarsi dal rifiuto di ogni pagamento. Mi risponde che ci sarà certamente nel primo tempo un grande malumore ma che poi si calmeranno. Si viene poi a parlare incidentalmente del Giappone.

Sir Eric Drummond ha l'impressione che il Giappone abbia adottato una politica in tono minore. Sir Eric quando era ancora Segretario Generale della Società delle Nazioni a Ginevra aveva avuto una interessante conversazione con Matsuoka. Questi gli aveva detto che la politica del Giappone era quella di fare un'alleanza fra Giappone, Manciukuo e Cina. Poiché dei tre il Giappone è il più forte, sarebbe stato questo a comandare. Matsuoka gli aveva detto che la realizzazione di questa politica si sarebbe svolta in due anni (che ormai sono passati) e affermava che il Giappone ha molta fretta di ottenere questo risultato, perché passato un certo periodo la forza della resistenza della Cina sarebbe aumentata e probabilmente il piano giapponese non avrebbe più potuto essere attuato.

Ora Sir Eric Drummond ha l'impressione che i giapponesi abbiano fatto un grande sforzo ma non siano arrivati ad ottenere il loro intento. La prova che essi hanno forzato la situazione oltre le loro possibilità è stata data dalla dichiarazione di qualche tempo fa che si è scontrata contro una forte reazione da parte degli altri Stati interessati nel Pacifico e che ha costretto i giapponesi a battere in ritirata.

Gli osservo che questa può essere una fluttuazione del momento ma che non pare che i giapponesi abbiano rinunciato a nessun punto del loro piano che è certamente quello di dominare la Cina per poi estendere la loro influenza su tutti i paesi asiatici.

L'ambasciatore non dubita che questo sia il programma giapponese ma egli vede ad onta di tutto un principio di organizzazione da parte della Cina che domani potrà significare quella resistenza che i giapponesi stessl nanno preso in considerazione.

Gli doma-ndo se non veda il pericolo che i cinesi stessi vedano domani il vantaggio di allearsi col Giappone contro le potenze occidentali. Ci sono molti

28 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

giovani cinesi che studiano nel Giappone e che ritornano al paese con idee filonipponi.

Sir Eric osserva che è difficile farsi un'idea a tale riguardo perché è difficile giudicare la mentalità dei due popoli. Si è verificato per esempio questo fatto paradossale che durante il momento di tensione più acuta del conflitto cino-giapponese c'erano molti giovani cinesi che continuavano tranquillamente i loro corsi alle Accademie militari del Giappone.

Chiedo all'Ambasciatore se egli ritiene che di fronte alla minaccia giapponese l'America possa indursi ad una guerra.

L'Ambasciatore non lo crede. L'America non vuole fare la guerra. Essa manca di unità nazionale (unità che si sarebbe potuta realizzare se l'America avesse fatto realmente un grande sacrificio nella guerra mondiale). Gli americani ingoieranno tutto. Ci varrebbe una grandissima offesa al loro amor proprio nazionale per indurii ad insorgere. L'Ambasciatore spera sopratutto che un conflitto non avvenga perché l'Inghilterra non potrebbe in nessun caso rimanere neutrale: sarebbe una ben grave scelta quella che dovrebbe fare la Gran Bretagna in tal caso.

Chiedo a Sir Eric se egli ritiene possibile che l'Inghilterra si metta col Giappone contro l'America. Mi risponde che non gli pare. Ritiene invece che l'Olanda potrebbe rimanere neutrale. Gli domando come giudichi la preparazione militare giapponese.

Mi risponde: buona in tutto fuori che nell'aviazione. I giapponesi non hanno le qualità per fare gli aviatori: anche a prescindere dalla miopia che è molto generalizzata. I giapponesi temono molto l'aviazione americana e anche quella sovietica.

L'Ambasciatore mi dice poi che quando egli era a Ginevra ha fatto uno studio sulle possibilità economiche del Giappone. La conclusione di tale studio è stata che se gli Stati Uniti e l'India chiudessero i loro mercaU al Giappone, l'economia giapponese salterebbe in brevissimo tempo.

Gli chiedo se non si è mai pensato a questa forma di guerra tra Giappone e Gran Bretagna.

Mi risponde che i rischi sarebbero troppo gravi perché i giapponesi reagirebbero: la Gran Bretagna non può rischiare Hongkong. Ad ogni modo una guerra col Giappone sarebbe di breve durata perché se il Giappone non vince subito non ha la possibilità di resistere a lungo.

(l) Non rinvenuto. Cfr. DB, vol. VI, pp. 931-935.

351

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 504/451 Ginevra, 5 giugno 1934.

Ho l'onore di qui accluso trasmettere il sunto di un colloquio avuto dal Marchese Theodoli col Ministro Benes.

ALLEGATO

COLLOQUIO THEODOLI-BENEs

APPUNTO. Ginevra, 5 giugno 1934.

Il Ministro Cecoslovacco parla sempre lui e basta indirizzarlo verso un soggetto qualsiasi perché egli si lasci andare ad esporre con parole precise il suo pensiero.

Per primo ho messo dunque in campo H soggetto dell'Austria. Benes ha detto che Dollfuss è coraggioso, intelligente ed è il più capace degli uomini in Austria. Egli è moralmente ciò che mostra di essere fisicamente.

Dollfuss non ha mai avuto un programma. Vive «au jour le jour ». Ora capisce che la sua dittatura è basata sul vuoto e così non può durare. Come non ha saputo sfruttare la forza della Chiesa Cattolica, così non ha saputo organizzare le «Heimwehren ». La colpa però non è tutta sua. In Austria non vi sono uomini, non vi sono generali ed ancora meno vi sono uomini di Governo. Starhemberg, Fey ecc. sono dei sottufficiali, Fey, meglio di Starhemberg. Ma Fey se si batte bene, e paga di persona, è però incapace di governare. Sinora Dollfuss nulla ha previsto, nulla ha costruito. La Nuova Costituzione non è applicata perché non applicabile. La sua dittatura è puramente personale, e non può prolungarsi così come funziona ora.

I nuovi sistemi e le nuove istituzioni non possono funzionare perché mancano gli uomini capaci di farli funzionare.

In Austria poi, più che in Germania, gli uomini di governo fanno ognuno il proprio giuoco. In Germania ogni dirigente rappresenta una gran corrente ed è perciò più difficile a rovesciare, mentre in Austria Fey e Starhemberg non rappresentalllo che se stess.i.. Benes ha simpatia per Dollfuss e pel suo regime, ma crede che malgrado le sue buone intenzioni gli eventi sono più forti di lui.

L'Austria per il carattere della sua popolazione non può sopportare un regime brutale ed autoritario perché c'è una tradizione liberale sin dal tempo di Metternich.

Be.nes dice che se nella vecchia Austria non vi fosse stata libertà, né lui né i suoi avrebbero potuto complottare. La disciplina di ferro può essere pei prussiani e, tutto al più, pei tedeschi, ma non per i « gemiitlich » austriaci.

* Dollfuss è solo, e perciò rivolgendosi a Hitler, come fa da qualche tempo, non tradisce Mussolini con l'intenzione di tradire. Per vivere ieri aveva bisogno dell'Italia; per tirare avanti oggi non può fare a meno della Germania. Quando i prossimi ed inevitabili eventi saranno maturati, nulla ci sarà di cambiato in modo appariscente; ci accorgeremo soltanto che il dittatore Dollfuss è a Vienna null'altro che il luogotenente del Dittatore Hitler che comanderà da Berlino * (1).

Quando però la crisi austriaca si farà acuta, anche l'hitlerismo sarà in crisi. Dal 1919 la Germania ha provato tutti i regimi. Questo del Nazismo è al vertice della parabola; poi si tornerà ad un governo semi-militare.

La crisi irn Germania, secondo Benes e Knox, è formidabile. La banca d'emissione non ha più che il 3 % di copertura. Tutta la vita economica e finanziaria è artificiale. Quanto alla durata della crisi, essa dipenderà dalla capacità di resistenza del popolo tedesco.

Quello che è necessario alla Germania, come a tutta l'Europa centrale, è quel che Mussolini ha detto esser necessario all'Italia: trenta .anni di pace. Questa era del resto anche l'idea di Bismarck ed anche oggi i tedeschi ragionevoli pensano e dicono che l'hitlerismo a causa delle sue forme paranoiche rischia di compromettere il corso di questa pace necessaria.

Il regime del terrore e le persecuzioni all'interno, unite alle minacce all'estero contro tutti e con tutti i mezzi, tengono eccitati gli spiriti ed accumulano odio e vendetta.

Benes 11itiene che .allorquando si produrranno le difficoltà, e forse anche il collasso, dell'hitlerismo, Italia, Francia e Cecoslovacchia potranno e dovranno dare all'Austria un assetto definitivo. Assetto che era possibile già negli anni intorno al 1924-1930, e che poi le rivalità italo-francesi non permisero di realizzare dopo l'avvento di Hitler. Perciò fin da ora si impone una leale e franca intesa su di un programma preciso.

Benes sarà Presidente del Consiglio della S..d.N. a Settembre. Egli spera ·che per quell'epoca le relazioni tra l'Italia e la Jugoslavia saranno migliorate.

Benes ritiene che Mussolini fu male informato e mal consigliato sulla situazione interna serbo-croata. Furono commessi, secondo lui, molti errori dalle due parti dell'Adriatico. Ora, secondo lui, sarebbe augurabile che mutassero certi sistemi, e inevitabilmente certi uomini.

Quanto alla p,iccola Intesa, Benes ha affermato che essa, d'accordo con la Francia, auspica un riavvicinamento aJntalila. Qualche cosa ha fatto Benes; Jeftic è pronto a seguirne l'esempio.

Passando a parlare del problema che tanto brucia i cecoslovacchi, Benes mi ha detto di non credere alla possibilità che la presente generazione possa risolvere le questioni territoriali. È impossibile pretendere che gli ungheresi rinuncino alle loro rivendicazioni, così come è impossibile pretendere delle concessioni dalla Rumania, dalla Jugoslavia e Cecoslovacchia.

Non possono bastare dei rimaneggiamenti territoriali per risolvere questioni di razza, di religione e di lingua.

Benes dice che la sua generazione, che è quella del Conte Bethlen, deve far prima posto alla prossima, e magari ancora alla successiva, perché si possa affrontare e risolvere tali complessi e gravissimi problemi.

Egli non pretende che gli ungheresi dimentichino, ma non è possibile che coloro che fecero la guerra e la rivoluzione, rovesciando trono, privilegi e costituzioni, possano avere uno stato d'animo tale da mettere a posto in modo giusto, duraturo e bilaterale, il problema delle rivendicazioni. La conciliazione tra l'Italia ed il Papato è stata realizzata da uomini nati, o per lo meno vissuti, dopo il 1870.

Benes non si è dich1arato contrario alla Monarchia come forma <li Governo in Austria o in Ungheria, ma non vuole gli Asburgo perché faciliterebbero il successo del Nazismo in Austria a causa della sicura reazione della Piccola Intesa contro tale focolare di revisionismo territoriale, accompagnato da tutto un patrimonio ideale di tradizioni e di clientele.

Ho capito che <li tutte queste quest:oni Benes spera poter parlare con Mussolini prima dell'Assemblea di Settembre e dopo il probabile viaggio di Barthou a Roma, il quale pare vorrebbe farlo appena la questione del Disarmo avrà un qualche principio di soluzione. Soluzione che, secondo Benes, non può essere, per la Francia, Italia e Piccola Intesa, che quella del piano Mussolini, giacché non bisogna dimenticare che Francia e Belgio non possono più contare sull'aiuto di un esercito imperiale britannico, ma tutt'al più su qualche divisione inglese.

Benes, alludendo al cambiamento di politica in Polonia, ha detto che Beck, dimenticando tutto quello che la Polonia deve alla Francia, ha messo e metterà il suo paese in pericolo.

Di se stesso invece Benes ha tenuto a dirmi che, pur non essendo stato sempre perfettamente d'accordo con Mussolini, non ha però mai sorpassato certi limiti ed ha sempre conservato la porta aperta per eventuali intese future. Mai la Cecoslovacchia dimenticherà quello che l'Italia ha fatto per lei.

Hitler ha fatto ,anche a Benes proposte analoghe a quelle fatte a Beck. Da esse Benes avrebbe v·isto 11inforzat.a per qualche tempo la sua situazione. Egli però, mi ha dichiarato con energia che mai la Cecoslovacchia si legherebbe con la Germania senza accordarsi preventivamente con gli Alleati ed amici perché la Francia, l'Italia e la Piccola Intesa sono troppo interessate solidalmente al problema dell'Europa Centrale.

(l) Il brano tra asterischi è stato sottolineato da Mussollni.

352

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 5 giugno 1934.

Barthou mi ha pregato di portare a conoscenza di V. E. che egli per ben due volte ha detto alla Camera che sarebbe stato disposto ad accettare il Memorandum italiano, sotto certe condizioni. Conseguentemente se noi trovassimo il modo di limitare le pretese tedesche in effettivi e in materiali e di racchiudere queste concessioni francesi in una formula accettabile dall'opinione pubblica del suo paese, egli potrebbe intendersi con noi sulla base del Memorandum italiano.

Mi ha pregato anche di far conoscere a V. E. che egli verrà certamente in Italia. Non sa, né egli crede che ciò abbia importanza, se prima o dopo di Hitler. Però, in pieno accordo con l'opinione di V. E., egli crede che questa visita debba aver luogo solo dopo che sia stata risolta in un modo o in altro la sorte della Conferenza del Disarmo e siano incamminate verso una soluzione le questioni pendenti tra Francia e Italia. In queste condizioni egli non dubita che l'incontro possa essere conclusivo.

A proposito delle questioni pendenti egli ha ripetuto quanto già riferito a V. E., e cioè che la questione tunisina potrà essere risolta in favore dell'Italia; la questione libica, per quanto più difficile, sarà trattata anch'essa con successo e che l'accordo navale potrà formarsi sulla base di una identità di atteggiamento delle due Potenze alla Conferenza Navale del 1935.

Circa la sorte attuale del disarmo, ha detto di esser convinto che nulla vi sia più da fare. Per ragioni di tattica egli è costretto a mantenere il punto di vista francese, ma la sua opinione è che in questa materia non vi sia null'altro di meglio da fare che di tenere in un modo qualunque in vita la Conferenza fino a che la questione centrale del dissidio franco-germanico possa essere risoluta grazie -egli spera -all'interessamento di V. E.

Dai vari colloqui avuti con Delegati di numerose Nazioni e dal valore e dalla intensità delle esigenze di ciascuno, quali esse mi sono apparse da colloqui e da prese di posizione, prevedo che le difficoltà alla Conferenza Navale del 1935 saranno anche maggiori che alla Conferenza del Disarmo, sia per la complicazione dei problemi dell'Estremo Oriente e sia per quella del problema navale tedesco.

353

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO

T. 761/76 R. Roma, 6 giugno 1934, ore 1U,20.

Suo telegramma n. 74 (1). Concordo con l'E. V. su opportunità dare notizia alla stampa atto interpretativo proroga patto neutralità itala-turco accompagnandolo opportuni com

menti favorevoli sulle relazioni fra i due paesi. Testo comunicato salvo osservazioni di V. E. potrebbe essere il seguente:

«In questi giorni è stata firmata in Ankara una nota interpretativa del protocollo di proroga della validità del patto di neutralità italo-turco del 1928. Con tale nota si stabilisce che il triennio di proroga comincerà a decorrere dalla data di scadenza del secondo quinquennio di validità del patto e pertanto il patto stesso viene ad essere prorogato fino al 29 aprile 1942 :..

Ove codesto Governo concordi, pubblicazioni potrebbero avvenire qui e ad Ankara lunedì undici corrente mese. Le farò conoscere nostri commenti stampa.

Per sua norma aggiungo che restano immutati nostri propositi, che non sono mai venuti meno, di mantenere ed anzi di sviluppare amichevoli relazioni con codesto paese. Però certi atteggiamenti specie di Tewfik Rusti bey non potranno almeno per ora non essere tenuti presenti.

(l) Cfr. n. 337.

354

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2111/182 R. Washington, 6 giugno 1934, ore 11,45 (per. ore 20).

Mio telegramma n. 25 (l).

Corrispondenza odierna da Roma al New York Times dice che comunicazione italiana al Governo americano circa debiti di guerra non intende copiare nota inglese, ma esporre in modo indipendente punto di vista italiano.

Al riguardo desidero precisare che quando col mio telegramma sopra citato ho sottoposto opportunità di fare comunicazione analoga all'ultima parte della nota inglese, intendevo riferirmi ai suoi ultimi quattro capoversi dove è detto che recente legislazione americana « cioè legge Johnson » ha reso impossibile pagamento parziale e che dinanzi alla scelta fra pagamento integrale e sospenslOne del pagamenti Governo britannico si è visto nella necessità di scegliere seconda soluzione.

355

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2113/184 R. Washington, 6 giugno 1934, ore 18,45 (per. ore 5 del 7).

Mio telegramma n. 183 (2).

In conversazione di carattere personale sottosegretario di Stato Phillips mi ha lasciato capire che nota britannica per i debiti di guerra era quale Dipartimento di Stato si attendeva.

Sola parte che sembra avere provocato un certo risentimento è frase finale dove Governo britannico si dice pronto ad entrare in negoziati quando il presidente giudicherà che conversazioni potranno iniziarsi con probabilità di successo.

Mio interlocutore ha osservato che il Governo britannico avrebbe dovuto riservarsi compito di prendere iniziativa al riguardo anziché fare cadere sul presidente responsabilità di tale iniziativa.

Sottosegretario di Stato mi ha ugualmente fatto capire che personalmente egli non si fa illusioni sulla sostanza della prossima comunicazione italiana.

(l) -Riferimento errato: deve trattarsi del telegramma n. 180, per il quale cfr. n. 344. (2) -T. 2110/183 R., pari data, non pubblioato.
356

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER. CORRIERE 2144/0129 R. Berlino, 6 giugno 1934 (per. il 9).

Il cancelliere del Reich ricevette ieri il barone Kurt von Lersner, in presenza del signor von Papen. Il primo gli rese conto del suo operato durante i giorni scorsi a Ginevra per risolvere la questione della Sarre.

Secondo quanto mi disse il signor von Papen il barone von Lersner pregò il cancelliere di essere indulgente verso di lui qualora ritenesse ch'egli fosse andato al di là di quanto avrebbe dovuto nel consentire per un anno oltre il plebiscito il funzionamento di tribunali elettorali. Lo aveva fatto per creare la possibilità di una migliore atmosfera tra la Germania e la Francia. Il cancelliere rispose che egli approvava intieramente l'operato suo e dei suoi collaboratori, lo ringraziò e si disse lietissimo della soluzione raggiunta.

Il barone von Lersner fece quindi una relazione ragguagliata al cancelliere del modo in cui si erano svolte le cose, pose in evidenza l'opera altamente meritoria del barone Aloisi e del ministro Biancheri e disse che durante tutte le pazienti ed abili trattative da questi condotte era apparso evidente come l'autorità possente del Duce stesse dietro il presidente della commissione per la Sarre.

Il cancelliere aveva avuto espressioni di sincera gratitudine per S. E. il capo del Governo e per il barone Aloisi.

357

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2145/0130 R. Berlino, 6 giugno 1934 (per. il 9).

Con riferimento al telespresso del R. console generale in Monaco di Baviera n. 5181/383 del 1° corrente (1), informo V. E. avermi stamane il nunzio

(l} Non pubblicato.

apostolico confermato le notizie circa le misure adottate in Baviera contro il clero cattolico.

Monsignor Orsenigo ha aggiunto che è stata pure vietata in Baviera ai membri delle confraternite religiose cattoliche la facoltà di formare cortei e che essi sono stati pure avvisati che non sarà tollerato che all'uscita delle chiese, dopo le funzioni religiose, possano recarsi al proprio domicilio camminando in compagnia di altri confratelli, qualora rivestano le insegne delle congregazioni.

Il nunzio apostolico osservava essere alquanto strano che i nazionalsocialisti, i quali inventarono ai tempi del Governo di Briining il metodo di camminare in fila indiana, come protesta contro il divieto di sfilare in masse raggruppate, adottino ora contro dei pacifici cittadini animati da profondi sentimenti cattolici, e quindi certamente non antinazionali, quegli stessi provvedimenti contro cui elevarono sì aspre proteste negli anni scorsi.

Tutto ciò non avrebbe ad ogni modo, a detta di monsignor Orsenigo, una eccessiva importanza per la chiesa cattolica, abituata a gravi persecuzioni e che seppe, nei tempi più calamitosi, contentarsi di scendere nelle catacombe.

Ciò che invece è grave, pericoloso e che potrebbe pertanto, ove continuasse, dar origine a formali proteste da parte della Santa Sede, è la propaganda sempre più attiva che vien svolta tra la gioventù tedesca in favore del culto nazionale germanico. Vi è una contraddizione assoluta fra la solenne dichiarazione fatta dal cancelliere Hitler nel primo suo discorso al Reichstag che il nuovo Reich avrebbe avuto il suo fondamento sulle «due religioni cristiane:. e le dichiarazioni dei fautori del paganesimo germanico che il terzo Reich deve ammettere anche quest'ultimo culto alla stessa stregua delle due religioni cristiane.

Monsignor Orsenigo si mostrava indignato di tanta impudenza, ritenendo inammissibile porre sullo stesso livello il cristianesimo ed il culto di Wotan.

Egli osservava inoltre che contravveniva ai precisi impegni assunti con la suddetta solenne dichiarazione di Hitler il consentire, come egli sembrava fare, che ai giovani tedeschi, cattolici o protestanti, si tenessero conferenze o conversazioni per incitarli ad abbracciare il culto degli antichi germani, loro antenati.

Mi disse anzi di averne tenuto parola nei giorni scorsi durante una visita di cortesia fatta al ministro dell'Interno del Reich, dr. Frick, al quale è stata deferita la trattazione di tutte le questioni concernenti le chiese, ma di non aver ottenuto risposta soddisfacente, essendosi egli limitato a dire che non si poteva impedire a chi avesse simpatia per il culto di Wotan di parlare ai giovani tedeschi di quest'antica religione dei loro avi.

Il nunzio apostolico si domandava con molta ansietà, dove condurrebbero

provvedimenti come quello adottato dal cancelliere Hitler di deferire a Rosen

berg -pagano germanico i cui libri furono posti all'indice dal Vaticano -il

delicato incarico di dirigere l'educazione spirituale della gioventù tedesca.

E concludeva che non si preoccupava soverchiamente della difficoltà di trovare una soluzione soddisfacente circa la questione dell'ingerenza esclusiva o meno dello Stato nell'istruzione politica dei giovani.

Tale questione era sorta anche in Italia ed era stata risolta in modo da contentare lo Stato fascista ed il Vaticano.

Gravissimo era invece il pericolo che la propaganda pagana, a cui si stava dando il carattere di propaganda nazionalsocialista, facesse presa sulle menti inesperte dei giovani distraendoli dalla diretta via del cristianesimo

358

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MimSTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2151/0109 R. Vienna, 6 giugno 1934 (per. il 9).

Mio telegramma per corriere n. 0106 (1). Cancelliere mi ha detto con visibile soddisfazione che atteggiamento di Fey si è modificato e che pertanto nota tensione si è di molto attenuata.

Cancelliere ha accennato anche ai discorsi pronunciati dal Fey a Baden ed a Korneuburg (miei teleposta n. 1164 e 1165) (2) come ad un chiaro segno della più adeguata comprensione cui il Fey sarebbe pervenuto nei riguardi della situazione politica interna austriaca.

Anche Starhemberg, che ho incontrato oggi, mi ha ripetuto quanto dettomi dal cancelliere, pur mostrando di nutrire tuttora qualche diffidenza verso il ministro della sicurezza.

359

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DELL'U.R.S.S. A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 6 giugno 1934.

L'Ambasciatore mi parla di una ripresa di attacchi contro i sovieti nella stampa italiana. Non sono tanto i singoli fatti --che egli mi cita -che lo impressionano, quanto la tendenza che pare risponda ad un particolare stato d'animo. Che questi attacchi contro il regime, aggravati anche da attacchi personali contro Litvinoff abbiano una specie di approvazione da parte dei fattori responsabili, risulta dal fatto che essi trovano posto anche nelle trasmis

sioni per radio fatte sotto il titolo « Cronache del regime ~ (lJ. Gli è stato detto che queste cronache le fa il Forges Davanzati per espresso incarico del Governo.

Ora l'Ambasciatore mi chiede come si concili tutto ciò colla politica di amicizia che si fa dai due paesi e che ha avuto, ed è sperabile avrà in seguito, così evidenti manifestazioni. (Dice: «Quando lei restituirà a Mosca la visita fatta da Litvinoff a Roma, potrà constatare come la Russia sia fedele alle sue amicizie~).

Gli rispondo che non posso che ripetergli quanto gli ho detto già altre volte in tale riguardo. Se ci sono delle critiche al regime dei sovieti, ciò è fatto per iniziativa dei singoli giornalisti. È naturale che, data la diversità di concezione fra fascismo e bolscevismo, delle critiche dall'una parte e dall'altra debbano sorgere. Quello che posso escludergli è che ci sia una direttiva da parte del Governo in tale riguardo; anzi gli dirò che l'unica iniziativa presa dal Ministero negli ultimi tempi è stata quella di far scrivere un articolo al Giornale d'Italia per far conoscere che l'Italia non è contraria ma anzi è favorevole all'ingresso della Unione dei Sovieti nella Società delle Nazioni.

(l) -Cfr. n. 345. (2) -Non pubblicati.
360

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 2166/877. Berlino, 6 giugno 1934 (per. il 10).

Riferirò qui appresso all'E. V. talune notizie e mie impressioni circa la situazione odierna della Germania nazionalsocialista.

Le condizioni di salute assai precarie del Presidente del Reich, unite alla sua grave età, fanno considerare come prossimo il giorno in cui si presenterà il problema della sua successione. I circoli nazionalsocialisti conservano al riguardo una riserva comprensibile perché la disciplina imposta al Partito richiede che esso rimanga in attesa delle deliberazioni del Fuhrer per eseguirle poi senza discutere. Coloro i quali non sono invece di cuore sinceramente nazio

Senonché ora questi elementi, per così dire naturali, dell'amicizia Roma-Mosca, accennano, di fronte all'evolversi delle situazioni ed alla forza delle circostanze, ad attenuarsi.

È quindi ora gluocoforza curare, assai più che nel passato, gli elementi per cosi dire " esteriori " di questa amicizia.

Da ciò deriva -secondo Il mio rimesso giudizio -l'opportunità da parte dei due Paesi, di vigilare a che, specie in questo momento di transizione della politica estera sovietica, Il contegno delle stampe rispettive sia sempre mantenuto strettamente all'unisono con le direttive di politica generale ».

nalsocialisti, ancorché vestano la camicia bruna, lasciano chiaramente intravvedere la speranza che alla successione del Maresciallo von Hindenburg sia chiamato non già Hitler ma altra persona ed a seconda dei sentimenti politici nutriti prima del 30 gennaio 1933, si augurano che la scelta cada sopra un membro della ex-famiglia regnante in Prussia o sopra un altro principe tedesco, sopra il signor von Papen o sopra uno dei generali superstiti della grande guerra. Una cosa sembra probabile: quella cioè che il nuovo Capo dello Stato non possa essere scelto fra i membri del Partito, dato che non si comprenderebbe troppo come il Capo dello Stato potrebbe chiamare Hitler «mein Fuhrer » e considerarsi ai suoi ordini. L'opinione prevalente nei circoli diplomatici è quindi che, al momento dato, Hitler sarà per acclamazione e senza nemmeno ricorrere ad una elezione formale proclamato «Reichsffihrer ». Sarebbe naturalmente necessaria in tal caso una modificazione della Costituzione del Reich per estendere al Capo dello Stato tutti o molti dei poteri esercitati presentemente dal Cancelliere, creando una situazione analoga a quella che esiste negli Stati Uniti d'America.

Se tale fosse realmente la soluzione destinata ad essere adottata, si può prevedere sin d'ora quale corsa si verificherebbe da parte dei più prossimi collaboratori di Hitler per ottenere l'investitura come Cancelliere o, se questo nome dovesse scomparire, come primo fra i Ministri. Goering ritiene che tale posto spetti a lui e non fa mistero di aspirarvi. Viceversa si attribuisce ad Hitler il proposito, manifestato in un circolo di intimi a Monaco nell'estate scorsa, di affidare tale incarico al Ministro Hess, che presentemente è il suo sostituto alla direzione del Partito (posto equivalente a quello di Segretario del Partito in Italia). Non manca naturalmente di nutrire qualche speranza anche Goebbels il quale conta evidentemente sopra la dimestichezza quotidiana con Hitler ed anche il signor von Papen pensa che la sua situazione di uomo politico indipendente lo potrebbe forse indicare per ricoprire una carica che, anche se venisse svuotata di importanza, gli permetterebbe di conservare un'alta posizione nel Reich e di prestare la leale sua assistenza al Fuhrer.

Non è forse fuori luogo mettere in relazione coi prevedibili prossimi mutamenti l'intensificato lavorio di Goering per accrescere la popolarità a cui tanto tiene e che era andata sensibilmente scemando. Così un modesto piano per agevolare la diminuzione della disoccupazione è stato affisso a tutte le cantonate di Prussia come «Goering Plan ». Le varie onorificenze estere che al Presidente del Consiglio prussiano vennero conferite durante il recente suo viaggio balcanico furono, in un'intervista recentemente concessa al Voelkischer Beobachter, dichiarate «prova di considerazione di Governi esteri verso l'intero popolo tedesco ».

Hitler finora ha mantenuto un assoluto riserbo. Egli si è probabilmente reso conto del malumore prodotto nei circoli fedeli all'Imperatore in esilio dalle sue ultime dichiarazioni al Parlamento, perché intrattenendosi con un autorevole personaggio di fede monarchica gli avrebbe dichiarato di nutrire egli stesso sentimenti monarchici, ma di ritenere al tempo stesso che in un periodo in cui si dovevano mutare radicalmente tante cose in Germania, tale arduo compito potesse essere più agevolmente compiuto da un Governo rivoluzionario come il suo.

Non meno riservato è il contegno del Cancelliere di fronte alle divergenze che esistono e che da molti sintomi sembrano aumentare sempre più in seno al Partito. Oltre al clamoroso dissidio fra S. A. e Stahlhelm che a causa della pubblicità a mezzo dei giornali fu portato in piazza, non è un mistero per chi vive a Berlino e procura mantenere contatti con i circoli governativi che in molti degli uffici, sopratutto in quelli prossimi al Ftihrer, vi sono rivalità personali fortissime. Si sono inoltre manifestate nuove e forti resistenze in seno alla Reichswehr, nei riguardi delle S. A., nonostant·e si fosse sperato di eliminarle con l'allontanamento dalla direzione della Reichswehr del Generale Barone von Hammerstein. Se in quel momento il Colonnello von Reichenau, Capo della Cancelleria del deposto Comandante, non riuscì ad ottenere lui stesso il posto vacante, data l'assoluta opposizione del Presidente del Reich, egli fu però lasciato al suo posto, promosso Generale di Brigata e ricevette l'incarico speciale di esercitare la propria azione -notoriamente simpatizzante per le S.A. per realizzare l'intesa fra esercito ed S. A. Da qualche giorno, però, corrono insistenti voci che ebbi cura di fare controllare dal R. Addetto Militare e che risultarono fondate, secondo le quali il generale von Reichenau dovrebbe abbandonare prossimamente il suo posto essendo riuscite vane le sue premure nel senso suddetto. Le rivalità si sarebbero acuite non volendo la Reichswehr intendere parlare di intese con le S. A., che notoriamente aspirano ad invadere con propri uomini ex-ufficiali i quadri della Reichswehr, che dovranno essere sensibilmente ingranditi in seguito all'aumento delle forze armate del Reich.

Molti sono i commenti che vengono fatti intorno all'assoluto riserbo sopra menzionato di Hitler. Non mancano coloro i quali opinano che il Cancelliere abbia esaurita la propria energia durante la lunga lotta per la conquista del potere ed i primi tempi dopo l'ascesa al potere. Questi ritengono che Hitler non possegga le doti occorrenti ad un grande Capo di Governo, che taluni problemi di vitale importanza, come quelli economici e finanziari, esorbitino dalle sue capacità intuitive che furono già specialmente indirizzate ad indagare più i problemi politici puri che quelli tecnici. Altri -ed io propenderei ad aderire all'opinione di questi ultimi -credono che Hitler, appunto perché da un lato considera prossima una sua ascesa alla suprema carica del Reich, e da un altro lato desidera che si chiarisca la situazione, non sia alieno dal lasciare che le passioni dei suoi Unterfiihrer si acuiscano sino al punto da risolversi con il naturale prevalere degli uni sugli altri o con un suo personale intervento, improvviso, energico e definitivo, allo scopo di affermare in tutta la sua estensione, sino ad ora soltanto teorica, l'esistenza della gerarchia culminante nel Ftihrer. Non è improbabile che tale idea vada maturando nella mente di Hitler, forse con quella lentezza e ponderazione propria dei tedeschi alla quale non è peraltro disgiunta quella << Grtindlichkeit » ottima se applicata a cose buone, fatale se messa in opera per aggravare errori.

Con precedenti miei rapporti riferii a V. E. che vi erano vari sintomi di stanchezza, sfiducia e persino di resistenza al nazionalsocialismo. Non ho ragione di mutare o modificare nulla di quanto scrissi perché la situazione al riguardo si è, caso mai, aggravata. È contro il Ministro Goebbels, portato alle stelle dalla parte più esaltata del nazionalsocialismo, che si acuiscono le aspre critiche da parte non solo dei tiepidi fautori di esso, ma anche dei nazionalsocialisti moderati che parlano di lui come del «cattivo genio di Hitler», come di un bolscevico travestito da nazionalsocialista ed anche come dell'« anticristo» a causa del suo atteggiamento ostilissimo alle chiese cristiane.

A parte quanto già esposi circa il dissidio fra S. A. e Stahlhelm e circa il fallito accordo tra S. A. e Reichswehr (fatti entrambi i quali provano come nella Germania nazionalsocialista non esiste una unica autorità riconosciuta da tutti e dinanzi alla quale scompaiono le singole volontà) si nota un'atmosfera di pessimismo che sarà forse frutto di esagerazione, ma che non manca di un certo fondamento.

Nei circoli bancari di Berlino si dipinge la situazione a colori foschi. Che ci sia mezzo miliardo o un miliardo d'oro nelle casse della Reichsbank di più di quanto è stato asserito ufficialmente è cosa che ha importanza relativa. Vero è che le riserve auree sono scese al 6 %, che fra qualche mese esse saranno esaurite, che la Germania non potrà più eseguire alcun pagamento all'estero, che sarà costretta essa stessa a sostenere la teoria economica dei Sovieti tanto odiati e combattuti che l'oro non ha alcuna importanza; con la differenza che nell'U.R.S.S. lo Stato, proprietario di tutte le ricchezze del paese, può con buon fondamento dichiarare che la copertura della valuta cartacea circolante consiste nell'intero immenso patrimonio della sesta parte del mondo che costituisce l'Unione Sovietiéa.

Scema ogni giorno, probabilmente senza ragione, dato che il dr. Schacht è più che mai deciso a mantenere il suo valore, la fiducia nella solidità del marco e prova ne è una certa ripresa di affari perché la gente preferisce investire il proprio denaro in oggetti immobili o mobili anziché risparmiare. Conseguenza di ciò è che le operazioni delle Banche e Casse di Risparmio sono ridotte al minimo.

Un porto e mercato mondiale come quel1o di Amburgo si trova nelle condizioni più difficili perché l'esportazione è ridotta ai minimi termini. Da due fonti entrambe della maggiore serietà e che conoscono intimamente il mondo degli affari della grande città anseatica mi è stato recentemente detto che ad Amburgo si è alla vigilia di qualche fallimento che desterà sensazione. La situazione delle Compagnie di Navigazione non potrebbe essere peggiore. Esse risentono enormemente del boicottaggio esercitato in America contro la Germania a causa della questione ebraica. D'altra parte sembra essere difficile la fusione delle maggiori compagnie, secondo l'esempio fascista, recentemente imitato anche in Inghilterra.

Industrie di grande fama come la Siemens Halske e la Siemens Schuckert lavorano con ogni sorta di difficoltà. La seconda si trovava in condizioni cattive anche prima, perché le grandi macchine che produce non trovano naturalmente più i compratori dei tempi prosperi. La prima invece prosperò sempre finora mentre i suoi direttori si domandano attualmente come potranno fra qualche mese mantenere in efficienza gli stabilimenti e procurarsi le materie prime che provengono dall'estero. Desta preoccupazione l'eventuale mancanza di rame, cosicché é stato consigliato di sostituire altro metallo al rame, in tutti i casi in cui ciò sia possibile, nella costruzione di macchine ed apparecchi.

Viceversa lavorano in pieno, come non mai dalla guerra in qua, molte se non tutte, le industrie pesanti, le fabbriche d'armi, quelle che costruiscono motori, gli stabilimenti di filatura e tessitura di lana e cotone, i calzaturifici, vale a dire tutto il complesso dell'industria bellica.

L'equipaggiamento delle S. A. e S. S. oltre a quello da approntarsi per i

300.000 uomini dell'esercito di domani richiede infatti una non indifferente mole di lavoro.

È trascorso ormai più di un anno dal momento in cui, sulla base delle osservazioni fatte e delle notizie raccolte, credetti poter determinare in cinque anni il tempo occorrente alla Germania nazionalsocialista per essere completamente armata in terra e nell'aria. Da principio trovai resistenze a consentire meco da parte del R. Addetto Militare il quale riteneva che, nonostante i maggiori sforzi sarebbe occorso alla Germania un termine maggiore che egli credeva fissare in sette od otto anni. Senonché in questi ultimi tempi il Ten. Col. Mancinelli, sulla base delle informazioni assunte e delle constatazioni fatte, mi ha detto che, dato il ritmo con cui si lavora, egli ritiene che la preparazione militare potrà essere perfetta (sulla base di un esercito di 300 mila uomini, sul piede di pace, con le necessarie normali dotazioni di riserva) in un tempo minore di quello che io avevo calcolato. Poiché un anno é già passato, si può dunque considerare con certezza che al più tardi pel 1938, se nulla capiterà ad impedirlo, la Germania potrà essere in grado di mettere in linea di combattimento un potente esercito perfettamente attrezzato con le armi le più moderne.

Quanto all'aviazione, mentre gli stabilimenti industriali relativi lavorano in pieno, la preparazione degli uomini viene pure fatta su vasta scala. Domenica scorsa ebbe luogo a Tempelhof una parata dei « piloti » tedeschi. Gli addetti militari, navali ed aeronautici non furono invitati -trattandosi, si disse, di una parata di aviatori civili. Il che non toglie che essi vi abbiano assistito frammisti alla folla e che abbiano potuto constatare che erano 8.000 (ottomila) i piloti che sfilarono dinanzi al Ministro dell'Aviazione Goering. Per l'aviazione dunque il termine di preparazione completa potrà essere abbreviato e ridotto a due o tre altri anni al massimo anche se -come il mio collega francese dice di avere udito dalla bocca di S. E. Goering -le aspirazioni del Reich sono di arrivàre a possedere duemilaquattrocento (2.400) apparecchi militari.

Modeste continuano invece ad essere le aspirazioni della Marina germanica. Conversando recentemente col Comandante de Courten, l'Ammiraglio Rider dichiarò che il III Reich non intende ripetere l'errore commesso in passato e mettersi in una gara di armamenti con l'Inghilterra. La Marina tedesca conta di svolgere un programma di costruzioni modesto, appropriato alla necessità della difesa delle proprie coste. Non pensa invece almeno per il momento a preparare numerose navi da battaglia né siluranti subacquee in numero tale da poter intraprendere una nuova guerra sottomarina. Almeno nella Marina sembra dunque che le esperienze della grande guerra abbiano servito a qualche cosa.

(l) Analoghe proteste mosse Krest!nskl ad Attollco come risulta dal R. r. 2322/1021 dello stesso 6 giugno d! cui si pubblica solo Il brano seguente: «La cordialità del rapporti tra l'Italia e l'URSS ha trovato finora la sua base principale in una naturale coincidenza nelle linee seguite dal due Stati In politica estera, che Il portava, per la forza stessa delle cose, ad una collaborazione In importanti questioni di politica generale, mentre la diversità degli obblett!vi più diretti perseguiti dai due Governi non creava, in genere, posizioni di contrasto. Inoltre, le amichevoli relazioni intrattenute rispettivamente dal due Paesi colla Germania, da una parte, e colla Turchia, dall'altra, servivano anch'esse a dare maggiore intimità al rapporti !taio-sovietici.

361

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 475/292. Tokio, 6 giugno 1934.

L'ultima guerra ha addotto un mutamento della situazione non solo in occidente ma anche in oriente. L'occidente dominatore si è indebolito e il dominato oriente si è rafforzato. Si è rafforzato sopratutto spiritualmente, e l'indicarne qui le cause positive e negative renderebbe troppo lungo questo rapporto: il sentimento comune degli orientali è oggi che l'oriente debba tornare a essi, e la comune convinzione è che esso tornerà.

Inquietudini d'animo, discorsi di ribellione, tentativi di rivolte si sono manifestati qua e là; v'è chi dice che il Giappone soffi nel fuoco per mantenerlo acceso e, quando vi sia il favore del momento, farlo divampare dalle ceneri da cui appare più o meno coperto. Può darsi. Lo spettacolo che offre questo Stato è impressionante: impressiona non solo me ma tutti i miei colleghi stranieri, impressiona tanto più allorché si pensi che non sono passati nemmeno tre quarti di secolo da quando s'è aperto alla civiltà occidentale, e che fino allora era più o meno rimasto qual'era duecentocinquanta anni prima. Uno stato in cui l'agricoltura, non troppo sproporzionata all'industria, non lascia incolto un metro quadrato di terra coltivabile e l'industria va battendo ogni più agguerrito concorrente occidentale, e il commercio lla un'attività e un'intraprendenza dannose nella sostanza e esasperanti nella forma ma sbalorditive; uno Stato con un debiw pubblico relativamente ristretto e quasi tutto collocato all'interno, con una copertura aurea del medio circolante (l miliardo circa di yen) di più del cento per cento, con un sistema tributario non molto gravoso per i capitalisti e capace quindi di maggior gettito, con un servizio ferroviario ch'è di esempio a vari Stati d'occidente, con una marina che è la terza del mondo (pare si prepari a chiedere la parità, e se non la ottenga intenda riprendere la propria libertà d'azione) e un esercito al quale possono ancora difettare conoscenze di strategia moderna e armamenti (cui però si sta provvedendo con ogni alacrità) ma cui non difettano né uomini né ardore ed eroismo, con una popolazione sobria lavoratrice tenace disciplinata che è adesso di più di novanta milioni e si accresce d'un milione all'anno e ha una fiducia in sé un'ambizione e un orgoglio smisurati, un amore di patria infocato e uno spirito di sacrificio fanatico; questo Stato, che non ha pari in oriente e uguaglia per parecchi versi i maggiori d'occidente, è tutto convinto che ragioni divine e umane gli impongano una missione: non soggiogare gli altri popoli di questa parte del mondo ma elevarli sino a sè pur serbando per sè la suprema direzione e il supremo comando, mantenere in loro l'antica civiltà spirituale dell'Asia e dare loro quella materiale d'Europa e d'America, aiutarli a liberarsi dalla dominazione occidentale e farli capaci di collaborare all'avvento di tempi degni del comune passato. Perciò non può dirsi menta sfacciatamente il Giappone quando afferma non voler opprimere la Cina bensì sollevarla. Non è una menzogna ma una verità ristretta: una Cina aperta soltanto all'influsso politico e economico del Giappone sarebbe per questo del maggiore vantaggio; ma, secondo il Giappone, darle il proprio ordine e la propria disciplina, venderle i propri prodotti così bassi di prezzo non è favorirne l'unione migliorarne le condizioni facilitarne il consolidamento prepararne la rinascita?

E il Giappone addita la Manciuria. D'altra parte esso stima non poter compiere la propria missione a vantaggio di tutti gli asiatici se prima non assicuri a se stesso i mezzi d'esistenza e d'espansione. Le sue risorse naturali non gli bastano oggi e gli basteranno anche meno domani, l'occidente si difende e chiude alla sua produzione industriale i propri mercati; non dovrà dunque, si domanda esso, cercarli altrove? E quale più favorevole sbocco di quello cinese? Fa in tal modo l'utile proprio e il bene degli altri: la teoria di Bentham della coincidenza del bene con l'utile trova qui gradita applicazione. Si può quindi dedurre che quanto più efficacemente l'occidente si difenderà dall'invasione commerciale del Giappone, tanto più fattiva e intransigente diverrà la politica di questo nei riguardi della Cina. Chi potrà impedirglielo?

L'occidente potrebbe impedirglielo, se fosse forte e concorde. Ma le grandi potenze, diffidenti l'una dell'altra, sono più che mai discordi; e né la Russia né l'Inghilterra possono oggi paragonarsi a quelle d'avanti guerra. La Russia non chiede, per quanto ora si vede, che di non essere attaccata; e l'Inghilterra anche in Asia fa fatica a conservare quello che ha: oggi cede principi e sistemi, un giorno dovrà forse cedere domini e territori. La Francia è resa paralitica dall'ossessione della rivincita tedesca; la Germania è per ora tutta volta a riprendere in Europa l'antico potere e non vuole inimicarsi il Giappone che per la Russia è, più che un pericolo, una grave minaccia. L'America, che è raccolta nella soluzione dei suoi problemi economici interni, si apparecchia a lasciare le Filippine e non ha in Cina grandi interessi politici. (Parlo della politica di tali Stati in modo relativo, così cioè come appare da qui e in rapporto a questo speciale problema, non intendo quindi discuterla in modo assoluto toccando la competenza dei R. rappresentanti in essi accreditati). Il penultimo atto del Giappone, quello dell'occupazione della Manciuria, gli aveva provato la debolezza dell'occidente, ed era stato seguito dal successo. Imbaldanzito dal risultato, ne ha compiuto un altro, l'ultimo per ora, con un comunicato brutale nella prima redazione e volutamente ambiguo nell'ultima. Quali ne sono state finora le conseguenze? La Russia ha fatto qui dire che non sarebbe intervenuta, la Germania non ha fiatato, la Francia s'è dichiarata soddisfatta, e l'Inghilterra pure. L'Inghilterra è andata oltre; e secondo questi giornali sir John Simon ha detto nella Camera dei Comuni che la Gran Bretagna si era obbligata a rispettare non a mantenere l'integrità territoriale della Cina: nessuno Stato aveva presi altri impegni e tale era del resto lo spirito del trattato delle nove potenze. Quanto all'America essa non dà qui l'impressione, malgrado il suo «memorandum», d'esser disposta in favore della Cina a far percorrere alla propria flotta migliaia

di miglia per mandarla a correre i rischi d'una guerra navale in queste acque contro una marina la quale si batterebbe con la disperazione che dà la difesa dall'invasore, contro una nazione che dopo l'Inghilterra è il suo maggiore acquirente, contro uno Stato cui essa se mantenesse fede ai suoi principi dell'ultima guerra non vorrebbe pigliar territori e se volesse non saprebbe forse quali pigliare; il New York Tribune pubblicava settimane fa un articolo del noto scrittore politico Walter Lippmann, in cui si esponevano i medesimi concetti di Simon, ciò che mi sembra accrescere l'importanza dell'articolo stesso. Che queste grandi potenze, considerato quello che da quanto precede si può desumere, considerata la loro distanza geografica la loro situazione economica i loro interessi politici in Europa e altrove, siano disposte a collegarsi contro il Giappone quand'esso compia un nuovo passo innanzi sulla via della sua espansione in Cina, anche solo attuando la minaccia del veto, non mi pare verosimile. Ancor meno verosimile mi pare una lega solo fra qualcuna di esse, oltre che per le ragioni suaccennate, perché credo che ognuna temerebbe, e specialmente le europee, che ove anche tutte le altre non s'impegnassero i rischi dell'impresa aumenterebbero non solo nei riguardi del Giappone ma anche in quelli dell'Europa. Può pensarsi che una nazione europea sia pronta a sostenere i sacrifici d'uomini di danaro di materiale bellico d'una guerra lontana e d'ignota durata, senza preoccuparsi di quanto ciò la indebolisca, e non solo nel corso della guerra stessa, di fronte alle altre potenze europee, e di qual vantaggio economico militare politico ciò possa essere alle altre? Ove non vi fosse l'unione almeno di tutte le potenze europee, sarebbe sicura quella tra di esse che volesse per esempio allearsi con la Russia di non suscitare, o quanto meno di non preparare, una nuova guerra mondiale e di non trovarsi poi a dovervi partecipare in uno stato d'inferiorità?

(Lascio fuori, anche per incompetenza, la domanda di quello che potrebbe avvenire in qualche parte dell'impero della Gran Bretagna se questa entrasse in guerra). L'unica possibilità per ora più probabile sembra quella d'una guerra tra Russia e Giappone soltanto. È sempre mestiere difficile quello del profeta e specie in simili argomenti; tanto più poi quando, come nel caso mio, non si conosca bene uno dei termini tecnici del problema, e· ancora meno l'altro. Quali che fossero i vantaggi di ciascuno dei combattenti nel momento dell'entrata in guerra, vantaggi che dipenderebbero anche dal momento stesso, mi semb~a vi sarebbe per la Russia un'incognita maggiore: quella dei riflessi sulla situazione interna. A ogni modo, limitando le considerazioni alla eventualità di un'espansione giapponese in Cina, l'unico elemento positivo di giudizio ch'io per ora abbia è la dichiarazione fatta, in occasione del comunicato, dal mio collega russo a questo governo: non intendere la Russia intervenire nella questione cinese. Mi sembra non se ne possa dedurre che, rebus sic stantibus, un ulteriore progresso del piano giapponese verso la Cina troverebbe ostacoli nel contegno russo, almeno in un avvenire prossimo. E questo è quello che per adesso importa considerare ai fini del mio ragionamento.

Ora per tornare a quanto dicevo prima, se le grandi potenze per timore della minaccia giapponese si astenessero da nuove iniziative in Cina, o presele

29 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

le ritirassero ove la minaccia fosse posta a effetto, non potrebbe aver cw come risultato di secondare il movimento di coloro in Cina i quali vogliono rappaciarsi con il Giappone? E se per questa o altra ragione la Cina si rappaciasse, potrebbero quelle potenze opporvisi in nome del mantenimento della pace? Ma dato che le potenze riuscissero invece a metter da parte o a lasciare in sospeso le loro lotte occidentali, e a collegarsi contro il Giappone, dato che con la minaccia d'una guerra o anche con una guerra riuscissero a imporre la loro politica, dato che la Cina, malgrado la sua storia di questi ultimi secoli e le sue presenti condizioni, riuscisse a sua volta a mantenersi indipendente a ristabilire l'ordine a rafforzarsi militarmente a svilupparsi economicamente, si potrebbe escludere ch'essa mirerebbe allora a affrancarsi dalla protezione del sopportato e non amato occidente? Ogni paese protetto, quale che sia la forma della protezione, quando grazie al suo protettore sia riuscito a rafforzarsi o creda d'essersi rafforzato, tende a liberarsi dal protettore stesso verso il quale adopera le medesime armi morali e materiali che la cultura di questo gli ha fornite. Tale comune regola, di cui specialmente l'Inghilterra ha fatto e fa l'esperienza, vale sopratutto per i paesi ch'ebbero un'antica civiltà di cui serbano i segni il ricordo e l'orgoglio, vale quindi per la Cina che crede fermamente più alta e più antica la propria a paragone di quella europea. E aggiungo che la vittoria delle potenze occidentali collegate contro il Giappone ne rallenterebbe o fermerebbe solo per qualche tempo l'avanzata, chè questa, prima o poi, riprenderebbe: si pensi alla Germania; e il Giappone, mi pare sia stato detto più volte, è la Germania dell'Asia. Quest'albero si vede crescere con rigoglio di vegetazione da foresta vergine, e ci si dice che non tagliandone solo il tronco ma distruggendone fino le radici potrebbe impedirsene il prepotente sviluppo.

La politica è attività volta non alle ricerche astratte ma alle concrete; deriva i suoi fini ponendo in rapporto le esigenze teoriche del pensiero con le esigenze pratiche della vita, e stabilisce quello ch'essa deve proporsi entro i limiti di quello ch'essa può proporsi: ove si ammetta come verosimile che non sia trovata maniera di mutare il corso degli avvenimenti in questa parte del mondo, quali che siano i danni che l'attuale situazione in sviluppo possa arrecarci e i vantaggi cbe una diversa situazione potrebbe addurci, se quei danni non possono essere evitati e quei vantaggi ottenuti, l'importante è esaminare se e che beneficio possa trarsi da una condizione di cose che non si è in grado di mutare, e in qual modo. Or a me sembra che un duplice beneficio possa da noi trarsi in conseguenza della presente situazione e di quella prevedibile nel futuro. Innanzi tutto. Indubbiamente la politica che il Giappone va attuando suscita universali opposizioni, le quali sono spiegabili; ogni espansione suscita opposizione, ogni giovane popolo che ascenda incontra ostacoli in quelli che si trovano nella fase statica o nella fase dinamica discendente: i deboli lo avversano perchè, non diventando forte uno Stato se non a spese dei deboli, vedono nell'esempio dato un pericolo e un danno per se stessi, i forti perché l'acquisto di potenza in altri si riduce in una diminuzione di potenza per sè. Agli italiani basta ricordare la guerra di Tripoli. Ma non v'è da preoccuparsi delle possibili conseguenze di tale opposizione: essa conta poco quand'è soltanto verbale, giacché un atto vale più di cento parole, il fatto piglia il sopravvento sul detto,

e il successo assicura alla fine anche il consenso. Ora il Giappone attua questa politica in nome della sua civiltà e dei suoi interessi, così in nome d'una sua missione ch'esso fa derivare dalla sua storia passata e dalla sua cultura presente, come in nome dei suoi insopprimibili bisogni di sbocco per la sua popolazione e per la sua produzione. Non è questo un principio che può essere da noi, per stretta analogia di condizioni, anche più legittimamente invocato, e a tempo e luogo praticato? Ove così sia, non consiglia ciò che la teoria del Giappone sia, non dico apèrtamente sostenuta, bensì non solo apertamente non avversata? E poi. Esiste una nazione giovane tenace ardente potente, situata quasi agli antipodi dell'Italia e in una parte del mondo ove non vi sono stati e non vi sono nostri interessi territoriali, che ha sempre mantenuto con noi relazioni pacifiche (nella sua concorrenza commerciale a tutto il mondo non si può vedere uno specifico atto d'ostilità verso l'Italia, e non è da escludere che un eventuale miglioramento delle nostre relazioni politiche non potrebbe addurre una situazione che consentisse attenuare i nostri danni economici) che ha per noi simpatia (sia pure dando a questa parola il valore limitato e contingente che ha nei rapporti internazionali) che vede nel Duce della nuova Italia l'eroe e nella sua dottrina (sia pure non tutta ben nota e ben intesa) la salvezza anche propria; questa nazione ha oggi contrasti e potrà in seguito avere lotte e guerre con Stati per ora più potenti di noi, che tale potenza ci fanno sentire in Europa e specie nel Mediterraneo ove ci chiama il nostro non mutabile destino. Perché questo destino si compia occorre aumenti la nostra potenza, e tale aumento può essere accelerato se, mentre si accresca la nostra forza, diminuisca quella dei più forti di noi. A ciò il Giappone può indirettamente ma efficacemente contribuire: esso è già oggi tale che alcuni di quegli Stati devono volgere qui parte della loro attenzione e delle loro forze; in un tempo a venire esso potrà essere la causa di una siffatta situazione nei loro riguardi da preparare altrove l'apertura d'una eredità cui nessuno avrebbe più di noi diritto di successione. Non sembrerebbe quindi utile che ciò fosse tenuto presente nella nostra politica

verso quest'impero e che da ciò essa traesse le logiche conseguenze?

So bene potermisi obiettare che mi fondo su convinzioni di fronte alle quali è lecito elevarne di contrarie, giacché manca per ora la pietra di paragone la quale dia modo di giudicare della bontà delle mie piuttosto che delle opposte. Or è vero ch'io considero le mie previsioni come più probabili, ma è anche vero che, almeno come possibili, devo ammettere pure le altre. Sono quindi pronto a ammettere come possibile che tutte le potenze occidentali si colleghino contro il Giappone, o che una o parecchie si allei con la Russia, e che anche se la Russia sola si batta contro il Giappone, il risultato sia che questo, sgomentato

o sconfitto, ceda. Senonchè io non suggerisco di fare per ora una politica apertamente favorevole al Giappone. Non solo perchè, quand'anche come soltanto possibile, ammetto l'altra ipotesi; ma anche perchè, nella mia ignoranza della situazione mondiale, non posso escludere che nel presente momento altri interessi ci consiglino di evitare una politica la quale potrebbe suscitare diffidenze o contrasti nel già tanto diffidente e contrastante occidente, e come tale nuocere alle nostre relazioni con alcune di quelle grandi potenze nei riguardi delle quali per altre e maggiori ragioni ci conviene per ora che ciò non sia.

Quello ch'io suggerisco è d'esaminare la convenienza che, per valermi d'una frase trita, non sia pregiudicato l'avvenire. E cioè che ci si adoperi a cancellare l'impressione dei giapponesi, la quale va diventando convinzione, avere noi in questi ultimi tempi mutato animo a loro riguardo, essersi esso inasprito verso di loro a vantaggio della Cina, attuarsi tutto ciò in una politica ostile più che nell'apparenza nella sostanza. Il meglio mi sembrerebbe lasciare qui aperta la via a tutte le possibilità. Non credo possa negarsi fin da ora esservi per noi tra esse quella di trarre vantaggi dal Giappone e dal suo piano. Se così è, mi pare ci converrebbe agire in modo che in tal caso noi ci trovassimo al momento opportuno sia di fronte al Giappone sia di fronte agli altri nella condizione a noi più favorevole.

Non ho pretese d'infallibilità. So che chi vede al pari di me le cose soltanto com'esse appaiono da questa e in questa parte del mondo senza conoscere a fondo la situazione nel resto di esso può essere simile al cavallo con i paraocchi. So altresì che è pericolo comune ai diplomatici considerare ogni stato in cui siano accreditati come uno dei più importanti della terra, il miglioramento dei suoi rapporti con il proprio paese come uno dei massimi interessi di questo. Mi sorveglio costantemente per non subire l'influsso di quanto mi circonda e sono convinto di non essere attratto o respinto da simpatie o antipatie, le une e le altre dannose in politica, di non essere mosso da preconcetti generali o da interessi personali. Se qualcosa mi fa velo è l'amore di patria, la volontà di dare tutto quel pochissimo che posso per contribuire a preparare il giorno in cui essa sia quale dev'essere e sarà. Ma pure, dopo aver parecchio guardato e molto riflettuto, sono giunto alle conclusioni che ho esposto qui sopra a V. E. Confido che l'E. V. vedrà in esse il segno del compimento degli obblighi che credo impostimi dal mio ufficio, quale che sia il giudizio che su tali conclusioni vorrà dare. Il mio dovere è, dopo d'aver riferito secondo la mia coscienza, d'agire secondo i Suoi voleri, giacchè il decidere e l'ordinare spettano soltanto a V. E. Cl).

l) Non compromettere l'avvenire, lasciar fare il Giappone vorrebbe dire rinunciare a una politica attiva in Cina cioè nella più vasta e importante zona del mondo dove c'è tuttora da sviluppare la civiltà moderna in ogni campo: politico, militare, industriale, culturale, commerciale collaborando con i cinesi con vantaggio reciproco.

2) Nè sembra che tale rinuncia varrebbe ad assicurarci un trattamento di favore da parte del Giappone in Cina; che se mai si giungesse a spartizione di zone d'influenza in Cina è da ritenere che miglior trattamento potremmo assicurarci avendo in Cina quanto più possibile interessi costituiti.

3) Nel caso di un accordo politico sino-giapponese, !l Giappone aumenterebbe sì il suo potere in Cina; ma, data la vastità della Cina e la resistenza sia pur debole delle altre Potenze, non sembra probabile che il Giappone diventi padrone della Cina al punto da poter escludere del tutto le altre Potenze.

4) Nell'ipotesi che con la collaborazione italiana e delle altre Potenze Occidentali, la Cina diventi un grande Stato moderno: a) intanto -continuando la nostra attuale politica -avremo lavorato in Cina; b) pur scontando una ripresa del movimento per l'abolizione del diritti capitolari, non è probabile che la Cina si orienti del tutto contro gli Stati occidentali, sia perché la minaccia giapponese durerà, sia perché la Cina per molto tempo avrà bisogno della collaborazione delle altre Potenze.

5) In quanto al suggerimento principale di Auriti di augurarsi un aumento della potenza giapponese, tale da sfasciare gli Stati occidentali sicché l'Italia possa concorrere alla loro eredità, non sembra che l'Italia debba giuocare le proprie fortune, puntando sulla distruzione di tutti l valori spirituali, politici e materiali dell'occidente, di cui l'Italia stt>ssa è insieme la più antica e la più moderna rappresentante».

(l) Cfr. !l seguente documento, privo di data, a firma Suvlch, che ha per titolo: «Appunti per rispondere al rapporto del R. Ambasciatore in Tokio n. 292 del 6 giugno 1934 XII >>:

362

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1898/728. Tirana, 6 giugno 1934 (per. l'B).

Col mio telespresso n. 1777/677 del 26 maggio (l) c.a. ebbi l'onore di riferire a V. E. che avevo notato in questi ultimi giorni una maggiore attività da parte di dirigenti e personalità albanesi per quanto !)i riferisce ai rapporti con l'Italia.

Il Presidente della Camera, On. Koçio Kotta, che, come dissi, aveva deciso intrattenere il Re sulle relazioni itala-albanesi, è stato in udienza dal Sovrano, senza però aver potuto parlargli a lungo, il suo colloquio essendo stato interrotto. Zog gli ha ordinato di non muoversi dal paese perché avrebbe potuto aver bisogno di ricorrere a lui; !asciandogli così intravvedere ancora una volta l'eventualità di una crisi ministeriale e della composizione di un nuovo gabinetto sotto la sua presidenza.

Anche Kodheli è stato dal Re. Gli avrebbe chiesto denari, con un certo successo; avrebbe messo in luce che le sue relazioni con codesto R. Ministero e specialmente con l'Ufficio Albania sarebbero divenute assai cordiali; avrebbe assicurato il Re delle buone disposizioni del Governo Fascista verso l'Albania; si sarebbe lamentato di Gemil Dino, attribuendogli evidentemente chi sa quale speciale attività di cui forse si preoccupa per la sua personale posizione. Di questi argomenti di conversazione col Re il Signor Kodheli ha dato confidenzialmente notizia ad un suo amico. Non ho avuto per ora altre particolareggiate notizie che mi riservo di raccogliere in opportuno modo dallo stesso Kodheli, che mi ha annunziato una sua nuova visita.

È stato chiamato ieri «a Palazzo» anche il noto Deputato Fejzi Bey Alizoti, di cui son ben conosciute le « attaches » con questa R. Legazione. Il Re gli ha dapprima rivolto alcune domande sui mutamenti che egli sta apportando alle circoscrizioni amministrative del paese; poi è venuto insensibilmente a parlargli delle relazioni con l'Italia. A domanda del Deputato sulle vere ragioni del dissenso con l'Alleata, il Re avrebbe risposto, a quanto mi ha affermato lo stesso Signor Alizoti, che l'Italia non vuole intendere perché le condizioni che pone all'Albania sono inaccettabili, pretendendo di mantenere una distinta minoranza nel paese sotto il suo diretto protettorato e impedendo perfino al Governo albanese di stipulare un Concordato col Vaticano a difesa degli interessi di quella minoranza. Ha aggiunto che questo atteggiamento dell'Italia lo ha messo nella necessità di cercare in Jugoslavia qualche sollievo alle difficoltà gravi che attraversa l'economia del paese; che la Jugoslavia ne profitta per fargli pressione ai danni delle relazioni itala-albanesi; che questa situazione non può però sostenersi e che fra uno o due mesi egli dovrà decidere: se non gli sarà possibile riprendere in pieno i rapporti con l'Italia dovrà senz'altro orientare nettamente la politica del paese verso la Jugoslavia e i Balcani. Fejzi Bey Alizoti si sarebbe

meravigliato col Re delle «pretese italiane» e gli avrebbe chiesto l'autorizzazione di parlarmene; al che il Re avrebbe risposto che a titolo personale avrebbe potuto mostrarsene informato con me, senza far cenno naturalmente a lui.

Quando Fejzi Bey Alizoti mi ha raccontato quanto precede gli ho ricordato come era nata l'attuale situazione dei rapporti italo-albanesi e, in risposta alle pretese nostre domande, mi è sembrato utile leggergli, attenuando due o tre parole, l'appunto di istruzioni che in data 15 gennaio mi era stato dato «brevi manu » costà (l), dicendogli che esso era stato letto da me allo stesso Sovrano, al quale erano pertanto ben note le nostre cosidette pretese. Ho aggiunto che, se avesse dovuto riferire al Re sulla conversazione avuta a titolo personale con me, poteva anche dirgli che, a titolo personale e confidenziale, gli avevo dato lettura di quel documento.

È ritornato anche sulla scena il noto Abdurraman Mathi dopo un periodo di crisi diabetica, che in una prossima recrudescenza s'incaricherà forse di vendicare tutti coloro che hanno conti da regolare con lui. Egli ha avuto l'altro ieri notte un lunghissimo colloquio col Re sulla triste situazione che attraversa il paese e la necessità di una ripresa di collaborazione con l'Italia. Subito dopo si è intrattenuto sullo stesso argomento col Colonnello Sereggi che ha messo al corrente del suo colloquio col Sovrano.

II Colonnello Sereggi è venuto ieri a vedermi, per domandarmi, a nome di Abdurraman Mathi (!asciandomi chiaramente comprendere che «il vecchio » aveva preso al riguardo contatto col Re), se non avessi ritenuto conveniente di riprendere, in forma del tutto segreta e personale, le conversàzioni che furono interrotte la scorsa estate fra me e i Ministri degli Affari Esteri e delle Finanze per una soluzione delle questioni in sospeso, riprendendole con le stesse persone o con altre che fossero state di mio gradimento. Gli ho risposto che io avrei potuto anche riprendere contatto con quelle persone che fossero state in grado di esaminare le questioni in sospeso, in modo da giungere ad un chiarimento della situazione e rendere possibile un ufficiale negoziato per l'auspicata ripresa. Questo fu lo scopo per cui si iniziarono le conversazioni lo scorso luglio; a questo riguardo non si può dire davvero che da parte italiana non si mostrarono allora e poi le migliori disposizioni. Non mi pare invece che da allora ad oggi si sia manifestato da parte albanese uno spirito che abbia migliorato l'atmosfera; si potrebbe am~i dire che le Autorità non hanno perduto occasione per mettere in luce uno spirito ostile. Se oggi si fosse trovato, malgrado ciò, che sarebbe utile la ripresa di contatto, io non potevo che ritenermene soddisfatto perché, essendo ben noti i termini della pendenza, io dovevo opinare che c'era qualche cosa di cambiato, da far sperare in un migliore risultato, senza di che sarebbe stato perfettamente inutile riprendere il negoziato, poiché ci si sarebbe imbattuti nelle stesse difficoltà.

Ciò premesso, poteva dunque essere sicuro che, se avessi effettivamente trovato in eventuali nuovi contatti quelle possibilità di intese che non trovai la scorsa estate, le avrei ben volentieri messe in luce e valorizzate con Roma,

con quale risultato non potevo certo dire ora. Lo pregavo farmi sapere intanto che cosa gli risultava al riguardo, quali erano cioè le nuove disposizioni sulle quali avrei potuto contare; che valore avrebbe potuto avere questo nuovo contatto ai fini dell'auspicata intesa; che cosa ne sapeva il Re.

Mi ha risposto che questo progetto gli era stato esposto da Abdurraman Mathi subito dopo un lungo suo colloquio col Re; che Abdurraman Mathi pur non entrando nelle conversazioni vi sarebbe intervenuto ogni qualvolta vi fosse stata qualche difficoltà e che egli stesso A. Mathi si sarebbe reso garante di fare accettare dal Re quelle conclusioni alle quali si fosse giunti; che si sarebbero dovuti trattare tutti i problemi pendenti per chiarificare completamente l'atmosfera e gettare le basi della nuova collaborazione sulla falsariga delle domande che mi furono fatte nel dicembre scorso da Re Zog (su cui io ebbi ad intrattenere personalmente ai primi di gennaio codesto R. Ministero); che anche il problema delle Scuole avrebbe potuto essere abbordato per quanto si riferisce agli Istituti Industriali e alle Scuole ìtaliane ma non alle Scuole confessionali dichiarandomi che avremmo dovuto lasciare al Governo albanese di trovare esso stesso la soluzione di tale questione. Avessimo fiducia; ché l'avrebbe trovata. Ho aggiunto che da parte italiana non si parla da tempo né di questo né degli altri problemi; il punto di vista dell'Italia è ormai ben noto essendosene parlato abbastanza. Non facevamo ormai che aspettare e l'attesa durava da un pezzo. Io non avevo nessuna ragione di trattare tale questione così scottante per il Governo albanese e che il Governo stesso intende risolvere di sua propria iniziativa, ma dovevo ricordare che il desiderato chiarimento e l'auspicata ripresa non avrebbero potuto verificarsi che con la soluzione di quel problema. La discussione delle altre questioni diventava accademica se non veniva assicurata quella. Non mi rimaneva che ascoltare. Mi dichiaravo dunque alquanto scettico sulla ripresa di dette conversazioni ma mi tenevo pronto ad accogliere qualsiasi procedura che fosse ritenuta utile per l'intento da raggiungere.

Evidentemente assistiamo ad una voluta ripresa di contatti. La seguo con ogni attenzione, pronto a valorizzarla in tutte le sue ragionevoli possibilità.

(l) Cfr. n. 303.

(l) Cfr. serle VII, vol. XIV, n. 563.

363

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2149/0107 R. Vienna, 7 giugno 1934 (per. il 9).

Cancelliere mi ha detto che informazioni di cui all'articolo della Reichspost (mio teleposta n. 1160 del 4 giugno) (l) sono state fornite da un informatore di nazionalità tedesca. Ha aggiunto che, quale che possa essere il reale fondamento di esse, tutto ormai lascia pensare che da Berlino o da Monaco si prepari una qualche azione contro l'Austria, a mezzo dei noti legionari austriaci, che

sono stati perfettamente equipaggiati ed addestrati. Il cancelliere ha quindi insistito meco sul punto che il Governo federale ha preso già tutte le maggiori misure, con opportune dislocazioni di truppa, per fronteggiare ogni evenienza.

Starhemberg, che mi ha accennato alla stessa eventualità di una qualche azione germanica contro l'Austria, pur mostrando di non ritenerla probabile, ha tuttavia rilevato che la situazione interna della Germania appare talmente caotica, che è da chiedersi se e quale dei due o tre centri direttivi colà formati sia quello effettivamente prevalente.

D'altra parte informo che questo R. addetto militare mi ha dato consegna d'un foglio d'informazioni circa i preparativi che si effettuerebbero in Germania per un attacco contro l'Austria, inviatogli dal nostro Stato Maggiore.

Le notizie riferite in detto foglio sviluppano, al postutto, quelle contenute nell'articolo della Reichspost riassunto nel sopracitato teleposta n. 1160, aggiungendo peraltro qualche particolare notizia che è stata probabilmente omessa dal predetto giornale anche per non intralciare l'opera di sorveglianza esercitata al riguardo da questa polizia.

(l) Telespr. 2242/1160, non pubblicato: l'articolo della Reichspost riferiva Informazioni circa 1 piani di lotta del partito nazista germanico contro l"Austria.

364

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 28 maggio -giugno 1934 (l).

SARRE. -Questa questione spinosissima, che non è altro se non l'aspetto attuale -in forma facilmente esasperabile -del duello franco-tedesco, ha visto finalmente conchiudere i negoziati per la sua soluzione, grazie sopratutto al prestigio che mi veniva dal rappresentare V. E.

Tra i due contendenti, i più cavillosi sono stati i francesi. Fino all'ultimo momento c'è stato il pericolo di riveder tutto in alto mare.

Comunque, è necessario però ben chiarire che quella che s'è conchiusa è stata la fase diplomatica. Ma è inutile dire che la partita tra Francia e Germania resta più che mai aperta e che la fase elettorale della questione della Sarre, in quanto porrà a diretto contatto i due contendenti, in condizioni di animo di speciale eccitazione, potrà ancora riservare delle sorprese.

Intanto desidero segnalare a V. E. il concorso intelligente, paziente e preziosissimo che mi hanno prestato il Ministro Biancheri e il Prof. Perassi della

R. Università di Roma, al quale mi permetto proporre di far pervenire l'espressione del compiacimento di V. E. come pure Luigi Cortese e Laura d'Agata di questo Gabinetto.

DISARMO. -Ho esposto quotidianamente gli schieramenti e le manovre. Come impressione complessiva, dirò che essa è stata di confusione e di sfiducia.

Notevole il nuovo schieramento francese, con la Russia volenterosissima, la Turchia e la Grecia. Mancavano però le fiancheggiatrici delle altre volte: la Polonia e il Belgio.

Notevole l'intensità della diffidenza russa verso la Germania che rendeva Litvinov più realista del Re nel far suo il programma della sicurezza.

Notevole, sopratutto, l'indecisione del Governo britannico. Henderson ha perduta in varie occasioni la sua calma pur di cercar di salvare comunque la sua conferenza. Ma la Delegazione britannica ha solo cercato di sabotare la messa in opera di macchine procedurali sulla sicurezza, cercando contemporaneamente di allontanare da sè ogni responsabilità di eventuali fallimenti, e poi si può dire si è assentata.

A me sembra chiaro che gli inglesi non vogliono il disarmo e che, almeno per ora, non desiderano nemmeno la stabilizzazione degli armamenti perché sono preoccupati dello stato precario della loro aviazione. Essi vogliono qualche anno di mano libera per condurre l'aviazione al livello francese e rinforzare la flotta. Fino allora essi saranno ostili anche al Memorandum italiano.

Gli allett8!menti dei francesi e dei neutri sono stati questa volta volti verso la Delegazione italiana. Motta specialmente per due volte ha implorato a nome dei neutri la messa in opera da parte italiana del «metodo della Sarre » nel campo del disarmo.

Seguendo gli ordini di V. E. mi sono disimpegnato da un colpo mancino di Henderson che mi aveva di sua iniziativa incluso in una commissione per armonizzare i vari progetti sulla sicurezza e sono partito, lasciando la barca alla deriva.

(l) Si inserisce sotto il 7 giugno, giorno del ritorno a Roma di A!oisi (cfr. Journal, p. 196).

365

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 7 giugno 1934.

l. -Ho l'onore di unire un primo schema di telegramma (l) per il R. Ambasciatore a Washington redatto d'intesa con S. E. il Ministro delle Finanze (2). Nel telegramma sono anche indicati i termini di una possibile Nota da indirizzare da Rosso al Segretario di Stato. Telegramma e Nota sono fatti nella presunzione che da parte nostra si eseguisca il pagamento di un milione di dollari.

2. -Ho l'onore di unire un secondo schema di Nota pel caso si decida di non fare alcun pagamento. Tale Nota è stata redatta da S. E. il Ministro delle Finanze.

«Mi sembra necessario ed urgente di telegrafare a Rosso per avere, entro domani, un rapporto dettagliato delle ripercussioni di opinione pubblica e di stampa provocate negli Stati Uniti dalla nota inglese, onde sottoporre a S. E. il Capo del Governo tutti gli elementi dl giudizio nel momento in cui Egli dovrà prendere una decisione ».

3. -In relazione, ho l'onore di far presente quanto segue, e cioè che, se si assuma che gli Stati Uniti si accontentino di veder liquidata la quistione dei debiti di guerra senza pagamenti da parte delle singole Poterize europee, non appare dubbio che sia da evitare qualsiasi ulteriore pagamento italiano. Se invece -come dagli elementi attualmente in nostro possesso -si ritenga (come subordinatamente ritengo) che la quistione dei debiti di guerra verso gli Stati Uniti dovrà trovare la sua soluzione in accordi separati che prevedano dei pagamenti da parte degli Stati europei, allora mi sembra che sia da preferire la prima delle due soluzioni: quella cioè di non seguire l'atteggiamento che la Francia ha assunto fin dopo Losanna, e assume ora la Gran Bretagna, ma di perseverare nell'atteggiamento italiano e fare anche a questa scadenza il pagamento dimostrativo di un milione di dollari. Le ragioni sono più particolarmente indicate nello schema di telegramma unito.

Resta da considerare l'atteggiamento dell'Inghilterra verso di noi nel caso che continuassimo a fare dei pagamenti all'America e non all'Inghilterra. A questo proposito è anche da considerare che:

-o i debiti verso gli Stati Uniti si liquideranno senza nessun pagamento, e allora anche la quistione del nostro debito verso l'Inghilterra cadrà automaticamente;

-oppure i debiti verso gli Stati Uniti dovranno trovare una soluzione in pagamenti effettivi, e allora la quistione del nostro debito verso l'Inghilterra si presenterà in ogni caso, si versi ora o meno il milione agli Stati Uniti.

(l) -Gli allegati non si pubblicano. (2) -Jung aveva scritto a Buti lo stesso giorno 7 circa quest'argomento, formulando gli schemi delle due note di cui nel testo. Si pubblica il brano seguente:
366

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2318/1019. Mosca, 7 giugno 1934 (per. 1'11).

Non ho mancato, volta a volta, di segnalare alla E. V. le varie manifestazioni di amicizia turco-sovietica avute luogo in questi ultimi tempi. Mi permetto riassumerle qui di seguito.

1°) Solenne inaugurazione a Cesarea dei lavori del gruppo industriale tessile sovietico in Turchia, presente Ismet Pascià. Krestinski, Primo Commissario aggiunto agli Affari Esteri, e Kaganovich, Vice Segretario del partito comunista, inviavano telegrammi augurali. I giornali ne davano qui la notizia, sotto il titolo «Un monumento dell'amicizia turco-sovietica ».

2°) Visite diverse e missioni di funzionarii del Ministero dei Lavori Pubblici e della Istruzione turchi alle scuole tecniche sovietiche.

3°) Rappresentazioni di artisti lirici e drammatici turchi e concerti di musicisti turchi a Mosca con intervento di autorità politiche etc.

4°) Visita della squadriglia militare turca, che; venuta a Mosca per partecipare alle feste del 1° Maggio, ove aveva figurato in testa a tutte le forze aeree dell'URSS, terminava il suo viaggio ad Odessa fra addii e saluti fraterni quanto solenni.

5°) Ratifica da parte del Parlamento turco del protocollo relativo al credito di 8 milioni di dollari concesso dall'URSS alla Turchia.

6°) Prolungamento della convenzione turco-sovietica per la procedura di soluzione dei conflitti di frontiera fra URSS e Turchia.

7°) Dichiarazioni fatte da Tewfik Ruscdi Bey a Bukarest ove, nel corso del suo recente viaggio, il Ministro turco, metteva in rilievo la portata politi:ca dell'amicizia turco-sovietica, augurandosi di veder presto riallacciate le relaziÒni fra Bukarest e Mosca.

8°) Atteggiamento di Tewfik Ruscdi Bey a Ginevra nei riguardi di Litvinov e delle ultime proposte sovietiche sulla «sicurezza».

Come V. E. vede, si tratta di tutto un crescendo di manifestazioni, implicante un crescendo di intimità e di volontà di collaborazione. La cosa è stata sottolineata dagli stessi giornali sovietici. Così appunto faceva il Journal de Moscou del 25/5 che pubblicava una lista completa e ostentatamente minuta delle manifestazioni stesse.

Coincidenza sintomatica: lo stesso giornale -nello stesso numero -pubblicava un breve trafiletto <<La Turquie monte la garde autour de son indépendance », in cui, riferendo i commenti dei giornali turchi all'insuccesso delle trattative internazionali per il disarmo, sottolineava il dovere della Turchia di rafforzare i propri mezzi di difesa.

È questo il primo pubblico accenno fatto da parte sovietica al movimento turco per il riarmo dei Dardanelli.

Questo crescendo di intimità e di volontà di collaborazione fra i due paesi che si verifica nonostante la non grande stima personale e, in fondo, la diffidenza che Litvinov ha per Tewfik Ruscdi Bey, è un fatto non privo di interesse per noi.

Quali ne siano le cause non è dato bene di capire. L'Ambasciatore dell'Afganistan mi diceva l'altro giorno che, forse, questa maggiore intimità russoturca va messa in rapporto con la necessità da parte sovietica di garantire la situazione caucasica, quanto mai delicata ed aperta alle influenze dirette od indirette della Turchia. Lo stesso collega, tuttavia, non trovava una spiegazione sufficiente da parte turca, essendo evidente che il progredire di questa cosidetta intimità non fa che aumentare la dipendenza della Turchia dalla Russia sovietica; dipendenza di cui l'Ambasciatore afghano vedeva le prove nello stato di abbandono in cui i turchi residenti nell'URSS sarebbero -consenziente o non resistente lo stesso Ambasciatore di Turchia -lasciati.

Comunque stiano le cose da parte turca, è certo che, da parte dell'URSS, l'interesse a mantenersi buona la Turchia non manca. Senza accennare a cause più profonde e permanenti, basti pensare all'interesse contingente che ha l'URSS, mentre si appresta a negoziare con la Francia, di presentarsi a quest'ultima, anch'essa a capo di un «sistema politico». Che anzi, da questo punto di vista e a questi fini, la capacità recentemente mostrata da parte turca di prendere a rimorchio la Grecia, può costituire agli occhi di Litvinov un elemento per indurlo ad esser meno severo ed insistente nella sua condanna dei tentativi turchi di impegolamento negli affari e nelle querele balcaniche.

Il delinearsi di questa situazione non ci può lasciare indifferenti, tanto più che ad essa fa riscontro un progressivo allentamento della amicizia turca per l'Italia. Ora, se è vero che i rapporti itala-sovietici sono un elemento dei rapporti italo-turchi, è anche vera la reciproca: che cioè i rapporti italo-turchi costituiscono un elemento dei rapporti itala-sovietici.

Come V. E. sa, Litvinov si è mostrato in questi ultimi tempi con me ripetutamente preoccupato delle nostre relazioni con la Turchia, dichiarandosi anzi, spontaneamente, desideroso di contribuire al loro chiarimento. Egli non avrà potuto esser lieto delle recenti manifestazioni antitaliane che sembrano avvenute nel Parlamento turco.

In attesa, peraltro, che Litvinov torni a Mosca ed abbia occasione di intrattenersi nuovamente con me della questione anche in rapporto ai suoi colloqui con Tewfik Ruscdi Bey, io sarò grato se V. E. si compiacerà comunicarmi i risultati dell'azione chiarificatrice che il Signor Vassif Bey si riprometteva di svolgere ad Ankara. Nell'occasione, pregherei anche l'E. V. di informarmi, per mia norma, se e quale attitudine si mantenga da parte nostra per riguardo alla questione del riarmo dei Dardanelli.

367

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. U. 771/133 R. Roma, 8 giugno 1934, ore 12.

Seguo con particolare attenzione commenti stampa telegrafati da V. E. Interessa particolarmente conoscere se reazione decisione Inghilterra presso codesta opinione pubblica sia da interpretarsi piuttosto come preludio liquidazione generale debiti analogamente a quello che è avvenuto per le riparazioni tedesche con Losanna, oppure preparazione di una revisione degli accordi esistenti sia pure in un'atmosfera più realistica e quindi più favorevole agli interessi dei debitori. Al riguardo -e pur rendendomi pienamente conto impossibilità fare previsioni sicure -interessami conoscere suo avviso quale ella può indicarlo sia sulla base di codesta stampa, sia da quello che ella desumerà da opinione codesti circoli dirigenti (Congresso ecc.).

Mi telegrafi (1).

(l) Per la risposta cfr. n. 368.

368

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 2142/188 R. Washington, 8 giugno 1934, ore 13,48 (per. ore 22,30).

Telegramma di V. E. n. 133 (1). A mio avviso reazione di questa stampa, che in complesso ha preso atto generali proteste del punto di vista inglese, significa oggi sopratutto questo:

che opinione pubblica americana incomincia a rendersi conto della necessità di abbandonare politica intransigenza e di tenere conto invece della situazione di fatto che esclude ormai qualsiasi possibilità di pagamento integrale dei debiti di guerra.

In questa evoluzione dell'attitudine americana, stampa ha preceduto Congresso, il quale, dominato sempre da preoccupazioni elettorali, la seguirà forse con molta lentezza sulla via del compromesso.

Mancano per il momento indicazioni che permettano di prevedere quale potrà essere compromesso accettabile dagli americani.

Non escludo che alcuni studiosi del problema contemplino fin da ora inevitabilità di una vera e propria liquidazione generale analoga a quella delle riparazioni tedesche.

Non credo però che evoluzione manifestatasi in questi giorni possa condurre facilmente all'accettazione di simile soluzione.

Ritengo invece che per ora si tratti unicamente dell'accettazione dell'idea della revisione e che il Governo e l'opinione pubblica concepiscano tale revisione nel senso della riduzione ma non della cancellazione.

Ritengo ugualmente che accettando idea della revisione verrà mantenuto fermo concetto (affermato ancora recentemente dal messaggio del presidente degli Stati Uniti) delle concessioni individuali da accordarsi ai singoli debitori tenendo conto del loro caso particolare e della buona volontà che mostreranno di assumersi una equa parte del sacrificio.

In conclusione propendo quindi per la seconda ipotesi affacciata dal telegramma di V. E.

369

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Ginevra, 8 giugno 1934.

Come d'accordo con Aloisi ti accludo il resoconto delle mie ultime conversazioni con i Ministri francesi.

Colgo l'occasione per comunicarti che avendo martedì esaurito i lavori della Commissione dei Mandati partirò subito per Praga dove spero definire le questioni interessanti l'ordine di Malta in Boemia ed Austria.

ALLEGATO

Ginevra, 8 giugno 1934.

Barthou ha comunicato ai corrispondenti dei giornali francesi a Ginevra la sua intenzione di recarsi prossimamente a Roma, viaggio che il Consiglio dei Ministri a Parigi ha già approvato.

A tale riguardo, parlando con me, Barthou mi ha confermato che: «Dopo la seduta conclusiva della Conferenza del Disarmo e quelle que puisse etre la formule transitoire adoptée, la nécessité de ma rencontre avec Mussolini s'impose».

Barthou mi ha ripetuto che il Conte de Chambrun gli aveva dato notizia del prossimo incontro di S. E. Mussolini con Hitler, e che di questa informazione egli è molto grato al Governo italiano.

Barthou si recherà subito dopo Ginevra a Belgrado e a Bucarest e mi ha detto che farà presente a quei due Governi il desiderio della Francia che essi si avvicinino a Roma seguendo in ciò l'esempio già dato da Praga. Egli ha già detto a Jeftich, qui a Ginevra, che il Governo francese attribuisce notevole importanza, ai fini del consolidamento delLa pace nell'Europa centrale, al riavvicinamento fra Roma e Belgrado. In tal senso Barthou continuerà ad esprimersi col Ministro degli Affari Esteri JUgoslavo anche in occasione della visita di quest'ultimo a Parigi, visita che avrà luogo in questi giorni.

Barthou mi ha detto che egli non mancherà di tenere al corrente S. E. Pignatti dei colloqui che a tale riguardo avrà con Jeftich, pur non intendendo con ciò volere in alcun modo assumere la parte di un mediatore fra Belgrado e Roma.

Quanto all'epoca del suo viaggio a Roma Barthou mi ha fatto capire che la scelta del momento più opportuno per detto viaggio non dipende unicamente da lui; egli crede però ritenere il mese di luglio come l'epoca più favorevole: ciò perché in giugno egli si è già impegnato per le accennate visite a Bucarest e a Belgrado, perché soltanto a fine giugno le Camere francesi prenderanno le vacanze, perché in agosto ci si troverebbe in piena estate, mentre il settembre sarebbe troppo lontano da oggi e troppo vicino all'Assemblea di Ginevra.

n Ministro della Marina Pietri, ben conosciuto per i suoi sentimenti verso di noi amichevoli, e qui mandato da Parigi per fiancheggiare e temperare l'azione di Barthou alla Conferenza del Disarmo, mi ha oggi confermato quanto ho sopra riferito e mi ha detto che egli accompagnerebbe Barthou a Roma.

Mi ha informato che le uniche obiezioni aJl progetto dd questo viaggio, raLte m seno al Consiglio dei Ministri in Francia, al quale egli aveva assistito, furono avanzate da Tardieu (che tanto Barthou quanto Pietri mi hanno definito «esprit aigri et xenophobe envers et contre tous ») il quale riteneva come poca cosa per gli appetiti italiani quello che Barthou, venendo, potrebbe offrirei. Herriot invece pur versando ancora qualche lacrima sull'incidente di Tolosa, ha appoggiato il progetto approvato da tutti gli altri.

Quanto alla possibilità di dare al viaggio di Barthou a Roma un pratico contenuto al fine della soluzione dei problemi che interessano i due paesi, Pietri mi ha detto:

l) Disarmo: Weygand e Gamelin, Sottocapo di Stato Maggiore, qui presente, sono ormai d'avviso che l'unico orientamento possibile per la Francia in fatto di disarmo sia verso il piano italiano o almeno verso un piano molto vicino a quello italiano; però, aggiunge Pietri, con una solida base giuridica la quale potrebbe consistere nella trasformazione della Reichswehr e dei mezzi tecnici ed armamenti dell'esercito e della marina tedeschi. A questo orientamento lo Stato Maggiore francese non è ora più così avverso.

2) Conjere:nza Navale: Il Governo francese è ormai d'opinione che non sia p1u il caso di parlare attualmente di accordo navale tra Francia e Italia. Pietri intenderebbe tuttavia cogliere l'occasione dell'incontro di Roma per scambiare qualche idea circa la prossima Conferenza Navale e ciò non tanto per esaminare questioni di merito quanto per passare in rassegna i punti di interesse comune alle due Potenze in relazione a detta Conferenza.

3) Questioni coloniali: Pietri mi ha detto che il Governo francese è disposto a dare piena soddisfazione all'Italia sulla questione delle Convenzioni tunisine.

*Circa i compensi coloniali Pietri ha accennato ai confini meridionali della Libia: gli ho risposto che questo problema doveva venire abbordato con ampiezza di vedute e tenendo presenti anche gli scambi di idee che io già avevo avuto gùi scorsi anni con De Caix circa l'Africa orientale.

Ho creduto interpretare così rispondendo, e pur dichiarando di non poter assumere responsabilità al riguardo, quello che credo sia il punto di vista di · Palazzo Chigi in merito a questo problema, lasciando comprendere che l'Italia, a quindici anni dalla fine della guerra non può venire soddisfatta con qualche chilometro di sabbia al sud della Libia, ma che a noi interesserebbe forse poter trovare una base d'intesa anche nell'Africa orientale.

Pietri si è mostrato con me molto ottimista crirca la possibilità di dare soddisfazione all'Italia nella questione di Tunisi e in quena dei compensi coloniali che, onde evitare equivoci, egli conS'iglia però di precisare prima dell'incontro di Roma, evitando possibilmente le difficoltà che possono venire create dai così detti competenti.

Barthou e Pietri ritengono inoltre necessario incorporare queste due questioni, alle quali pe:raltro non mi hanno dato l'impressione di attribuire soverchia importanza, in una intesa più larga che abbracci anche i seguenti tre problemi: Anschluss, relazioni con la Jugoslavia, vasti accordi commerciali .italo-francesi dato che l'incontro Asqumi-Lamoureux non ha dato apprezzabili risultati* (1).

(l) Cfr. n. 367.

370

IL DELEGATO AGGIUNTO A GINEVRA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2138/65 R. Ginevra, 9 giugno 1934, ore 1 (per. ore 5,15).

Norman Davis che si era adoperato nella seduta del Bureau del 6 corrente per aggiornamento dibattito onde esplicare opera di conciliazione fra le tesi contrastanti ha svolto intensa attività nella serata di mercoledì e poi durante tutta la giornata di ieri per determinare accordo inglese e francese su unica mozione.

Accordo realizzatosi su di un testo redatto sulla falsariga progetto di risoluzione francese di cui al mio telegramma n. 61 (2). Inglesi che sino a ieri

Questo implica continuazione immediata della conferenza con vari dei suoi organi politici e tecnici sui seguenti argomenti: sicurezza aeronautica, fabbricazione e traffico armi, e coll'intento di giungere ad una convenzione.

Una sola frase allude a possibili nuovi negoziati diplomatici, nel senso che questa continuazione dei lavori non pregiudica negoziati particolari che certamente Governi volessero intraprendere per facilitare successi finali».

mattina si dichiaravano intransigenti in base istruzioni del Gabinetto di Londra, hanno ceduto su formula che differenziasi da redazione originale principalmente per frase inseritavi che contempla «conversazioni particolari che alcuni Governi potranno intraprendere scopo facilitare successo finale mediante ritorno Germania conferenza». Questa frase che legittima possibile ripresa negoziati fra le cancellerie su punti essenziali problema disarmo parallelamente lavori Ginevra è sembrata agli inglesi tale concessione da rendere accettabile soluzione in contrasto con discorso ministro degli affari esteri britannico del 31 maggio scorso.

Progetto di risoluzione è stato presentato nel pomeriggio di oggi al Bureau per esame preliminare ed a mezz'ora di distanza sottoposto alla commissione generale.

Sono stato costretto tanto nel Bureau che nella commissione generale a dissociare mia posizione da quella degli altri con brevissima dichiarazione. Mi sono limitato precisare disinteresse delegazione italiana da formule come quella in esame che non tengono conto essere inutile qualunque lavoro a Ginevra fino a quando non sia risolto «alcun problema politico essenziale» con palese allusione assenza Germania da Ginevra.

Ho aggiunto che per riunione prevista dalla risoluzione delegazione italiana si sarebbe inspirata posizione di disinteresse adottata, !asciandoci così piena libertà di manovra circa invio o meno ai comitati nostra rappresentanza secondo che apparirà più opportuno giudizio V. E. Nella commissione generale hanno parlato numerosi altri delegati, alcuni in senso nettamente favorevole risoluzione, altri in forma di approvazione accompagnata da dubbi.

Fra i primi: ministro degli affari esteri francese che ha commentato punti essenziali della mozione senza aggiungere nulla di nuovo tranne recisa affermazione che Francia non persegue fine di accerchiamento della Germania sotto nessuna veste, ma che anzi desidera libero ingresso del Reich a Ginevra, intercalando solita grande frase sulla saldezza amicizia Francia Inghilterra. Parlò poi delegato inglese che ha ricambiato Barthou cortesi parole circa amicizia franco-inglese, e infine delegato americano venne dare sua benedizione alla formula compromesso. Fra i secondi: ministro degli affari esteri svedese a nome di sei Potenze neutre che ha riaffermato «urgenza ed importanza problema politico preliminare» intendendo anche lui alludere ritorno Germania a Ginevra; delegato polacco che ha espresso «speranza che progressi ulteriori potranno condurre a soluzione d'insieme accettabile da tutti gli Stati senza alcuna eccezione»; ministro affari esteri... (l) che pur accettando risoluzione non ha mancato esprimere un certo scetticismo nonché delegato bulgaro ed austriaco cui dichiarazioni hanno avuto accenno comune urgenza risoluzione problema parità di diritti.

Notato il fatto che sola dichiarazione delegato bulgaro ha incontrato ostentati applausi ministri esteri romeno e jugoslavo, e ben li meritava per il marcato tono deferente e remissivo.

Alla fine della lunga seduta ho constatato che risoluzione era adottata con la riserva di due delegazioni e cioè quella italiana e polacca.

Commissione generale nella riunione di lunedi prossimo ricercherà metodo pratico per es"ecuzione programma di lavoro adottato.

(l) -Il brano fra asterischi è ed. in DE FELICE, p. 509. (2) -Con t. 2112/61 R. del 6 giugno Aloisi aveva comunicato: <<Ministro degli affari esteri francese accogliendo invito presidente ha presentato ed illustrato oggi al Bureau un progetto francese di risoluzione.

(l) Gruppo 1ndecifrato.

371

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO

T. PER CORRIERE 779 R. Roma, 9 giugno 1934, ore 11.

Ho letto con vivo interesse il suo rapporto n. 825/338 del 28 maggio scorso (l) ed approvo linguaggio tenuto da V. E. con Ismet pascià.

Atteggiamento riservato ed argomenti addotti nel corso della conversazione da codesto presidente del consiglio sono evidentemente indizio di una situazione non ancora normale e comunque di uno stato d'animo tale da far apparire conveniente che alle spiegazioni ed assicurazioni da noi ripetutamente date a codesto Governo segua un adeguato processo di maturazione, lasciando cosi che anche il tempo produca i suoi benefici effetti su quello che può definirsi un attacco di isterismo politico. V. E. continuerà naturalmente, ogni qual volta se ne presenti propizia occasione, nell'opera di persuasione indicatale con telegramma n. 44 (2), mentre da parte nostra sarà posta ogni cura per contribuire a chiarire la situazione; saranno esaminati i mezzi all'uopo più adatti, come pure verranno prese in attenta considerazione le segnalazioni che V. E. riterrà opportuno fare di volta in volta al riguardo (mi riferisco in proposito al telegramma di V. E. n. 74 ed alle comunicazioni fattele in conseguenza) (3), allo scopo di preparare gradualmente 11 terreno a concreti spontanei atti di amicizia che ristabiliscano un'effettiva cordialità di rapporti. È del resto interesse di codesto paese, non meno che nostro, intrattenere buone e cordiali relazioni di amicizia con l'Italia e di ciò dovrà tenersi conto per non dar l'impressione di correr loro dietro.

Per quanto concerne il proposto scambio di informazioni su situazione in Bulgaria, V. E. potrà convenientemente e prudentemente servirsi delle notizie provenienti da Sofia e costi ritrasmesse, tenendo presente che la situazione politica in quello Stato è ancora tale da consigliare un certo riserbo. In ogni modo è da evitare che i nostri contatti con codesto Governo al riguardo possano, se risaputi, essere interpretati a Sofia come l'inizio di un'azione antibuigara da parte dell'Italia e quindi produrvi reazioni analoghe a quelle su cui a suo tempo attirammo l'attenzione di codesto Governo in occasione delle trattative per il patto balcanico e che i successivi avvenimenti non hanno fatto che confermare.

( 3) Cfr. nn. 337 e 353.

30 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

(l) -Cfr. n. 302 che è però del 26 maggio. (2) -Cfr. n. 107.
372

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2156/196 R. Vienna, 9 giugno 1934, ore 21,20 (per. ore 6 del 10).

Questa notte hanno avuto luogo tre gravi attentati ferroviari con distruzione di un importante ponte, nonché altri seri attentati terroristici con uso alti esplosivi.

Cancelliere, con cui mi sono intrattenuto a lungo, ha sostenuto che se detti attentati sono assai «sgradevoli», essi hanno tuttavia il merito di fare cadere sulla Germania responsabilità ed odiosità avvenimenti, che se è rincrescevole che da troppo tempo autori attentati restino sconosciuti e quindi impuniti, ciò è tuttavia dovuto alla grande difficoltà sorprendere criminali.

Cancelliere mi ha quindi pregato di fare sapere a V. E. che egli è assolutamente tranquillo; che non devierà di una linea dal suo programma politico, e che non mancherà di mostrare necessaria energia.

Cancelliere terrà domani un discorso ed è probabile che toccherà degli odierni attentati.

Tutto lascia del resto pensare che avversari Governo attendono attuare una offensiva in grande stile anche allo scopo disturbare completamente movimento turistico.

Vedrò lunedì ministro sicurezza.

373

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2162/76 R. Tirana, 9 giugno 1934, ore 23,15 (per. ore' 11 del 10).

Mio telespresso n. 1812/677 del lo corrente (l).

Permettomi attirare seria attenzione di V. E. due nuovi documenti di cui ho potuto segretamente venire in possesso: una comunicazione del ministro d'Albania a Belgrado in data 19 maggio c.a. a questo ministro affari esteri e la risposta di questi in data 2 corrente riferentisi ambedue al precedente documento fotografato da me trasmesso col citato telespresso.

Riassumo punti salienti:

l) Governo di Belgrado ha chiesto allontanamento definitivo di tutti gli organizzatori italiani specialmente militari;

2) Esso ha anche domandato demolizione fortificazioni;

3) Ha rilevato inutilità esercito albanese, nuova fase dei rapporti amichevoli fra i due paesi visita di garanzia per sicurezza suoi confini;

4) Governo albanese ha confermato che procederà soppressione esercito mantenendo quadri e soltanto due o tre ufficiali organizzatori italiani pro forma;

5) Accordo segreto cui ho fatto cenno nel citato telespresso si riferisce a versamento di somma danaro per la quale Governo Belgrado sta prendendo accordi col Governo francese;

6) Quanto forma del versamento di detta somma Governo albanese sta cercando con quello di Belgrado il modo più adatto perché esso avvenga senza destare sospetti né creare inconvenienti.

Ho fotografato due documenti che trasmetto a V. E. a mezzo speciale corriere col primo mezzo aereo martedì notte a meno che V. E. voglia autorizzarmi, come mi sembrerebbe utile, a portarli personalmente per conferire in proposito con V. E.

(l) Il numero di protocollo particolare è errato poiché è quello del telespr, 1777 del 26 maggio (cfr. n. 303).

374

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. U. 785/138 R. Roma, 10 giugno 1934, ore 18,20.

Telegrammi di V. E. n. 188 (l) e precedenti. l) Prego V. E. di voler, a titolo personale, intrattenere il dipartimento di Stato e sentire se un pagamento di un milione di dollari sarebbe accetto codesto Governo, e in quale forma se ne accuserebbe ricevuta e se esso quindi ometterebbe la dichiarazione che Governo italiano è in «default~. Ritengo questo nelle circostanze possibilmente lo scopo da ottenere. Indicole i seguenti due schemi di nota, uno pel caso che V. E. ricevesse risposta affermativa, uno pel caso in cui la risposta sia negativa.

2) -Primo schema di nota:

Il Governo italiano con l token payments effettuati il 15 giugno e il 15 dicembre 1933 ha dimostrato la sua buona volontà e al tempo stesso i limiti che questa incontra nella situazione di fatto.

Tale situazione non è migliorata da allora né nel campo economico né nel campo finanziario, anzi essa è peggiorata. Le barriere e gli impedimenti agli scambi, fonte prima di possibilità di trasferimenti internazionali sono cresciuti sempre più.

D'altra parte non è affatto da prevedere che possano venire ripresi quegli incassi da parte dell'Italia, che nel 1925 servirono di base per stabilire Italy's ability to put aside and transjer le somme previste dall'accordo 14 novembre 1925.

Animato tuttavia dalla costante volontà di riconoscere il proprio debito in attesa di una sistemazione finale, il Governo italiano è disposto a fare il 15 giugno prossimo un nuovo token payment di un milione di dollari, fiducioso che quando la questione potrà essere riesaminata dai due Governi le premesse stesse della sistemazione del 1925 porteranno, nella nuova situazione che, dopo di allora, si è creata a trovare una soluzione soddisfacente.

3) -Secondo schema di nota:

Il Governo italiano con i token payments effettuati il 15 giugno e il 15 dicembre 1933 ha dimostrato la sua buona volontà e al tempo stesso limiti che questa incontra nella situazione di fatto.

Tale situazione non è migliorata da allora né nel campo economico né nel campo finanziario, anzi essa è peggiorata. Le barriere e gli impedimenti agli scambi, fonte prima di possibilità di trasferimenti internazionali sono cresciuti sempre più.

D'altra parte non è affatto da prevedere che possano venire ripresi quegli incassi da parte dell'Italia a titolo di riparazioni germaniche, che nel 1925 servirono di base per stabilire Italy's abìlity to put aside and transjer le somme previste dall'accordo 14 novembre 1925.

II Governo italiano è sempre animato dalla stessa volontà di riconoscere il proprio debito in attesa di una sistemazione finale ed era pronto a riaffermare tale sua volontà con un nuovo token payment ove tale pagamento non avesse dato luogo ad una dichiarazione di «default».

II Governo americano ha manifestato che ciò gli è impossibile e quindi il Governo italiano deve rinunciare ad attuare un token payment alla scadenza del 15 giugno prossimo mentre d'altro canto il pagamento integrale della rata in scadenza e dei saldi delle rate di giugno e dicembre 1933, nelle condizioni presenti degli scambi e dei trasferimenti internazionali, è fuori di ogni possibile pratica attuazione.

Esso è fiducioso che quando la questione potrà essere riesaminata dai due Governi le premesse stesse della sistemazione del 1925 porteranno, nella nuova situazione, che dopo di allora si è creata, a trovare una soluzione soddisfacente.

4) -Ove ne abbia il tempo telegrafi prima di presentare nota.

(l) Cfr. n. 368.

375

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 786/141 R. Roma, 10 giugno 1934, ore 24.

Suoi telegrammi n. 243 (l) e 244 (2). Questo Ministero, d'accordo con Ministero Colonie, conviene nell'opportunità, anche in relazione all'ordine di idee esposte nel telegramma di V. S.

n. 234 (3), di accettare proposta etiopica nel senso che incidente provocato da razzie Balambaras Afework sia risolto d'accordo ai sensi dell'art. 6 del trattato itala-etiopico 16 maggio 1908.

Ministero Colonie ritiene conveniente che questione sia trattata direttamente dalle autorità di frontiera interessate, e si propone, non appena Governo etiopico avrà comunicato sua definitiva accettazione tale procedura, far pervenire istruzioni Governo Somalia perché invii proprio delegato alla frontiera munito poteri necessari per trattare e risolvere d'accordo con delegato etiopico incidenti relativi razzie Balambaras Afework.

Ministero Colonie non (dico non) ritiene però che sia il caso, almeno per ora, di assumere noi iniziativa di ampliare il compito dei due delegati oltre limiti della proposta etiopica: ciò anche perché ultimo incidente di Barrei concerne Governo della provincia etiopica dei Borana (cioè il Ras Desta Damtou); mentre incidenti Balambaras Afework concernono Governo Harrar, dal quale soltanto ci attendiamo per ora venga nominato il delegato.

Quanto all'ipotesi che il Governo etiopico ci ponga questione delimitazione frontiera Somalia-Etiopia, mentre si prende atto risposta data da V. E. al riguardo (suo telegramma n. 251) (4) in base precedenti istruzioni, ministero .:olonie è ancora del parere che ci convenga attendere che iniziativa etiopica si verifichi, in quanto una iniziativa nostra al riguardo -nell'opinione del

R. ministero colonie -non solo non gioverebbe alla chiarificazione dei rapporti itala-etiopici ma creerebbe di per sé un nuovo campo di contrasti e una nuova occasione di tensione.

In base a quanto precede prego V. S. voler comunicare a codesto Governo adesione R. Governo alla proposta etiopica di cui suo telegramma 243.

376

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI

T. 787/198 R. Roma, 10 giugno 1934, ore 24.

Telegramma di V. S. n. 310 (5).

Lieto dell'interessamento che generalissimo dimostra per le cose del fascismo e persuaso dei vantaggi che potranno derivare alla Cina da una riorga

nizzazione della vita politica ed economica del paese secondo i principi fondamentali cui si ispira il fascismo, adattati alle peculiarità storiche e psicologiche di codesto grande popolo, ben volentieri aderisco desiderio espresso a

V. S. da Chang Kai-Shek di inv,iare costà missione educativa fascista italiana.

Mi riservo di indicarle al più presto i nomi dei componenti la missione che saranno scelti con la massima cura fra persone che abbiano già dato prova loro capacità organizzative, che parlino correntemente l'inglese. Sarebbe mio intendimento che il capo della missione sia particolarmente competente in materia organizzazione del partito, uno dei membri sia esperto in materia corporativa ed un altro in materia organizzazione giovanile; potrebbe essere oppor

tuno aggregare alla missione un funzionario del ministero degli affari esteri al fine rendere più agevoll contatti tra m1ss10ne ea autorlta. cmest.

Nessun compenso sarà chiesto per membri missione.

Prego S. V. comunicare senz'altro miei proponimenti a Chang Kai-Shek,

prendendo con lui accordi per definire piano lavoro missione e data alla quale egli gradirebbe venisse iniziato. Attendo sua risposta esito colloquio Chang Kai-Shek per Indicarle nomi componenti missione.

(l) -T. 1965/243 R. del 25 maggio, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 289. (3) -Cfr. n. 250. (4) -Cfr. n. 322. (5) -Cfr. n. 269.
377

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2163/197 R. Vienna, 11 giugno 1934, ore 1,20 (per. ore 5,30).

Teleg,ramma di V. E. n. 99 (l). Ho veduto testé cancelliere che non ha potuto recarsi in provincia per annunziato discorso, dovendo presiedere consiglio dei ministri riunito d'urgenza.

Cancelliere cui" ho fatto riservata comunicazione prescrittami, mi ha pregato ringraziare V. E. profondamente e di rappresentarle, per quanto riguarda invito Riccione, suo subordinato desiderio poter condurre con sé moglie e bambini.

Riferendosi poi attentati nazisti di cui al mio telegramma n. 196 (2), cancelliere mi ha detto che consiglio dei ministri, nella seduta di stamane, ha convenuto sulla necessità di abbandonare tutte quelle cautele che erano state praticate fino ad ora allo scopo non disturbare .turismo, aumento polizia e

lieto di vederlo a Riccione quale mio ospite quando mi recherò in quella località nell'estate più avanzata ».

gendarmeria, epurazione burocrazia, formazione in ogni villaggio di un corpo di sorveglianza, rigida applicazione delle leggi di eccezione ecc. destinate fronteggiare attuale situazione.

Consiglio dei ministri si riunirà anche questa sera, cancelliere avendo chiesto ad ogni ministro di esaminare se e quali nuove proposte potessero essere fatte nell'ambito di ciascun ministero per reprimere nel modo più sollecito e radicale azione nazista.

Accennando poi alla eventualità che Governo tedesco, di fronte reazione austriaca, possa voler mostrare sua resipiscenza con abolizione nota tassa 1000 marchi per visto passaporti, cancelliere ha dichiarato che Governo federale, per ovvie ragioni, non (dico non) ha alcun interesse acché sia presa tale misura.

Mi risulta infine che codesto ministro d'Austria è stato incaricato informare V. E. delle misure che il Governo federale sta per adottare e di chiedere allo stesso tempo parere di V. E. sull'opportunità o meno di portare questione dell'offensiva nazista sul terreno internazionale (1).

Ho motivo di credere che tale ultima domanda sarà rivolta a V. E. sopratutto perché V. E. possa farla valere, qualora credesse opportuno, come un avvertimento alla Germania, nei suoi colloqui col cancelliere tedesco.

(l) Riferimento errato; si tratta del seguente t. p. 7659/121 P.G. del 9 giugno: «Richiamandoml comunicazioni precedenti prego V. S. Informare cancelliere che Hitler sarà Venezia giorni 14-15 corrente ove io lo incontrerò. In colloqui terrò conto raccomandazioni fattemi cancelliere Dollfuss. Assicuri Dollfuss che Incontro era già stato inteso fin da parecchimesi e che nessuna ragione o motivo particolare ha determinato la scelta di questo momento. Terrò informato cancelliere Dollfuss delle conversazioni. Non sarà data notizia al pubblico del convegno che all'ultimo momento, perciò prego tenere notizia riservata. Non è escluso che successivamente possa venire Roma Barthou. Prego anche fare sapere cancelliere che sarò

(2) Cfr. n. 372.

378

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2179/191 R. Washington, 11 giugno 1934, ore 18,50 (per. ore 3,30 del12).

Telegramma di V. E. n. 138 (2).

Conformandomi alle istruzioni di V. E. ho veduto subito sottosegretario di Stato Phillips.

Premetto che per riservare fino all'ultimo a R. Governo la libertà di decidere in un senso o nell'altro ho prospettato al sottosegretario di Stato varie ipotesi come di mia personale iniziativa aventi scopo di mettere l'E. v. in grado di prendere decisione con piena conoscenza di causa.

Ho in primo luogo chiesto se nel caso che Governo italiano offrisse pagamento di un milione dollari Governo degli Stati Uniti avrebbe potuto accettare offerta con una dichiarazione che esplicitamente o implicitamente affermasse inesistenza del «default».

Come era da prevedere sottosegretario di Stato mi ha risposto che dichiarazione del genere era assolutamente impossibile. Ho chiesto allora se pagamento di un milione avrebbe provocato dichiarazione di «default:..

Anche a questa domanda sottosegretario di Stato ha risposto negativamente, osservando che se presidente non poteva far dichiarazione che escludesse «default» non aveva però alcuna ragione di dichiararlo in una occasione del genere, visto che dichiarazione positiva di default si rende necessaria solamente quando si presentassero dei casi contemplati dalla legge Johnson, cioè richieste di prestito oppure offerte sul mercato americano di titoli dello Stato debitore eccetera.

Ho chiesto infine se nel caso R. ambasciata indirizzasse nota con offerta di pagamento di un milione di dollari Dipartimento di Stato avrebbe accettato ed in quale forma avrebbe accusato ricevuta del pagamento.

Sottosegretario di Stato mi ha detto che alla nota contenente offerta Dipartimento di Stato non, dico non, avrebbe risposto formalmente, limitandosi a far conoscere in via ufficiosa se pagamento poteva essere o meno accettato.

Risposta formale sotto forma di accusa di ricevuta sarebbe stata data alcuni giorni dopo avvenuto pagamento. A questo punto ho insistito perché sottosegretario di Stato mi facesse conoscere, sia pure a titolo personale, se eventuale offerta sarebbe stata gradita.

Gli ho ricordato che alla scadenza del giugno 1933 risposta del Dipartimento di Stato conteneva frase non simpatica che definiva nostra offerta di un milione come « unsubstantial » (1) e gli ho osservato essere mio dovere assicurarmi per ogni evenienza che frase del genere non sarebbe stata ripetuta.

Sottosegretario di Stato mi rispose che personalmente egli considerava nostra eventuale offerta come accettabile ma che non poteva darmi assicurazione senza aver prima consultato presidente.

A due ore di distanza dalla nostra conversazione sottosegretario di Stato mi ha comunicato che, dopo consultato presidente, poteva assicurarmi che eventuale offerta italiana sarebbe stata accettata e che nota per accusare ricevuta sarebbe stata redatta «in termini amichevoli».

Il presente telegramma continua col n. successivo (2).

(l) -Cfr. n. 383. (2) -Cfr, n. 374.
379

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A TOKIO, AURITI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 788 R. Roma, 11 giugno 1934, ore 19.

(Per Tokio): Mio telegramma n. 61 (3).

(Per tutti): Questo ministero ha informato ambasciata britannica (4), in risposta ad analoga comunicazione, che concorda sulla convenienza di preli

minari conversazioni tra le Potenze maggiormente interessate alla prossima conferenza navale.

Secondo chiarimenti forniti da questo ambasciatore britannico, suo Governo intende iniziare a Londra separate conversazioni con i quattro Governi interessati, ciascuno dei quali dovrebbe essere tenuto al corrente del corso di esse, ciò che non impedirebbe analoghe conversazioni bilaterali fra altri Governi.

Segue dispaccio.

(l) -Cfr. serle VII, vol. XIII, n. 898. (2) -Cfr. n. 381. (3) -Cfr. n. 315. (4) -Con nota verbale 219096/100, pari data, che non si pubblica.
380

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BRUXELLES, VANNU TELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, E A W ASHINGTON, ROSSO

T. 7725/c. P.G. Roma, 11 giugno 1934, ore 20,15

(Per tutti): Giorni 14-15 corr. S. E. capo del Governo si incontrerà con Hitler a Venezia. Non si darà notizia al pubblico che all'ultimo momento. Notizia è quindi da mantenersi riservata.

(Per tutti meno Ankara): Codesto Governo informato a mezzo suo ambasciatore.

(Solo per Ankara): V. E. è autorizzata a informare riservatamente codesto Governo.

381

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2182/192 R. Washington, 11 giugno 1934, ore 20,32 (per. ore 7 del12).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il n. di protocollo precedente (l).

Poiché risposta datami da sottosegretario di Stato soddisfa condizioni indicatemi da V. E., preparerò nota conforme al testo n. l di cui al telegramma

n. 138 (2).

Prima di inviarla sottometto però a V. E. quanto segue:

1°) -Nel primo schema di nota penultimo alinea contiene frase: «d'altra parte non è affatto da prevedere che possano venire ripresi quegli incassi da parte dell'Italia che nel 1925 ecc. ecc.~.

Nel secondo schema di nota sono aggiunte parole: «a titolo di riparazioni germaniche ~. Prego telegrafarmi se si tratta di omissione voluta oppure se devo aggiungere tale inciso.

2°) -Mi risulta che il presidente ha fatto obbiezione nel passato alla espressione «token payment » e preferisce quella di « payment on account».

Prego telegrafarmi se sono autorizzato a fare tale sostituzione per lo meno nell'ultimo alinea.

A titolo informazione comunico che questa ambasciata del Belgio e legazione cecoslovacca hanno già presentato note che escludono pagamento alla prossima scadenza.

In attesa delle istruzioni definitive (1), che prego farmi pervenire al più presto, tengo ancora ad assicurare che, conformandomi alle direttive di V. E., ho avuto mia conversazione odierna con sottosegretario di Stato in via personale, in modo da non impegnare per nulla decisione finale di V. E.

(l) -Cfr. n. 378. (2) -Cfr. n. 374.
382

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 11 giugno 1934.

L'Ambasciatore von Hassell è venuto a farmi la seguente comunicazione riservata da parte del suo Governo:

Il giorno 7 si è recato al Ministero degli Esteri tedesco l'Ambasciatore François Poncet per informare da parte di Barthou che Litvinov aveva fatto la proposta per un così detto «Patto orientale». A questo Patto dovrebbero partecipare la Russia, la Germania, la Polonia, la Cecoslovacchia e gli Stati Baltici.

Il contenuto del Patto sarebbe triplice: clausole di consultazione per il caso che uno dei partecipanti ritenga minacciata la propria sicurezza; clausole di non aggressione; clausole di mutua assistenza per il caso che uno dei partecipanti sia aggredito.

Barthou ha fatto sapere che la cosa lo interessa. La Francia potrebbe, se mai, entrare come garante di questo Patto verso un corrispondente rafforzamento della garanzia di Locarno (il che vorrebbe dire che la Russia interverrebbe come garante di Locarno).

Il Governo tedesco studierà la cosa. Come prima impressione può dire che il progetto non pare rispondere agli interessi tedeschi, inquantochè la Germania entrerebbe in un gruppo in cui le

forze che potrebbero formare una coalizione contro i tedeschi: Francia, Russia e Cecoslovacchia, sono in maggioranza. Si tratta di partecipare quindi ad un sistema che segnerebbe una forma di egemonia franco-russa in Europa. Per quanto riguarda invece il contenuto del Patto non avrebbe delle serie obiezioni. Il Cancelliere Hitler aveva preso lui l'iniziativa di patti di non aggressione coi vicini ed era favorevole anche alla consultazione; al tempo della presentazione del Memorandum inglese (marzo 1933) la Germania è andata anche più in là dichiarandosi pronta ad aderire ad un Patto di «non impiego della forza'>.

Però si era sempre pensato che queste disposizioni dovessero trovare posto in un accordo generale e non in un accordo di gruppo, nel quale non partecipano alcune Potenze europee come l'Inghilterra e l'Italia.

Il Governo germanico sarebbe molto interessato a conoscere l'opinione del Governo italiano nei riguardi di questo Patto e sarà lieto di tenersi anche in avvenire in contatto col Governo italiano su questo soggetto.

Ringrazio l'Ambasciatore per questa comunicazione e mi riservo di dargli una risposta O).

(l) Cfr. n. 397.

383

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, RINTELEN

APPUNTO. Roma, 11 giugno 1934.

Il Ministro Rintelen è venuto ad informarmi degli ultimi provvedimenti presi dal Governo austriaco per combattere il terrorismo nazista.

Il Governo di Vienna ha tuttavia l'impressione che il prossimo incontro fra il Capo del Governo italiano e il Cancelliere Hitler potrà essere sfruttato contro l'Austria indebolendone effettivamente la posizione. Risulta in modo preciso al Governo austriaco che l'iniziativa, gli ordini e l'organizzazione degli attentati partono dalla direzione per l'Austria di Monaco di Baviera.

Il Governo austriaco vorrebbe sentire anche l'opinione del Governo italiano se non ritenga che di fronte all'aggravata situazione non sia il caso di portare la cosa a Ginevra per investirne l'opinione pubblica mondiale.

Il Governo austriaco ad ogni modo è deciso ad agire con energia ed è sicuro di poter difendersi da sè.

Rispondo al Ministro Rintelen che non è possibile sospendere l'incontro. Che ci rendiamo conto anche noi della delicatezza del momento determinata da questa campagna terrorista; che d'altra parte l'atteggiamento del Capo del Governo nei riguardi dell'Austria è conosciuto ed è immutabile.

(l} Per il punto di vista italiano cfr. n. 432.

Per quanto riguarda l'eventuale ricorso alla Società delle Nazioni, mi riservo di dare una risposta che potrà essere anche completata dall'esito dei colloqui di Venezia.

384

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, RINTELEN

APPUNTO. Roma, 11 giugno 1934.

È tornato il Ministro Rintelen per dichiararmi in modo preciso e categorico da parte del suo Governo che gli attentati terroristici che avvengono in questi giorni in Austria sono di origine nazional-socialista secondo disposizioni che partono dalla Germania.

Ciò perchè il Cancelliere Hitler cercherà probabilmente di gettare la colpa degli attentati sui comunisti (l).

385

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

RELAZIONE. Roma, 11 giugno 1934.

II R. Incaricato d'Affari a Bagdad ha informato che, nel corso di colloqui da lui avuti col Ministro degli Esteri e col Presidente del Consiglio dell'Iraq, dette autorità ebbero a manifestargli il desiderio del Governo di Bagdad di stringere più intimi rapporti con l'Italia. A seguito di tali colloqui egli ha ricevuto una nota ufficiale segreta in data 20 Maggio u.s., con la quale il Governo irakiano esprime il desiderio di rafforzare le amichevoli relazioni esistenti con l'Italia e fa in conseguenza presente la buona disposizione del Governo di Bagdad ad iniziare trattative per la conclusione di un Trattato di amicizia, di commercio e di estradizione «in confo,rmità agli usi internazionali esistenti fra Potenze amiche per la salvaguardia dei loro interessi reciproci~-II Governo irakiano -termina la nota -attende di conoscere il parere del Governo italiano al riguardo.

La Direzione Generale Affari Politici III considera che la proposta irakiana meriti, in linea di massima, di venire accolta, per quanto riguarda la conclusione di un trattato di amicizia e di un trattato di estradizione.

che i più gravi attentati terroristici fatti in questi giorni !n Austria sono di origine nazlonalsocial!sta e che l'organizzazione proviene da oltre frontiera».

Circa il trattato di amicizia, per quanto sia nota la particolare situazione del Governo di Bagdad, formalmente indipendente, ma sostanzialmente nell'orbita della politica imperiale britannica, l'accoglimento da parte nostra della proposta irakiana presenterebbe il vantaggio di accordare all'Iraq una soddisfazione morale non indifferente, dato che il progettato trattato di amicizia con l'Italia sarebbe il primo trattato di carattere politico che l'Iraq concluderebbe con una Potenza straniera dopo la cessazione del Mandato; ciò che sottolineerebbe, sia pure da un punto di vista solo formale, l'indipendenza dell'Iraq e l'autonomia della sua politica estera, almeno nei limiti stabiliti dal trattato di alleanza anglo-irakiano del 1930. Inoltre l'accoglimento della proposta irakiana ci consentirebbe di cercare di sviluppare la già iniziata azione di sgretolamento del monopolio inglese in Iraq, per quanto riguarda l'assistenza amministrativa e tecnica, della quale il giovane Stato ha ancora bisogno; e di fare quindi assumere all'Italia una posizione in Iraq, inferiore soltanto a quella dell'Inghilterra.

Inoltre il rafforzamento dell'amicizia italo-irakiana ben si inquadra con le direttive segnate da S. E. il Capo del Governo per quel che riguarda la nostra azione politica generale verso i paesi arabi del vicino Oriente.

Per quanto riguarda il Trattato di estradizione, non sembra vi siano in massima difficoltà alla sua conclusione.

Per quanto invece riguarda il Trattato di commercio, dato che esiste un impegno preso dall'Iraq verso la S.d.N., in occasione della cessazione del Mandato, impegno in base al quale l'Iraq è obbligato a concedere unilateralmente la clausola della Nazione più favorita, per la durata di 10 anni, a tutti gli Stati membri della S.d.N., sembrerebbe conveniente di lasciar cadere opportunamente la proposta.

Ispirandosi alle suespresse considerazioni, la Direzione Generale Affari Politici III ha formulato l'unito telegramma di istruzioni per Bagdad, che si ha l'onore di sottoporre all'approvazione dell'E. V. (1).

(l) Il 12 giugno suvich inviò all'Ufficio Stampa il seguente appunto: «Mettere in rilievo che secondo accertamenti precisi fatti dal Governo di Vienna risulta

386

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. R. 2332/1197. Vienna, 11 giugno 1934.

Avant'ieri questo Direttore Generale degli Affari Esteri mi ha lungamente intrattenuto sul carattere antitaliano che sta prendendo l'agitazione nazista in Tirolo ed in Vorarlberg.

«Pregola altresì riferire, per opportuna norma di questo Ministero se e quale atteggiamento codesta ambasciata britannica abbia assunto in relazione alla proposta iraklana >>.

Ad avviso del Ballplatz, così come vengono da Monaco impartiti ordini precisi per l'attività terroristica (ed a tal proposito è sintomatica la lettera scoperta presso un arrestato di Salisburgo, circa la quale riferisco a parte (V. rapporto

n. 1204) (l), dalla Germania partirebbero anche istruzioni precise, per i dirigenti nazisti di qui, di cercare di intorbidare in ogni maniera le relazioni italaaustriache, prendendo principalmente come spunto e come campo di azione la questione dell'Alto Adige.

A tal riguardo il signor Hornbostel mi ha anche mostrato vari comunicati diramati -circa la pretesa snazionalizzazione di detta regione -da agenzie giornalistiche di Berlino e di Monaco.

A suo dire, questa campagna sarebbe suscettibile di produrre, malauguratamente, buoni frutti presso la popolazione di dette regioni poiché -come ho avuto occasione di segnalare ripetutamente a V. E. -la maggior parte degli elementi nazisti del Tirolo e del Salisburghese si identificano con ex appartenenti al partito pangermanista e quindi irredentista.

(Noto che questo riacutizzarsi della campagna pro-Alto Adige da parte dei filo-,nazisti, mi viene segnalato anche in Carinzia, ave il nazismo locale cercherebbe di aizzare contro di noi il clero e l'elemento cattolico della zona, sulla base di pretese rivelazioni circa il trattamento fatto ad ecclesiastici allogeni in Tirolo; rapporto del R. Console a Klagenfurt n. 1192 del 7 corrente, trasmesso in copia a V. E. con il mio telespresso odierno n. 1206) (l).

In tali considerazioni di cose, ed in vista sopratutto di un viaggio che il Cancelliere intenderebbe compiere nel Tirolo alla fine del corrente mese, il signor Hornbostel mi ha detto che gli riuscirebbe ben difficile, onde non dar esca, insieme, agli oppositori nel Governo ed agli agitatori irredentisti, di procedere a provvedimenti retroattivi nei confronti dei noti due numeri del SudTiroler (mio telegramma n. 192 del 29 Maggio) (2), dichiarandosi invece pronto senz'altro, malgrado non sia ancora in vigore la censura preventiva, a sorvegliare da ora in avanti strettissimamente detto giornale per evitare il ripetersi di tali deplorevolissime pubblicazioni, e a procedere severamente contro di esso, in avvenire, nel caso in cui le disposizioni che il Governo Centrale stava per impartire non fossero, da esso giornale, strettamente eseguite.

Inoltre egli mi ha detto che -al fine di evitare spiacevoli incidenti «che il Governo non crede di essere in grado di prevenire -sarebbe vivo desiderio del Governo Federale -che il progettato viaggio degli avanguardisti (telespresso di v. E. n. 843585/30 del 17 Maggio u.s.) (l) non toccasse Innsbruck: ciò in considerazione, a parte quanto sopra è esposto, del rilevante numero dei partecipanti alla crociera nonché del fatto che quella zona sarebbe proprio la prima regione austriaca visitata dai gitanti.

A tal riguardo, mentre mi onoro richiamarmi al mio telespresso 1108 del 28 u.s. (l) con il quale esprimevo il mio avviso circa analoghe considerazioni esposte dal R. console generale ad Innsbruck, sottopongo la richiesta del Ballplatz all'E. V. con preghiera di volermi cortesemente far conoscere le Sue alte decisioni.

(l) Il telegramma venne inviato il 18 giugno col n. 820/47 R. e riproduce il contenuto della relazione di Buti. Se ne pubblica solo il brano finale:

(l) -Non pubblicato. (2) -T. 5379/192 P.R., non pubblicato.
387

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2191/202 R. Vienna, 12 giugno 1934, ore 21,30 (per. ore 3,30 del 13).

Ministro di Germania si è recato stamane cancelliere rappresentandogli:

1° -Non poter consentire che stampa e comunicati ufficiali facessero risalire a Berlino responsabilità attentati nazisti senza avere prove, tanto più che sua impressione era che attentati provengano da riorganizzate forze socialiste;

2° -Di ritenere che delicata situazione potrebbe sanarsi chiamando al Governo adeguata rappresentanza nazista.

Cancelliere ha risposto:

1° -Che il Governo stava raccogliendo documentazione circa corresponsabilità tedesca, ma che non intendeva darne comunicazione alcuna prima che essa non fosse completa;

2° -Che per quanto riguarda pacificazione questa presupponeva completa cessazione agitazione; che ad ogni modo, circa suggestione chiamare ministero questa o quella personalità, egli respingeva recisamente ogni intromissione affari interni austriaci.

388

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO U. Roma, 12 giugno 1934.

In una riunione tenuta col Ministro Jung si è esaminata la questione dei debiti sulla base dei recenti telegrammi inviati dall'Ambasciatore Rosso. Si è rilevato che contro il pagamento si possono far valere le seguenti ragioni:

l) Non è interesse nostro che questi pagamenti semestrali che ormai sarebbe l'Italia sola, o presso a poco, a fare, mantengano accese delle illusioni nel pubblico americano.

2) È difficilmente giustificabile il nostro atteggiamento di fronte all'Inghilterra che si trova nella impossibilità di pagare l'America perché noi e gli altri suoi debitori non paghiamo lei. È certo che l'Inghilterra dovrà prendere posizione contro tale atteggiamento non potendo accettare di essere considerata, in queste condizioni, insolvente.

3) Nell'opinione pubblica italiana non si comprenderebbe bene perché noi si paga mentre gli altri non pagano.

D'altra parte l'esito dei passi fatti, sia pure in forma personale dall'Ambasciatore a Washington rende ora più difficile un nostro rifiuto di pagamento anche dimostrativo. Se si decidesse nel senso del pagamento, bisognerà evidentemente chiarire il nostro atteggiamento con la Gran Bretagna.

389

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 1990/754. Tirana, 12 giugno 1934.

Col mio telegramma segreto n. 76 del 9 corrente (l) mi sono permesso attirare la particolare attenzione dell'E. V. sul contenuto dei documenti di cui avevo potuto entrare in possesso e di cui davo un largo sunto. Infatti essi non solo mettono in luce che questo Governo, o meglio il Re, sta prendendo segreti accordi con il Governo di Belgrado che tendono a dare all'Albania un orientamento politico diverso e contrario a quello basato sull'alleanza con l'Italia, ma con esso vengono alterati i veri fattori sui quali noi abbiamo fatto calcolo fin qui nell'adottare la linea di condotta assunta a seguito dell'atteggiamento preso dal Governo albanese circa le Scuole; e che consistono nelle difficoltà nelle quali si sarebbe venuto a trovare il paese a causa della sospesa assistenza finanziaria italiana, difficoltà che avrebbero dovuto, dopo un certo periodo di tempo, mettere in condizione Re Zog di capitolare o che in caso di sua assoluta intransigenza avrebbero potuto suscitare un tale malcontento nel popolo da mettere in serio repentaglio il regime.

Feci presente, in precedenti rapporti sulla situazione qui creatasi con la sospensione del prestito politico e sui suoi prevedibili sviluppi, che la nostra linea di condotta avrebbe portato alla maturazione degli eventi, quale era stata da noi prospettata, più rapidamente e più facilmènte, se minori fossero le possibilità di resistenza morale e materiale del Re e del paese. Era però evidente che la nostra linea di condotta avrebbe mancato completamente al suo scopo e sarebbe stata efficacemente e brillantemente ribattuta dal Re se questi fosse riuscito a trovare altrove quegli aiuti finanziari che gli venivano a mancare da parte dell'Italia, anche se in proporzioni appena sufficienti per i bisogni dello Stato. In tal caso la situazione avrebbe potuto completamente rovesciarsi ai nostri danni.

Da quando i rapporti italo-albanesi vennero, nel marzo dello scorso anno, alterati, Re Zog ha messo in opera tutte le sue armi * per farci recedere dal

nostro atteggiamento cercando di impressionarci in tutti i modi con quella subdola arte del manovrare in cui è abilissimo* (1).

Ha fatto adottare dal suo Governo una vera politica di ostruzionismo verso i nostri diretti interessi in questo paese (citerò le questioni A.I.P.A. e S.A.M.); ha introdotto leggi non favorevoli alla nostra politica economica (legge sui Municipi; legge sulla pesca; legge su nuovi diritti di consumo che colpisce sul nascere la nuova grande fabbrica di birra a Coritza, ecc.), ci ha indotti a ritirare quasi tutti i nostri organizzatori civili e sta allontanando quelli militari; ha montato o cercato di montare uno spirito pubblico ostile all'Italia e agli italiani; ha voluto intimorire i fuorusciti nostri amici, facendo uccidere il loro capo Hassan Bey Prishtina, vari funzionari simpatizzanti per noi allontanandoli dal loro impiego; ha trafficato con lo straniero cercando di offrirsi a chi fosse meglio disposto a prendere la successione dell'Italia; si è riavvicinato a Belgrado.

Noi abbiamo continuato a opporre la più assoluta indifferenza per spingerlo a persuadersi che le sue manovre non ci avrebbero scossi e che solo affrontando il problema delle nostre relazioni nei suoi reali termini sarebbe riuscito a normalizzarle. Forse se ne sarebbe meglio persuaso se fossimo andati più in là, se cioè avessimo accompagnato la nostra linea di condotta da qualche misura che saremmo stati in diritto di prendere e che avrebbe potuto affrettare la maturazione degli eventi, come accennavo più sopra (mi riferisco particolarmente ai diritti della S.V.E.A. e alle possibilità •::he ci avrebbe potuto dare nel campo economico la denunzia del trattato di commercio). Avremmo potuto trovar modo di preoccupare il Re nelle sue note debolezze che sono quelle della grande paura che lo invade per la sua sicurezza e per quella dei suoi intimi, perché la sente, specie in questi ultimi tempi, maggiormente minacciata dai suoi numerosi nemici, e indirettamente avremmo potuto far meglio sentire a questi il nostro raffreddamento per il regime vincendone la diffidenza verso di noi, che, per lo stesso perdurare di questa politica di passiva attesa, si va sempre più infiltrando nei loro animi.

In ogni modo, per quanto la nostra linea di condotta può aver in qualche modo facilitato l'intransigenza del Re e rafforzata la sua posizione nei nostri riguardi, la sua resistenza verrebbe debellata in un tempo ormai molto prossimo purché -«conditio sine qua non» -nelle ormai esauste membra di questo disgraziato paese non vengano iniettati nuovi ricostituenti in forma di moneta sonante.

Dissi già che il riavvicinamento con Belgrado, che volle essere nell'animo del Re un'arma di pressione nei nostri riguardi, avrebbe potuto divenire un giuoco pericoloso. Il governo jugoslavo conosce molto bene il suo uomo e le sue, chiamiamole così, volubilità, e si rende ben conto della necessità di profittare della alterata situazione dei rapporti itala-albanesi per togliere l'Albania dalla influenza dell'Italia, reso su ciò anche edotto dalla cattiva prova fatta in passato, quando fu tradito da Zog e giuocato dall'Italia. *Il Re, come in un precedente rapporto ebbi l'onore di prospettare, sta per farsi insensibilmente

31 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

aggiogare al carro della politica jugoslava pur dovendo rendersi conto che, come ripeto, il giuoco rischia di diventare assai pericoloso per lui*.

La Jugoslavia, a quanto si può giudicare dalle rivelazioni fornite dai noti documenti, sta comperando Zog coi denari della Francia. Zog gli vende la situazione dell'italia in Albania.

La politica· che certe altre Potenze hanno fatto a Tirana, sopratutto da quando i nostri rapporti politici si sono alterati, non è stata mai troppo chiara, non è stata certo inattiva e ha avuto comunque come obbiettivo di facilitare l'orientamento contro di noi di quelle tendenze nazionaliste che si sono andate sviluppando nel popolo, istillate nel suo animo proprio dalla nostra passata politica, di incoraggiare il Re nella sua resistenza; di accentuare la diffidenza del Governo verso la grande Potenza alleata; di portare un piccolo aiuto alle stremate condizioni economiche con nuovi accordi commerciali. Tutte in generale le Potenze qui accreditate, compresa la lontana America, e non esclusa la Germania che spiega anche qui in questi ultimi tempi una speciale attività, si sono adoperate per fare una larvata opera di smantellamento della nostra influenza, opera di portata limitata che potrà essere facilmente annientata dalla ripresa della nostra collaborazione alla quale fatalmente questo Governo, che ha bisogno di forti aiuti materiali e non di palliativi, dovrebbe fare nuovamente ricorso.

Ma se invece di palliativi arrivano denari, allora, mi sia lecito ripeterlo, la situazione si capovolge; le circostanze sulle quali credevamo far leva vengono a mancare e occorre cambiare la linea di condotta fin qui adottata, portare il problema sul tappeto internazionale non certo per internazionalizzarlo ma al contrario per ricordare che esso è problema adriatico e problema italiano; per far presente che questa situazione di preminenza, già riconosciutaci nel '21, è tanto più forte oggi dopo tutta l'opera spiegata dal Governo Fascista per civilizzare questo miserevole popolo.

Fatta questa azione, sulla di cui opportunità e portata l'E. V. può essere solo giudice, sarà assai fàcile far rinsavire questi Signori, ridicolmente imbevuti di quel senso di prestigio e di quello spirito di indipendenza e di « Gleichberechtigung » che diventano parole vane quando si è privi di ogni possibilità propria di sostenerli e quando sotto la veste del nazionalismo c'è animo da mentecatto.

(l) Cfr. n. 373.

(l) I passi fra asterischi sono stati sottolineati o segnati a margine da Mussolini.

390

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2199/246 R. Parigi, 13 giugno 1934, ore 13 (per. ore 15,15).

Telegramma di V. E. n. 7725/C. (1). Ho accennato con Barthou alla visita di Hitler della quale del resto la stampa francese parla da più giorni con lusinghiero ... (2) di particolari e commenti.

Ministro degli affari esteri non si è mostrato per nulla preoccupato della cosa.

Direi quasi che egli spera bene dal prossimo incontro di V. E. con Hitler.

(l) -Cfr. n. 380. (2) -Gruppo indecifrato.
391

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2204/247 R. Parigi, 13 giugno 1934, ore 12,40 (1).

Barthou mi ha parlato spontaneamente della sua visita a Roma. Ha detto di avere constatato col capo di gabinetto di V. E. che non gli era pervenuto alcun invito ufficiale.

Ha soggiunto che sarebbe lieto di visitare V. E. per il quale ha stima e ammirazione, ma che gli sembrava che fosse utile prima accordarsi sulle questioni pendenti. Mi ha citato la questione del disarmo.

Il ministro mi ha detto inoltre che gli era stata prospettata (non mi ha precisato da chi) l'eventualità di un incontro occasionale con V. E. fuori Roma e non mi ha nascosto che il suggerimento non è di suo gusto.

Quando la visita avrà luogo, egli desidera che sia a Roma e intende di recarsi espressamente a Roma per questo. Ho ascoltato senza pronunciarmi, non essendo al corrente delle precedenti trattative.

392

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2211/249 R. Parigi, 13 giugno 1934, ore 19,35 (per. ore 21,45).

Barthou mi ha parlato a lungo dei recenti dibattiti ginevrini. Tralascio di riferire circa particolari in parte noti ed in genere di scarso interesse.

Ministro degli affari esteri mi ha detto poi di essere stato alquanto sorpreso dell'atteggiamento di estrema riserva della nostra delegazione e specialmente dal fatto che essa non aveva creduto di associarsi all'accordo anglo-francoamericano (2).

Ho osservato a mia volta che trattavasi di intesa formale, di procedura che lasciava malauguratamente sussistere nella sua pienezza una profonda divergenza di vedute.

(lJ Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

La Francia credeva di poter fonda:·c la propria sicurezza su patto regionale di mutua assistenza operante nell'Europa orientale, noi non ne eravamo rassicurati.

La ben nota avversione del Governo italiano alla politica dei blocchi mi esimeva da più precise considerazioni. Barthou ha osservato che la Francia e gli altri Stati interessati auspicavano la partecipazione della Germania alla loro combinazione. Ho replicato che non si poteva credere seriamente che il Reich avrebbe aderito ad accordo sul genere di quelli in discorso.

Ho aggiunto che, per quanto conoscessi bene il pensiero del mio interlocutore e lo sapessi non favorevole al patto a quattro, non potevo esimermi dal proclamare che l'applicazione di quell'accordo avrebbe oggi, come un anno fa, assicurato la pace europea.

Qualsiasi combinazione politica che prescindesse dal fattore Germania era votata all'insuccesso. Ho detto al ministro che avevamo seguito con fiducia i suoi tentativi di creare una intesa europea, facendo eque concessioni alla Germania. Consideravamo nefasta la data del 17 aprile, dell'invio della nota francese all'Inghilterra.

Il ministro ha spiegato che il riarmamento del Reich reso pubblico con ostentazione gli aveva fatto cadere le ultime illusioni e mi ha confermato quello che da anni a questa parte mi sento ripetere al Quai d'Orsay e cioè che la Francia non ha fiducia nella lealtà della Germania.

Il Ministro si è compia·ciuto dell'invito rivoltogli da Mac Donald riscontrando in questo una prova della rinata cordialità fra i due paesi.

Ha soggiunto che i mesi di luglio-agosto saranno decisivi per la pace europea dimostrandosi fiducioso nella resipiscenza della Germania che finirebbe per piegarsi.

Ho domandato a Barthou se egli pensava che l'auspicata arrendevolezza potesse derivare da complicazioni o da difficoltà interne della Germania o dal ritorno della Germania a Ginevra.

Mi ha risposto che il ritorno del Reich alla Società delle Nazioni consentirebbe di porre il problema della sicurezza su altre basi facilitando l'intesa.

Contrariamente alle sue abitudini il ministro mi ha parlato senza enfasi, con calma, direi quasi con arrendevolezza. Non aveva certamente l'aspetto del trionfatore che la stampa ufficiosa si compiace attribuirgli.

(2) Cfr. n. 370.

393

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 13 giugno 1934.

È venuto stamane da me l'Ambasciatore degli Stati Uniti d'America il quale a nome del suo Governo mi ha fatto la seguente comunicazione che io ho preso sotto sua dettatura:

« Under the recent law the Government of United States will consider as being in default only those nations which do not make payments of the amount now due on the 15th of June and does not consider the payments which were due on December 15th and June 15th 1933 ».

Ho comunicato quanto precede al Ministero delle Finanze.

394

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

RELAZIONE. Roma, 13 giugno 1934.

V. E. ha già portato la Sua attenzione sugli ultimi telegrammi del R. Ministro in Addis Abeba, che si allegano alla presente relazione (1). Detti telegrammi, pur senza toccare tutti gli aspetti delle nostre relazioni con l'Etiopia, vengono a porre il problema dei rapporti generali itala-etiopici nel suo insieme, e avuto riguardo più particolarmente ai suoi aspetti politici.

La Direzione Generale Affari Politici III constata con soddisfazione che il telegramma ministeriale del 10 Maggio u.s. (2) nel quale tale questione veniva prospettata al R. Ministro in Addis Abeba, abbia da: questi, in base sopratutto agli elementi locali a sua disposizione, provocato tempestive e giuste considerazioni e proposte, che rientrano nell'ordine di idee a cui, secondo le direttive dell'E. V., si è costantemente inspirata la Direzione Generale, e che intendono a conseguire un miglioramento nei rapporti generali itala-etiopici, per quanto lo consenta la natura stessa delle cose.

Nell'elencare le diverse proposte che fa a tal uopo il Ministro Vinci si fanno seguire brevi commenti:

0 ) -Risolvere sollecitamente e con spirito largamente comprensivo e senza intransigenza alcune questioni secondarie pendenti, come, ad esempio, quella della denominazione e delle sedi dei nostri uffici e di quello etiopico di Asmara.

Sono state già inviate alla R. Legazione in Addis Abeba, circa le questioni suaccennate, istruzioni inspirate al nostro desiderio di venire per quanto è possibile incontro al punto di vista etiopico, senza d'altra parte compromett~re nostri sostanziali interessi.

In conseguenza, con le disposizioni date, si autorizza il Ministro Vinci a trattare sia per alcuni spostamenti di sedi consolari che possono farsi senza danno dei nostri interessi, sia perché i RR. Uffici in Etiopia, che finora avevano potuto funzionare come uffici consolari pure essendo dal Governo etiopico considerati agenzie commerciali, siano dal Governo etiopico riconosciuti quali veri e propri consolati; e ciò perché altrimenti, dato l'atteggiamento assunto dal Governo di Acddis Abeba, il permanere dello statu qua ante sarebbe stato fonte di continui incidenti, che non avrebbero loro permesso di esercitare praticamente le loro funzioni.

2°) -Agire sulla nostra stampa.

La nostra stampa quotidiana scarsamente si occupa dell'Etiopia: se ne occupano invece taluni fogli e riviste coloniali, particolarmente l'« Azione Coloniale». Anche recentemente questo giornale ha pubblicato tre articoli sull'organizzazione militare dell'Etiopia che, pur trattando da un punto di vista politico tale questione, contenevano qualche frase inopportuna. Si è già provveduto a fare al giornale le osservazioni del caso; l'ultimo articolo anzi della serie non verrà pubblicato.

Mentre la presente relazione era in corso di redazione, è stato tuttavia pubblicato il numero di maggio dell'« Italia Coloniale», che contiene un articolo di fondo, in cui sostanzialmente si indica l'Etiopia come il campo naturale dell'espansione italiana in Africa.

Quello che è avvenuto e sta avvenendo in questo campo sembrerebbe consiglia,re, ove si intenda conseguire gli scopi voluti, di dare precisi ordini alla nostra stampa di non pubblicare articoli circa l'Etiopia, senza essere previamente controllati.

Al riguardo corre l'obbligo di ricordare altri scritti di maggiore rilievo ed importanza che V. E. conosce e che hanno fatto oggetto di una lettera personale dell'E. V. (1).

3°) -Chiarire la situazione alle frontiere magari non apponendoci ad una delimitazione, dare prova di collaborazione premurosa ad Addis Abeba ma sopratutto alla periferia, rinunziando allo spirito e metodi che sono ancora usati; convincendoci che l'azione periferica e il tentare di influire su capi e sulle popolazioni è una politica che, se si vogliono migliorare i rapporti e chiarire gli equivoci, deve essere abbandonata recisamente e completamente non solo per le dannose conseguenze passate e presenti per le relazioni con l'Etiopia, ma anche perché con le mutate condizioni dell'Impero e l'aumentato accentramento, essa oltre che dannosa è completamente inutile.

Con la suddetta proposta il Ministro Vinci sostanzialmente suggerisce di mettere definitivo termine alla cosiddetta politica periferica, intesa questa nel senso di cercare di influire alla periferia dell'Impero su Capi e popolazioni, con mire di sobillazione e in definitiva di sgretolamento dell'Etiopia.

La Direzione Generale Affari Politici III è perfettamente d'accordo -e non da ora -con le considerazioni e proposte del Ministro Vinci, tuttavia per l'azione di elementi estranei al R. Ministero degli Esteri e talvolta per talune iniziative dei Governatori di Colonia non si può dire che tale azione periferica sia stata abbandonata.

Per ottenere lo scopo, occorrerebbe che l'azione politica dei Governatori fosse regolata, per quanto riguarda i rapporti oltre confine, dal R. Ministero degli Esteri o quanto meno in perfetto accordo con questo, il che per vero si è verificato molte volte ma non con la continuità necessaria; occorrerebbe che fosse posto nettamente un termine all'azione di privati che, pur animati da passione patriottica, assumono iniziative di contatti con personalità etiopiche;

occorrerebbe che ~ Governatori nelle Colonie limitassero la loro azione nei rispetti dei Capi e popolazioni d'oltre confine al mantenimento di cordiali relazioni di amicizia per i Capi e di rispetto per le popolazioni facilitando in ogni modo i rapporti di commercio, ma astenendosi da un'azione che volendo essere di penetrazione politica si è rivelata non solo inane ma dannosa. Conseguenza -o quanto meno, fatto da constatare -è infatti il rafforzamento dell'autorità centrale in zone periferiche ove prima il potere di Addis Abeba era puramente nominale. Gli avvenimenti svoltisi recentemente nella zona di frontiera somalo-etiopica provano tale asserto. È piuttosto col miglior governo delle nostre Colonie che si può sperare di accrescere prestigio ed influenza all'Italia, per via di confronto con il malgoverno etiopico nelle zone confinarie.

La Direzione Generale Affari Politici III non si• fa illusioni che, anche se si riuscisse ad ottenere l'eliminazione degli inconvenienti lamentati i rapporti italo-etiopici sarebbero definitivamente e stabilmente chiariti e resi più cordiali, in quanto il contrasto fra l'Italia e l'Etiopa è sopratutto nella natura stessa delle cose e trova la sua base in motivi geografici, storici, politici, economici e demografici che non è possibile annullare o modificare. Non solo; ma è da tenere presente che ogni giorno di più l'Etiopia si rafforza politicamente e militarmente.

Se però, come nella situazione politica generale non pare possibile nel momento attuale di far diversamente, si vuole ritardare una crisi nelle relazioni con quel Paese, non vi è altra via da scegliere che quella di sopire per qualche tempo, con un nuovo tentativo di chiarificazione, i sospetti e le diffidenze etiopiche.

Si ha pertanto l'onore di sottoporre all'approvazione di V. E. l'unità risposta (1) ai telegrammi del Ministro Vinci, qui allegati. Come indicato di sopra, i telegrammi del Ministro Vinci accennano agli aspetti più particolarmente politici delle relazioni italo-etiopiche.

Vi sono anche altri aspetti, specialmente economici (penetrazione commerciale a mezzo della SAPIE e della SANE, concessioni, quali la Prasso ecc.), vie di comunicazione (strade Assad-Dessiè, Setit-Gondar ecc.) i quali possono utilmente servire a quest'opera di chiarificazione, e per essi la Direzione Generale si richiama a quanto ha riferito in altre occasioni, in questo stesso ordine di idee.

(l) -Cfr. nn. 249 e 250. (2) -Cfr. n. 202.

(l) Non r>nvenuta.

395

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO R. Roma, 13 giugno 1934.

Nel corso di una conversazione con questo segretario austriaco Signor Rotter, egli mi ha detto da parte di Hornbostel, a titolo riservato personale, quanto segue:

«De source allemande on répand le bruit que Friedrich Staler, le leader des socialistes, aurait été deux fois en Autriche avec l'autorisation du Gouvernement Fédéral pour négocier la libération de Seitz et des autres chefs socialistes qui ont été arretés à l'occasion des événements du mois de Février. Il aurait méme offert de l'argent dans ce but.

On prétend que le Ministre Ludwig, Chef du Bureau de la Presse à Vienne, aurait été dans le méme but à Prague lors des fétes en l'honneur du Président Masaryk. II y aurait promis la libération de Seitz et des autres si la centrale socialiste à Brno (Brunn) cessait sa propagande contre le Gouvernement Dollfuss.

Ces bruits sont répandus aussi par des personnalités officielles allemandes. Entre autres le Ministre d'Allemagne à Vienne en a parlé ouvertement avant'hier lors d'un déjeuner. •

Inutile de dire que pas un mot est vrai. Evidemment on poursuit avec ça le but de faire naitre l'impression, surtout en Italie et auprès de S. E. Mussolini, que la question marxiste n'est pas définitivement liquidée en Autriche, mais que, au contraire, le Gouvernement Dollfuss cherche de s'entendre avec les socialistes. Ce n'est là qu'un d es moyens pour empoisonner l'athmosphère!

(l) Cfr. n. 425.

396

IL MAGGIORE RENZETTI A ... (l)

L.P. Berlino, 13 giugno 1931o.

L'incontro di Hitler con il Duce, del quale si parla già da parecchio tempo nella intimità dei circoli politici bene informati, ha fatto passare in seconda linea le altre questioni di politica interna ·ed estera. Nessuno qui si nasconde la enorme importanza storico-politica dell'avvenimento dal quale moltissimi si ripromettono favorevoli conseguenze pur rendendosi conto delle difficoltà da superare.

Hitler, l'ho già detto, è ben lieto dell'incontro e a mio modesto avviso, sinceramente lieto. Perchè egli non solo finalmente conoscerà il Duce che ammira profondamente, ma potrà con il Duce stesso trattare quelle questioni che forse nemmeno con i suoi più intimi collaboratori discute (ho osservato che varie volte Hitler a me aveva detto cose che nemmeno ai suoi compagni aveva confidato) e che lo tengono in agitazione (prima di prendere la decisione di uscire dalla Società delle Nazioni ad es. Hitler per tre giorni e tre notti quasi senza dormire, rimase solo per valutare i pro ed i contro).

Hitler spera naturalmente di riuscire ad avere dei risultati positivi per il proprio paese. Ma nel suo intimo io ritengo che egli sia lieto dell'incontro, anche perchè spera che esso abbia utilità per il principio rivoluzionario. Senza contare poi la soddisfazione che egli prova per vedere sfatate tutte le chiacchiere in giro secondo le quali il Duce non avrebbe mai voluto incontrarsi con Hitler in quanto non ne aveva alcuna stima.

È mia impressione personale che Hitler subirà il fascino e la potenza del Duce: che Hitler voglia arrivare ad una comprensione italo-tedesca. Il Cancelliere sente il problema europeo e quello della razza bianca: la solidarietà italo-tedesca e quella fascista-nazi potrebbe condurre ad una azione comune intesa a far proiettare nelle altre nazioni il Fascismo per giungere poi ad una grande intesa dei vari Paesi fascisti. (È sintomatico a questo proposito che giornali tedeschi, nel riferire i movimenti rivoluzionari in altri Paesi, scrivano di gruppi e di movimenti «fascisti» cosa che lascia supporre come in fondo qui si senta la priorità, la superiorità e la forza di espansione della nostra idea). Hitler, così mi ha dichiarato varie volte anche recentissimamente, è disposto a fare delle concessioni sul terreno economico a quei Paesi con cui la Germania si trova in cordiali relazioni. A mio avviso però, qualora si giungesse ad una comprensione, occorrerebbe subito realizzare praticamente le conseguenze della comprensione stessa, senza lasciare prendere il sopravvento dai funzionari tedeschi che si basano su paragrafi e su statistiche più o meno esatte (le statistiche o sono tali o sono bugie, ha detto qualcuno!) per provo,care ritardi ecc.! Hitler, ritengo ha tutta la intenzione di giungere a risultati pratici: egli così vedrebbe realizzarsi una parte del suo programma nel quale è previsto l'accordo con l'Italia. Il Cancelliere ora sospetta che noi si abbia delle mire territoriali al di là delle Alpi. Io per mio conto e ritengo non senza risultato, ho sostenuto che in Italia non si pensava a ciò. Tranquillizzato su questo punto, credo che il Cancelliere potrebbe indursi a concedere almeno una parte di quanto gH si richiede. Se si raggiungesse la détente, Hitler potrebbe porsi con maggior calma all'opera diretta alla risoluzione dei tanti problemi interni ed esteri. L'intesa farebbe tacere i non pochi oppositori che hanno criticato e criticano la politica estera finora fatta: potr,ebbe rendere possibile un modus vivendi con il Vaticano (si sa e me lo hanno confidato delle personalità che verbalmente potrei nominare che Neurath non è contento della politica che si fa, che von Papen è stufo ecc.): potrebbe insomma l'intesa provocare una distenzione interna (a prescindere dai vantaggi in campo internazionale) desideratissima e infinitamente utile al Regime nazi e alla nazione tedesca.

(l) Il destinatario non è indicato. Ed. in DE FELICE, pp. 491-492.

397

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 800/142 R. Roma, 14 giugno 1934, ore 3.

Con suo telegramma n. 191 (l) V. E. comunicava che codesto Governo era disposto ad àccettare una evèntuale offerta italiana e che nota per accusare ricevuta sarebbe redatta in termini amichevoli. Col successivo telegramma

n. 194 (2) ha riferito che Philips ha precisato che secondo parere ministro della giustizia i pagamenti parziali effettuati con le scadenze precedenti hanno per

messo esclusione «default» e che legge Jol1nson (che non ne esclude chi non eseguisca pagamenti integrali) si intende applicabile solamente a partire scadenza 15 giugno prossimo. In queste circostanze, dacché cioè il pagamento non esclude condizione «default » S. E. il capo del Governo ha deciso non fare il token payment previsto.

Pregola presentare in relazione seguente nota:

«Il Governo italiano con i token payments effettuati il 15 giugno ed il 15 dicembre 1933 dimostrò la sua bùona volontà ed al tempo stesso i limiti che questa incontra nella situazione di fatto.

Tale situazione non è migliorata da allora né nel campo economico, né nel campo finanziario, anzi essa è peggiorata. Le barriere e gli impedimenti agli scambi, fonte prima di possibilità di trasferimenti internazionali sono cresCiuti sempre più.

D'altra parte non è affatto da prevedere che possano venire ripresi quegli incassi da parte dell'Italia a titolo di riparazioni, che nel 1925 servirono di base per stabilire ltaly's ability to put aside and transfer le somme previste dallo accordo 14 novembre 1925.

Il Governo italiano è stato ed è sempre animato dal proposito di riconoscere il proprio debito verso gli Stati Uniti in attesa di una sistemazione finale ed era pronto a riaffermare tale suo proposito con nuovo token payment. Ma il Governo italiano è informato che a termini della recente legge Johnson sono considerati in «default» gli Stati, che, a partire dal 15 giugno, non effettueranno il pagamento integrale della rata in scadenza.

In queste circostanze il Governo italiano deve rinunciare ad eseguire un token payment, mentre d'altro canto per le ragioni già esposte il pagamento ed il trasferimento integrale della rata in scadenza non può essere effettuato.

Il Governo italiano è fiducioso che quando la questione potrà essere riesaminata dai due Governi, le premesse stesse della sistemazione del 1925 porteranno, nella nuova situazione che dopo di allora si è creata, a trovare una soluzione soddisfacente » (l).

(l) -Cfr. n. 378. (2) -T. 2189/194 R. del 12 giugno, non pubblicato.
398

L'INCARICATO D'AFFARI A TIRANA, CAPOMAZZA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2221/79 R. Tirana, 14 giugno 1934, ore 13 (per. ore 19,20).

Telegramma di questa legazione n. 77 del 9 giugno (2). Comando difesa nazionale ha diretto ieri sera al colonnello Balocco lettera che era in preparazione.

Con essa generale Araniti comunica quanto segue: l o -L'elenco nominativo di 35 ufficiali e 19 sottufficiali italiani che in base ad un ordine reale dell'B giugno sono lasciati liberi dal servizio dell'esercito albanese per il loro rimpatrio definitivo in Italia. 2° -Elenco nominativo di sei nostri ufficiali (quelli addetti alle fortificazioni) che sono lasciati liberi dal servizio nell'esercito albanese e dovrebbero rimanere a disposizione dell'addetto militare come borghesi. 3° -Elenco nominativo dei 16 ufficiali che dovrebbero rimanere ancora in servizio presso l'esercito albanese.

La lettera termina chiedendo di conoscere la data alla quale si imbarcheranno a Durazzo gli ufficiali e sottufficiali di cui al primo elenco.

Gli ufficiali che dovranno rimpatriare hanno ricevuto contemporanea comunicazione del loro esonero dal servizio albanese direttamente dai comandi da cui dipendono.

A parte ogni considerazione di forma, la comunicazione del generale Araniti contrasta con accordi intervenuti fra Re Zogu e colonnello Balocco in recenti colloqui.

In base a tali accordi rimpatrio di nostri organizzatori avrebbe dovuto essere concertato fra comando difesa nazionale e addetto militare esaminati i singoli casi unicamente dal punto di vista tecnico militare tenute presenti diminuite esigenze dell'esercito albanese e possibilità di sostituire ufficiali albanesi capaci nei posti occupati finora dai nostri ufficiali specializzati.

Per tali considerazioni il colonnello Balocco, d'accordo con me, ed in base alle istruzioni del R. Ministero, ha restituito al generale Araniti la comunicazione che gli era stata fatta, facendo presente che contenuto della lettera a lui inviata essendo in contrasto con accordi di cui sopra assumeva un carattere politico che esulava dalla competenza dell'addetto militare.

(l) -Rosso rispose con t. 2218/199 R. del 14 giugno, non pubblicato, comunicando di aver presentato la nota al Dipartimento di Stato e con successivo t. 2227/201 R. del 15 informò che una comunicazione analoga a quella italiana era stata fatta da Romania, Polonia, Estonia e Lettonia. (l) -T. 2159!77 R., partito alle 2,10 del 10 giugno. non pubblicato.
399

APPUNTO (l)

Roma, 14 giugno 1934.

Il Ministro Koch è stato, in seguito a comunicazione telefonica di S. E. Suvich, autorizzato a partire domattina e a mantenere la richiesta di udienza a Re Zog.

Egli dovrà far presente al Governo che gli ordini impartiti ai comandi per l'esonero di parte degli ufficiali italiani sono in contraddizione con le intese intercorse fra Sua Maestà da un lato, il R. Ministro e il Colonnello Balocco dall'altra. Egli dovrà quindi richiedere che tutta la questione venga discussa dagli organi tecnici, ciò che dovrebbe far soprassedere agli ordini impartiti dai Comandi.

4Zl

(l) L'appunto reca la seguente intestazione: «Copia delle Istruzioni Impartite dal Gabinetto al Ministro Koch ».

400

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 2394/1044. Mosca, 12-14 giugno 1934.

Nadolny, dopo oltre tre settimane trascorse a Berlino per « conferire », è rientrato a Mosca Giovedì 7 corrente. Ma, senza nessuna ragione apparente, ne è ripartito la sera dell'll, alla vigilia del consueto pranzo sovietico di chiusura della stagione, e del ritorno di Litvinov.

Prima di partire, egli è venuto a vedermi, mostrandosi con me quanto mai scoraggiato. Il suo congedo sarà « lungo »: due, tre mesi, forse ancora più...

Se le direttive di Berlino non mutano, egli mi ha detto, non v'è per lui nulla da fare a Mosca. Quanto alla situazione generale, Nadolny mi ha detto sperare solo in una ripresa della «intimità» italo-tedesca e nell'imminente incontro Hitler-Mussolini. S. E. il Capo del Governo è l'unico, secondo Nadolny, che potrebbe rimettere Hitler sulla buona strada, e, *assicurando il ritorno della Germania nella S.d.N., sventare il gioco franco-sovietico. Il «momento» per persuadere il Fuhrer sarebbe buono, anche in vista delle «gravi difficoltà di indole interna»* (l) che incominciano ad affacciarsi in Germania. (Questi chiari accenni a complicazioni interne nel Reich mi sembrano degni di nota, tanto più che sono confermati anche da altri membri dell'Ambasciata tedesca).

14 giugno

P. S. Vengo ora a sapere che Nadolny non tornerà più. In aperto contrasto con le direttive del suo Governo, egli si è dimesso. Sarà sostituito dall'ex Ministro tedesco a Teheran e Bukarest, Conte Schulemburg.

401

IL MAGGIORE RENZETTI A ... (2)

L. P. STRETTAMENTE CONFIDENZIALE. Berlino, 14 giugno 1934.

Ho avuto ieri ed oggi occasione di intrattenermi lungamente con varie personalità tedesche ansiose di conoscere la sorte dell'incontro Hitler Mussolini. Ho detto loro che il Fiihrer sarà accolto con gli onori che gli spettano e con la massima cordialità -(credo di non aver fatto delle previsioni arrischiate in quanto mi è nota la maniera con la quale in Italia si sanno accogliere gli ospiti stranieri) -e ciò ha rassicurato le predette personalità timorose di sfavorevoli ripercussioni delle passate polemiche italo-tedesche.

Goring e gli altri temono che la questione austriaca, se trattata bruscamente, impedisca a Mussolini e ad Hitler di intendersi cosl nella qualità di Capi di due movimenti rivoluzionari, come nella qualità di Capi di Stato. Nei circoli politici si afferma che Dollfuss avrebbe inviato proprio ieri un violentis

slmo memoriale contro i nazi al Duce, memoriale ehe potrebbe influenzare sfavorevolmente le conversazioni in corso.

Il ministro dell'istruzione Rust (quello attaccato dal Popolo d'Italia a causa della circolare inviata alle scuole tedesche sulla storia della Germania) mi ha espresso la viva speranza che si addivenga ad un accordo o per lo meno ad una pacifica comprensione: «Italia e Germania, debbono intendersi, ha continuato il Rust, allo scopo di salvare l'Europa e la razza bianca». Analoghe dichiarazioni mi hanno fatte il ministro Kerrl, il ministro Schmitt ed altre personalità politiche. Io ho detto a coloro con cui ho parlato, che la Germania deve cedere sulla questione austriaca alla quale deve annettere una lieve importanza dati gli altri problemi da risolvere: mi è stato risposto che la Germania non vuole la annessione. Io ho replicato per affermare che ciò deve venire chiaramente espresso dalla Germania in maniere e forme da stabilire fra i due Capi di governo.

Goring non verrà in Italia: il suo desiderio era comprensibile in quanto è stato egli che ha costantemente in passato sostenuto, prima nel Partito, poi nel governo, la opportunità e necessità di una intesa con l'Italia, attirandosi per questa sua opera le ire di molti uomini politici. Ho creduto di capire, conversando oggi con lui (mi diceva che -è una superstizione tedesca -«teneva il pollice fortemente stretto fra le altre dita per augurare e portare fortuna al colloquio di Venezia») che fosse dispiacente di non partecipare al grande avvenimento per il quale aveva lavorato tanto ed in condizioni non certo facili.

In qualche ambiente si teme che Hitler subisca « troppo » la influenza del Duce: sono i timori di coloro i quali hanno se non la fobia, il terrore della supremazia di Roma giudicata dannosa per lo sviluppo e l'avvenire della vita tedesca. Molti di costoro non sono nè antifascisti, nè antitaliani, ma semplicemente timorosi della perdita della indipendenza spirituale tedesca, timorosi di una affermazione maggiore della chiesa cattolica.

Hitler esporrà certamente al Duce -qualora nella questione austriaca venga ,trovato un componimento, cosa che io reputo possibile -i problemi interni tedesci e forse anche -ciò dipenderà dal come si svilupperanno i colloqui -possibilità di addivenire ad una intesa nelle questioni dottrinarie, in quelle di razza ed infine in quella pendente con il Vaticano. Hitler sente molto la Personalità del Duce ed io credo egli sinceramente gli esporrà idee ed opinioni, forse come nemmeno ai suoi collaboratori fa. Ciò viene compreso negli ambienti di cul sopra, nei quali si spera sì in un favorevole svolgimento delle conversazioni, ma nello stesso tempo si teme un troppo favorevole andamento delle medesime.

Negli ambienti meno nazi ed in quelli di opposizione, si è sollevati: si spera che Mussolini dia ad Hitler dei consigli tali da far rinsavire i nazi più fanatici. Non si deve dimenticare che qui molti si rendono conto, anche se non lo dicono apertamente (e ciò anche tra i nazi) della superiorità del Duce, Uomo ormai universale.

Come conseguenza immediata dell'incontro di Venezia, avremo un maggior afflusso di turisti tedeschi in Italia. Questo qualora l'accordo tra Italia e Germania sul contingente di marchi da esportare da ogni turista, non venga denunciato.

Riferirò le impressioni dei vari uomini politici con cui mi troverò nel prossimi giorni.

In una discussione avvenuta alcuni giorni fa a casa di Hitler, questi ha mosso aspri rimproveri alle ex case regnanti della Baviera e del Wtirttemberg le quali non già alla Germania penserebbero, ma solo ai loro interessi. Da queste si è passato agli Hohenzollern a cui Hitler non perdona di aver fatto fronte comune con le case succitate; ho ritenuto opportuno allora di intervenire per difendere gli Hohenzollern (dato il sentimento di ammirazione e di simpatia che costoro realmente hanno per il Duce e per l'Italia) e sostenere che essi sono stati e sono rimasti solo tedeschi, incapaci di pensare ad uno smembramento della Germania. I presenti mi hanno dato ragione e così il Cancelliere ha attenuato la forza dei suoi strali contro gli ex regnanti che hanno qui ancora un seguito.

(l) -Il passo fra asterischi è stato sottolineato da Mussol!n!. (2) -Da ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzett!; il destinatario non è indicato.
402

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2233/422 R. Londra, 15 giugno 1934, ore 20,15 (per. ore 24).

Mi riferisco all'odierno comunicato agenzia Havas.

Ho dato istruzioni a Camagna di rispondere oggi con una Stefani esplicativa.

Informazioni assunte presso questo ammiragliato confermano in sostanza quanto è nel comunicato dell'agenzia citata. Nelle conversazioni che questo Governo ha proposto iniziare quanto prima, ammiragliato dichiara sperare di potere giungere con gli Stati Uniti ad una riduzione concordata del tonnellaggio unitario delle navi da battaglia, in modo da abbassare il limite di 35 mila tonnellate ad una cifra almeno di, ad esempio, 28-30 mila tonnellate.

II sottocapo Stato Maggiore ha confermato oggi a questo addetto navale che l'annuncio delle costruzioni navali italiane ha lasciato l'ammiragliato perplesso in quanto che esse rappresentano una presa di posizione contraria a quella inglese.

Giornali della sera annunziano che il Governo italiano ha accolto invito per conversazioni navali preliminari con Governo britannico.

403

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2230/251 R. Parigi, 15 giugno 1934, ore 20,19 (per. ore 24).

In relazione a una conversazione avvenuta a Ginevra fra capo di gabinetto di v. E. e il ministro affari esteri belga (l) questi ha dato ordine all'ambasciatore del Belgio in Parigi di adoperarsi attivamente per indurre il Governo francese

a prestarsi alla conclusione di una convenzione di limitazione degli armamenti sul tipo del memorandum italiano.

Il barone Gaiffier ha avuto incarico di far sapere contemporaneamente a Parigi che il Governo belga era seriamente preoccupato della situazione che si andava creando in Europa la quale preludeva necessariamente a una paurosa corsa agli armamenti.

Il mio collega belga ha adempiuto alla missione prima del ritorno di Barthou a Parigi intrattenendo a riguardo il presidente del consiglio.

Egli ha trovato in Doumergue una opposizione irriducibile a porsi sulla via suggerita dal ministro degli affari esteri belga. L'uomo di Governo francese ha dichiarato che una convenzione sulle basi suggerite dal ministro degli affari esteri belga rispondeva a gettare [polvere] negli occhi alla Francia per impedirle di veder la realtà quale essa è. La Germania riarma col proposito, quando sarà pronta, di aggredire la Francia.

Il barone Gaiffier ha domandato poi che cosa vuole la Francia. Il presidente del consiglio ha risposto testualmente: «Che l'Inghilterra dichiari che sarà al nostro fianco se saremo attaccati».

Mio collega attribuisce alla triade Doumergue -Tardieu -Herriot la responsabilità di avere avviato la Francia verso la corsa al riarmo.

Secondo l'ambasciatore del Belgio il Governo francese, eccezione fatta per Tardieu il cui contegno è preoccupante, non ricerca la guerra. Esso spera intimidire la Germania con gli armamenti e col peso delle alleanze orientali, ossia spera che la Germania non oserà attaccare la Francia forte del suo esercito e delle sue alleanze.

Ho osservato che, ammessa e non consentita la buona fede dei governanti francesi, si può affermare con sicurezza che la Francia si pasce di illusioni. La corsa agli armamenti ha per sfondo la guerra. La Francia rinnova oggi il suo desiderio di egemonia che non ha tuttavia probabilità di riuscita perchè vi sono in Europa grandi potenze decise a non tollerarlo.

Il discorso che il presidente del consiglio ha pronunciato ieri alla camera dei deputati per ottenere nuovi crediti militari è ispirato allo stesso concetto di sfiducia assoluta nell'attitudine della Germania a mantenere fede ai patti firmati. Blum lo ha rilevato nella risposta presidente del consiglio, risposta notevole anche per il senso di misura e la gravità del tono. Egli ha detto che la drammaticità della situazione traspariva dal fatto che il Governo sembra aver perduto la speranza e la volontà di assicurare il mantenimento della pace sulla base del disarmo e della sicurezza.

(l) Cfr. n. 340.

404

IL CAPO DELL'UFFICIO ALBANIA, FARALLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 16 giugno 1934.

In un colloquio avuto oggi con l'Incaricato d'Affari d'Albania a Roma questi mi ha dichiarato di aver riportato dall'ultimo suo soggiorno a Tirana l'impressione che la situazione dei rapporti itala-albanesi fosse in questi ultimi giorni alquanto peggiorata e che egli non riusciva più a vedere una possibile via d'uscita soddisfacente per ambo le parti; che non sapeva in fondo spiegarsi le ragioni vere di tale peggioramento, tanto più che al suo arrivo a Tirana gli era sembrato che le cose accennassero a migliorare e che il Re gli aveva ripetuto più volte ed in modo categorico, che, ad eccezione della questione delle scuole confessionali, non vi era nulla che si opponesse ad un accordo tra i due Governi. Senza mostrarsene troppo convinto, il Kodheli ha detto di attribuire tutto ciò alle pressioni dell'entourage del Re ed in particolar modo di Mehmet Konitza che in questi ultimi tempi sembra essere il consigliere più ascoltato; ad una mia abbiezione egli ha però convenuto che il Re si lascia difficilmente influenzare e che se mostra di seguire il parere dei suoi consiglieri è perché egli è già deciso ad agire in tal senso.

Mi ha poi domandato quale impressione aveva fatto a Roma la proposta di diminuire gli organizzatori militari. Gli ho risposto che la comunicazione del Generale Araniti aveva fatto una cattiva impressione, giacché era stato precedentemente convenuto tra il Re ed il Ministro Koch che le modalità, il tempo ed i nomi dei rimpatrianti sarebbero stati stabiliti di comune accordo tra il nostro Addetto Militare ed il Comando della Difesa; era stato inoltre notato come la forma di essa fosse assai poco simpatica e corretta. Era quindi logico che il Colonnello Balocco avesse respinto la lettera del generale Araniti che veniva ad assumere un carattere più politico che tecnico. Il Kodheli ha risposto di non conoscere il testo esatto della nota, ma che se in essa vi era qualche cosa di men che riguardoso per il Governo italiano e per la nostra Missione militare ciò era dovuto al fatto che il Generale Araniti è un ignorante soldataccio che crede di poter usare con tutti un tono da caserma, ma che ciò non poteva rispondere alle intenzioni del Governo albanese il quale non senza dispiacere si era visto costretto a privarsi dell'aiuto degli ufficiali italiani che esso aveva sempre sommamente apprezzato; che, a suo avviso, non ci sarebbero state difficoltà a venire ad un accordo per cui il Comando della Difesa avrebbe lasciato al Colonnello Balocco di stabilire lui quali erano gli ufficiali che dovevano rimanere per coprire i 16 posti di organizzatori che ancora potevano sussistere.

Il Kodheli ha voluto poi in qualche modo giustificare questo provvedimento del Governo albanese col fatto che a Tirana si era ormai deciso di abolire l'esercito divenuto una spesa del tutto sproporzionata alle magre risorse locali. Ha soggiunto che, dato che in Albania non vi sarebbe stato più esercito, anche le fortificazioni di Miloti e di Librasci avevano cessato di avere uno scopo e quindi era probabile che sarebbero state abbandonate senza custodia lasciando al tempo di distruggerle.

Gli ho obbiettato che tutto ciò non mi sembrava molto d'accordo con i reciproci impegni dei due Governi e con quello spirito di collaborazione che fino a poco tempo fa il Governo di Tirana aveva dichiarato permanere inalterato. Mi ha risposto che ormai gli accordi non sussistevano più che sulla carta e che praticamente erano cose morte; e che se l'Albania aveva dovuto rinunciare a mantenere un esercito perché l'Italia le aveva rifiutato i mezzi necessari, gli impegni contratti in questo campo erano divenuti ineseguibili e quindi caduchi. Gli ho detto che ciò era piuttosto grave e che non sapevo quale sarebbe stato l'atteggiamento del R. Governo se le sue previsioni si fossero avverate.

Il Kodheli è venuto poi a parlarmi della recente Nota Verbale inviata in occasione degli inasprimenti doganali decisi dal Governo di Tirana cercando di giustificarli con le esigenze finanziarie dei Comuni. Gli ho risposto che essi costituivano delle vere e proprie violazioni del Trattato di Commercio e che non si sarebbe dovuto stupire se avessero provato delle misure di difesa da parte nostra. Egli mi ha obbiettato che delle violazioni vi erano state anche da parte nostra con gli ostacoli frapposti all'esportazione delle olive, delle uova e della lana albanesi in Italia, e che secondo lui ormai anche il Trattato di Commercio era divenuto lettera morta o quasi, sì che riteneva probabile una sua prossima denuncia. Gli ho risposto che il Trattato di Commercio poteva essere sempre denunciato, ma che ciò sarebbe stato sopratutto a danno dell'esportazione albanese.

405

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 3169/1254. Parigi, 16 giugno 1934 (per. il 18).

Durante il recente soggiorno a Parigi, il Ministro degli Esteri di Jugoslavia ha preso varie volte la parola in pubblico. Ha parlato al banchetto offertogli dalla stampa diplomatica francese, poi a un pranzo presieduto dal Maresciallo Franchet d'Esperey. Infine ha fatto, prima di partire, alcune dichiarazioni ai giornalisti.

Invio, qui uniti (1), il testo Havas delle dichiarazioni su citate, insieme a quello delle parole pronunciate dal Ministro degli Esteri francese al banchetto della stampa diplomatica rispondendo al collega jugoslavo.

Il signor Jeftitch è stato in genere assai misurato sul terreno politico. Egli ha elevato un inno all'amicizia franco-jugoslava che «nulla potrà scuotere dalle sue basi granitiche», ma non è andato più in là. Il Ministro Barthou è stato più caldo nella risposta. Rammento, d'altra parte, avermi lo stesso Barthou dichiarato che i colloqui più importanti franco-jugoslavi avranno luogo prossimamente a Belgrado. Si dovrebbe potere concludere, dunque, che il Ministro jugoslavo ha mantenuto nelle sue conversazioni al Quai d'Orsay lo stesso tono di riserva che trapela dai discorsi surriferiti. Si vedrà poi se a Belgrado le cose volgeranno a soluzioni decisive come sembra sperare il signor Barthou. Fa d'uopo, anche, tenere presente che il Ministro degli Esteri francese ha l'abitudine di correre con le parole, di modo che conviene accogliere le sue dichiarazioni con la dovuta circospezione.

32 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Ho avuto occasione di osservare in precedenti comunicazioni che la Francia ha radicalmente modificato, dopo il 17 aprile scorso, le direttive generali della sua politica estera. Gli scopi che essa si prefigge sono ormai sufficientemente palesi. La Francia riarma, i crediti militari sono stati approvati ieri dalla Camera e non incontreranno difficoltà al Senato. Il Governo della Repubblica, inoltre, sembra ricercare un efficace complemento alla propria sicurezza nella alleanza con gli Stati dell'Europa centro-orientale. Il lavoro della diplomazia francese è avviato risolutamente in questo senso. Il blocco ha funzionato bene a Ginevra.

Non ho l'abitudine di svalutare gli avvenimenti che possano dispiacere, credo però che, un esame accurato della situazione, s'imponga e che le alleanze della Francia, le vecchie come le nuove, debbano essere pesate ossia valutate specialmente riguardo al momento in cui dovessero entrare in azione.

Sono persuaso che anche il Quai d'Orsay sarebbe d'accordo di non porre all'attivo della Francia l'apporto eventuale dell'alleanza polacca.

Quanto all'U.R.S.S., a prescindere dalla situazione dell'Estremo Oriente, si notano, per altri segni, le crepe della struttura sovietica. La R. Ambasciata segue, abbastanza da vicino, il movimento ucraino. Il R. Ministero è stato tenuto al corrente. Se un giorno le circostanze si presentassero favorevoli, si può prevedere che le popolazioni dell'Ucraina darebbero seri fastidi ai dominatori sovietici. Inoltre, negli ultimi tempi, è stata constatata, sempre a Parigi, una intensa attività negli ambienti cosacchi. Sembra, dunque, che possa dirsi con qualche fondamento che ucraini e cosacchi preparano un sollevamento contro i sovieti per il momento in cui le acque europee si intorbidassero. L'agitazione ucraina e quella, del resto del tutto staccata dei cosacchi, sarebbero finanziate, a quel che pare, in parte almeno, dalla Germania.

Ho già manifestato a varie riprese a codesto R. Ministero la mia opinione sull'alleanza franco-cecoslovacca. Al primo lontano accenno di mobilitazione germanica, la Cecoslovacchia, per salvare la propria compagine statale, dovrà scender,e ad accordi col Reich e lo farà. Masaryk e, tanto meno di lui, Benes hanno anime di martiri!

La Jugoslavia è in bilico. Riuscirà il signor Barthou, nei prossimi colloqui di Belgrado, a fare piegare la bilancia dalla sua parte? Le mie idee in proposito sono conosciute dal superiore R. Ministero. Mi limito a riassumere il mio pensiero in una rispettosa interrogazione. Siamo ancora in tempo per addivenire ad un accordo con la Jugoslavia? Ho l'impressione che il Reich, a malgrado degli allettamenti profusi a piene mani, non sia finora padrone assoluto della piazza.

La Romania e la Grecia sono lontane; quest'ultima ha un lungo svolgimento di coste e un commercio marittimo del quale si deve preoccupare.

Il turco è infido, nei nostri riguardi. Pare che la sua preoccupazione dipenda dal fatto che sente approssimarsi il giorno dell'amputazione di qualche membro più o meno vitale. Il Ministro degli Esteri turco si difende come può. Ln un telegramma che spedisco per cor,riere segnalo le male arti ch'egli avrebbe impiegate a nostro danno nel suo ultimo soggiorno a Parigi (1).

Questo è il quadro delle alleanze francesi come lo vedo da qui. Le considerazioni che ho consegnate in questo rapporto_ le espongo nelle conversazioni confidenziali e prudenti che ho con esponenti della politica francese. Coloro che non approvano il presente indirizzo della politica estera del Governo di unione nazionale, sono numerosi, spec'ialmente fra le sinistre.

La politica dei blocchi instaurata da Barthou incontra una forte opposizione al Senato. Il Senatore Bérenger mi ha dichiarato che non è d'accordo con la politica del Ministro degli Esteri, ma ha soggiunto «au Sénat nous ne voulons, ni pouvons affaiblir Barthou. Se voi foste francese, ha egli proseguito, ci comprendereste. Non v'è niente da fare fino a novembre».

Sono convinto anch'io che, per il momento almeno, non ci sia da attendere alcun cambiamento. Per parte mia, non perdo di vista il fine che ci proponiamo, e non rallento la mia azione intesa a fare comprendere che solo una soluzione del problema del disarmo ispirata al Memorandum italiano, ha la probabilità di assicurare un'èra di pace all'Europa e al Mondo.

(l) Non si pubblicano.

(l) T. per corriere 2261/0101 R. del 15 giugno, non pubblicato.

406

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 18 giugno 1934.

Do informazioni al signor Wysocky, su sua richiesta, dell'esito dei colloqui di Venezia. L'ambasciatore mi chiede se noi intendiamo fare funzionare ora il Patto a quattro. Gli rispondo che noi non prendiamo nessuna iniziativa al riguardo.

407

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 2407/1246. Vienna, 18 giugno 1934 (per. il 20).

La cessazione dell'offensiva «terroristica» nazista, quale che ne sia lo scopo e la durata, è valsa qui a rinfrancare gli animi.

Detta tregua è-stata messa generalmente in diretta dipendenza col convegno di Venezia; e di conseguenza si sono accresciute le già vive speranze che a Stra, sotto gli auspici di V. E., potesse essere trovata una qualche soluzione alla tensione austro-tedesca, od almeno un serio avviamento verso una qualche soluzione.

Ora questa aspettazione di una non lontana soluzione delle attuali divergenze con la Germania è divenuta assai intensa; e ciò non tanto forse per il fatto dell'esercitato terrorismo -e delle conseguenti sue nefaste ripercussioni sul movimento turistico -quanto per la sensazione che i poteri di resistenza del piccolo Stato, dopo già tante lotte, possano provarsi non essere infiniti.

Tuttavia i gravi attentati nazisti hanno avuto qualche salutare effetto, che reputo utile segnalare:

l) -innanzi tutto, essi hanno indotto il Governo a passare senz'altro alla reazione, prendendo una quantità di misure, la cui effettiva attuazione segnerebbe certamente una grande svolta per i piani e per le fortune del nazionalsocialismo.

Questa reazione del Governo è stata tempestiva e provvida. Tempestiva, perché il Cancelliere, nella sua assidua ricerca di un « ponte » verso il nazionalsocialismo, troppo si era invero indugiato ad adescare i cosiddetti « nazionali » sia con l'astenersi da ogni reazione contro le malefatte nazionalsocialiste e sia col prodigarsi -assieme, in ciò, allo Starhemberg -in aperti inviti al nazionalsocialismo per una sollecita distensione dei rapporti, facendo così venir meno nel paese quel senso di spontanea reazione agli attacchi degli oppositori, la quale si era pur provata cosi efficace nell'inverno scorso, nella lotta contro i rossi. Provvida, perché solo una effettiva e spregiudicata reazione contro le attività naziste può ormai produrre una qualche tregua nella travagliatissima situazione interna di questo paese.

2) -In secondo luogo l'offensiva terroristica è valsa -sotto la sensazione dell'imminente pericolo -a far tornare la calma, l'armonia e la solidarietà tra i diversi membri del Governo e fra le diverse forze che lo sorreggono; e nel dir ciò non mi riferisco soltanto ai rapporti tra il Fey ed il Cancelliere ed il Vice-Cancelliere, ma anche ai rapporti tra il Cancelliere ed i cristiano-sociali, nei riguardi di quella politica di egemonia e di accaparramenti di cariche e prebende amministrative, che gli heimwehristi rimproverano ai cristiano-sociali, tanto a ragione della sproporzione derivante nella loro rispettiva situazione politica, quanto -e sovrattutto -per il pregiudizio che proviene al nuovo regime dalla prevalente tendenza clericaleggiante.

Dei due ravvedimenti sono prova le assicurazioni di reciproca stima e fedeltà che si sono scambiate Fey e Dollfuss nei loro discorsi di ieri; nonché le imminenti conversazioni fra lo Starhemberg -che sarà assistito dai Capi provinciali del Tirolo e della Stiria -ed il Cancelliere, allo scopo di trovare le eque basi per una ridistribuzione delle cariche politiche ed amministrative nelle predette due provincie.

3) -Ed infine il «risveglio» operatosi nel corpo di polizia, la quàle appare meno esitante ed accomodante, e che comunque è riuscita a scoprire non solo parecchi depositi d'armi, ma anche qualche nucleo terroristico; nonché un principio di spontanea reazione negli stessi cittadini, sebbene essa si manifesti qua e là in modo del tutto sporadico.

Un punto rimasto ancora poco chiaro, nella recente campagna terroristica, è quello relativo al comportamento dei socialisti. Come ho già riferito a V. E. (mio telegramma n. 203) (l) è stata avanzata sia l'ipotesi di veri e propri negoziati che sarebbero intercorsi fra membri o rappresentanti di questo Governo ed un rappresentante dei socialisti (l'Adler, che sarebbe qui giunto espressamente da Parigi) per il conseguimento di un accordo per un comune atteggiamento di reazione contro le aggressioni naziste; e sia l'ipotesi opposta, d'un

accordo cioè fra essi socialisti ed i nazionalsocialisti, con relative vendite di armi e munizioni da parte dei primi ai secondi, e con relativi impegni di solidarietà per determinate azioni delittuose compiute o da compiersi.

La prima ipotesi mi è stata finora smentita da ogni parte, malgrado l'opposto colore politico dei miei informatori. La seconda non ha ottenuto uguale concordia di giudizi: Fey mi ha detto che solo una piccola parte degli attentati finora verificatisi è da attribuirsi ai socialisti; il Sottosegretario Karwinski ha osservato esser naturale che gli individui più accesi e più irresponsabili colgano l'occasione degli attentati nazisti per passare all'attivismo, ma ciò più come un gesto individuale che di partito o politico; alcune personalità heimwehriste mi hanno invece segnalato come la maggior parte dei socialisti resti semplicemente in attesa, senza cioè compromettersi nè verso destra nè verso sinistra; altri invece mi hanno asserito esistere ormai una collaborazione vera e propria, perfettamente organizzata tra nazi e socialisti; al Ballplatz infine mi è stato accennato che se accordi veri e propri con ogni probabilità non si sono ancora avverati (si esclude ad esempio l'asserita vendita di un'importante partita di fucili da parte dei socialisti ai nazisti), pur sarebbe fuor di dubbio che, nei momenti della rivolta e della azione, elementi socialisti abbiano operato in stretta connivenza con i nazisti, ai comuni fini dell'opposizione al nuovo regime austriaco.

E per ultimo ancora un altro punto non è del tutto chiaro: quello del preciso grado di «provata» responsabilità del Reich nei recenti attentati nazisti. Al riguardo, gli stessi funzionari dirigenti del Ballplatz hanno avuto avant'ieri a dirmi che se molti indizi stanno ormai a dimostrare che tutto quanto i nazisti hanno compiuto in Austria ha trovato nel Reich ispirazione e sanzione, pure, come prove concrete, non si hanno che quella già da me segnalata a

V. E. -cioè la lettera dell'attentatore di Salisburgo alla Direzione nazista in Monaco di Baviera (mio telegramma n. 199) (l) e l'involucro delle note capsule esplosive, recante la menzione del Miristero della Guerra tedesco (mio telespresso n. 1222 del 14 corrente) (2).

(l) T. 2188/203 R. del 12 giugno, non pubblicato.

408

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MILIZIA VOLONTARIA PER LA SICUREZZA NAZIONALE, TRADITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 5139/I/7/45. Roma, 18 giugno 1934.

Si trascrive qui di seguito, per doverosa informazione, la segnalazione

n. 1122 in data 17 corrente, pervenuta dal Comando della 45a Legione (Bolzano) circa quanto in oggetto:

*Negli ambienti alloglotti ed hitleriani, specialmente giovanili, serpeggia un sentimento di mortificazione per la venuta di Hitler in Italia, della quale

si era avuto sentore molti giorni prima che la stampa italiana ne desse notizia* (1). Si speculava molto sul dissidio italo-g.ermanico, ed il fatto che il grande «Teutone » abbia sentito, così come un Dollfuss qualunque la necessità di fare una visita al Duce, ha operato, nelle teste calde locali, come una doccia fredda.

Attualmente il dissidio austro-germanico sta assumendo tono e carattere sempre più aspri.

Gli alloglotti che seguono attentamente, attraverso la radio, il duello oratorio, a botta e risposta, tra Monaco e Vienna, e del quale in Italia si può avere una pallida idea paragonandolo alle verbose polemiche aventiniane all'epoca del delitto Matteotti, si erano illusi che la tensione delle relazioni tra l'Italia e la Germania fosse destinata a diventare insanabile.

Nulla di strano in tutto ciò, perché anche questo abito mentale è conseguenza della propaganda hitleriana e dell'affannoso bisogno di indirizzare le ormai scarse speranze di libertà verso un obbiettivo qualsiasi, sia pure grottesco.

La sera del 14 corrente, ad esempio, la radio di Monaco ha trasmesso, e gli alloglotti hanno ghiottamente ascoltato, un lungo discorso aggressivo del Signor Frauenfeld contro l'Austria, col quale si accusava quella Nazione, di tradire ignobilmente il popolo tedesco, ed i legittimisti austriaci, di prevedere e predisporre l'occupazione italiana del Tirolo in caso di trionfo in quel territorio delle idealità hitleriane. (È sottinteso, naturalmente, che questo potrebbe accadere in seguito a sommossa della popolazione tirolese contro l'odiato governo di Dollfuss).

Sta di fatto, ben risaputo negli ambienti irredentistici locali che la popolazione austriaca è nella quasi totalità favorevole a Hitler e all'ormai famoso «Anschluss » e che morde il freno sotto un governo che si regge solo con la forza e con l'aiuto dell'Italia.

Il console Comandante la Legione F.to Olita Oscar.

(l) -Con t. 2165/199 R. dell'll giugno Preziosi aveva informato che la polizia di Salisburgo aveva trovato su uno degli autori degli attentati commessi una lettera diretta alla direzione del partito nazista di Monaco in cui egli asseriva di «avere eseguito azioni secondo gli ordini ricevuti». (2) -Non pubblicato.
409

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1287/83 R. Tirana, 19 giugno 1934, ore 23,10 (per. ore 6,10 del 20).

Ho detto a Re Zog, nella lunga udienza di oggi, che R. Governo era rimasto non poco sorpreso della misura adottata dal comando della Difesa Nazionale nei riguardi degli ufficiali organizzatori, misura che non è in armonia con i principi su cui basasi la collaborazione militare, che è in pieno contrasto con le dichiarazioni che egli in tale materia aveva fatto a me e al R. addetto militare e che nella forma in cui era stata presa non poteva non considerarsi «scorretta »; dovevo pertanto ritenere che il comando della Difesa Nazionale nel prendere la misura in parola fosse andato oltre il suo pensiero e che egli, Re Zog, ignorasse la procedura da quello adottata.

Lo pregavo èomunque di chiarire in modo -esatto il suo pensiero avendo io categoriche istruzioni di essere preciso a riguardo, attribuendo il mio Governo particolare importanza alla cosa. Ho aggiunto che, come gli avevo già detto più volte, la questione della riduzione degli ufficiali organizzatori in relazione al ridotto bilancio, non sollevava in principio nessuna abbiezione da parte nostra e che perciò il provvedimento adottato risultava inspiegabile e, per forma adottata, tanto più grave.

Re Zog che mi è sembrato scosso da queste mie dichiarazioni, ha subito protestato contro il dubbio che da parte comando della difesa nazionale si potesse fare cosa non gradita verso il grande esercito alleato e gli ufficiali che ne sono qui gli esponenti; ha divagato evitando il fondo della questione, cercando di impietosirmi sulle sorti di questo povero esercito e sulla necessità di ridurne sensibilmente l'efficienza per mancanza di denaro e dilungandosi sui principi della collaborazione militare; ha soggiunto essere sua costante preoccupazione di mantenersi scrupolosamente fedele ai patti esistenti fra i due paesi; e, riportato da me sui veri termini della questione, ha dichiarato che il numero di sedici organizzatori era stato fissato tenendo conto esatto delle ridotte esigenze dell'esercito già rese note al R. addetto militare, anche se in qualche punto questi non era stato del tutto concorde; ha ammesso che la forma con la quale il provvedimento era stato adottato (di cui naturalmente ha attribuito la responsabilità al generale Araniti) non era stata felice; si è piegato alle mie insistenze per una riparazione e ha promesso.

Il presente telegramma continua con n. di protocollo successivo (l).

(l) Il passo fra asterischi è stato sottolineato da Mussol!n!.

410

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1288/84 R. Ttrana, 19 giugno 1934, ore 23,05 (per. ore 6,10 del 20).

Il presente telegramma fa seguito al n. precedente (2):

2°) -che una nuova lettera sarebbe stata diretta al colonnello Balocco per comunicargli che la poca efficienza dell'esercito rendeva inef.ficace l'attività di buona parte degli organizzatori di cui soltanto 16 erano ritenuti sufficienti, senza aggiungere nessun elenco;

3°) -che il colonnello Balocco avrebbe mantenuto il numero di 16 scegliendo gli elementi che egli avesse voluto;

4°) -che il comando della difesa nazionale avrebbe diretto una nuova circolare agli stessi enti militari albanesi ai quali aveva precedentemente dato

istruzioni di esonerare i nostri ufficiali, adattandola alla Tettera di cui al numero 2 in modo considerare il provvedimento sospeso nei riguardi delle persone pur mantenendolo in principio per la funzione che essi ricoprono;

5°) -che fra gli ufficiali messi in libertà non vengano compresi quelli il cui... (l) non può essere messo in relazione con la riduzione del bilancio militare e vengano pertanto mantenuti in servizio gli organizzatori della marina e il comandante Ramirez;

6°) -che lavori di fortificazioni siano alla esclusiva dipendenza dell'addetto militare meno che per la parte monopolizzata della zona affidata a ufficiali albanesi che non dovranno in nulla interferire in detti lavori.

Ritengo che nell'attuale stato delle cose non mi sarebbe stato possibile ottenere di più e mi lusingo che V. E. ne sia soddisfatto.

' Vigilo attentamente che le disposizioni date siano mantenute, ciò di cui si può sempre dubitare, sebbene per maggiormente impegnare il Re io abbia preso appunto dettagl'iato di quanto egli mi ha detto (2).

l 0 ) -Che la lettera del 14 scorso e relativi allegati è da considerare non avvenuta;

(l) -Cfr. n. 410. (2) -Cfr. n. 409.
411

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, DOLLFUSS

L. P. Roma, 19 giugno 1934.

Come Le avevo promesso, mi affretto, per incarico del Capo del Governo, a metterLa al corrente dei colloqui di Venezia (2).

Come Ella sa l'incontro fra i due Capi di Governo non aveva un carattere assolutamente ufficiale e non era destinato a portare a degli accordi concreti e precisi. Si trattava di uno scambio di idee sui problemi principali del momento, secondo i desideri ripetutamente manifestati dal Cancelliere Hitler, ai quali, da parte nostra si era terminato con l'aderire. Le cose si sono mantenute esattamente nella linea e nei limiti previsti. Le conversazioni sono durate complessivamente più di quattro ore, in due riprese ed esclusivamente fra i due Capi di Governo.

Il Cancelliere Hitler ha avuto modo di esporre la sua «Weltans·chauung », più o meno nota, mentre la massima parte dei problemi concreti sono stati appena sfiorati.

«Il Ministro d'Italia a Tirana, se non l'ha ancora fatto, certamente riferirà alle superiori autorità che egli viene ostacolato, nel portare a compimento il suo mandato in Albania,

o perché non va d'accordo con il Capo della Missione militare italiana o perché non è coadiuvato, come egli vorrebbe, dal predetto capo della missione. Nulla di più falso di ciò. Il R. Ministro, così facendo, tenterebbe di creare un secondo alibi al fallimento della politica che persegue a Tirana... L'atteggiamento polltico-morale del R. Ministro Koch è la causa precipua dell'inasprimento delle relazioni nostre con gli alb8nesi...

Il Re degli albanesi, pare abbia officiato per tale bisogna il proprio aiutante di campo,sia oggi dispostissimo nei nostri riguardi, al punto di accettare tutte le richieste del Governo Italiano. Farebbe eccezione, per il momento, sulla questione delle scuole. Per queste prometterebbe di regolare la faccenda nel modo migliore, purché il Governo Italiano non pretenda,subito, una legge o una dichiarazione esplicita>>.

Sul problema dell'Austria si è fermata in modo pm preciso l'attenzione dei due uomini di Stato. Il Cancelliere Hitler, dopo aver esposto le ragioni per le quali non condivide la politica di V. E., che egli considera politica persecutoria del nazionalsocialismo in Austria, ha esposto le condizioni sotto le quali egli sarebbe disposto a venire a una liquidazione del problema austriaco, condizioni che il Cancelliere ha riassunto nei seguenti punti:

l -L'Anschluss dell'Austria alla Germania è fuori discussione;

2 -Il Cancelliere austriaco deve essere personalità indipendente non appartenente ai partiti oggi in lotta;

3 -Occorre indire le elezioni affinché il popolo austriaco possa liberamente esprimere la sua volontà;

4 -I Nazi debbono partecipare al Governo in proporzione ai risultati delle elezioni;

5 -Le questioni concernenti l'Austria debbono essere decise d'accordo fra Germania e Italia.

Il Capo del Governo ha ribattuto: che Dollfuss non attaccava ma che si difendeva; che sulle proposte del Cancelliere, a parte ogni giudizio di merito non era il caso di discutere fino a che non fosse subentrato uno stato di tranquillità in Austria e non fosse durato per un lungo periodo di tempo. È evidente che nessun Capo di Governo può accettare una qualsiasi discussione sotto la pressione costituita dagli attuali atti di terrorismo che sono organizzati dall'estero.

Il Cancelliere ha replicato che egli disapprova la politica del terrorismo, la quale proveniva sia dai comunisti, sia forse dai nazionalsocialisti austriaci sui quali il governo germanico non ha nessuna azione.

Voglio aggiungere a questo punto che nelle conversazioni con me Von Neurath mi ha ammesso che la situazione dell'Austria era a loro completamente sfuggita di mano; che c'era una bega in corso fra partito e S. A. e che ciascuno faceva a modo proprio.

Nei colloqui col Capo il Cancelliere aveva anche detto di non avere nessuna ragione di rancore o di astio contro V. E. ma di considerare V. E. troppo identificato alla situazione attuale che egli è costretto a combattere.

Come vede la questione austriaca non ha fatto alcun progresso nella mente del Cancelliere, di modo che difficilmente si vede la possibilità di un accordo su questo punto. Ad ogni modo il Capo del Governo che, come l'E. V. può rilevare da quanto precede, non ha mutato l'atteggiamento costantemente seguito, vorrebbe conoscere il suo punto di vista ed essere tenuto al corrente dei suoi propositi, in modo da procedere in pieno accordo con V. E. nell'esame della situazione.

Delle altre questioni concrete trattate o accennate, quella che può avere un certo interesse per V. E. è la questione del disarmo e della eventuale rientrata della Germania nella Società delle Nazioni. A tale riguardo il Cancelliere ha ripetuto che un accordo è possibile sulla base della concessione alla Germania delle armi difensive, mantenendo ferme a tale proposito le sue richieste già note. L'accoglimento delle domande tedesche rappresenterebbe anche l'attuazione di quel principio della Gleichberechtlgung, posto dal Cancelliere come premessa per la sua rientrata nella Società delle Nazioni.

Dopo quanto Le ho esposto più sopra è inutile che Le affermi come molte notizie di giornali esteri siano prive di qualsiasi fondamento: sono frutto di interpretazioni arbitrarie e di pura fantasia. L'unico accenno fatto alla Stampa nei riguardi dell'Austria da parte nostra è stato quello che, partendo dalla base dell'indipendenza dell'Austria si auspicava al ritorno al più presto a condizioni di tranquillità. Anche l'interpretazione data da alcuni giornali all'ultima frase del secondo comunicato ufficiale, quello che accenna alla possibilità di contatti futuri fra i due uomini di Stato, è arbitraria. L'indicazione contenuta nel comunicato ha un carattere del tutto impreciso e non intende rappresentare per nulla una forma speciale ed esclusiva di rapporti fra l'Italia e la Germania.

Nel corso delle conversazioni il Cancelliere non ha fatto nessuno speciale invito al Capo del Governo di andare in Germania, ha soltanto detto che se un giorno il Capo volesse andare in Germania avrebbe delle manifestazioni imponenti.

Le aggiungo, tanto perché Ella abbia anche questo elemento nell'apprezzare la situazione, che le manifestazioni di grandissimo entusiasmo avvenute a Venezia in occasione dell'incontro, erano rivolte essenzialmente al Duce.

La questione dell'insegnamento privato del tedesco nell'Alto Adice è avviata a soluzione; Le sarò preciso appena possibile.

Il Capo del Governo, nell'incaricarmi di trasmetterLe i Suoi più cordiali saluti, mi ha detto pure di esprimerLe la Sua soddisfazione per il prossimo incontro di Riccione. La data, se a Lei va bene, potrebbe essere fissata alla fine di luglio.

(2) -Gruppo indeclfrato. (2) -Si pubblicano qui alcuni brani di una relazione riservata del 19 giugno del partitofascista per Mussolini:

(2) Di questi colloqui non fu tenuto verbale (cfr. DE FELICE, p. 494). Per la documentazione tedesca cfr. Akten, III, l, pp. 10-14 e 17-18.

412

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2491/1082. Mosca, 19 giugno 1934.

Nel mio ultimo colloquio con Litvinov, questi mi ha fatto alcuni accenni

all'attitudine turca nei nostri riguardi che meritano un particolare rilievo.

Nel difendere il carattere strettamente regionale della Locarno dell'Est e

nel meravigliarsi dell'accoglienza relativamente ostile che l'idea sembrerebbe

aver incontrato in Italia, Litvinov, per ben due volte, ha alluso a terze potenze

che avrebbero insistentemente cercato di influire su di lui per dare al patto

una portata ed un carattere virtualmente antitaliano.

Mentre una mia prima interruzione, per domandare se questa terza potenza

fosse la Turchia, rimaneva da parte di Litvinov senza risposta, ad una mia

seconda Litvinov si limitava a replicare: «Non so».

Questa terza potenza, altrimenti indicata con l'espressione di «other

sources » o «other quarters », avrebbe, secondo Litvinov, cercato di ottenere la inclusione nella Locarno orientale di tutta la Piccola Intesa (e cioè oltre la Cecoslovacchia anche la Jugoslavia e la Rumania) nonché della Intesa Balcanica (cioè Turchia e Grecia). Litvinov avrebbe risposto di non volere assolutamente comprendere nel patto nessuno di tutti questi paesi all'infuori della Cecoslovacchia e ciò sia per conservare al patto un carattere strettamente regionale (tutti i paesi orientali praticamente contigui alla Germania), sia per non dare alla combinazione un carattere tendenzialmente antitaliano, l'URSS tenendo a conservare le sue buone relazioni con l'Italia etc. etc.

È evidente che questa «terza potenza» non può essere che la Turchia, tanto più che Litvinov aveva anche, incidentalmente, precisato che le «insistenze » gli sarebbero state rivolte anche prima del suo arrivo a Ginevra. Orbene, prima del suo arrivo a Ginevra, !Jitvinov non ha visto che Tewfik Ruschdi bey, a Vienna.

È anche possibile, direi quasi certo, che alle pressioni di Tewf.ik Ruschdi bey si sia unito, in un secondo momento, Titulescu, oppure che, fin dal primo momento, Tewfik Ruschdi bey abbia parlato anche a nome di lui. Di Titulescu Litvinov mi ha detto soltanto che egli avrebbe energicamente combattuto l'idea di includere nel patto la sola Cecoslovacchia, dicendo enfaticamente: « Nous ne permett·rons jamais à Benes d'accepter ». Dopo, però, T~tulescu avrebbe finalmente, come per tutto il resto, ceduto.

Questo attivismo turco, o turco-rumeno, contro l'Italia merita di essere rilevato. Vero è che i fatti, cui le informazioni Litvinov si riferiscono, rimontano ad ormai un mese fa e che, frattanto, nella situazione turco-italiana si sono verificati importanti fatti nuovi (prolungamento al 1942 del trattato di non aggressione). Comunque, gioverebbe osservare se, da quella data in poi, l'attivismo di cui sopra accenni, oppur no, a smorzarsi.

In proposito ho domandato espressamente a Litvinov se e cosa Tewfik Ruschdi bey gli avesse detto ne'i nostri riguardi. Egli mi ha risposto aver ancora trovato in Tewfik Ruschdi bey le tracce di un serio «allarme», a causa sopratutto delle fortificazioni da noi fatte nelle isole del Dodecanneso. Gli ho osservato non essere giusto che la Turchia prenda come diretti contro di sé dei fatti che, nell'attuale situazione europea, hanno carattere evidente di valorizzazione delle nostre posizioni mediterranee erga omnes. Aggiunsi vedere in tutto questo della montatura e della artificiosità. Forse, dissi, la TUrchia aveva bisogno di qualche pretesto per sostenere la propria politica generale di riarmamento e quella particolare di riarmo degli Stretti.

Litvinov negò questo, ma aggiunse di avere «ancora una volta» ripetuto a Tewfik Ruschdi bey che l'URSS non vuole compromettere le proprie relazioni con l'Italia, e che egli personalmente non crede « for the time being » nelle intenzioni aggressive dell'Italia nei riguardi della Turchia e pertanto trova ingiustificati gli allarmi e le reazioni di quest'ultima. Si mostrò in proposito assai meravigliato della notizia da me datagli, e che gli era sfuggita, che il Ministro della Guerra turco avesse potuto in Parlamento fare esplicito quanto poco benevolo accenno all'Italia.

413

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2502/1089. Mosca, 19 giugno 1934.

Mio rapporto n. 2395/1045 del 14 corrente (1).

In seguito a istruzioni del suo Governo, il Signor Jungerth ha poi finito per attendere il ritorno di Litvinov, avendo quindi con lui, il 17 corrente, un interessante colloquio di politica generale di cui ritengo opportuno riferire qui appresso i punti di maggior rilievo anche per noi.

Revisionismo. -Il Signor Litvinov si è espresso in proposito con Jungerth non dissimilmente da Krestinski, soltanto con maggiore ampiezza e con un maggior desiderio dimostrativo.

L'URSS -ha detto in sostanza Litvinov -prima era revisionista perché, l'asse della sua politica essendo Berlino, il suo revisionismo serviva a rafforzare la Germania e quindi indirettamente la stessa URSS. Il revisionismo sovietico, non astante che l'URSS non avesse firmato i trattati di pace, era insomma un apporto all'amicizia russo-tedesca.

La situazione è però cambiata con l'avvento di Hitler al potere e non -come la Germania cerca di far credere -per la differenza dei regimi (vedi amicizia sovietica con l'Italia), bensì per il proposito ripetutamente mostrato dalla Germania Hitleriana di volersi «espandere » verso gli Stati Baltici e l'URSS. Questo programma -che Hitler ha tracciato in modo preciso prima di arrivare al potere e, arrivatovi, nulla ha fatto per smentire, permettendo anzi che i maggiori esponenti del nazismo continuassero ad accreditarlo -ha creato per l'URSS un nuovo problema di sicurezza, quello della sicurezza occidentale, donde, per la evidente coincidenza di interessi, la presente tendenza della politica sovietica verso la Francia. In sostanza, poiché revisionismo significherebbe praticamente ora mano libera ai tedeschi per risolvere, per esempio, a spese baltiche e quindi sovietiche, il problema del Corridoio, l'URSS è -concludeva Litvinov -antirevisionista.

Il Signor Jungerth, a sua volta, spiegava al suo interlocutore che il caso del revisionismo ungherese è diverso. Esso rappresenta una condizione di pace e viene perseguito per vie e mezzi assolutamente pacifici. Mentre non tende a staccare nessuno dal proprio ceppo, ma anzi a restituirvelo, esso vuole mettere la capitale ungherese fuori del tiro dei cannoni cecoslovacchi.

Il Signor Jungerth svolgeva quindi la tesi che l'Ungheria si trovava in

una situazione di parallelismo con l'URSS. Anche l'URSS aveva la Bessarabia,

alla quale, pur non volendo per essa arrivare alla guerra, non intendeva

affatto rinunciare.

Con una differenza -interrompeva Litvinov -che, mentre l'URSS non

ha firmato i trattati di pace, l'Ungheria li ha firmati... Comunque, concludeva

su questo punto il Commissario sovietico, pure ammettendo il carattere pacifico

del revisionismo ungherese, l'URSS non potrebbe in materia fornire alcun concorso attivo, potendo «tutt'al più» limitarsi a «non esser contro».

Anschluss. -Anche per l'Anschluss la situazione dell'URSS era mutata. Prima l'URSS vi era favorevole, in quanto ciò serviva a sostenere le posizioni tedesche. Ora invece vi è contraria, sia perché l'esperienza ha dimostrato che l'Anschluss diventerebbe di fatto un casus belli, sia per non rafforzare la Germania.

Piccola Intesa. -A specifica domanda se l'URSS sostenesse le ambizioni politiche della Piccola Intesa, Litvinov avrebbe risposto recisamente di no. La concordanza della politica sovietica con quella francese non va oltre la questione tedesca. E qui Litvinov ripetette a Jungerth ciò che aveva detto già a me a proposito della Turchia e cioè che egli, anche per il noto patto orientale, si era rifiutato di avere a che fare con la Piccola Intesa, limitandosi a comprendervi la Cecoslovacchia solo per evidenti ragioni geografiche.

Balcani. -In proposito, Litvinov ha fatto a Jungerth dichiarazioni analoghe che per la Piccola Intesa, aggiungendo peraltro che in questo campo l'URSS «lasciava fare alla Turchia». La dichiarazione è per noi importante, per quanto mitigata dall'esplicito desiderio al medesimo tempo da Litvinov manifestato anche a Jungerth di voler mantenere buoni rapporti con l'Italia.

Patti di Roma. -Richiesto di quale occhio egli li vedesse, Litvinov ha risposto di vederli favorevolmente, nei limiti peraltro in cui non implicassero una discriminazione ai danni dell'URSS, punto sul quale del resto il Commissario sovietico assicurava di essere già in opportuno contatto col Governo italiano.

In complesso, il Signor Jungerth si è mostrato con me soddisfatto della conversazione con Litvinov e delle assicurazioni ricevute. La conclusione che egli ne trae è la seguente. In quasi tutte le questioni che interessano l'Ungheria, l'URSS o è favorevole o non è contraria, a condizione, tuttavia, che le direttive politiche dell'Ungheria non la portino a una collaborazione con la Germania.

Il Ministro Jungerth è ripartito la sera del 18.

(l) Non pubblicato.

414

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2293/261 R. Parigi, 20 giugno 1934, ore 13,10 (per. ore 16,45).

Il segretario generale Quai d'Orsay mi ha parlato di sua iniziativa dei patti regionali orientali.

Léger mi ha detto che Parigi aveva fornito elementi generici ad ambasciatore di Francia per fare una comunicazione a V. E.

Il mio interlocutore desiderava tuttavia chiarirmi con maggiore precisione la questione informandomi dei più recenti svolgimenti.

L'iniziativa, secondo Léger, era presa dal Governo sovietico il quale aveva proposto in un primo tempo un'alleanza completa generale franco-russa comprendente anche l'estremo oriente.

In seguito al rifiuto della Francia di mettersi su questa via Mosca aveva proposto un accordo franco-russo limitato all'occidente.

Il Governo francese a sua volta aveva messo come condizione sine qua non alla conclusione di qualsiasi accordo chte comprendesse la Germania, Cecoslovacchia e Polonia.

Su questa base si è stabilita l'intesa e proposte concrete sono state fatte dalla Francia e dalla Russia, a Berlino, Varsavia e Praga.

A domanda della Russia sono stati compresi nel patto i paesi baltici.

Ho chiesto a Léger se Francia partecipasse al patto regionale.

Mi ha risposto che il patto dovrebbe comprendere Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Russia e Paesi baltici. La Francia interveniva indirettamente nell'accordo in quanto si obbligava a solidarizzarsi con la Russia se patto regionale fosse violato a suo danno. D'altra parte l'URSS garantiva il suo appoggio alla Francia in caso di violazione del patto di Locarno (1). (Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo) (2).

415

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 833/149 R. Roma, 20 giugno 1934, ore 24.

Telegramma di V. E. 422 (l). In relazione alle osservazioni fatte dal sottocapo di Stato Maggiore della marina inglese il R. ministero della marina ha fatto conoscere quanto segue:

«È in corso la notizia alle altre Potenze firmatarie del trattato di Washington della decisione del R. Governo di impostare due navi di linea da 35.000 tonn. giusta disposto parte III, sezione P paragrafo b) del trattato suddetto.

Trattato di Washington riconobbe diritto Italia impostare 70.000 tonn. grandi navi fin dal 1927-1929. Allo stesso titolo permise Gran Bretagna impostazioni navi « Nelson » e « Rodney » durante la «vacanza navale». Trattato Londra confermò diritto Italia impostare 70.000 durante vacanza navale 1930-1936 e ciò per tener conto del fatto che non abbiamo impostata alcuna nave maggiore dopo il 1912 e per avviarci verso il raggiungimento dell'equilibrio navale pattuito a Washington ossia le proporzioni di forza tra le navi di linea delle Potenze firmatarie 5,5 3, 1,67.

L'Italia a differenza delle altre Potenze ha radiato sei delle dieci navi maggiori !asciatele dal trattato di Washington senza finora rimpiazzarle ed è rimasta quindi con sole quattro navi antiquate senza protezione subacquea ed

(-3) Cfr. n. 402.

armate con cannoni da 12 pollici. D'altra parte l'Italia è solamente impegnata ad entrare in guerra contro l'aggressore Germania o Francia in caso· di violazione dei trattati di Locarno.

E' pertanto assurdo asserire che nostra decisione rappresenti una presa di posizione contraria politica inglese, nulla vietando che per costruzioni avvenire dopo 1936 la conferenza navale del 1935 decida riduzione anche drastica dislocamento e armamento navi di linea o abbandono totale loro costruzione come proposto dall'Italia alla conferenza di Londra del 1930 e alla conferenza generale del disarmo».

(l) -Ritrasmesso a Washington, Londra, Berl!no, Varsavla, Mosca, Tokio, Bruxelles, Ankara, Bucarest, Belgrado, Praga, Atene, Helsinki, Tallln, Stoccolma, Riga e Kaumas con t. 848/C. R. ~el 23 giugno. (2) -T. 2305/262 R., pari data, non: pubblicato.
416

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 834/150 R. Roma, 20 giugno 1934, ore 24.

Telespresso di V. E. n. 681 (l).

Questa ambasciata britannica ha fatto conoscere a questo R. ministero che codesto Governo è disposto risolvere questione confine Cirenaica-Sudan adottando come linea frontiera 25° meridiano.

Soluzione proposta lascia a noi interamente triangolo di Sarra e divide in parti pressocché uguali massiccio Auenat che si trova come noto a cavallo del 25° meridiano !asciandoci i due pozzi principali, da noi già occupati, essa risponde sostanzialmente a quella progettata nell'ultima parte del telespresso di questo

R. ministero n. 207798 del 7 marzo c.a. (l) e può venire considerata come soddisfacente.

Questo R. ministero ha provveduto quindi a rispondere a questa ambasciata britannica che, salvo qualche modificazione di dettaglio che non dovrebbe trovare difficoltà di accettazione da parte di codesto Governo, in quanto è intesa sopratutto a salvaguardare nostre rivendicazioni nei confronti francesi per nota questione confini meridionali Libia, soluzione proposta viene da noi considerata accettabile. Tanto si comunica per sua opportuna conoscenza e riservata norma dacché il negoziato è tuttora in corso di definizione.

417

IL MINISTRO A WENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2337/0114 R. Vienna, 20 giugno 1934 (per. il 23).

Mio telegramma n. 208 (2). Cancelliere mi ha informato della sua conversazione di iersera col signor Barthou, durata solo una quindicina di minuti.

(ll Non pubblicato.

Cancelliere aveva innanzi tutto attirato attenzione del ministro degli esteri francese sulla questione della conversione del prestito austriaco del 1922; aveva poi tratto occasione da tale questione per ripetergli quanto egli già mi aveva ac·cennato (mio telespresso 1191 del 6 giugno) (l) circa la necessità che la Francia si decida finalmente a seguire, con aiuti reali ed immediati, l'esempio dato dall'Italia verso l'Austria. Al riguardo egli aveva fatto presente al signor Barthou che l'attività nazista, col colpire il movimento turistico, produce all'economia austriaca una perdita annua di circa 150 milioni di scellini.

Barthou aveva risposto d'essere pieno di ammirazione per quanto l'Italia aveva fatto e faceva in favore dell'Austria; ed aveva dato l'assicurazione che anche il Governo francese avrebbe fatto il possibile per venirle incontro, e ciò tanto più in quanto «tutti i partiti francesi approvano ormai la politica e l'opera del cancelliere austriaco».

Barthou aveva inoltre dichiarato che la Francia era completamente d'accordo con l'Italia per quanto riguardava la linea politica seguita dal Governo di Roma verso l'Austria.

Cancelliere mi ha infine riferito che il ministro degli esteri francese aveva tenuto a dichiarargli che egli non intendeva assolutamente immischiarsi nella politica interna dell'Austria: al che il cancelliere aveva risposto che ciò avrebbe reso il suo compito assai più agevole di quanto esso non fosse stato all'epoca del di lui predecessore, Herriot.

(2) T. 2267/208 R. del 18 giugno, non pubblicato: comunicava che Barthou, diretto a JJucarest, sarebbe transitato il 19 giugno per Vienna e che Dollfuss si sarebbe recato a salutarlo alla stazione dell'est.

418

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2334/0115 R. Vienna, 20 giugno 1934 (per. il 23).

Ho detto oggi al cancelliere che V. E., in seguito a mie segnalazioni, mi aveva incaricato di manifestargli il suo parere che in questo momento converrebbe evitare qualsiasi atto che possa dare impressione di nervosismo: e quindi anche, per i processi davanti alla Corte eccezionale, converrebbe mantenere una perfetta calma, evitando l'esecuzione di condanne capitali.

Il cancelliere mi ha risposto che egli apprezzava e si rendeva esatto conto di tale avviso: che però bisogna rendersi conto altresì del grado di esasperazione cui è giunta l'opinione pubblica di questo paese nei riguardi delle malefatte dei nazisti; una reazione ed una pressione così viva e potente che renderebbe assolutamente ineluttabile l'esecuzione di condanne capitali, specie nel caso di attentati cui fossero seguite perdite di vite umane. Il cancelliere si è diffuso quindi a parlare di siffatta e generale viva reazione, nonché della necessità in cui si troverebbe il Governo di darle adeguata soddisfazione: ed al riguardo ha accennato di nuovo alle fatali conseguenze che non potrebbero non derivare agli autori di letali attentati.

Anche il principe Starhemberg, caduta oggi la conversazione sulla questione delle condanne capitali, mi ha svolto quasi analoghi argomenti. Egli ha detto d'esser contrario, in principio, a dette condanne; che però la reazione dell'opinione pupblica e sovratutto delle Heimwehren è divenuta così potente (e mi ha accennato alle spontanee punizioni inflitte da heimwehristi e da cittadini in questi ultimi giorni ad attentatori nazisti: fra l'altro, un mortale colpo di baionetta inflitto domenica scorsa a Brunau -dov'egli teneva un discorso -da un heimwehrista ad un nazista) che sarebbe assolutamente impossibile evitare l'esecuzione di condanne capitali, che fossero decretate per gli autori di gravissimi attentati, e sovrattutto a carico di coloro che avessero prodotto la morte di pacifici cittadini.

Alla mia osservazione che, anche in tale caso, sarebbe necessaria la constatazione d'un'atmosfera generale nettamente propensa all'esecuzione di tali condanne, il vice cancelliere mi ha replicato che io non potevo non ignorare che tale atmosfera esiste già da tempo. Ha aggiunto anzi che se io mi fossi recato in provincia, e specie nei centri maggiormente colpiti dalla cessazione del turismo, mi sarei subito avveduto d'una tesissima situazione derivante appunto dall'imputazione fatta al Governo di non colpire adeguatamente gli autori di tanto danno economico e morale al paese.

Il principe Starhemberg ha soggiunto che l'ipotesi di pene capitali è tuttavia ben lontana, e ciò non solo perché i nazisti rivolgono la loro attività quasi esclusivamente alla distruzione di beni materiali, ma anche perché gli attentatori sono generalmente sicari di meno di venti anni, che è l'età esclusa dalla legge per l'esecuzione delle condanne in parola.

Ho notato che il principe Starhemberg è stato assai più drastico del cancelliere nell'affermare il vivo sentimento di reazione insinuatosi nel grosso della popolazione e la impaziente attesa da parte di essa di condanne capitali, che servissero di esempio e di riflessione ai male intenzionati. Mi risulta poi che le Heimwheren sono le più accese in siffatta attesa.

Desidero infine segnalare che questo ministro di Germania, pur sostenendo recisamente che gli attentati di questi ultimi giorni siano da attribuirsi esclusivamente ai comunisti, ha a varie riprese fatto presente al segretario generale del Ballplatz (e mi è stato detto anche allo stesso cancelliere) che la esecuzione d'una condanna capitale significherebbe il segnale d'una rivolta generale, avvisando quindi alla necessità di evitare assolutamente una siffatta evenienza.

A queste proteste ed avvertimenti del signor Rieth non si è dato, né si dà, soverchia importanza: anzi vi si replica osservando che essi contrastano con l'asserzione che gli attentatori non sono nazionalsocialisti.

È mia impressione che il cancelliere e l'intero Governo sono entrati in uno stato d'intensa reazione contro il terrorismo nazionalsocialista: e di ciò fa prova sia l'incoraggiata «spontanea reazione» di cui al mio telegramma per corriere dal numero seguente (l), e sia il tono reciso con cui il cancelliere ed il principe Starhemberg mi hanno prospettato l'ineluttabilità dell'applicazione della pena capitale in crimini che risultassero effettivamente di particolare gravità.

(l} Cfr. n. 422.

33 -Documenti dip!omattct -Serie VII -Vol. XV

(l) Telespr. 2315/1191, non pubblicato.

419

IL MAGGIORE RENZETTI A ... (l)

L. CONFIDENZIALE. Berlino, 19-20 giugno 1934.

*Ho partecipato oggi ad una colazione intima da Hitler che ho trovato raggiante. Nel lungo colloquio avuto prima della colazione, egli mi ha detto di essere entusiasta dell'incontro con il Duce. «Io, ha seguitato, conoscevo ed ammiravo già Mussolini attraverso i suoi discorsi, i suoi scritti e le sue opere: sono felice che l'incontro mi abbia dato la possibilità non solo di confermare la mia opinione, ma altresì di ampliarla. Uomini come Mussolini, nascono una volta ogni mille anni e la Germania può esser lieta che egli sia italiano e non francese.

Io, ed è naturale, mi sono trovato alquanto impacciato (befangen) con il Duce, ma sono felice di aver potuto parlare lungamente, di aver sentito le sue idee e d'avergli esposto le mie. Che sorta di oratore è Mussolini, ha esclamato! E quale potenza esercita sul popolo! Io ho osservato la massa e da intenditore quale credo di essere, ho constatato che gli italiani sono veramente dietro al loro grande Capo».

Nella conversazione (Hitler mi è parso sincero; egli non è abituato a fare dei complimenti formali almeno con me), il Cancelliere sembrava trasformato. E tale mia impressione, è stata confermata poi dalle descrizioni che ieri ed oggi, così coloro che lo accompagnavano, come altre personalità del mondo politico, mi hanno fatto e degli avvenimenti di Venezia e dei racconti di Hitler stesso. * Hitler, è tornato con me sull'argomento Russia e Giappone per ripetermi le note argomentazioni. Ha aggiunto di aver ricevuto un rapporto dal quale risulterebbe che si starebbe realizzando un blocco Francia, Russia, America al quale si dovrebbe opporre l'altro composto dall'Inghilterra, Germania, Italia e Giappone. Sulla politica francese, il Cancelliere ha esposto le note idee che ritengo quindi inutile riepilogare.

Durante e dopo la colazione alla quale hanno preso parte il ministro Hess, il ministro e commissario del Reich per il diritto tedesco Frank, l'ex capo dei nazi austriaci Habicht, Brtickner, Schaub, Dietrich, Hitler ha parlato di Venezia, della personalità del Duce, delle accoglienze ricevute, con grandissimo calore. «Io, ha detto, conoscevo già i palazzi di Venezia attraverso i libri ed i quadri: si può dire che la mia coltura è basata sullo studio delle magnificenze di quella città: eppure quello che ho visto ha superato le mie aspettative. I concerti sono stati magnifici: Wagner è stato suonato deliziosamente, ottime le cantanti; specie la soprano leggero (coloratur Sangerin) che noi qui non possediamo».

Prima di congedarmi, Hitler mi ha detto che spera di incontrarsi presto con il Duce se occorre anche a Roma: che nutre peraltro anche la viva speranza di poter ospitare Mussolini in Germania. «Gli farò trovare un ricevimento dal quale potrà constatare quale entusiasmo regna qui per il Duce».

20 giugno 1934.

Ho avuto occasione oggi di parlare con varie personalità tedesche: i ministri Rust, Kerll, Goebbels, i sottosegretari Meissner, Korner, Milch, con Goring e numerosi altri. Hitler li aveva riuniti ieri sera per esporre i propri giudizi sull'incontro di Venezia (i giudizi in generale, ché dei colloqui ha riferito particolareggiatamente solo a Neurath) e ad essi ha parlato con entusiasmo del Duce, tanto che qualcuno mi ha osservato... «quale è dunque la personalità del Duce che è riuscito a stregare il Fiihrer 't>? Ho trovato tutti lieti, sollevati, curiosi di sapere (io non ho ritenuto dire loro quanto mi aveva detto Hitler) l'esito delle conversazioni. Naturalmente -ed Hitler per il primo io credo -qui si vorrebbe sapere e conoscere il giudizio «privato 't> del Duce sul Fiihrer, curiosità questa comprensibile e che io non ho purtroppo potuto soddisfare.

Frank mi ha detto di essere dispiacente della interpretazione data dagli italiani alle sue parole sulla riforma del diritto tedesco. «Riconosco, ha detto, rispondendo ad una mia osservazione, che da alcuni qui si è parlato troppo e che d'altra parte nel programma nazi, a questo riguardo .si è formulato demagogicamente ed aspramente accuse al diritto romano. Ma ciò è comprensibile: nel 1926 tutti eravamo giovanissimi e amareggiati: non abbiamo pensato certo alle conseguenze di una elaborazione affrettata. Anche Hitler con il quale ho discusso l'argomento, è del mio parere ed io ora vorrei esporre agli amici italiani il mio programma e le nostre aspirazioni che certo non offenderanno alcuno né menomeranno la grandezza del diritto romano.

Qualora io fossi invitato, io verrei in Italia a tenere una conferenza nella vostra lingua (il Frank la conosce bene): se lo desiderate io potrei dare una intervista a qualche vostro giornale 't>.

Von Papen ha presentato le proprie dimissioni ad Hitler che non le ha accettate, in seguito alla proibizione fatta alla stampa e alla radio di rispettivamente pubblicare e trasmettere un suo discorso tenuto domenica scorsa a Marburgo. In tale discorso Von Papen criticava alcune tendenze nazi in materia religiosa: la lotta fatta agli elementi cosidetti reazionari.

Riferirò presto degli sviluppi di tale questione e di altre di cui domani dovrò parlare con personalità tedesche.

(l) Il destinatario non è indicato. Il brano fra asterischi· è edito In DE FELICE, p. 496.

420

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. PER CORRIERE R. 836 R. Roma, 21 giugno 1934, ore 20.

Come già era stato comunicato al presidente Gombos per suo tramite, l'incontro tra i due capi di Governo non doveva avere carattere ufficiale nè era destinato a portare a degli accordi concreti e precisi. Doveva essere ed è stato un contatto personale tra i capi di due grandi paesi, creatori di due grandi movimenti nazionali, con scambio di idee, come naturale, sui principali problemi del momento, secondo il desiderio ripetutamente manifestato dal cancelliere Hitler. Le cose si sono svolte secondo la linea prevista.

v. S. e codesto Governo conoscono già i due comunicati ufficiali nonché le parole pronunciate da S. E. il capo del Governo in piazza S. Marco (l).

Le conversazioni, durate complessivamente più di quattro ore in due riprese hanno avuto luogo esclusivamente fra i due capi di Governo. Il cancelliere Hitler ha avuto modo di esporre dettagliatamente e nuovamente la sua Weltanschauung, del resto già nota, mentre i vari problemi concreti non hanno fatto oggetto di speciale concreta discussione.

La conversazione si è aggirata in modo più preciso sul problema dell'Austria. Il cancelliere Hitloer, dopo avere esposto le ragioni per cui considera la politica di Dollfuss ostile e diretta deliberatamente contro il nazionalsocialismo ha ripetuto ancora una volta le condizioni sostanzialmente già note, alle quali egli sarebbe disposto a giungere ad una liquidazione della questione. Ha riassunto tali condizioni nei seguenti punti:

l) -L'Anschluss è fuori discussione; la Germania non fa quindi questione dell'indipendenza dell'Austria; 2) -Il cancelliere austriaco deve essere personalità indipendente non appartenente ai partiti oggi in lotta; 3) -Occorre indire le elezioni affinché il popolo austriaco possa liberamente esprimere la sua volontà; 4) -I nazi debbono partecipare al Governo in proporzione ai risultati delle elezioni; 5) -Le questioni concernenti l'Austria debbono essere decise d'accordo fra Germania ed Italia.

Il capo del Governo ha ribattuto: che Dollfuss non attaccava ma che si difendeva; che sulle proposte del cancelliere, a parte ogni giudizio di merito non era il caso di discutere fino a che non fosse subentrato uno stato di tranquillità in Austria e non fosse durato per un periodo di tempo sufficientemente lungo. È evidente che nessun capo di Governo può accettare una qualsiasi discussione sotto la pressione costituita dagli attuali atti di terrorismo che sono organizzati dall'estero.

Il cancelliere ha a sua volta ammesso che disapprova anche egli la politica del terrorismo, la quale proveniva sia dai comunisti, sia forse dai nazionalsocialisti austriaci sui quali il Governo germanico non ha però possibilità di influire in modo positivo. Pure, secondo von Neurath la situazione austriaca sarebbe sfuggita al controllo del ministero esteri e degli stessi dirigenti del partito nazionalsocialista.

Per quanto concerne il signor Dollfuss e l'attuale Governo austriaco, il cancelliere Hitler ha spiegato di non avere nessuna ragione di astio contro la

«Si è svolto in questi giorni a Venezia un incontro sul quale si è concentrata l'attenzione del mondo. Ma ora io dirò a voi Italiani e a tutti al di là delle frontiere che Hitler ed !o ci siamo incontrati qui non già per rifare e nemmeno modificare la carta politica dell'Europa e del mondo o per aggiungere altri motivi di inquietudine a quelli che già turbano tutti i paesi dall'estremo oriente all'estremo occidente. Ci siamo riuniti per tentare di disperdere le nuvole che infoscano l'orizzonte della vita politica europea. Sia detto ancora una volta che una terriblle alternativa sta dinanzi alla coscienza di tutti i popoli europei. O essi ritrovano un minimo di unità politica, di collaborazione economica, di comprensione morale,

o il destino dell'Europa è irrevocabilmente segnato».

persona di Dollfuss, ma di doverlo considerare troppo identificato colla situazione attuale che egli è costretto a combattere.

Da tutto l'andamento delle conversazioni risulta insomma che la questione austriaca non ha fatto alcun progresso nella mente del cancelliere di modo che difficilmente si vede la possibilità di un accordo su questo punto; ed il capo del Governo ha riaffermato nei confronti di Hitler il preciso punto di vista italiano tanto sulla questione austriaca in genere quanto sull'attuale situazione interna dell'Austria.

Circa le altre questioni (disarmo ecc.) il cancelliere ha ripetuto il punto di vista già noto che un accordo è possibile sulla base della concessione alla Germania delle armi difensive e degli effettivi di 300 mila uomini. L'accoglimento della domanda tedesca rappresenterebbe anche il principio di attuazione della Gleichberechtigung già posto dal cancelliere come premessa per il ritorno della Germania nella Società delle Nazioni. Circa gli accordi regionali il capo del Governo ed il cancelliere si sono trovati di accordo nell'escludere tutto quello che possa condurre ad una divisione dell'Europa in gruppi di Stati e quindi riuscire nocivo ad un'opera di consolidazione e di ripresa.

Pregola di comunicare riservatamente quanto precede al presidente Gombos a nome di S. E. il capo del Governo. Sulla base poi anche di quanto le viene comunicato con altro dispaccio circolare diretto a tutte le principali nostre rappresentanze all'estero (1), EÙa potrà altresì nella sua conversazione con Gombos mettere in opportuna evidenza come molte delle notizie ed informazioni apparse nella ·stampa siano prive di qualsiasi fondamento, e frutto di interpretazioni arbitrarie o di pura fantasia. In particolare l'accenno, apparso anche nella nostra stampa, che partendo dalla base della indipendenza dell'Austria auspica ad un ritorno sollecito alla tranquillità ed alla normalità, non può in nessun modo essere interpretato come un mutamento del nostro punto di vista e quasi una concessione alle voci che reclamerebbero il ricorso in Austria a delle elezioni, a cui ci manteniamo contrari.

(l) Del discorso di Mussolini pronunciato a Venezia il 15 giugno si riporta il seguente brano:

421

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 838/102 R. Roma, 21 giugno 1934, ore 22.

Suo telegramma n. 292 (2).

In relazione al telegramma di Ragheb bey, del 30 maggio, V. S. potrà fargli la seguente comunicazione:

«Con riferimento a quanto V. E. ha telegrafato in data 30 maggio a S. E. il capo del Governo, questi mi incarica di ringraziare V. E. per la cortese comunicazione e di far conoscere che Governo italiano apprezza al loro giusto valore i sacrifici consentiti dall'Imam per giungere ad un pacifico regolamento della vertenza con re Ibn Saud e per assicurare la conservazione dello statu qua in Arabia, implicante un equilibrio politico-territoriale che il Governo italiano ritiene essere nell'interesse della pace e della prosperità dell'Arabia.

Il Governo italiano coglie questa occasione per esternare nuovamente al Governo yemenita i sensi della sua cordiale amicizia che, felicemente iniziatasi nel 1926, ha trovato nuova occasione d'applicazione anche nei recenti avvenimenti, nel costante obiettivo della indipendenza e della prosperità dello Stato yemenita.

(l) -T. per corriere 837/C. R. del 21 giugno, di cui si pubblica solo il capoverso finale, essendo per il resto di contenuto simile al presente telegramma: «Per quanto concerne le linee politiche in cui esse [conversazioni di Venezia] si inquadrano, è opportuno richiamarsi al preminente e costante motivo a cui si è ispirato S. E. il Capo del Governo, portandovi tutto il peso del suo prestigio personale: mantenere il contatto fra tutte le quattro Potenze occidentali responsabili dell'ordine e della pace in Europa tentando di sanarne i dissidi e creare quella sostanziale solidarietà fra di esse che può essere sola garanzia efficace del mantenimento efficiente della civiltà europea. L'incontro quindi di Venezia è sulle linee a cui si inspira il patto a quattro, degli incontri con il signor MacDonald ed il signor Simon e con le numerose visite che i principali uomini responsabili della politica europea hanno compiuto a Roma da due anni a questa parte». (2) -T. 2166/292 R. del 9 giugno, non pubblicato.
422

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2335/0116 R. Vienna, 21 giugno 1934 (per. il 24).

Gli attentati si susseguono.

Essi assumono sempre più la forma di attività svolte da bande di individui (organizzate -secondo Starhemberg -da dirigenti tedeschi in diretta relazione con Monaco) operanti all'improvviso in una determinata regione, alla stessa ora, contro gli stessi obbiettivi. Così ieri nel Vorarlberg avvennero nella medesima ora una diecina di attentati contro impianti elettrici e telefonici, con uso di capsule provenienti da fabbriche tedesche e di esplosivi speciali di fabbricazione germanica. Di ciò si ha la prova dal rinvenimento di materiale rimasto in alcuni casi inesploso.

Circa tale terrorismo, che il cancelliere attribuisce per il 90 % ai nazionalsocialisti e per il 10 % ad atti di isolati comunisti, queste sfere ufficiali non danno segni di particolare preoccupazione ritenendolo ormai perfettamente controllato.

Il ministro della sicurezza Fey è addirittura d'avviso che la campagna terroristica nazista sia da considerarsi come fallita, un certo pericolo permanendo invece esclusivamente in probabili azioni comuniste.

In tale atmosfera prevale più che mai l'idea che solo perseveranti prove di energia da parte del Governo potranno dare la pace al paese; ed anzi si osserva che poiché il governo ha sormontato ormai la preoccupazione di salvare il movimento turistico -preoccupazione che Io aveva indotto finora ad un atteggiamento quasi passivo verso i nazi -la reazione contro il nazismo deve essere continuata anche con ricorso a pene capitali; in guisa che dal disastro economico per il cessato turismo possa trarsi il beneficio di aver liberato il paese dal terrorismo e dalle minacce nazionalsocialiste.

Un'altra idea, che va facendosi strada, è quella che il nazionalsocialismo,

a malgrado le apparenze, sia in diminuzione. Il Fey mi disse dieci giorni fa

che esso ammontava al 35% della popolazione; oggi lo Starhemberg al 20%

Le ragioni addotte per spiegare tale pretesa diminuzione sono le seguenti: l) le attuali condizioni interne della Germania, e la prevalenza che avrebbe preso colà la parte estremista di sinistra, sarebbero valse in queste ultime due settimane a produrre un salutare ravvedimento nei cosiddetti «nazionali» austriaci, che finora hanno simpatizzato col nazionalsocialismo, nonché nella massa degli oppositori a Dollfuss e a Starhemberg, che, per reazione, si erano andati man mano accostando al nazismo. 2) La grande impressione che avrebbe destato nei nazionalsocialisti la «spontanea» reazione dei cittadini contro le malefatte naziste. Questo movimento, inquadrato dalle Heimwehren, avrebbe dato i maggiori risultati nel Burgenland, nell'Alta e nella Bassa Austria: starebbe adesso organizzandosi nel Tirolo e nel Vorarlberg. 3) Infine la viva reazione che in taluni centri andrebbe naturalmente formandosi contro il nazismo per le gravi perdite economiche a causa del cessato turismo.

Riferendosi alle predette e ad altre considerazioni secondarie, Starhemberg mi ha poi precisato che egli ed il ministro Neustadter Stiirmer sono ormai pervenuti alla conclusione che «il successo del nazismo potrebbe aver luogo in Austria per cause di ordine esterno, ma non mai interno »: e cioè che esso potrebbe avverarsi unicamente nel caso che la Germania divenisse strapotente in Europa e che le grandi naziQni -e specie l'Italia -abbandonassero la politica sinora seguita nei riguardi dell'Austria.

Nel predetto accenno dello Starhemberg all'Italia, mi è sembrato leggere una particolare intenzione.

423

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2336/0117 R. Vienna, 21 giugno 1934 (per. il 23).

Mio telegramma n. 203 (l) e mio rapporto riservato n. 1246 del 18 corrente (2).

Le voci di accostamenti tra elementi di questo Governo e rappresentanti socialisti, o fra emissari delle due suddette parti, non sono cessate. Anzi, la concomitanza del breve colloquio Dollfuss-Barthou con l'annunzio dell'ulteriore liberazione dal carcere d'un certo numero di socialisti, dello Schutzbund, ha dato nuova esca a tali voci, facendo formulare l'ipotesi che i suindicati accostamenti fossero voluti dall'Inghilterra e dalla Francia, non tanto per far guadagnare al Governo austriaco la neutralità o l'appoggio delle masse socialiste nella lotta contro il nazismo locate, quanto per straniare il più possibile

detto Governo da una qualche soluzione basantesi su di una détente con la Germania di Hitler. Ho cosi creduto opportuno, nonostante le informazioni contrarie già raccolte (mio rapporto sopra citato), di esplicare opportune indagini col can

~~:

celliere.

l '

··""'-J

Questi mi ha fatto lunghe dichiarazioni, che qui appresso riassumo:

l) Le misure di clemenza prese finora a favore dei socialisti incarcerati in seguito alle giornate di febbraio riguardano gli ex-capi partito socialdemocratico ed i militi dell'ex Schutzbund.

2) Le misure in favore dei capi consistono esclusivamente nell'autorizzazione concessa ai detenuti di trasferirsi, sotto la diretta sorveglianza della polizia, nelle loro private abitazioni. Le autorizzazioni sono state concesse direttamente e personalmente dal ministro della sicurezza Fey, all'insaputa del cancelliere e del Governo, i quali, venutine a conoscenza, non hanno creduto di revocarle sia perché esse non danno luogo ad inconvenienti e sia perché la detenzione domiciliare, al luogo di quella nei penitenziari, non significa affatto la cessazione del procedimento penale e l'applicazione dell'eventuale condanna.

3) Le misure prese in favore degli ex-militi dello Schutzbund arrestati al momento della rivolta rossa, e talvolta come semplice provvedimento precauzionale, consistono nella liberazione di buona parte di essi decretata dalle competenti autorità giudiziarie. Esse misure corrispondono anche alle note direttive del Governo rivolte a conciliarsi il più possibile il favore delle masse socialiste, o, quanto meno, ad impedire il loro passaggio al nazionalsocialismo. I risultati di questo indirizzo politico non potevano dirsi, almeno per il momento, cattivi. Difatti, non solo non v'era stato il temuto passaggio di masse socialiste al nazismo, ma anzi si era verificata la formazione di un blocco di ex-socialdemocratici favorevolmente disposti verso il Governo, specie in seguito alla recente violenta attività dei nazi.

4) Le voci infine di contatti del Governo federale con elementi socialisti, sia direttamente e sia a mezzo di emissari, erano assolutamente infondate. Esse andavano smentite e respinte nel modo più reciso, altro non essendo che insinuazioni dei nazi, all'ovvio fine di recare un grave pregiudizio al cancelliere, essendo ormai del tutto palese la determinazione del Governo federale di lottare contro le mene nazionalsocialiste con la stessa energia usata nei riguardi della socialdemocrazia.

Anche il principe Starhemberg, con cui mi sono intrattenuto sul medesimo argomento, ha negato nel modo più categorico ogni fondamento alle voci a me pervenute. Ha aggiunto che la politica di clemenza verso i socialisti avrebbe dato al contrario buoni frutti, e sovratutto prodotto il singolare fenomeno che alcuni capi ex-socialisti, anziché al fronte patriottico, vanno accostandosi all'Heimatschutz. Mi ha portato ad esempio il caso del deputato ex socialista Picher e di altri ex capi socialisti dell'alta Austria, i quali gli hanno scritto in quest'ultima settimana significandogli che i più recenti discorsi da lui

pronunziati avevano prodotto in loro la migliore impressione, disponendoli ad

una intesa.

Il principe Starhemberg mi ha quindi annunziato che tra breve egli stesso si metterà in contatto con dette personalità socialiste, ai fini di una possibile amalgamazione.

(l) -Con t. 21BB/203 R. del 12 giugno, Preziosi aveva riferito quanto segue: «Ho raccolto voci giusta le quali alcune personalità socialiste avrebbero cercato, con successo, ottenere da questo Governo promessa di indulgenza verso impegno attiva opposizione contro terrorismo nazlsta ». (2) -Cfr. n. 407.
424

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2337/1033. Berlino, 21 giugno 1934 (per. il 23).

Trasmetto il testo, divulgato dal Deutsches Nachrichten Bureau del 17 corrente, del discorso pronunziato il giorno stesso alla Università di Marburg dal Vice-Cancelliere von Papen su «Gli scopi della Rivoluzione tedesca».

Per ordine del Ministero della Propaganda, ai giornalisti è stato vietato di riprodurre il discorso, ed a maggior ragione questo non è stato ripetuto dalla radio, come era stato annunziato.

Il discorso e la notizia del suo divieto furono comunicati al Cancelliere Hitler dal Ministro Goebbels nel viaggio di ritorno da Gera a Berlino la sera di domenica. Non è quindi esatto quanto è stato affermato da qualcuno, che la violenta chiusa del discorso pronunziato a Gera da Hitler si riferisse ad esso.

E' invece chiaro che ad esso si riferisce l'articolo di Rosenberg: «Del senso e del significato della Rivoluzione tedesca», pubblicato sul VOlkischer Beobachter del 19, che pure unisco.

Von Papen, appena saputa la notizia del divieto di pubblicazione, ha offerto le sue dimissioni. Il Cancelliere Hitler non le ha accettate, ed ha anzi detto che quanto nel discorso era contenuto era in sé giusto, ma che era stata scelta male la sede per pronunziarlo, mentre il luogo adatto sarebbe stato una riunione di personalità del Partito (del quale come è noto von Papen non fa parte) cui fosse presente lui, Hitler.

Ciò è stato ripetuto da Hitler a von Papen in un colloquio che, per intromissione degli altri Ministri «borghesi» Seldte e Gurtner, è avvenuto il 19 stesso fra Canc,elliere e Vice-Cancelliere. Per il momento, quindi, sembra che l'incidente non avrà seguito, a meno che il Ministro Goebbels non voglia darglielo lui.

425

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. S. 841/154 R. Roma, 22 giugno 1934, ore 17.

Suoi telegrammi nn. 233 e 234 (l).

Concordo con la S. V. sulle sue osservazioni circa lo stato attuale dei rapporti italo-etiopic'i, nonché sui motivi che possono da parte nostra aver contribuito al formarsi della situazione attuale, anche se, come V. S. giustamente nota, questa è

come causa prima determinata dal programma nazionalista ed irredentista dell'Etiopia. Circa le proposte che ella enumera, affine di cercare di giungere ad una distensione dei nostri rapporti con l'Etiopia, rilevo quanto segue:

1°) E' stato possibile inviare recentemente a V. S. istruzioni per cercare di avviare a soluzione talune questioni secondarie, quali quelle della «denominazione » e delle «sedi » dei nostri uffici consolari in Etiopia. Tali istruzioni sono inspirate al nostro desiderio di venire per quanto è possibile incontro al punto di vista etiopico, senza d'altra parte compromettere nostri sostanziali interessi.

2°) La nostra stampa quotidiana scarsamente si occupa dell'Etiopia. Sui fogli e riviste coloniali che pubblicano di tanto in tanto qualche articolo di argomento etiopico, questo ministero non da ora provvede ad esercitare ogni possibile controllo. Esso sarà reso più severo in avvenire.

3°) Il riconoscimento della inanità della cosidetta politica periferica che ebbi ad esprimere nelle istruzioni datele all'atto della sua partenza è stato confermato dagli avvenimenti. E' inutile ed anzi dannoso indirizzare la nostra politica allo scopo di influire dalle nostre colonie su capi e popolazioni della periferia con mire di sobillazione. Dobbiamo invece accentuare una nostra azione di collaborazione.

4°) In conclusione e quantunque mi renda conto come l'Etiopia si stia rafforzando, reputo che nell'attuale situazione politica generale convenga cercare di sopire con un nuovo tentativo di chiarificazione nei vari campi delle relazioni itala-etiopiche i sospetti e le diffidenze esistenti, senza naturalmente che questo implichi (anzi esso esclude) quanto pote~se apparire manifestazione di minore fermezza o prestigio.

Di queste direttive do comunicazione per la parte che lo riguarda al ministero delle colonie.

(l) Cfr. nn. 249 e 250.

426

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 842/151 R. Roma, 22 giugno 1934, ore 16.

Telespresso ministeriale n. 219101 (1).

Prego seguire attentamente conversazioni navali che hanno luogo a Londra e, data importanza che riveste questione, riferire particolareggiatamente ogni utile informazione in proposito.

Per sua notizia aggiungo che politica navale italiana rimane sostanzialmente quella indicata nel nostro memorandum del 19 febbraio 1930 (2) e che saremmo pronti a rinnovare integralmente trattato di Washington, malgrado che alcune disposizioni sieno pregiudizievoli per noi, qualora gli altri firmatari vi fossero egualmente disposti.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. serie VII, vol. VIII, n. 376.
427

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2326/266-267 R. Parigi, 22 giugno 1934, ore 19,30 (per. ore 22).

Ho detto a questo ministro della marina che gli enfatici discorsi che Titulescu sciorinava giornalmente in onore Barthou non promettono nulla di buono.

Si stava perdendo il senso della misura.

Le combinazioni dell'est non hanno del resto carattere tranquillizzante.

Pietri mi ha risposto di non esitare a dire che personalmente dà la prefe

renza alla intesa occidentale con l'Italia e Inghilterra. La pubblicazione delle cifre del bilancio tedesco aveva suscitato una irritazione profonda in seno al consiglio dei ministri. La nota di risposta all'Inghilterra già pronta che avrebbe dato soddisfazione all'Italia, era stata sostituita all'ultimo momento da quella del 17 aprile. Il ministro mi ha espresso a titolo personale la sua convinzione che il punto di vista francese si avvicina sia pure lentamente al memorandum italiano. La spinosa questione del riarmamento della Germania dovrebbe essere però

presentata in altro modo.

Si tratta insomma, secondo il ministro della marina, di trovare una formula.

Egli ha parlato a mo' di esempio di «riorganizzazione della Reichswehr » aggiungendo che la mente giuridica degli italiani non dovrebbe incontrare difficoltà ad escogitare una soluzione che consenta di superare lo scoglio. Pietri mi ha detto infine di essersi espresso analogamente a Ginevra col capo di Gabinetto di V. E. precisando che vi sono al•tri che la pensano come lui.

Egli ha evidentemente alluso ad altri suoi colleghi.

Discorso è caduto quindi sull'U.R.S.S.

Ministro della marina ha osservato che i Soviet tendono a tenersi aggrappati ad ogni costo alla Francia e non mi è sembrato troppo soddisfatto della prospettiva. Ha ripetuto che la Francia deve ricercare una intesa per il disarmo d'accordo con l'Italia e l'Inghilterra. Ho convenuto precisando che non si può sperare di arrivare a risultato desiderabile prescindendo dalla Germania. La pace europea sarà assisa su solide basi soltanto se la Germania .sarà vincolata con un accordo che essa abbia liberamente voluto e firmato.

Un guerra non rappresenta una soluzione perché dopo la conflagrazione si presenterebbe più acuto di prima problema della pacifica convivenza in Europa di circa 80.000.000 tedeschi.

Solo con largo spirito conciliativo la... (l) può essere superata.

Il ministro mi ha informato che accompagnerà Barthou a Londra.

Non sembra facile sperare in una modificazione del punto di vista britannico

in materia di riduzione degli armamenti. Ministro della marina ha osservato che l'azione italiana dovrebbe convergere a tale scopo.

Nel parlarmi del progetto di nota francese all'Inghilterra al quale ho accennato sopra e che fu poi sostituito con la nota del 17 aprile scorso, il ministro rilevando come già ho detto, che il contenuto era tale da dare soddisfazione all'Italia, ha aggiunto che sarebbe stato tuttavia difficile nella risposta a Londra che aveva chiesto a Parigi di pronunciarsi sul memorandum britannico, dichiarare che il Governo francese dava preferenza al memorandum italiano.

V. E. giudicherà se più innanzi, al momento opportuno, per facilitare la ripresa del memorandum italiano, possa convenire di chiedere alla Francia analogamente a quello che ha fatto l'Inghilterra, di pronunciarsi sul nostro memorandum.

Se le circostanze vi si presteranno la nostra domanda potrebbe dare opportunità alla Francia di manifestare le sue preferenze.

(l) Gruppo lndeclfrato.

428

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2327/269 R. Parigi, 22 giugno 1934, ore 21,06 (per. ore 22,45).

Ministro della marina si è compiaciuto con me del linguaggio della stampa italiana a proposito della impostazione di due nostre navi per 70.000 tonnellate complessivamente.

Signor Pietri ha detto di sperare che i nostri giornali persisteranno nel felice atteggiamento. Se le nuove costruzioni italiane fossero messe in relazione alla Dunkerque francese, si avrebbe un immediato inasprimento di polemiche. Il ministro ha osservato che anche da parte francese il tono della stampa è buono.

Si riconosce che l'Italìa ha usato di un suo diritto.

Il signor Pietri mi ha dichiarato che sarà impostata a breve scadenza la seconda Dunkerque. Egli ha resistito alla pressione dello stato maggiore che voleva un tonnellaggio maggiore. Il ministro ha detto che le due Dunkerque non hanno nessuna relazione con la costruzione italiana. Sono destinate ad essere contrapposte alle Deutschland, non per il Mediterraneo.

429

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2385/0141 R. Berlino, 22 giugno 1934 (per. il 28 J.

Il segretario di Stato von Btilow mi ha detto che le impressioni riportate da tutti coloro che furono a Venezia al seguito del cancelliere sono state eccellenti. Gli risultava che Hitler, ritornato soltanto il 20 a Berlino, si era mostrato con tutti soddisfattissimo dell'accoglienza fattagli da S. E. il capo del Governo e dai colloqui avuti con lui.

Von Biilow mi disse poi che l'Auswartiges Amt era stato spiacente della notizia pubblicata dalla B.Z. am Mittag che S ..E. il capo del Governo avrebbe restituito prossimamente la visita del cancelliere Hitler. Il redattore-capo di quel giornale era stato severamente redarguito e si era scusato dicendo di aver ricevuto la notizia dal proprio corrispondente a Venezia che assicurava di averla appresa da corrispondenti italiani. Fatta un'inchiesta risultò che a Venezia né Dietrich né Aschmann erano stati interpellati dal corrispondente della B.Z. am Mittag, cosicché non poterono sconsigliarlo di trasmettere la notizia.

Von Biilow aggiunse che, prima che il cancelliere si recasse a Venezia, era stata considerata dall'Auswartiges Amt l'opportunità o meno che Hitler rivolgesse a S. E. il capo del Governo formale invito di recarsi in Germania in un'epoca determinata. Era stato deciso di astenersi dal formulare tale voto ritenendosi che sarebbe stato più opportuno di attendere il momento propizio per la restituzione della visita, senza fissarlo sin d'ora. L'essenziale era che i due capi di Governo avessero resa pubblica la propria intenzione di continuare anche in avvenire i contatti personali.

Da altre fonti mi è stato riferito che la sera del proprio ritorno a Berlino il cancelliere riunì intorno a sé molti dei suoi ministri ed i più fedeli amici e fece loro un resoconto entusiastico del proprio soggiorno a Venezia. Manifestò sopratutto la gioia di aver conosciuto S. E. il capo del Governo e si espresse a suo riguardo in termini elogiativi dicendo che in un millennio nasce un solo uomo che riunisca in sé tanta forza e sì grande fascino. Mi risulta che alcuni degli intimi di Hitler si domandarono poi che cosa avesse potuto fare il capo del Governo per impressionare in tal modo il cancelliere che è solitamente a:lieno dal subire e manifestare sentimenti di simpatia verso questa o quella per

sona. Hitler avrebbe detto pure che le manifestazioni cui aveva assistito a Stra

ed a Venezia gli avevano dato la sensazione esatta della grandissima popolarità di cui gode il Duce, del profondo affetto e della gratitudine che il popolo italiano nutre per lui. Egli aggiunse di intendersi di tali cose, di sentire se vi

è o non una corrente fra il popolo ed un capo e di avere constatato che questa corrente era fortissima in Italia.

Mostrò pure la propria soddisfazione per l'accoglienza che la popolazione aveva voluto fargli, dicendo ch'essa era stata sempre cordialissima ed aveva raggiunto in piazza San Marco nel pomeriggio del 15 giugno, proporzioni veramente grandiose di cui era stato ed era tuttora sensibilissimo.

Parlò infine con ammirazione degli artisti di canto italiani che aveva avuto occasione di ascoltare a Venezia, esprimendo la speranza che taluni di essi potessero venire a cantare in Germania.

430

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI (l)

L. P. Roma, 22 giugno 1934.

Nel mio secondo colloquio con Hitler, l'ho portato sul terreno dei rapporti fra nazismo e Vaticano. Ti trascrivo quasi stenograficamente quanto egli mi ha detto:

«Mi rendo perfettamente conto della utilità di evitare un "Kulturkampf ", ma non si deve dimenticare che i cattolici rappresentano soltanto un terzo della popolazione del Reich. Io sono cattolico. Perché il concordato funzioni è necessario: l0 ) che la Chiesa faccia soltanto la Chiesa e nient'altro; né sports, né sindacalismo, né teatro, né assistenza sociale; 2°) che i suoi capi non assumano un contegno di fronda come ha fatto il Cardinale Faulhaber di Monaco; 3°) che non si compiano gesti inutili quali la messa all'indice del libro di Rosenberg, libro che sarebbe passato inosservato, senza il clamore cattolico; libro che impegna, comunque, l'Autore e niente affatto il nazismo; 4°) che non si dia l'impressione di uno slittamento dei quadri e dello stile dei "Centrum" nelle gerarchie religiose».

È inutile che io riferisca quel che gli ho detto. Ritengo Hitler piuttosto irritato contro le gerarchie cattoliche -anche per quanto accade in Austria ma è possibile, forse, di condurlo a più miti consigli.

431

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2346/359 R. Shanghai, 23 giugno 1934, ore 14 (per. ore 2,45 del 24).

Suo 198 (2). Chang Kai-Shek si è mostrato sensibilissimo alla nuova prova di amicizia che V. E. voluto dare alla Cina e a lui con l'aver accolto suo desiderio inviare qui una missione educatrice e mi ha chiesto di fare pervenire V. E. la espressione della sua più profonda riconoscenza. Egli desidera che missione parta appena possibile per giungere qui al più presto. Quanto al programma da svolgere, Chang Kai-Schek non desidera fissarlo preventivamente preferendo che persone inviate dopo un esame delle condizioni locali, elaborino esse stesse un programma di azione, per attuazione

del quale egli si propone di lasciare « carta bianca » seguendo condotta analoga a quella da lui adottata, per servizio di aviazione, verso col. Lodi.

A mio subordinato parere, tale idea di Chang Kai-Schek potrà favorire il buon successo della missione che non verrà così a trovarsi legata da un programma già trattato, il quale potrebbe forse contemplare risultati -in tutto

o in parte -irraggiungibili.

Essa sarà invece perfettamente libera di suggerire e esplicare quell'azione che le sembrerà più adatta ad assicurare la diffusione dell'idea fascista e l'applicazione di sistemi fascisti in questo paese.

Chang Kai-Schek mi ha fatto infine osservare che, date recenti manifestazioni politiche del Giappone verso Cina, e data delicata situazione interna di quest'ultimo paese, una pubblica designazione di « fascista » data subito alla nostra missione potrebbe fornire pretesto al primo di nuove interferenze nella politica cinese, e ai suoi avversari politici interni occasione di rinnovare con maggior vigore la campagna cinese contro di lui con l'accusa di tendere ad una dittatura della Cina.

Egli perciò gradirebbe che, almeno in un primo tempo, si parlasse soltanto di «contatti educativi» tenendo celati i fini politici che egli effettivamente si prefigge nel sollecitare cooperazione del Governo fascista.

Chang Kai-Schek si propone di considerare membri della missione come capi di servizi civili del suo quartiere generale. Questi non avranno pertanto bisogno di uno speciale intermediario per i loro contatti col Governo cinese.

Permettomi invece di far presente fin da ora subordinatamente a V. E. opportunità che missione stessa abbia a far capo alla legazione che dovrebbe sempre, a mio avviso essere la coordinatrice di tutti i servizi e manifestazioni italiane in Cina.

Mi proporrei pertanto di seguire personalmente lavoro della missione e intervenire ad ogni occasione per agevolarne opportunamente il compito, sia presso autorità cinese, che presso stesso Chang Kai-Schek.

È il sistema che ho seguito con missione aeronautica diretta da col. Lodi.

Finora esso ha dato ottimi risultati.

Gli è perciò che non stimerei necessario che a missione fosse aggregato un funzionario del ministero degli affari esteri.

Debbo invece vivamente pregare V. E. di volere, anche in considerazione questa nuova e importante branca di attività che viene ad essere attribuita alla legazione, destinare un altro segretario.

Non è lieve aumento di lavoro che potrà da essa derivare che mi induce a rivolgere tale preghiera, ma sopratutto il fatto che dovrei essere messo in condizione di spostarmi liberamente e assai sovente da Shanghai per poter recarmi a Nanchino, a Pechino e a Nanchang (quartiere generale di Chang Kai-Schek), dove già si trovano circa 20 nostri ufficiali, quando la necessità lo richieda.

D'altra parte Governo Nanchino mi ha fatto a più riprese direttamente e indirettamente notare che esso desidererebbe vivamente che un funzionario di carriera risiedesse permanentemente colà.

È solo ponendo a mia disposizione un altro segretario che io potrei aderire a tale desiderio, la cui realizzazione d'altronde non può che giovare al buon funzionamento di questa legazione.

(l) -Minuta 'autografa di MussoUni. da ACB. segreteria particolare del Duce. Ed. !n MusSOLINI, Opera Omnla, VOl. XLII, p. 77 e !n DE FELICE, p. 495. (2) -Cfr. n. 376.
432

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 846 R. Roma, 23 giugno 1934, ore 23.

(Per tutti) Mio telegramma n. 848/C. (1).

Pur riservandomi di tornare sull'argomento quando sarò in possesso di maggiori elementi, Governo italiano secondo i noti punti di vista è portato per ora almeno a considerare con riserva, iniziativa di cui Léger ha intrattenuto il R. ambasciatore a Parigi, giacché l'impressione che se ne ritrae, anche per le notizie che si hanno da altre fonti, è di una iniziativa destinata, magari senza espresso volere dei suoi promotori, non ad unire, ma a dividere l'Europa.

(Solo per Londra) V. E. potrà pure richiamare l'attenzione di codesto Governo sulle ripercussioni che potrebbero avere sulla posizione dell'Inghilterra e dell'Italia quali garanti di Locarno gli obblighi che la Francia assumesse realizzandosi l'iniziativa in quistione.

(Solo per Varsavia) Dia alle sue osservazioni carattere piuttosto personale.

433

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. 847/73 R. Roma, 23 giugno 1934, ore... (2).

Mio telegramma n. 848/C. (1). Prego V.E. intrattenere in proposito codesto Governo nel modo che riterrà più opportuno.

Rilevo che il Governo sovietico da cui è partita l'iniziativa non ci ha ancora fatto sapere niente in proposito. Una diecina di giorni fa circa ebbi occasione di chiedere notizie a Potemkin specialmente circa i fini che l'iniziativa di Mosca si riprometteva ma questo ambasciatore dell'URSS mi disse esserne all'oscuro e si riservò di chiedere notizie in proposito, che però non mi ha ancora comunicato.

(l) -Cfr. n. 414, nota l, p. 440. (2) -Manca l'!ndlcaz!one dell'ora dl partenza.
434

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ~GLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, E A MOSCA, ATTOLICO, E AL MINISTRO A SOFIA, CORA

T. PER CORRIERE 850 R. Roma, 23 giugno 1934, ore 19.

(Per Ankara e Mosca). Ho telegrafruto a So>fia.

(Per tutti). R. ambasciatore a Mosca riferisce che quella stampa attribuisce

a Ruschdi bey dichiarazioni nel senso di essere pronto a cooperare a riavvicina

mento bulgaro-sovietico con ripresa di rapporti diplomatici fra i due paesi.

Prego V. S. di farmi conoscere come in tale riguardo si presenti costì la

situazione dopo gli ultimi avvenimenti.

Come ella sa, da tempo siamo stati nell'ordine di idee che potesse convenire ai fini della nostra politica generale una ripresa di relazioni tra Bulgaria e Russia sovietica, pur rendendoci conto della delicata situazione interna della Bulgaria.

Oggi dopo i ripresi contatti tra Russia, Cecoslovacchia e Romania potrebbe forse non esservi un immediato interesse a marcare un riavvicinamento bulgarorusso, che potrebbe sembrare ispirarsi a quello testé avvenuto da parte della Piccola Intesa per quanto l'Ungheria l'abbia a sua volta, come è noto, preceduta e sotto i nostri auspici.

Attendo ad ogni modo di conoscere come si presenti attualmente la situazione in tale riguardo vista da Sofia, con riserva di eventuali nuove istruzioni.

Certo che ove effettivamente Ruschdi bey si apprestasse ad intessere su questo motivo una nuova fase della sua attività diplomatica e vi fosse d'altra parte probabilità di successo, converrebbe da parte nostra riaffermare una priorità di iniziativa tanto nei riguardi bulgari quanto in quelli sovietici (1).

435

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUA RIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BA STIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, A VIENNA, PREZIOSI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. PER CORRIERE 851/C.R. Roma, 23 giugno 1934, ore 18.

Il conte Chambrun è venuto a parlarmi il 12 corrente della impostazione delle due navi di 35 mila tonnellate. Egli sperava sempre che si potesse venire

«In quanto a sapere se il Ministro degli Esteri turco avesse cooperato o si vantasse di aver cooperato al riavvicinamento dei due Paesi, ho chiesto ragguagli in proposito tanto al stgnor Antonoff quanto al signor Souritz. Ambedue mi hanno escluso ogni partecipazione

turca...

Infine, l'Ambasciatore di Russia mi ha soggiunto che, ricevendo il signor Antonof, e rievocando con lui i precedenti più prossimi che avevano preparato il loro avvicinamento, gli aveva messo in rilievo che l'opportunità della ripresa di rapporti bulgaro-russi era stata considerata nell'incontro tra V. E. ed il signor Litvinoff ».

34 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

all'accordo auspicato su questo punto, ma ormai non è più il caso di parlarne. Mi chiede se noi abbiamo fatto tale impostazione per prendere posizione in vista della prossima conferenza navale. Egli non può nascondersi che in Francia queste costruzioni daranno l'impressione che siano dirette contro la Francia stessa, poiché mentre i «Dunkerque » sono una risposta alla Germania, le due navi italiane non possono avere di mira, come obiettivo a cui contrapporsi, che la flotta francese.

Ho risposto all'ambasciatore che queste impressioni sono prive di base. Noi abbiamo tentato un accordo, lealmente, secondo le disposizioni e lo spirito del trattato di Washington: ciò dimostra che da parte nostra non c'era nessun animo di opposizione alla Francia nel campo delle costruzioni navali. Quando ci siamo persuasi che per l'opposizione francese questo accordo non era possibile, abbiamo ripreso la nostra libertà e abbiamo deciso la costruzione secondo i criteri che i nostri tecnici hanno ritenuto migliori per la difesa del nostro paese. Tutto sta qui: qualunque altra interpretazione è arbitraria.

L'ambasciatore non conte<>ta il nostro buon diritto ma non può nascondersi che la costruzione di queste navi sarà l'inizio di una corsa al riarmamento fra i nostri due paesi. Egli però non intende per niente drammatizzare la cosa ed è persuaso della possibilità di trovare un'ottima intesa tra la Francia e l'Italia anche se nel campo delle costruzioni navali ci faremo la concorrenza.

(l) Cfr. quanto riferì Lojacono con telespr. 1053/451 del 3 luglio:

436

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH CON I MEMBRI DELLA COMMISSIONE BULGARA PER LE TRATTATIVE ECONOMICHE

APPUNTO. Roma, 23 giugno 1934.

Il signor Karacioff ha avuto l'incarico da parte del Presidente del Consiglio bulgaro Gheorghieff di informare il Capo del Governo che la politica estera bulgara, improntata a simpatia verso l'Italia, non è per nulla mutata. Si permetterà perciò di chiedere di essere ricevuto in udienza dal Capo del Governo.

Il signor Balabanoff, venuto separatamente, mi ha detto che in Bulgaria vi è stato un vero e proprio colpo di Stato. Tutti attendevano l'andata al potere del partito di Zankoff che vi andava con un programma di rinnovamento ispirato alle direttive fasciste.

Il Re, appena scaduto, inutilmente -come era da attendersi -il termine dato a Muscianoff per costituire un Governo parlamentare, avrebbe dato l'incarico a Zankoff di costituire un Governo all'infuori del Parlamento.

Siccome dovevasi in quei giorni tenere il congresso degli zankovisti e si temevano delle reazioni comuniste, si sono mobilitati gli interi reggimenti di stanza a Sofia e ciò ha dato la tentazione agli ufficiali più giovani di approfittare della circostanza per fare il colpo di stato a modo loro.

Di fronte al fatto compiuto il Re, gli alti ufficiali dell'esercito e Zankoff stesso non hanno voluto reagire per non provocare in Bulgaria una guerra ci

vile. Va rilevato però che ancora oggi il Governo non ha alcun seguito né nel Parlamento né nel Paese e che sta in piedi solo perché Zankoff, avendo scelto questo come il male minore, lo appoggia.

Il fatto che Zankoff domini la situazione, deve dare assoluta tranquillità all'Italia dati i noti sentimenti di questo uomo politico nei confronti del nostro Paese.

Il signor Balabanoff ritiene anzi che la Bulgaria, sotto questo governo farà un passo ancora più spinto verso l'Italia e considera che il trattato di commercio oggi in discussione sia un ottimo avviamento per questa politica di più intima intesa fra i due Paesi (1).

437

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA' DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SO'ITOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 23 giugno 1934.

Allorquando partii per Parigi e Ginevra ti ricordai che seguendo i desideri di S. E. il Capo del Governo, avevo rimandato di un mese il mio viaggio a Praga prendendo disposizioni perché gli interessi dell'Ordine di Malta non fossero compromessi; e mi ricordo che ti avvertii che se la Commissione dei Mandati procedeva regolarmente, sarei stato a Praga il 15 giugno. Ho interpretato perciò la comunicazione da Roma, che sarebbe stato più opportuno rimandare il mio viaggio in Cecoslovacchia, come una istruzione di mostrarmi riservatissimo con Benes. Questi nell'unico colloquio (2), dopo aver parlato ed avermi dato affidamenti sugli affari di Malta, mi ha domandato se sapevo qualche cosa del convegno di Venezia. Mi fu facile rispondere che tutto ignoravo. Egli aggiunse che Barthou l'aveva consigliato di uniformare la politica della Cecoslovacchia al programma italiano sia per gli accordi economici per l'Austria e l'Ungheria, sia per parare al pericolo dell'Anschluss, ma che con sua grande sorpresa l'Austria non ha mai risposto alle domande ed offerte di Benes circa il desiderio di giungere a delle intese commerciali ed economiche con l'Austria sul tipo di quanto questa avesse fatto con l'Italia. Gli è perciò difficile armonizzare gli interessi austriaci con i sacrifici che la Cecoslovacchia è pronta a fare sull'esempio dell'Italia a favore della vicina Repubblica. Anche a questo non ho saputo né ho voluto rispondere, ma mi sono limitato a constatare, a Ginevra e a Praga, l'evoluzione di Benes nel senso di collaborare con l'Italia, corrispondendo completamente gli interessi cecoslovacchi, come dice Benes, a quelli della Francia e dell'Italia nei riguardi del pericolo Anschluss.

Benes mi fece un quadro della situazione interna tedesca molto nero, ma mi dichiarò fra.ncamente di non concordare con Parigi sull'epoca di un cambiamento di Governo in Germania, perché, secondo lui, è pericoloso giudicare quella massa di pecore teutoniche alla stregua dei popoli latini più intelligenti e più individualisti. Egli crede alla possibilità che Hitler chiami il Generale Schleicher a collaborare, perché questi è l'unico uomo di Governo capace di affrontare il malumore generale sempre più latente e diffuso sia contro i capi, sia dei capi tra loro e che l'incidente Papen è uno degli ultimi episodi. Mi ha riferito di sapere da fonte sicura che alcuni S.S. sono stati sorpresi a Breslau portando sotto il bavero dell'uniforme distintivi bolscevichi, e d'altra parte si contano negli ultimi mesi circa un centinato di pastori protestanti passati alla Chiesa Cattolica.

Io ho ascoltato promettendo di riferire, ed allora il Ministro Benes mi ha pregato in tono vibrato di far sapere a S. E. il Capo del Governo (il primo che ha additato all'Europa il pericolo giapponese) che il confldtto russo-giapponese diventa ogni giorno più inevitabile, ciò che egli ritiene un bene per il commercio e la pace europea, ma che purtroppo da fonte sicura e in modo preciso egli sa che l'accordo polacco-tedesco prevede un'invasione polacca in Ukraina puntando su Odessa ed una manomissione tedesca nei paesi baltici che permetterebbero così di risolvere il problema del Corridoio di Danzica. Benes ritiene che in questo caso tutta l'Europa sarebbe in fiamme e la guerra generale colla fine della civilizzazione attuale. Egli spera che l'Inghilterra, la Francia e l'Italia a cui la Cecoslovacchia sì tiene inevitabilmente legata, possano e debbano impedire la conflagrazione generale.

(1) -Cara comunicò con t. r. 2453/107 R. del 2 luglio: «Nella sua conversazione con questo presidente del Consiglio comm. Balabanoff avendo riferito sul colloquio avuto con s. E. suvich e sulla impressione riportata che R. Governo abbia verso nuovo Governo Bulgaria una attitudine di benevola attesa (contrariamente alle voci sparse da certa stampa interessata), !l signor Ghoerghieff se ne sarebbe dimostrato molto lieto incaricandolo dichiarare costì, se e quando ne avrà opportunità, che il Governo bulgaro è e sarà per lungo tempo impegnato nella ricostruzione interna senza poter fare una politica estera attiva, ma che a suo tempo si ricorderà dell'attitudine abbiettiva dell'Italia». (2) -Il colloquio ebbe luogo il giorno 16.
438

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2345/88 R. Tirana, 24 giugno 1934, ore 1,40 (per. ore 7,45).

Ha ormeggiato questo pomeriggio in rada di Durazzo la squadra dell'Adriatico.

Il ministro degli affari esteri preoccupato da questa visita non preavvisata mi ha subito convocato per domandarmi che cnsa volesse significare, rilevando la violazione della norma internazionale.

Ho risposto che se la squadra navale italiana che viaggia attualmente nell'Adriatico è venuta in visita nelle acque di Durazzo, e se -come risulta un ufficiale della nave ammiraglia è sceso a terra per concertare il solito scambio cortese di visiJte, non vedevo come oi fosse da impressionarsi.

Del resto non avevo nessuna speciale comunkazione da fargli non essendo io stesso al corrente della visita in parola.

Ha soggiunto che scopo precipuo arrivo improvviso di un così forte numero di navi da guerra potrebbe essere interpretato come una dimostram.one e potrebbe provocare l'intervento di navi da guerra francesi ed inglesi; che non bisognava dimenticare la posizione geografica «nevralgica~ dell'Albama.

Ho replicato scherzosamente che per prendere sul serio questa sua dichiarazione avrei dovuto domandargli se mi parlava a nome di Londra o Parigi.

Mi pareva cosa saggia che passando sulle solite formalità, che dovevano considerarsi non necessarie fra paesi alleati, e mettendo da parte ogni suscettibilità, facesse dare istruzioni alle competenti autorità di fare le cortesie d'uso alla squadra italiana.

Si regolasse del resto come meglio credeva.

Questa sera un funzionario del ministero degli affari esteri mi ha portato una nota con la quale il ministro esprime la sorpresa dell'arrivo della squadra e mi prega indicargli quale carattere abbia la visita, «affinché le autorità possano conformarsi alle regole di uso».

Ho fatto dire da un segretario al funzionario in parola, il quale desiderava aver subito una risposta, che non mi era giunta nessuna notizia nuova dopo il colloquio avuto col min~stro, e che quel colloquio conteneva già gli elementi di risposta.

Mi metterò domani a contatto ammiraglio.

439

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 855/66 R. Roma, 24 giugno 1934, ore 16.

Squadra facendo crociera Adriatico ha toccato porto albanese, tenendo conto anche ragioni segnalate recente rapporto V. S. (1).

Ella può rispondere domanda rivoltale (2) che visita non ha alcun carattere meno che amichevole e che V. S. è stata incaricata di informare codes·to Governo. Ritardo nel preavve•rtire non ha alcun signifi.cato ed è da attribuirsi a disguido comunicazione fatta a tal fine a V. S. (3).

440

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2368/6368/043 R. Budapest, 24 giugno J934 (per. il 27).

Te1ecorriere dii V. E. n. 836 R. del 21 corrente (4). A nome di S. E. il capo del Governo ed in via personale ho fatto stamane a questo presidente del consiglio le comunicazioni contenute nel telecorriere

citato, giuntomi iersera. Ho creduto invece di astenermi per il momento dall'intrattenere il generale GOmbos nel senso di ·cui all'ultimo capoverso dello stesso telecorriere, sia perché non ero ancora rin possesso del relativo dispacciocircolare preannunziatomi da V.E. (1), sia soprattutto perché ho avuto la sensazione che le interpretazioni tendenziose di cui si tratta non avessero fatto alcuna presa su di lui. Non mancherei naturalmente di provvedervi la volta prossdma, ove la situazione avesse a modificarsi.

Il mio interlocutore, che ha ascoltato con vivissimo interesse l'esposizione fattagli -nonostante tutta la cura messa nel nasconderlo, avevo potuto constatare in questi giorni tanto in lui quanto nei suoi collaboratori, insdeme con il naturale desiderio di potersi rendere conto al più presto di tutta la portata dell'avvenimento, alquanto nervosismo -mi ha pregato subito di rendermi interprete presso S. E. il capo del Governo della sua vivissima gratitudine «per averlo voluto orientare». Ha ag.giunto poi ressere ·convinto che l'effetto chiarificatore dell'incontro di Vene~a fosse destinato a manifestarsi anche nell'ulteriore corso degli eventi.

La solennità e la cordialità delle a·ccoglienze fatte a Hitler in Italia, e sopra tutto l'impressione che esso doveva aver tratto da questo suo primo contatto diretto con la personaLità del Duce, non potevano non aver lasciato profonda traccia nell'animo del « FUhrer » e non facilitare quindi, largamente, la risoluzione delle varie e grandi questioni sul tappeto.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 438. (3) -Con t. 2350/89 R dello stesso 24 giugno Koch comunicò: «Poiché però permane in generale prima impressione sollevata da inaspettato imponente arrivo delle navi, confermo considerazioni del mio precedente telegramma circa convenienza di valorizzare nuova situazione mantenendo qui alcune unità in attesa delle alte istruzioni d! V. E. ». (4) -Cfr. n. 420.
441

... (2) AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L.RR. Vienna, 24 giugno 1934.

Ieri ho avuto alla Cancelleria un colloquio di due ore col Ministro Dr. Hornbostel circa la situazione politica interna ed estera dell'Austria. Mi ero recato da lui per esprimergli le mie gravi preoccupazioni circa la situazione del Regime Dollfuss ed abbiamo avuto un colloquio intimo e straordinariamente amichevole di cui i tratti principali sono i seguenti: la situazione politica interna dell'Austria è oltremodo sfavorevole, molto più di quella estera. Infatti, sia pure con le divergenze circa le potenze e gli Stati cui incombe di assicurare l'indipendenza dell'Austria, è generale la volontà di mantenere ed assicurare tale indipendenza. Alcune tendenze unilaterali di Londra a Parigi di mollare l'Austria per eliminare una seria causa di conflitti nella Mitteleuropa compensando così il Reich tedesco sono troppo deboli per potersi imporre. Tanto il rapporto dell'Austria col Reich tedesco che la situazione politica interna dell'Austria stessa -soltanto da questo punto di vista fondamentale della politica estera che l'indipendenza dell'Austria deve rimanere immutata

non presentano novità, e tutte le manifestazioni in rapporto a Berlino e nei riguardi della politica interna si trovano in seconda linea.

Nei rapporti col Reich tedesco non vi è da attendersi un miglioramento. Le trattative con possibilità di successo sembrano da escludere. Ogni passo austriaco, ed ogni presa di posizione austriaca urtano nel Reich contro mala [volontà]. Lo stesso Ministro degli Esteri Neurath ha ammesso che la trattazione della questione austriaca non è presa con serietà d'intenti da parte del Ministero degli Esteri. Lo stesso Hitler è responsabile da solo di tutto ciò che avviene in rapporto all'Austria e l'incoraggiamento agli emigrati ed ai circoli di Monaco del partito nazional-socialista provengono da lui. Se dovesse avvedi Monaco del partito naz-socialista provengono da lui. Se dovesse avvenire qualche cosa da lui non autorizzata egli darebbe subito un controordine. Quindi con ogni sicurezza la lotta del naz-socialismo contro l'Austria prosegue in proporzioni immutate e le soste confermano i vecchi scopi. Si potrebbe avere un cambiamento soltanto nel caso che i contrasti interni nel Reich dovessero dilagare in aperto conflitto. Questo sarebbe però l'unico avvenimento che effettivamente costituirebbe una distensione per l'Austria e potrebbe dare in seguito delle possibilità di accordo, all'infuori della seconda ipotesi che si può concepire e cioè che dalla questione austriaca possa scaturire un conflitto internazionale o addirittura una guerra.

Al momento attuale la tattica tedesca agisce sulla politica interna austriaca in un modo naturalmente molto sfavorevole e non v'è da sperare che senza mutamenti fondamentali dall'estero essa possa prossimamente cangiare. Le forze esistenti hanno già preso delle forze politiche, sicché non sono soggette a spostamenti ed un mutamento dell'attuale situazione tesa non può verificarsi per effetto delle sole forze interne. Rimane alla politica estera austriaca soltanto la possibilità di assumere essa stessa l'iniziativa nel caso che la situazione dovesse divenire addirittura insopportabile per provocare un intervento internazionale e porre tutti gli interessati alla indipendenza austriaca dinanzi all'alternativa di agire energicamente o di rinunciare ai propri interessi sullo statu quo. Che la situazione attuale dell'Austria non sia ancora matura per una siffatta iniziativa è cosa fuori di dubbio. Le preoccupazioni principali della politica austriaca devono quindi volgere al mantenimento di un minimo di posizioni interne su quelle forze che vogliono riconoscere la necessità del mantenimento dell'indipendenza dell'Austria. Nessuno in ciò può riportarsi al superato concetto del diritto di auto-decisione, volontà popolare ecc., poiché questa lotta nello stesso popolo tedesco si mantiene indubbiamente sotto l'impressione dei mutamenti psicologici della massa e dei centri di forza anormali, di cui si conoscono le influenze depressive. Uno dei centri anormali di questo genere è per esempio l'azione dei 7 mila emigrati dall'Austria che svolgono attività politica nel Reich. Perciò la triste situazione politica interna non deve essere trascurata. Le rettifiche ed i miglioramenti frontali sono sicuramente da caldeggiare, ma non potranno mai condurre ad una soluzione soddisfacente. Circa l'esistenza di maggiori o minori differenze di opinioni, circa gli errori e gli atteggiamenti in questioni di dettaglio ci si può litigare, ma certamente non si tratta di problemi cardinali. Fino a quando in Austria potrà in genere mantenersi un regime a tipo «austriaco», si potranno commettere errori estetici, ma ci si atterrà costantemente al mantenimento della indipendenza austriaca, e ciò sempre che vi siano forze sufficienti per sostenerla. I mutamenti nella struttura interna del Reich tedesco potranno ricondurci soltanto alle forze di opposizione e al gruppo degli scettici nella questione austriaca. Ad ogni avvenimento corrisponde però la possibilità di aprire la via ad interventi internazionali.

Al riguardo oggi non sussiste più alcun dubbio che il regime Dollfuss non sia riuscito ad allargare la sua base nel popolo e anzi si hanno segni di smembramento, anche se non da prendere sul tragico, in quanto le posizioni fondamentali restano piuttosto solide e ci troviamo sempre in mezzo ad una guerra di posizione che non può mai giungere ad una battaglia decisiva. Tuttavia bisogna attenersi all'attuale linea nell'interesse dell'Austria. Ultimamente si è troppo parlato di tensioni sorte in una parte del popolo, quello che sta alla opposizione. Osservatori attenti potrebbero cogliere correnti del genere nei circoli dei lavoratori ex socialdemocratici, fra i contadini già appartenenti al Landbund ed ai circoli dei funzionari e impiegati nazionalisti. A ciò si contrappone il fatto che nulla riesce a scuotere la parte della soc-democrazia di sentimenti lealisti, la quale si mantiene in un orientamento patriottico. Si contrappone altresì il fatto che i capi del Landbund, almeno quelli che non sono passati al naz-socialismo, come l'ex vice cancelliere Winkler, si rifiutano di fronte agli eccessi. Principalmente tre sono le eventualità che potrebbero determinare una maggiore distensione:

una socialista per attirare una parte dei lavoratori; una liberale per esercitare un contrappeso contro l'andamento clericale; una nazionale per spezzare il naz-socialismo.

Obbiettivamente sarebbe solo questione di gusto circa la via da imprendere. Hornbostel propende per la possibilità persistente di raccogliere ancora considerevoli forze nazionaliste non ancora inficiate da naz-socialismo. Al contrario la mia opinione assoluta è che il corso strettamente clericale non riuscirà a lungo andare gradito almeno al 50 % liberale e neutrale della popolazione. Abbiamo parlato poscia dei pericoli di una collaborazione socialrivoluzionaria tra elementi naz-socialisti e marxisti, quale si è rivelata sempre più negli ultimi tempi nell'attività illegale. Una serie di attentati provano a sufficienza di essere stati organizzati dai due gruppi, i quali però marciano in Austria separati. La direzione trovasi nelle mani di naz-socialisti a Monaco e le persone dirigenti per lo più non sanno niente degli eventi lontani. Da un accurato esame della situazione generale risulta però che questo movimento veramente pericoloso in pratica può soltanto essere represso con mezzi di Polizia anziché con quelli politici.

La situazione dal punto di vista della P. S., a causa di una situazione di mezza guerra civile, che predomina in Austria da un anno, è cattiva. La Polizia funziona in un modo innocuo soltanto a Vienna, dove si dispone di un eccellente apparato criminalista, nonché di un buon organismo di polizia politica.

Negli altri «paesi» (l), invece le cose vanno molto male. Il Governo centrale non è riuscito a centralizzare gli organi di Polizia e a dirigerli in modo unitario. Le cosiddette «istanze» intermedie, specialmente i capitani provinciali, agiscono in modo predominante con la loro influenza che si estende sulla poliz:ia politica. Soltanto a Vienna si verifica veramente ciò che il Cancelliere vuole. Si ha ora di mira di cambiare nuovamente alcuni direttori di

P. S., specie nel Tirolo e in Carinzia e in quest'ultimo paese si addiverrà ad un mutamento nel Governo provinciale, poiché il ·capitano provinciale Generale HUlgerth è considerato come troppo debole. Dal suo avvento è subentrato in Carinzia un pericoloso cangiamento di umori, specie alla frontiera italajugoslava. Le correnti federaliste e localiste dei singoli «paesi» si sono opposte alla formazione di una polizia volante ed i vari direttori di polizia non vogliono saperne del concorso di formazioni estranee al paese. Attualmente gli Uffici di P.S. ded singoli « paesi» stanno subordinati alla direzione di polizia di Vienna, ciò che assicura la volontà della Cancelleria nei problemi politici essenziali. La gendarmeria ha negli ultimi tempi deluso. Questa truppa scelta della Monarchia austro-ungarica, venne smilitarizzata nel primo anno della Repubblica e trasformata in un apparato di impiegati civili. Da allora il corpo degli ufficiali ha peggiorato qualitativamente e gli ufficiali subalterni con i sottufficiali della gendarmeria sono soggetti alle influenze politiche delle provincie, nonché più

o meno imbevuti di naz-socialismo. Si vuol porre un rimedio a ciò, facendo affluire alla gendarmeria dai campi giovani forze che ringiovaniscano l'organismo con due o tremila uomini.

Il fronte patriottico va pure male. Anche Hornbostel ritiene che debbano applicarsi nuovi mezzi per assicurare il buon funzionamento di questa organizzazione. Traverso le offensive senza tregua, attentati e simili, le correnti locali e disorganizzate del fronte patriottico agiscono in modo incomposto e nocivo ciò che in una situazione normale non dovrebbe essere possibile. L'influenza diretta degli ufficiali riattivati per ragioni politiche del vecchio esercito, quasi tutti del grado di capitano e maggiore, agisce in modo tale da determinare la situazione del 1918. Circa la capacità tecnica, il rendimento è buono. Predomina qui la vecchia tradizione ed il naz-socialismo ha poco da sperare in quest'ambiente. Al contrario la propaganda per l'annessione continua ad agire in senso favorevole a quella che può chiamarsi la causa austriaca. Lentamente procede l'organizzazione delle milizie legali locali, create dal bisogno di bastare a se stessi e di assicurare ad ogni abitato un minimo di difesa. Tali organizzazioni funzionano anche come centri di epurazione politica e sono lealiste nel Burgenland, in alcuni distretti della Stiria e nell'Austria superiore e inferiore. I militi sono armati di pistole. In alcuni posti si è riusciti a fare riabilitare degli elementi che simpatizzavano col naz-socialismo.

Il Ministro Hornbostel mi ha fatto leggere una serie di rapporti pervenuti negli ultimi giorni dai vari direttori di P. S. circa l'attività delle milizie locali

dandomi le spiegazioni del caso. Al centro si nota indubbiamente un miglio

ramento. Il sistema dei premi ha veramente creato delle differenziazioni nel

popolo rispetto alla lotta contro il terrorismo con risultati efficaci. Ormai non

avviene più come fino a. 14 giorni fa, che gli attentati si susseguivano senza

che si potesse arrestare o identificare i responsabili.

Negli ultimi tempi hanno avuto luogo delle retate in massa di parteci

panti e, cosa più importante, si è potuto scoprire grandi quantità di esplosivi.

Si è già sulle piste di maggiori depositi di armi e di bombe e le pene severe del

Tribunale Speciale mostrano già i loro effetti. Interessante notare come dai

vari rapporti possa desumersi la guida unitaria di tutte le azioni terroriste e

la guida di una centrale unica. Verificatosi un attentato ferroviario ne segue

sicuramente una serie, poscia si passa a quelli contro la illuminazione, poscia

a quelli in persona di patriotti, e poi agli attentati contro i posti di sbarco

della navigazione sul Danubio, e poi ancora si passa agli attentati alle dire

zioni telegrafiche e così via. Ecco subito dopo che cominciano gli attentati

agli impiegati postali ed alle poste telefoniche.

Tutto ciò però potrebbe combattersi soltanto creando un servizio informa

tivo efficace. Comunque oggi gli attentatori vengono assicurati alla giustizia.

Ho potuto notare un miglioramento sensibile che conforta dal punto di

vista dell'autorità statale. Invece devesi riconoscere che le azioni terroriste dopo

la conferenza di Stra-Venezia non sono cessate. Da allora si accusano giornal

mente da 30 a 40 più o meno considerevoli attentati. Sembra di essere giunti

a capo di alcuni importanti centri terroristi in Linz ed in Salisburgo, donde

sarebbero stati organizzati gli attentati più gravi degli ultimi tempi. Tuttavia

non si crede alla Cancelleria che si tratti nei nuovi attentati di un seguito

alle azioni passate, ma si è persuasi che si cerchi di balcanizzare l'Austria

dando carattere di permanenza alla guerriglia.

Dal punto di vista politico poco rimane allo Stato austriaco per difendersi da questa lotta dall'estero. Non si può reagire coi semplici mezzi politici normali fino a quando la pressione di Monaco continuerà. La popolazione non può essere condotta a ragione con le belle parole e la sua organizzazione non è possibile nell'attuale situazione psicologica. Si può solo fiancheggiare i circoli popolari di sentimenti austriaci, rafforzando al tempo stesso la parte sana dell'apparato statale e proseguendo senza nervosismo l'epurazione dell'apparato statale, migliorando il rendimento dei metodi difensivi e attendendo o cambiamento della politica del Reich tedesco o uno svolgimento internazionale del problema austriaco, nel caso che gli attacchi dovessero intensificarsi al punto da minacciare realmente l'esistenza e l'indipendenza dell'Austria. Finora i veri e propri nervi vitali di un'Austria indipendente non sono stati colpiti. Naturalmente col tempo potrebbe venire il momento critico in cui tutto potrebbe degenerare. Anche con un cambiamento di regime, con cambiamenti personali del Governo, con rimpasti nulla può mutarsi alla situazione predominante, quando l'aggressore non sta all'interno ma all'estero. La lotta prosegue e forse in autunno potrà raggiungersi il punto critico. Trattative di accordo tra Vienna e Berlino sono attualmente di nessun valore pratico.

(l) -Cfr. n. 420, nota l, p. 446. (2) -Il documento, privo di firma, è consentito nell'Archivio d! Gabinetto tra la corrispondenza di Renzett!. Un'annotazione a margine d! Mussol!ni dice: «Importante».

(l) Lander.

442

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI (l)

T. PER CORRIERE 856 R. Roma, 25 giugno 1934.

Trovi modo di far sapere a von Papen che il suo recente discorso (2) (censurato da Gobbels) mi ha molto interessato. L'episodio mi è sembrato un indice eloquente della confusione e del disagio spirituale, affiorante in Germania.

443

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2367/0120 R. Vienna, 25 giugno 1934 (per. il 27 ).

Mio telegramma per corriere n. 0106 del 4 corrente (3).

Starhemberg mi ha detto che gli emissari nazisti, con cui egli era venuto recentemente in contatto ai fini di una distensione di rapporti con la Germania, avevano ventilato le seguenti condizioni:

l) Attribuzione dei portafogli della difesa nazionale e della sicurezza ad esponenti nazionalsocialisti;

2) Permanenza di Dollfuss e di Starhemberg nelle rispettive attuali cariche;

3) Sviluppo d'una politica estera pangermanista.

Starhemberg ha aggiunto di aver declinato tali proposte, facendo osservare che condizioni essenziali per ogni eventuale negoziato erano:

l) Che essi negoziati dovessero esclusivamente intercorrere fra Governo e Governo; e

2) che in ogni caso essi dovessero essere preceduti da un lungo periodo di assoluta calma nel paese.

444

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 25 giugno 1934.

Il Ministro Rintelen è venuto qualche giorno fa a chiedermi se noi insistevamo nel pubblicare la notizia della visita di Dollfuss a Riccione; gli ho detto che si era fatto soltanto un accenno per tale pubblicazione per il caso che questa potesse essere di gradimento al Cancelliere in relazione anche alla visita

di Hitler in Italia. Oggi è tornato il Ministro Rintelen per dirmi che a Vienna sarebbe gradita una pubblicazione della visita ma che si pensava che la stessa comunicazione dovesse avvenire in forma semi-ufficiale. Mi chiedeva cosa pensavamo noi.

Mi sono riservato di chiedere istruzioni a V. E. osservando come mia impressione che conveniva dare a questa visita di Dollfuss un carattere ben diverso da quello della visita di Hitler. Difatti la situazione era del tutto diversa nè si poteva pensare che la visita di Dollfuss avesse una eco cosi vasta come l'altra. Mi pareva quindi convenisse mantenere la visita nei limiti di una buona abitudine ormai in corso allo scopo di sviluppare e rafforzare le intese esistenti fra l'Italia e l'Austria e l'Italia, l'Austria e l'Ungheria. Poiché se ne era già parlato di questa visita, o avrei dato ai giornali le direttive di continuare a menzionarla, ma come una cosa già nota ed entrata nell'opinione pubblica generale senza dare ad essa alcun carattere sensazionale.

Il Ministro Rintelen attende tuttavia di conoscere l'opinione di V. E. anche su un possibile comunicato ufficioso, dato che ciò gli pare stia a cuore al governo di Vienna.

(l) -Minuta autografa di Mussolini. Ed., con data errata 21 giugno, in MussoLrNr. Opera Omnia, vol. XLII, p. 76 e in DE FELICE, p. 497. (2) -Cfr. n. 424. (3) -Cfr. n. 345.
445

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2361/105 R. Mosca, 26 giugno 1934, ore 2,15 (per. ore 7).

Telegrammi di V. E. n. 73 e 848/C. O).

Ringrazio l'E. V. comunicazione relativa colloquio Léger-Pignatti.

V. E. avrà frattanto ricevuto mio rapporto n. 2543/1100 in cui riferivo precisioni fornitemi da Litvinov sullo stesso argomento U 17 corrente (2).

V. E. avrà visto che in quest'ultima conversazione, Litvinov, come già da sette mesi a questa parte, mi ha categoricamente confermato trattarsi iniziativa «francese», ciò che del resto è plausibile dato che sviluppi attuali rappresentano logico svolgimento antico piano sicurezza francese.

Questo ambasciatore di Francia mi ha dato oggi in proposito precisioni inequivocabili.

In vista di questo, nonché del fatto che Litvinov -e Litvinov soltanto pur non essendo in fondo tenuto, mi ha sempre, fin dal primo momento, tenuto al corrente di tutti gli sviluppi attuali e prospettive della azione franco

«-Una Locarno "Baltica" e non orientale, dissi, si potrebbe anche concepire con Li

tuania, Lettonia ed Estonia come Stati garantiti e Germania, Polonia ed URSS c·o'me Stati

garanti. Ma una Locarno "orientale", che abbraccerebbe mezza Europa e trarrebbe la propria

garanzia dal di fuori, cioè dalla Francia, pro tanto allacciandosi alla Locarno occidentale, non

potrebbe a meno di reagire su di questa, e quindi toccare i legittimi interessi degli altri

garanti. Quale sarebbe la posizione dell'Italia e dell'Inghilterra se la Francia fosse chiamata

in gioco come conseguenza della Locarno orientale? Si troverebbero esse a dovere intervenire?

-No -mi ha risposto Litvinov -la posizione dei due paesi rimarrebbe, dal punto di

vista della garanzia nei riguardi della Francia, immutata. La garanzia della Locarno occiden

tale funzionerebbe solo in quanto espressamente prevista dal trattato e con la procedura dal

trattato stesso stabilita (decisione del Consiglio della S.d.N. etc. etc.).

-Ma, obiettai io, e la procedura di funzionamento della Locarno orientale quale sarebbe? -La stessa di quella occidentale, mi rispondeva Litvinov.

sovietica (mi permetto richiamare in proposito mio telegramma n. 201 del 23 dicembre u.s. (l) nonché rapporti seguenti da quelli del 27 dicembre u.s. e del 16 gennaio u.s. a quello del 24 maggio u.s.) (2), mi troverei francamente imbarazzato a lamentarmi con Litvinov che egli non ci abbia ancora fatto sapere niente.

Reticenze Potemkin possono trovare, come già nel caso di cui al mio rapporto n. 2315/1017 del 7 corrente (3), spiegazioni di natura puramente contingente.

D'altra parte non è da escludersi che (secondo ne ho avuto impressione in una conversazione avuta oggi con ambasciatore di Francia) Léger abbia forse voluto accelerare tempi e abbreviare alquanto tappe della azione franco-sovietica in sviluppo e ciò in rapporto con incontro Venezia e voci accennate da Alphand di una intesa italo-tedesca.

A questa supposizione sarei anche portato dal fatto che, da una rapida inchiesta qui compiuta, figurerebbe che -all'infuori conversazioni ginevrine presso nessuno di quelli citati da Léger (tranne la Germania) sarebbe stato, nè da parte dei francesi nè da parte dei Sovieti, ancora presentata alcuna «proposta concreta~.

(In verità, nonostante questa risposta, la reticenz,a generica del mio interlocutore sul "contenuto" effettivo della contemplata Locarno orientale, fa piuttosto ritenere che fra Parigi e Mosca non si dovrebbe essere ancora d'accordo sia per quanto riguarda i precisitermini del trattato ed il limite della "assistenza mutua" che esso dovrebbe assicurare, sia per quanto riguarda lo stesso automatismo del sistema di garanzie, automatismo che l'adozione, come base della Locarno orientale, della famosa definizione Litvinov dell'aggressore dovrebbe pure far presumere. È questo, a mio rimesso avviso, uno dei punti che le potenze garanti della Locarno occidentale avrebbero diritto di approfondire, non solo a Mosca ma anche a Parigi. È infatti chiaro che una qualunque connessione dei due patti e dei due sistemi di garanzia, che non lasciasse alla Locam:to occidentale la sua "piena" indipendenza ed autonomia di funzionamento, toglierebbe alla nuova Locarno ora in discussione il carattere di " res inter alios acta" che Francia e URSS cercano darle all'evidente scopo di evitare l'ingerenzadell'Inghilterra e dell'Italia) ...

[Attolico] -E, come mai la Francia può credere che la Germania accetti? -Non so se la Francia lo creda. Comunque, essa potrebbe avere nella cosa anche un interesse "negativo". -Cioè?

-La Germania, rifiutando, confermerebbe le proprie intenzioni aggressive agli occhi del mondo ... Anche questo, dopo tutto, sarebbe un risultato. Questa ammissione da parte di Litvinov ad un interesse "negativo" d:ella Francia richiama

alla mia memoria, l'interesse alt·rettamto negativo dell'URSS nella ·• Garanzia baltica" offerta

tempo addietro alla Germania. Questa offerta si risolvette in fondo, in una manovra. Che possa

essere una manovra anche l'offerta attuale di una Locarno orientale? La cosa sarebbe per la

Germania assai importante e tale da suggerire una grande cautela nella negoziazione... E qui Litvinov incominciava con me una dimostrazione sulla aggressività della Germania hitleriana simile a quella propinata al Ministro di Ungheria, SiJgnor Jungerth, (mio rapporto

n. 1089 del 19 giugno) [cfr. n. 413]. Il programma hitleriano di espansione verso l'Est è -diceva Litvinov -una realtà incontrovertibile, nè Hitler ha mai fatto o detto nulla di serio per negarlo. Ha fatto anzi e lasciato fare il contrario. E ripeteva:

-She is a danger, we must do something.

-Va bene, ho risposto, ma se nonostante tutto, la cosa non fosse possibile, quali vie vi rimarrebbero aperte? -Non so. -Ne vedo una io, dissi: un patto bilaterale franco-sovietico. -I do not know -fu la risposta di Litvinov. In queste ultime parole, pur nella loro forma dubitativa, si compendia, a mio parere, tutta

la ... morale della Locarno orientale. Quello a cui in questo momento, sotto la comune ossessione del pericolo tedesco, Francia ed URSS mirano, in fondo, è di unirsi comunque. Temono, l'uno e l'altro, o meglio hanno ritegno, di farlo apertamente. Preferirebbero -perciò una qualunque forma coperta e "societaria " ...

Il resoconto di questa mia conversazione con Litvinov sarebbe incompleto se non dicessi che, nelle parole del mio interlocutore sembrava qua e là affacciarsi la preoccupazione che l'Italia potesse agire sulla Germania per indurla al rigetto definitivo della proposta francosovietica. Questa preoccupazione mi pareva in Litvinov affiorare specie in relazione all'incontro di Venezia, di cui il Commissario sovietico mi chiedeva ansiosamente notizie».

Da fonte polacca devo persino registrare informazione che, dopo accoglienze ricevute a Berlino, Litvinov avrebbe lasciato alla Francia ulteriore prosecuzione trattative.

Comunque mi riservo, appena visto nuovamente Litvinov, precisioni ulteriori (l).

(l) -Cfr. n. 433 e n. 414, nota l, p. 440. (2) -Di tale rapporto, datato 20 giugno, si pubblicano solo i seguenti bra.ni: (l) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 498. (2) -Non pubblicato. (3) -Non pubblicato.
446

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2366/69 R. Varsavia, 26 giugno 1934, ore 19,48 (pèr. ore 22,40).

Telegramma di V. E. 60 (2).

Stamane essendomi recato da Beck per annunziargli la prossima istituzione a Varsavia dell'istituto italiano di alta cultura, gli ho chiesto notizia del progetto franco-russo di una Locarno orientale.

Mi ha detto aver sempre in merito le idee già espresse ad Aloisi.

Polonia fa tutte le sue riserve dinanzi a tale piano che è lontano da sue concezioni realistiche di diplomazia primitiva [sic]. Governo polacco-ha affermato Beck -non intende mutare sua linea politica né compromettere risultati concreti raggiunti accettando una simile combinazione. Del resto Germania essendo ad essa contraria viene a mancare un elemento indispensabile per realizzazione.

Riferisco anche per corriere.

447

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 868/68 R Roma, 26 giugno 1934, ore 24.

Suo telespresso 809 (3).

Per quanto concerne riduzione organizzatori militari prego v. S. atteners! seguenti istruzioni:

1) -per adesso dovranno rimanere in Albania tutti i sedici ufficiali ritenuti dal Governo albanese ancora necessari, giacché conviene che V. S. si att.enga scrupolosamente a quanto è stato convenuto con re Zog, senza inoltre dare troppo l'impressione di un nostro completo disinteressamento dell'esercito.

2) -Non si può consentire rimpatrio immediato degli organizzatori marina. Poiché pur essendo essa stata da più mesi soppressa, si è anche recentemente insistito con il Re per il loro mantenimento; è conveniente che ufficiali

(l} Con t. 2394/107 R. del 29 giugno Attolico comun!còò quanto segue: «Conversazione avuta con Litvinov oggi m! permette confermare quanto avevo già telegrafato a v. E., sia per quanto riguarda origine francese iniziativa, sia anche per la interpretazione da me data annunzio Léger di una possibile alleanza franco-sovietica :o.

marina siano provvisoriamente lasciati in servizio. Verranno rimpatriati uno per volta nel corso prossimi mesi quando loro partenza non abbia alcun significato.

3) -Lavori fortificazioni devono continuare, sia pure a ritmo ridotto, sopratutto per non dare sensazione che noi siamo fin d'ora disposti rinunciarvi.

4) -Per materiale marina attengasi istruzioni telegramma 145 del 2 ottobre (l), affrettando sua consegna al colonnello Balocco che ne curerà provvisoriamente il deposito.

(2) -Numero particolare di protocollo per Varsav!a del n. 432. (3) -Non pubblicato.
448

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, E A BELGRADO, GALLI

T. 869 R. Roma, 26 giugno 1934, ore 24.

Squadra navale italiana facendo crociera Adriatico ha sostato sabato porto Durazzo senza che ne fosse preavvertito Governo albanese. Quest'ultimo è stato informato immediatamente dopo arrivo navi che mancato preavviso era dovuto a disguido nella comunicazione all'uopo fatta a ministro Koch e che visita non aveva alcun carattere meno che amichevole. Dopo un primo momento di disorientamento negli ambienti governativi e diplomatici di Tirana, Governo albanese ha espresso sua soddisfazione e sono state scambiate consuete visite. Il grosso della squadra ha salpato ieri da Durazzo, mentre vi resteranno ancora qualche giorno un incrociatore e dei caccia.

449

IL DOTTOR DUBBIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2396/333 R. Sanaa, 26 giugno 1934, ore... (2) (per. ore 22 del 28).

Avendo comunicato suo telegramma n. 102 (3) a Ragheb bey questi mi ha incaricato ringraziare S. E. capo del Governo per comunicazione. Ragheb bey ha dichiarato che recenti avvenimenti, oltre a dimostrare sincerità amichevoli rapporti del R. Governo, hanno dimostrato Governo locale e paese di quanto più interesse avrebbe potuto essere aiuto del Governo italiano se interessi italiani nello Yemen fossero stati più sviluppati.

È perciò intendimento Governo yemenita maggiormente sviluppare questi interessi nella speranza che anche aiuti italiani saranno di maggiore portata nello Yemen, in corrispettivo anche dell'utilità che Yemen si propone apportare agli interessi politici italiani nel Mar Rosso.

(l) -Non pubblicato. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (3) -Cfr. n. 421.
450

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2393/1054. Berlino, 25-26 giugno 1934.

Nei circoli politici e diplomatici di Berlino da una settimana l'argomento principale è il discorso pronunciato il 17 corrente dal Vice-cancelliere von Papen a Marburg dinanzi alla Lega Universitaria.

Ho già riferito a V. E. col telespresso n. 2337/1033 del 21 corrente (l) che le critiche mosse al regime nazionalsocialista lo indussero, dopo di averle formulate e dopo la posizione presa contro di lui presso Hitler dal Ministro della Propaganda Dr. Goebbels, a rassegnare le sue dimissioni che non furono però accettate dal Cancelliere.

Sono oggi in grado di fornire maggiori ed autentiche informazioni supplementari che mi furono date, in via strettamente confidenziale, dallo stesso signor von Papen e da persona che gli è vicinissima, manifestandomi il desiderio ch'io possa così rendere V. E. ragguagliatamente edotta di quanto accadde.

Il discorso che il signor von Papen pronunciò il 17 corrente pare fosse andato maturando nell'animo suo da vario tempo ed era già pronto da una quindicina di giorni. Esso era stato redatto, sulle direttive del Vice-cancelliere, da un redattore del giornale Germania, organo di von Papen.

Il motivo per cui egli si decise di pronunziarlo il 17 corrente fu il disgusto provato pel trattamento fatto negli ultimi giorni della settimana scorsa al Ministro Seldte, fondatore degli «elmetti d'acciaio». È nota a V. E. la polemica, degenerata in lotta aperta, esistente fra questa organizzazione di ex-combattenti e le S. A. che la conglobarono.

Le S. A. invitarono il Ministro Seldte che dimora nei pressi di Marburg ad assistere ad una cerimonia in onore dei caduti di guerra. Quando egli giunse sul posto recando una corona, accompagnato da altri membri degli ex-elmetti d'acciaio, trovò un'accoglienza ostilissima da parte delle S. A., eccitatissime per un manifesto provocatorio apocrifo pubblicato a nome del Ministro Seldte, in cui gli si faceva dire che gli «elmetti d'acciaio» volevano la restaurazione monarchica come unico mezzo di salute per la Germania. Ancorché si sia largamente diffusa a Berlino la voce che Seldte sia stato malmenato, mi fu riferito che non si giunse sino a mettergli le mani addosso, ma ciò unicamente perché egli poté essere sottratto a tempo all'ira delle S. A. Il Ministro Seldte e il suo seguito non poterono ad ogni modo deporre la corona che avevano recato seco per deporla sul monumento ai caduti.

Trasmetto qui unito a V. E. il testo integrale del discorso del signor von Papen che mi fu da lui rimesso personalmente, perché la diffusione ne è stata vietata (2).

Hitler fu informato il 18 da Goebbels del discorso stesso e dell'ordine impartito alla stampa di non riprodurlo. Von Papen si recò dal Cancelliere a dichia

rare che tale divieto era inammissibile, dato che egli era Vice-cancelliere non per burla, ma di fatto e che come tale si riteneva libero di criticare quello che non gli andava a genio, circa l'azione del Partito, di cui non faceva parte.

Il Cancelliere gli rispose che anche lui non approvava tutto quello che si faceva e diceva da parte dei suoi luogotenenti, cosicché avrebbe trovato opportuno il discorso di von Papen se esso fosse stato pronunciato in una riunione di carattere strettamente politico e preferibilmente di appartenenti al movimento nazionalsocialista. Non poteva invece approvare ch'egli avesse parlato dinanzi ad una Lega Universitaria e perciò non credeva revocare l'ordine impartito alla stampa di non riprodurlo.

Di fronte a ciò von Papen presentò le proprie dimissioni. Hitler rifiutò di accettarle dichiarando che non intendeva privarsi in questo momento dell'opera sua. Gli confermò la propria fiducia e gli dichiarò che aveva avuto più volte ragione di deplorare aspramente vari discorsi tenuti da altri suoi Ministri, per la enunciazione di quei principi politici, filosofici e religiosi che egli aveva ora sottoposto ad una critica serrata.

Data la forma molto cordiale in cui si espresse Hitler, von Papen non credette insistere nelle dimissioni presentate e rimase al proprio posto.

A Berlino si disse che von Papen avesse agito d'accordo col Presidente del Reich e si fece circolare la voce che quest'ultimo gli avesse inviato un telegramma di plauso. Entrambe le notizie sono infondate.

Vero è invece che von Papen ricevette nei giorni scorsi migliaia di lettere di adesione da ogni parte della Germania. Vero è pure che l'ex-Cancelliere Generale von Schleicher, avversario di von Papen definì la critica «il grande discorso di un piccolo uomo"· Inoltre ieri ad Amburgo, in presenza di una buona parte del Corpo diplomatico, avvenne un episodio molto sintomatico. Eravamo stati invitati dal Senato della Città libera ad assistere al Derby di Amburgo, la più importante corsa di cavalli della Germania. Von Papen era presente nella sua qualità di Presidente dell'« Union Club"· che gestisce le corse a Berlino.

Il Ministro Goebbels venne pure ad Amburgo in volo, dopo aver tenuto a mezzodì un discorso ad Essen che trasmetto egualmente qui unito a V. E., discorso che voleva essere una risposta alle critiche di von Papen e che è una prova di più del suo spirito ultra democratico e antireligioso.

L'ingresso nel campo delle corse gremito di pubblico del Ministro Goebbels fu salutato da scarsi applausi ed appena notato, ancorché egli incedesse fra una fitta spalliera di uomini delle S. A. e S. S.

Quando invece il Vice-cancelliere von Papen lasciata la tribuna d'onore si recò in mezzo al prato a vedere i cavalli, scoppiò un applauso formidabile da parte di tutto il pubblico più eletto.

Goebbels evidentemente seccato di quanto era accaduto e pare non soddisfatto per i posti che gli erano stati riservati, credette, sempre ligio alle sue tendenze democratiche, di fare il gesto di abbandonare la tribuna d'onore e mescolarsi al pubblico dei terzi posti, in mezzo al prato. Egli lo raggiunse fra un'ala

35 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

di almeno 400 uomini delle S. A. e S. S. in un silenzio glaciale interrotto solo da qualche grido ( Heil Goebbels, Heil Hitler » lanciato dai militi in uniforme.

Al ritorno nella tribuna di von Papen che, per caso o appositamente, prese la via attraverso la folla del prato e quella dei secondi posti, la dimost.razione a base di applausi e di «Hoch von Papen ~ («Hoch :. e non «Heil », il Vllcchio saluto tedesco anziché il nuovo nazionalsocialista) si ripeté molto più clamorosa.

Non occorre trarre dall'accaduto conseguenze eccessive. Amburgo fu infatti sempre una città che simpatizzò per von Papen a causa del carattere aristocratico delle classi sociali più elevate cui appartengono gli armatori, l banchieri ed i grandi mercanti della città anseatica. L'arresto quasi totale del movimento portuario -che risente gravemente le conseguenze del boicottaggio dell'America del Nord e di altri paesi contro la navigazione ed i commerci tedeschi come reazione per la politica antisemita del nazionalsocialismo -e la legge sull'unità del Reich che ha privato la città libera di Amburgo degli antichissimi suoi privilegi, non sono certo cause che possano accrescere la simpatia di quella città anseatica per l'attuale regime.

Ad ogni modo la diversa accoglienza fatta a von Papen ed a Goebbels fu notata dai numerosi rappresentanti esteri presenti che la trovarono molto interessante come sintomo dello stato d'animo che va dilagando sempre più.

Von Papen, che era raggiante, volle mostrarsi gran signore e pregò Goebbels e sua moglie di partecipare al pranzo che il vincitore del Derby avrebbe offerto la sera ai rappresentanti esteri ed alla parte più eletta della società sportiva convenuta ad Amburgo. Dopo qualche tergiversazione Goebbels accettò.

Von Papen mi fece pregare di dire al banchetto due parole, come più anziano dei diplomatici presenti, per rilevare la felice riunione ad una festa sportiva di uomini del Governo nazionalsocialista, di diplomatici esteri e di tanti amatori dello sport ippico tedesco e straniero.

Accedetti di buon grado al desiderio espressomi per contribuire in tal modo a rendere meno tesa una situazione aggravata dalla presenza fra gli sportivi di non pochi proprietari di scuderie da corsa non perfettamente ariani.

È possibile che l'episodio di Amburgo abbia ripercussioni ulteriori in Germania e nella stampa estera. È perciò che l'ho riferito per esteso a V. E. Esso è ad ogni modo una riprova dello stato di cose esistente in seno al Gabinetto del Reich.

Di questo fanno parte i nazionalsocialisti di vecchia data Goering (Aeronautica), Goebbels (Propaganda), Frick (Interni), Hess, Roehm, Kerrl e Rust (senza portafogli), un aderente dell'ultima ora Schmitt, Ministro dell'Economia, sei Ministri senza partito cioè il signor von Papen (Vice-cancelliere), il barone von Neurath, il Conte Schwerin von Krosigk, Ministro delle Finanze, il Dr. GUrtner, Ministro della Giustizia, il Barone von Eltz-RUbenach, Ministro delle Comunicazioni, il Generale von Blomberg (Ministro della Guerra) e il signor Seldte, Ministro del Lavoro, quest'ultimo ex-Capo degli elmetti di acciaio.

Di Seldte Goering dice che è una brava persona e che è solo peccato che sia una tale nullità. Ho riferito testé i recenti dissidi fra von Papen e Goebbels. Fra il Generale von Blomberg e Roehm, capo di stato maggiore delle S. A. si è creata una ruggine destinata ad accrescere piuttosto che a scomparire.

Giirtner, Ministro della Giustizia del Reich teme che Kerrl, il quale fino a

una settimana fa fu Ministro della Giustizia in Prussia, lavori per dargli lo

sgambetto. Egli è poi anche minato dal Dr. Frank, Ministro della Giustizia in

Baviera che ha l'incarico di riformare la Giustizia tedesca, incombenza che sem

brerebbe dover essere piuttosto di spettanza del titolare del Ministero della Giu

stizia del Reich.

In un simile complesso di intrighi non solo non si fa sentire, almeno sinora, la mano possente del Cancelliere del Reich per rimettere l'ordine turbato, ma la situazione si aggrava ogni giorno in seno al Gabinetto mentre i problemi più assillanti richiedono di essere risolti colla maggior urgenza.

Sarebbe, mi sembra, esagerato pretendere, come vorrebbe Goebbels, che cessassero tutte le critiche e che i tedeschi si dichiarassero felici dello stato di cose esistente e pieni di fiducia nella saggezza del Governo.

26 giugno.

PS I giornali del mattino riportano un nuovo discorso, quello di Hess, pronunciato ieri a Colonia, che trasmetto pure qui unito a V. E. Hess è il membro del partito nazionalsocialista che parla meno e che, le rare volte che lo fa, parla bene.

Anche questa volta il suo discorso è buono, anzi ottimo. Mi riservo rileggerlo e ritornare eventualmente su di esso. Ad ogni modo Hess mentre prende posizione netta contro il sistema delle critiche, non tralasciando la puntata diretta contro von Papen (quando dice che hanno soprattutto torto di criticare coloro che tennero essi stessi in mano le redini del Governo senza saper far nulla di buono) riconosce pure che non tutto fu perfetto.

Importante è soprattutto la sua constatazione che le critiche non toccarono mai la persona di Hitler, giacché questi è riconosciuto da tutti come superiore alle divergenze personali. L'affermazione che «il Fiihrer ha sempre ragione :t non è originale, ma è stata tanto più opportuna in quanto è stata messa in relazione coll'altra che il Fiihrer è il tattico del movimento e che la seconda ondata della rivoluzione nazional-socialista avverrà solo se e quando Hitler deciderà che abbia luogo.

La mia prima impressione è che il discorso di Hess sia soprattutto stato pronunciato per causare una «détente :t e sia diretto in particolare modo contro il troppo parlare che fa Goebbels.

(l) -Cfr. n. 424. (2) -Non si pubblicano gll allegati.
451

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2375/90 R. Belgrado, 27 giugno 1934, ore 16,15 (per. ore 18,15).

Barthou partito iersera evitando nuovamente transito Italia, ciò che non è senza voluto significato. Sono qui vivi gli echi degli accenti aspramente antiungheresi, quindi anche antirevisionisti, ma sopra tutto anticollaborazionisti, pronunciati a Bucarest

dal ministro degli affari esteri francese e ne [deriva] quindi un rafforzato senso

di soddisfazione negli ambienti politici jugoslavi per la loro posizione verso

Ungheria.

Ma in realtà i discorsi pronunciati nelle varie occasioni, vedi agenzia Ste

fani, sono stati di tono ben più moderato che non in Romania, segnatamente

quelli di Jeftic nel quale l'equilibrio e la misura delle espressioni debbono es

sere rilevate, in primo luogo la sua frase relativa alla volontà di collaborazione

con i vicini da molti interpretata principalmente come a noi alludente, ma

certo anche all'Ungheria.

Soltanto Uzonovich, presidente del Consiglio, parlando al partito nazionale

jugoslavo ed alle assemblee riunite ha ripreso la tesi «tituliana »: revisione vale

guerra.

Ma il discorso del presidente del Senato è stato del tutto anodino e quello

del presidente della Scupcina ha marcato una nota pacifista sia pure condizio

nata al mantenimento degli attuali confini.

E gli stessi ambienti francesi hanno certo rimarcato la differenza di calore

e di trattamento fra l'accoglienza di Re Carol a Barthou e quella di Re Ales

sandro.

La curiosità e gli ordini superiori hanno fatto accorrere lungo il Danubio le

popolazioni rivierasche ma a Belgrado non vi è stato alcun spontaneo concorso

di popolo.

In compenso l'entusiasmo delle Assemblee riunite è stato altissimo.

(Continua coi numero di protocollo successivo) (1).

452

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2379/91 R. Belgrado, 27 giugno 1934, ore 18,20 (per. ore 21,30).

(Il presente telegramma fa seguito al numero di protocollo precedente) (2).

Se in ogni caso il valore generico della visita non deve essere per nulla di

minuito, il diluvio di parole di fraternità e di riconoscenza va tuttavia conside

rato soltanto in rapporto al loro valore sentimentale e per la propaganda fran. cofila fra i serbi.

I colloqui politici con Jeftic sono stati di assai breve durata e, pare, poco

concreti. Più importante quello col Re sul quale fino ad ora è soltanto trapelato

che Re Alessandro si recherà in autunno a Parigi (ignorasi ancora se in forma

ufficiale o privata) quasi contemporaneamente a Re Carol il quale o nel viaggio

di andata od in quello di ritorno farà visita ufficiale a Belgrado al Sovrano ju

goslavo.

Però, quanto a progresso concreto dei progetti politici per patti regionali

e di mutua assistenza ora caldeggiati dalla politica francese e con sì aperto si

gnificato antigermanico (e per la cui decisione d'altronde influiranno i pros

simi colloqui di Barthou a Londra), dovrei ritenere, fino a diverse notizie, non esservene stati rispetto al punto raggiuntosi a Ginevra.

Anzi la Jugoslavia ha riaffermato la sua resistenza a non allacciare oggi (ripeto oggi) dirette relazioni con Sovieti malgrado i pressanti consigli francesi ed anche turchi (l).

(l) -Cfr. n. 452. (2) -Cfr. n. 451.
453

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2380/27'7 R. Parigi, 27 giugno 1934, ore 18,20 (per. ore 21,30).

Miei telegrammi 261 e 262 (2).

Segretario generale degli affari esteri parlandomi di nuovo ieri del patto di mutua assistenza, mi ha ripetuto che la Germania non ha respinto la proposta franco-russa.

Essa è evidentemente nell'imbarazzo. Il patto non armonizza con la sua politica ma il Reich non vorrebbe prendere su di sé [responsabilità di] farlo naufragare. La Polonia ha fatto sapere che Pilsudsky intende rendersi conto personalmente della cosa.

Passerà quindi qualche tempo prima che essa prenda una decisione.

Simon ha fatto dire a Benes che vede con simpatia il patto, pure escludendo che l'Inghilterra possa parteciparvi sotto forma di garante. Ho chiesto a Léger se patto sarebbe circoscritto agli Stati che egli mi aveva nominato nella conversazione precedente.

Egli mi ha confermato nei precisi termini le informazioni già pervenutemi.

Ha aggiunto, rispondendo a una mia domanda, che non vi sono altri patti in gestazione almena per iniziativa della Francia.

La stampa aveva messo in giro la voce della conclusione di un patto mediterraneo.

A questo proposito la Spagna aveva fatto chiedere notizie al Quai d'Orsay credendosi esclusa senza ragione da un grande accordo includente tutti gli Stati bagnati dal Mediterraneo.

«Io. Ed allora perché a Ginevra avete aderito, o meglio, mostrato di aderire ad un complesso blocco che comprenderebbe con Piccola Intesa od Intesa Balcanlèa la Francia ed i Soviet? Ma questo è un aggruppamento che divide l'Europa in due campi e può condurre rapidamente a quelle eventualità che voi avete mostrato e dichiarato sempre di volere evitare. Come si concilia questa nuova attitudine con la precedente, e quali ragioni hanno determinato una simile evoluzione?

Purtch. Ma siete inesattamente Informato! Noi non abbiamo alcuna intenzione di aderire mal ad un simile blocco generale. Noi siamo favorevoli ,ai patti regionali. E patti regionali sono la Piccola Intesa, l'Intesa Balcanica nel quadro di questi patti si Innesta la nostra amicizia con la Francia. Ma non Intendiamo trasformare questi patti In un patto generale che conglobi anche i Sovieti

In questo ·caso si tratterebbe davvero di una vera e propria alleanza che prenderebbe l'aspetto e la portata che Voi dite, ma che noi non vogliamo. Crediamo che fra i patti regionali potrebbe prendere posto anche Il Patto di Sicurezza Mediterranea d! cui si è qualche volta parlato anche da voi, e stimiamo che questi patti tenendosi ciascuno per se stesso ed i partecipanti garantendosi reciprocamente, si arriverebbe a quella garanzia generale che è nei nostri fini perseguire. Ma non patti generali».

È stato risposto che la Francia non ha assunto e non intende assumere iniziative di questo genere.

Essa seguirebbe invece l'iniziativa che fosse presa da un altro Stato più direttamente interessato.

Mio interlocutore mi ha fatto a riguardo di sfuggita il nome dell'Italia.

Pare che la notizia del patto mediterraneo abbia la sua origine in qualche conversazione ginevrina del ministro degli affari esteri turco che non cessa di agitarsi.

Léger mi ha detto infine che Chambrun ha ricevuto delle delucidazioni supplementari sulla proposta franco-russa per il patto di mutua assistenza in modo da poter fornire all'E. V« le precisazioni del caso (1).

(l) Cfr. il seguente brano del t. posta 3527/1064 di Galli del 14 giugno relativo ad un suo colloquio con Purié:

(2) Cfr. n. 414, e n. 414, nota 2, p. 440.

454

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2416/0121 R. Vienna, 27 giugno 1934 (per. il 30).

Le mie recenti segnalazioni, circa il progressivo sentimento di queste sfere direttive di esser in grado di controllare la campagna terroristica, vanno confermate.

Detto sentimento si è anzi rafforzato; e mentre il cancelliere, e sovratutto i suoi immediati subordinati, riaffermano un'assoluta sicurezza di poter padroneggiare la situazione, lo Starhemberg ed elementi a lui vicini ripetono il già riferito giudizio che un successo dei nazisti potrebbe ormai verificarsi in Austria solo per un fatto esterno, ma non mai interno (mio telegramma per corriere 0116 del 21 giugno) (2).

Di questo stato d'animo ho già indicato le cause. Tra esse predomina la persuasione che la situazione politica, economica e morale della Germania sia così critica e grave, che non potrà non determinare un largo ravvedimento nei nazionalsocialisti austriaci; nonché la persuasione che una lotta senza quartiere contro il terrorismo, oltre che a contenerlo, incoraggerà sempre più la popolazione civile ad una diretta autonoma reazione, che finirà per debellarlo completamente.

Donde una certa rigidità d'atteggiamento, di tanto più appariscente in quanto più chiari e frequenti sono state, negli ultimi tempi, le dichiarazioni del cancelliere ed i pratici tentativi dello Starhemberg per una distensione di rapporti con la Germania. A riprova, segnalo la tendenza da parte di qualche funzionario del Ballplatz a considerare come impossibile, od almeno come del tutto precaria, una sistemazione della questione austriaca «finché viga il nazionalsocialismo in Germania :..

A questa resistenza -per così dire morale -delle classi dirigenti austriache si accoppia la viva speranza che le condizioni economiche e finanziarie del

t. -872/C R. del 29 giugno.

paese siano, o divengano presto, tali da poter far contare altresì su di una resistenza economica.

Al riguardo mi consta che una grande attenzione viene rivolta quasi quotidianamente al gettito delle entrate, che in quest'ultimo mese risulta in aumento (fra l'altro, si è constatato che la campagna nazista per la astensione dal fumo non ha avuto alcuna ripercussione sulle effettive entrate del monopolio dei tabacchi), come pure sulla curva della disoccupazione, che mostra un miglioramento, preoccupa solo la rilevante disoccupazione verificatasi nelle entrate delle ferrovie.

Da parte sua, il mio collega di Germania, che ho incontrato ieri, nel ripetermi che solo un'intesa fra Roma e Berlino potrà riuscire a dare una conveniente soluzione alla questione austriaca, ha insistito sulla sua viva speranza in un sollecito avviamento in questo senso, non nascondendo le sue apprensioni non solo per la tensione che egli vede accentuarsi nella popolazione, divisa in due campi, e che potrebbe, a suo avviso, sboccare in una pericolosa rivolta (in realtà egli teme sopratutto che in tal caso potrebbe determinarsi un intervento dall'estero), ma anche per una «intransigenza di alcune sfere politiche, che cercherebbero di influire sul finora ben intenzionato cancelliere~-Egli ha infine prospettato l'ipotesi che molti attentati siano dovuti ai socialisti, allo scopo di creare una situazione tale da rendere difficile od impossibile una soluzione di pieno accordo tra l'Italia e la Germania, e ciò tanto ai fini di politica interna (di lotta cioè contro il regime autoritario) quanto internazionale (avviamento cioè all'Austria in orientamenti non voluti né dall'Italia né dalla Germania mio telegramma per corriere n. 0117 del 21 giugno) (1).

(l) -Rltrasmesso a Washtngton, Londra, Berlino, Varsavla, Mosca, Madrid, Toklo, Bruxelles, Ankara, Bucarest, Belgrado, Praga, Atene, Helsinki, Talllnn, Stoccolma. Riga e Kaunas con (2) -Cfr. n. 422.
455

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GOMBOS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. s. 1119/T. Budapest, 27 giugno 1934.

La Gioventù Militare Italiana mi ha portato il regalo di V. E., una splendida arma italiana. La ringrazio molto; l'arma sarà sempre un bel ricordo per me.

E giacché stiamo parlando di armi e so che S. E. Dollfuss visiterà V. E. a Riccione, mi permetto di fare a V. E. la proposta di invitare Dollfuss ad aumentare il suo esercito. Secondo il bilancio austriaco, per le forze armate sono riservati 84 milioni. Questa somma di danaro è forse sufficiente per mantenere un piccolo esercito di merc~nari, ma non per una concezione più vasta. Inoltre devono venire effettuate delle modificazioni nell'organizzazione dell'esercito austriaco e la maggiore importanza dovrà venire attribuita all'esercito permanente anziché alle organizzazioni militarizzate. A mio parere, sarebbe opportuno che

V. E. invitasse Dollfuss ad elevare il bilancio per l'esercito a 130 milioni di scel

lini, ad introdurre il servizio militare obbligatorio per tutti e ad armare urgentemente l'esercito in modo tale che, per il momento, possano essere mobilitate almeno 5 divisioni. Per quanto concerne gli armamenti, l'esercito austriaco dovrebbe conformarsi al sistema di armamento dell'Italia e dell'Ungheria.

Io non mi sono indignato per il discorso di Barthou. Sapevo da prima che la Francia e i suoi vecchi capi non hanno simpatia per l'Ungheria. Sono lieto che una piccola parte dell'opinione pubblica ungherese, che senza fondamento si chiama francofila, sia stata disingannata. Ora il vecchio chiacchierone ha invitato Dollfuss a Parigi ed io so che a Bucarest si è parlato di guadagnare l'Austria -almeno segretamente --per la politica della Francia e della Piccola Intesa. Prego pertanto di voler premunire Dollfuss anche in questo riguardo, perché temo l'influenza di diversi elementi francofili austriaci su di lui.

Mentre torno a ringraziare V. E. per avermi voluto orientare sulle trattative di Venezia, resto di V. E. fedele amico ...

(l) Cfr. n. 423.

456

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2398/94-95-96 R. Tirana, 28 giugno 1934, ore 21,50 (per. ore 5 del 29).

Visita della squadra e permanenza di alcune unità ha avuto notevole ripercussione sia all'interno che oltre frontiera.

Questo Governo sotto l'incubo di una pretesa minaccia da parte grande Potenza vicina è stato richiamato di colpo al senso della realtà che è quella della necessità di normalizzare i rapporti con l'Italia anziché di creare altre soluzioni al problema albanese, senso di realtà che gli è stato risvegliato anche da quelle Potenze sulle quali credeva poter trafficare ai nostri danni.

Mi risulta infatti che tutte le legazioni (compresa quella di Jugoslavia per suggerimenti pare dello stesso Barthou in visita a Belgrado) hanno dato consigli di prudenza e moderazione e anche di opportunità di chiarire le relazioni con l'Italia lasciando in definitiva comprendere che le altre Potenze non hanno con l'Albania i complessi rapporti come noi. Presso quelle cancellerie che andrebbero interpretando il nostro presunto disinteressamento degli affari albanesi come una possibilità di loro penetrazione in questo paese ai danni della nostra influenza, la visita deve avere avuto l'effetto di disinganno e quasi di monito.

L'apprensione per la presenza delle navi non è cessata. Il Re continua ad essere preoccupatissimo. Non vi è nulla che possa far presa sul suo animo come la paura.

Iersera il ministro affari esteri mi ha dato lettura di una deliberazione presa dal consiglio dei ministri che dopo di essersi dichiarato dolente della presenza delle navi, che ha tutta l'aria di voler [essere] pressione, si dice desideroso di prendere in esame tutte le questioni in sospeso per giungere alla chiarificazione dei rapporti fra i due paesi ma che, per ciò fare, occorre un'atmosfera serena, essere pertanto necessario fare sparire uri elemento di « minaccia » quale è rappresentato dalla presenza delle navi che occorre siano richiamate.

Ho risposto manifestando la più alta meraviglia circa questa interpretazione che il Governo dava alla visita in pieno contrasto con quella che lo stesso Governo aveva già manifestato e totalmente opposta al carattere amichevole che il Governo di Roma ha inteso darle.

Consideravo come non avvenuta questa comunicazione, della deliberazione da lui Iettami, e prendevo atto con piacere delle buone intenzioni che il Governo albanese manifestava di voler prontamente riprendere in esame le questioni in sospeso, per portarle ad una soluzione.

Speravo che questa volta le intenzioni fossero sincere e si concretassero in atti concludenti.

Sarei pertanto fra giorni tornato da lui per intavolare questa conversazione e avrei invitato a venire a Tirana i delegati di quelle società che come l'AIPA e la SAM hanno trovato un manifesto spirito di ostruzionismo da parte dei dicasteri nello stipulare accordi sui quali si erano già chiaramente intesi.

Mi ha ripetuto che il Governo albanese è fermamente deciso di accordarsi e che egli è personalmente convinto della necessità di questa intesa e chiarificazione.

Ha insistito vivamente perché le navi partissero.

Ho risposto che la visita vuole essere amichevole e che mi pare poco garbato da parte sua di non considerarla come tale. Lo pregavo non insistere in questo tono poco simpatico. La sosta delle navi avrebbe avuto la durata che tali visite hanno normal

mente; avrebbero potuto partire domani come fra giorni; ciò non doveva essere motivo di rilievo di nessun genere.

Mi sono poi doluto vivamente con lui per la questione degli organizzatori della marina poiché non solo si mantiene il principio dell'esonero ma da qualche giorno la guardia di confine ha occupato le zone delle batterie e i quattro mas impedendo addirittura a mano armata agli ufficiali italiani l'accesso alle une e agli altri assumendo con ciò un atteggiamento che oltre tutto è inesplicabilmente irriguardoso nei loro riguardi.

Avevo da qualche giorno dato ordini al comando di quel presidio perché la situazione fosse riportata allo statu qua ante, alle condizioni cioè precedenti all'ordine di esonero, riservando di esaminare in seguito la questione degli ufficiali e del materiale.

Ho insistito ieri sera con maggiore fermezza.

Il ministro affari esteri mi ha oggi assicurato che il comando della difesa nazionale ha dato ordini formali per il ripristino dello statu qua. Me ne sono assicurato. Data la rilevante ripercussione morale in senso a noi favorevole che la per

manenza delle navi ha avuto, e i risultati che sembra promettere e di cui potremo prossimamente assicurarci, salvo ad esaminare nuovamente la situazione, proporrei di non inasprire maggiormente l'atmosfera prolungando la sosta di dette navi e farle partire all'alba di sabato 30 corrente.

Prego far pervenire istruzioni in questo senso al comandante del «Fiume».

457

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI GRECIA A ROMA, METAXAS

APPUNTO. Roma, 28 giugno 1934.

Il Ministro Metaxas viene a prendere congedo dovendo recarsi in licenza in Grecia. Mi fa poi un discorso sui pochi rapporti che esistono tra il Ministero e la Legazione di Grecia; egli si è chiesto se era la sua persona che costituiva questa difficoltà di rapporti, nel qual caso egli avrebbe chiesto di essere richiamato, ma poi aveva dovuto concludere che non si riconosceva nessuna ragione di demerito. Tre sue consecutive domande di udienza al Capo del Governo hanno avuto una risposta negativa; egli non si duole del fatto in sé perché si rende conto che il Capo del Governo è talmente preso dal lavoro che non può ricevere facilmente; d'altra parte però nel frattempo sono stati ricevuti altri suoi concittadini come il signor Mercuris, ecc.

Rispondo al Ministro che non c'era certamente nessun motivo contro la sua persona: i fatti a cui egli si riferisce evidentemente hanno una origine puramente casuale. Noi vediamo anche l'utilità di curare i rapporti con la Legazione di Grecia data la necessità di seguire la politica di amicizia esistente fra i nostri Paesi. A tale riguardo devo però fargli presente che negli ultimi tempi si è avuta l'impressione che il Governo greco fosse stato portato a rimorchio dell'opposizione nella sua politica filo-italiana.

Il Ministro osserva che anche senza l'opposizione il Governo non sarebbe venuto meno ai principi della sua politica di amicizia verso l'Italia; di fatti è stata l'interpretazione governativa del Patto Balcanico che .ha escluso la possibilità della partecipazione greca ad un conflitto contro l'Italia.

Il Ministro mi chiede poi notizie sulle questioni politiche generali ed in particolare poi dell'Albania dove la Grecia è solidale con noi nella questione delle scuole.

Gli do le informazioni richieste avvertendolo che nella questione delle scuo

le albanesi noi siamo decisi ad insistere per la riapertura delle scuole stessP

458

IL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, DOLLFUSS, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 1'. Vienna, 27-28 giugno 1934.

Ho l'onore di esprimere a Lei ed a S. E. il signor Capo del Governo i miei più vivi ringraziamenti per la Sua gentile ed esauriente lettera del 19 corrente (l) sull'incontro di Venezia e di Stra.

Poiché nella Sua st'imata lettera Ella manifesta il desiderio di conoscere il mio avviso circa i risultati dell'incontro e l'attuale stadio del nostro conflitto con la Germania, vorrei riassumere la mia opinione come segue:

Anzitutto condivido completamente il Suo parere che l'atteggiamento del signor Hitler rispetto al conflitto fra Germania ed Austria non mostra alcun progresso. Le « condizioni ~ da lui rappresentate a S. E. 11 signor Mussolini, ci sono già da lungo tempo più o meno note. Parimenti cognito dovrebbe essere al signor Hitler che io non sono disposto per nessun motivo a prendere in considerazione condizioni di alcun genere per la soluzione o per la eliminazione di questo conflitto. Quanto io, lasciando impregiudicata questa generale riserva, mi potrei dichiarare d'accordo col 1° e col 5° punto delle premesse da lui indicate (l'Anschluss dell'Austria alla Germania resta fuori di discussione; le questioni che si riferiscono all'Austria vengono decise d'accordo fra la Germania e l'Italia), altrettanto fuori di strada sono naturalmente gli altri tre punti. Che il signor Hitler parli nuovamente di «elezioni~. prova che egli non si è dato ancora la briga di studiare la nuova costituzione austriaca del 1° maggio 1934, perché altrimenti egli dovrebbe sapere che in futuro non avranno luogo in Austria elezioni, come comunemente solevano avvenire sulla base dei principi democratici.

Per quanto concerne lo sviluppo della situazione dopo l'incontro di Venezia e di Stra, è da registrare una certa decrescenza degli attentati terroristici; se non altro negli ultimi giorni gli impianti ferroviari sono rimasti immuni da attentati. Naturalmente non può essere stabilito in modo inoppugnabile fino a che punto questa diminuzione sia da connettere ad una parola d'ordine dal di fuori. Ho tuttavia motivo di ritenere che sono anzitutto le misure adottate dal Governo Federale, specialmente la formazione di reparti per la difesa locale, che inducono gli elementi terroristici ad una maggiore circospezione. Un miglioramento stabile di queste condizioni non si può sperare, a mio parere, che dal mantenimento delle misure prese dal Governo Federale, le quali saranno proporzionate all'intensità degli attentati. Da ultimo credo di poter sperare che la posizione decisa presa da S. E. Mussolini, in una maniera per cui gli dobbiamo riconoscenza, di fronte al punto di vista del signor Hitler, avrà lasciato su quest'ultimo un'impressione così forte che egli conterà in futuro più che finora, con l'atteggiamento altrettanto chiaro quanto irremovibile del Duce verso l'Austria e coi problemi che si connettono con essa.

Date le circostanze suddette, ho l'intenzione di adottare un atteggiamento di attesa e di proporzionare, come già accennato sopra, il carattere e la forza della nostra difensiva alla specie ed all'intensità degli attentati.

Poiché V. E. accenna amichevolmente nella chiusa della Sua stimata lettera anche al problema dell'insegnamento privato della lingua tedesca in Alto Adige, colgo volentieri anche questa occasione per ringraziare nel modo più cordiale Lei e il signor Capo del Governo per le disposizioni già adottate circa questa questione. Ma mi ha arrecato una gioia tutta particolare che S. E. il signor Capo del Governo e Lei stesso, molto stimato amico, abbiano preso l'iniziativa per precisare di fronte al mondo intero ed in maniera inequivocabile la inesattezza delle notizie circa una connessione tra questa cosa e l'incontro di Stra.

L'epoca prevista da S.E. il signor Capo del Governo per la mia visita a Riccione, cioè alla fine di luglio, mi conviene perfettamente e mi rallegro in modo straordinario di incontrarmi di nuovo con S. E. Mi permetterò ancora di prendere accordi tempestivamente, attraverso il Suo cortese tramite, per precisare la data.

Mentre ancora La prego, molto stimato amico, di voler trasmettere a s. E. il Duce, insieme ai miei più caldi ringraziamenti per il Suo fermo linguaggio nell'incontro di Venezia, anche i miei più devoti e più cordiali saluti, resto, nell'attesa di poter vedere anche Lei, molto stimato amico, in un tempo non troppo lontano e forse a Riccione...

28 giugno 1934.

PS -Iersera si è manifestata di nuovo improvvisamente, specialmente nei Lander occidentali, un'attività terroristica molto forte dei nazionalsocialisti. Sono stati consumati nuovamente alcuni attentati anche contro linee ferroviarie, acquedotti e condutture elettriche.

(l) Cfr. n. 41!.

459

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2402/93 R. Belgrado, 29 giugno 1934, ore 16,25 (per. ore 18,30).

Miei telegrammi 90 e 91 d€1 27 corrente (l) e Stefani.

Stampa odierna reca smentita di Jeftic ad «alcuni punti» della sua dichiarazione. Chiesto a Puric quali fossero tali punti ho avuto questa risposta: «Non era nell'intenzione di Jeftic formulate un desiderio di contatti diretti come se fosse un pubblico invito suo a tali trattative.

Ma il resto è esatto. Poiché Jeftic è sempre disposto ed in qualunque momento ad esaminare con volontà di accordo i rapporti itala-jugoslavi. Lo ha detto anche a Barthou. Le nostre conversazioni erano d'altronde già assai bene avviate alla fine del 1933 se non fosse intervenuto l'affare Oreb ».

460

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2415/0148 R. Berlino, 29 giugno 1934 (per. il 30).

Ho chiesto ieri al barone von Neurath quali notizie avesse recato da Parigi il signor von Ribbentrop. Mi fu risposto che le sue conversazioni furono molto superficiali, ch'esse non fornirono al Governo del Reich alcun elemento che

permetta di ritenere possibile di riprendere in qualche modo le conversazioni interrotte circa il disarmo.

Barthou aveva pregato Ribbentrop di ritornare a Parigi dopo il suo ritorno colà dal viaggio a Bucarest e Belgrado. Era quindi probabile che Ribbentrop avrebbe presto fatto un'altra corsa in Francia.

Parlando poi meco in via confidenziale e personale il barone von Neurath mi lasciò intendere che egli considera assolutamente inutili questi viaggi di Ribbentrop, tanto che egli pensa se non sia il caso di porvi termine, almeno per qualche tempo, adducendo come motivo la mancanza di fondi.

Il barone von Neurath ritiene che l'unica base di una futura discussione del

problema degli armamenti sia il memorandum italiano. Quando anche la Fran

cia dividesse questo modo di vedere, la Germania sarebbe pronta a ulteriori con

versazioni.

(l) Cfr. nn. 451 e 452.

461

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 2700/1136. Mosca, 29 giugno 1934 (per. il 5 luglio).

Nella conversazione avuta ieri con Litvinov, questi mi ha informato, in maniera affatto personale e confidenziale, di alcuni apprezzamenti sull'azione italiana in Rumania fattigli da Titulescu e che ritengo opportuno riferire alla E. V.

Il signor Titulescu avrebbe dunque, parlando con Litvinov dei rapporti esteri della Rumania, lamentato le poco buone relazioni con l'Italia, adducendo a causa, fra l'altro, anche il sostegno e l'appoggio che l'Italia fornirebbe al movimento delle Guardie di ferro. Titulescu avrebbe osservato in proposito che, attualmente, ad eccezione del piccolo gruppo Averescu, nessun partito, in Rumania, sarebbe favorevole all'Italia. Avrebbe anzi ulteriormente affermato che persino ogni eventuale rafforzarsi del movimento della Guardia di ferro andrebbe a beneficio non dell'Italia, ma della Germania e di questa soltanto.

Richiesto da me se Titulescu avesse insinuato che gli appoggi alla Guardia di ferro da parte italiana fossero di indole materiale, Litvinov mi ha risposto negativamente.

Tanto per riservatissima informazione della E. V.

462

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2421/109 R. Mosca, 30 giugno 1934, ore 21,31 (per. ore 22,40).

Apprendo da fonte tedesca che Governo inglese proporrebbesi offrire Francia patto inteso a garantire sua sicurezza attraverso garanzia neutralità Belgio ed Olanda.

Detta garanzia sarebbe assicurata da Inghilterra, Francia e Germania. Idea attribuita Mac Donald verrebbe discussa occasione prossima visita Barthou a Londra (1).

463

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2430/196 R. Berlino, 30 giugno 1934, ore 22,25 (per. ore 6,35 del to luglio).

Trasmetto notizie supplementari datemi dal barone von Neurath (2).

Movimento rivoluzionario delle S. A. avrebbe dovuto scoppiare nella notte fra 30 giugno e l o luglio.

Tutti i ministri eccettuato Hitler avrebbero dovuto essere arrestati ed i ministeri passare alla diretta dipendenza delle S.A. che si sarebbero cosi impadronite di ogni attività del paese.

Si ha ragione di ritenere che provvedimento annunziato da due mesi fa secondo il quale tutti gli appartenenti alle S. A. avrebbero dovuto godere di una licenza di un mese a partire dal primo luglio fosse stato preso per eliminare ogni sospetto da parte del Governo germanico.

Hitler chiamò iersera telefonicamente Goebbels presso di sé in Baviera ordinandogli di raggiungerlo subito in aeroplano. Gli arresti delle persone costituenti suo Stato Maggiore sono stati numerosissimi e molti sono stati i casi di suicidio fra loro. Nei sotterranei del Comando delle S. A. sito a pochi passi dall'ambasciata, fu trovato un completo arsenale con fucili mitragliatrici e pistole.

Poiché movimento rivoluzionario avrebbe dovuto estendersi in tutto il paese si sono fatti arresti numerosi in molti dei centri principali sopra tutto in Baviera, Sassonia e Slesia.

Quando si volle procedere arresto di von Schleicher questi tirò fuori rivoltella, cosicché polizia dovette sparare su di lui uccidendo oltre a lui anche sua moglie che si è buttata avanti per proteggerlo.

Potenza estera con la quale von Schleicher avrebbe mantenuto relazioni è la Francia.

Von Neurath mi ha detto ritenere che esse siano state mantenute con Parigi, non potendo credere che ne fosse stata tramite questa ambasciata di Francia, almeno sino a che non vi sia evidenza dei fatti.

A von Papen fu consigliato rimanere tranquillo in casa.

Ministro degli affari esteri aggiunse essere una vera fortuna che si sia potuto sventare a tempo movimpnto rivoluzionario e mi lasciò comprendere che provvedimenti draconiani annunziati da Goering che intende agire con energia suprema comporteranno soppressione di molte altre persone compromesse.

t. -889/ca. del 3 luglio.

Apprendo che fra i suicidi vi è anche un segretario particolare di von Papen, certo Jung, che sarebbe poi colui che redasse il noto discorso e che sarebbe pure stato trovato morto con accanto a sé una rivoltella uno dei capi del movimento cattolico.

Nei circoli diplomatici destò pessima impressione il comunicato dell'ufficio stampa del partito ritenendosi superflua certa precisazione pornografica tanto più che era arcinota l'anomalia sessuale di Roehm.

(l) -Ritrasmesso a Washington, Londra, Berlino, Varsavia, Parigi, Madrid, Tokio, Bruxelles, Ankara, L'Aja, Bucarest, Belgrado, Praga, Atene, Helsinki, Ta!Unn, Stoccolma, Riga e Kaunas con (2) -Cerruti aveva dato una prima notizia del colpo di forza contro la S. A. con una telefonata Clolle ore 15,30.
464

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 875/107 R. Roma, 30 gtugno 1934, ore 24.

Pregola richiamare attenzione codesto presidente del consiglio su intollerabile situazione creata da attentati terroristici nazionalsocialisti in Austria. Tale attività terroristica anziché diminuire è entrata in una fase di maggiore intensità e gravità. D'altra parte non si può mettere in dubbio che l'organizzazione e le istruzioni provengano da parte germanica. E' chiaro che un tale modo di procedere -si tratti pure di semplice tolleranza da parte del Governo del Reich -può compromettere in modo irreparabile i buoni rapporti fra la Germania e l'Italia.

Potrà dire al presidente del consiglio che gli comunico ciò tanto per sua informazione quanto per la possibilità che egli parlando con rappresentanti del Reich faccia capire a quali conseguenze può portare la politica fatta nei riguardi dell'Austria, cioè a creare l'irreparabile fra l'Italia e la Germania (1).

465

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PO!?TA 3975/1166. Belgrado, 30 giugno 1934 (per. il 2 luglio).

Affermare che nei convegni Barthou Jeftic si sia parlato ed in modo concreto di un riavvicinamento italo-jugoslavo, sia considerato in se stesso sia nel quadro di un Patto Mediterraneo, lo si può anche senza avere alcuna speciale riservata informazione confidenziale. Del resto in ogni caso ciò traspare da qualche accenno della stampa francese relativamente anche al colloquio avuto da Re Alessandro con Barthou, come mi è stato ieri ammesso da Puric al quale avevo chiesto (mio telegramma n. 93) (2) quali fossero i «punti inesatti, della intervista di Jeftic pubblicata dalla Revue Economique et Financière.

È mia impressione, malgrado la smentita sibillina di Jeftic ed *il chiarimento datomi da Puric, che la risposta del Ministo degli Esteri jugoslavo al giornalista francese sia stata proprio quella che è stata pubblicata* (l) e che voglia costituire un vero e proprio pubblico invito a contatti diretti per un riavvicinamento con l'Italia. E ciò, verosimilmente, in rapporto a recenti consigli e raccomandazioni francesi. Solo si vuole potere affermare che tale invito non vi è stato, per il caso che esso non fosse da noi raccolto. Altrimenti la smentita sarebbe ben più precisa e definita.

Sul seguito da dare a tale scandaglio non sono in grado di emettere alcun avviso subordinato, né lo potrei davvero per la mancanza di troppi elementi al mio giudizio.

Ma non è forse del tutto inutile riassumere sinteticamente la posizione della politica jugoslava nei suoi elementi permanenti e nella sua applicazione pratica di questo ultimo assai interessante periodo.

Per dirla in linguaggio musicale, le dominanti jugoslave sono:

a) intangibilità del suo territorio, quindi non revisionismo. Per altro ammissione, sommessamente ripetuta, *di possibilità di riaggiustamenti di frontiere verso l'Ungheria però in altra atmosfera politica e sotto determinate condizioni generali *;

b) necessità di un lungo periodo di pace per ottenere la fusione delle differenti parti del Regno che se legate (salvo i due milioni di minoranze) da un generico sentimento slavo, presentano tuttavia difformità e disuguaglianze con conseguenti pericolosi urti e conflitti e periodiche crisi che solo la esistenza di un lungo periodo accentratore e creatore di tradizioni unitarie potrà sanare:

c) quindi sostanziale volontà di pace, non disgiunta peraltro da un freddo tenace prepararsi alla difesa, alla guerra, per la direttiva fondamentale a), così come per la direttiva b) persistere di un duro inflessibile regime interno senza ritorni morali e scrupoli di qualsiasi sorta.

Ne deriva che in politica estera:

l) la Jugoslavia si appoggerà sempre a quello Stato che, sia pure per proprio specifico interesse e per finalità proprie (né in politica può essere diverso), le assicuri la direttiva a) anche se la finalità c) prima parte, possa eventualmente essere compromessa;

2) e col progredire della sua situazione interna tenderà ad assumere [sic] sempre più, compatibilmente con la situazione internazionale, ad affermare una situazione di preminenza nei Balcani percorrendo gradualmente la marcia storica che porta alla unificazione di tutti gli slavi del sud, cioè, per adoperare una espressione ormai comune, la formazione della Jugoslavia integrale.

Queste caratteristiche si ritrovano in tutti gli avvenimenti politici nei quali la Jugoslavia ha partecipato e partecipa, e spiegano ogni volta ed in ogni contingenza l'attitudine di Belgrado.

Occorrerà, io credo, un vasto e profondo rivolgimento europeo prima che le dominanti fissate abbiano a mutarsi. Ma è proprio per ciò che la politica estera jugoslava è poi praticamente comandata dalla attitudine italiana.

A percorrere la lista degli avvenimenti dalla primavera 1933 ad oggi si trova la riprova costante della esistenza delle dominanti suindicate. Dal patto di definizione dell'aggressore (3 luglio 1933) ai primi approcci turco-jugoslavi che concludono col patto di non aggressione (27 novembre 1933), dal patto di organizzazione della Piccola Intesa (16 febbraio 1933) fino alla ultima conferenza di Bucarest 07-20 giugno), attraverso i vari incontri con Re Boris e le visite di Jevtic a Sofia (e ricordo il più importante discorso di Jevtic alla Scupcina per il riavvicinamento con la Bulgaria del 13 marzo 1934), nella firma del Patto Balcanico (4-9 febbraio 1934) e nella sua stentata ed imposta ratifica (16 giugno 1934), nelle visite di Jeftic a Parigi ed in quella di Barthou a Belgrado, il fondo è sempre uguale: evitare una diminuzione di territorio nazionale, sottrarsi a complicazioni generali, tentare una affermazione di politica indipendente, difendersi dal più forte vicino italiano le cui intenzioni appaiono volte alla distruzione e dislocazione jugoslava, accettare un accordo balcanico con Rumenia, Grecia, Turchia per non aggiungere alla ostilità italiana quella di altri vicini, ma nello stesso tempo non chiudere tutte le vie con la Bulgaria la quale dal suo punto di vista e nella sua nuova situazione accerchiata non ha come respiro e spiraglio che quello volto al suo confinante slavo, evitare per quanto possibile tutte quelle situazioni che prolungate e portate ad estreme conseguenze possano non soltanto condurre alla guerra (che se scoppiasse domani potrebbe trovare i sentimenti delle popolazioni jugoslave non concordi, con diminuzione della efficienza solidale dell'esercito) ma anche ad una situazione diplomatica che potesse imporre, (a condizioni interne attuali non ancora interamente solide) anche una lieve diminuzione territoriale che produrrebbe pericolosa inquietudine in tutto il Regno.

Quindi anche i rapporti con la Francia non sono stati finora scevri di qualche sostanziale reticenza ed effettiva riserva. Specie l'ultimo atteggiamento francese tendente a dividere l'Europa in blocchi ora avversi e domani combattentisi, non incontra totali consensi e non ispira davvero tranquilità. Le parole dei discorsi pubblici non debbono ingannare. Il vero è quello che affermo, non quello che la spesso ipocrita necessità diplomatica od il calore delle assemblee impongono in discorsi destinati al grande pubblico e che tengono anche conto di necessità interne. E ci vorrà ancora molto perché la Jugoslavia assuma un deciso atteggiamento antigermanico, entrando definitivamente e pericolosamente nella scia francese. Se, come dissi a suo tempo, negli attuali rapporti con Berlino non vi è alcun impegno o legame politico né vi potrebbe in alcun caso essere, sussiste anzitutto il fatto novissimo dei nuovi rapporti commerciali (accordo del l o maggio 1934) che per le circostanze che hanno accompagnato la loro conclusione marca una precisa volontà Jugoslava di non

36 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

porsi contro la Germania, se non costretta, se non a rimorchio delle altre Potenze. Come nel continuato rifiuto a non volere avere rapporti diretti con i Soviet occorre vedere oltre le ragioni sentimentali della riconoscenza verso il regime zarista, e la volontà di non trovarsi mai in conflitto contro il grande popolo slavo per la insoluta questione bessarabica, anche quello di non volere partecipare ad una sistemazione generale che avrebbe un chiaro colore antigermanico.

Così come della diversità di calore e di colore del soggiorno di Barthou a Bucarest e Belgrado (che anche l'interessato stesso ha sentito e tentato giustificare nelle dichiarazioni fatte a Parigi arrivando) bisogna cercare le ragioni nella ritrosia a lasciarsi senza matura riflessione trascinare in un cammino che potrebbe condurre a sacrifici per interessi non propri. Come anche fra le eccitanti e brutali dichiarazioni antiungheresi di Bucarest e le espressioni caute di Belgrado che parlano solo di rispetto dell'ordine delle cose stabilito dai trattati, si trova la spiegazione quando si consideri la diversa posizione dell'Ungheria verso la Rumenia e verso la Jugoslavia, malgrado che con quest'ultima sianvi stati i noti aspri recenti dibattiti alla S.d.N. E' chiaro che per la politica comune della Piccola Intesa il revisionismo bulgaro essendo stato, quanto meno temporaneamente, messo in tacere col Patto Balcanico, gli sforzi ora si concentrino contro il revisionismo ungherese. Ma non è nemmeno dubbio che, ed è cosa nota, veri e propri astiosi e durevoli sentimenti di irreducibile ostilità non esistono fra Ungheria e Jugoslavia.

Però tutto quanto il già detto non deve neppure far credere che sia per sempre impossibile alla Francia trarre interamente nella sua orbita per ogni e qualunque assurda e più grave eventualità la Jugoslavia. Se il recente soggiorno di Barthou ha sopratutto un significato di propaganda francofila, non deve trascurarsi che i rapporti generali di alleanza si sono indubbiamente riscaldati e valga a riprova che Re Alessandro che aveva rifiutato nel dicembre 1933 di recarsi a Parigi, ha ora accettato di andarvi nell'autunno prossimo (in forma privata od ufficiale?). E quale influenza decisivamente pericolosa esercita lo Stato Maggiore francese su questo?

Né debbo nemmeno mettere in disparte la voce finora impossibile a controllare (Puric me la ha smentita, ma non credo del tutto alla sua negativa) che nei colloqui Re Alessandro-Barthou, il Sovrano jugoslavo non avrebbe mostrato alcuna efficace obiezione ad un eventuale concludere con la Francia, in uno od altro modo, quel patto regionale che non si potesse perfezionare attraverso la S.d.N. (anche per le presumibili obiezioni inglesi). Si avrebbe così una vera e propria trasformazione in alleanza militare dei Patti di amicizia oggi esistenti con la Francia e Piccola Intesa e Patto Balcanico.

Sarebbe quindi imprudente escludere per un possibile domani un progresso ed una evoluzione più decisa dei rapporti franco-jugoslavi nei quali in primo luogo dobbiamo prendere in considerazione l'aspetto antitaliano.

E ne concludo che se è vero che l'attitudine dell'Italia comanda in definitiva quella jugoslava, è anche vero che ogni vantaggiO' nei rapporti italojugoslavi rallenta il progresso di quelli francesi, che ogni punto a favore dei rapporti italo-jugoslavi, diminuisce la possibilità di. uguale punto a favore della

Francia, che ogni sensibile sistemazione dei rapporti itala-jugoslavi diminuisce di altrettanto la efficacia del sistema francese.

Ed a partire da un certo momento il maggiore avvicinamento itala-jugoslavo a sfavore dell'esistente franco-jugoslavo è frutto soltanto di una faticosissima opera quotidiana, il cui cammino sarà pieno di disillusioni e di incertezze, anche cosparso di ricatti e pericoli, ma la somma dei cui benefici sarà sempre superiore a quella delle spese, nella economia della nostra politica generale.

Così rispetto alla Germania. Poiché mi permetto rammentare che l'Ungheria fu il perno del germanesimo del cessato impero Austro-Ungarico, che l'Austria fu Confederazione di Germania fino al 1866 (e per quello che ciò significasse per Trieste S. E. Suvich rammenterà certo la vecchia ma sempre maestra opera del Bonfiglio su Trieste e la Confederazione Germanica), che perciò un'evoluzione della loro attitudine presente verso l'Italia è sempre da tenersi nel calcolo delle possibilità.

Naturalmente assai facile mi è fare piani sulla carta, men facile prevederne tutte le conseguenze e reazioni, e quali disaccordi abbiano a nascere dall'accordo, e quale la loro pressione sulla realtà delle forze internazionali composte, e come si possano dominare le ripercussioni previste e quali e quante armi accorrano per superare le impreviste.

Ma in ogni caso se il momento sia venuto, o sia ritornato, di riprendere contatti con la Jugoslavia accogliendo quello che, secondo me e malgrado le parole di Puric, è un chiaro pubblico scandaglio di Jeftic, sarebbe per certo da parte mia avventatissimo affermare.

(l) -Per la risposta cfr. n. 470. (2) -Cfr. n. 459.

(l) Questo e !l successivo passo fra asterischi sono stati sottolineati da Mussolinl.

466

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 874/165 R. Roma, 1° luglio 1934, ore 2.

R. console generale Malta comunica ,quanto segue in data 27 corrente {l):

«Insistentemente corre voce confermata anche dagli articoli dei giornali stricklandiani, di nuove restrizioni lingua italiana nei tribunali e nella amministrazione; abolizione insegnamento di essa nelle scuole secondarie rendendolo facoltativo nelle università.

Giornale nazionalista Eco di Malta pubblica articolo vibrante contro questi eventuali provvedimenti facendo appello anche al clero perché si unisca partito nazionalista nelle proteste verso Governo inglese ,,

Prego V. E. far conoscere quanto consti codesta ambasciata circa notizie riferite e ogni modo richiamare attenzione codesto Governo su pubblicazione del Malta Chronicle del 14 giugno per le inevitabili gravi ripercussioni che provvedimenti del genere avrebbero sull'opinione pubblica italiana.

(l) Con t. 2377/33 R.

467

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. R. 881/114 R. Roma, 1° luglio 1934, ore 21.

Prego V.S. voler comunicare -in ogni caso per ora in via del tutto riservata -all'Ymam che Faud Hamza, sottosegretario saudiano per gli affari esteri, ci ha fatto conoscere la sua intenzione di partire per l'Italia verso la metà del prossimo luglio e di compiere una visita a Roma per prendere contatto col Governo italiano e per discutere questioni di comune interesse. V. S. vorrà aggiungere che Governo italiano desidera, dati i rapporti di antica amicizia con lo Yemen, che Governo yemenita sia informato di detta visita: anche perché -ove Governo yemenita lo desideri -gli sarebbe gradito poter confermare, con un'eventuale analoga visita a Roma di un personaggio del Governo yemenita, che la politica italiana in Arabia, pur ispirandosi al mantenimento di cordiali relazioni con ambedue gli Stati arabi, fra loro ora legati da rinnovati vincoli di amicizia, si conforma sempre alle stesse direttive che inspirarono conclusione del trattato italo-yemenita di Sanaa del 1926.

Prego telegrafare esito sua comunicazione all'Ymam (l).

468

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, E A TIRANA, KOCH

T. 883 R. Roma, 1° luglio 1934, ore 23.

Ministro Ducic è venuto stasera a dirmi aver ricevuto telegramma dal suo Governo che gli ordina informarci emozione che ha suscitato nei circol\ jugoslavi ed albanesi improvvisa comparsa senza preavviso di una squadra italiana nelle acque di Durazzo.

Mi ha chiesto se posso dirgli quale carattere abbia avuto tale visita.

Ho risposto che non ho nulla da dire in proposito per suo Governo perché visita squadra è un fatto passato tra noi e albanesi e gli altri non ci hanno a che vedere.

Ducic ha insistito sul fatto che visita si prolunga perché nella rada di Durazzo vi sarebbero ancora delle nostre navi. Ha aggiunto che si rende conto emozione prodotta perché visita in questa forma è fatto del tutto eccezionale.

Gli ho risposto che non capisco sua emozione perché la cosa è normalissima tant'è vero che con gli albanesi c'è stato scambio di visite usuale.

Ducic ha chiesto se poteva riferire questa mia dichiarazione al suo Governo come risposta alle richieste fatte. Gli ho risposto di no perché non posso riconoscere che suo Governo abbia nessuna ragione intervenire nella questione.

Così è finito il colloquio. Ho voluto informare subito V. S. dei suoi precisi termini per metterla in grado smentire eventualmente possibili travisamenti. (Solo per Belgrado) Aggiungo per sua opportuna informazione che ultime navi che erano rimaste a Durazzo sono partite ieri.

(l) Dubbiosi rispose con t. 2600/360 R. del 14 lugUo: «Comunicato suo telegramma 114 ad Imam. Egli si è riservato dare risposta circa invio Roma emissario yemenita ».

469

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

APPUNTO. Roma, 2 luglio 1934, ore 14.

Ho riferito in Segreteria di Stato al Cardinale quanto il Capo mi ha scritto sul suo colloquio con Hitler relativamente alla Chiesa -ed ho mostrata la lettera(l) al Cardinale.

Il Cardinale ha reagito affermando che Hitler negava il sole di mezzogiorno anche per quanto riguarda il libro di Rosenberg (vedere in proposito il rapporto del nostro Console Cuturi in Saarbruchen).

Debbo porgere i ringraziamenti vivissimi del Papa e del Cardinale per l'interessamento spiegato. Domandare se non debba dire o fare nulla in relazione colle nuove situazioni che vanno nascendo dall'urto di questi giorni. Il Capo del Governo mi ha narrato anche questa parte del suo colloquio con Hitler.

«Il Cancelliere Tedesco, mi ha detto, pareva che avesse preparato un disco su questo argomento e l'ha fatto girare per una diecina di minuti fino alla fine» Hitler ha affermato che la chiesa cattolica non sarebbe altro se non una delle tante mistificazioni ebree. Questo «ebreo» (Gesù Cristo) avrebbe trovato modo con la sua predicazione di mistificare anche l'umanità occidentale. «Meno male per voi, ha continuato Hitler, rivolto al Duce, che vi avete inserito un poco e più di poco paganesimo, ne avete fatto centro Roma e ve ne siete servito ai vostri fini ».

Secondo Hitler la Religione Cattolica per la Germania non serve a nulla. Egli ha riaffermata la sua condizione di cattolico ma... con simili ragionamenti.

Quanto al libro di Rosenberg il Capo del Governo ha soggiunto qualcosa che non aveva scritto nella sua lettera del 22 giugno e cioè che Hitler glie ne ha parlato con perfetta indifferenza e gli ha detto di non averlo neppure letto. In sostanza il contegno di Hitler rispetto alla Chiesa sarebbe stato di miscredenza in fondo atea ma non affatto di affermazione delle teorie naturistiche

o pagane del vecchio paganesimo del dio Votan che mostrano alcuni suoi luogotenenti.

Il Capo del Governo, a qualche mia abbiezione sul libro di Rosenberg che figura adottato nelle scuole come appare dai rapporti delle nostre autorità Con

solari ha risposto che è consigliato ma non adottato e cioè non è libro di testo aggiungendo che a sua conoscenza se ne sono già tirate 70.000 copie; ma che ciò non esclude che possa Hitler fare la dichiarazione che ha fatto senza formalmente mentire.

In conclusione il Capo del Governo mi ha dichiarato che, anche a prescindere dagli avvenimenti successivi in fondo favorevoli ad un accomodamento colla Chiesa, egli ha riportata la netta impressione che ad un tale accomodamento si potrà pervenire perché non soltanto Hitler non l'ha escluso; ma, forse più per quanto non ha detto che per quanto ha detto, ha mostrato di desiderarlo.

Tutto ciò, sono sicuro, ha detto il Capo avverrà, ma certamente avverrà per convenienza politica perché la convinzione religiosa è quella che ho detto. Hitler mi si è mostrato ben deciso ad evitare in ogni modo un nuovo Kulturkampf sotto qualsiasi aspetto.

Ho osservato al Capo che l'accomodamento si sarebbe fatto su basi di chiarezza ben altrimenti diverse che presso di noi, ciò sia a mo' di conclusione, sia con varie interruzioni al suo racconto in sereno ragionamento.

Il Capo si è mostrato perfettamente convinto di quanto sopra e della utilità non soltanto politica ma etica della nostra vita in armonia con la Chiesa Cattolica. Ed a questo modo ed in questo senso è stata la sua conclusione.

(l) Cfr. n. 430.

470

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2445/119 R. Budapest, 2 luglio 1934, ore 14,50 (per. ore 16,15).

Telegramma di V. E. n. 107 (1).

Ho intrattenuto questo presidente del consiglio nel senso prescrittomi.

Mi ha risposto che non solo concordava nell'apprezzamento che V. E. fa della situazione austriaca, ma era anzi già da tempo venuto manifestando nei suoi contatti con rappresentanti Reich e da ultimo con Goering e questo ministro Germania, avviso analogo a quello confermato dalla E. V. circa fatali conseguenze di una prosecuzione attività terroristica nazionalsocialista in Austria.

Si domandava ora -ha aggiunto -se e quale influenza avrebbero avuto su tale attività avvenimenti Germania e in particolare violenta epurazione intrapresa da Hitler.

Circa questi ultimi, sua prima impressione era che putsch, ordito per motivi ideali e forse sotto influenza Hohenzollern dalla destra conservatrice, fosse stato appoggiato per brama potere o denaro e forse sotto influenza Francia da Roehm e da suoi compagni; in ogni caso tutto era colà sotto sopra.

Atteggiamento questa opinione pubblica come pure stampa in proposito (Stefani n. 6653 di ieri) appare finora moderato: governativi esprimono fiducia Hitler, altri partiti riservansi giudizio.

(l) Cfr. n. 464.

471

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 884/135 R. Roma, 2 luglio 1934, ore 23.

Sembra che avvenimenti possano essere molto utilmente sfruttati costà per campagna contro terrorismo nazi e per rafforzare Governo. Essi si prestano particolarmente per ritorcere campagna fatta da stampa tedesca contro Dollfuss · quando in seguito repressione febbraio lo si accusava aver sparso sangue tedesco. Pregola richiamare attenzione cancelliere su opportunità che offre questo momento (1).

472

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2476/0150 R. Berlino, 2 luglio 1934 (per. il 7 ).

È venuto a vedermi l'ambasciatore di Francia, François-Poncet, ritornato stamane da Parigi.

Nel corso della conversazione relativa agli avvenimenti attuali della Germania, il discorso è caduto sulla menzione fatta nei comunicati ufficiali dell'ingerenza di una «potenza straniera» nei fatti stessi. Gli ho chiesto a chi credesse si fosse alluso ed egli mi ha risposto che l'allusione potrebbe rivolgersi indifferentemente all'Inghilterra, alla Francia, all'Italia, alla Cecoslovacchia, alla Polonia, ecc. a tutti quei paesi cioè che negli ultimi tempi si erano tenuti in rapporti diretti e cortesi con i principali esponenti della Germania.

Poi, evidentemente imbarazzato, mi ha, in un lungo discorso, raccontato che i suoi rapporti con Schleicher, dopo la caduta di quest'ultimo, si erano limitati ad un incontro casuale avvenuto il 1° aprile u.s. Quanto a Roehm egli si era sempre rifiutato di entrare con lui in effettivi rapporti, aveva rifiutato di accettare i suoi inviti mentre aveva consentito che li accettassero i suoi addetti militari e non lo aveva mai invitato nei locali dell'ambasciata. Lo aveva però incontrato e conosciuto in un pranzo in una legazione straniera, limitandosi ad una conversazione di mezz'ora con il capo di Stato Maggiore delle S. A.

Tali informazioni non mi risultano completamente esatte perché so in modo positivo che l'ambasciatore francese, in un Bierabend offerto due mesi fa dal capo del protocollo dell'Auswartiges Amt è rimasto a discorrere con Roehm per oltre un'ora e mezza destando la curiosità generale, e come egli abbia avuto varie occasioni di incontrare e di parlare con Schleicher, col quale si teneva in contatto.

Per opportuna notizia informo infine avermi François-Poncet detto che, data la situazione, preferiva far rimanere in Francia almeno un'altra settimana la propria famiglia, che avrebbe dovuto raggiungerlo subito per trascorrere l'estate in una villa da lui affittata nelle immediate vicinanze di Berlino.

(l) Per la risposta cfr. n. 481.

473

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2477/0151 R. Berlino, 3 luglio 1934 (per. il 7).

Non ho avuto l'impressione, dopo la conversazione avuta ieri con FrançoisPoncet, che egli sia assolutamente sicuro del fatto suo. A parte le inesattezze in cui incorse, circa le quali riferii col telegramma per corriere n. 0150 (l), François-Poncet ammise meco che nel corso di una conversazione avuta col generale von Schleicher questi gli aveva espresso il fermo convincimento che Hitler non sarebbe stato in grado di governare oltre l'autunno se non ricorrendo alla collaborazione di altri uomini politici non nazionalsocialisti. Accennò a Bruning ed allo stesso von Schleicher.

A titolo più che altro di curiosità informo poi V. E. che fra le altre voci che circolano in questi giorni a Berlino vi è quella secondo la quale Roehm non avrebbe approvato la politica estera del Reich ritenendo che essa provocherà senza alcun dubbio una guerra che riuscirà fatale alla Germania. Questa sarebbe stata una delle ragioni per le quali egli avrebbe pensato alla necessità di impadronirsi del potere per poi iniziare una politica di assoluta intesa con la Francia. Secondo tali voci Roehm, una volta che avesse avuto assoluta ingerenza sulla Reichswehr, non sarebbe stato alieno di ridurre ai minimi termini le

s. A. Questa sarebbe stata dunque la base d'intesa con la Francia.

474

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 3 luglio 1934.

L'Ambasciatore Chambrun è venuto a salutarmi partendo domani per Parigi.

Mi chiede se posso dargli qualche indicazione sul modo come noi vediamo la preparazione e lo svolgimento della visita di Barthou. Egli ritiene che questa visita possa avere o un carattere strettamente protocollare, o possa servire per liquidare alcune questioni pendenti da tempo fra i nostri due paesi, o possa costituire l'inizio di una più estesa e più intensa collaborazione.

Gli osservo che la visita potreb.be anche rispondere nello stesso tempo a tutte queste esigenze.

L'Ambasciatore è di opmwne che una maggiore intesa fra la Francia e l'Italia sia indispensabile anche in vista dei recenti avvenimenti tedeschi che non possono non impressionare profondamente e far pensare che la Germania non è un elemento di equilibrio e di pace per l'Europa.

Pur non contestando la gravità degli avvenimenti tedeschi tuttavia non ritengo che debbano influire a mutare le linee della nostra politica.

Ritornando alla visita di Barthou, l'Ambasciatore mi chiede quali sono le nostre idee nei riguardi della questione dei confini della Libia e dello Statuto degli Italiani di Tunisi, che il Capo del Governo ritiene debbano essere regolati in occasione della venuta di Barthou come punto di partenza per altri acèordi.

Mi riservo di dargli delle informazioni più precise al suo ritorno da Parigi avendo fatto mettere allo studio tali questioni appunto per poterne discutere insieme.

Per quanto riguarda i confini della Libia l'Ambasciatore è informato che le trattative si erano arrestate dinanzi a dei punti di vista molto divergenti: da parte nostra si era chiesto un accesso al Lago Tchad, ciò che la Francia è nella impossibilità assoluta di concedere, ma egli pensa che la nostra proposta era stata fatta solo come tattica di negoziazione.

Gli ripeto che riparleremo di ciò al suo ritorno.

L'Ambasciatore ha sentito da Theodoli degli accenni a più vaste concessioni territoriali, gli ha parlato di Somalia ed altro, ma non ritiene di intrattenere di ciò il Qual d'Orsay.

Gli rispondo che di tutto ciò si potrà parlare in seguito. Si potrebbe cominciare a sentire quali sono le idee di Parigi riguardo a detta visita.

Per quanto riflette l'epoca, l'Ambasciatore sa che per impegni del Capo del Governo sono esclusi i mesi di luglio ed agosto: pensa che la visita potrebbe aver luogo in settembre.

Gli faccio presente che ai primi di settembre cominciano il Consiglio e l'Assemblea della Società delle Nazioni che dureranno tutto il mese. Bisognerà quindi per il mese di settembre tener conto del fatto se Barthou più o meno vorrà essere presente a Ginevra.

L'Ambasciatore ritorna poi sulla questione del Patto orientale a cui il suo Governo pare tenga moltissimo. Ha chiesto notizie a Parigi ed ha avuto le seguenti precisazioni che mi comunica in via confidenziale.

Litvinoff si era rivolto alla Francia per un accordo diretto franco-russo; il Governo francese ha preferito evitare tale accordo diretto che avrebbe dato all'estero l'impressione di un ritorno alla alleanza franco-russa dell'ante-guerra e quindi la politica dei blocchi e tutto quello che ne segue, ed allora ha indirizzato Litvinoff verso il cosiddetto accordo orientale comprendendovi la Germania, la Polonia e la Cecoslovacchia come vicina della Germania. Per quanto riguarda la eventuale garanzia della Francia che deriva come conseguenza della primitiva proposta di Litvinoff, si tratta di un atto del tutto indipendente dal Patto Orientale. Non sarebbe poi neanche questo intervento per garanzia limitato alla Francia, ma sarebbe aperto a tutte le altre grandi Potenze. Il Governo francese ritiene con l'aver scelto questa forma del Patto Orientale anziché la diretta intesa franco-russa, di aver fatto un atto nell'interesse di tutta l'Europa e della pace, e perciò vedrebbe con molto piacere un atteggiamento favorevole da parte dell'Italia.

Gli rispondo che noi non abbiamo preso nessuna posizione precisa e definitiva nei riguardi di questo Patto che riteniamo non toccarci direttamente. Il giudizio che diamo del Patto non è favorevole e ciò per le ragioni già esposte nel precedente colloquio.

L'Ambasciatore mi domanda se può dire al suo Governo che noi non agiamo contro questo Patto.

Gli osservo che come gli ho detto noi non abbiamo preso posizione, tutt'al più quando siamo interpellati diciamo la nostra opinione. D'altra parte io credo che questo Patto non potrà essere realizzato perché non penso che la Germania e la Polonia vorranno aderirvi.

(l) Cfr. n. 472.

475

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL CAPO DELL'UFFICIO TRATTATI COMMERCIALI DEL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, PILJA

APPUNTO. Roma, 3 luglio 1934.

Il signor Pjlja è venuto a comunicarmi che parte stasera non avendo le conversazioni in corso potuto arrivare ad alcun risultato (1).

Gli ho chiesto quali sono le difficoltà.

Mi ha risposto che all'Austria si sono creati tali favori che la Jugoslavia non è assolutamente in grado di concorrere per l'esportazione del proprio legname. Tali difficoltà riguardano: le preferenze concesse con la riduzione di dazi e spese di trasporto, i contingenti e la discriminazione regionale del territorio italiano. Dovrebbe dire anzi che quest'ultimo punto rappresenta la difficoltà più grave: si vuole sviare il commercio jugoslavo dalle piazze tradizionali per avviarlo verso altre regioni con le quali non esistono relazioni commerciali, conoscenza di mercati, ecc. Risulta così che il mercato italiano che era il

«Il R. Ministro a Belgrado ha annunciato che 11 signor Pilja, noto negoziatore jugoslavo, arriverà a Roma lunedì prossimo per Iniziare le progettate trattative. Il signor Pilja viene col programma di ottenere per ora delle compensazioni unilaterali (evidentemente a carattere preferenziale) per il legname comune, e di procedere soltanto ad uno scambio di idee più o meno dettagliato per il negoziato ulteriore che dovrebbe avere luogo verso il mese di ottobre, onde Iniziare una vera e propria collaborazione economica italo-jugoslava, basata sui principi stabllltl dall'Italia nel memorandum danubiano del 29 settembre 1933 che recentemente hanno trovato la loro prima applicazione nel riguardi dell'Austria e dell'Ungheria... Considerato tuttavia che effettivamente l'aumento di dazio sul legname da noi imposto è venuto ad apportare un cambiamento nella situazione esistente nei riguardi dei rapporti commerciali con la Jugoslavia, quale essa era al momento delle trattative svoltesi a Roma nel gennaio scorso, allorché noi ottenemmo di potere maggiorare i dazi sul bestiame, potrebbe apparire opportunodi !Imitare ora le trattative al solo legname, facendo alla Jugoslavia una concessione limitata che lasciasse margine ad ulteriori facilitazioni da farsi quando avrà luogo la trattativa più ampiaalla quale si è più sopra accennato.

Al riguardo però sembra doversi stabilire che in nessun caso, e cioè né prima né dopodovremo, fare alla Jugoslavia in materia di legname concessioni assolutamente equivalenti a quelle accordate all'Austria e ciò sia per non svalutare le seconde, sia perché la Jugoslavia può trarre considerevole profitto anche da concessioni di minore importanza».

più interessante per la Jugoslavia oggi viene a perdere la sua importanza per

le due esportazioni principali jugoslave: il bestiame e il legname.

Chiedo al signor Pilja cosa prevede per il prossimo avvenire nei rapporti

itala-jugoslavi in seguito alla rottura -come la qualifica lui -delle attuali

negoziazioni.

Il signor Pilja mi risponde che vede la necessità da parte della Jugoslavia

di difendersi limitando le importazioni italiane di tessuti e di altri prodotti.

Non sono rappresaglie, è una legittima difesa. Egli pensa poi che la Jugoslavia

dovrà cercare su altri mercati lo sbocco dei propri prodotti visto che il mercato

italiano le si chiude consentendo naturalmente a questi Paesi delle adeguate

contropartite. Ciò vorrà dire per l'Italia la perdita del più importante mercato

danubiano-balcanico.

Egli dice tutto ciò con sincero rincrescimento perché è troppo nota la sua .antica convinzione che i nostri due Paesi" sono fatti per integrarsi vicendevol

mente nel campo economico, e se gli è lecito fare una digressione nel campo

politico, egli è persuaso di interpretare la convinzione dei 14 milioni di jugoslavi

nell'affermare che sarebbe vivo desiderio che i nostri due paesi marciassero as

sieme.

Come nuovi sbocchi egli vede per il bestiame la Germania e per il legname

la Francia (particolarmente le colonie dell'Africa del Nord), l'Inghilterra e

l'Egitto. Naturalmente per creare una esportazione verso questi Paesi bisognerà

ricorrere a dei mezzi artificiali; questi però, un po' alla volta diventeranno na

turali generando delle nuove correnti di traffico.

Osservo al signor Pilja che mi pare inutile andare ad iniziare tutto questo

lavoro con nuovi paesi per ottenere, in fine, quegli scambi bilanciati che più o

meno la Jugoslavia ha già oggi con l'Italia.

Mi risponde che l'equilibrio con l'Italia sta avviandosi verso livelli cosi bassi

che non rappresentano più un interesse né da una parte né dall'altra. Egli ve

drebbe molto volentieri il raggiungimento dell'equilibrio, ma su un volume di

scambi molto superiore. Il signor Pjlja infine mi prega di occuparmi della cosa

con lo stesso spirito con cui me ne sono occupato recentemente per cercare se

non sia ancora il caso di salvare la situazione nell'interesse dei due paesi.

Assicuro il signor Pjlja che lo farò osservando però che la sua partenza mi

pare un po' precipitata. Risponde che oramai sono tre settimane che durano le

trattative e che egli è persuaso che la delegazione italiana, ad onta della sua

buona volontà, non può muoversi dalla sua posizione attuale che è inaccettabile.

(l) Cfr. 1 seguenti brani di un appunto del 7 giugno dell'Ufficio III Affari Economici per Suvich:

476

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 3 luglio 1934.

Mi ha chiesto quanto vi fosse di vero nelle dichiarazioni fatte da Barthou alla «Agence financière et économique » di Parigi circa trattative in corso tra Italia, Francia e Jugoslavia per un accordo economico e quanto vi fosse di vero nelle voci di un viaggio di Barthou in Italia.

Gli ho detto: l) che trattative in corso a quello scopo non v'erano; 2) che era da ricordare che già altra volta l'Italia si era rifiutata di aderire ad un accordo del genere; 3) che dopo i recenti accordi di Roma il Capo del Governo aveva esplicitamente ammesso di esser disposto a trattare con altre potenze e che quindi non v'era alcuna ragione per credere che Italia e Jugoslavia in eventuali trattative future dovessero necessariamente ricorrere ad un intermediario.

Circa il viaggio in Italia gli ho fatto notare che tutte le volte che Barthou ne ha parlato, ha sempre messo innanzi la pregiudiziale che prima venga raggiunta una intesa di massima. Tale pregiudiziale per ora almeno è ancora da raggiungere.

477

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 3 luglio 1934.

Dopo un pranzo ho avuto occasione di intrattenermi a lungo con Chambrun che si reca per otto giorni a Parigi.

Mi ha chiesto se avevo nulla da aggiungere a quanto avevo detto a Ginevra a Barthou circa il suo progettato viaggio in Italia O). Gli ho detto che nulla era mutato da quel che V. E. aveva avuto occasione di dire allo stesso Chambrun sull'argomento. Ha domandato allora se prevedevo in che data la cosa avrebbe potuto effettuarsi. Anche qui mi son riferito a quanto V. E. aveva avuto occasione di dirgli e cioè che perché la visita riuscisse proficua, era necessario che fosse stata prima raggiunta una intesa sui noti punti. Questa pregiudiziale non faceva credere il viaggio possibile se non dopo la prossima riunione di settembre a Ginevra.

Passando a parlare dei punti da discutere -Libia, Tunisia, ecc. -Chambrun ha mostrato la sua sfiducia dicendo che anche se si raggiungesse un accordo, questo non potrebbe essere che « terne » di compromesso. Ogni accordo, gli ho replicato, è un compromesso, ma questo non toglie che possa regolare esaurientemente una controversia cosi come è necessario che esaurientemente e definitivamente debba essere risoluta -se Io sarà -questa che pende fra noi.

Con Io stesso pessimismo Chambrun mi ha parlato della situazione navale. Secondo lui l'impostazione delle nostre due navi di 35 mila tonnellate ha prodotto tale risentimento negli ambienti marinari francesi che il Governo di Parigi non potrà fare a meno di tenerne conto nella prossima conferenza navale, nella quale sarà costretto ad esigere che venga ristabilita la situazione da noi compromessa concedendo alla Francia la facoltà di impostare due navi analoghe in aggiunta ai due « Dunkerque ».

Ho avuto l'impressione che il risentimento più che degli ambienti marinar! francesi sia suo personale. Invano ho tentato di dimostrargli che la decisione di V. E. era conseguenza diretta del modo poco abile con cui or sono tre mesi la Francia aveva trattato la questione dell'accordo navale. Ha taciuto, dicendo che del resto aveva avuto ordini dal suo Governo di non occuparsi affatto della questione navale.

Ha finito chiedendomi la mia personale opinione sul recente viaggio di Barthou nei Balcani. Non gli ho nascosto che i discorsi tenuti a Bucarest, e ripetuti attenuati a Belgrado, non mi pareva fossero i più utili agli stessi fini della politica francese. Nessuno qui li aveva drammatizzati, ma più di uno li aveva riaccostati a quelli non meno esuberanti pronunziati recentemente a Ginevra, che avevano provocato l'immediata partenza di Simon.

(l) Cfr. n. 247.

478

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 3 luglio 1934.

Dalle informazioni fornite da Litvinov al R. Ambasciatore a Mosca (l) risulta ormai sufficientemente chiara l'impostazione della «Locarno Orientale».

I patti prospettati nella conversazione Litvinov'-Barthou sarebbero stati tre:

Il primo ed il terzo sarebbero stati rimandati a tempi migliori; il secondo è attualmente in discussione. Il patto orientale consisterebbe di tre parti:

2°) Patto di consultazione qualora uno degli Stati contraenti si sentisse minacciato.

3°) Patto di assistenza mutua destinato a fissare la misura dell'assistenza degli altri Stati contraenti quando uno di essi fosse attaccato da un altro stato contraente.

Con un patto accessorio la Francia darebbe all'U.R.S.S. la sua garanzia per la Locarno Orientale e l'U.R.S.S. darebbe la sua garanzia alla Francia per la Locarno occidentale.

Questo patto accessorio, distinto dalla Locarno Orientale non avrebbe, in nessun caso, come punto di partenza, la definizione sovietica dell'aggressore. II funzionamento di questo patto accessorio sarebbe retto esclusivamente dallo Statuto della S.D.N.

I termini della Locarno Orientale non sono attualmente bene precisati. Conversazioni a questo proposito sarebbero ancora in corso fra Parigi e Mosca allo scopo di rendere il Patto meno ostico all'Inghilterra ed all'Italia e quindi, di riflesso, alla Germania.

La proposta della Locarno orientale è stata accolta con favore in Cecoslovacchia, con molta riserva in Germania ed in Polonia, con qualche riserva nei Paesi Baltici.

Per quanto concerne l'iniziativa della Locarno Orientale da parte sovietica si afferma che l'iniziativa sia francese; da parte francese che sia sovietica. Sebbene sia non facile scegliere fra due affermazioni così categoricamente opposte, sembra possibile affermare che l'iniziativa sia piuttosto francese.

Per quanto concerne la genesi del patto, sempre attraverso il palleggiamento dell'iniziativa fra Parigi e Mosca, è possibile stabilire che, partiti da un patto di mutua assistenza fra Francia ed U.R.S.S., si è in un primo tempo pensato ad un patto di mutua assistenza comprendente Francia, U.R.S.S., Polonia, Piccola Intesa ed Intesa Balcanica per arrivare dietro insistenze dell'U.R.S.S., -l'affermazione di Litvinov sembra a questo riguardo verosimile all'esclusione dell'Intesa Balcanica e della Piccola Intesa -meno la Cecoslovacchia -ed all'inclusione della Germania.

E' infatti evidente che l'U.R.S.S. non ha né desiderio né interesse a legarsi con la Piccola Intesa e con l'Intesa Balcanica più di quanto lo sia già, soprattutto attraverso i suoi rapporti con la Turchia. Inoltre l'U.R.S.S. che per ragioni interne teme la guerra, ha tutto l'interesse a non rompere definitivamente con la Germania e quando anche entrasse in una combinazione di «accerchiamento » lo farebbe, a differenza della Francia, non solo come ultima ratio ma soprattutto nella speranza di servirsene come un mezzo di pressione psicologica per indurre la Germania a più miti consigli ed accordarsi poi con lei.

Per quanto concerne gli sviluppi possibili dell'azione diplomatica in corso, sono da p re vedersi tre ipotesi:

1°) Locarno orientale compresa la Germania.

2°) In caso di rifiuto della Germania, Locarno orientale senza la Germania ma con la Polonia.

3°) In caso di rifiuto anche polacco, patto bilaterale U.R.S.S.-Francia.

Risulta verosimile, soprattutto interpretando le dichiarazioni di Léger al

R. Ambasciatore a Parigi alla luce delle conversazioni Litvinov-Attolico, che da parte francese si preferirebbero le ipotesi 2 e 3 se non addirittura la terza. Non è escluso che, personalmente, Litvinov possa essere anche lui dello stesso parere, ma è obbligato a tener conto della politica generale del suo paese

e della non completa identità di vedute dei dirigenti la politica sovietica sull'argomento. Preferirebbe quindi probabilmente la prima ipotesi e, non è escluso, che animato come è dal desiderio di fare « qualche cosa:& egli sia disposto a cedere anche parecchio sulla forma e sulla sostanza del patto pur di arrivare ad una conclusione che gli permetterebbe di riprendere una posizione di equilibrio fra Parigi e Berlino. Non bisogna perdere di vista infatti, che, in ultima analisi, è stata la politica tedesca che ha spinto l'U.R.S.S. verso la Francia.

La politica italiana è contraria ai «blocchi:&. E' da chiedere però se una proposta di patto che comprende l'U.R.S.S., la Polonia, la Germania, e la Cecoslovacchia, possa considerarsi come un blocco nel vero senso della parola. II blocco si avrebbe qualora si volesse concludere il patto anche ad esclusione della Germania o, quanto meno, se la formulazione del patto stesso fosse tale da essere a priori inaccettabile per la Germania: il che oggi non solo non è il caso ma non sembrerebbe nemmeno essere nelle intenzioni dell'U.R.S.S.

Dal punto di vista dei nostri interessi, quanto ci può essere di meno favorevole è precisamente una alleanza franco-sovietica che finirebbe fatalmente per saldarsi alla Piccola Intesa ed alla Intesa Balcanica. Il modo migliore, se non l'unico, di evitare questa eventualità sarebbe appunto se non la conclusione della Locarno orientale fra gli Stati attualmente invitati, almeno che le trattative in proposito vengano tirate in lungo senza prese di posizioni brusche e definitive.

Noi potremmo, eventualmente, anche prendere una parte più attiva ai negoziati in corso, raccomandando alla Germania un atteggiamento più duttile sull'argomento e all'U.R.S.S. di evitare che, nella forma e nella sostanza del patto entrino dichiarazioni -ad esempio quella di garanzia reciproca delle frontiere -che si sanno già inaccettabili dalla Germania (si potrebbe a questo proposito citare il precedente della Bessarabia nei rapporti romeno-sovietici). Trasportare in una parola la discussione dalla questione di principio a quella, più elastica, della forma e dell'economia del patto.

Qualora, per ragioni di politica generale, V. E. non credesse opportuno di entrare in quest'ordine di idee, converrebbe almeno, allo stato attuale della questione, che un atteggiamento del genere venisse assunto dalla stampa italiana salvo a rivenire sulle attuali posizioni qualora, in differenti circostanze, si tornasse a combinazioni aventi effettivamente carattere di blocco.

La nostra opposizione alla Locarno Orientale conferma la Germania nel suo atteggiamento negativo e può per conseguenza facilitare la realizzazione di una alleanza franco-sovietica. Un nostro atteggiamento differente potrebbe invece rendere meno attuale questa eventualità e ci lascerebbe, in ogni modo, la possibilità di non restar fuori intieramente dalla Locarno orientale qualora essa comunque si realizzasse e, da parte nostra, per considerazioni di politica generale si ritenesse ciò opportuno.

Conviene anche tener presente che con la realizzazione di una Locarno orientale l'U.R.S.S., con ogni probabilità riterrebbe per qualche tempo soddisfatto il suo bisogno di sicurezza e si asterrebbe quindi dal tirar fuori altre combinazioni, del genere della Locarno Mediterranea che più direttamente ci riguardano. Non è escluso anzi che, in cambio di un nostro atteggiamento meno ostile alla Locarno orientale,· noi potremmo ottenere dall'U.R.S.S. delle assicurazioni per quanto concerne una sua eventuale presa di posizione per la Locarno Mediterranea.

Come V. E. ricorda la R. Ambasciata in Londra è stata incaricata di prendere contatto col Governo britannico per conoscerne il pensiero in proposito. Qualora V. E. condivida le considerazioni suesposte, converrebbe precisare il nostro punto di vista a Londra nell'interesse di eventuali contatti fra i due Governi.

l 0 ) un patto generale di assistenza mutua, di cui avrebbe dovuto far parte anche il Giappone; 2°) un patto orientale, di cui dovrebbero far parte U.R.S.S., Germania, Polonia, Cecoslovacchia e Paesi Baltici; 3°) un patto mediterraneo.

l 0 ) patto di non aggressione, il quale farebbe stato della definizione sovietica dell'aggressore soltanto se tutte le parti in causa fossero d'accordo. Va notato a questo riguardo che la definizione dell'aggressore è stata accettata con i protocolli di Londra da tutti gli Stati interessati ad eccezione della Germania.

(l) Cfr., oltre al n. 445 il R. 2689/1131 del 28 giugno, il t. 2399/108 R. e il R. 2702/1138, ambedue del 29 giugno, che non si pubblicano in quanto riassunti nel presente appunto.

479

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 2477/1089. Berlino, 3 luglio 1934.

È qui largamente diffusa l'impressione, manifestata ad ogni momento, che Hitler sia ritornato dall'Italia convinto della necessità di compiere qualche atto per riaffermare la propria posizione di Ftihrer e riprendere in mano la direzione totalitaria della Germania che aveva sinora affidata agli Unterftihrer, col risultato che si è visto.

Questa decisione di Hitler viene attribuita da taluno ai consigli diretti che egli avrebbe ricevuto da V. E. Le persone più ragionevoli, le quali dubitano che a Venezia si sia parlato di questioni interne dei singoli Stati, ritengono che Hitler si sia lasciato guidare dalla constatazione fatta di persona della diversa autorità di v. E. e che abbia creduto necessario trarne le conseguenze.

480

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 892/91 R. Roma, 4 luglio 1934, ore 11,30.

Prego domandare al ministro degli esteri se risponde al vero notizia da Tirana secondo la quale ministro jugoslavo a Tirana avrebbe dichiarato ufficialmente in nome del suo Governo che «Governo di Belgrado è pronto a richiedere con ogni mezzo rispetto indipendenza Albania » Cl).

481

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2465/220 R. Vienna, 4 luglio 1934, ore 19,15 (per. ore 22).

Telegramma di V. E. n. 135 (2).

(2} Cfr. n. 471.

Cancelliere austriaco mi ha detto aver creduto mantenere finora una certa riserva circa avvenimenti Germania, sopratutto allo scopo agevolare, nelle nuove circostanze, un eventuale ravvedimento da parte della Germania nei riguardi questione austriaca e terrore nazista in Austria.

Senonché, sia per il fatto che non si è prodotto finora alcun sintomo favorevole (ieri sera vi fu anzi un discorso anti-austriaco alla radio di Monaco B.) e sia pel fatto stesso della mia odierna segnalazione, egli cercherà subito sfruttare nel modo più opportuno predetti avvenimenti.

Cancelliere mi ha poi detto essere sua intenzione nominare a commissario per la propaganda (al luogo del signor Steidle) il colonnello Linz, finora nella redazione della Reichspost. Lo ritiene perfettamente indicato per la predetta carica, la quale dovrà d'ora innanzi riunire sia la propaganda per il fronte patriottico che quella generale per il paese.

(l) Per la risposta cfr. n. 485.

482

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2466/452 R. Londra, 4 Zuglio 1934, ore 20,57 (per. ore 1,35 del 5).

Foreign Office mi ha informato oggi di aver inviato a Drummond nuove istruzioni in merito ai lavori preparatori della conferenza navale del 1935.

Foreign Office sarebbe desideroso di conoscere verso quale epoca il nostro ministero della marina sarebbe disposto ad iniziare le conversazioni bilaterali che il Governo britannico ha proposto lo scorso maggio.

Esso mi ha informato che il Governo britannico prenderà occasione dal viaggio di Barthou per uno scambio di idee con i francesi; scambio di idee che sarà facilitato dalla presenza del ministro Pietri che accompagnerà Barthou a Londra.

Ove il nostro ministero della marina lo ritenesse conveniente, le conversazioni bilaterali potrebbero iniziarsi subito dopo la visita di Barthou. Foreign Office è ritornato sulla questione della costruzione delle nostre navi da battaglia. Esso considera tale questione come quella al momento di maggiore interesse.

Il tonnellaggio delle navi da battaglia è stato l'unico argomento discusso a fondo con Norman Davis, e, per quanto Norman Davis non abbia dato alcuna assicurazione sulla possibilità che gli Stati Uniti recedano dall'attitudine fino ad ora tenuta, Foreign Office ha impressione che essi siano disposti ad accettare una qualche diminuzione del tonnellaggio unitario.

Il Governo giapponese ha informato Foreign Office che esso è disposto ad iniziare conversazioni bilaterali solo in ottobre.

37 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

483

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, E AL MINISTRO A SOFIA, CORA

T. 895 R. Roma, 4 luglio 1934, ore 23,30.

Per sua opportuna e riservata notizia informola che l'ambasciatore russo ad Ankara ha confidenzialmente detto a Lojacono che locale ministro di Bulgaria, dopo averlo sondato circa disposizioni di Mosca ad una ripresa di rapporti, gli ha comunicato di avere ricevuto incarico ufficiale di trattare con lui le modalità per il ristabilimento delle relazioni.

Suriz gli ha risposto di essere pronto alle trattative facendogli presente che dovendo egli partire il 12 luglio si attende di condurre le cose rapidamente.

484

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T PER CORRIERE RR. 2517/0152 R. Berlino, 4 luglio 1934 (per. il 7).

Ho incaricato gli addetti militare e navale di sondare gli umori della Reichswehr e della marina.

Il tenente colonnello Mancinelli mi riferisce di avere, nonostante la comprensibile riserva, tratta l'impressione che negli ambienti militari si considera con favore la nuova situazione creatasi con la scomparsa di Roehm. Si ritiene che verrà finalmente eliminato l'attrito sinora insanabile fra esercito e S. A., assegnando a queste ultime compiti ben definiti, completamente estranei all'attività militare, di cui la direzione e la responsabilità rimarranno accentrate nelle mani del ministro della difesa. Si ritiene inoltre che le S.A. stesse saranno notevolmente ridotte di numero, così da non poter in nessun caso costituire un pericolo per il regime e che sopratutto saranno completamente ed effettivamente disarmate.

Certamente il ministro della difesa sfrutterà la situazione per ottenere dal Fiihrer le massime concessioni in questo senso.

L'uccisione del generale von Schleicher e della sua signora non sembra aver prodotto profonda impressione nel corpo degli ufficiali, essendo stato loro assicurato dal loro ministro che l'alto tradimento imputatogli è provato in modo irrefutabile. Ogni sentimento di solidarietà, ed ogni spirito di casta cedono di fronte a questa affermazione, che non viene posta in dubbio.

Non fu possibile accertare la natura dei rapporti intercorsi fra lo Schleicher e «la potenza straniera » accennata nei comunicati ufficiali di questi giorni, e neppure fu indicata la potenza stessa. È stato peraltro assicurato al R. addetto militare che la «nota oscura personalità » che secondo gli stessi comunicati avrebbe servito da intermediario fra il generale e la rappresentanza di tale nazione sarebbe un tale Regendanz, banchiere, che già ai tempi del cancellierato Schleicher contava fra i suoi uomini di fiducia. (Di questo Regendanz, che non ebbi occasione di conoscere e sinora nemmeno occasione di sentire il nome, il mio collega di Francia mi disse ch'egli fu molto in auge al tempo del cancellierato Bruning: uomo d'affari, agente di case bancarie estere, sopratutto olandesi, aveva una casa aperta, in cui riceveva uomini politici e diplomatici. FrançoisPoncet mi disse di averla frequentata, di avervi incontrato molti uomini politici fra cui Bruning, Treviranus, Schleicher ecc. Regendanz era riuscito ad entrare nelle simpatie di Roehm ed anche questi frequentava ora la sua casa).

Meno precisa è sembrata al ministero della Reichswehr la convinzione della reale esistenza del complotto rivoluzionario di Roehm. Si è però affermato che il tradimento evidentemente esisteva ed era provato dalle molte armi, conservate presso le unità delle S.A., contrariamente ai ripetuti e perentori ordini di versarle. Le armi erano state tenute appunto per la « 2a rivoluzione :a;, contro il regime. Forse il piano e il tempo di esecuzione del movimento non erano ancora ben definiti. Se ne era già parlato però fra Roehm ed i capi più fidati e se ne ha la prova nell'ammutinamento delle S.A. di Monaco, la sera del 29 giugno. Quest'azione non sarebbe infatti che uno «scoppio prematuro :a; della rivoluzione, non ordinato e non voluto dal comando superiore delle S.A., come del resto appare evidente dal contegno di Roehm e del suo comando, che nella stessa ora dormivano o gozzovigliavano tranquillamente senza alcun collegamento con gli insorti.

Il cancelliere, che aveva notizia generica di quanto veniva maturando presso il comando delle S.A., all'annuncio dell'ammutinamento di Monaco ha creduto di scorgere la prima scintilla della rivolta ed è intervenuto fulmineamente, con severità commisurata al pericolo da lui intraveduto.

Il procedimento sommario con cui sono state compiute le numerose esecuzioni dei giorni scorsi, non sembra aver sollevato eccessivo scrupolo nella coscienza dei militari con cui il tenente colonnello Mancinelli ha avuto occasione di parlare. Gli fu detto che il giudizio fu emesso da uno Standsgericht (corte marziale) improvvisato (eufemismo che nasconde la decisione del Ftihrer e dei suoi consiglieri immediati a Monaco, la decisione di Goering a Berlino). Ad una sua obiezione circa l'applicabilità della legge marziale in assenza di una formale dichiarazione di stato d'assedio fu risposto: «in uno Stato autoritario non è il caso di sollevare questioni di diritto: il Ftihrer ha agito per il bene del paese ed assume la piena responsabilità del suo operato :~>.

In complesso l'intervento personale del cancelliere e quel tanto di eroico di cui i comunicati hanno circondato la sua azione, hanno fatto molta impressione sull'animo dei militari.

Per quanto riguarda la marina il comandante de Courten constatò un senso di viva soddisfazione per l'epurazione compiuta da Hitler. La marina del Reich è un organismo molto chiuso che considera di avere obbiettivi propri al raggiungimento dei quali lavora con tenacia saggezza ed abilità procurando di superare ogni difficoltà ed ogni ostacolo. Essa non subi mai influenze politiche e procurò soltanto di trarre dai vari Governi succedutisi al potere tutto l'utile possibile per la ricostruzione della flotta tedesca.

Il tecnicismo della Marina non l'ha esposta, come la Reichswehr, al pericolo di essere insidiata dalle S. A. Ad ogni modo anche la marina non vedeva di buon occhio il pericolo che le ambizioni di queste ultime costituivano per la Reichswehr e l'ambiente moralmente sanissimo della gente di mare contrastava in modo assoluto con la dissolutezza del comando delle S. A.

Informazioni assunte da buona fonte gettano nuova luce sulla portata del complotto di Roehm.

Cinque o sei settimane or sono, prima cioè che Roehm lasciasse Berlino per andarsi a curare a Wiessee, il capo di Stato Maggiore delle S. A. avrebbe compiuto un viaggio di ispezione in Pomerania e Slesia, viaggio che avrebbe avuto lo scopo di predisporre ogni cosa in quelle regioni poco distanti dalla capitale perché di là partisse il movimento che avrebbe dovuto portare al potere le S.A. Sembra che, animato dall'adesione incontrata, Roehm avesse disposto che do,_a innanzi i reparti di S. A. non salutassero più con «Heil Hitler» ma con «Heil Roehm ». Deve pure essere notato che l'ordine del giorno di Roehm alle S. A. in data del 7 giugno, prima di partire per curarsi non terminava, contrariamente al solito, con le parole « Heil Hitler». Viceversa vi era contenuta la frase: «se i nemici delle S. A. (evidentemente la Reichswehr) si cullano nella speranza che le S.A., dopo le loro vacanze, non riprenderanno più il loro posto o lo riprenderanno soltanto in parte, lasceremo loro questa breve speranza. Essi riceveranno al tempo e nel modo che apparirà necessario, una opportuna risposta. Le S. A. sono e rimangono il destino della Germania». Tali fatti posti in rilievo da Goering e da Himmler al Fiihrer, avrebbero prodotto su di lui una grande impressione e lo avrebbero convinto che vi doveva essere realmente del marcio nello Stato Maggiore delle S. A.

Pare inoltre che qualche mese fa Roehm avesse durante un consiglio di ministri posto apertamente la richiesta di ottenere delle armi per le S.A. Il generale von Blomberg vi si era opposto in modo reciso ed era stato appoggiato dal cancelliere. Ciò non ostante Roehm avrebbe ordinato ugualmente delle armi da Skoda e le avrebbe fatte pervenire in Germania per via indiretta, attraverso la Finlandia e la Svezia.

Goering, informato dalla polizia politica dell'arrivo dei primi vagoni di armi via Svezia, li avrebbe fatti sequestrare e consegnare alla Reichswehr. Ciò non ostante le S.A. sarebbero riuscite a procurarsi armi, poiché secondo quanto mi disse il ministro degli affari esteri, ne furono trovate notevoli quantità nella sede del comando del gruppo Berlino-Brandenburgo.

Circa il complotto, se cioè fosse stato realmente deciso un assalto ai ministeri durante la notte sul 1° luglio, non sono riuscito sinora ad avere informazioni che mi permettano di confermarlo od escluderlo. Persona che lo apprese nelle immediate vicinanze di Goering mi riferì la notizia della scoperta di un piano completo con l'indicazione dei nomi delle persone che avrebbero dovuto occupare i posti politici in tutta la Germania. Senonché, secondo la stessa informazione, tutti i ministri e segretari di Stato avrebbero dovuto essere arrestati ad eccezione di due: Goering e Grauert, quest'ultimo segretario di Stato al ministero dell'Interno prussiano. A questi due si sarebbe chiesto se volessero unirsi al movimento rivoluzionario delle S.A., procedendo contro di loro soltanto in caso di rifiuto. Ora questa ultima circostanza mi sembra infirmare l'assoluta attendibilità dell'informazione perché Goering è certamente l'uomo che Roehm detestava maggiormente, sapendo perfettamente che il Presidente del Consiglio prussiano aveva più volte insistito presso Hitler per il suo allontanamento dalle cariche di Capo di Stato Maggiore delle S.A. e di Ministro del Reich senza portafoglio, a causa della sua anormalità sessuale. Si deve quindi ritenere che Goering non solo non avrebbe dovuto essere risparmiato ma che avrebbe dovuto essere fucilato per primo qualora il movimento delle S.A. avesse avuto luogo e fosse stato coronato di successo.

È invece certo che nelle ultime settimane il malcontento ed il senso di sfiducia andò estendendosi in tutta la Germania. Tali sentimenti degli elementi di destra ebbero una manifestazione clamorosa nel noto discorso di von Papen. Animati dall'atteggiamento assunto da questi, molti ex-ufficiali e membri dell'aristocrazia, monarchici, residenti a Potsdam -che rimane tuttora la cittadella del legittimismo -avrebbero cominciato a congiurare con tendenze di destra, in odio sopratutto a Goebbels contro cui si appuntano le ire di tutti gli elementi conservatori per il suo spirito demagogico. Un movimento consimile si sarebbe andato creando anche nel Wiirtemberg e nella Prussia orientale, dove vivono nelle loro proprietà numerosi membri della nobiltà prussiana, i Junkers, che godono del favore e della protezione speciale del Maresciallo von Hindenburg e soprattutto del figlio di lui, Colonnello ed Aiutante di Campo del Presidente del Reich. I cattolici tedeschi, sopratutto quelli della Renania e del Palatinato, malcontentissimi per l'atteggiamento anti-religioso del Governo nazionalsocialista in generale e di Goebbels in particolare, non avrebbero celato i loro sentimenti. Chi non faceva menomamente mistero del proprio profondo risentimento per l'atteggiamento antireligioso dei nazionalsocialisti era la consorte del vice cancelliere del Reich, che gli amici di Goebbels hanno soprannominato «die Papin ».

Questo stato di cose fu da Goebbels invano combattuto durante due mesi, colla «campagna contro i critici ed i malcontenti». L'insuccesso riportato lo indusse a dichiarare che occorreva lottare a spada tratta contro i «feine Herren », secondo la espressione da lui usata nel discorso polemico contro von Papen tenuto ad Essen il 24 giugno, dato che essi erano i maggiori avversari del nazionalsocialismo.

Goebbels disponeva bensì di argomenti importanti, ma non tali da indurre Hitler a rompere ogni indugio e procedere con metodi energici.

Furono invece Goering e Himmler, questo ultimo comandante delle SS. e capo della Polizia politica, che, pur essendo avversari di Goebbels, fornirono al Fiihrer le prove definitive in base alle quali egli decise di agire. Hitler non si limitò a prendere consigli da loro circa il metodo da seguire; chiamò invece presso di sé Goebbels ed è in sua compagnia che procedette alla epurazione radicale delle

S.A. a Monaco. Si afferma anzi, non so con quanta veridicità, che sarebbe stato Goebbels ad indurre Hitler di dare esempi tali da togliere ogni velleità futura ai nemici del regime. A Goering e Himmler fu però riservata l'epurazione di Berlino e della Germania con eccezione di Monaco, culla del movimento.

La domanda che tutti si fanno ora è quella di sapere se la seconda rivoluzione, iniziata il 30 giugno, finirà con il trionfo della tendenza destra o della sinistra, col prevalere di Goering o di Goebbels. Che fra questi due uomini politici non corre buon sangue è noto a tutti. Goering per la sua origine borghese e le sue tendenze aristocratiche, per il fatto di essere stato militare e di avere ottenuto in guerra dalle mani stesse dell'Imperatore la più alta onorificenza al valore, per avere provato il proprio attaccamento all'esercito col desiderio di essere nominato generale di fanteria, non è certo malvisto dalla Reichswehr nonostante il noto eccessivo suo esibizionismo. Egli si è cattivato nuove simpatie di quest'ultima col sequestro delle armi acquistate da Roehm per le S.A. e col fornire a Hitler le prove del tradimento che si stava ordendo a danno suo e della Reichswehr. Cosicché mi sembra che si possa ritenere certa l'ulteriore collaborazione fra l'Esercito e il presidente del consiglio di Prussia, tanto più importante in un momento come questo in cui la Reichswehr ha acquistato una posizione preminente essendo considerata, dallo stesso Hitler, come il più sicuro presidio del Reich e del Governo nazionalsocialista.

Un tale accordo non può riuscire gradito a Goebbels perché tende a far prevalere la tendenza destra del partito. Siccome Goebbels è però indubbiamente uomo di intelligenza acuta e di adattabilità non comune, procurerà di destreggiarsi in modo da non perdere l'autorità che possiede e soprattutto di conservare l'influenza sinora esercitata su Hitler. La lotta è ad ogni modo aperta e l'avvenire dirà chi sarà il vincitore di questo nuovo duello.

Il momento di fare il punto circa la situazione creatasi in Germania in seguito agli avvenimenti del 30 giugno non è ancora venuto. Sarebbe infatti prematuro dire ora se la posizione di Hitler si sia rinforzata o indebolita.

Per il momento si possono però fare le constatazioni seguenti: La Reichswehr ha vinto la battaglia che da mesi combatteva contro le S.A. per impedire che queste estendessero il loro potere fino ad assorbire la Reichswehr stessa.

Le S. A. saranno riorganizzate e ridotte sensibilmente di numero. E' ormai escluso che esse possano aspirare ad essere armate.

Pur permanendo il dubbio se vi sia stato vero e proprio complotto da parte di Roehm, è certo che vi fu grave atto di indisciplina da parte sua perché egli procedette ad armare le S.A. contro gli espliciti ordini di Hitler. La circostanza che le armi furono acquistate all'estero, che furono importate in Germania clan-. destinamnete e facendo loro compiere percorsi attraverso Stati diversi, prova che vi era da parte di Roehm l'intenzione di armare le S. A. di nascosto, ciò che giusti:fica quindi l'accusa di tradimento verso il Fiihrer.

L'opinione pubblica ha accolto con favore l'epurazione morale operata in seno al partito. Si astiene però dal manifestare il proprio giudizio circa il modo con cui si credette necessario procedere. Tale prudenza non è certo indizio di consenso illimitato, tanto più che varie delle esecuzioni capitali compiute sembrano essere state ispirate non tanto al criterio della difesa dello Stato e del partito, quanto a quello della vendetta politica.

485

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2481/98 R. Belgrado, 5 Zuglio 1934, ore 14,10 (per. ore 17,30)

Telegramma di V. E. n. 91 (1).

Ho veduto Jeftic stamane alle 10.

Gli ho testualmente tradotto domanda prescrittami da V. E.

Jeftic mi ha risposto: «Innegabilmente Albania è un punto nevralgico fra noi. Se essa costituisce vostra frontiera marittima adriatica è frontiera terre

stre per noi ed è penisola balcanica.

Perciò siamo sensibili a tutto quanto può accadervi.

L'arrivo della vostra flotta ha suscitato colà forte nervosità, inquietudine ed

allarme. Ma noi non abbiamo perduto la calma e non abbiamo fatto alcun passo ed intrapreso iniziativa qualsiasi. Soltanto «dopo» avere appreso la partenza della maggior parte delle vostre navi ho dato istruzioni a Ducich di chiedere in corso di conversazione e nel modo più amichevole a Suvich quale fosse il significato della visita. Al nostro ministro a Tirana ho dato soltanto istruzioni di seguire gli avvenimenti e riferirmene con diligenza e premura. Credo egli sia stato due volte al ministero degli affari esteri a Tirana, non più se bene ricordo. Non gli ho dato mai istruzioni di fare alcuna dichiarazione ufficiale anche perché nessuna domanda ufficiale gli è stata mai posta. E' possibile, ma ciò non risulta dai suoi telegrammi, che egli in corso conversazione abbia esposto il punto di vista jugoslavo sulla questione albanese, non più, ed il nostro punto di vista vi è noto ed è uguale al vostro: indipendenza del

l'Albania.

La quale indipendenza interessa non solo noi ma anche altri.

Non comprendo di dove possa esservi venuta l'informazione sulla quale ora mi chiedete chiarimenti che vi do con ogni schiettezza.

(Il presente telegramma continua col prossimo numero) (2).

O) Cfr. n. 480.

(2) Cfr. 486.

486

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2482/100 R. Belgrado, 5 luglio 1934, ore 16,25 (per. ore 19).

Il presente telegramma fa seguito al n. di protocollo 98 (1).

A questo ministro Albania che era venuto a chiedermi cosa sapessimo e che mi aveva anche detto che non gli risultava vi fossero ora negoziati fra il suo ed il nostro paese ho dato consigli di calma.

Così agli altri ministri esteri venuti per informazioni ho risposto che dovevo attendere prima di attribuire significato eccezionale alla visita e che non intendevamo prendere alcuna delle contro-misure militari delle quali era corsa voce, persino di mobilitazione (!). Non abbiamo mai pensato ad alcun movimento od anche semplicemente spostamento militare.

Non abbiamo denaro da buttare via.

Siamo stati lieti poi di apprendere che anche le ultime navi rimaste sono poi partite. «Così ogni apprensione è allontanata». Ho colto l'occasione per parlargli della campagna di stampa che continuava

su tale argomento attribuendo alla visita significati e scopi che essa non aveva. Ma intanto con tale campagna si induceva l'opinione pubblica a credere a pressioni politiche italiane che non esistono.

Dalla risposta di Suvich gli era noto che la visita aveva avuto carattere amichevole e dal comunicato ufficiale egli aveva appreso la spiegazione del mancato tempestivo avviso a Tirana di tale visita.

Jeftic ha poi continuato sull'argomento albanese affermando che forse vi era torto da parte della Jugoslavia nell'attribuire all'Albania tanta importanza, come vi era torto da noi e che tale questione avrebbe dovuto essere considerata sotto diversa luce ed aspetto ed in ben altro quadro (non è andato più oltre ma evidentemente voleva alludere ad un quadro di migliorate relazioni itala-jugoslave) (2).

<<I contatti che Re Zog ha cercato di prendere da qualche tempo -a mezzo dei suoi emissari -con i fuorusciti per persuaderli alla conciliazione col regime e, per alcuni di essi, anche al loro ritorno in Albania sembrano essersi fatti più attivi in questi ultimi tempi. Egli ha contato anche al riguardo sull'atteggiamento del Governo di Belgrado verso i fuorusciti che questi sussidia. È noto infatti che il vicino Governo, per fare cosa gradita a Re Zog, al momento in cui questi ha con evidenza mostrato di distaccarsi dall'influenza italiana e di avvicinarsi alla Jugoslavia, abbia cercato di accontentarlo nella politica del fuoruscitismo, che è quella per la quale il Re mostra certamente la maggiore sensibilità, e abbia anche sospeso, almeno in parte, i sussidi. l

II Governo di Belgrado conosce troppo bene però Ahmet Zogu e i suoi precedenti per

credere alla siRcerità dei suoi sentimenti e si serve dell'arma del fuoruscitismo per giocarla in

un senso o nell'altro a seconda delle ripercussioni che vuoi provocare nell'animo del Re.

In questi ultimi tempi, e precisamente a partire dalla data della visita della Squadra navale italiana, il Governo di Belgrado deve aver avuto la sensazione di un ripresa di contatto con l'Italia da parte di questo governo con l'intendimento di giungere ad una precisa e definitiva intesa con noti. Va mostrando perciò una speciale attività, con la quale sembra voler richiamare l'attenzione di questo Governo sulla sua linea di condotta politica tentando forse di comprometterlo e provocarlo».

(l) -Cfr. n. 485. (2) -Si pubblica qui un brano del telespr. 2855/1149 di Koch del 18 agosto sui rapporti fra Albania e Jugoslavia:
487

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

T. 2486/456 R. Londra, 5 luglio 1934, ore 21,20 (per. ore 2,20 del 6).

Ho chiesto ieri a Vansittart chiarimenti sul punto di vista del Governo britannico circa progetto di patto regionale di mutua assistenza del quale al telegramma di V. E. 872/C. (l).

Riassumo nei seguenti punti le dichiarazioni che mi sono state fatte:

1°) Governo britannico è stato sempre favorevole in via di principio agli accordi di mutua assistenza che possano servire effettivamente al mantenimento della pace.

:2°) Nel caso specifico Governo britannico deve osservare che l'accordo progettato non consiste in realtà di un semplice patto di mutua assistenza nel quale tutte le parti abbiano la stessa posizione di diritto e di fatto.

Il progetto che è a conoscenza del Governo britannico è più complesso.

Esso implica una garanzia da parte della Francia agli Stati dell'Europa orientale e una garanzia da parte dell'URSS alle frontiere della Francia.

Foreign Office trova perciò difficile considerare tale progetto come un vero e proprio patto regionale di mutua assistenza.

3°) Governo britannico non è disposto entrare a far parte di un tale patto.

E' ormai principio ben stabilito della politica estera britannica di non allargare le responsabilità internazionali dell'Inghilterra con l'assunzione di nuove garanzie.

In questo punto anche i delegati inglesi a Ginevra sono stati espliciti e non si vede come Benes abbia potuto trarrè una impressione soddisfacente.

Vansittart ha tenuto a rassicurarmi che Foreign Office non ha voluto esprimere alcuna opinione sul patto progettato ed egli non sa rendersi conto di quanto Léger ha detto al nostro ambasciatore a Parigi a meno che Léger non abbia inteso riferirsi a qualche dichiarazione generica di principio in favore dei patti di mutua assistenza che Simon può avere fatto.

Quanto all'atteggiamento della Germania, ritiene che esso sia nettamente negativo.

Le sue informazioni sull'argomento corrispondono a quelle che R. ambasciatore a Berlino ha inviato a V. E. in data del 5 giugno (2).

(l) -Cfr. n. 453, nota l, p. 480. (2) -T. per corriere 2143/0128 9., non pubblicato.
488

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

T. 2488/457 R. Londra, 5 luglio 1934, ore 21,20 (per. ore 2,20 del 6).

Vansittart che ho visto stamane mi ha messo al corrente del programma della visita di Barthou. Barthou giungerà a Londra domenica sera accompagnato da Pietri e da

Léger.

Egli ripartirà martedì mattina.

La sua· visita non durerà cosi in sostanza che un giorno solo.

Quai d'Orsay aveva proposto un programma dettagliato delle conversazioni e degli argomenti da trattare personalmente, ma Foreign Office ha ritenuto che non fosse il caso di adottare tale procedura. Quelle che avranno luogo saranno pertanto conversazioni generali, mentre, come ho già informato, ammiraglio si riserva di avere con Pietri, che resterà a Londra qualche giorno in più, uno scambio di idee sui problemi navali e sulla preparazione della conferenza del 1935.

Barthou pare abbia sopra tutto intenzione di spiegare al Governo britannico il progetto francese per il patto orientale. Col mio telegramma n. 537 (l) ho già riferito V. E. quale sia atteggiamento di questo Governo di fronte progetto. Come ho già telegrafato, ·partecipazione britannica è almeno per ora da escludersi.

Devo aggiungere che avendo esposto a Vansittart le osservazioni di V. E., comunicatemi con telegramma n. 156 (2), egli è rimasto impressionato circa le ripercussioni che potrebbero avere sulla posizione dell'Inghilterra e dell'Italia, quali garanti di Locarno, gli obblighi che la Francia assumesse realizzandosi iniziativa in questione.

(Il presente telegramma continua col n. suceessivo) (3).

489

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2490/458 R. Londra, 5 luglio 1934, ore 21,20 (per. ore 2,20 del 6).

È un aspetto del problema, Vansittart mi ha detto, che il Foreign Office non aveva ancora considerato e che per l'Inghilterra riveste particolare importanza dato che il Governo britannico, mentre non intende venire meno direttamente

-o indirettamente agli obblighi assunti, non può tuttavia ammettere che essi siano indirettamente allargati.

Vansittart mi ha anche smentito elle vi sia alcun fondamento alla notizia

trasmessa da Mosca (telegramma di codesto Ministero n. 889/C.) (l) circa ini

ziativa inglese per offrire alla Francia un patto che garantisca anche sicurezza

attraverso garanzia della neutralità belga e olandese.

Tale patto, egli mi ha detto, non avrebbe alcuna ragione di essere poiché lo

stesso trattato Locarno costituisce una implicita garanzia delle frontiere.

Che la conclusione di un tale patto sia poi possibile Governo britannico è

tanto meno verosimile pensando che finanche il mantenimento degli accordi di

Locarno incontra in Inghilterra delle difficoltà per l'ostilità che una parte del

l'opinione pubblica inglese continua a mostrare verso di essi; solo entro il quadro

di Locarno il Governo britannico può mantenere e sostenere gli obblighi di ga

ranzia che si è assunti.

(l) -Recte 456, n. 487. (2) -Numero particolare di protocollo per Londra del n. 432. (3) -Cfr. n. 489.
490

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2510/0122 R. Vienna, 5 luglio 1934 (per. il 7 ).

Cancelliere mi ha parlato lungamente delle possibili ripercussioni degli avve

nimenti di Germania sul nazismo austriaco, che, seppure scosso e perplesso, non

dà segno di soggiacere ad una effettiva crisi, né di voler procedere ad una

revisione di metodo.

Dollfuss ritiene che gli elementi di effettivi sentimenti nazisti continueranno a restare tali; e che del pari coloro che, per spirito d'opposizione all'attuale Governo, si sono orientati verso il nazionalsocialismo, non modificheranno di molto il loro atteggiamento frondista. Invece è d'avviso che gli avvenimenti di Germania spingeranno definitivamente al fronte patriottico tutti quegli elementi che finora, ad ogni mutamento sopravvenuto nella situazione interna, si sono alternativamente spostati da una parte all'altra, obbedendo esclusivamente ad un motivo d'opportunità.

Così egli era lieto di potermi partecipare che negli ultimi due giorni si era prodotta una netta divisione nel Landbund della Carinzia. In esso, mentre la frazione del noto signor Kenmayer ha riconfermato la sua adesione al nazismo, la rimanente parte (organizzazione dei contadini, partito dello Schumy, ecc.) si è pronunciata per il fronte patriottico, cui ha pure aderito l'organizzazione degli ex-combattenti contadini della regione stessa.

Dollfuss spera di poter provocare un'analoga scissione nella Stiria: ed all'uopo si accinge, come un primo passo, a sciogliere la Camera dei contadini, in guisa da facilitare la sperata divisione di forze.

La prudente previsione del cancelliere corrisponde alla Inia stessa impressione. Tuttavia a me sembra che Dollfuss non tenga adeguato conto della circostanza che l'attività propagandistica nazista sarà per riescire, con ogni proba

bilità, assai meno efficace che pel passato, e ciò specie se il Governo saprà controbatteria con i tanti argomenti che la nuova situazione gli offre.

Il cancelliere è stato altresì prudente nell'esaminare le possibili ripercussioni degli avvenimenti di Berlino e di Monaco sull'indirizzo di politica estera del Reich, particolarmnete nei riguardi dell'Austria. In proposito ha osservato che in oggi solo una previsione era lecita, e cioè che l'aumentato prestigio della Reichswehr -il cui potere egli ha detto apparire ormai assoluto e fondamentale -avrebbe certamente esercitato una ragguardevole influenza sulle direttive di politica estera del Governo. Ma anche a questo riguardo ha notato che occorre tener conto dell'incognita rappresentata dalle effettive tendenze politiche del generale Fritsch, non risultando in alcun modo che egli condivida quelle del ministro Blomberg, fautore della più sollecita liquidazione delle divergenze austro-tedesche.

(l) Cfr. n. 462, nota l, p. 488.

491

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

N. 2906. Roma, 5 luglio 1934.

Ho letto attentamente il rapporto del ministro Vinci, di cui copia era annessa alla lettera del 3 corrente n. 221675/419 (1).

Ripeterò le raccomandazioni ai Governatori della Somalia e dell'Eritrea, benché da parte di costoro proprio nulla siasi fatto, o si faccia da poter maggiormente turbare i nostri rapporti con l'Etiopia.

Il caso di Olol Dinle è stato risolto in completo accordo con codesto Ministero. Le pretese manifestate dal Blatingheta Herui sono davvero un pochino esagerate. Se noi avessimo ceduto, oltre a dare la sensazione di una calata di pantaloni, non avremmo più avuto né sicurezza, né pace ai nostri confini somali.

Fui io il primo ad essere scettico nei riflessi della politica periferica; se qualche cosa si è ancora fatto -ma certo in forma non ufficiale -questo non è avvenuto perché noi siamo andati a grattare: ma perché qualche capo abissino ha dato segni di volersi avvicinare a noi.

Come mia opinione personale, però, devo aggiungere che non credo poi tanto alla solida compagine dell'Impero etiopico; per giudicarne bisognerà vedere quando si manifestino per esso serie minacce. In ogni modo noi dobbiamo operare come se tale unione fosse granitica.

S. E. il Capo del Governo ha ora dato istruzioni precise circa la condotta da tenere ed esse saranno scrupolosamente eseguite. Ma non bisogna illudersi: gli abissini non ci crederanno mai. Non solo; ma sempre causati da loro sorgeranno incidenti che noi non potremo trascurare, se non con scapito della nostra dignità; e a questo non si deve mai giungere in Regime fascista.

Perciò il Ministro Vinci, secondo me, si illude. Qualunque potrà essere il nostro contegno la diffidenza etiope sarà sempre la stessa. Diranno: «fanno finta di dormire per trovar meglio il momento di saltarci addosso ».

Occorre anche tener conto dei lavori ed apprestamenti che noi stiamo facendo in Eritrea e sarebbe ingenuo il credere che essi possano passare inosservati. Sarà quindi necessario prepararsi anche a rispondere ad eventuali domande di spiegazioni che al riguardo ci fossero rivolte.

Siamo in casa nostra e perciò non deve essere difficile spiegare che le strade si migliorano per l'aumento di traffico e, soprattutto, per renderle praticabili anche durante la stagione delle piogge; che armi e materiali giungono in sostituzione di altri disusati ormai o in cattive condizioni. Non ci crederanno, ma la risposta non sarà irrazionale.

C'è la questione della delimitazione dei confini Somalia-Abissinia. In proposito ho già espresso il mio parere: basta dilazionare sine fine dicentes. È modo di agire questo simile al loro. Quindi è bene dire: «si, definiamo», poi tirare in lungo coi preparativi e il resto in modo da portarci -come già riferii all'autunno del 1935.

La stampa -La stampa sì, va tenuta a posto; rigorosamente, è troppo pettegola al riguardo. E non bisogna neppure permettere che si tengano conferenze le quali abbiano per oggetto l'Africa orientale.

Morfinizziamoci un poco noi, in proposito, sarà tanto di guadagnato (1).

(l) Comunicazione dei nn. 249, 250 e 425.

492

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEf?PR. 2650/1391. Vienna, 5 luglio 1934 (per. il 7).

Miei telegmmmi nn. 218 (2) e 220 (3).

La profonda impressione che gli avvenimenti germanici hanno destato in tutti questi circoli e nella massa stessa della popolazione è lungi dall'esser diminuita. E' opinione generalmente diffusa che essi non rappresentino la fine delle diHicoltà interne e di partito in Germania, bensì l'inizio di un nuovo non facile periodo del quale è, almeno per il momento, impossibile prevedere gli sviluppi. E' altresì avviso generale che, per quanto l'energia dimostrata da Hitler abbia potuto rafforzare la sua situazione personale, tuttavia il potere di attrazione e di espansione del nazismo non possa considerarsi, almeno per quanto riguarda l'Austria, notevolmente diminuito. Ciò, in quanto negli stessi ambienti filo-nazisti si è diffuso un senso, oltre che di sorpresa per il fatto che avesse potuto prodursi una così rapida e pericolosa scissione nelle forze e nei gruppi

«Sono proprio un poco scettico in materia; potremo tentare tutte le maniere, ma non riusciremo a convincerli. Secondo me il meglio -sensa provocazioni si intende -è di incutere loro un rispetto per noi che abbia qualche somiglianza con la paura.

Dalle varie informazioni ricevute hai già avuto campo di vedere come, se non proprio timore, una certa preoccupazione nei nostri riguardi essi l'abbiano.. Non so se Tu creda di far sapere fin d'ora riservatamente al Ministero degli Esteri e ad Addis Abeba che all'inizio del nuovo anno 1935 io avrò una speciale missione nell'Africa orientale, missione che avrebbe anche l'incarico di porgere un ramoscello d'ulivo».

nazisti germanici, di penosa impressione per la estensione impensata e la fredda crudezza della repressione.

A tal proposito è da aggiungere che, secondo notizie qui pervenute, le legioni austriache sarebbero, oltre che ritirate dal servizio di frontiera, in stato di rapida dissoluzione, sia perché i capi -Habicht in testa -appartenevano a quel gruppo estremista che al Rohm si ispirava, sia perché i militi simpatizzanti con le S. A. bavaresi, si erano compromessi proprio con quelle schiere che son state le prime ad esser disciolte. Sta di fatto che molti militi austriaci, non più pagati, han scritto alle famiglie di inviare loro denaro al più presto, invocando di esser tolti dalla assoluta miseria in cui sono caduti. Le Autorità austriache hanno, ben s'intende rafforzato la sorveglianza delle frontiere.

Incidentalmente v'ha però luogo a rilevare che gli attentati in Austria han subito da due giorni a questa parte una notevole diminuzione.

I giornali filo-governativi non hanno mancato di approfittare dell'occasione onde cercar di far fruttare al massimo la situazione di favore in cui il Governo è venuto a trovarsi, e far breccia nei sentimenti della popolazione, facendo leva sul disorientamento prodottosi nei circoli filogermanici e sul senso di riprovazione che la così severa repressione ha sollevato nella popolazione austriaca, estranea, per temperamento, a misure così immediate e decisive.

Così ad esempio, la ufficiale Wiener Zeitung comincia ad insinuare esservi forti dubbi sulla reale esistenza di un complntto preparato dal Rohm, ed a supporre che le repressioni ordinate dal Goering traessero il loro principale fondamento in motivi di astio personale: altri organi, invece, dubitano del contegno della Reichswehr, sulla quale solo, d'or innanzi, dovrà poggiarsi il regime: e tutti poi insistono nel dimostrare la illegalità delle repressioni, che la Reichspost definisce «un affronto alla civiltà, per quanto gli assassinati non fossero migliori del boia».

Tutta la stampa compiange in particolar modo l'uccisione del capo cattolico Klausner e si dilunga in supposizioni circa l'atteggiamento e la sorte di von Papen: ed intona il suo atteggiamento ad un senso del più vivo pessimismo, quasi a smentire oggi quanto veniva pubblicato ieri circa il rafforzamento della personale posizione del Fiihrer.

Le sole pangermaniste Wiener Neueste Nachrichten, spezzano qualche lancia in favore degli avvenimenti, prendendosela con François Poncet e col denaro straniero che avrebbe trovato elementi disposti a tradire la patria, i quali, per fortuna, hanno potuto oggi esser distrutti.

(l) De Bono comunicò questa nota a Mussolini in allegato ad una lettera dello stesso 5 luglio di cui si pubblicano i brani seguenti:

(l) -T. 2450/218 R. del 2 luglio, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 481.
493

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

T. 2502/113 R. Mosca, 6 luglio 1934, ore 15,10 (per. ore 17,15).

Telegramma di V. E. 5 corrente (1).

Vedrà V. E. se, nelle circostanze, non ci convenga comunque compiere presso Sofia. un passo collaterale, di affidamento, unicamente inteso a marcare (secondo le direttive date da S. E. il Capo del Governo col telegramma n. 850 R.) (l) le nostre precedenti disposizioni in materia.

Il nostro intervento potrebbe poi a suo tempo essere valorizzato con una opportuna azione di stampa.

(l) Cfr. n. 483.

494

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2504/289 R. Parigi, 6 luglio 1934, ore 19 (per. ore 21,30).

Barthou che aveva ricevuto ieri prima di me ambasciatore di Francia a Roma mi ha detto, in relazione a pubblicazione di stampa che potrebbe lasciare credere ad una chiamata improvvisa di quel diplomatico, che Chambrun aveva chiesto licenza straordinaria di qualche giorno per affari di famiglia.

Senza che io vi dessi occasione il ministro affari esteri mi ha detto che

verrà volentieri a Roma.

Egli è trattenuto in Francia fino dopo metà di luglio per la visita imminente del presidente del consiglio romeno e per una cerimonia commemorativa nei Pirenei.

Nella seconda metà di luglio V. E. sarà impegnata per la visita del cancelliere austriaco. L'agosto e il settembre non sembrano a Barthou propizi per un viaggio a Roma.

Il ministro propende per il mese di ottobre se Governo italiano vorrà invitarlo, così mi ha detto testualmente. Egli giudica tuttavia che non debba trattarsi di una semplice visita protocollare e che convenga preparare convenientemente il suo viaggio.

Ho ascoltato limitandomi a rivolgere al ministro qualche parola generica di cortesia anche perché nella fase attuale di preparazione è forse preferibile che la conversazione si svolga fra il ministro francese e il suo ambasciatore.

495

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. R. 899/122 R. Roma, 6 luglio 1934, ore 24.

Questo ministero ha portato la maggiore attenzione sul contenuto dei suoi telegrammi nn. 295 e 296 (2) con i quali la S. V. ha fatto una chiara disamina dello stato d'animo che si va creando nelle popolazioni yemenite e che lascia

prevedere l'eventualità dell'adozione di provvedimenti nel campo sia ammmistrativo ehe tecnico, tendenti ad un graduale progresso in senso modernista di cotesto Stato. Sia che tale trasformazione si operi ad iniziativa dell'Imam, sia suo malgrado, conviene prepararci da parte nostra a partecipare in primo piano al processo di cotesto paese.

A tale scopo V. S. prospetta necessità che persona inviata da questo ministero si dedichi all'osservazione di tale problema e lo indirizzi a soluzione nel modo più conforme ai nostri interessi.

Questo ministero, per quanto non abbia che a compiacersi del modo come

V. S. ha svolto sua azione costi, è disposto, entrando nell'ordine di idee patrocinato dalla S. V., a studiare come concretamente potrebbe venirsi incontro alla necessità fatta presente dalla S. V.

A tal fine questo ministero pensa che soluzione potrebbe essere costituita dallo stabilimento a Sanaa di una regolare rappresentanza italiana, ed insieme dall'invio costà, quale agente della S.A.N.E., di un tecnico di competenza non solo commerciale ma generica, che oltre a dirigere localmente l'azione commerciale della S.A.N.E. studi le iniziative di carattere tecnico che potrebbero giovare allo sviluppo di cotesto paese e cerchi, a mezzo della S.A.N.E. e altrimenti, di realizzarle nel campo pratico.

Circa lo stabilimento costà di una nostra rappresentanza, è ben noto a

V. S. che tale proposta è stata da noi a più riprese avanzata, ma che l'Imam ha sinora mostrato di non gradirla. Ove ella ritenga che le circostanze attuali siano più propizie, V. S. è senz'altro autorizzata a farne nuovamente cenno all'Imam, ed eventualmente a Ragheb bey, richiamando concetti da questi esposti (suo telegramma n. 333) (l).

Questo ministero nel contempo interessa la S.A.N.E. a provvedere per inviare costì quale suo agente un connazionale che sia in grado di far fronte alle necessità che la nuova situazione presenta; si fa riserva al riguardo di ulteriori comunicazioni.

(l) -Cfr. n. 434. (2) -Non pubblicati.
496

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA s. Roma, 6 luglio 1934.

Il R. Ambasciatore a Londra, con telegramma in data 4 luglio (2), ha fatto conoscere che il Governo Inglese desidera sapere se il Ministero della Marina è disposto ad iniziare le conversazioni bilaterali, relative alla Conferenza Navale del 1935, che il Governo Britannico ha proposto lo scorso maggio per il tramite della sua Ambasciata in Roma (3) ed alle quali il R. Governo, l'll giugno 1934 (4), ha aderito.

(-3) Cfr. n. 315.

Per quanto si riferisce alla preparazione tecnica, il Ministero della Marina

ha già ultimato la raccolta di tutti i dati che possono essere utili durante n corso

delle discussioni.

Il R. Ambasciatore, nel suo telegramma, propone che l'inizio delle conversazioni a Londra avvenga subito dopo la visita del Sig. Barthou, fissata per domenica 8 luglio p.v.

S. E. Grandi aggiunge che il Foreign Office è ritornato sulla questione della costruzione delle nostre navi da battaglia, giacché il Governo Inglese considera tale questione come quella di maggiore interesse del momento.

A tale riguardo devesi mettere in vista che si palesa sempre più evidente la volontà del Governo Inglese di includere nelle conversazioni bilaterali, che devono preparare una nuova conferenza navale da tenersi nel 1935, la questione delle nostre navi da battaglia.

Giova reiterare che questa questione non ha nessun legame con la Conferenza del 1935 perché ha solo attinenza con l'applicazione di precedenti trattati in pieno vigore e dai quali tutte le Potenze firmatarie hanno già, ciascuna per proprio conto, dedotto i benefici che potevano da essi a loro derivare.

Ciò non di meno, sta di fatto che:

a) con la comunicazione dell'Agenzia Havas del 14 giugno;

b) con le dichiarazioni fatte dal Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Inglese al nostro Addetto Navale il 5 giugno (l);

c) con il recente passo del Foreign Office presso il nostro Ambasciatore a Londra, inteso a conoscere l'epoca da noi prescelta per l'inizio delle conversazioni; il Governo Inglese intende associare le discussioni attorno al tonnellaggio unitario delle navi da battaglia alla decisione da noi presa di costruire due corazzate da 35.000 tonnellate.

Di fronte a tale situazione, esprimo parere che a noi convenga di lasciar passare qualche tempo prima di recarci nella capitale inglese. Quanto sopra per i seguenti motivi:

1°) Il desiderio del Foreign Office di iniziare le conversazioni con l'Italia, subito dopo quelle scambiate con la Francia, si spiega con la speranza, già espressa dall'Ammiragliato, che l'Italia attenda i risultati delle conversazioni preliminari prima di decidere definitivamente il dislocamento delle sue nuove navi da battaglia.

La speranza dell'Ammiragliato dovrà essere delusa perché altra linea di condotta sarebbe contraria ai nostri interessi;

2°) Conviene a noi che la costruzione avanzi senza esitazione. L'Italia, nel decidere la costruzione delle due navi da 35.000 tonnellate, non solo ha impiegato un suo preciso diritto scaturente dai trattati in vigore, ma ha

38 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

deciso di farlo quando la Francia aveva già in avanzata costruzione una nave tipo «Dunkerque) e ne aveva decretata la costruzione di una seconda, dopo aver fatto, per la sua intransigente mentalità, fallire le trattative da lungo tempo trascinatesi fra i rappresentanti dei due Paesi.

Giova ricordare che nel dicembre del 1933 la Francia è giunta a presentare l'incredibile proposta, per l'Italia, di costruire dal 1933 al 1936 una nave tipo «Dunkerque ), mentre essa avrebbe contemporaneamente costruito la seconda unità di tale tipo. In definitiva, la Francia avrebbe posseduto due unità da 26.500 e l'Italia una sola, cioè la proporzione 2 a l, mentre che il Trattato di Washington ci ha assegnato l'assoluta parità.

La mossa italiana, sopraggiunta dopo un periodo di temporeggiamento per la Francia e di paziente attesa per l'Italia, che ha dimostrato anche in questa occasione la maggiore buona volontà sia per un accordo che per raggiungere una effettiva riduzione degli armamenti, è stata fatta al momento opportuno per ricordare alla vicina Repubblica che aveva fatto male i calcoli speculando sulla nostra situazione finanziaria.

L'Italia dal 1912 non ha impostato nessuna grande nave e sarebbe inconcepibile che le si chiedesse di rinunciare all'applicazione di un suo diritto riconosciutole da ben due trattati (Washington 1922-Londra 1930).

Farci recedere dalla decisione presa può essere concepito soltanto da chi non si rende, o non si vuol render conto della nostra difficilissima situazione nel Mediterraneo. E questa non può essere sconosciuta all'Inghilterra.

3°) Le stipulazioni del Trattato di Washington sono valide fino al 31 dicembre 1936.

L'Italia ha già fatto conoscere al R. Ambasciatore a Londra (l) che per le costruzioni dell'avvenire, è pronta ad accettare riduzioni anche drastiche del dislocamento e dell'armamento delle navi di linea, o l'abbandono totale della loro costruzione, come fu proposto dall'Italia alla Conferenza di Londra del 1930 ed alla Conferenza Generale del Disarmo.

Tutto questo a partire dal 1° gennaio 1937. Quindi, su questo punto capitale, l'Inghilterra ha già avuto tutte le possibili assicurazioni.

L'impostazione delle due navi da battaglia da 35.000 tonnellate serve a sanare ed a rettificare una situazione che con la presenza dei tipi «Nelson » e «Rodney » nella Marina inglese, dei «Deutschland » nella Marina tedesca e dei «Dunkerque » nella Marina francese si risolveva a nostro deciso e completo svantaggio.

4°) La presenza sullo scalo delle due unità da 35.000 conferirà alla Delegazione che dovrà difendere gli interessi del Paese l'elemento principale di forza nelle trattazioni.

Se nel mese di ottobre avrà luogo come si ritiene, la visita a Roma del Ministro degli Esteri della Repubblica Francese, sembra esservi tutta la convenienza a che il Signor Barthou giunga a Roma mentre la costruzione delle nostre navi procede indisturbata.

Tale rilievo di indubbio valore, aggiunto alle precedenti osservazioni, induce a proporre che le conversazioni bilaterali anglo-italiane si svolgano alla stessa epoca di quelle anglo-giapponesi, e cioè nel mese di ottobre 1934.

D'altra parte, nessuna informazione è giunta al R. Governo su quanto è avvenuto a Londra, all'infuori di quella contenuta nel telegramma di S. E. Grandi del 4 luglio nel quale è detto che l'unico argomento discusso a fondo con Norman Davis è stato quello del tonnellaggio delle navi da battaglia.

L'attitudine degli Stati Uniti a questo riguardo è ben nota e devesi attribuire ad una manovra tattica l'asserzione che la nostra attitudine possa avere dei riflessi decisivi su quella americana.

Tale procedura, che appare la più conveniente per noi, potrebbe far supporre al Governo Inglese che l'Italia ricorre all'artificio del rinvio delle conversazioni bilaterali preferendo, ad una aperta ed immediata discussione, presentarsi col fatto compiuto.

Considerato che questa falsa interpretazione non si può completamente escludere da parte degli Inglesi e che anzi potrebbe generare in essi disposizioni contrarie agli interessi del nostro Paese, si prospetta all'E. V. se non fosse conveniente di esporre, in termini chiari ed irrefutabili, gli argomenti che hanno condotto il R. Governo a decidere l'impostazione delle navi da 35.000 tonnellate.

La questione di ritornare indietro deve rimanere fuori discussione.

Nel 1935 si presenteranno due alternative:

l) o si addiverrà ad una convenzione ed allora il fatto di avere in costruzione due 35.000 ci porrà, relativamente alle altre Potenze, in una posizione di privilegio, giacché, se verrà assegnato un tonnellaggio per le grandi navi, questo sarà uguale per l'Italia e per la Francia; quest'ultima dovrà includervi come aliquota il tonnellaggio dei due «Dunkerque », navi già svalorizzate dalla decisione presa dall'Italia; noi, invece, potremo utilizzare il tonnellaggio rimanente come maggiormente ci conviene in relazione alle· decisioni della Conferenza;

2) oppure non si riuscirà a firmare una convenzione ed allora ciascuno godrà della propria libertà e l'Italia si troverà ad avere, abbastanza avanti nella loro costruzione, due unità che, nel presente momento, rispondono alle più severe esigenze della tecnica navale.

Il Ministro Inglese Eden, in un discorso pronunciato ieri a Londra, ha detto che «nessuna nazione al mondo considera con sospetto gli armamenti della Gran Bretagna e che anzi si desidera che l'Inghilterra sia pienamente in grado di mantenere con la debita forza gli impegni che ha assunti. Si tratta di responsabilità cui nessun Governo può venir meno».

Quanto il Signor Eden ha detto nel suo cijscorso si può integralmente applicare anche all'Italia e ciò può, con tutta franchezza, essere ripetuto alla capitale inglese.

(l) -Cfr. n. 449. (2) -Cfr. n. 482. (4) -Cfr. n. 379.

(l) Cfr. n. 402.

(l) Cfr. n. 415.

497

APPUNTO DEL CAPO DELL'UFFICIO ALBANIA, FARALLI

Roma, 6 luglio 1934.

Ha avuto oggi luogo presso di me una riunione per esaminare la situazione creatasi in Albania in seguito al recente accentuarsi della politica antitaliana di Re Zog, alla visita di una nostra squadra a Durazzo ed alla deliberazione del Consiglio dei Ministri albanese con la quale si esprime il desiderio di intavolare conversazioni per la soluzione di tutte le questioni in sospeso tra i due Paesi.

Si è ritenuto che non convenga lasciar cadere l'invito fattoci pur senza farci illusioni sulla spontaneità del desiderio manifestato durante la permanenza della nostra Squadra, dato l'evidente scopo di attenerne la partenza.

E' sembrato infatti opportuno non lasciar disperdere l'impressione di un gesto che ha prodotto si una profonda irritazione in Re Zog e nei suoi consiglieri, ma ha fatto comprendere ad essi che noi non possiamo disinteressarci oltre un certo limite al mantenimento in Albania delle nostre principali posizioni e del nostro prestigio e che nessuna delle Potenze che sinora lo hanno nell'ombra incoraggiato nella sua attitudine ostile all'Italia è disposta a sostenerlo apertamente contro di noi.

Si è convenuto inoltre che pur accogliendo l'invito non si debba mostrare eccessiva premura e lasciare che vengano fatte da parte albanese proposte concrete circa le modalità e l'oggetto di eventuali trattative.

Si è riaffermata la necessità che la conclusione di eventuali accordi debba essere subordinata ad una soddisfacente soluzione della questione delle Scuole confessionali specificando che da parte nostra sarebbe ben vista una soluzione che salvi per quanto possibile il prestigio di Re Zog. In particolar modo potremmo anche accontentarci con qualche ritocco della soluzione che lo stesso Re avrebbe a mezzo di suoi emissari proposto a fiduciari del clero albanese or sono alcuni mesi e cioè dell'ammissione di studenti laici ai seminari e del riconoscimento della validità dei diplomi rilasciati da tali istituti.

Come è noto tale ripiego ha incontrato la disapprovazione della Santa Sede mossa probabilmente dal timore di vedere l'ingerenza statale estendersi ai seminari e dalla speranza di ottenere un completo successo grazie alle pressioni finanziarLe da noi esercitate sul Governo albanese.

Si è perciò ritenuto opportuno chiarir meglio alla Santa Sede i pericoli di un eccessivo irrigidimento nella questione scolastica dato il carattere di Re Zog e le influenze che oggi vengono su di lui esercitate (l).

-mantenere e possibilmente migliorare le posizioni esistenti, non solo avuto riguardo al rapporti tra Italia e Albania, ma anche ai rapporti italo-albanesi come elemento di politicagenerale; ,

-assicurare per un certo periodo una relativa tranquillità nelle relazioni tra 1 due Governi.

È evidente che non conviene da parte nostra fare offerte, ma attendere le richieste albanesi, e che se -come sarà inevitabile -si dovrà riprendere la concessione di aiuti

finanziari, tali aiuti non dovranno avere carattere continuativo, ma dovranno essere negoziati

(l) Cfr. il seguente brano di una relazione di Buti per Suvlch del 5 luglio sulla politicaitallana in Albania: «Le trattative da intraprendere con Re Zog, in risposta all'invito rivoltoci, potrebbero prendere per punto di partenza la situazione che si è venuta a creare in seguito ai provvedimenti presi dalle due Parti, e mirare a

498

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELE:;IPR. 2730/1445. Vienna, 6 luglio 1934 (per. l'11).

Il Ministro Stockinger mi ha esposto oggi lungamente le sue vedute circa le eventuali ripercussioni degli avvenimenti tedeschi sul nazismo austriaco.

Pur ritenendo che i nazisti più accesi ed i più tenaci oppositori di Dollfuss resteranno, nonostante tutto, nel loro ostilissimo atteggiamento, egli è tuttavia d'avviso che il movimento nazista austriaco sia da considerarsi in effettiva diminuzione, e che questa tendenza non potrà mai rafforzarsi in seguito al disorientamento prodotto nelle masse naziste dai fatti di Berlino e di Monaco.

Stockinger ha inoltre rilevato che negli ambienti intellettuali austriaci -fra cui il nazismo conta i maggiori adepti -l'atteggiamento di Hitler ha prodotto penosa impressione, e ciò specie pel fatto che egli ha dichiarato di essere da lungo tempo a conoscenza dell'immoralità di Rohm e compagni, pur decidendosi a colpirli sol quando essi si sono messi contro di lui; ed ha proclamato di voler estirpare il «bubbone » che insidia all'onore dell'intero popolo tedesco, mentre prima aveva mostrato in proposito la più ampia tolleranza.

Egli ha poi elogiato la politica conciliante seguita da Dollfuss, osservando che gli avvenimenti hanno finito col dar ragione al Cancelliere austriaco, giacché gli stessi nazisti austriaci non possono non riconoscere la sua grande clemenza, in confronto degli spietati sistemi di Hitler: sistemi che preoccupano sommamente i nazisti austriaci, stante che molti loro compagni emigrati in Germania, e simpatizzanti per Schleicher e Rohm, si trovano in pericolo. Stockinger ha rilevato che Dollfuss ha invece sempre evitato di « creare dei martiri», sicché egli potrà adesso -stante le numerose esecuzioni avvenute in Germania -applicare la pena di morte senza il pericolo di dare ai condannati l'aureola del martirio.

Circa la campagna terroristica, Stockinger ha detto che essa altro non è che una speculazione sui nervi e sulla forza di resistenza del Governo e del paese; e che egli è sicuro che tale speculazione, come non è riuscita finora, cosi fallirà anche in avvenire.

di volta ln volta ed avere breve durata. (Che a tali aiuti finanziar! -ove si voglia che cessi la tensione esistente -s! debba -a suo tempo e !n modo opportuno -far luogo, pare !ndispensab!le quando si pensi che !l Governo albanese, data la sospensione del prestito 1931 e data la crisi generale e le misure doganali adottate dali"Italla, ha visto ridursi in breve giro di tempo le proprie entrate complessivamente da 30 a 18 milioni di franchi oro e che tutto !l Paese si trova in una seria situazione economica).

Sarà pure da evitare di parlare di unione doganale.

È vero che oltre ad aiuti finanziari, saranno necessari aiuti economici all'Albania, ma i nostri fini potranno essere meglio conseguiti, ispirandoci «mutatis mutandis » ai criteri cui, per esempio, si ispirano gli accordi con l'Austra e con l'Ungheria.

Di fondamentale importanza per la riuscita di queste trattative sarà il modo con cui esse saranno condotte e la possibilità di venire in possesso di elementi atti a permettere una valutazione quanto più possib!le esatta degli intendimenti del Governo albanese. quantunquele trattative stesse non potranno -riuscendo--che servire 1n ogni caso a ricondurre i rapporti tra i due Paesi ad una relativa tranquillità: non -per la forza stessa delle cose a definire stabilmente le relazioni tra Italia ed Albania e quanto meno a risolvere il problema albanese».

499

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2512/91 R. Terapia, 7 luglio 1934, ore 11,20 (per. ore 16,30).

In occasione chiusura della sessione Grande Assemblea Nazionale, Ismet pascià ha pronunciato discorso sulla politica interna ed estera definendo rapporti italo-turchi in maniera che giudico intonata alla graduale ripresa di fiducia alla quale ci stiamo adoperando.

Trasmetto testo in chiaro (l) e per valutazione comparativa delle dichiarazioni a nostro riguardo, trasmetto data odierna altro telegramma in chiaro dichiarazione riguardante Francia (2).

Testo integrale seguirà per corriere.

500

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 7 luglio 1934.

Il Ministro di Rumenia è venuto a salutarmi prima di partire in congedo. Ha voluto passare in rassegna per suo orientamento alcuni dei principali problemi del momento. A proposito dei patti regionali e in particolar modo del cosidetto patto orientale egli mi ha detto di non poter rendersi conto della nostra opposizione: è chiaro che la Francia se avesse un minimo di quella sicurezza che cerca affannosamente potrebbe aderire al piano italiano di limitazione degli armamenti; tale sicurezza non le viene dalla Gran Bretagna, che non vuole andare al di là degli impegni di Locarno; ora, un patto regionale,

«Contro l'avvicinamento jugoslavo-bulgaro la Turchia lotterà con impegno pari alla

fiducia che avrà nell'Italia. In regime d! sfiducia, la Turchia -come ho già detto

preferisce il minor male di una Bulgaria filo-jugoslava piuttosto che filo-Italiana. Questa

tendenza ha persino creato un mese fa l'Ipotesi, non del tutto Inverosimile in quel momento,

d! una trasformazione dell'Intesa greco-turca in una intesa turco-bulgaro-jugoslava. ll: per

questo che gli sforzi che attualmente stiamo facendo per ridare fiducia alla Turchia possono

anche costituire un passo per l'allontanamento d! essa dalla Jugoslavia e da ogni travlsazione

del Patto Balcanico oltre quel nucleo originario di arginamento della Jugoslavia nei Balcani che

è anche di interesse nostro.

La rinata fiducia nell'Italia consentirebbe infatti a questo Governo di considerare

serenamente la possibilità d! affiancarsi a noi nel contrastare Il passo alla Jugoslavia su Sofia.

Naturalmente una simile politica richiede da parte nostra coerenza e coordinamento tra le azioni da svolgere a Sofia e ad Ankara; una sconnessione, che tutti qui attribuirebbero a doppio giuoco dell'Italia, ci sarebbe pregiudizievole al massimo grado. Onde m! permetto Insistere affinché certi programmi che vorrebbero dare all'Italia la parte d! patrona del connubio bulgaro-jugoslavo, e che cl hanno fatto già parecchio male, siano prontamente definiti per quello che sono e cioè pericolosi e contrari agli interessi del nostro Paese>>.

tipo quello proposto, le offrirebbe, almeno formalmente, di fronte alla propria opinione pubblica, un motivo sufficiente per fare un passo avanti nella questione del disarmo.

Osservo al Ministro che a nostro modo di vedere la Francia troverebbe meglio la propria sicurezza nella convenzione per la limitazione degli armamenti nella quale sarebbero contenute le disposizioni relative al mantenimento degli obblighi assunti con la convenzione stessa.

Al riguardo delle questioni danubiane il Ministro Lugosianu mi ripete che gli Stati della Piccola Intesa sono molto desiderosi di venire ad un accordo con l'Italia.

Mi chiede anche qualche informazione a proposito dell'estensione del piano danubiano italiano.

Gli rispondo che per ora dobbiamo consolidare i rapporti con l'Austria e con l'Ungheria prima di pensare ad una estensione degli stessi: abbiamo avuto, come egli sa delle trattative in questi giorni con i jugoslavi, trattative che per ora sono sospese: conviene quindi fare un passo alla volta.

Per i prossimi mesi estivi non si pensa a delle nuove trattative sulla base del nostro piano danubiano: è una cosa però che verrà a suo tempo.

(l) -T. 2513/93 R., pari data, non pubblicato. (2) -T. 2514/92 R., pari data, non pubblicato. Si pubblica qui un brano del R. 953/402 d! Lojacono del 16 giugno:
501

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELE!?PR. R. 5358. Roma, 7 luglio 1934.

Telespresso di codesto Ministero n. 2906 del 5 luglio 1934 (1).

Concordo con l'E. V. nel ritenere che, malgrado la nostra intenzione di procedere ad una chiarificazione nei rapporti itala-etiopici che elimini, o quanto meno attutisca, i sospetti e le diffidenze del Governo di Addis Abeba, sarà difficile di modificare la mentalità etiopica nei nostri riguardi; in quanto sostanzialmente il contrasto itala-etiopico è nella natura stessa delle cose e trova la sua base in motivi di carattere politico, geografico, storico, economico

e demografico che non possiamo variare.

Tutto quanto possiamo fare da parte nostra è di non dare nuova esca al sospettoso atteggiamento etiopico, abbandonando qualunque idea di influire dalle nostre colonie su capi e popolazioni della periferia con mire di sobillazione, ed accentuando una nostra volontà di collaborazione con il Governo centrale.

A tale scopo le istruzioni che questo Ministero ha già inviate alla R. Legazione in Addis Abeba e le raccomandazioni che l'E. V. ha ripetute ai Governatori della Somalia e dell'Eritrea riusciranno certo utili. Ugualmente concor

dasi con l'E. V. che la stampa va tenuta rigorosamente a posto, e che è bene anche non permettere conferenze che trattino dell'Africa Orientale.

Nel procedere al tentativo di chiarificazione dei rapporti italo-etiopici, come pure nell'accentuare da parte nostra l'intenzione di collaborare con il Governo di Addis Abeba, è evidente che non bisogna in nessun caso agire con scapito della nostra dignità. Questa è stata sempre -e non poteva essere diversamente -la mia intenzione: che nel telegramma di istruzioni del 22 Giugno

u.s. (1), inviato da questo Ministero alla R. Legazione in Addis Abeba, nel fornire al Ministro Vinci la direttiva di cercare di sopire i sospetti e le diffidenze etiopiche si aggiungeva: «senza naturalmente che questo implichi (anzi esso esclude) quanto potesse apparire manifestazione di minore fermezza o pre

stigio,, ·· ,;.-;:.;::;: T7~'

~ <,...,-·~~~:4:of.:. i

In quanto ai lavori ed apprestamenti di carattere militare che stiamo compiendo in Eritrea, non dobbiamo darne conto al Governo etiopico. Del resto anche l'Abissinia si va armando e rafforzando: potremmo quindi far comprendere che i nostri armamenti sono la conseguenza dei loro.

Con l'occasione si trasmette copia di un rapporto del Ministro Vinci in data 22 Maggio (2), che illustra i concetti da lui esposti nei telegrammi 18 maggio (3), già comunicati a codesto Ministero.

(l) Cfr. n. 491.

502

IL MAGGIORE RENZETTI A... (4)

L. P. Berlino, 7 luglio 1934.

Le speranze di coloro i quali avevano dato come certa la notizia della no

mina di Goring a vice cancelliere del Reich, sono destinate, per ora almeno,

a non realizzarsi. Hitler conserverà Von Papen nel Gabinetto malgrado del

risentimento che prova per lui.

Von Papen più che per merito proprio, a causa della situazione che qui

si è venuta lentamente maturando, si è fatto un nome. Non già ciò perché

egli sia molto stimato quale Capo, quale uomo di Governo, chè tutti conoscono

le sue manchevolezze (i cattolici poi non dimenticano il « tradimento » fatto

al centro), ma sibbene per quel naturale processo di polarizzazione per il quale

in alcuni momenti, oppositori e scontenti di un regime, fanno convergere aspet

tative, speranze e voti verso una figura rappresentativa. Sono stato testimonio

ad esempio ad Amburgo, il 24 del mese scorso, di acclamazioni ostentative fatte

dal numerosissimo pubblico che affollava il campo delle corse a Von Papen

acclamazioni che erano dirette non tanto alla persona del vice-cancelliere non abituato certo ad averne di così calorose quanto a colui che rappresentava una tendenza contraria a quella di Goebbels il quale anche presente si doveva contentare di applausi freddi di pochi ammiratori. Von Papen è diventato così l'esponente -non già il Capo -di una tendenza moderata in politica interna e rimarrà a fianco di Hitler che ha reagito alle pressioni che gli venivano fatte per sostituirlo con Goring. Da quello che mi è possibile arguire ritengo che Hitler si sia deciso a compiere una politica interna di conciliazione sopratutto verso quei gruppi e quelle classi su cui maggiormente in passato si sono rivolti gli strali di Goebbels. Non è certo possibile eliminare dei milioni di borghesi, delle migliaia di intellettuali e di monarchici in pochi mesi: tali elementi debbono venire lentamente inquadrati nel regime. Anche verso i cattolici mi sembra che Hitler sia disposto a tenere --e sopratutto a far tenere -un contegno meno aspro da parte degli elementi del partito e degli S.A. Erano proprio tra gli eliminati coloro che si accanivano contro le associazioni cattoliche: era contro la immoralità di alcuni capi che si rivolgevano le proteste di vescovi e di parroci. II Cancelliere si è posto in rapporto con esponenti dell'episcopato: Goring a Colonia si è recato a fare visita di omaggio all'arcivescovo. Sono tutti tentativi: dirà il futuro se i cattolici riusciranno a dimenticare la uccisione di Klausener il quale proprio alcuni giorni prima in occasione della «giornata cattolica» aveva parlato a Berlino alle masse dei credenti.

Anche nel campo economico Hitler si sbarazzerà di qualche elemento che non ha reso abbastanza: ad esempio di Kessler il capo della organizzazione dell'economia (organizzazione che per ora esiste solo sulla carta): Schmidt invece resterà a malgrado della opposizione.

I rapporti fra Hitler e la Reichswehr sono cordialissimi. Il Cancelliere segue molto i consigli che gli vengono dal generale Blomberg fatto questo spiegabile se si pensa che il Capo dell'esercito in Germania ha esercitato costantemente una sensibile influenza specie nel dopoguerra in cui la Reichswehr ha rappresentato in realtà lo Stato nazionale e se si pensa anche che Hitler ama l'esercito per istinto e nello stesso tempo perché sa che esso è il difensore della nazione. Blomberg d'altra parte sembra sinceramente affezionato a Hitler: uomo non eccessivamente energico, si rende conto che il regime poggia sul Cancelliere e che quindi è con questi che si deve collaborare. D'altra parte non deve venire dimenticato che Hindenburg, le cui condizioni di salute sono sensibilmente migliorate (pensare che lo si dava quale agonizzante dai «bene informati »!) stima ed apprezza Hitler, fatto questo che naturalmente ha le sue brave ripercussioni tra l'esercito. Il quale certo nutriva sentimenti non eccessivamente benevoli verso gli S.A. per ragioni di rivalità e anche per il fatto delle mire di Rohm e della moralità di Rohm.

Io non condivido la opinione di coloro, sono sempre i cosidetti ben informati, i quali asseriscono che Hitler ed il regime nazi siano gli schiavi dell'esercito. Che questo eserciti influenza è noto e per quanto ho detto più sopra e per il fatto della sua composizione, ma in fondo l'esercito è la nazione sana e non già un partito o il difensore di una Casa ex regnante. Una volta eliminate le cause di attrito tra S.A. ed esercito, quest'ultimo lentamente, specie se si

addiverrà alla sua trasformazione, tornerà a compiere soltanto le proprie funzioni militari.

Hitler non ha voluto fare dei comunicati spiegativi dei fatti noti: egli si riserva di dare ulteriori ragguagli non appena raccolti tutti gli elementi a mezzo di un discorso-programma. Le dichiarazioni del Cancelliere -ancora non vi è l'annunzio ufficiale -sono attese con grande ansietà dal pubblico che teme disordini, rappresaglie, invasioni da parte francese, la bancarotta finanziaria ecc. Ritengo superfluo descrivere la situazione interna tedesca, a ciò hanno provveduto, esagerando notevolmente, i giornali esteri. Qui esiste effettivamente disorientamento, depressione. Il popolo tedesco aveva riposto troppe speranze su Hitler: lo aveva ritenuto quasi un Dio; il suo scarso senso politico, l'esagerato misticismo da cui è pervaso, lo avevano indotto a ritenere che Hitler avrebbe di colpo modificato la situazione. Posto di fronte agli avvenimenti degli ultimi mesi, sobillato ed impressionato dalla campagna di opposizione fatta da un lato dagli elementi di sinistra (anche fra quelli annidati tra gli S. A. i quali potevano essere tali senza avere la iscrizione al partito) dall'altro lato da quelli conservatori, si è depresso, è «calato» insomma. Ma da ciò ad affermare che ormai il regime nazi è spacciato, corre un bel tratto! Io ho la convinzione che un successo qualunque di Hitler in politica estera o in politica finanziaria, riporti l'entusiasmo -un entusiasmo forse meno mistico e più aderente alla realtà -fra le masse che attendono e che sperano ancora anche se mormorano.

Hitler -a quanto mi è possibile giudicare -si rende conto della situazione: conoscitore perfetto del popolo tedesco, sa come fare per tranquillizzarlo, per sollevarne il morale. Vi è quindi da sperare che nel suo prossimo discorso e nella linea di condotta politica egli sia abile e convincente: le masse che desiderano un vero Fiihrer dimenticheranno in tal caso presto gli errori commessi e si riattaccheranno a colui che le guida (l).

(l) -Cfr. n. 425. (2) -Cfr. n. 250, nota 2, p. 270. (3) -Cfr. nn. 249 e 250. (4) -II destinatario non è indicato. A margine la seguente annotazione di Mussolini: «S. E. Suvlch ».

(l) Si pubblicano qui alcuni passi di un rapporto confidenziale di Renzetti del 14 lugliosullo stesso argomento: «Taluni sostengono che Mussolini avrebbe agito diversamente e soprattutto che avrebbe prevenuto il male prima di essere costretto ad estirparlo. Altri dicono che Hitler si è deciso a fare la necessaria azione di «repulisti » solo in seguito agli amichevoli consigli ricevuti a Venezia ... VI sono parecchi che negano l'esistenza di rapporti fra Rohm e Schleicher, che non credono al famoso incontro avvenuto a casa del Signor Regendanz tra Schleicher, Rohm e François Poncet. Io non sono stato testimonio dell'incontro: ricordo solo che nello scorso febbraio ebbi modo di assistere ad un lunghissimo e -almeno nelle apparenze -cordialissimo colloquio tra François Poncet e Rohm a casa di von Bassewltz, li capo dell'Ufficio protocollo al Ministero degli Esteri. Ricordo altresì che negli anni scorsi Rohm si era tenuto In continui e stretti contatti con Schleicher, tantoché allora si temeva nel Partito che Hitler, persuaso da Rohm, cadesse nella trappola tesa dall'ex Capo della Reichswehr. Ricordo ancora che Schleicher nell'agosto e settembre 1932, venuto non so come a conoscenza dei suggerimenti che avevo dato al nazi, voleva farmi espellere ed arrestare quale ispiratore e consigliere di Hitler. Io sostenevo allora -e del resto un anno prima avevo dato il consiglio a Schleicher di fare un blocco con Hitler -che quest'ultimo non dovesse cadere, dato che la rivoluzione, malgrado gli insuccessi, avrebbe finito per trionfare; a Swinemi.inde, alla presenzadi Goebbels, di Rohm e di Korner, avevo accolto con molta freddezza le preghiere di quel Alversleben (la oscura personalità menzionata da Hitler) il quale mi scongiurava di Interporre i miei buoni uffici presso il Capo delle camicie brune per far raggiungere un accordo tra lui e Schleicher; in seguito. posti in guardia i miei amici sulla figura dell'intermediario, avevo dichiarato essere necessario insistere nell'azione rivoluzionaria; a casa di Goebbels, in presenza del Conte Helldorff, incaricato del collegamento tra S. A. e Reichswehr, avevo insistito sugli stessi concetti contro il parere di Rohm e di Strasser e di molti altri che già davano il movimento nazl come incapace di arrivare al potere, ecc.... La Germania ha la disgrazia di non possedere delle isole: se ne avesse avute, non sarebbero probabilmente avvenuti i fatti registrati, in quanto gli elementi pericolosi avrebbero potuto esservi condotti, ed allontanati cosi dalla comunità, il che non avviene nei campi di concentramento».

503

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2550/0123 R. Vienna, 9 luglio 1934 (per. l'11).

Questo incaricato d'affari d'Ungheria mi ha confidato che questo ministro di Germania gli ha dichiarato ieri che la voce, secondo la quale l'Habicht avrebbe svolto nei riguardi dell'Austria una «mera azione personale~. sarebbe inesatta, giacché l'Habicht non aveva fatto altro che obbedire (salvo forse in questioni di dettaglio) alla volontà ed alle precise direzioni dello stesso cancelliere Hitler.

Il medesimo ministro, rispondendo alla domanda se fossero o meno esatte le informazioni date da due persone assai vicine alla sua legazione -e cioè che nel convegno di Venezia V. E. avrebbe promesso a Hitler di esercitare opportune pressioni su Dollfuss onde provocare un suo cambiamento di atteggiamento verso la Germania -avrebbe ricorso ad un lungo giro di frasi per insinuare che, data l'irreducibilità di Hitler nella questione dell'Austria e data la persuasione cui sarebbe giunto il Governo italiano circa la necessità di risolvere al più presto la questione in parola, il fatto stesso che Hitler aveva potuto esporre all'E. V. il punto di vista tedesco lasciava pensare a probabili pressioni italiane sul cancelliere austriaco, nel senso predetto.

D'altra parte questo mio collega di Germania, intrattenendosi ieri col segretario generale del Ballplatz, ebbe a dire in uno scatto d'ira che la questione austriaca sarebbe stata ben presto definita in una nuova conversazione che Hitler avrebbe avuto con E. V.

Il signor Peter avendo replicato di non poter ammettere che il suo interlocutore facesse mostra di non attribuire alcuna importanza alla voce ed alla volontà del Governo austriaco, il predetto rappresentante diplomatico si affrettò a correggere il senso delle sue parole e ad escludere l'interpretazione datavi dal funzionario austriaco.

504

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2551/0124 R. Vienna, 9 luglio 1934 (per. l'11).

Mio telespresso riservato n. 3081 del lo luglio (1).

Starhemberg mi ha stamani intrattenuto degli incidenti occorsi a Graz, ripetendomi all'incirca quanto il cancelliere mi ha già detto relativamente al complesso delle cause che hanno prodotto le lamentate frizioni tra esercito e Heimatschutz.

Egli ha anche accennato alla questione dell'unicità del comando, come al solo mezzo atto a dare all'esercito ed ai corpi militarizzati un senso di fiducia nella perfetta equità dell'amministrazione, nonché ad eliminare tutti gli inconvenienti che attualmente si verificano a causa della gara che esiste fra i due ministri della difesa nazionale e della sicurezza per assicurare alle forze rispettivamente controllate i maggiori benefici.

Starhemberg non ha fatto alcun cenno alla sua persona, come ad un eventuale ministro di tutte le predette forze: ha anzi insistito sul punto che l'uomo più indicato sarebbe lo stesso cancelliere, coadiuvato da sottosegretari di Stato. Starhemberg ha pure rilevato che detto eventuale provvedimento non potrebbe essere immediato, dovendosi intanto provvedere all'esecuzione di tutte le misure che sono state proposte per eliminare le lamentate cause di frizione.

Circa poi le voci -da me riferite nella seconda parte del predetto teleposta -di contatti del ministro della sicurezza Fey con elementi nazisti tedeschi, Starhemberg mi ha precisato che si nutrono dubbi che il Fey abbia avuto stretti rapporti col conte von Alvensleben, di cui i giornali hanno annunciato la fucilazione nei recenti avvenimenti di Germania. Il Fey avrebbe conosciuto e preso. intese coll'Alvensleben, allorché questi nell'inverno scorso si trovava a Vienna per ottenere la liberazione del figlio, trattenuto in prigione perché implicato nell'attentato contro il signor Steidle.

(l) Non pubblicato.

505

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1544/430. Bucarest, 9 luglio 1934 (per. il 14).

Trasmetto qui in allegato quanto, sul movimento delle Guardie di Ferro, il

R. Addetto Militare scrive col suo rapporto mensile al R. Ministero della Guerra (1).

Codesto R. Ministero potrà constatare che l'avviso espresso dal R. Addetto Militare corrisponde esattamente a quanto io, verbalmente e per iscritto, ho sempre manifestato al riguardo. Ripeto qui il mio pensiero:

l) -Le Guardie di Ferro costituiscono un movimento che può in processo di tempo arrivare al successo (che però non sarà duraturo perché siamo in Romania e perché si tratta di un movimento romeno).

2) -Il movimento, pur avendo un'ideologia fascista, ha certamente avuto, e forse ha tuttora, contatti hitleristi.

3) -Ogni nostra appariscente azione per avvincere a noi le Guardie di Ferro ne compromette le possibilità di sviluppo.

4) -La questione del revisionismo ci separa e, a mio avviso, ci separerà dal movimento guardista sempre che essa sarà posta.

Credo quindi, come ben scrive il R. Addetto Militare, che la procedura da seguire verso questo movimento è:

l) mantenere prudenti contatti (che io ho sempre mantenuto);

2) evitare arrivo qui di appariscenti personaggi che in questo momento possono solo far del male e nessun bene, in nessun senso e in nessuna direzione.

3) Avvincere a noi il movimento solo in avvenire, con un colpo di mano da farsi solo al momento opportuno, con sicurezza d'azione e larghezza di vedute.

4) Non dare soldi per ora, perché qui tutto è trasparente, sopratutto lo chèque! Anche perché ora daremmo poca moneta e per poca moneta avremmo grande compromissione. Occorre mettere mano alla borsa con la dovuta larghezza solo se e quando.

(l) L'allegato non sl pubbllca.

506

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. P. 918/142 R. Roma, 10 luglio 1934, ore 23.

Senta in forma molto confidenziale e riservata da cancelliere se gradirebbe che durante suo soggiorno Riccione fosse invitato per uno o due giorni Starhemberg. Se cancelliere lo ritiene conveniente, si potrebbe invitare anche Fey, cercando in questa occasione di farlo rientrare nel ranghi (1).

507

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 10 luglio 1934.

n Ministro Villani è venuto a riferirmi la conversazione avuta col Capo del Governo (2).

L'Ungheria è stata informata in via confidenziale .che ci sarebbe l'intenzione da parte dei Paesi della Piccola Intesa di offrire all'Ungheria dei Patti di non aggressione. Il Governo ungherese non sarebbe alieno da accedere a tale proposta, facendosi dare delle garanzie per il trattamento delle minoranze ungheresi nei Paesi finitimi. Il Capo del Governo ha suggerito anche che si chiedessero delle facilitazioni economiche specialmente da parte della Cecoslovacchia che un tempo assorbiva notevoli quantitativi di prodotti ungheresi.

Si presenta poi per l'Ungheria un altro problema: che cosa cioè fare se il gruppo degli Stati del progettato Patto orientale offrisse all'Ungheria di partecipare al Patto stesso.

Opinione del Governo ungherese sarebbe di non aderire, sotto pretesto che l'Ungheria è un Paese disarmato e che non può garantire gli altri.

Il Capo del Governo si è mostrato d'accordo con tale decisione aggiungendo anzi che l'Ungheria potrà dichiarare di essere disposta ad aderire a tale patto quando fosse di diritto e di fatto in assoluta parità con gli altri.

II Ministro riferisce poi su una conversazione avvenuta a Ginevra fra il rappresentante dell'Ungheria Sidler e il generale francese Brissaut.

Secondo tali dichiarazioni i francesi vorrebbero fare una convenzione con la Germania per venti anni dato che la Germania sarà armata in piena efficienza appena alla fine dei dieci anni e quindi una convenzione che tenesse conto solo di tale primo periodo non avrebbe che una importanza molto relati\a per la Francia.

Infine il Ministro Villani mi dice che il Journal des Nations, che sarebbe in mano della Piccola Intesa, riceve direttamente le ispirazioni del signor Fotich, delegato della Jugoslavia a Ginevra.

(l) -Dall'esame della corrispondenza telegrafica non risulta la risposta d! preziosi. (2) -Non si è rinvenuto Il verbale dl tale colloquio.
508

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1319/941. Praga, 10 luglio 1934.

In occasione della mia prossima partenza in congedo ho fatto una visita a Benes per accomiatarmi da lui.

Edotto di quanto egli ha detto al Ministro Sola durante il suo soggiorno a Bucarest Ctelespresso di V. E. n. 221550/C. del 2 corrente) (1), ho evitato di parlare della ricostruzione danubiana per non sentirmi esprimere ancora una volta il desiderio del Benes di avere conoscenza degli accordi di Roma.

La conversazione si è svolta quasi interamente intorno al Patto orientale, come argomento principale trattato dal Benes nelle sue dichiarazioni parlamentari della settimana scorsa.

Ho detto a Benes che non avevo ancora comunicazioni ufficiali da Roma. ma che attraverso la stampa e le mie impressioni personali credevo di potergli dire che le accoglienze fatte in Italia al progetto di patto orientale non potevano certo dirsi favorevoli.

Sempre a titolo personale, ho mosso alcune facili obbiezioni al nuovo co:so della sua politica e non gli ho nascosto la legittima ipotesi che si poteva fare che tutta l'esibizione per la realizzazione del patto orientale potesse esigere la preparazione e la giustificazione preventiva di un nuovo blocco franco-russopiccolintesista (mio telespresso n. 1278/912 del 3 corrente) (l).

Le conclusioni della lunga conversazione possono riassumersi come segue:

l) Benes pretende che egli non vuole assolutamente legare la politica del suo paese ad un blocco antigermanico e che depreca per la Cecoslovacchia un'alleanza con la Russia; perché nel primo la Cecoslovacchia sarebbe irreparabilmente votata a sostenere -in caso di confutto -il primo e schiac·ciante ur•to, nella seconda ·essa dovrebbe sopportare il duro patronato di una Russia panslava, perdendo tutti i vantaggi che oggi le derivano dall'appartenere in certo modo all'Europa occidentale. Perciò egli riafferma la propria sincerità nel voleHi realmente un patto in cui entrino Germania e Polonia, allo scopo di allontanare quel conflitto europeo dal quale la Cecoslovacchia ha tutto da perdere e nulla da guadagnare e che la minacciosa situazione in Estremo Oriente può provocare anche in Europa.

2) Circa lo stato attuale dei negoziati con la Germania e Polonia e sull'eventuale atteggiamento di queste Potenze verso il progettato patto orientai:.:, Benes mi ha detto che entrambe hanno preso tempo per rispondere e che quindi bisognerà attendere le loro decisioni. Per la Polonia il Maresciallo Pilsudski avrebbe fatto sapere che vuole studiare a fondo la cosa e in quanto alla Germania la recente crisi interna richiederà ancora maggior tempo.

3) Richiesto sulle sue previsioni finali circa l'atteggiamento della Germania e della Polonia e circa la sorte del patto orientale, Benes mi ha detto che ques.te dipendono principalmente dall'Italia e dall'Inghnterra, cioè dai consigli che Roma e Londra potranno dare, soprattutto a Berlino. Gli ho chiesto perché allora gli iniziatori del patto non avessero incominciato dal chiedere il pensiero di queste due Potenze ed eventualmente la loro cooperazione. Benes mi ha risposto che egli riteneva e ritiene che la Francia avrebbe tenuto costantemente al corrente Roma e Londra di suoi progetti e propositi. Egli si è peraltro affrettato a soggiungere (scappatoia significativa) che non esiste ancora alcun testo e neppure un progetto di accordo, tra·ttandosi solo di idee abbastanza generiche e prive di particolari.

4) In quanto al rimprovero di blocco che può muoversi al patto orientale, Benes dice che un'adesione dell'Italia e dell'Inghilterra sarebbe certamente gra

ditissima a Parigi e a Mosca, che egli stesso preferisce patti generali ai patti regionali, ma che l'opposizione fatta al protocollo del 1924 e al progetto paneuropeo di Briand avrebbe fatto ricercare le vie della sicurezza attraverso progetti più modesti. Benes si rende conto che Italia e Inghilterra potranno avere difficoltà a cooperare a questo progetto, ma spera nella sicura volontà di pace che senza dubbio hanno il Duce e l'Inghilterra (sono sue parole) perché possa determinarsi una loro cooperazione con la Francia per assicurare la pace in Europa che, in sostanza, dipende dalla volontà di queste tre Potenze.

5) Benes ritiene che i recenti avvenimenti della Germania pur attraverso lunghe convulsioni e crisi eondurranno in definitiva al potere elementi di destra militaristi e conservatori, che potranno riportare la politica tedesca a nuove tendenze annessioniste verso l'Austria ed in genere ad un indirizzo nazionalista di cui l'Europa dovrà tener conto. Per cui egli ritiene che l'Inghilterra non mancherà di sorvegliare con diffidenza tali tendenze germaniche e che anche l'Italia, interessata in primo piano all'indipendenza dell'Austria, dovrà considerare.

Sicché Benes ritorna alla sua conclusione di doversi fare ogni sforzo per condurre la Germania ad entrare in qualche patto di sicurezza che garantisca l'Europa dai pericoli che esistono nelle sue regioni orientali, anche in vista di quelli 'che dipendono da eventuaH complicazioni in Estremo Orr'iente. Tali patti non dovrebbero, secondo Benes, aver in nessun modo carattere di accerchiamento per la Germania, sibbene di cooperazione ad essa stessa vantaggiosa.

6) Ho chiesto a Benes se e come nel suo volonteroso ottimismo europeo, egli vedesse la possibilità di armonizzare il suo patto orientale col patto a quattro, dato che questo è una realtà esistente e l'altro un progetto ancora assai vago. Mi ha risposto che col ritorno della Russia Sovietica ad un'attività politica europea, il patto a quattro dovrebbe tener conto della Russia stessa come inevitabile elemento della politica europea. E, come era da attendersi, ha spezzato una lancia in favore dell'allargamento del patto a quattro anche ad una eventuale adesione della Polonia e della Piccola Intesa. Al naturale riserbo che ho preso in presenza di una tale piega della conversazione Benes è tornato frettolosamente alla conclusione che la meta finale degli sforzi pel mantenimento della pace in Europa deve tendere alla stipulazione di un patto generale europeo.

Ho riferito fedelmente le argomentazioni del Benes che naturalmente non intendo in alcun modo appoggiare e sulle quali non ho creduto opportuno entrare con lui in discussioni e polemiche eccedenti qualche indispensabile e sobria replica. Mi sembra però di poter trarre l'impressione conclusiva che Benes non abbia una grande fiducia nella riuscita del progetto e che non farebbe il difficile qualora avessero ad apparire possibilità di compromessi o transazioni anche gravosi per gli iniziatori e gli zelatori del patto orientale nonché di diluizioni del patto stesso in combinazioni tanto più varie e generali da farcelo quasi annegare dentro.

Queste non sono che prime e personali mie impressioni soggette naturalmente a riserve tanto più necessarie in quanto è ben nota la duttilità multiforme del mio interlocutore.

(l) Non rinvenuto.

(l) Non pubbllcato.

509

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2554/226 R. Vienna, 11 luglio 1934, ore 22,45 (per. ore 6 del 12).

Rimpasto ministeriale originato dai fatti Graz (mio telespresso del 5 luglio n. 1401 (l) e mio telegramma per corriere n. 124 del 9 corrente) (2) è stato affrettato dal cancelliere, onde sfruttare al più presto e nel modo più decisivo avvenimenti Germania.

Esso:

0 ) Concentra principali ministeri nelle mani del cancelliere. 2°) Conferisce a Fey larghi poteri, da una parte soddisfacendo sue ambizioni e dall'altra rendendo più agile e più pronta repressione terrorismo e della propaganda nazista.

3°) Aumenta forze Heimwehren nel Governo con la nomina nuovo ministro della giustizia. 4°) Elimina in conseguenza dal ministero elementi dal Landbund. 5°) Dimostra di nuovo unito trinomio Dollfuss, Starhemberg, Fey.

Unico punto che dà luogo a divergenze d'opinioni è nomina sottosegretario di Stato affari esteri dell'attuale ministro d'Austria a Berlino.

Tuttavia è da ritenere che tale nomina piuttosto che rappresentare un ponte verso Landbund, (stante che predetto ministro proviene da detto partito), voglia essere un contrappeso alla reazione che negli elementi austriaci «nazionali» e negli ambienti tedeschi, avrebbero potuto destare tanto il rimpasto ministeriale quanto le nuove misure giudiziarie di estremo rigore, contro nazisti, che altrimenti avrebbero potuto apparire di carattere nettamente anti-germanico.

Quest'ultima interpretazione, del resto, è quella datami stamane al Ballplatz. Mi risulta infine che Starhemberg e Fey sono del tutto soddisfatti del rimpasto ministeriale, che è stato deciso ieri notte in pieno accordo.

510

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1934.

Dopo esaurita la questione di Memel, di cui all'altro appunto (3), chiedo all'Ambasciatore von Hassell qualche notizia sulla situazione in Germania.

L'Ambasciatore mi dice che il figlio di Neurath è tornato in questi giorni. Le cose erano più gravi di quello che pareva: c'era una vera e propria congiura che tendeva a sopprimere tutti i ministri (Goering, von Papen, Neurath

39 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

e Blomberg ecc.), tranne Hitler il quale sarebbe stato fatto prigioniero e gli si sarebbe imposto un Governo Roehm-Schleicher. L'azione sarebbe dovuta avvenire il 30 agosto, ma essendosi avuto sentore nei circoli rivoluzionari che il Governo sapeva qualche cosa della faccenda, l'azione si è anticipata: sarebbe avvenuta nel pomeriggio del sabato 30 giugno. Il Governo ha fatto appena in tempo ad intervenire. Presso Schleicher si è trovato un giornale di annotazioni (che il figlio di Neurath ha visto e consultato) in cui erano indicati dettagliatamente tutti i colloqui avuti con Roehm e tutto il piano della rivolta. Schleicher era anche in rapporti con circoli francesi, non con fini di vero e proprio alto tradimento, cioè con l'intento di ottenere un intervento francese nelle faccende interne della Germania, ma per ottenere l'acquiescenza della Francia al nuovo stato di cose.

Ho chiesto all'Ambasciatore perché avendo in mano un materiale probante di una ce!t'ta importanza, non si sia preferito fare un processo per quanto sommario.

L'Ambasciatore mi ha detto che ciò dipende dalla mentalità di Hitler che dopo l'affare von der Lubbe per l'incendio del Reichstag non vuole sentire parlare di altri processi.

Secondo quanto dice von Hassell i congiurati veri e propri erano limitatissimi: una dozzina; gli altri che erano a giorno del movimento, credevano che tutto si facesse con l'adesione di Hitler. Roehm era riuscito a carpire la buona fede della stessa polizia di Berlino che gli aveva promesso per il giorno dell'azione una sezione di carri di assalto.

Osservo all'Ambasciatore che mi pare molto curioso che Goering, che è sovraintendente della polizia prussiana, sia rimasto all'oscuro di tale impegno.

L'Ambasciatore riconosce che questo è un punto poco chiaro.

Chiedo all'Ambasciatore quale è la situazione di von Papen oggi e se i suoi collaboratori che sono stati uccisi erano realmente nella congiura.

Von Hassell mi risponde affermativamente a questo ultimo riguardo. Von Papen però non ne sapeva nulla. Ciò non toglie che oggi la situazione di von Papen è difficile perché in contrasto con parecchi membri del Governo.

La congiura secondo von Hassell arrivava nei campi più diversi: vi partecipavano estremisti S.A., conservatori prussiani, monarchici bavaresi, cattolici. Hitler terrà venerdì sera (l) un discorso che sarà radiotrasmesso per spie

gare le ragioni e la necessità della repressione.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 504. (3) -Non rinvenuto.
511

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1934.

La Direzione Generale A.P. (!Il), ha l'onore di invia·re, qui unito (2), in visione a V. E. un articolo pubblicato dal Journal des Nations di Ginevra in

data 6 luglio u.s. intitolato «Les relations entre Etats membres de la Société des Nations », articolo che tratta in parte dei rapporti italo-albanesi, e in parte più estesa dei rapporti italo-etiopici, gettando l'allarme sui fini che la politica italiana persegue sia nel basso Adriatico che nell'Africa Orientale. L'articolo si diffonde anche sugli apprestamenti bellici che da parte nostra verrebbero predisposti contro l'Abissinia, e sulle voci di una nostra prossima azione militare contro quel paese, voci a proposito delle quali la Direzione Generale A.P

(III) attira l'attenzione di V. E. anche sul telegramma n. 165 della R. Legazione al Cairo, relativo ad un analogo articolo pubblicato dal News Chronicle, e sul telegramma n. 319 riservato della R. Legazione in Addis Abeba (qui allegati in copia) nell'ultimo dei quali il R. Ministro in Etiopia informa che secondo. notizie dategli da varie fonti, questo Incaricato d'Affari d'Etiopia avrebbe suggerito all'Imperatore di chiedere al R. Governo spiegazioni «circa pretesi preparativi di un'azione offensiva italiana a corta scadenza» (1).

Pur senza sopravalutare il valore e la portata di quanto sopra esposto, la Direzione Generale A.P. (III) non può non riconoscere che a fornire a certa stampa straniera l'abbondante materiale di cui essa si è impossessata per manipolarlo tendenziosamente onde crearci imbarazzi in Addis Abeba, hanno in gran parte contribuito le pubblicazioni apparse sui nostri giornali, nei quali il problema etiopico è stato trattato in tutti i suoi aspetti e sovente anche .in modo inopportuno.

La Direzione Generale A.P. ha quindi l'onore di sottoporre a V. E. l'opportunità che precise disposizioni vengano impartite alla nostra stampa sia quotidiana che periodica di astenersi nel modo più assoluto da pubblicazioni relative all'Etiopia o alla nostra azione politica ed economica nei confronti di quel paese, eccezione fatta per eventuali notizie di cronaca la cui pubblicazione dovrebbe peraltro previamente venire autorizzata: ciò tanto più nell'attuale momento in cui la R. Legazione in Addis Abeba si appresta ad abbordare col Governo Etiopico l'esame di talune complesse questioni da tempo in discussione fra i due Governi.

Potrebbe anche considerarsi la possibilità di un'azione positiva da svolgersi convenientemente presso i corrispondenti romani dei giornali esteri prospettando loro l'infondatezza delle notizie in questi giorni diffuse dalla stampa straniera circa i nostri rapporti con l'Abissinia, e invitandoli in via ufficiosa ed amichevole smentire a mezzo dei giornali da essi rappresentati le notizie medesime (2).

P. S. Si allega un numero del Journal de Genève (6 luglio) contenente un breve riassunto di due articoli pubblicati dal Morning Post e dal News Chronicle relativi allo stesso argomento.

(l) -13 luglio. (2) -Gli allegati non si pubblicano. (l) -Cfr. n. 347. (2) -Annotazione a marg~ne di Zoppi: «L'Ufficio Stampa ha provveduto •·
512

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2556/477 R. Londra, 12 luglio 1934, ore 2,08 (per. ore 8,15).

Simon mi ha oggi messo al corrente delle sue conversazioni con Barthou. Riassumo qui appresso punti essenziali e le conclusioni alle quali egli è giunto.

Barthou ha esposto nei termini che a V. E. sono noti il progetto francese per un patto mutua assistenza fra gli Stati dell'Europa Orientale, e ha chiesto appoggio in linea benevola del Governo britannico alla realizzazione di tale progetto.

Simon ha esposto a sua volta a Barthou nei termini che Vansittart mi aveva comunicato nel nostro colloquio del 5 corrente (mio telegramma n. 456) (1) punto di vista del Governo britannico precisando:

1) Che Inghilterra non intende assumersi né direttamente né indirettamente nuove responsabilità quali potrebbero derivare da una sua partecipazione al patto orientale o da un sistema di garanzie che riallacciassero tale patto al trattato di Locarno;

2) Che Inghilterra non (dico non) può considerare con favore un patto di mutua assistenza orientale connesso in qualunque forma col trattato Locarno;

3°) Che Inghilterra può considerare con benevolenza il patto soltanto a condizione che tutti i paesi che vi partecipino siano nella sua posizione di diritto e di fatto, e che la conclusione del patto al quale la Germania dovrebbe partecipare dovrebbe essere pertanto accompagnata dalla soluzione del problema della uguaglianza di diritto.

Barthou ha finito coll'accettare questo punto di vista, nel senso:

1) Che per ora la Francia non prenda parte al patto, limitandosi a incoraggiarne la conclusione e riservandosi di considerare solo in un secondo tempo la sua eventuale partecipazione ad esso come garante;

2) Che il patto orientale sia e resti staccato da quello di Locarno;

3) A fare sì che i negoziati, ove la Germania sia indotta a prendervi parte comprendano anche il problema dell'uguaglianza dei diritti.

Simon nel commentarmi l'atteggiamento da lui tenuto con Barthou mi ha detto che egli si è ispirato ai seguenti princ.ipi:

1°) Evitare che la Russia possa eventualmente venire a far parte del trattato Locarno tenendo fermo che i due sistemi --quello di Oriente e quello di Occidente -debbono essere nettamente separati;

2°) Daremo Barthou la sensazione che l'Inghilterra non (dico non) è favorevole ad una alleanza franco-russa sia pure mascherata in un patto di mutua assistenza.

E' a questo scopo che egli ha preferito a una opposizione generica al patto che avrebbe lasciato la Francia libera di agire per suo conto, una promessa di neutralità benevola, sia pure di carattere platonico, perché la Francia rispetti le tre condizioni da essa offerte.

Simon mi ha pregato particolarmente di ringraziare V. E. per le osservazioni che a nome di V. E. io gli ebbi a comunicare il 5 corrente e che gli hanno fornito gli argomenti essenziali per dimostrare a Barthou la necessità mantenere il patto orientale nettamente separato da quello di Locarno (mio telegramma n. 457) (1).

Simon mi ha aggiunto che nessun accenno è stato fatto da Barthou a una eventuale iniziativa francese per un patto mediterraneo.

(l) Cfr. n. 487,

513

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2561/299 R. Parigi, 12 luglio 1934, ore 12,30 (per. ore 22,30).

Mi sono incontrato con Chambrun.

Mi ha assicurato di non sapere nulla delle conversazioni di Londra. Vedrà oggi Barthou e partirà stasera per Roma.

L'ambasciatore mi ha parlato della situazione generale e del patto di mutua assistenza orientale.

Gli ho detto senza reticenza che a mio avviso la Francia batte da qualche tempo una strada falsa se veramente ricerca, come proclama, la sicurezza e la pace.

Mi è sembrato che in fondo l'ambasciatore francese condividesse i miei apprezzamenti, per quanto abbia combattuto i miei argomenti.

Circa la visita di Barthou a Roma, Chambrun ha detto che la data di comune convenienza potrebbe essere la fine di settembre. Ha soggiunto che occorre preparare la visita e che si propone di farlo.

Ha osservato che Roma desidera conseguire vantaggi tanto riguardo alle frontiere libiche che per lo statuto degli italiani a Tunisi. Sempre secondo l'ambasciatore questo non è possibile. Occorre che i vantaggi siano equamente ripartiti tra Francia e Italia.

A proposito dei confini libici ho osservato che bisognava distinguere.

Vi era da stabilire una situazione di fatto che era stata intaccata a nostro pregiudizio (frontiere turche) e vi erano i compensi che ci erano dovuti in esecuzione del trattato di pace. In ambedue i casi la Francia ci accordava quello che ci era dovuto di diritto.

Chambrun mi ha interrotto per dire che non era al corrente dei particolari della questione ed ha portato il discorso sullo statuto degli italiani di Tunisi, accennando all'eventualità di un consolidamento dello statu quo per cinque anni.

Gli ho risposto che Barthou non poteva presentarsi a Roma pretendendo di mettere a dormire la questione dei confini libici e offrire una inezia.

(l) Cfr. n. 488.

514

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2560/479 R. Londra, 12 luglio 1934, ore 21,07 (per. ore 2 del13).

Foreign Office ha redatto iersera istruzioni per gli ambasciatori britannici a Roma, a Berlino e a Varsavia relativi al patto mutua assistenza tra i paesi dell'Europa orientale.

Tali istruzioni si ispirano ai concetti espostimi da Simon nel nostro ultimo colloquio (mio telegramma n. 477) (1). In essi vengono precisati i seguenti principi:

l) Che il Governo britannico non vuole assumersi ulteriori responsabilità e garanzie:

2) Che il patto orientale da concludersi tra Germania, U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia e paesi baltici non debba contenere una garanzia francese all'U.R.S.S. ma, se mai, una garanzia francese tanto all'U.R.S.S. che alla Germania;

3) Che l'U.R.S.S. non possa costituirsi garante della Francia contro la Germania, ma possa soltanto garantire, ove lo creda opportuno, egualmente i due aspetti, uno rispetto all'altro;

4) Che la conclusione del patto orientale deve essere accompagnata dalla soluzione del problemà della uguaglianza di diritto.

Drummond ha avuto istruzioni di illustrare a V. E. scopo che Governo britannico ritiene raggiungere con tale linea di condotta e cioè, come Simon mi ha detto ieri, di evitare sotto aspetto di un patto mutua assistenza in realtà la Francia e U.R.S.S. concludano un patto di garanzia reciproca.

Secondo il Foreign Office le condizioni poste dal Governo inglese a Barthou sarebbero sufficienti ad evitare tale pericolo. Simon farà venerdì ai Comuni annunziate dichiarazioni .

(l) Cfr. n. 512

515

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 934/179 R. Roma, 12 luglio 1934, ore 24.

Il Capo del Governo ha comunicato a Drummond che Simon nel discorso di domani potrebbe dire circa atteggiamento Italia nei riguardi nuovo patto proposto da Barthou approssimativamente quanto segue: (l)

«L'Italia, che è firmataria e garante del trattato di Locarno, assume un atteggiamento simile a quello della Gran Bretagna. E' inteso che il patto orientale non contiene nessun nuovo impegno per le Potenze garanti di Locarno L'Italia considera tale accordo con simpatia sopratutto per il principio dell'assoluta reciprocità fra tutti i paesi interessati in esso contenuto. Tale accordo oltre a rendere effettivo il principio della parità dei diritti potrà anche facilitare il raggiungimento di un'intesa sulla riduzione e limitazione degli arm~menti » (2).

516

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2578/0125 R. Vienna, 12 luglio 1934 (per. il 14).

Mio telegramma n. 226 (3).

Sulla nomina del Fey a ministro senza portafoglio, a commissario generale statale ed a capo del comitato permanente ministeriale per la difesa dello Stato, onoromi segnalare:

l) La nomina del Fey alle predette cariche è stata alquanto laboriosa. Il primo pensiero fu d'inviare il Fey a Roma, quale ministro plenipotenziario in luogo del Rintelen; questi a Berlino, al posto del Tauschitz, che sarebbe s~ato

richiamato. Il Fey rifiutò recisamente tale proposta, asserendo di non avere requisiti opportuni per la carica stessa.

2) In tale situazione, mentre lo Starhemberg sostiene che il cancelliere si sarebbe pronunziato senz'altro per l'allontanamento del Fey dal Governo e che solo le sue insistenze avrebbero valso a persuadere Dollfuss a trattenerlo nel Gabinetto (e ciò al precipuo scopo di non fare del Fey il centro di raccolta di tutti i malcontenti e forse pure dei filonazisti); il Cancelliere mi ha invece confidenzialmente accennato a vive tensioni prodottesi fra lo Starhemberg e il Fey, da lui composte con la nomina suindicata. (La versione del cancelliere mi sembra la più attendibile, avendo io presenti i continui sfoghi fattimi dallo Starhemberg contro il Fey e di cui alla mia recente corrispondenza).

3) Giusta quanto mi è stato riferito da buona fonte il Fey pur dichiarando «ufficialmente» di essere rimasto soddisfatto, in privato sosterrebbe, sia egli che i suoi antichi segretari di Gabinetto, che la nomina a commissario generale statale, mentre addossa al titolare la gravissima responsabilità della repressione del terrorismo e della propaganda nazista, non gli dà al postutto il diretto controllo d'alcuna amministrazione dello Stato, le misure da lui ritenute indis):e sabili dovendo essere in certo modo autorizzate dai singoli membri del comitato, che è chiamato a presiedere.

Da parte sua il cancelliere mi ha detto che il comitato affidato alla direzione del Fey è molto importante; che sarà composto dal segretario di Stato per la sicurezza, dal segretario di Stato per la difesa nazionale, dal ministro della giustizia, nonché da tutti quegli altri ministri che il commissario generale credesse convocare di volta in volta; e che esso comitato è chiamato a prendere, nel modo più diretto ed urgente, ogni provvedimento di tutela e di difesa, fosse esso anche di natura economica. Quanto poi al grado della soddisfazione del Fey per detta carica, il cancelliere ha osservato ironicamente «che il Fey ne è soddisfatto per quanto possa consentirlo la grande di lui ambizione».

4) Infine l'« entourage» del Fey ha fatto correre la voce che, qualora il Fey fosse stato sacrificato, si sarebbe prodotta immediatamente una scissione nelle Heimwehren, la quale avrebbe fatto subito apparire di quali importanti forze dispone effettivamente l'ex vice-Cancelliere (l).

«Ho chiesto a Starhemberg impressioni generali sull'Austria e sulle ripercussioni della situazione in Germania. Per l'Austria egli si manifesta ottimista: il terrorismo ha già superato la fase culminante, i malcontenti, sopratutto per il fall!mento della stagione turistica, esistono, ma non sono tali da poterai concretare in forme determinate. Piccoli attriti tra Heimwehren,

cristiano-sociali ed altre organizzazioni mllitarlzzate per la conquista di posti retribuiti ne esistono, ma, in fondo, tutto tiene. Il nazlsmo è disorientato ed in fase decrescente. Le ripercussioni degli avvenimenti in Germania cominciano a farsi sentire. Qualche elemento nazionalista e fino a ieri molto proclive al nazlsmo, ad esempio il capo dell'associazione ginnastica del "Deutsche Turner ", è già stato da lui a dirgli che non è il caso di pensare né all'annessione né al nazismo in Austria. Vero è che ci sono elementi che In quanto è avvenuto in Germania vedono un nuovo segno dell'energia di Hitler, ma bisogna dare tempo al tempo.

Per. quanto riguarda la Germania, Starhemberg considera che ormai il nazional-socialismo è, in quanto programma sociale, finito di esistere, Hitler deve ormai adattarsi alla politica delle Helmweheren e degli elementi conservatori. Ora la Reichswehr è contraria ad impelagarsi nelle faccende austriache: essa -e lo Starhemberg ha potuto constatarlo l'anno scorso, parlando a Berlino con qualche generale -ragiona a base di divisioni e di corpi di armata.

(l) -Cfr. 11 seguente brano di ·una nota verbale dell'Ambasciata inglese a Roma dello stesso 12 luglio: «There will be a debate on foreign affairs in the House of Commons tomorrow during which enquiries w111 be made of the Secretary of State for Foreign Affalrs as to the nature and outcome of the conversations with M. Barthou. His Majesty's Government would highly appreclate an indication of the approvai and cooperation of the ItaUan Government in the Une which they are taking ,and naturally would be happy if they could state in the House tomorrow that this has been given "· La nota riproduce un telegramma di Simon edito in DB, vol. VI, pp. 831-833. (2) -Il presente telegramma fu comunicato a Parigi, Mosca, Berlino, Varsavla, Bruxelles, Praga, Kaunas, Riga, Tallinn e Helsinki, con t. 937 C.R. del 14 luglio. (3) -Cfr. n. 509.

(l) Si pubblicano qui alcuni brani della !.p. CXXVII di Morreale a Jacomoni dello stesso 12 luglio:

517

APPUNTO (l)

Roma, 12 luglio 1934.

In risposta alle richieste del Governo albanese il Ministro può rispondere che noi siamo stati sempre disposti e lo siamo tuttora ad iniziare delle trattative con l'intento di risolvere le questioni pendenti fra i nostri due Paesi.

Occorre nello stesso tempo avvertire il Governo che le trattative devono riguardare tutti i punti controversi non lasciando nessuna questione in sospeso. Se gli albanesi dimostrano seria volontà di trattare -bisognerà prendere tutte le garanzie perché le trattative siano serie e rapide -noi dovremo insistere sui punti fondamentali, come quello delle scuole; cercheremo di non creare delle difficoltà inutili facilitando anzi agli albanesi il modo di uscire dalla situazione imbarazzante in cui si sono posti.

Indipendentemente da ciò converrà esaminare la possibilità, la forma e i limiti di una nuova azione contro l'Albania nel caso che le cose andassero troppo oltre sorpassando quest'ultimo margine di sopportabilità che ancora esiste.

Converrà mantenere esteriormente nei rapporti con l'Albania quell'attitudine di disinteresse che abbiamo seguito negli ultimi tempi.

518

L'ISPETTORE GENERALE DI PUBBLICA SICUREZZA, CONTI, AL CAPO DELLA POLIZIA, BOCCHINI (2)

L. R. P. Aquila, 12 luglio 1934.

Facendo seguito al mio rapporto del 7 corr. (3) pregiomi informare la V. E. che finalmente ho potuto trovare in Provincia di Aquila una località adatta per trasportarvi il noto Nucleo ( 4).

L'annessione dell'Austria significherebbe uno straordinario allungamento del fronte che non si potrebbe compensare colle sole forze levate In Austria, ed importerebbe le complicazioni politiche dell'aggiunta di nuove potenze limitrofe a quelle già esistenti... Oli avvenimenti di Germania hanno indubbiamente rotto questo fronte nazista o filonazlsta: una parte della cosiddetta "lntellettualltà ", già compattamente pangermanlsta e quindi filonazista, continua a pensare che Hitler è un grande uomo, ma un'altra parte riprova la barbarie della repressione ed una terza teme che, a ben considerare, 11 regime in Germania non è poi tanto stablle come si pensava ed è quindi opportuno essere molto prudenti. Questa nuova condizione di cose potrà permettere di trovare l! punto di appoggio per scardinare 11 fronte intellettuale formato dal giudici dal professori e da una parte della studentesca>>.

<<Come ho riferito a V. E. la scelta della Toscana come zona d'operazione per le grand! manovre rende indlspensablle e urgente 11 trasferimento del noto gruppo. Propongo quindi di cercare la località o meglio le località adatte in montagna, nella regione marchigiana,umbra o abruzzese».

Essa è situata nel piccolo Comune dr San Demetrio dove è possibile alloggiare in più stabili, una parte degli associati, mentre un'altra parte, dovrà per ora attendarsi in un podere recinto completamente da muro che travasi alla periferia del Comune anzidetto. Anche costoro peraltro in un secondo momento potranno essere alloggiati in una grrande casa vuota adiacente al podere, già un tempo adibita a ricovero dei Prigionieri di guerra, e che ora necessita di qualche restauro, che il noto Senian, provvederà a far gradatamente eseguire a seconda delle possibilità finanziarie di cui potrà disporre.

Ritengo che la località ora prescelta abbia effettivamente i requisiti di riservatezza desiderati, in quanto travasi, come sopra ho accennato, in un comune di scarsa popolazione e di secondaria importanza, diviso in molteplici frazio·~i nel cuore montuoso dell'Abruzzo; esso è distante dalla via Nazionale e vi si accede unicamente da una strada comunale che congiunge alcuni passi sparci fra i monti.

A ciò aggiungasi che il Comune anzidetto non offre alcuna attrattiva pei Forestieri, e quindi non è meta turistica. I componenti del Gruppo potranno perciò vivere appartati, e conservare facilmente se vogliono il carattere di operai addetti a rimboschimenti, come sono già stati da me indicati.

Sarei stato ben lieto, se mi fosse stato possibile, per soddisfare al desiderio espresso da S. E. il Sottosegretario di Stato agli Esteri, col quale ebbi l'onore di conferire, di frazionare maggiormente il Nucleo in più reparti e collocarli a maggiore distanza l'uno dall'altro, ma ciò mi è stato assolutamente impossibile, perché non son riuscito, anche con il valido aiuto delle Autorità locali a trovare per ora gli stabili occorrenti al bisogno. Tale difficoltà è stata anche maggiore per gli ampi spostamenti delle nostre Truppe che nel periodo estivo occupano gran parte delle zone montane.

Del resto come ho accennato il gruppo è già frazionato e ciò facilita il compito che i vari reparti che ora si trovano nel territorio di uno stesso Comune, possano in un secondo tempo, dato che se ne ravvisasse la necessità, esser maggiormente distanziati.

Quello che ora secondo il mio modesto avviso, necessita è di effettuare subito il trasferimento, e di dare disposizioni che le esercitazioni con le armi, continuino a rimanere sospese, almeno per un certo periodo di tempo ancora lungo.

A proposito poi della presenza in Arezzo del Segretario della Legazione Jugoslava, di cui è cenno nel precedente mio rapporto, debbo riferire che i dubbi da me espressi, rispondono alla realtà, in quanto da diretti accertamenti da me fatti eseguire è risultato che il predetto, nel recarsi a Siena (se pur vi si è recato) anziché transitare per l'arteria diretta che congiunge detta città con Arezzo, si è diretto verso la località Oliveto, e l'automobile ha sostato in contrada Albergo che non dista più di sei o settecento metri dalla Villa abitata dal Gruppo, con la scusa di fare il rHornimento di benzina. Non risulta che siano state richieste notizie, ma è evidente che la gita ad Arezzo non aveva altro scopo che di controllare la esattezza di notizie ricevute.

Aggiungo infine .che l'unico mezzo adatto per eseguire il trasferimento del Nucleo, è il treno speciale, che dovrebbe essere effettuato di notte e con le do

vute cautele 'per poter far perdere le tracce del Nucleo stesso, almeno per qualche tempo.

Prima però di far pratiche al riguardo col Capo del Compartimento competente, attendo di .essere a ciò autorizzato dalla E. V. ed attendo anche che il Senian disponga dei fondi all'uopo necessari.

(l) -L'appunto è privo di firma e reca a margine l'annotazione di suvich: «Conclusioni approvate». (2) -Da ACS, P.S., Ispettorato di P.S. in Pisa per gli affari dei fuorusciti croati. (3) -Non pubblicato. (4) -In un appunto di Cortese per Suvich del 3 giugno si legge:
519

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2568/212 R. Berlino, 13 luglio 1934, ore 14,45 (per. ore 17,30)

Questo ambasciatore d'Inghilterra si recò nel pomeriggio di ieri dal barone Neurath al quale comunicò d'ordine del suo Governo che principale oggetto della conversazione fra Barthou e Simon era stato il patto orientale.

Governo britannico che per mancanza di informazioni sufficienti si era mostrato finora piuttosto scettico al riguardo aveva avuto motivo di convincersi, dopo spiegazione fornita da Barthou, che patto in questione avrebbe potuto costituire realmente una garanzia di pace.

Governo britannico aveva prima di esprimere tale avviso, chiesto a Barthou se Governo francese avrebbe dato sua approvazione ai tre punti seguenti:

l) Giusta modo di vedere della Francia l'U.R.S.S. deve essere pronta a dare alla Germania come pure alla Francia le stesse garanzie contro una aggressione non provocata che essa darebbe se fosse firmataria del trattato di Locarno;

2) Quanto al patto orientale proposto, la Francia sarebbe pronta a dare le stesse garanzie tanto alla Germania che all'URSS;

3) Governo francese concorda con quello britannico nel giudicare che la conclusione di un simile patto e la partecipazione della Germania nel sistema di garanzie reciproche che viene presa in considerazione nel momento presente costituirebbe il migliore terreno per una ripresa di negoziati onde concludere una convenzione che darebbe applicazione ragionevole al principio dell'uguaglianza di diritto della Germania in un regime di sicurezza per tutte le Nazioni.

Avuta l'approvazione di Barthou ai tre punti suddetti, Simon gli aveva dichiarato di essere disposto a comunicare il consenso inglese a Berlino e Varsavia.

Aveva precisato al tempo stesso che l'Inghilterra non parteciperebbe peraltro all'eventuale trattato orientale. Phipps aveva espresso dal suo lato al barone Neurath la speranza del Governo britannico che la Germania accedesse al trattato orientale.

Neurath aveva risposto che le obiezioni mosse dalla Germania, che non aveva sino ad oggi ricevuto precisioni circa la portata del trattato in questione. sarebbero cadute se Inghilterra avesse accettato partecipare come garante al trattato stesso.

Dato atteggiamento negativo assunto dal Governo inglese sembrava a Neurath difficile mutare il proprio atteggiamento.

Neurath aggiunse che in ogni caso Germania avrebbe dovuto porre come condizione preventiva e categorica per sua partecipazione al trattato orientale che le fosse accordata uguaglianza completa, cioè diritto possedere qualsiasi specie armi.

Mio collega inglese mi ha dato lettura in via confidenziale di un telegramma di Drummond al Foreign Office nel quale questi riferisce conversazione avuta ieri con S. E. Capo del Governo e accordi presi per comunicazione da farsi da Simon alla Camera dei Comuni.

Oggi alle 18 vedrò von Biilow (1).

520

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI (2)

T. 935/143 R. Roma, 13 luglio 1934, ore 21,30.

Voglia compiacersi da parte del capo del Governo col cancelliere Dollfuss per la riforma del Governo che ne rinforza la compagine ed indica la volontà di seguire una politica decisa e fattiva per il rinnovamento dello Stato. Voglia compiacersi pure, sempre da parte del capo del Governo, col ministro Fey per la missione importante e delicata affidatagli dalla quale dipende il ristabilimento della tranquillità e dell'ordine in Austria (3).

521

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2582/213 R. Berlino, 13 luglio 1934, ore 22,10 (per. ore 17,30 del 14) Mio telegramma n. 212 (5).

Von Btilow mi ha detto che ambasciatore d'Inghilterra rimise ieri al barone Neurath il testo del trattato assistenza regionale tra Polonia, Russia, Ger-· mania, Cecoslovacchia, Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania consegnatogli da Barthou insieme con i tre punti britannici, accettati da quest'ultimo.

Espresse nello stesso tempo speranza che Governo del Reich riconoscendo intenzioni pacifiche del patto proposto accettasse farne parte.

Agenzie telegrafiche avevano testè comunicato discorso di Simon alla Carnera dei Comuni di cui questo ministero degli affari esteri aveva avuto parziale notizia da incaricato d'affari a Londra per telefono.

Occorrerà attendere leggere discorso nel testo originale inglese essendo le notizie delle agenzie poco chiare. Questo ministero degli affari esteri attende pure conoscere comunicato italiano annunziato da Simon nel suo discorso.

Von Biilow aggiunse che tutta questa faccenda riusciva oltremodo sgradita al Governo del Reich anche per il modo anormale con cui essa gli è stata presentata.

Dapprima comparve ambasciatore di Francia a parlare di un trattato di garanzia orientale dicendo che il Governo tedesco avrebbe ricevuto maggiori dettagli da altra parte.

Poi comparve Litvinov che si limitò a menzionare il trattato come risultato delle sue conversazioni con Barthou, chiedendo alla Germania di parteciparvi senza però fornire nè il testo del trattato proposto nè spiegazioni esaurienti.

Compare ora l'ambasciatore d'Inghilterra ed è lui che presenta il testo franco-sovietico insieme con delle osservazioni inglesi, ancorchè dichiari che la Gran Bretagna intende restare al di fuori del patto stesso.

Un esame non ancora approfondito del testo rimesso aveva dato al Governo tedesco impressione che Francia mirasse ad acquistarsi assoluta egemonia sul continente europeo e gli rendeva difficile comprendere come Governo britannico ed a quanto sembra anche il Governo italiano potessero vedere in ciò una garanzia di tranquillità per l'Europa.

Progetto presupponeva poi che le parti contraenti fossero tutte membri della S.d.N., mettendo dunque in non cale la posizione assunta dalla Germania.

Si parla sin dal primo articolo di assistenza reciproca in caso di attacco, il che tradiva il suo carattere di alleanza militare. U.R.S.S. acquisterebbe con trattato stesso libertà d'azione verso il Giappone.

Germania non intende ammettere alcuna modificazione o ampliamento del trattato di Locarno con ingerenza in esso dell'U.R.S.S. Essa scorge i maggiori pericoli a considerare possibilità che truppe francesi dovessero combattere sulla Vistola, dopo aver transitato sul territorio germanico e che truppe sovietiche dovessero fare analoga cosa sul Reno.

Secondo suo modo di vedere se U.R.S.S. crede ancora alla possibilità di estendere propaganda bolscevica nel mondo, essa dovrebbe, qualora trattato proposto si concludesse, cercare ogni occasione per suscitare dissidi onde avere modo di bolscevizzare l'Europa portando in essa le idee sovietiche insieme a proprie truppe.

Atto generale di cui tratta la terza parte del progetto sembra dovere comprendere numerosi patti di assistenza conclusi e da concludersi, posti tutti sotto il protettorato della Francia, arbitra assoluta in Europa.

Tutte queste ragioni e altre che potrebbero sorgere da un più attento studio del progetto inducono Governo tedesco ad assumere a suo riguardo una posizione di grande riserva a tutela dei suoi interessi vitali.

Non è sua intenzione di dare prossimamente alcuna risposta al riguardo. Esso si propone invece di mettersi in rapporto con vari Governi e non solo con quelli che dovrebbero essere firmatari del trattato, dato che l'egemonia francese in Europa è cosa che riguarda tutti.

Sapevo già che Finlandia e Polonia non vi sono favorevoli.

Biilow mi ha detto infine che ancorché l'attitudine che sembra avere preso Governo italiano, circa la quale Germania non aveva sino ad ora alcuna notizia, potesse creare qualche divergenza di vedute fra i due Governi, egli riteneva della massima importanza che tale diverso modo di considerare il problema non divenisse pubblico e che si iniziassero viceversa scambi di vedute confidenziali al riguardo.

Sapendo che mi sarei recato domani a Roma mi pregò vivamente di esporre verbalmente ed estesamente a V. E. le preoccupazioni tedesche. Arrivando domenica mattina porterò meco testo del documento sopra menzionato.

(4). (1) -Cfr. n. 521. (2) -Minuta autografa di Suvich. (3) -Preziosi comunicò con t. 2589/227 R. del 15 luglio: «Cancelliere è profondamente grato a S. E. 11 Capo del Governo per alto suo compiacimento del quale sl è dichiarato particolarmente lieto». (4) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Il presente telegramma, giunto a Roma alle 0,25 del 14 luglio, è stato rimesso per disguido all'Ufficio Cifra dall'Ufficio Apertura corrispondenza alle ore 17,30 di oggi ». (5) -Cfr. n. 519.
522

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA, POTEMKIN (l)

APPUNTO. Roma, 13 luglio 1934.

L'Ambasciatore Potemkin richiama l'attenzione del Capo del Governo sull'atteggiamento di certa stampa italiana che per gli attacchi che fa all'unione dei Soviet, pare non essere perfettamente nelle linee della politica governativa e dei rapporti di amicizia esistenti tra i nostri Paesi. Egli si rende tuttavia conto che tale stampa agisce per conto proprio e non su ispirazioni che provengono da circoli governativi; sarebbe però bene se tale atteggiamento, che crea pur sempre un certo malessere, fosse modificato.

Uno dei motivi per i quali si attacca la politica russa, è quello dei rapporti fra l'Unione e la Piccola Intesa. Ora l'Ambasciatore ci tiene a rilevare che Litvinoff in ogni occasione, e ciò anche per corrispondere al desiderio italiano ha tenuto a distinguere la Piccola Intesa dai singoli paesi che la compongono: ha trattato bensì con questi ultimi, ma non con la Piccola Intesa come tale.

Il Capo del Governo terrà conto delle raccomandazioni dell'Ambasciatore Potemkin.

Quest'ultimo chiede poi quale sia l'atteggiamento dell'Italia nell'ultima fase della questione relativa al Patto orientale. Il Capo del Governo risponde che la nostra opmwne è contenuta nel comunicato uscito oggi (1), comunicato che legge e commenta all'Ambasciatore.

L'Ambasciatore Potemkin prende nota con piacere dell'atteggiamento italiano sperando tuttavia che l'Italia vorrà andare più in là collaborando direttamente al successo del Patto proposto. L'Ambasciatore spiega che l'Unione dei Soviet è stata costretta ad avvicinarsi alla Francia come reazione all'atteggiamento tedesco e all'atteggiamento polacco: la politica della Germania non può lasciare tranquilla la Russia. Quella però che è ancora più equivoca, è la politica della Polonia. Litvinoff ha avuto una conversazione con Beck di tre ore dalla quale non è riuscito a ricavare nulla avendo Beck un atteggiamento di una freddezza glaciale.

Il Capo del Governo ammette che la recente politica tedesca e polacca non può lasciare indifferente il Governo russo.

L'Ambasciatore soggiunge constargli che da qualche parte si vuole far credere che la Russia sia presa a rimorchio della Francia; questa supposizione è assurda: la Russia è un paese di 160 milioni di abitanti che rappresentano un sesto della popolazione del mondo intero. Ha una organizzazione militare di prim'ordine in terra, sul mare e in aria, come avranno potuto confermarci i nostri Addetti Militari. La Russia sarà sempre in grado di fare una politica indipendente.

L'Unione dei Soviet desidera poi vivamente di poter trovare un accomodamento con la Germania che dia tranquillità all'una e all'altra; l'occasione che oggi si offre col Patto orientale pare ottima: la Germania ha un ottimo pretesto per uscire dalla sua posizione di isolamento e per avviare a soluzione la questione della parità dei diritti. L'Italia potrebbe far capire amichevolmente a Berlino tutto il vantaggio che la Germania potrebbe ritrarre dall'odierna situazione se non si irrigidisce in una posizione assurda lasciandosi sfuggire una simile occasione.

Il Capo del Governo chiede se veramente il Governo dei Soviet ci tenga molto all'intervento del Governo italiano. Il signor Potemkin risponde che lo considera una cosa del massimo interesse.

Il Capo del Governo non mancherà di corrispondere a tale desiderio del Governo dei Soviet cercando di influire su Berlino.

Tale Patto ha subito nei colloqui di Londra tra Barthou e Simon una radicale modificazione. Concepito, forse, in funzione antlgermanica, è oggi, nelle nuove proposte, tale da evitare questo pericolo, in quanto che mette sullo stesso plano di reciprocità sul fronte occidentale Francia e Germania il che già avviene col Trattato di Locarno, e sul fronte orientale Germania e U.R.S.S.

Questo protocollo ha inoltre il valore di un implicito riconoscimento della parità di diritti rivendicata dalla Germania, parità contro la quale ogni residua riserva non ha più ragione di essere.

L'Italia, che non ha interessi diretti su quelle frontiere e ha soltanto interessi di ordine generale per quanto concerne l'assetto europeo, ha seguito una linea di condotta che è coincisa con quella della Gran Bretagna, e cioè: nessun nuovo impegno oltre a quelli di Locarno, e una favorevole considerazione di fronte ad un Patto che le discussioni di Londra hanno completamente trasformato, avvicinandolo alle linee tradizionali della politica italiana. Naturalmente, la parola definitiva spetta agli Stati interessati».

(l) L'appunto è redatto da Suvich, presente al colloquio.

(l) Il comunicato era il seguente: «Negli ambienti responsabili italiani, a proposito del Patto orientale di mutua garanzia, si fa notare quanto segue:

523

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2568/935. Londra, 13 luglio 1934.

Coi miei telegrammi n. 456 e seguenti (l) ho informato V. E. della visita del Signor Barthou a Londra, delle conversazioni e degli accordi presi con Simon e dell'accoglienza che l'opinione pubblica ha fatto al suo viaggio, e V. E. potrà avere constatato quello che sia stato il bilancio generale di questa visita. In sostanza Barthou, venuto qui a interessare l'Inghilterra a un patto di mutua assistenza col quale si sarebbe dovuto sviluppare fino alle frontiere orientali dell'Europa il Trattato di Locarno e nel quale si sarebbe dovuto inserire un accordo politico franco-russo, è ripartito da Londra avendo constatato che l'Inghilterra non ha la minima intenzione di allargare direttamente o indirettamente le garanzie del Trattato di Locarno, avendo ammesso che la conclusione di un nuovo trattato di garanzia dev'essere accompagnata dalla soluzione del problema della uguaglianza dei diritti nel campo degli armamenti e avendo rinunciato a fare accettare dagli inglesi l'idea che un rinnovamento dell'alleanza franco-russa possa essere vantaggiosamente inserito nella garanzia di pace dell'Europa.

A questo prezzo, che può essere variamente giudicato, ma che agli inglesi è sembrato abbastanza caro, egli è riuscito a ottenere che il Governo Britannico dichiarasse quella che è stata definita da Sir John Simon una «neutralità benevola» di fronte all'iniziativa del Patto Orientale. Anzi si può dire forse di più, perché Barthou ha in realtà accettato un contro progetto britannico che, nell'apparenza mantiene alcune delle linee del progetto francese, nella sostanza lo modifica in quanto esclude quello che ai francesi e ai russi sembrava premere di più e cioè la mutua garanzia tra i due paesi.

Come ho telegrafato a V. E., Sir John Simon crede di essere andato più oltre: crede di avere per ora allontanato il pericolo di un'alleanza franco-russa che nella mente di Barthou si sarebbe dovuta sviluppare all'ombra del Patto di mutua assistenza. Questo è anzi il principio che egli ha seguito nelle conversuzioni con Barthou, e nello spiegarmi la sua linea di azione egli ha particolarmente insistito nel mettere in rilievo che quello che egli ha cercato di ottenere è stato di mettere dei limiti e delle condizioni alla politica francese, piuttosto che opporre una resistenza di carattere puramente negativo, la quale avrebbe potuto lasciare infine alla Francia libertà di azione.

I risultati diplomatici del viaggio di Barthou sono questi. Ma i risultati politici sono di natura per lo meno più complessa. La visita di Barthou non è valsa solamente a chiarire l'atteggiamento del Governo britannico di fronte al Patto di Mutua Assistenza, e a mettere in luce l'opposizione inglese ad un rinnovamento dell'alleanza franco-russa; essa è servita a meglio fissare la posizione dell'Inghilterra di fronte al problema generale delle garanzie diplomatiche che legano attualmente e possono legare in avvenire le Grandi Potenze d'Europa.

Tali risultati -di carattere, come V. E. sa, negativo -acquistano maggior valore se si tiene conto che in questi ultimi mesi la tendenza inglese a definire e a fissare una politica di autonomia di fronte all'Europa si è andata notevolmente rafforzando. Vari elementi hanno concorso a rendere più stretto e più rigido l'isolamento britannico e ne indico qui solo i maggiori:

l) Il fallimento dei negoziati di Ginevra e in genere dell'attività della S.d.N., fallimento che ha fatto cadere in Inghilterra l'illusione di poter condurre una politica europea attraverso il meccanismo ginevrino.

2) Gli avvenimenti di Germania, i quali hanno impresso più profondamente nell'opinione pubblica inglese la sensazione che nell'Europa Continentale esistano latenti oscuri pericoli di nuove rivoluzioni e di nuove guerre e che l'Inghilterra, per non trovarsi coinvolta in un nuovo conflitto, debba attenuare i suoi legami e le sue responsabilità internazionali.

3) La pressione di una parte assai notevole del partito conservatore per un aumento degli armamenti dell'Inghilterra e un rafforzamento della difesa nazionale sopratutto contro la possibilità di attacchi aerei, pressione che già si è tradotta in una intensificazione della politica aeronautica militare inglese.

La politica estera inglese sembra perciò bilanciarsi fra due punti fermi, da una parte una limitazione al minimo delle responsabilità internazionali dell'Inghilterra, dall'altra una ripresa dell'antico concetto che l'Inghilterra debba garantire la sua politica isolazionista per mezzo di una difesa nazionale autonoma che, se nel passato era essenzialmente concentrata nella flotta, attualmente viene distribuita tra la flotta e l'armata aerea. Questi concetti si trovano fedelmente rispecchiati nel discorso pronunciato domenica scorsa a Birmingham dal Cancelliere dello Scacchiere.

Che il Cancelliere dello Scacchiere abbia scelto proprio la vigilia della visita di Barthou per fare queste dichiarazioni è un fatto già di per se stesso significativo. Esso serve per lo meno a mettere in rilievo quanto il Governo inglese si sia preoccupato di chiarire di fronte al Paese che la visita di Barthou non può essere in nessun modo messa in rapporto con le voci che sono corse in questi ultimi tempi, e sopratutto dopo il viaggio di Weygand, di una modificazione nelle sue direttive politiche fondamentali. Tali voci avevano preso una certa consistenza perché esse venivano riconnesse alle attività di quegli uomini politici inglesi che lavorano in favore di una ricostruzione dell'Intesa Cordiale franco-britannica. Una tale corrente, come ho più volte segnalato, esiste in seno al partito conservatore ed ha delle ramificazioni che penetrano fino all'interno del Gabinetto, dove vi è effettivamente chi crede che un accordo politico franco-inglese garantirebbe la sicurezza militare dell'Inghilterra e nello stesso tempo varrebbe a immobilizzare la Germania, scoraggiandola da qualunque iniziativa che essa volesse prendere per una guerra di rivendicazioni nazionali. Questa corrente ha sempre fondato i suoi calcoli sulla ostilità popolare inglese verso il Regime Nazi e ha ripreso e riprende vigore ogni volta che gli avvenimenti interni della Germania suscitano delle reazioni popolari in Inghilterra e danno così la possibilità di fare appello ai sentimenti del popolo inglese contro la politica tedesca. Questo è ciò che in pratica si è verificato ancora una volta nelle ultime settimane.

40 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Gli avvenimenti in Germania hanno suscitato in Inghilterra una nuova ondata anti-nazi, non tanto contro Hitler per la maniera colla quale egli ha agito, quanto contro l'atmosfera psicologica della Germania che alla mente degli Inglesi appare come un covo tenebroso di violente passioni. E' questo che ha dato coraggio agli elementi i quali tentano di condurre l'Inghilterra verso un riavvicinamento colla Francia che ha fatto rinascere delle ipotesi illusorie di accordi politici e militari, la cui iniziativa il Daily Herald ha finanche attribuita al Ministro della Guerra, Visconte Hailsham. Dico ipotesi illusorie, perché appena profilatesi esse hanno suscitato una tempesta di reazioni: da parte laburista, per l'ostilità che i laburisti hanno ad ogni sistema di accordi militari; da parte conservatrice, per l'ostilità che una notevole frazione conservatrice ha verso il concetto stesso di un regime di impegni internazionali, nei quali l'Inghilterra si verrebbe a trovare serrata con definitivo pregiudizio della autonomia della sua politica estera.

Trascrivo qui, come documento di questa mentalità, l'editoriale che lunedì scorso ha pubblicato il Daily Express:

«Il Signor Barhou è arrivato qui da Parigi per reiterare, sottolineare, e riconfermare il Patto di Locarno. Quel Trattato ci impegna a combattere per la Francia o per la Germania. Per ora non possiamo neppure dire per quale delle due. Non possiamo fare dei piani per la guerra che il Trattato stesso prevede ed alla quale esso ci impegna a prender parte, perché non sappiamo ancora da quale parte dobbiamo combattere. Finiamola con questo stupido e dannoso Trattato. In ogni caso nessun trattato può esistere se non riceve il consenso del popolo. Chiunque, anche uno stupido, può accorgersi che il popolo britannico non ha simpatia per questo Patto».

Questo non è certo il punto di vista del Governo britannico, il quale si tiene fermo al mantenimento del Trattato di Locarno, ma è una corrente popolare la cui forza è andata in questi tempi aumentando e che mette il Governo nelle condizioni di dover-almeno per ora -limitare al mantenimento del Trattato di Locarno la difesa delle responsabilità internazionali dell'Inghilterra. È di fronte, infatti, ai suoi avversari laburisti e di fronte ai suoi sostentori dell'ala estrema conservatrice, che il Governo britannico si è sentito sopratutto obbligato in questi giorni a chiarire e a precisare che la politica estera inglese riposa sopra il concetto che l'Inghilterra non può estendere il sistema delle garanzie internazionali oltre a quelle che essa ha già contratto.

Da questo punto di vista il viaggio di Barthou a Londra non poteva avvenire in condizioni meno favorevoli. Io non so se a decidere il Signor Barthou a venire qui abbia, almeno in un primo momento, valso la considerazione che la ripresa di ostilità popolare che vi è in questo momento contro la Germania potrebbe favorire un ravvivamento dell'Intesa Cordiale. Se così è, devo dire che è questo un errore di valutazione perché, ripeto, di fronte agli avvenimenti di Germania come di fronte a qualunque manifestazione di una crisi politica nell'Europa continentale, il popolo inglese si rafforza in una sola convinzione ed è che l'Inghilterra debba far parte a se stessa e non essere esposta alle conseguenze che le crisi interne degli Stati europei possono provocare nel campo internazionale. Tipica, in questo senso, è stata l'interrogazione del Deputato Evans, lunedì scorso ai Comuni: «Crede il Segretario di Stato per gli Affari Esteri che, in vista delle mutate condizioni politiche della Germania, il Governo britannico debba continuare ad attenersi alle obbligazioni contratte dall'Inghilterra col Trattato di Locarno? ».

Dirò di più, la visita di Barthou richiamando l'attenzione dell'opinione pubblica direttamente sul problema delle attività della politica estera francese in un momento in cui queste attività si dirigono verso un allargamento del sistema delle garanzie internazionali, ha acuito l'opposizione a una partecipazione inglese a queste garanzie ed ha obbligato il Governo britannico a prendere pubblicamente delle posizioni alle quali esso avrebbe forse potuto nei rapporti diplomatici ordinari dare un carattere meno perentorio.

Rimessi in discussione i problemi di Locarno, i confini delle responsabilità britanniche si sono ristretti al minimo indispensabile, la possibilità di accordi ll per ora caduta, e con questo anche il piano più lontano di risuscitare il Protocollo di Ginevra dalla fusione di vari Patti regionali, piano che è stato attribuito forse non senza fondamento al Signor Barthou. Alla Francia resta l'impegno di far procedere parallelamente i negoziati per la soluzione del problema dell'uguaglianza di diritto nel campo degli armamenti con quelli per la conclusione del Patto Orientale.

(l) Cfr. nn. 487, 488, 489, 512 e 514.

524

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, E A VARSAVIA, BASTIANINI, E AI MINISTRI A HELSINKI, TAMARO, A KAUNAS, AMADORI, A PRAGA, ROCCO, A RIGA, MAMELI, E A TALLINN, WEILL SCHOTT

T. 936/c.R. Roma, 14 luglio 1934, ore 17,30.

Il Governo britannico ha fatto conoscere al Governo italiano che nelle conversazioni che hanno avuto luogo testé a Londra col signor Barthou, quest'ultimo ha accettato di modificare il proprio atteggiamento nei riguardi della cosidetta Locarno orientale uniformandola allo spirito che è proprio della Locarno occidentale mutando così radicalmente significato e portata delle proprie proposte. Gli accordi da concludere sono due. Il primo tra la Polonia, l'URSS, la Germania, la Cecoslovacchia e gli Stati baltici, l'altro tra la Francia, l'URSS e la Germania. Tanto l'uno quanto l'altro si basano sul principio dell'assoluta reciprocità. Il primo impegnerebbe le parti contraenti a darsi reciprocamente assistenza nel caso di attacco di uno Stato contraente contro l'altro -non quindi contro uno Stato determinato ma contro l'aggressore e a difesa dell'aggredito. Col secondo la Francia garantirebbe Germania e URSS contro ogni aggressione non provocata: parimenti l'URSS garantirebbe alla stessa guisa Francia e Germania. La reciprocità resta così assicurata. Inoltre il Governo britannico ha chiesto e Barthou ha accettato che le conclusioni di un tale patto si colleghino colla riassunzione dei negoziati per la conclusione di una convenzione capace di provvedere ad un'applicazione ragionevole del principio dell'uguaglianza dei diritti della Germania in un regime di sicurezza per tutte le Nazioni.

L'atteggiamento assunto dal Governo britannico nei vari aspetti di questa quistione può considerarsi conforme a quello tradizionale del Governo italiano.

Il Governo britannico ha informato che nella giornata di oggi avrà luogo alla Camera dei Comuni una discussione di politica estera in cui Simon farà dichiarazioni a proposito della visita di Barthou e ha fatto sapere che avrebbe altamente apprezzato un'indicazione dell'approvazione e della cooperazione del Governo italiano sul punto di vista da esso assunto aggiungendo che sarebbe stato felice di annunciarlo alla Camera.

Con telegramma a parte (telegramma n. 937/C.) (l) le invio il testo del telegramma da me inviato in proposito al R. ambasciatore a Londra col quale il Governo italiano constata l'analogia di vedute anglo-italiane e autorizza il Governo britannico a servirsi di tale comunicazione nelle dichiarazioni da fare.

Circa quanto precede è stato diramato un comunicato (2).

Inoltre nella giornata di oggi e di domani mi propongo di esprimermi con i rappresentanti qui della Francia, Germania, URSS e Polonia nei termini indicati nel telegramma inviato a Londra.

Quanto precede per sua informazione e opportuna norma di linguaggio. Mi riservo di telegrafarle ulteriormente. Telegrafato a Parigi, Mosca, Berlino, Varsavia, Bruxelles, Praga, Kaunas, Riga, Tallinn, Helsinki.

525

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 14 luglio 1934.

L'Ambasciatore Chambrun è venuto a riferirmi sul suo viaggio a Parigi: egli era partito piuttosto demoralizzato e ritorna pieno di speranze avendo trovato a Parigi molta comprensione per i problemi italiani. Barthou, che pensa di venire in Italia per la fine di settembre o i primi di ottobre, vorrebbe parlare col Capo del Governo di due problemi principali: il Patto Orientale (che implica tutti i problemi per la sistemazione europea e i rapporti con la Germania) ed il problema danubiano, per il quale è noto il punto di vista della Francia, disposta a dare la precedenza all'Italia: in quest'ultimo riguardo si tratterebbe di trovare un sistema di relazioni a fini ricostruttivi dei paesi che vivono nel Bacino danubiano fra loro e nei rapporti coll'Italia; anche a Belgrado Barthou ha fatto chiaramente capire che l'interesse dei jugoslavi è quello di mettersi d'accordo con l'Italia.

Chambrun che ha visto Barthou prima della sua partenza per Londra, gli aveva detto che se il Patto Orientale si fosse potuto modificare in modo da garantire l'uguaglianza di trattamento alla Germania, egli riteneva che l'Italia non avrebbe avuto motivo di opporvisi.

È molto lieto che le conversazioni di Londra abbiano potuto portare a tale risultato.

Per quanto riguarda i due problemi a cui ha accennato il Capo del Governo come problemi da risolvere preliminarmente alla visita di Barthou, egli ha avuto occasione di parlare in merito con gli Uffici competenti. Deve dirmi subito che, mentre non ha trovato alcuna difficoltà per la soluzione del problema tunisino, si è scontrato invece in notevoli opposizioni e diffidenze per quanto riguarda il problema dei confini meridionali della Libia. Egli ritiene che sia meglio parlare fin da ora con tutta chiarezza. Ci sono i circoli coloniali francesi che sono molto allarmati per le nostre richieste relative ad una estensione del territorio libico verso il sud. La preoccupazione francese si riassume nell'interrogativo: a che scopo vogliono gli Italiani questa estensione di territorio in un paese senza risorse, senza centri importanti ecc. ecc.? La risposta é che ciò non può essere altro che per aprirci il varco verso il Lago Tciad. Ora va tenuto presente che un accesso italiano al Lago Tciad vorrebbe dire dividere nettamente l'Africa Equatoriale dall'Africa Occidentale francese, il che ai circoli coloniali pare cosa inammissibile.

L'Ambasciatore mi chiede se non potremmo rinunciare a tale nostro progetto eventualmente verso qualche altro compenso.

Gli rispondo che la cosa non mi pare facile. Noi abbiamo sempre parlato appunto di un accesso al Lago Tciad; in ogni modo di quale compenso si tratterebbe?

L'Ambasciatore mi dice di non essere in grado di precisarmi. Si potrebbe pensare però che mentre la Francia ha più interessi nell'Africa Mediterranea, noi potremmo averne maggiori nell'Africa Orientale, sul Mar Rosso.

Gli rispondo di non essere sufficientemente informato della cosa per potere entrare in una discussione del genere. Lo faremo nei prossimi giorni in tema di preparazione della visita di Barthou.

Il signor Chambrun mi chiede infine se può riferire a Parigi di avere avuto la conferma che noi vediamo con simpatia il Patto Orientale.

Gli rispondo di sì perché consideriamo che esso possa risolvere la questione della parità di diritti per la Germania e avviare a soluzione la questione della limitazione degli armamenti.

Mi dice che in questo caso preferisce non dire niente a Parigi perché non vuole «brusquer » la situazione. A Parigi si pensa che sarebbe una buona cosa se l'Italia prendesse l'iniziativa di un Patto Mediterraneo che potrebbe fondarsi sulle linee tradizionali della politica italiana, includendo anche la Jugoslavia ed altri Paesi.

Rispondo che per il momento non ci pensiamo.

L'Ambasciatore ritiene che non ci sia urgenza a far pervenire l'invito a Barthou, dato che è forse meglio cominciare prima con la preparazione di tale visita.

L'Ambasciatore chiede anche di poter essere ricevuto dal Capo del Governo per poterGli riferire direttamente i colloqui avuti con Doumergue e Barthou.

(l) -Cfr. n. 515, nota 2. (2) -Cfr. n. 522, nota l, p. 553.
526

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 14 luglio 1934.

Ho convocato il Signor von Hassell per metterlo al corrente dell'attuale fase del Patto Orientale, ponendo in rilievo il radicale mutamento del progetto francese che ci ha indotto a considerare la cosa con maggiore benevolenza.

Naturalmente la Germania farà quello che crede. Nel caso però che volesse approfittare dell'odierna occasione per fare una politica di maggiore collaborazione con le altre Potenze, è bene che la base di tale collaborazione non sia di esclusiva marca francese. A ciò appunto può servire la presa di posizione inglese e italiana che riafferma i principi tradizionali della nostra politica accettati dalla Germania -equiparazione, parità di diritto, limitazione degli armamenti.

L'Ambasciatore ringrazia per la comunicazione. Si rende conto dell'importanza del mutamento avvenuto nel piano francese e riferità tutto a Berlino.

527

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 14 luglio 1934.

At the end of our conversation on Thursday evening (l) on the subject of the Eastern mutuai guarantee pact I remarked that I felt sure my Government would be particularly happy when they were informed of your point of view with regard to the pact.

I can now confirm what I then said since I have been specially instructed to convey to you the gratification of my Government at the close identity of your and their views on this most important question.

528

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI (2)

T. 939/145 R. Roma, 15 luglio 1934, ore 23,30.

Dal momento che Fey ha assunto la direzione della lotta contro il terrorismo nazista e poiché io lo credo uomo capace di condurla, desidero che V. S. gli trasmetta -a mio nome -queste considerazioni facendogli anche osser

vare che sono il risultato di una esperienza vissuta dal regime fascista, quando

riuscì a stroncare tra il 1928-30 ogni tentativo di terrorismo dei fuorusciti e della

mano nera.

l) è necessario che il Governo austriaco non emetta altre ordinanze, poiché la loro frequenza ricorda troppo da vicino oramai le spagnuole «grida » di manzoniana memoria; 2°) bisogna applicare invece le ordinanze esistenti e ripulire magistratura e polizia; 3) bloccare nella maniera più assoluta il confine colla Germania; 4) scuotere con ogni mezzo -di propaganda o di denaro -la passività veramente vile della popolazione, passività che diventa vera e propria complicità. Conclusione: agire in silenzio, ma agire.

(l) -Non è stato rinvenuto l! verbale d! questo colloquio. Cfr. In proposito DB, vol. VI, pp. 837-838. (2) -Ed. in MuSSOLINI, Opera Omnia, VOl. XLII, pp. 81-82 e !n DE FELICE, p. 498.
529

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2617/332 R. Addis Abeba, 16 luglio 1934, ore 17 (per. ore 23,45 del 17).

Circa notizie e voci segnalate dal R. console Gondar di cui al telegramma

n. 13 (informazioni militari) del 12 corrente (l) che dal Governo dell'Eritrea penso sia stato comunicato al R. Ministero delle colonie, secondo gli elementi finora in mio possesso, non ritengo di potervi dare un valore assoluto benché tali siano state anche a me riferite; ma in ogni modo devono essere considerate come una nuova ripresa dello stato di allarme e di preoccupazione dell'Etiopia verso di noi, e dei preparativi militari generici che, in conseguenza, il Governo etiopico sta facendo.

Occorre tener conto anche di alcune recenti difficoltà interne (sospetto su Ras Sejum del reggente ufficio etiopico all'Asmara dissenso fra Imperatore e principe ereditario).

Ho dato ad ogni buon fine istruzioni a Di Lauro di controllare con ogni cura notizia e mi riservo telegrafare.

530

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2603/72 R. Varsavia, 16 luglio 1934, ore 21,15 (per. ore 4 del 17).

Telegramma di V. E. n. 936/C. (2).

<< Deg!ac A!leu e degiac Uondussen hanno convocato a Debra Tabor e Dabat principaliloro sottocapi e dato loro ordine di tenersi pronti con armati e viveri per sei mesi per partire, subito dopo stagione piogge, per ignota destinazione d'ordine dell'Imperatore. Ovunque sarebbe stata diffusa voce di prossima guerra e si afferma che predetti degiac nonché ras Sejum avrebbero assicurato Negus di esser in grado, con sole loro truppe, attaccare di sorpresal'Eritrea ».

Anche dopo visita che questo ambasciatore d'Inghilterra ha fatto a Beck, atteggiamento polacco dinanzi progetto Locarno orientale, resta, come dimostra anche articolo ufficioso Gazeta Polska, fortemente negativo.

Ha destato qui perplessità adesione italiana e, specie dopo dichiarazione che Barthou ha fatto ieri a Bayonne escludere definitivamente concessione in materia disarmo, si considera successo progetto come definitivo irrigidirsi situazione europea e consolidamento Francia che con patto orientale, patto balcanico, patto Piccola Intesa riuscirebbe finalmente diventare unico elemento decisivo in ogni settore di Europa, compreso questo, dove Polonia non (dico non) intende rinunziare sue note ambizioni.

Si aggiunge essere errore e pericoloso precedente interessamento Russia a questione occidentale europea. Esprimesi quindi apertamente speranza che azione diplomatica polacca riesca far fallire un tale piano. Tali riserve che ho potuto raccogliere in questi ambienti politici e giornalistici, ho ritenuto opportuno riferire a segnalazione attuale stato d'animo locale.

(l) Come risulta del t. 945/170 R. dello stesso 15 luglio inviato da Suvich a Vinci il console a Gondar aveva segnalato:

(2) Cfr. n. 524.

531

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma,, 16 luglio 1934.

L'Ambasciatore Drummond mi presenta l'unita nota relativa alla costruzione delle due navi da 35 mila tonnellate. Egli aggiunge che l'attuale passo non è in nessuna relazione con la visita di Barthou a Londra, perché la cosa era decisa fin da prima, ma egli aveva dovuto chiedere dei chiarimenti.

Ripete che non si contesta in nessun modo, anzi si riconosce in pieno il perfetto diritto dell'Italia di impostare le due navi con il tonnellaggio indicato; il Governo della Gran Bretagna fa presente soltanto il fatto che l'impostazione di queste due navi vuol dire fare adottare per quella qualsiasi convenzione che verrà fatta per il futuro, come tonnellaggio minimo il tonnellaggio di 35 mila. È evidente infatti che la Francia dovrà riservarsi il diritto di costruire dopo il Gennaio 1937 delle navi di tale tonnellaggio, e tutti gli altri le andranno dietro. Era speranza invece del Governo della Gran Bretagna che il tonnellaggio futuro si potesse ridurre -ad es. a 30 mila tonnellate -con notevole sollievo del bilanci di tutti i Paesi.

Informo l'Ambasciatore che noi siamo venuti alla decisione delle 35 mila tonnellate dopo una lunga trattativa coi Francesi per farli aderire al principio della parità come numero di navi e tonnellaggio, accettando noi il tonnellaggio massimo dei « Dunkerques ». I Francesi non hanno voluto aderire, facendo delle proposte inaccettabili ed hanno avuto evidentemente torto: è chiaro che noi non potevamo intaccare il principio della parità nella categoria delle «capitai ships », parità riconosciutaci a Washington. Avevamo anche avvertito in quella occasione i Francesi che, se non si venisse ad un accordo, noi saremmo andatl alla 35 mila tonnellate.

L'accordo non si è fatto e così è avvenuto.

Sul fatto del tonnellaggio non si può discutere, perché i tecnici militari sono convinti dell'assoluta convenienza per noi di tale base unitaria e perché ormai tutto il meccanismo della costruzione è stato messo in moto. L'Ambasciatore Drummond è spiacente che le cose siano arrivate a questo punto, ma non può fare altro che riferire al proprio Governo.

Viene poi a chiedere che si vogliano inviare tuttavia i nostri Rappresentanti a Londra entro il presente mese per i noti contatti relativi alla prossima Conferenza Navale.

Gli rispondo che sarebbe desiderio dei nostri circoli della Marina da Guerra di avere queste prime conversazioni nell'autunno avanzato, dopo i giapponesi; e ciò per due ragioni: l) -perché non abbiamo ancora nessuna informazione sulle conversazioni avute a Londra con gli Americani e coi Francesi; 2) -perché avendo noi già espresso il nostro punto di vista -quello della promulgazione dell'accordo di Washington -è meglio che gli altri, quelli che hanno delle proposte nuove da fare, dicano prima il loro parere.

L'Ambasciatore mi risponde che si attendono appunto i nostri rappres~ntanti a Londra per informarli di quanto è avvenuto fino ad ora e per quello scambio di idee di carattere assolutamente generale che ha avuto luogo con gli altri rappresentanti: il Giappone per ragioni speciali verrà ad Ottobre ma gli pare conveniente che lo scambio di idee con gli Italiani abbia luogo subito, in relazione a quello avvenuto con gli Americani e coi Francesi. Ad ogni modo egli deve ripetere la viva preghiera del suo Governo di volere inviare a Londra i nostri Rappresentanti prima della fine di questo mese. Gli ripeto che non vedo le ragioni di questa urgenza, ad ogni modo mi riservo di fargli avere su questo punto una risposta precisa.

L'Ambasciatore mi chiede come sarà composta la nostra Delegazione e se l'Ambasciatore Grandi, come egli suppone, sarà incaricato di dirigerla.

Gli rispondo che non avendo l'intenzione di mandare a Londra la nostra Delegazione in questo periodo non si era pensato alla formazione della stessa. Anche su questo punto gli darò, appena possibile, una risposta precisa.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 198. Roma, 16 luglio 1934.

His Majesty's Embassy present their compliments to the Royal Ministry of Foreign Affairs and have the honour, under instructions, to submit the following considerations to the Ministry in regard to the recent decision of the Royal Italian Government to construct two capitai ships of 35.000 tons each.

2. As the Royal Ministry will no doubt be aware, His Majesty's Ambassador, acting in accordance with instructions received from London submitted certain considerations on the subject of this decision to His ExceLlency the Head of the Government in an intel'V'iew at Palazzo Venezia of June 22nd last (1). Briefly, the view which Sir Eric Drummond submitted were as follow;

3. -His Majesty's Government, though realising of cour-se the undoubted right of the Royal Itali:an Government under existing treaties -a right which they did not contest in any way -to lay down two 35.000 ton capitai ships, had learnt with some concern of the Royal Governments intentions. His Majesty's Government, from the information at their disposal, held that there w,as a reasonable chance of affecting a certain reduction in the size of capitai ships -a measure which would command, so His Majesty's Government believed, the generai sympathy of His Excellency. If however two ships of the maximum Washington tonnage were to be laid down by the Royal Government on the eve of the naval conference to be held next year, His Majesty's Government feared any hopes of a reduction -and consequently of economies in future naval construction estimate -would be rendered nugatory. Nor was it only the direct effect of the navail construction programme of his Majesty's Government wich the latter had most in mind, but rather the effect in other Navies. In the view of His Majesty's Government there was than a probability that the final reswt might be to perpetuate for all nations a standard of 35.000 tons. 4. -It might well be that the Ital1an decision to lay down these two ships of 35.000 tons was in the nature of a reply to that of the French Government to construct two « Dunkerques ». The « Dunkerques » were, however, only 26.500 tons. Between 26.500 and 35.000 tons there was a considerab:le difference, and if this were the reason for the decision would not a lower tonnage figure than 35.000 meet the case? 5. -Sir Eric Drummond therefore enquired whether it would not be possible to postpone a fina;l decision as to the tonnage of the italian ships until the preliminary discussion in London (for which arrangements were being made) on the 1935 conference had taken piace. 6. -While His Excellency's replies to the considerations submitted by His Majesty's Ambassador at this interview were based in generai on strategie, technical and domestic grounds, His Excellency made it plain that the decision of the Italian Government to lay down these ships -a decision taken after anxious and careful consideration was more particularly due to the naval policy of the French Government, and that technical reasons made any change of tonnage at this stage pratically impossible. His Excellency held out no hope that the decision of the I!taUan Government would be altered( though His Majesty's Ambassador understood that His Excellency would have no objection to the subject being discussed during the forthcoming London conversations. The attitude of His Excellency the Head of the Government was duly reported to His Majesty's Government and the various reasons for which he felt unable to reconsider his decision were fully explained to the competent authorities in London. 7. -His Majesty's Government have now had time to consider with the utmost ca;re His Excellency's views and to study so far as lies within their power, the reasons which underlie the maintenance of the decision already reached. In spite, however, of their natura! desire to appreciate as sympathetically as possible these reason, His Majesty's Government, basing themselves upon generai principles, are unable to change their conclusions regarding the probable outcome of the Royal Government's decision. 8. -No capitai ships have been laid down mther by the United States of America or by Japan since the signature of the Washington Treaty of 1922, but only cruisers and other smaller vessels in accordance with the previsions of the London Naval Treaty. Indeed, the Government of the United States, which has hither to been

the protagonist of the 35.000 ton capitai ship, appears no longer to be so closely wedded to this limit. As a result, however, of the Italian decision other Governments will probably insist on their liberty to construct ships of 35.000 tons after January 1937; (indeed, the indications seem to be that the French Government are not unlikely to pursue such a policy). In the long run, therefore, will any real advantage accrue to the Italian Government from the present decision? As His Majesty's Ambassador has already pointed out, 35.000 is only too likely to become the standard tonnage of capitai ships and consequently the world may be saddled for years to come with the construction of these unnecessari.ly large vessels.

9. -For these reasons and for those already set out by His Majesty's Ambassador at his intel"V'iew with the Head of the Government, His Majesty's Embassy are to state that His Majesty's Government cannot but feel regret at the decision of the Royal Italian Government to lay down at the present juncture ships of 35.000 tons. 10. -At the same time His Majesty's Government are anxious to enter into preliminary conversations with representatives of the Royal Italian Government regarding the 1935 Naval Conference (as already arranged in principle between the two Governments) and to continue, if the Italian Government agree, the present discussions regarding the two capitai ships. His Majesty's Embassy are to add that contact with Ministers is necessarily more difficult during the holiday season and that for this reason it would seem desirable that the Italian representatives should be prepared to leave for London Wlith as little delay as may be possib~e. and in any case during the present month. His Majesty's Embassy would be grateful if they might be informed in due course of the composition of the Italian Delegation and the probable date of its arrivai in London.

(l) Non si è rinvenuto 11 verbale di questo colloquio.

532

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 16 luglio 1934.

A sua richiesta gli ho fornito delucidazioni sulla nostra attitudine nei riguardi del Patto orientale. Ha dimostrato una certa apprensione per l'eventualità che possa esser chiamata a parteciparvi anche la Cecoslovacchia e per il fatto che la garanzia reciproca contempli l'inviolabilità delle frontiere dei partecipanti. Si è alquanto rasserenato quando gli ho chiarito che almeno fino a oggi non si parla di partecipazione della Piccola Intesa, e che, quanto a garanzia, essa è rivolta contro l'aggressore, ma non è basata sul concetto della inviolabilità delle frontiere.

Egli crede che probabilmente in Germania e in Polonia saranno opposte grosse difficoltà.

Gli ho obiettato che sembra difficile che, in definitiva, possa venir disconosciuto il vantaggio della parità dei diritti, accordata a tutti i partecipanti, la quale avvia alla sua pratica soluzione la spinosa questione della parità agli stati disarmati.

Ha aggiunto che il suo Governo è specialmente preoccupato degli ingenti rifornimenti di armi che la Romania sta facendo in Francia.

533

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. ... (2) 16 luglio 1934.

In relazione all'eventuale visita di Barthou a Roma sembra che le soluzioni che potrebbero prospettarsi per definire con la Francia i due problemi di Tunisi e dei compensi coloniali potrebbero ispirarsi ai seguenti criteri:

a) In primo luogo dovrebbe esporsi il concetto che la soluzione delle due questioni anzidette dovrebbe preparare una intesa itala-francese nel campo coloniale di maggior respiro che abbia come basi l'interesse francese di rassodare e rendere più omogeneo il suo dominio coloniale nel Nord Africa e l'interesse italiano di venire in possesso di un territorio atto a soddisfare i nostri bisogni di sbocco demografico e di rifornimento di materie prime. In breve: disinteressamento italiano nel Nord Africa francese; disinteressamento francese nell'Africa Orientale, Etiopia compresa.

(Lavai disse nel '32: L'Italie rénoncera au droit de regard sur l'Afrique du Nord camme la France fermera les yeux sur la politique et l'action coloniale de l'Italie en Afrique orientale).

Come l'accordo coloniale anglo-francese del 1904 (disinteressamento inglese in Marocco, disinteressamento francese in Egitto) ha eliminato per una lunga serie di anni attriti nel campo coloniale fra Francia e Inghilterra, così un accordo itala-francese come espressomi da Pietri di vasto respiro eliminerebbe motivi di dissenso e di scontento, darebbe modo a Francia e Italia di lavorare senza intralci per decenni nei campi d'azione rispettivi, costituirebbe la base per una collaborazione itala-francese in altre zone africane (come dico sotto) e faciliterebbe infine un'intesa nel campo più generale della politica europea e mondiale con vantaggio della pace.

b) Entrando i francesi in quest'ordine di idee, dovrebbe per il momento mirarsi alla soluzione delle questioni coloniali pendenti colla Francia, inspirandosi alla eventualità di un accordo più generale nel senso suesposto.

Conseguentemente:

0 ) -Tunisi -proporre ai francesi il rinnovo delle convenzioni del 1896 per 10 anni.

Se ci si chiedesse quale sorte avrebbero le Convenzioni stesse alla scadenza di tale periodo, occorrerebbe rispondere che la loro sorte dipenderebbe, eventualmente anche prima che tale periodo fosse trascorso, dalla conclusione o meno con la Francia del più ampio accordo coloniale sopra cennato

2°) -Compensi dovutici dalla Francia in base all'art. 13 del Patto di Londra.

L'accordo Bonin-Pichon del 1919 regolò a vantaggio dell'Italia la vertenza italo-francese circa la sovranità non ancora ben definita su due salienti (Beede Canard) alle frontiere occidentali della Libia, l'uno fra Gadames e Ghat, e l'altro fra Ghat e Tummo. Con detto accordo furono assicurate all'Italia le comunicazioni dirette fra Gadames e Ghat e fra Ghat e Tummo.

In sede di applicazione dell'accordo Bonin-Pichon sussiste tuttavia una divergenza sull'appartenenza di In Ezzan che i francesi contestano appartenere alla Libia ed occupano tuttora malgrado le nostre proteste.

Ad ogni modo l'accordo Bonin-Pichon non concede all'Italia che un lievissimo acconto sui compensi coloniali dovutici dalla Francia in base all'art. 13 del Patto di Londra. Infatti lo stesso accordo Bonin-Pichon esplicitamente riconosceva che la questione dei compensi doveva essere ulteriormente esaminata.

L'art. 13 del Patto di Londra, con lo stabilire che «gli equi compensi coloniali da attribuirsi all'Italia dovessero ricercarsi specialmente (notamment) nel regolamento in nostro favore delle questioni concernenti le frontiere delle colonie italiane», implica che detti compensi possano esserci attribuiti, invece che alle frontiere libiche, in altra zona.

Difatti nelle nostre primitive richieste di compensi coloniali alla Francia era compresa la cessione di Gibuti con tutta la costa francese dei somali; ma a tale richiesta la Francia oppose allora un netto rifiuto facendo presente che Gibuti costituisce uno scalo indispensabile per le comunicazioni francesi con l'Indocina e con il Madagascar (Conversazione fra Tittoni-Clemenceau-Pichon dell'agosto 1919).

D'altra parte il R. Ministero delle Colonie nella definizione della questione delle frontiere meridionali libiche sembra miri ad ottenere non tanto un aumento di territorio desertico quanto un confine munito di punti d'appoggio per la necessaria sorveglianza.

Per questa considerazione ed anche perché la definizione della questione dei compensi coloniali abbia a preparare, d'intesa con la Francia una maggiore nostra affermazione territoriale nell'Africa Orientale parrebbe opportuno richiedere i compensi dovutici in questa zona.

Nelle conversazioni Theodoli-De Caix-Berthelot, svoltesi a titolo privato nel 1932-33, si è dimostrata da parte francese una certa disposizione a !asciarci mano libera in Abissinia, e si è anche parlato della possibile cessione all'Italia di una striscia di territorio della costa francese dei somali. Ugualmente nel giugno '33. Theodoli, nel rispondere ad una domanda dell'Ambasciatore de Jouvenel ebbe ad accennargli alla possibilità che, onde chiudere la questione dei compensi dovutici dalla Francia, e quale primo passo per giungere eventualmente ad una sistemazione definitiva delle questioni coloniali che soddisfi il bisogno italiano di territori di popolamento e di materie prime, la Francia cedesse all'Italia tutta la costa francese dei somali salvo Gibuti, scalo considerato necessario dalla Repubblica per le sue comunicazioni con l'Jndocina ed il Madagascar.

Theodoli ha ugualmente nel giugno '34 a Ginevra avuto occasione di accennare la cosa ai Signori Barthou e Pietri, senza scontrarsi ad una opposizione di principio.

Al riguardo, si osserva che la Costa francese dei Somali è un territorio semidesertico, di per sé di nessuna importanza economica; ma la sua cessione all'Italia avrebbe notevolissima portata politica in quanto interromperebbe la contiguità territoriale fra l'Etiopia e il possesso francese di Gibuti, e ci darebbe modo di controllare il traffico della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, un tratto della quale rimarrebbe in territorio italiano.

Tale cessione costituirebbe inoltre una iniziale dimostrazione del disinteresse francese nei riguardi dell'Etiopia, e ci permetterebbe di procedere più attivamente nel creare nostri interessi economici nell'Impero, !asciandoci d'altra parte liberi di determinare se e quando ci converrà di agire in Etiopia.

Sembra quindi, in massima, conveniente prospettare al Governo francese, come una possibile soluzione della questione dei compensi coloniali, la cessione all'Italia di tutto il Somaliland francese Gibuti escluso .•

Nel caso che tale soluzione trovi in massima favorevole accoglienza al Quai d'Orsay, occorrerebbe studiare accordi di dettaglio circa la ferrovia di Gibuti e circa il mantenimento dei diritti francesi su talune regioni etiopiche, in relazione alle disposizioni dell'accordo Tripartito del 1906.

Si potrebbe in un secondo tempo -nella più ampia, eventuale intesa coloniale italo-francese sopra cennata -tentare di ottenere la rinuncia da parte della Francia ai suoi diritti in Etiopia abbandonando da parte nostra quei speciali diritti di cui ancora godiamo in Tunisa e nel Marocco francese.

(l) -Ed. in DE FELICE, pp. 510-512. (2) -Manca l'indicazione del luogo di partenza.
534

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2606/487-488 R. Londra, 17 luglio 1934, ore 13,58 (per. ore 17,45).

Ho veduto oggi Craigie il quale mi ha messo al corrente delle sue recenti conversazioni con Pietri e con Norman Davis circa preparazione della conferenza navale.

Egli mi ha detto che gli argomenti discussi sono stati in sostanza solo due e cioè: 1°) Modo di procedere circa lavori della conferenza; 2°) Tonnellaggio e armamento delle navi da battaglia.

L'idea del Foreign Office circa 1 lavori della conferenza è di proporre alla Italia, alla Francia, agli Stati Uniti e al Giappone, dopo lo scambio di vedute che è ora in corso, una riunione preliminare delle cinque Potenze firmatarie dei trattati Washington e Londra. In questa riunione si dovrebbero esaminare le possibilità di un accordo tra le cinque Potenze e quindi decidere se sia il caso o meno di procedere alla convocazione della conferenza generale.

Noi pensiamo -mi ha detto Craigie -che sia inutile convocare una conferenza generale se le cinque Potenze non ritengono che vi sia la possibilità concreta di un accordo tra loro.

Gli ho domandato come Foreign Office pensa sia possibile alle cinque Potenze esaminare basi concrete di un accordo fra loro quando esse non conoscono intenzioni effettive degli altri Stati i cui programmi di armamento possono avere una influenza sui loro. Craigie mi ha risposto che su queste intenzioni si possono fare delle ipotesi abbastanza fondate. Nella riunione preliminare si potrebbe partire da queste ipotesi.

Craigie ha aggiunto che tanto Norman [Davis] quanto Pietri nelle conversazioni avute all'ammiragliato hanno aderito all'idea della conferenza preliminare delle cinque Potenze alla quale in un primo tempo francesi sembravano contrari.

Foreign Office ha inoltre fatto presente a Barthou ed a Pietri necessità che la Francia cerchi venire ad un accordo con l'Italia in modo che questione navale franco-italiana sia avviata ad una soluzione prima della riunione conferenza preliminare. Barthou ha annunziato essere suo desiderio e intenzione recarsi al più presto a Roma a conferire con V. E. ed è stato largo di assicurazioni circa gli sforzi che egli ha detto di proporsi per venire ad un accordo con V. E.

Norman Davis che ho visto oggi pomeriggio mi ha riferito una conversazione che ha avuto con Barthou e nella quale Barthou si è espresso con lui nello stesso senso.

Norman Davis mi ha anche informato che nessun progresso è stato fatto nelle sue conversazioni con ammiragliato per quel che riguarda dislocamento e armamenti navi battaglia.

Ammiragliato ha proposto fissare dislocamento a 25 mila tonnellate e armamento 4 torrette binate con cannoni da 12 pollici, sostenendo che tale nave ha autonomia sufficiente per i bisogni che Stati Uniti reputano avere.

Norman ha fatto chiaramente intendere che gli Stati Uniti non possono accettare tale tipo nave che essi considerano anti economica e che essi intendono restare al tipo delle 4 torrette trine, solo potendo accettare una lieve diminuzione del calibro dei cannoni, e qualche riduzione dislocamento, che non dovrebbe tuttavia SICendere sotto 30.000 tonnellate.

Norman mi ha aggiunto che gli americani non sarebbero comunque disposti a fare questa concessione che solo qualora essi trovassero di loro soddisfazione altre parti trattato, e cioè soltanto qualora essi venissero compensati in qualche altro campo.

Norman parte giovedì per Washington e tornerà qui in settembre.

Quanto alla missione navale giapponese confermo che essa giungerà Londra solo in ottobre.

535

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2614/307 R. Parigi, 17 luglio 1934, ore 17,05 (per. ore 21).

Ho domandato al segretario generale Quai d'Orsay se era pervenuta la risposta di Varsavia e di Berlino circa il patto nord-orientale di mutua assistenza. Mi ha detto di no. Varsavia esamina la cosa e fa sapere che dovrà prima prender parere dalla Turchia e dalla Romania. La cosa non riesce chiara qui per quanto non preoccupi la consultazione dei due Stati amici. Berlino ha sollecitato da Londra la conoscenza del testo del patto, Parigi ha inviato a Londra lo schema che del resto Chambrun è stato incaricato di far conoscere a V. E. Il Foreign Office farà una comunicazione a Berlino in base allo schema aggiungendo che il testo del medesimo può essere chiesto direttamente dal Reich a Parigi.

Léger mi ha confermato la dichiarazione fattami la prima volta che mi intrattenne del patto regionale (mio telegramma n. 262) (l) e cioè che di fronte a un eventuale rifiuto della Germania e della Polonia, la Francia dovrà pensare ad un accordo franco-russo. L'intesa con l'U.R.S.S. appare al Quai d'Orsay tanto più necessaria oggi per la mutata situazione in Germania. Infatti nella eventualità tutt'altro che impossibile secondo Quai d'Orsay della ripresa del potere da parte destra si ripresenterebbero le condizioni favorevoli ad una alleanza russo-tedesca. Léger considera l'alleanza tedesca più accetta alla Russia di quella francese perché garantirebbe la frontiera occidentale dell'U.R.S.S. contro il più grave pericolo in caso di guerra con Giappone. Il mio interlocutore mi ha citato come prova del mutamento che sta producendosi in Germania il fatto che gli ebrei rifugiati in Francia ritornano in massa in patria. Mi ha detto che ogni sera la stazione dell'est è ingombra di ebrei tedeschi rimpatrianti. Farò controllare.

Circa il secondo patto, quello di garanzia (Francia Germania U.R.S.S.), Léger mi ha detto che è aperto a tutti. Il fatto che le prime trattative sono state circoscritte tra Francia e U.R.S.S. ha potuto far credere ad un accordo chiuso. Le delucidazioni date da Barthou a Londra hanno chiarito le cose. Quai d'Orsay spiega in questo modo il suo mutato atteggiamento.

Non mi dilungo sul discorso di Barthou a Bayonne telegrafato dalla Stefani. Il ministro ha ammesso che delle trattative per il disarmo possono aprirsi dopo la conclusione del patto regionale, non prima. Non è entrato in precisazioni e tanto meno ha alluso al riconoscimento della parità dei diritti al Reich.

Riguardo patto mediterraneo Léger mi ha detto aver Barthou dichiarato a Londra che la Francia non intende prendere nessuna iniziativa in proposito. Essa è disposta tuttavia a seguire all'uopo l'iniziativa di qualsiasi altro Stato.

Osservo che sarà facile allora alla Francia quando lo voglia di far sorgere una iniziativa senza mettersi in prima linea specialmente se patto del NordOriente restasse lettera morta.

(l) Cfr. n. 414, nota 2. p. 440.

536

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2612/309 R. Parigi, 17 luglio 1934, ore 19,30 (per. ore 22,45).

Secondo quanto Léger mi ha detto Chambrun avrebbe ricevuto dal ministero degli affari esteri le seguenti istruzioni:

La visita di Barthou a Roma non potrà in ogni caso aver luogo [prima di] ottobre. Per non alimentare nei nostri due paesi speranze seguite da disillusioni, il ministro degli affari esteri francese è d'avviso che la preparazione della visita debba concernere i più importanti problemi europei del momento e specialmente il disarmo.

Barthou pensa che una intesa, per quanto d'ordine generale, debba precedere il suo viaggio ad evitare subito dopo la visita l'Italia e la Francia possano trovarsi in campi opposti.

Léger mi ha parlato pure, ma di sfuggita senza insistervi, della conclusione di un patto di amicizia.

Le questioni tunisina e delle frontiere libiche verrebbero risolte con maggiore facilità dopo che fosse realizzata la concordanza dei punti di vista rispettivamente italiano e francese circa problemi più importanti.

Prego V. E. dirmi se posso continuare a tenermi al corrente su questo tema

o se v. E. preferisee che non me ne occupi affatto.

Rammento ad ogni buon fine che l'iniziativa di parlarmi del viaggio a Roma è venuta dallo stesso Barthou (l).

537

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 4684/1289. Belgrado, 17 luglio 1934.

V. E. col telespresso n. 222310/C. del 7 corrente (2), mi ha trasmesso copia della nota verbale di codesta Legazione di Jugoslavia con la quale essa richiama l'attenzione su due manifestazioni irredentiste dalmate che si sarebbero verificate a Pola e Trieste il 22 e 30 maggio u.s.

41 -Documenti diplomatiei -Serie VII -Vol. XV

Sono certamente quelle alle quali Furie mi fece allusione nel colloquio che ebbi con lui al principio del corrente mese, ed alle quali replicai indicandogliene di analoghe, e forse più gravi, a nostro riguardo, consegnandogli in pari tempo copia dei libri distribuiti alla scuola di Sussak e di vari numeri deli'Istra con caricature offensive (vedi mio rapporto 3 luglio u.s. n. 4018/1184) (1).

Adesso anche V. E. ha ricevuto da Spalato (rapporti di quel R. Consolato Generaie delli 11 e 12 c.m. n. 3694 (l) e 3710 (l)] notizia delle proibiztoni di quelle autorità alle dimostrazioni che erano state organizzate dagli studenti allogeni, sia a Spalato stessa, sia a Traù dove la apposizione di una lapide con l'Aquila Bianca da apporsi sulla Porta Marina è stata rinviata ad epoca da stabilirsi.

I due differenti atti (richiamo sulle manifestazioni dalmatofile e proibizione di dimostrazioni slave per la Venezia Giulia e per la Dalmazia) delle autorità jugoslave vanno, a mio giudizio, ricongiunti e collegati ad un nuovo unico criterio come sembrano precisare un indirizzo nuovo che si è iniziato con l'incontro di Jeftic a Parigi con Barthou, e la successiva visita di questi a Belgrado.

In ogni caso dopo questa visita si hanno tre pubbliche dichiarazioni:

a) quella di Barthou all'Agenzia Economica e Finanziaria di Parigi: « Desidereremmo vedere l'Italia collaborare al sistema dei Patti regionali. Specialmente il Patto Mediterraneo attende la proficua collaborazione dell'Italia. Beninteso che un contatto diretto col Governo di Roma s'impone per se stesso ed io personalmente non vedo impedimenti per un tale incontro, ma un incontro simile dovrebbe corrispondere a risultati concreti. Sarebbe pertanto necessario che l'attuale stato dei problemi che interessano i due paesi sia migliorato.

Per il momento invece alcuni di questi problemi non sono ancora maturati». Tale intervista è del 27 giugno. (vedi mio rapporto ::;o giugno n. 3975/ 1166) (2).

b) quella di Jeftic al Petit Parisien (2 luglio): «Un'intesa fra l'Italia e la Jugoslavia è possibile e desiderabile. L'una e l'altra restando su un piede di eguaglianza, e nessuna domandando nulla all'altra, l'accordo è possibile in qualunque momento. Belgrado non ha alcun motivo per non considerare con favore lo sforzo della Francia per condurre al riavvicinamento italo-jugoslavo ».

c) quella di Re Alessandro pubblicata nella Revue des deux Mondes del lo luglio (tutta l'intervista è molto espressiva del pensiero del Sovrano e significativa della politica estera jugoslava sicché la lettura ne è consigliabile): «Ho spesso sentito, dice l'intervistatrice, in Jugoslavia rimproverare alla politica di Mussolini di essere una politica di punzecchiature di prestigio, cioè una politica di giornalista, di comunicati, di sensazione, di troppa sensazione, ciò che sembra un azzardo. Si finisce col stancarsene.

Mussolini è tuttavia un uomo eccezionale, dice il Re.

Poiché il Re mi ha autorizzato alla franchezza, io faccio allusione ai rilievi che mi sono stati fatti circa le civetterie della Francia con l'Italia che rendono gli jugoslavi sospettosi. È dunque esclusa di vedere l'Italia e la Jugoslavia intendersi un giorno?

Ma, risponde il Re con vivacità, nessuno lo ha desiderato e sperato come me.

Il Re mi guarda negli occhi l>.

Questo atteggiamento delle autorità jugoslave nei confronti delle reciproche manifestazioni irredentiste, le interviste qui sopra riportate, in uno con ripetute dichiarazioni fatte in questi ultimi giorni al Ministero degli Affari Esteri di voler liquidare ogni questione pendente, ed una apparente formale volontà di effettivamente risolverle, va tanto più considerato in quanto segue ad un periodo iniziatosi nel gennaio di quest'anno e durante il quale i rapporti anche diplomatici, itala-jugoslavi hanno marcato un sensibile peggioramento.

Se la stampa jugoslava di massima, e nei maggiori suoi giornali, non ha ecceduto oltremodo contro l'Italia, e se la consueta agitazione irredentista giuliana, si è mantenuta nei limiti consueti, anzi sembra avere marcato, rispetto a periodo di maggiore attività, un qualche regresso, sta in fatto che l'atmosfera itala-jugoslava si è andata progressivamente oscurando, attraverso una serie di incidenti più o meno gravi, indice della anormalità della situazione esistente fra i due Paesi.

L'azione della R. Legazione si concreta infatti, dal gennaio 1934, in quasi diuturne segnalazioni e proteste a questo Governo nella maggior parte dei casi con sterili risultati, di vessazioni a danno di istituzioni e cittadini italiani, che erano arrivate ad assumere il carattere di un vero e proprio programma di azione antitaliana, sulla quale ho già a suo tempo attirato spe,cificatamente l'attenzione di V. E.

L'intensificarsi di tale azione, sistematicamente condotta dalle autorità periferiche jugoslave, specialmente a Sussak ed in Dalmazia, segue il tentativo di attentato contro la vita di Re Alessandro da parte di Petar Oreb e compagni a Zagabria nel dicembre del 1933. Tale tentativo è verosimilmente motivo della forte ripercussione provocata dall'episodio negli organi periferici, che hanno messo nella reazione un « animus » ed uno zelo che forse, nella loro applicazione sono andati anche oltre alla precisa volontà ed agli scopi voluti da questo Governo Centrale.

Dalla richiesta del Ministero dell'Interno Jugoslavo di chiudere la frontiera di Zara per porre fine alla propaganda separatista esercitata da Brkan e Sakic sui contadini jugoslavi che si recano giornalmente in quella città, si passa alla predisposizione di misure di sicurezza e di difesa contro eventuali sbarchi di ustasi in Dalmazia, mantenendo desti nelle popolazioni allarmi e volontà di opporsi ad azioni armate sostenute dall'Italia, dopo l'aperta denuncia dell'organizzazione ustasa nel nostro territorio fatta in occasione del pubblico dibattimento del processo Oreb.

Contemporaneamente s'inizia e si svolge con ritmo sempre più crescente una serrata azione contro gli italiani residenti a Sussak ed in Dalmazia attraverso una serie di licenziamenti, espulsioni, dinieghi di permesso di soggiorno e di lavoro, arresti, vessazioni: azione che culmina nel gravissimo incidente del connazionale Giovanni Laghigna, barbaramente ucciso da gendarmi jugoslavi, c rimasto tutt'oggi senza solur.ione alcuna, malgrado ogni più energico intervento di questa Legazione.

Si registrano numerosi incidenti sul Litorale dalmata, fra membri degli equipaggi delle nostre navi ed agenti jugoslavi, sequestri ingiustificati di nostre imbarcazioni, espulsioni di connazionali, le quali sembrano assai poco giustificate dalle autorità locali, e che le centrali non hanno forza o volontà di impedire. Ciò oltre tutti gli inconvenienti e le difficoltà minute di ogni genere che impongono a questa Legazione una costante ininterrotta azione di sostegno e difesa dei nostri connazionalì e delle nostre istituzioni in tutta la Jugoslavia.

Il che non è senza rii)ercussione nella opinione pubblica.

Il contegno dell'autorità e del pubblico in occasione delle partite di calcio giuocate a Zagabria ed a Belgrado dalla nostra squadra «Roma» sembra contraddire a questa mia affermazione. Ma m'incombe il dovere di precisare che se nessun incidente si è verificato, ciò è dovuto alla precisa volontà del Governo Centrale, che (forse anche per i miei tempestivi interventi), aveva in modo non equivoco diffidato sulle spiacevoli conseguenze che avrebbe causato il benché minimo incidente, e preso «imponenti » misure di Pubblica Sicurezza, come anche altre disposizioni da me prese e secondo le quali, durante la permanenza della nostra squadra a Belgrado, i nostri sportivi sono stati in ogni momento ed in ogni luogo (dall'albergo alle cafane) di giorno e di notte, accompagnati dai Segretari di questa Legazione, la cui presenza, sotto la specie cortese dell'assistenza e di compagnia, doveva da un lato frenare la esuberante giovinezza dei nostri atleti ed intervenire in ogni possibile incidente facilmente verificabile in questi ambienti.

* Ma il vero fondo del sentimento pubblico si è manifestato in occasione della nostra vittoria del campionato mondiale del calcio, quando alla notizia diffusa in quel giorno nei campi sportivi jugoslavi il pubblico (come risulta da tutte le contemporanee segnalazioni dei nostri Consoli) ha accolto con manifestazione ostili la vittoria italiana * (l).

Del resto stimo che a caratterizzare tale periodo queste siano le più precise e significative manifestazioni:

l) l'ostruzionismo postale alle corrispondenze recanti la città jugoslava di destinazione con dicitura italiana, mentre quelle con dicitura francese o tedesca hanno libero corso, (vedi numerosi miei rapporti al riguardo);

2) la mancata attuazione alla decisione di costituire un'associazione economica itala-jugoslava, decisione della quale fu data pubblica notizia (7 marzo 1934), mentre io ero già stato inviato ad intervenire alla prima solenne adunanza che non si è poi mai più tenuta.

Le spiegazioni indirette che ho potuto avere sono che le autorità politiche si erano poi opposte alla costituzione di questa associazione, in considerazione appunto dei peggiorati rapporti itala-jugoslavi dopo l'incidente Oreb.

Non è nemmeno da ignorare il regresso dei rapporti commerciali italajugoslavi. Se la discesa globale trae origine dalle ragioni mondiali che hanno determinato la contrazione della massa generale degli scambi anche fra Italia ed Jugoslavia e se la Jugoslavia tuttavia profitta sempre dei maggiori acquisti che noi facciamo su questo mercato, sta anche in fatto che la diminuzione degli scambi è nel complesso superiore alla contrazione generale, che essi tendono a livellarsi al punto più basso, che i nostri accordi commerciali favoriscono Ungheria ed Austria nella concorrenza contro bestiame e legname jugoslavo, che le offerte jugoslave di migliorare gli scambi accordando favore a nostre produzioni industriali non hanno avuto finora successo, anzi, come noto, le ultime trattative per il legname si sono interrotte (vedi mio telespresso

n. 4332/1229) (l).

Trascrivo dall'Europe Centrale qua::ito lo scrittore Charles Loiseau a proposito della visita a Belgrado della missione giapponese stampa nel numero del 14 corrente:

«La Yougoslavie se trouve -pour user d'une expression banale -à un tournant de l'histoire de son commerce extérieur. C'est seulement la force des choses qui entretient un courant d'échanges entre elle et sa voisine latine. La politique y fait obstacle, toute la politique, y compris celle que le Duce poursuit à l'intérieur, quand il engage, après la « bataille du blé », celle du cheptel de façon à permettre à son pays de vivre da sè. Les nouveaux accords italo-danubiens, quand meme leurs effets resteraient bien au dessous de promesses ostentatoires, tendent à fermer les marchés de la proche Europe centrale à la Yougoslavie. Celle-ci vient de se tourner vers le marché allemand. Mais que sera l'Allemagne de demain?

On conçoit donc que le gouvernement du roi Alexandre envisage sous les faces les plus diverses le problème de ses relations économiques avec l'extérieur. Les Japonais ont bien choisi leur moment pour lui rendre visite. Et s'il tombe sous le sens qu'il ne peuvent prétendre qu'à un poids bien léger dans la bilance commerciale du Royaume, une autre raison explique que leur présence ai t été jugée aussi sympathique qu'opportune ».

Il vago accenno ad una possibilità di incremento della esportazione giapponese su questo mercato non può per il momento essere preso sul serio. Ma a tenere presente che il Loiseau è giornalista al soldo del Governo jugoslavo che gli dà l'imbeccata per tutto quanto egli scrive nei vari giornali di propaganda jugoslava, l'accenno che egli fa non è per questo meno sintomatico come indice di una disposizione tendenziale che deve essere da me segnalata.

Del resto Jevtich, che ho incontrato l'altro giorno si è espresso con molto rammarico sull'insuccesso dell'attuale ultima fase delle trattative per il legname (beninteso gli ho detto le nostre utili offerte e ne ho sostenuto il vantaggio) e passando poi dal campo commerciale al politico (dove non ha avuto alcuna mia risposta) ha concluso il suo sfogo dicendo che egli aveva fatto tutto quanto stava in lui per arrivare ad un chiarimento della situazione ed un riavvicina

mento fra i due paesi, era ormai scoraggiato, non sapeva davvero più che fare, mentre riteneva che al punto in cui erano le cose dovesse essere fatto uno sforzo per impedire l'ulteriore peggioramento.

Ed ho avuto l'impressione che egli fosse stato colpito per una qualsiasi mancata risposta da parte nostra alle indiscutibili aperture contenute nella sua intervista del 28 giugno (l).

Ho esposto a V. E. rapidamente e sinteticamente tutti i principali elementi della situazione attuale per quelle conclusioni alle quali V. E. piacesse venire.

(l) -Suvlch rispose con t. 989/259 R. del 25 luglio: <<V. E. può continuare a tenersi in contatto con codesto Governo sui temi di cui alla sua conversazione con Léger ». (2) -Non pubblicato. (l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 465.

(l) n passo tra asterischi è stato sottolineato da Mussollni.

(l) Non pubblicato.

538

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 5550 B. Roma, 17 luglio 1934.

Con riferimento alla Nota Verbale presentata dall'Ambasciatore Sir Eric Drummond, il 14 u.s. (2), ho fatto compilare l'ascluso promemoria che presenterò venerdì a S. E. il Capo del Governo.

Te ne invio intanto una copia per tuo uso nel caso ti possano servire le argomentazioni che in esso ho raccolto, per dimostrare l'inaccettabilità del tentativo inglese.

ALLEGATO

CAVAGNARI A MUSSOLINI

PROMEMORIA. .Roma, 17 luglio 1934.

La Nota Verbale rimessa dall'Ambasciatore d'Inghilterra il 14 luglio rappresenta un tentativo, da parte inglese, di voler includere nella Agenda delle discussioni preliminari da svolgersi a Londra, la questione della costruzione, da parte dell'Italia, di 2 navi da 35 mila tonnellate.

V. E. conosce come la costruzione d1 tall navi discende da un diritto maturato tuttora valido e solido e risponde, in modo perfetto, ai bisogni della nostra difesa sul mare.

Le argomentazioni inglesi circa la influenza che la decisione italiana può avere sulle costruzioni future, non hanno una base realistica e sono dettate da convenienza unilaterale che vorrebbe trascurare gli interessi dell'altro contraente.

Alla Conferenza del Disarmo, trattandosi la questione degli armamenti offensivi, il Vice Ammiraglio Pound (attualmente uno dei Lord dell'Ammiragliato britannico), ha detto quanto segue:

«Parecchie Delegazioni hanno classificato le navi di linea che oltrepassano un certo tonnellaggio fra gli armamenti offensiVIi.

La questione può discutersi sia dal punto di vista teorico che deducendo gli insegnamenti dai fatti svoltisi nell'ultima guerra. Un proverbio inglese dice: "Un'oncia di pratica vale una tonnellata di teoria ".

Dal punto di vista pratico può dirsi:

È incontestabile che le 'grandi navi sono particolarmente armate poderosamente per tenere in iscacco le operazioni offensive del nemico. Durante la guerra mondiale esse sono state impiegate a scopi difensivi e, in modo speciale, per la protezione dei convogli.

Molto raramente sono state impiegate in operazioni offensive. Si può citare l'esempio dei Dardanelli ove hanno subìto uno scacco ben marcato. La difesa fu sempre superata per mezzo delle truppe sbarcate e non per mezzo delle navi di linea.

Per conseguenza, la facoltà di invadere un territorio, da parte di una potenza navale, non dipende dal fatto che essa possiede navi di linea, ma bensì dalla sua :;tlperiorttà navale generale.

Se due paesi possedessero solo cacciatorpediniere sarà sempre quello che possiede i più forti che neutralizzerà la flotta nemica e che potrà sbarcare truppe sotto la protezione delle sue navi. Nelle operazioni costiere la nave di linea non può rompere la difesa di un Paese e, d'altra parte, il bombardamento può essere effettuato da navi più piccole».

Il Rappresentante italiano rispose:

«La superiorità navale appartiene oggi ai Paesi che possiedono navi di linea in più grande numero e di maggiore potenza.

È nella nave di linea che risiede la vera potenza aggressiva delle flotte. La potenza aggressiva di una nave da 35 mila tonnellate è di 20 volte superiore a quella di una nave da 10 mila tonnellate».

Siccome fra queste due tesi quella italiana è indubbiamente prevalente alla luce del buon senso e dell'esperienza, vien fatto di chiedere il perché le facoltà che discendono dai requisiti della grande nave di linea debbano costituire il corredo, od il monopolio della flotta inglese o francese e l'Italia non possa proteggersi ricorrendo alla qualità visto che non le è facile competere come quantità.

Quale è la ragione che, mentre i Trattati di Washington e di Londra sono stati da tutti osservati ed utilizzati, si debbano trovare obiezioni per l'applicazione di quel solo articolo che concede una facoltà di cui può beneficiare l'Italda?

La tesi inglese, che la nostra decisione possa influenzare l'atteggiamento delle altre grandi Potenze in fatto di navi di linea spingendole ad adottare come dislocamento standard quello di 35 mila tonn. anche per tutte le costruzioni del futuro, non regge alla critica e neppure regge alla luce degli esempi inseriti negli stessi trattati di Washington e di Londra.

Difatti, all'epoca del Trattato di Washington (1922) gli Stati Uniti d'America avevano in costruzione due navi porta-aerei da 33 mila tonn.

La Conferenza decise che, in futuro, il tonnellaggio massimo per le navi portaaerei sarebbe stato quello di 27 mila tonnellate. Tale disposizione generale era equilibrata da una facoltà, concessa a tutti i firmatari, relativa al loro diritto di costruire ciascuno due porta-aerei di 33 mila tonnellate.

All'epoca della Conferenza di Londra del 1930, la Francia aveva in costruzione il sommergibile « Surcouf » di 2.800 tonn. e la Delegazione francese disse che ne avrebbe costruiti altri due.

La Conferenza decise che, in futuro, nessun sottomarino doveva sorpassare le 2 mila tonnellate. Tale disposizione generale era equilibrata da una facoltà, concessa a tutti i firmatari, relativa al loro diritto di costruire ciascuno tre sommergibili di

2.800 tonn.

Nel caso che ci interessa, le costruzioni italiane colmano uno squilibrio esistente a nostro sfavore e sarebbe ingiusto dedurne (almeno per l'Inghilterra, gli Stati Uniti ed il Giappone) che la mossa italiana impone una controrisposta per stabilire l'equilibrio.

Se la Francia troverà indispensabile costruire due 35 mila, noi troveremo indispensabile compensare lo squilibrio prodotto dall'esistenza dei due «Dunkerque ».

La flotta della Gran Bretagna in fatto di navi di linea, è composta:

2 navi armate col calibro da 406 m/m

13 navi armate col calibro da 381 m;m

Quella del Giappone

2 navi armate col calibro da 406 m;m

7 navi armate col calibro da 356 m/m

Quella degli Statl Uniti

3 navi armate col caltt:o da 406 m/m

11 navi armate col calibro da 356 m/m

l nave armata col calibro da 305 m/m

Per le nuove navi italiane, il calibro da 381 m/m sembra il rmmmo impiegabile per far fronte a questo stato di fatto e siccome le nostre nuove navi debbono possedere, altresì, una notevole velocità per contrastare i « Dunkerque » francesi (29 miglia) ed i « Deutschland » tedeschi (27 miglia) ne consegue che, il tonnellaggio da 35 mila scaturisce come necessità per la risoluzione del ben noto compromesso armamento offensivo, difesa e velocità.

Il Foreign Office potrebbe rendersi conto del difficile problema navale italiano consultando la letteratura nazionale.

Il celebre uomo di Stato ,inglese Balfour disse a Washington che la posizione navale italiana era così critica che il Paese poteva perire senza essere conquistato.

Subito dopo faceva il raffronto con la situazione francese dicendo che, come conseguenza delle sue molteplici frontiere marittime, nessuna Potenza navale sarebbe stata in grado di bloccare la Francia.

Il noto Ammiraglio Castex, nel suo recente libro intitolato «Le teorie strategiche», scrive: «Le comunicazioni della Francia con l'Europa del Nord, l'Inghilterra, la Spagna, le due Americhe, il Marocco, l'Africa Occidentale, ecc., rimangono in tempo di guerra appena un po' più disturbate di quello che non siano in tempo di pace. È la contropartita agli inconvenienti che ci procura la situazione a cavallo su due mari.

Una volta tanto, questa situazione ci è utile dopo averci tanto nociuto durante lo svolgimento della nostra storia.

La situazione dell'Italia è ben differente, le sue comunicazioni sono esposte a dei gravi pericoli ed essa si troverà di fronte a delle difficoltà serissime, giacché i 4/5 dei suoi rifornimenti le giungono attraverso lo stretto di Gibilterra».

Ragioni giuridiche, ragioni strategiche e, lo si può dire, alla luce dell'attitudine che il R. Governo ha conservato nella trattazione di tutto il problema del disarmo, ragioni morali convergono a sostegno della tesi italiana di fronte al tentativo inglese per ottenere che la decisione presa dall'Italia sia portata in discussione.

(l) -Cfr. n. 459. (2) -Recte 16 cfr. n. 531, allegato.
539

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2627/232 R. Vienna, 18 luglio 1934, ore 19,40 (per. ore 23,45).

Telegramma di V. E. n. 145 (1). Ho fatto ieri al ministro Fey le comunicazioni prescritte.

Egli mi ha pregato presentare V. E. suoi più vivi e devoti ringraziamenti per precisi suggerimenti cui ha apprezzato profondamente valore.

Ho tratto però impressione da accenni fatti durante conversazioni che nonostante altissimi incoraggiamenti di V. E., Fey non dimostri entusiasmo per nuova carica né molta volontà organizzare rapidamente suo nuovo lavoro (1).

Segue rapporto (2).

(l) Cfr. n. 528.

540

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, CIANO

APPUN''lO. Roma, 18 luglio 1934.

È venuto a vedermi il Minisi;;:o di Svizzera, che mi ha fatto presente la notevole ripercussione che ha nell'opinione pubùlic~ svizzera la campagna della stampa italiana contro la germanizzazione del Ticino.

Gli ho risposto che non mi pareva che la Svizzera avesse finora prodotto argomenti sufficienti a provare la infondatezza di tale campagna; che in ogni modo avevo già intrattenuto sull'argomento S. E. il Capo del Governo e che avrei prospettato la cosa anche al Capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo.

541

PROMEMORIA DEL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI

SEGRETO 430. COPIA 8 ( 3). Roma, 18 luglio 1934.

Ogni valutazione giuridica della legittimità di una guerra nella cornice del Covenant della Società delle Nazioni e del Patto Kellogg ha un valore limitato. La guerra, la più alta manifestazione della politica, va principalmente esaminata nei rapporti politici, vale a dire in base agli interessi ed alle forze in contrasto. La discussione giuridica potrà seguire in un secondo tempo, quando sarà necessario ricoprire di giustificazione l'azione che l'interesse politico impone di intraprendere.

«Le osservazioni del Fey, malgrado la sua evidente cura di apparire ben disposto ed obiettivo, mi hanno colpito sovratutto per la insistenza a voler sminuire il pericolo nazista, richiamando cosi al mio pensiero le ormai diffuse critiche che gli si muovono per sospettati suoi accostamenti ai nazi ed in ogni caso per una certa indulgenza verso i medesimi. Del pari, le sue osservazioni nei riguardi del nuovo Comitato Ministeriale, mi hanno confermato, da un lato, la evidente ambizione di lui di voler giungere ad un diretto controllo della situazione interna del paese per quanto concerne l'attività ant!-statale, e dall'altro la evidente cura posta dal Cancelliere per cercare di evitare, nelle attribuzioni connesse al Comitato stesso, la possibilità di ogni azione del Fey, sia diretta ad una eccessiva esaltazione della sua stessa persona, e sia eventualmente contraddicente alla politica generale del governo ».

Il Giappone nella sua impresa manciuriana non è stato ostacolato dai legami del Covenant e del Patto Gellogg perché nessuna delle Potenze che avevano tnteresse ad opporsi alla sua politica, erano in grado di tradurre in atto tale opposizione. Possiamo aggiungere anche che il Giappone si è risolto a quella azione in quanto sentiva di avere il tacito consenso delle due Potenze principali, nelle cui mani è la Lega, Francia e Inghilterra. Cosa che è apparsa evidente a coloro che in Ginevra hanno assistito o partecipato ai dibattiti sugli avvenimenti di Manciuria e di Shanghai.

Dopo tali premesse, esaminiamo la posiziOne dell'Italia nel caso di una sua azione contro l'Abissinia. A norma del Covenant e del Patto Kellogg è da escludersi la convenienza di una formale dichiarazione di guerra. Questa ci leverebbe ogni possibilità di giustificazione ed impedirebbe alle Potenze eventualmente a noi favorevoli di appoggiare anche indirettamente la nost:::-a azione. Il ricorso alla guerra, secondo quei patti, è :'!Olc poss1bile quando siano state esaurite tutte le procedure pacificht:.

Non vi & altro allora che seguire quella pratica che si è andata svolgendo come conseguenza della pattomania del dopoguerra, cioè fare la guerra senza dichiararla, passando attraverso le maglie di tutti i Covenant, Patti Kellogg, Patti di garanzia, di non aggressione che la diplomazia ha messo in piedi. La via per uscire dalla rete è quella di fare ricorso al principio della legittima difesa, senza mai parlare di guerra, ma facendola sul serio, per mettere possibilmente avanti alle parole i fatti compiuti.

Il diritto di legittima difesa è stato riconosciuto in tutti i patti. Nella nota degli Stati Uniti in data 23 giugno 1928 per le trattative del Patto Kellogg, è esplicitamente detto:

« There is nothing in the American draft of anti-war treaty which restricts or impaire in any way the right of self-defence. That right is inherent in every sovereign state and is implicit in every treaty. Every nation is free at all times and regardless of treaty provisions to defend its territory from attack or invasion and it alone is competent to decide whether circumstances require recourse to war in self-defence ».

Il Committee on Foreign relations del Senato americano nel suo rapporto per la ratifica del Patto Kellogg tenne a mettere in evidenza che «each nation... is the sole judge of what constitutes the right of self-defence and the necessity and extent of the same ».

L'Ambasciatore francese a Washington nella nota 26 marzo 1928 al Governo degli Stati Uniti scriveva:

«Il puise également, dans les déclarations que V. E. a bien voulu me faire Elle-meme, notamment le 1er mars dernier, l'assurance que la renonciation à la guerre ainsi proclamée n'excluerait pas pour les signataires le droit de légitime défense. Une telle interprétation est de nature à dissiper certaines appréhensions, et le Gouvernement français est heureux de l'enregistrer ».

La tlran Bretagna nella nota del 18 luglio 1928 dichiarava:

«I am entirely in accord with the views expressed by Mr. Kellogg in his speech of aprii 28 that the proposed treaty not restrict or impair in any way the right of self defence, as also with his opinion that each State alone is competent to decide when circumstances necessitate recourse to war for that purpose ~.

Dai testi su riportati si deduce che sul principio di legittima difesa vi è unanimità completa. Per conseguenza, l'Italia può ricorrere ad atti di forza contro l'Abissinia in base a quel principio, della cui valutazione solo l'Italia è competente.

Il Giappone a giustificazione della sua azione in Manciuria dichiarò formalmente:

«Japan has partecipated unreservedly in the process of settlement provided for in the Covenant; it surely cannot be supposed that these methods exclude interim measures of self-defence which are interdicted by no resolution of the League. It is a universally accepted axiom that ali treaties of pacific settlement leave unimpaired the right of legitimate self-defence ».

In tal modo, senza una formale dichiarazione di guerra, ricorrendo a quelli che la pratica internazionale ha convenuto di chiamare «atti di forza ~ noi potremmo superare il divieto del Patto Kellogg.

Consideriamo ora la legittimità di tali atti di forza in base al Covenant. Il Patto della Società delle Nazioni, benché tutti i progetti presentati alla Conferenza della Pace (1919) proibissero di far ricorso alla forza armata Cresort to armed force), nel testo finale limitò tale proibizione solo alla guerra. Il Covenant d'altra parte non esclude il diritto di legittima difesa. Nel rapporto de Brouckère al Consiglio del marzo 1927, si legge: « Legitimate defence implies the adoption of measures proportionate to the seriousness of the attack and justified by the imminence of the danger. If a country flagrantly exceed these limits, even if it were affronted by some incident of little intrinsic importance, i t would become in actual fact the real agressor ».

Non v'è dubbio che il diritto di legittima difesa è ammesso, sia pure con la riserva sulla facoltà del Consiglio di stabilire se vi sia stato luogo o meno alla legittima difesa. Questa opinione che trovava i suoi precedenti nell'incidente di Corfù del 1923 e nel conflitto greco-bulgaro del 1925, fu accettata dall'Assemblea del 1931.

Vediamo ora come il Consiglio della Società delle Nazioni potrebbe occuparsi dell'indagine su tali atti di forza. L'art. 11 cap. 2, in cui si parla di «toute circonstance de nature à affecter les relations internationales et qui menace par suite de troubler la paix, ou la bonne entente entre nations, dont la paix dépend », gliene darebbe facoltà. Nella vasta dizione dell'articolo, anche atti di forza potrebbero facilmente essere compresi. Il Consiglio allora, come precedentemente avvenuto, emanerebbe delle raccomandazioni come cessazione di ostilità, ritiro di truppe, ecc. Ma l'Italia non sarebbe giuridicamente obbligata ad attenersi a tali raccomandazioni. Il rapporto Rutgers accettato dalla XI Assemblea constata che l'art. XI « does not impose upon Members of the League any obligation which can be rigidly specified: the Council's action under this article is politica! rather than judicial ». Durante il conflitto manciuriano; il Giappone non ammise di essere obbligato ad accettare le raccomandazioni del Consiglio, che riconobbe tale veduta, ammettendo implicitamente che gli atti di forza non cadono sotto il suo controllo.

Esaminiamo ora se tali atti di forza ricadano sotto l'art. XV, che stabilisce l'obbligo di sottomettere al Consiglio «un différend susceptible d'entrainer une rupture ». Sono note le disposizioni dell'art. XV. Se il Consiglio all'unanimità emana una raccomandazione, che una delle Parti in conflitto accetta, l'altra Parte non può ricorrere alla guerra. Se la raccomandazione non è presa alla unanimità, la Parte che non l'accetta può ricorrere alla guerra non prima di tre mesi dalla decisione del Consiglio.

È per questo articolo che occorre tenere presenti le considerazioni fatte in principio sulla valutazione politica e non giuridica del conflitto. Per l'applicazione dell'art. XV, l'Italia potrebbe sostenere come ha sostenuto il Giappone che il Consiglio non ha giurisdizione trattandosi di una disputa non di natura tale da portare a una guerra. Dinanzi a questa obiezione, il Consiglio dovrebbe affronts..<·e la questione della sua competenza. Nel caso che il Consiglio si dichiarasse competente ed emanasse all'unanimità una risoluzione, l'Italia non sarebbe obbligata ad accettarla, essenào il nostro obbligo solo quello di non ricorrere alla guerra. Ma procedendo noi già ad atti di forza, a cui neghiamo il carattere di guerra, il Consiglio dovrà decidere se quelli costituiscono o meno uno stato di guerra.

Sia nella prima decisione che nella seconda ci troviamo dinanzi ad apprezzamenti formalmente giuridici del Consiglio, in sostanza invece politici, in dipendenza degli interessi delle maggiori Potenze (Inghilterra e Francia) a opporsi alla nostra azione.

Entro il quadro del Covenant e del Patto Kellogg esiste certamente la possibilità di paralizzare l'azione della Società delle Nazioni e di fare la guerra, ma solo a condizione di un tacito consenso delle Potenze maggiori, contro la cui volontà non sarebbe possibile svolgere nessuna azione. Situazione che non costituisce una novità derivante dalle nuove formule giuridiche internazionali, ma è un fatto permanente della politica e del rapporto di potenza tra gli Stati.

Noi troveremo ancora una conferma di tale situazione, guardando alle ripercussioni di un'azione dell'Italia contro l'Abissinia sulla repressione del contrabbando di guerra. È ovvio che sarebbe nostro vitale interesse impedire il rifornimento di armi e munizioni al nostro nemico.

Nel caso che l'Italia contestasse l'esistenza di uno stato di guerra, noi non

potremmo esercitare il diritto di cattura, perché ove non vi è guerra, non esi

stono né belligeranti né neutrali. L'Abissinia potrebbe essere così largamente

rifornita di armi.

Ammettendo invece l'esistenza di una guerra, allora noi potremmo essere

considerati violatori del patto della Lega. In tale caso, anche se non vi fosse

contro l'Italia ricorso alle sanzioni dell'art. 16, non sarebbe possibile elevare

pretese perché i non partecipanti alla guerra si astengano dal rifornire di armi l'Abissinia. Nei riguardi dei violatori del patto, non esiste più l'antico rapporto di neutralità, perehé tuW gli Stati della Lega sono solidali difensori della comunità giuridica violata, ed essi non solo hanno il diritto ma anche il dovere di soccorrere l'aggredito, e la forma meno grave di soccorso è indubbiamente quella di rifornirlo di armi.

In ambedue i casi, anche per il contrabbando delle armi è necessario l'accordo con le potenze maggiori della Lega, vale a dire si conferma di nuovo la necessità di portare l'esame in sede politica e non giuridica.

Ma anche superate tutte queste difficoltà, resta l'ultima e decisiva: cosa fare dell'Abissinia? Il Giappone creando uno Stato fantoccio in Manciuria ha potuto affermare di non avere mire territoriali. Ciò non ha impedito a Stimson di proclamare la famosa dottrina del non riconoscimento, che è stata fatta :gropria dalla Lega e che l'Inghilterra non può ripudiare per non venire in disaccordo con l'America. Con la dottrina del riconoscimento, negli affari della Lega entra l'America, cui necessariamente fanno seguito Francia e Inghilterra. Per tale dottrina una nostra espansione in Abissinia ci sarebbe contestata.

Ancora una volta qui si rravvisa l'aspetto politico della questione: come superare una sicura apparizione dell'America, anche dopo realizzato un accordo con la Francia e l'Inghilterra.

(l) Cfr. il seguente brano del telespr. 2834,11520 di Preziosi del 15 luglio su un suo colloquio con Fey:

(2) -Non pubblicato. (3) -La copia n. 9 del presente promemoria, conservata in ACS, fu allegata da Cavagnari a un suo memoriale per Mussolini del 15 gennaio 1935, per il quale cfr. DE FELICE, pp. 638-640.
542

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 965/175 R. Roma, 19 luglio 1934, ore 20,45.

Telegramma di V. S. n. 296 (l). Sentito anche parere Ministero Colonie, questo R. Ministero ritiene che, nelle attuali condizioni dei rapporti itala-etiopici e dopo l'esplicita richiesta fattaci da codesto Governo, non convenga opporre alla proposta del Blatingheta relativa alla delimitazione del confine della Somalia un rifiuto che aggraverebbe diffidenze già esistenti costì verso nostra azione in Ogaden.

Questo R. Ministero come pure R. Ministero Colonie convengono d'altra par

te con V. S. nel considerare che discussioni relative detta delimitazione non

(dico non) gioverebbero con ogni probabilità a chiarire rapporti itala-etiopici,

ma creerebbero piuttosto nuove ragioni di malcontento.

Sembra quindi opportuno che V. S. pur comunicando a Blata Herui che

R. Governo è, di massima, disposto ad aderire a richiesta di cui trattasi, cerchi guadagnare tempo facendo presente opportunità che, prima di affrontare tale

già iniziativa.

Oggi vi ha insistito domandandomi quale era la risposta del R. Governo.

Sono anche io del parere.

Ripresa delle discussioni a priori non gioverebbe alla chiarificazione dei rapporti italo

etiopici, e creerebbe nuove ragioni di tensione; ma ritengo difficile opporre un rifiuto alla proposta etiopica; si potrebbe tuttavia trovare il modo di dare ancora per guadagnare tempo una risposta dilatoria d'ordine procedurale ».

complessa questione, terreno venga sgombrato dalle principali questioni attualmente in discussione fra i due Governi e vengano risolti gli incidenti di frontiera i quali, se non sistemati, intratterebbero nelle zone confinarie uno stato di reciproca insoddisfazione fra le popolazioni somale; ciò che renderebbe più difficili lavori delimitazione. Nel frattempo due Governi potrebbero, ciascuno per conto proprio, predisporre elementi necessari allo studio di detta questione che, come Governo etiopico propone potrebbe a momento venuto iniziarsi in Addis Abeba col lavoro preliminare fatto da appositi tecnici.

(l) T. 2308/296 R. del 20 giugno che ripeteva parte del n. 322 e cosi concludeva: << Ministro degli affari esteri etiopico mi ha quindi posto formale questione ed ha preso

543

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 19 luglio 1934.

Ho visto ieri il Principe Starhemberg: è a Venezia in licenza per una settimana dovendo rientrare prima della partenza di Dollfuss per Riccione. Mi dice di essere abbastanza soddisfatto della situazione interna e internazionale austriaca. Gli avvenimenti della Germania non potranno non avere una ripercussione deprimente sui Nazi dell'Austria, sopratutto sui circoli intellettuali, ma egli ritiene che gli effetti se ne potranno sentire tra un paio di mesi, non prima dell'autunno. Egli prevede che sorgerà negli elementi «nazionali » il desiderio di collaborare col Governo. Tanto il Cancelliere quanto lui ritengono che ad un determinato momento questa collaborazione sarà possibile se i detti gruppi nazionali accetteranno i principi dell'indipendenza austriaca formale e sostanziale

Ho chiesto a Starhemberg quali siano i suoi rapporti col cancelliere e se sia perfettamente d'accordo con la politica fatta negli ultimi tempi. Starhemberg mi risponde che è in massima perfettamente d'accordo; ritiene soltanto che Dollfuss s'ia sempre troppo circondato da elementi clericali del vecchio Partito, che tengono lontane dalla collaborazione col Governo le forze giovani, ed anche alcuni elementi nazionali bene disposti.

Starhemberg pensa che se il Capo del Governo nei colloqui che avrà con Dollfuss potesse fargli qualche accenno al riguardo, la situazione potrebbe migliorare.

Gli ho chiesto poi della nuova posizione di Fey e dei suoi rapporti con lo stesso. Mi ha detto che considera il caso Fey superato.

A proposito degli atti di terrorismo mi ha detto che c'è una reazione, ed anche notevole nella popolazione; ora si è cominciato coi mezzi illegali (si è adottato fra l'altro l'olio di ricino) che sembrano dare migliori risultati dei mezzi legali.

In complesso ritiene che la situazione politica dell'Austria sia discreta; quello che lo preoccupa invece è la situazione economica. Gli sforzi fatti dal Governo hanno portato a dei risultati non indifferenti che però vengono neutralizzati di fronte a nuove difficoltà che sorgono continuamente. Ad ogni modo egli non ritiene che la situazione dell'Austria, anche nei riguardi economici, sia peggiore di quella degli altri paesi della regione danubiana.

544

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 2517/977. Tirana, 19 luglio 1934 (per. il 21).

Ho avuto una lunga conversazione con un membro del Governo col quale sono in cordiali relazioni e che sinceramente spera, anct1e per interesse personale, in un pronto regolamento dei rapporti itala-albanesi (1). Egli mi aveva già dato in altre occasioni qualche utile not!~!a sugli intendimenti di questo Governo nei nostri riguardi.

Per ragioni di convenienza non mi ero fatto vedere da lui in questi ultimi tempi. Trovato un plausibile :p:raesto in una questione di competenza del suo Dicastero sono andato que:.;ca mattina a vederlo.

Mi onoro dare q_'.li presso notizie delle sue dichiarazioni, riportando, per quanto possibile fedelmente, le parti più salienti, poiché mi sembrano di particolare inte::-~;sse in questo momento in quanto servono a meglio illuminare l'atte~giamento tenuto da questo Governo in occasione dell'arrivo della Squadra navale italiana, a darci importanti elementi di giudizio sulle intenzioni politiche della vigilia e a orientarci su quello che sembra essere attualmente l'intendimento di Re Zog nei nostri riguardi. Esse costituiscono nel complesso una autorevole riprova di quanto questa R. Legazione ha avuto già a riferire.

Il Ministro mi ha confermato che l'arrivo inopinato delle navi italiane provocò non solamente una grave apprensione nella popolazione, specialmente di Durazzo e Tirana, ma suscitò una forte preoccupazione nelle sfere dirigenti e nell'animo dello stesso Re che rimase fortemente abbattuto per la sorpresa provata; non poteva infatti persuadersi che il Governo Fascista si sarebbe così bruscamente fatto presente. Il Governo mostrò un disorientamento tale, il giorno dell'arrivo della Squadra, da dare l'impressione che i suoi componenti avessero perduto la testa. *Il Presidente del Consiglio, il vecchio Pandeli Evangjeli, sembrava più morto che vivo* (2). Colui però fra i Ministri ·Che dimostrò la maggiore ~ paura fisica » per le sanzioni che temeva sarebbero state inflitte ai membri del Governo dalle truppe italiane, di cui si credeva sicuro lo sbarco, fu il Ministro delle Finanze, il quale credette preferibile astenersi dal prendere parte al Consiglio dei Ministri che seguì l'arrivo delle navi e si affrettò a presentare le sue dimissioni. Lo stesso Re rimase assai sfavorevolmente impressionato da questo suo gesto. (Queste sarebbero dunque state le ragioni delle dimissioni Abdurraman Dibra di cui questa R. Legazione ha dato notizia col telespresso n. 2341/897 del 13 corrente) (3). Lo stato di disorientamento provato al primo momento consigliò il Governo di protestare col Ministro d'Italia e di informarne subito i rappresentanti delle Potenze che si

"Secondo ogni verosimiglianza il membro del Governo albanese che ha avuto con 11 Ministro Koch la conversazione di cui all'unito telespresso, è il signor Saracl, Ministro del Commercio, cattolico, scutarino, d! sentimenti notoriamente italof!li ».

ritenevano più interessate: Inghilterra, Francia e Jugoslavia, sulle quali si contava per una rea?.ionc diplomatica, in appoggio alla protesta del Governo albanese, appoggio che avrebbe dovuto mettere la Squadra italiana nella ne~essità di una immediata partenza. Quei Ministri esteri consigliarono invece di ac~.ettare il carattere amichevole dato ufficialmente dal Governo italiano alla visita della Squadra e evitare ogni atto inconsulto che, finché la visita avesse manterwto quel carattere, non avrebbe comunque incontrato la loro approvazione. Il Go~·erno si adattò a malincuore a quel consiglio e ne fu sorpreso; contava su un appoggio delle altre Potenze per risolvere a suo profitto la critica situazione in cui si €~::t messo nei suoi rapporti con l'Italia.

* «Una volta tuttavia che il Ga~·erno si adattò ad accettare i consigli datigli e ad accogliere con spirito amichevole la visita, perché -ho chiesto al Ministro -esso si affrettò a prendere misì..:!'e di carattere militare ostensibilmente dirette contro le navi italiane? *.

« La cosa è stata molto discussa in Consiglio dei Minist;'l -mi ha risposto il mio interlocutore -sebbene voi comprendiate che queste discussioni hanno un carattere assai accademico, essendo la volontà di un solo quella ['.he predomina. Io mi sono dimostrato, con qualche altro collega, assolutamente c!lntrario, ma ha prevalso l'idea che fosse utile dare all'avvenimento un carattere di ostilità malgrado le dichiarazioni ufficiali e fare apparire la visita come un'offesa alla dignità della Nazione, contro la quale il paese era pronto a reagire». (Ciò conferma quanto ebbi a dire circa il tentativo di questo Governo di intorbidare in quella occasione le acque internazionali nella persuasione di trarne profitto e trova riscontro nella comunicazione che fu incaricato di fare a Parigi il Ministro Libohova -mio telespresso n. 2358/914 del 13 corrente) (1).

« È per questo --ho aggiunto io -che si è voluto far credere ad una pressione che io avrei fatto sul Ministro degli Affari Esteri, servendomi della presenza della Squadra, per spingerlo ad accettare la pronta trattazione e definizione delle questioni in sospeso. Ora, non so che cosa vi abbia riferito in Consiglio dei Ministri il Signor Giafer Villa, ma tengo a dirvi nel modo più esplicito, per amor della verità, che io non ho fatto pressione di sorta e che la deliberazione del Consiglio dei Ministri circa la ripresa delle trattative mi fu da lui letta spontaneamente non sotto la spinta di una minaccia».

«Ma lo sappiamo tutti benissimo» mi ha subito dichiarato il Ministro. «E allora chi ha voluto far accreditare tale voce e a che cosa essa mirava?». « Mah! ... » ha soggiunto il Ministro allargando le braccia, quasi a dire «è meglio non approfondire». Ho chiesto allora quale, a suo avviso, fosse in definitiva il pensiero del Re circa l'intendimento che avrebbe spinto il Governo Fascista a mandare le 22 unità.

«Il Re -egli mi ha risposto -ha interpretato la visita come un desiderio del Governo di Roma di fare atto di presenza, proprio quando si andava accreditando qui l'idea che esso è indifferente all'assetto del problema albanese e ad altre eventuali orientazioni che l'Albania intendesse dare alla sua politica estera,,

Ho preso subito il facile spunto offertomi dal Ministro per parlargli in tono confidenziale, e senza naturalmente precisazione alcuna, di questi tentativi di nuova orientazione politica che a me non erano sfuggiti e su cui ritenevo che egli non potesse smentirmi.

« Vi saranno forse stati -mi ha detto il Ministro -ma non ne sono esattamente al corrente. Vi dirò solamente che il Re è rimasto assai infastidito dal dubbio avuto che qualche notizia fosse trapelata al riguardo alla Legazione d'Italia. Ha sospettato che Rauf Fitzo avesse fatto delle indiscrezioni al Ministro Galli e i suoi sospetti non sono ancora del tutto scomparsi al riguardo. Se l'è presa anche col suo primo Aiutante di campo, sapendo che il Colonnello Sereggi si incontra qualche volta con voi, ma questi ha avuto facile giuoco nel rispondere che egli non era stato mai messo al corrente di contatti o trattative politiche fatte con Governi stranieri. Se però il Sereggi non si farà vedere per qualche tempo da voi, voi capirete perché. Sapeva che venivate da me quest'oggi e mi ha incaricato di dirvelo~.

Ho domandato al Ministro che valore egli attribuisse a questi tentativi che venivano fatti di intese con altri paesi. «A mio avviso, egli mi ha risposto, essi non avrebbero potuto comunque condurre a serie intese. Il Re del resto non si deciderebbe a staccarsi dall'appoggio dell'Italia che quando si fosse proprio accertato quello di altri, e nessun altro gli darà un serio appoggio se non quando egli avesse dato prova di staccarsi dall'influenza italiana. È un circolo vizioso che non ha uscita. Egli mostra qualche volta di cedere e, se cede lo fa fino ad un certo punto per trarre qualche vantaggio~.

«Non credete -ho domandato io -che con l'aver voluto precisare un determinato numero di organizzatori militari italiani da esonerare, senza previa consultazione col R. Addetto Militare, con l'aver insistito sulla loro partenza in una forma anche poco corretta, egli abbia desiderato di far cosa gradita a Belgrado ripromettendosene vantaggi da parte di quel Governo a scapito della collaborazione militare?~.

«Non è da escluderlo -egli mi ha risposto -ma non bisogna dare a ciò eccessiva importanza. Le due parti sono animate dalla più grande reciproca sfiducia. Re Zog sa benissimo che se oggi può trovare uno spunto conciliante da parte del vicino Governo è perché questo vuol servirsi del contrasto verificatosi con l'Italia per scalzare questa dalle sue preminenti posizioni in Albania, ma col segreto intento di vendicare poi il tradimento a suo tempo sofferto. * Re Alessandro, il quale ha di Zog la più grande disistima, non è punto disposto a perdonargli*.

Ma, credete a me -egli ha aggiunto -la situazione che si andava manifestando con sondaggi e tentativi in altre direzioni é, a mio avviso, oggi superata. La lezione data dalla visita della Squadra italiana è stata salutare.

42 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Essa è servita a far cadere al Re ogni illusione nei riguardi dell'interesse che può suscitwre l'Albania all'estero. EgLi si era troppo facilmente abituato a sopravvalutarlo, questo nostro paese, e ciò anche per vostre passate colpe. Oggi deve rendersi conto, a denti stretti, che non c'è altra via di salvezza che intendersi con l'Italia. Occorre facilitargli il cammino della resipiscenza, ma a questa egli si sta ormai avviando.

«Sabato 30 giugno -ha continuato il Ministro -mi trovavo a Durazzo; c'erano ancora in porto le navi della Divisione «Fiume» che partirono alcune ore dopo. Mi incontrai col Primo Segretario della Legazione jugoslava che rientrava in quel momento direttamente da Belgrado ove aveva visto il Signor Jeftic. Egli mi disse che il suo Governo aveva molto apprezzato l'atteggiamento calmo e corretto seguito dal Governo Albanese nell'occasione dell'improvvisa venuta delle navi italiane. Riferii al Re questa comunicazione del Signor Ristic e il Re mi disse: *-Tutti ci danno dei facili consigli e ci fanno dei complimenti, ma nessuno ci viene a sostenere per rintuzzare l'offesa fattaci dall'Italia -*. Trovai il Re tanto più contrariato -ha continuato il Ministro --perché aveva ricevuto in quel momento una lettera da un suo fiduciario che a Londra aveva avuto occasione di intrattenersi con alcuni personaggi inglesi, fra cui il Ministro dell'aria e lo stesso Simon, i quali gli avevano detto che unica saggia politica del Governo albanese é quella di intendersi con quella Potenza sulla quale per ragioni geografiche, economiche e politiche, essa può effettivamente èontare, cioé sull'Italia. Dissi al Re che non c'é da farsi illusioni; l'Albania non presenta grande interesse per nessuno; e con una frase figurativa della nostra lingua, aggiunsi che se anche la si dà al diavolo questi, dopo averla un pò masticata, la sputerà fuori. Fu allora che il Re mi ordinò di esaminare al punto di vista tecnico le questioni in sospeso con l'Italia di competenza del mio Ministero, e, una volta definita la loro trattazione tecnica, di passarle al Ministro degli Affari Esteri affinché questi possa contrattarle nel miglior modo col Ministro d'Italia».

Il mio interlocutore mi ha anche detto che il Re si proporrebbe -ciò che sarebbe anche un indice delle sue mutate intenzioni nei nostri riguardi -di procedere nei prossimi giorni ad un rimpasto Ministeriale, che porterebbe al mutamento del Presidente del Consiglio e all'allontanamento in ogni modo dei due membri del Governo più anti-italiani: il Ministro delle Finanze e quello della Pubblica Istruzione, dal quale ultimo tuttavia Re Zog avrebbe maggiore difficoltà a separarsi per timore di dare troppa soddisfazione ai cattolici e di dispiacere ai nazionalisti.

Concludendo, il personaggio che mi ha dato, in via confidenziale e raccomandandomi la massima discrezione, le notizie qui sopra esposte, ritiene che Re Zog si disponga ormai a trattare con noi con l'intenzione di giungere comunque ad una intesa; che, al punto cui sono giunte le cose, la trattazione presenterà qualche difficoltà per ragioni sopratutto formali; e ha aggiunto che l'Italia riuscirà ad· avere *sostanzialmente un completo successo purché lasci intanto in disparte il problema della riapertura delle Scuole Confessionali; verrà poi anche quello *.

(l) Allegato il seguente appunto, redatto su carta intestata del Gabinetto e datato 24 luglio:

(2) -I passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussolini. (3) -Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

545

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. CXXXI. Vienna, 19 luglio 1934.

Da quando sono ritornato a Vienna, e sono una diecina di giorni, la domanda che ho posto a tutti coloro coi quali ho parlato per farmi un'idea della situazione, è stata la seguente: «Come mai la popolazione austriaca non ha reagito direttamente al terrorismo nazional-socialista, non foss'altro in considerazione dei danni che esso reca alla vita dei cittadini, ai beni privati ed alla pubblica economia? » Con variazioni più o meno accentuate, la risposta è stata la seguente: «perché la maggior parte della popolazione austriaca, pur non essendo nazional-socialista, è oggi ostile alla politica del Governo Dollfuss il quale non ha finora realizzato nulla che il popolo possa direttamente vedere od apprezzare, è quindi propensa a rovesciare su Dollfuss più che sui nazi, i quali provvedono a scagionarsi con un'accorta propaganda, tutto quanto le capita ed è quindi indifferente ad un'azione diretta contro tale Governo anche se questa finisce coll'arrecarle dei danni».

La risposta non è molto confortante, ma è giustificabile. Dal febbraio a questa parte (repressione della rivolta socialista) e più ancora dal maggio (approvazione della nuova costituzione) il Governo di Dollfuss, a ben guardare, nulla ha dato al popolo, nulla ad eccezione dei vantaggi a lenta ripercussione di un'azione economica internazionale che, come gli accordi di Roma, non si sa se attribuire a suo merito od a merito del Governo italiano. La classe agricola austriaca -si dice -è composta di circa 450.000 contadini e comprende le due grandi divisioni dei « Ki:irndelbauer » (da Korn-grano, contadini cerealicoli in generale) in numero di meno che 50.000 e degli Hi:irndelbauer (da Horn-corno, contadini del prato, del bestiame e dell'industria lattaria) in numero di circa 400.000. Dollfuss, proveniente dalla Bassa Austria, regione a caratteristiche cerealicole, e figlio di agricoltori ha una comprenswne per i problemi agrari della prima categoria e l'ha infatti favorita, lla trascurato invece la seconda e ben più numerosa categoria. Ai problemi dell'industria egli non è portato e tanto meno il ministro del commercio Stockinger, ex commerciante di generi coloniali (questo particolare contribuisce a spiegare l'interessamento di Stockinger alle questioni del porto di Trieste) sicchè non è stata fatta sia nei confronti delle maestranze che dei proprietari industriali alcuna costruttiva politica sociale e dei prezzi sì da dare alla popolazione l'impressione che il Governo si sia investito del miglioramento di questo importante ramo della vita pubblica. Le industrie fioriscono (come quella dello zucchero o quella tessile) o languono (come la metallurgia o l'industria della carta) al di fuori di ogni interessamento governativo. Se si passa al lato più immediatamente pratico della questione si vede che forti industriali, (preoccupati anche essi di un incerto avvenire politico) lasciano, nel miglior dei casi, che le loro maestranze si volgano ai nazi od ai comunisti, fino a giungere al caso delle Alpine Montane, oggi diventato di moda, o dell'industria metallurgica stiriana che da queste dipende, tutte « nazi », od al caso di un industriale di Waidhofen, oggi denunziato dalla Reichspost, il quale licenzia 26 operai perché si sono iscritti ai sindacati unitari organizzati con legge dal Governo. E mentre a Graz l'associazione industriale è presieduta da un certo Kranz, dipinto come nazi al cento per cento, mentre a Vienna l'associazione industriale è per metà nazi e per metà cristiano sociale, si ha che la classe operaia o è indifferente, o si astiene dal prendere comunque parte alla politica per meglio covare i propri sentimenti di vendetta, o è comunista o è nazionalsocialista.

È mancata la propaganda valorizzatrice di quel poco che il Governo è riuscito a fare, è mancato l'annunzio di grandi opere pubbliche, è sopravvenuta la coscienza anticlericale in conseguenza della prevalenza assoluta che si è tornata a dare agli elementi del partito cristiano sociale anche se notoriamente discreditati, è infine subentrata l'impressione che la repressione del terrorismo sia divenuta il fine ultimo della esistenza del Governo sicché si finisce collo spiegare il dubbio se convenga tenere in piedi un Governo per reprimere il terrorismo o se non convenga piuttosto reprimere il terrorismo abbattendo il Governo.

Questo stato d'animo può anche far comprendere perché gli avvenimenti di Germania non abbiano avuto finora qui la ripercussione che v'era da attendersi: piatta indifferenza; spiega perchè i cosiddetti elementi nazionali, a parte l'uno

o l'altro capo, non mostrino di prestare orecchio agli inviti di un Governo troppo clericaleggiante; perché così fiacchi siano i tentativi della propaganda governativa, fatta ormai più che di elementi positivi, di elementi negativi: gli innumerevoli decreti per minacciare ai nazi pene sempre più gravi non mai veramente applicate.

Per quello che Le dirò appresso questo scorcio pessimista sulla situazione potrà apparirLe tendenzioso: non lo è affatto; esso parte sopratutto dalla mia personale convinzione che colla mezzanotte di ieri siamo entrati in una nuova fase di questa lotta austriaca, fase anche essa, come le altre, difficile e penosa, sicché c'è in me l'onesta intenzione di fornire soltanto gli elementi di giudizio per intraprendere nel miglior modo la nuova lotta. Colla mezzanotte di ieri è scaduto il termine della consegna delle armi e degli esplosivi da parte dei nazi; armi ed esplosivi non ne sono stati consegnati, vi è da pensare dunque sia esatta l'informazione fornitami da Fey secondo cui, a quanto egli sa, i nazi si propongono di continuare indisturbati i lori attentati per intensificarli ed aggravarli con attentati alle persone subito dopo la prima, o le prime, condanne a morte dei loro compagni.

Ora, che a questa situazione si dovesse arrivare vi era da attenderselo. Subito dopo la repressione della rivolta del febbraio, Dollfuss preoccupato dal valore che la popolarità conquistata dava alle forze acquisite dalle Heimwehren ha incominciato tra Fey e Starhemberg quel lavorio di divisione che già nel settembre scorso aveva iniziato tra Winkler e Fey per sbarazzarsi del primo e si è intanto appoggiato tutto dalla parte dei cristiano-sociali. Questi non potevano dare né più né meglio di quello che hanno dato: cioè, come già tra il 1920 ed il 1927, quella politica di gretti personalismi e di corruzione che aveva fatto grande il partito social-democratico. Quando nel febbraio si delineò la gara tra le organizzazioni che avevano riportato la vittoria sui social-democratici, tra Heimwehren e Sturmscharen e, per queste, i cristiano-sociali, lo stesso consigliai allo Starhemberg di tenerne i suoi uomini, per quanto fosse possibile, lontani affinché restassero colle mani pulite e lasciassero logorare i cristiano-sociali (che in ogni modo ne sarebbero usciti vincitori date le loro posizioni nella burocrazia) in un periodo in cui non era possibile dare esecuzione ad un programma di rapida restaurazione economica. Le Heimwehren si sarebbero cosi riservate per l'avvenire, visto che a qualche nuova stretta politica si sarebbe dovuto giungere. Ma il raffreddamento tra Fey e Starhemberg ha avuto come conseguenza un indebolimento delle Heimwehren: Starhemberg ha infatti troppo rapidamente acconsentito alla smobilitazione dello Schutzkorp e delle sue formazioni, prima ancora cioè di aver conseguito un consolidamento della situazione di forza. Si aggiunga il malcontento determinato tra i militi sia dalle evidenti preferenze accordate dai cristiano-sociali ai loro uomini, preferenze che acquistavano spesso il carattere di ostilità per i militi delle Heimwehren, sia dal fatto che intanto venivano rafforzate invece le file delle corrispondenti organizzazioni cristianosociali, (Sturmscharen di Schuschnigg e Freiheitsbund di Kunschak) sia infine perché le ammissioni al « fronte patriottico », nel quale le Heimwehren avevano fatto il loro ingresso ufficiale, avvenivano senza criteri restrittivi si da fare di questa ultima organizzazione l'asilo di ogni sorta di gente che avesse bisogno di cacciarsi in tasca una tessera di legittimazione.

Pur essendo questa una situazione suscettibile di essere ripresa, si può dunque dire che Dollfuss va riuscendo nella politica di liberarsi dei compagni incomodi e cioè, nel caso specifico del Fey, il quale intanto è incomodo in quanto è molto più tenace di Starhemberg e più sollecito degli interessi immediati della organizzazione. Ma visto che la politica di appoggio esclusivo ai cristiano-sociali non gli ha portato nulla di buono, è lecito chiedersi perché egli la persegua. A mio parere, oltre che il desiderio di una normalizzazione interna, che in questo caso può apparire troppo precipitata, considerazioni di politica estera entrano in giuoco: Dollfuss sa che le Heimwehren sono considerate la carta italiana, quelle che, anche in una situazione normalizzata, dovranno continuare a rivolgersi all'Italia per trovarvi l'appoggio al loro programma. Pensando al lontano avvenire ciò può anche non far piacere ad un austriaco che pensi di far vivere il proprio paese tenendolo equidistante dalle grandi potenze europee. Vi è anche una ragione immediata: con ogni probabilità l'Austria avrà bisogno in autunno di un prestito e mi par difficile che si possa pensare, nella situazione attuale, ad un prestito interno analogo a quello lanciato lo scorso anno: ha bisogno quindi di tenersi buona la Francia, la quale non può non vedere nel partito cristiano-sociale quello che in un modo o nell'altro potrà spianare la strada ad un ritorno dei vecchi elementi della social-democrazia.

La conclusione alla quale arrivo è dunque (e mi permetta di arrivare ad una conclusione) che si debba far di tutto per far ritornare la concordia tra Dollfuss, Starhemberg da una parte e Fey dall'altra e ciò sarebbe tanto più facile se, come ho presunto, i nazi dovessero continuare od intensificare la loro campagna terroristica; per equilibrare il peso politico di Dollfuss, Starhemberg solo non basta.

Avendo avuta notizia che Fey aveva espresso l'intenzione di dare le dimissioni, mi sono ieri sera incontrato con lui: quattro ore di colloquio che posso brevemente riassumere. È quanto mai malcontento della sua posizione personale e molto pessimista sulla situazione generale. «È inutile, egli dice, andare avanti coi decreti se non mi si danno tutti i mezzi per applicarli utilmente e se, sopratutto, non si fa una politica generale che sollevi il morale della popolazione e le dia nuova fiducia nel Governo. La nomina a commissario statale contro il sovversiv,ismo di ogni colore è stata una scappatoia trovata allorché all'invito, che in un primo tempo mi rivolse anche Starhemberg, di recarmi a Roma in qualità di ministro d'Austria risposi che, se mi si voleva levar di mezzo, mi sarei piuttosto dimesso proponendomi però 'di «restare a Vienna e di continuare a lavorare per suo conto». Egli potrebbe garantire di farla finita in quattro settimane col terrorismo, qualora gli si dessero i necessari poteri. Invece la legge sul funzionamento del nuovo «Commissariato generale» pur dandogli la possibilità di compiere qualche lavoro per allontanare i nazi annidati negli esercizi privati gli legherà le mani per quanto riguarda l'azione generale. Il punto saliente di tale legge ancora allo stadio di progetto, è quello che prescrive che ogni decisione può essere presa dalla commissione solo ad unanimità di consenso dei presenti. Poiché tutto ha un limite, qualora venerdì prossimo discutendosi il progetto al Consiglio dei Ministri, tale punto dovesse passare egli non si presterebbe ad un giuoco che mira a tirargli addosso delle odiosità senza dargli invece possibilità di successo e si dimetterebbe. Gli ho fatto notare che ciò aggraverebbe notevolmente la situazione e l'ho pregato di rinviare ogni decisione fino al ritorno del Cancelliere Dollfuss da Riccione. Dopo lunga discussione, esaminandosi le possibilità di un temporeggiamento, gli ho proposto: di accettare la legge che prescrive le norme per il funzionamento della commissione con riserva di dire un'ultima parola dopo i primi esperimenti pratici; ciò. gli ho detto, renderebbe più chiara la sua posizione nei confronti dell'opinione pubblica; le dimissioni all'atto dell'approvazione o meno di una legge potrebbero prestarsi a discussioni che non sarebbero possibili invece se esse venissero date in base ad un caso sul quale si potesse praticamente dimostrare che la posizione del commissario generale non è altro che decorativa. Mi ha promesso che farà di tutto per non giungere fino alle dimissioni, ma ha contemnoraneamente espresso il desiderio che n Duce adoperi la sua influenza su Starhemberg per convincerlo a tornargH lealmente a fianco ed eventualmente anche sul Cancelliere perché si convinca che non si può contemporaneamente sbarazzarsi dei nazi e di quei collaboratori che si sono sempre comportati lealmente con lui. « Sfido, egli ha detto, tanto Dollfuss che Starhemberg a portare una prova che dimostri una mia mancanza di lealtà nei loro riguardi». Naturalmente, non mi sono impegnato su questo punto, gli ho detto invece che al ritorno di Starhemberg avrei fatto quanto sta in me per convincerlo a riprendere la collaborazione assoluta con Fey.

546

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2642/216 R. Berlino, 20 luglio 1934, ore 21,05 (per. ore 0,15 del 21).

Ho esposto al barone von Neurath punto di vista del Governo italiano circa patto orientale giusta istruzioni impartitemi da S. E. Capo del Governo (1).

Ministro degli affari esteri ha constatato con soddisfazione che modo di vedere italiano non dissente in fondo da quello tedesco, dato che qui, dopo che nella stampa mondiale il proposto patto è stato sottoposto ad un esame approfondito e spesso critico, non si è alieni dal considerarlo come una piattaforma dalla quale possa prendere inizio un negoziato diplomatico che potrebbe anche terminare risolvendo la questione del cosiddetto disarmo.

Barone von Neurath mi ripeté concetti espostimi da von Btilow (2), insistendo sulla necessità per il Reich di ottenere previamente la garanzia dell'assoluta parità di diritti, vale a dire applicazione facoltà di riarmare completamente non solo in modo difensivo, ma anche offensivo, senza di che non potrebbe rientrare nella Società delle Nazioni.

Osservò che discrepanze risultanti dai recenti discorsi di Simon e di Barthou non sembravano essere di buon auspicio per la tesi sostenuta dalla Gormania. Egli conveniva, ad ogni modo, con l'idea di S. E. Capo del Governo da me riferìtagli che passo fatto dall'Inghilterra a Berlino il 13 corrente non richiedesse una risposta immediata.

Era sua intenzione di lasciar trascorrere vario tempo per rendersi conto delle ripercussioni che patto proposto avrebbe avuto nei vari Stati. Più tardi si sarebbe poi giudicata se e come iniziare trattative a riguaQ'do (3).

si trova invece menzionata nel colloquio tra Neurath e Phipps di cui al n. 519.

<<La ragione maggiore della ripugnanza tedesca ad accedere al patto stesso rimane però la convinzione che la Francia si propone di acquistare una posizione preminente in Europa, Il fatto che essa dovrebbe partecipare ad ogni consultazione orientale e che si dà gran premura perché sia concluso anche un patto mediterraneo è una riprova che la Francia intende conquistare l'egemonia sul continente europeo.

Alla mia domanda se il Governo del Reich avesse ricevuto qualche informazione circa !l preteso patto meditteraneo, von Biilow rispose che il signor Barthou vi aveva vagamente accennato con Koester. Gli risultava però che la Francia ne aveva tenuto parola alla Spagna, che quest'ultima avrebbe considerato con un certo favore un patto che avesse avuto come oggetto il n1editerraneo occidentale e che viceversa si era ricreduta non appena aveva avuto sentore che il patta mediterranea doveva coinvolgere anche il bacino orientale.

Osserva! che evidentemente un patto mediterraneo non poteva essere concluso senza il consenso dell'Italia e dell'Inghilterra e che siccome, almeno sinora, non mi risultava che queste due Potenze considerassero la questione, si poteva ritenere il patto stesso come un pio desiderio e nulla più.

fBi.Low rispose chr l in questo momento si stava ad Esempio studiando con grande cura se non fosse possibile che il patto orientale venisse costruito in modo che alla «consultazione» partecipassero, oltre agli Stati firmatari, anche l'Italia e l'Inghilterra, pur tenendo conto dell'avversione manifestata da queste due Potenze ad essere «garanti» del patto stesso. Se si convenisse che la «consultazione» dovesse in ogni caso precedere l'<< assistenza», tutte le questioni politiche formanti oggetto del patto orientale, verrebbero discusse tra Italia, Francia Inghilterra, Germania, Polonia ed U.R.S.S., vale a dire fra le sei grandi Potenze europee e ciò corrisponderebbe maggiormente all'ideologia politica tedesca, e von Btilow credeva anche a quella italiana».

(l) -Cfr. n. 524. (2) -Cfr. n. 521 dove però non si parla della necessità di ottenere la parità d! diritti. Questa

(3) Cfr. i seguenti brani del t. per corriere 2718/0174 R. del 24 luglio con cui Cerrutl riferì un colloquio con BUlow sul patto orientale:

547

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2657/0108 R. Londra, 20 luglio 1934 (per. il 23).

Telegramma per corriere di questa ambasciata n. 0150 (1).

Il Foreign Office, al quale il R. ambasciatore aveva comunicato il contenuto del telegramma di V.E. n. 165 (2), mi ha og.gi informato che il Colonia! Off.iee non ha alcuna intenzione di abolire l'insegnamento dell'italiano nelle scuole secondarie. Circa l'uso della lingua italiana nei tribunali nessuna decisione è stata presa. Il governatore ha incaricato tempo fa il consulente legale del Governo maltese, signor Allison Russell, di voler studiare la maniera di rendere più spedita la procedura giudiziaria. È questo forse che ha dato origine alla voce che l'uso della lingua italiana nei tribunali sarebbe stato interdetto.

Ho preso atto di queste diehiarazioni, che il signor Sargent mi ha fatte, non senza tuttavia far notare che una restrizione dell'uso della lingua italiana nei tribunali -qualora a questo si addivenisse -potrebbe essere difficilmente giustificata dalle esigenze, vere o presunte, di procedura. Queste esigenze sono assai dubbie se si pensa che l'amministrazione della giustizia è sempre più spedita quando si fa nella lingua del paese, ed esse non potrebbero quindi apparire all'opinione pubblica italiana che come dei pretesti per colpire l'uso della nostra lingua. Ho creduto perciò di dover richiamare seriamente l'attenzione di Sargent sulle gravi ripercussioni che una tale azione indubbiamente avrebbe in Italia.

Nel corso del colloquio ho ricordato a Sargent la sua promessa di voler riprendere in esame le nostre richieste per l'istituto di cultura a Malta. Egli mi ha detto che tali richieste erano sembrate ragionevoli e che il governatore di Malta aveva già ricevuto istruzioni per modificare i termini della licema nel senso da noi desiderato.

548

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORIRERE 2675/0131 R. Vienna, 21 luglio 1934 (per. il 25).

Cancelliere mi ha pregato far pervenire V. E. vivi ringraziamenti per articolo pubblicato 20 corrente dal Giornale d'Italia (3) che egli ritiene essere d'ispirazione ufficiale e che egli considera aver qui prodotto largo effetto.

(l) -Con t. per corriere 2496/0105 R. del 3 luglio. non pubblicato, Grandi aveva riferito che il Foreign Office, non al corrente delle Intenzioni attribuite dai giornali strlcklandianl al Governo di Malta circa l'uso dell'italiano, avrebbe Immediatamente consultato il Colonia! Office sull'argomento. (2) -Cfr. n. 466. (3) -Dell'articolo si pubblica il brano seguente: «Il Cancelliere Dollfuss ha non solo il diritto, ma dovere d! resistere. Nessuna Nazione può trasformare la sua coscienza per virtù d! violenze aggressive esterne. Invece che amica, essa diviene anzi nemica. Invece che fraternità,
549

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (l)

L. 5633 B. Roma, 21 luglio 1934.

Ho ricevuto il progetto di telegramma che Ti proponi sottoporre all'approva

zione di S.E. il Capo del Governo relativamente alla conferenza navale (2).

Vi apporterei due ritocchi; l'uno per precisare che l'adesione del R. Governo alle cortesi insistenze inglesi si limita all'invio di esperti; l'altro per togliere l'accenno alla necessità di completare la nostra documentazione tecnica, giacché è già in nostro possesso.

Ti allego, pertanto, la minuta inviatami, unitamente all'altra contenente le varianti suddette.

Dalla nota verbale che Ti è stata rimessa dall'Ambasciatore d'Inghilterra (3) ri,sulta, però, che il perno del problema che si vorrebbe discutere a Londra, secondo il punto di vista del Governo inglese, rimane la questione della costruzione, da parte dell'Italia, delle navi da 35.000 tonnellate.

Penso che, prima della partenza da Roma degli esperti, convenga far conoscere al Governo Inglese che il R. Governo ritiene tale questione sorpassata e che essa non può formare argomento di discussione nell'imminente riunione londinese.

La nota verbale presentata dall'Ambasciatore Drummond dovrebbe, a mio parere, ricevere una risposta scritta, e ciò per togliere ogni dubbio circa le intenzioni del R. Governo, intenzioni che nella nota predetta sono, forse volutamente, espresse in forma dubitativa, lasciando aperta la possibilità della creazione di un grosso malinteso.

Precisamente al punto 6° della nota inglese è detto: «His Majesty's Ambassador understood that His Excellency would have no objection to the subject being discusse d during the forthcoming London conversations »; ed al punto 10° è detto: «At the same time His Majesty's Government are anxious to enter into preliminary conversations with representatives of the Royal Italian Government regarding the 1935 Naval Conference (as already arranged in principle between

essa alimenta odio ed esasperazione. Così nel centro dell'europa si approfondisce la divisione fra la Germania e l'Austria e si aggiungono alle naturali cause di disordine dei rapporti internazionali altre cause artificiose, mentre si disturba il tranquillo e onesto lavoro di ricostruzione d'un popolo.

Parliamo chiaramente di Germania, poiché è ormai evidente che essa è al primo piano del terrorismo austriaco. Basta leggere i suoi giornali più autorizzati, che vantano con grandi titoli di prima pagina le imprese di questo terrorismo e le oppongono, come una sfida, alla politica repressiva del Governo di Vienna. Basta considerare la mole della organizzazione terroristica con le sue basi, bene accertate, in territorio germanico, e le vie di provenienza delle centinaia di chilogrammi di esplosivi e delle migliaia di armi che già sono state sequestrate dalla vigile pol!z!a austriaca di confine. È il Governo germanico partecipe di quest'azione? Se si, non s'avvede esso della responsabilità che si assume di fronte a tutta l'Europa? Se no, non si avvede esso della insufficienza di autorità interna, che dimostrerebbe nel non sapere fermare un movimento che non é più episodico, già denunciato da tutto il mondo civile?».

the two Governments) and to continue, if the Italian Government agree, the present discussions regarding the two capitai shìps ».

Se non si fa chiaramente intendere che non vogliamo discutere la questione delle nostre due navi da battaglia da 35.000 tonnellate, potrebbe avvenire che, alla luce di quanto Sir Eric Drummond ha inserito nella sua nota verbale, i negoziatori inglesi ritenessero tale questione tuttora aperta alla discussione.

La necessità di chiarire tale punto mi sembra evidente.

Dopo eliminata la questione delle due nuove navi da battaglia italiane, si può affermare che le conversazioni londinesi si svolgerebbero su argomenti di secondaria importanza, tanto che potrebbe porsi il quesito se conviene inviare, nel p:-esente momento, a Londra degli esperti.

Nella nota verbale inglese è, con chiarezza, fatto capire che a Londra sono attesi « Italian representatives » per prendere « contact with Ministers », e per conseguenza l'invio di esperti navali, o di uno solo, potrebbe forse essere ritenuta soluzione meno brillante che non la proposta di rimandare tutte le discussioni al mese di ottobre.

Questa è una decisione nella quale entra, naturalmente, il fattore politico ed io mi limito semplicemente a prospettartela. Ti sarò grato se vorrai farmi poi conoscere il Tuo pensiero riguardo i punti illustrati nella presente lettera (l).

(l) -Da Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare. (2) -Inviato con l. 5730 del 20 luglio. Per il telegramma definitivo cfr. n. 550. (3) -Cfr. n. 531, allegato.
550

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 979/187 R. Roma, 22 luglio 1934, ore 18.

In relazione premure fatte da codesto Governo costà (2) e per mezzo Drummond (3) per sollecito inizio cnoversazioni preliminari conferenza navale fra rappresentanti due Governi a Londra, prego confermare Foreign Office che, come è stato già fatto presente a Drummond, p!"eferiamo rinviare ta1i conversazioni dopo vacanze estive.

V. S. potrà tuttavia aggiungere che, nel desiderio di corrispondere nella maggior misura possibile alle cortesi insistenze di codesto Governo nei riguardi dell'invio di esperti e allo scopo di procurarci informazioni promesseci su discussioni che hanno avuto luogo costà coi rappresentanti Francia e Stati Uniti, siamo disposti inviare Londra esperto capitano vascello Raineri Biscia, il quale potrebbe partire 27 corrente.

Prego telegrafare se codesto Governo d'accordo anche quanto alla data.

(l) -Si pubblica il seguente passo di un appunto del 21 luglio del Gabinetto del Ministero della Marina. scritto in seguito al ricevimento da parte di Suvich della presente lettera: <<S. E. Suvich... ha decretato quanto segue: Per iscritto: <<Ministro Buti -Mi pare che Cavagnari abbia ragione. Tuttavia offriamo l'invio di un esperto. Se faranno delle eccezioni a Londra rimanderemo tutto a ottobre. f.to Suvich >>. A voce: «Fare la nota per l'Ambasciata Inglese e mandare il telegramma>>. (Da Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Mllltare). (2) -Cfr. n. 482.

(3) Cfr. n. 531.

551

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI. AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 22 luglio 1934.

La Nota Verbale inglese (1), chiedendo di rinviare la decisione relativa alla costruzione delle due navi da 35.000 tonn. a dopo le conversazioni preliminari di Londra e suggerendo che l'Italia faccia uso del diritto datole dai Trattati di Washington e di Londra prescegliendo però un dislocamento inferiore, cerca di mettere in imbarazzo il Governo Italiano facendo apparire che la decisione italiana può, in certo modo, determinare l'eventuale, anzi probabile, insuccesso della Conferenza del 1935. L'argomentazione inglese è che l'esercizio del diritto italiano non potrà non avere ripercussioni sulle future costruzioni nel senso di mantenere alto, invece di consentire di abbassare il dislocamento delle navi di tutte le Marine. Donde la necessità che l'Italia non costruisca o costruisca basso.

Da parte inglese si tace che è stata proprio l'Inghilterra a regolarsi come si sta ora regolando l'Italia, nonostante che per la Marina Britannica le due navi da 35.000 tonn. circa, che essa ha costruito rappresentino per l'efficienza della flotta inglesE> -dato il complesso della flotta stessa -un apporto assai meno necessario di quello che esse costituiscono per la flotta italiana. Né la Nota britannica rileva che colla costruzione delle due « Dunkerque » la Francia si è regolata evidentemente non nell'interesse della riduzione degli armamenti, ma a tutela dei propri interessi, per svalutare cioè le corazzate tedesche che la Germania costruisce secondo il Trattato di Versailles e gli incrociatori italiani da

10.000 tonn.

L'Inghilterra cerca di confondere un diritto già acquisito dall'Italia coi Trattati di Washington e di Londra --se anch'esso non sia stato finora esercitato -coi diritti che i futuri accordi riconosceranno all'Italia come alle altre Marine. Lo scopo precipuo dell'Inghilterra è evidentemente quello di ottenere che l'Italia costruisca delle navi tipo «Dunkerque » o anche superiori alle <: Dunkerque », ma inferiori alle 35.000 tonn. Così l'Inghilterra sarebbe la sola in Europa ad avere navi da 35.000 tonn. e l'Italia -costruendo navi superiori a quelle francesi ma inferiori a 35.000 tonn. ·-si troverebbe di fronte l'opposizione diretta francese; il dissidio navale tra Parigi e Roma ne trarrebbe nuova esca e Londra si assumerebbe un'altra volta il compito di sanarlo a proprio vantaggio.

La risposta ·italiana (2) tiene conto di questi elementi e di qu€ste considerazioni ed è redatta in relazione ad essi.

(l) -Cfr. n. 531, allegato. (2) -Cfr. n. 559.
552

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2664/497 R. Londra, 23 luglio 1934, ore 20,58 (per. ore 24).

Ho comunicato al Foreign Office il telegramma di V.E. n. 187 (l) circa rinvio conversazioni preliminari e viaggio Raineri Biscia a Londra.

Foreign Office è d'accordo e ne ha informato subito ammiragliato.

Simon annunzierà mercoledì alla Camera dei Comuni che conversazioni con l'Italia si inizieranno alla fine dell'estate.

Foreign Office mi prega anche di confermargli al più presto precisa data arrivo Raineri poiché lord ammiragliato ha deciso rinviare sua partenza in congedo per potere incontrarsi con lui, e Craigie, che è ora assente, dovrà essere richiamato opportunamente a Londra.

553

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2761/0172 R. Berlino, 23 luglio 1934 (per. il 29).

Ho avuto oggi una lunga conversazioni col mio collega di Francia che non avevo visto, dopo il discorso di Hitler del 13 corrente, a causa del mio viaggio a Roma.

François-Poncet mi disse che il 7 corrente egli si era recato dal barone von Neurath e lo aveva informato, con preghiera di riferirlo al cancelliere, che egli aveva incontrato Roehm due sole volte: la prima ad un «Bierabend >> in casa del capo del Protocollo dell'Auswartiges Amt, conte Bassegitz, la seconda ad un pranzo in casa del signor Regendanz. Al primo invito egli si era recato in seguito ad insistenti preghiere del capo del Protocollo e per non usare uno sgarbo ad un ministro del Reich, in casa del quale egli si era scusato di non recarsi a pranzare, mentre la stragrande maggioranza degli altri rappresentanti esteri avevano accettato gli inviti loro rivolti. Al pranzo in casa Regendanz aveva preso parte perché il padrone di casa gli aveva detto con insistenza che il ministro Roehm desiderava molto incontrarsi nuovamente con lui. Egli teneva ad assicurare il barone von Neurath ed il cancelliere del Reich che in entrambi i colloqui avuti con Roehm la conversazione si era svolta sopra argomenti di indole generale, che non si era detta una sola parola di politica interna germanica e tanto meno di accordi franco-germanici da raggiungersi in determinate circostanze.

Aveva creduto aggiungere essere suo profondo convincimento che, quali

che fossero i difetti del generale von Schleicher e le sue colpe nei riguardi del

regime nazional-socialista, ch'egli certamente non apprezzava ed anzi combatteva, credeva di poter escludere che questo soldato, a cui la Reichswehr doveva moltissimo, avesse anche per un solo istante potuto pensare di «tradire» la Germania. Il barone von Neurath gli aveva risposto che lo escludeva egli pure, perché il generale von Schleicher era sempre stato un buon soldato.

Dopo di ciò François-Poncet mi disse che io potevo facilmente immaginare quale fosse stata la sua impressione quando udì la frase pronunciata da Hitler alla tribuna parlamentare secondo la quale poco contava che un diplomatico estero credesse che non vi potesse essere nulla di male se Roehm e von Schleicher si incontravano o mantenevano rapporti fra loro.

Il giudizio del mio collega francese fu di una veemenza non facilmente superabile. Egli mi disse che ci eravamo tutti quanti ingannati attribuendo a Hitler una certa bonomia. Egli era, e lo aveva dimostrato, un delinquente (crimine!) che agiva sotto l'influenza di attacchi isterici; non un uomo di Stato conscio della sua responsabilità e dei riguardi che erano dovuti agli Stati esteri, ma un piccolo bottegaio insolente che credeva di poter imporre la propria volontà e prepotenza ai suoi vicini con delle frasi che a lui, ed a lui solo, parevano felici. Dopo gli avvenimenti del 30 giugno François-Poncet ritiene che ci si possa attendere qualunque cosa da parte di Hitler, anche una provocazione alla guerra.

Il giudizio severissimo del mio collega francese non risparmiò nemmeno il presidente del Reich che definì <<funeste figure d'homme politique que l'histoire jugera d'une façon très sévère ». Egli attribuisce al presidente del Reich, alla sua doppiezza, ai continui suoi tradimenti verso i partiti che gli avevano accordato il loro appoggio l'andata al potere del nazional-socialismo. Gli rinfaccia di non essersi durante gli ultimi anni preoccupato d'altro che di ricostituire una lauta fortuna familiare da lasciare a suo figlio.

L'impressione che l'atteggiamento assunto dal Governo nazional-socialista dopo il 30 giugno produsse sul Governo francese sarebbe, secondo il mio collega, pessima. Non vi furono manifestazioni pubbliche da parte sua perché esso volle evitare cori cura di dare al Governo tedesco quel pretesto per una violenta reazione che esso probabilmente auspicava. Inspirandosi agli stessi principi di prudenza François-Poncet non si muove da Berlino, non volendo che si possa anche solo lontanamente supporre ch'egli consideri la sua posizione come scossa. Egli conta rimanere qui e pretenderà, a suo tempo, che il Governo del Reich produca le prove dell'accusa pubblicamente mossa al rappresentante della Francia di aver tramato ai danni del Governo nazional-socialista. Queste prove non potranno essere fornite, ed allora lui potrà indursi a fare rivelazioni che certamente non riusciranno gradite all'Auswaertiges Amt il quale, secondo le dichiarazioni di François-Poncet, si serve giornalmente di taluni piccoli giornalisti senza scrupolo per seminare all'estero nuovi sospetti contro la Francia ed il suo ambasciatore a Berlino.

Se il Governo del Reich avesse qualche motivo di lagnanza contro la sua persona dovrebbe dichiarare al Governo francese che egli ha cessato di essere persona grata, adducendo i motivi. Egli allora risponderebbe delle proprie azio

ni al proprio Governo ed unicamente a questo, lasciando ad esso di trarre le conseguenze che ritenesse opportune. Non poteva pe,rò ammettere il contegno assunto da Hitler e dal suo Governo, «contegno che dimostrava la mancanza di civiltà e di intelligenza del popolo tedesco che aveva anche dato manifeste prove di essere cristiano in misura molto limitata».

Secondo François-Poncet il complotto ed il tradimento di Roehm sono cose inesistenti. Egli mi dichiarò categoricamente che a suo giudizio ci troviamo oggi di fronte ad una mistificazione della stessa specie di quella dell'incendio dei Reichstag, ordita da Goering come mezzo di accrescere il suo ascendente sopra Hitler e di conquistare ancora maggiori poteri. L'atmosfera in cui si sono svolti gli avvenimenti del 30 giugno e l" luglio è stata quella del tempo di guerra, «la sola che viene compresa ed apprezzata dai barbari che governano la Germania».

Ho procurato di calmare François-Poncet dicendogli che, essendosi sentito offeso personalmente, egli giudicava forse la situazione in modo eccessivamente tragico. Gli ho ricordato che, dopo gli avvenimenti recenti, l'aut'orità della Reichswehr era aumentata immensamente; ora egli sapeva quanto me che la Reichswehr ragionava freddamente e si rendeva conto del pericolo al quale sarebbe stata esposta la Germania qualora avesse dovuto essere coinvolta, nel momento presente, in una guerra con la Francia. Il mio collega rispose che quanto dicevo era giusto, ma che anche la Reichswehr non perseguiva altro obbiettivo che quello di preparare un forte esercito per poter poi prendere la rivincita sulla Francia. Sarebbero occorsi evidentemente vari anni ancora, e durante questo tempo i militari avrebbero ostentato molta ragionevolezza e sentimenti pacifici, ma non si poteva prestar loro fede, perché si trattava soltanto di guadagnar tempo.

François-Poncet si lagnò meco che gli è stato fatto il vuoto intorno, che nessun tedesco osa più avvicinarsi a lui, a scanso di guai ed a riprova del malessere che sente e dei pericoli ai quali potrebbe anche essere esposto mi disse che non si è ancora deciso e probabilmente non si deciderà a far ritornare la moglie ed i figli.

(l) Cfr. n. 550.

554

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2762/0173 R. Berlino, 23 luglio 1934 (per. il 29).

Riferirò qui appresso varie notizie fornitemi da ottime fonti, atte a chiarire gli avvenimenti del 30 giugno e 1° luglio nonché la situazione che ne è seguita.

Da persona del circolo intimo di Roehm, non compromessa né dal punto di vista omosessuale né da quello politico, la quale assistette alla fucilazione del suo ex capo appresi che questi fu condotto al luogo dell'esecuzione con un braccio rotto in seguito ai maltrattamenti ricevuti da militari delle S.S. Egli si aperse col braccio sano la giubba scoprendo il petto e le ultime sue parole furono: «Sono innocente. Sparate pure «ihr Sauhunde » (voialtri fetenti) ».

Le urne contenenti le ceneri dei fucilati, munite di un numero, poterono essere ritirate dalle rispettive famiglie in un determinato ufficio. Alla presentazione dei parenti e previa verifica dei documenti comprovanti la relazione familiare, un graduato delle S.S. verificava in un registro a quale nome corrispondeva il numero dell'urna e la consegnava al richiedente.

Gran parte dei numerosi arrestati del 30 giugno e lo luglio furono tenuti in carcere per due settimane senza essere interrogati, cosicché cominciarono ad agitarsi, a chiedere di essere liberati e si decisero infine a scrivere lettere di protesta vibrata al cancelliere, a Goering, Himmler, ecc. Quasi tutti, molti senza essere interrogati, vennero rimessi in libertà.

Uno di questi ultimi, che occupava una posizione elevata nelle S.A. del gruppo di Berlino-Brandeburgo, dichiarò che se avesse dovuto esservi un allarme alle ore 16 del 30 giugno, egli, dato il suo ufficio di carattere eminentemente logistico, avrebbe dovuto esserne informato. Invece non ne sapeva nulla, cosicché propende a non prestar fede alla notizia del complotto.

La stessa persona ha dichiarato che egli stesso, ancorché disoccupato, e molti suoi amici, si sono affrettati, dopo quanto è avvenuto, a dimettersi dalle S.A.

La rivalità che esisteva da tempo fra S.S. e S.A. si andò aggravando dopo i fatti suddetti talché esiste presentemente un sentimento di odio profondo fra le due formazioni regolari del Partito nazionalsocialista. Ho avuto occasione di constatare io stesso oggi, assistendo al passaggio per Berlino delle automobili e motociclette partecipanti al circuito ài 2000 km. che gli S.S. presenti stavano completamente appartati dagli S.A. Era evidente l'l.ntenzione di ignorarsi a vicenda.

Hitler sarebbe rimasto sorpreso dai commenti dei giornali stranieri al suo discorso del 13 corrente, giacché si era illuso che esso sarebbe stato accolto molto favorevolmente. Un mio informatore fidatissimo mi assicurò che le notizie relative pervenutegli in una spiaggia del mare del Nord, dove il cancelliere si era recato ospite del Ministro Goebbels, lo misero in una tale collera ch'egli ebbe una discussione molto vivace col ministro della Propaganda al quale rinfacciò di essere inesattamente informato di quanto si pensa sulla Germania e sul nazionalsocialismo all'estero e di non sapere controbattere utilmente la campagna ostile della stampa estera. In seguito a ciò la situazione personale di Goebbels viene considerata alquanto scossa.

La popolazione è nettamente divisa in due: gli umili plaudono all'atto di coraggio compiuto dal Fiihrer, mostrano indignazione per il tradimento ordito contro la sua persona e trovano che le punizioni di Roehm e dei suoi complici sono state giuste. La parte più colta, che non può accogliere i fatti così come furono esposti, che li sottopone invece ad una disamina razionale, non è convinta di quanto è stato detto dal G~verno e, pur non parlando per prudenza, lascia chiaramente intendere di nutrire le più serie apprensioni per l'avvenire di un Paese in cui potè esplicarsi, da un momento all'altro, la fobia isterica di Hitler e Goering.

Le direzioni dei giornali ricevettero oggi un avviso confidenziale che la radunata del partito, indetta per il 1° e 2 settembre è stata rimessa ad epoca non ancora precisata. Come riferii si era pensato dapprima di tenere la radunata il 9 settembre. Ora si parla di ottobre e forse vi si rinuncerà del tutto per quest'anno.

555

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2670/040 R. Tirana, 23 luglio 1934 (per. il 24).

Questo ministro degli affari esteri ha desiderato vedermi quest'oggi per comunicarmi a nome del Re che Governo albanese è desideroso di vedere definite tutte le questioni in sospeso convinto che il suo avvenire è legato ai buoni rapporti di amicizia e di collaborazione con l'Italia; esso spera vivamente che Governo fascista vorrà assicurare suo generoso appoggio tanto necessario alla piccola Albania.

Il ministro mi ha assicurato, in risposta anche a mie precise domande, che il problema delle scuole confessionali sarà risolto con la stipulazione di un concordato col Vaticano, cui il Governo albanese è deciso di addivenire nella fiducia che la Santa Sede non vorrà mostrarsi intransigente; che per la riapertura dell'Istituto Industriale di Scutari ed eventualmente di un'altra delle antiche scuole professionali sarà proposta dal Governo albanese una formula che non sarà più quella del direttore albanese ma che manterrà il carattere italiano sia alla direzione che alla parte tecnica della scuola; che l'insegnamento obbligatorio della lingua italiana nelle scuole albanesi sarà assicurato con ogni efficacia e serietà; che la collaborazione tanto nel campo militare che in quello civile avrà un carattere ben precisato di bilateralità con la creazione di quegli organi e la fissazione di quelle modalità che assicurino il ricorso alla consultazione italiana da parte delle rispettive autorità albanesi; che gli organizzatori stranieri non potranno essere che italiani e che i contratti esistenti con gli stranieri non saranno più rinnovati alla loro scadenza; che le questioni di carattere puramente tecnico la di cui soluzione è stata in principio concordata con enti italiani interessati (specialmente A.I.P.A. e S.A.M.) siano senz'altro definite e che quelle in trattazione saranno celermente e benevolmente esaminate.

Tutte le suesposte questioni, ho dichiarato, non possono comunque fare oggetto di nessuna speciale contropartita; la loro soluzione favorirà naturalmente la chiarificazione dell'atmosfera e renderà pertanto possibile da parte del Governo di Roma l'esame di quei problemi per i quali il Governo albanese fa appello ai sentimenti di amicizia e generosità dell'alleata.

Il ministro degli affari esteri mi ha detto che i desiderata del Governo albanese circa tali problemi sono i seguenti:

1 -trattato di commercio che assicuri a tutti i prodotti albanesi lo sbocco nel mercato italiano con concessioni sul genere di quelle accordate ai prodotti ungheresi;

602,

2 -moratoria gratuita di quindici anni per il prestito S.V.E.A. e annullazione degli interessi maturatisi;

3 -prestito gratuito di otto milioni di franchi oro per colmare il deficit del bilancio dello Stato a completamento delle «tranches » del prestito decennale che non vennero integralmente versate;

4 -collaborazione nel campo economico nel senso di provvedere in opportuna forma da esaminare alla valorizzazione razionale delle risorse economiche del paese, specialmente per il tabacco, il cotone, la canapa, il riso e le olive, affidate naturalmente a tecnici italiani;

5 -ottenere dall'A.I.P.A. l'impegno di raffinare in Albania tutta la sua produzione;

6 -ottenere dalla Banca Nazionale d'Albania il cambiamento degli articoli della convenzione relativi ai diritti spettanti alla Banca per l'emissione degli spezzati;

7 -intervenire presso la Banca Nazionale per la concessione di un prestito già richiestole da questo Ministro delle Finanze.

Ho detto al ministro degli affari esteri che avrei trasmesso queste sue domande. Gli ho ricordato al riguardo quanto nel gennaio scorso avevo assicurato al Re Zog circa le buone disposizioni che animano in principio il Governo alleato per quanto si riferisce all'esame dei problemi economici e finanziari che interessano il paese. Mi pareva utile tuttavia esporre subito, a titolo personale, qualche considerazione in relazione ai vari punti da lui formulati: punto l: le agevolazioni che dovrebbero assicurare in qualche modo il mercato italiano ai prodotti albanesi potrebbero essere prese in esame in quanto ci fosse data assicurazione che il mercato albanese farebbe ricorso esclusivamente ai prodotti italiani per il suo fabbisogno estero; punto 2: qualunque accordo per il prestito S.V.E.A. dovrebbe riferirsi a modalità e termini di pagamento e non all'ammontare del debito esistente comprensivo degli interessi maturati; punto 3: nulla è dovuto dal Governo italiano per mancata utilizzazione della totalità delle «tranches » annuali del prestito decennale che non erano di dieci milioni ma andavano «fino» a dieci milioni; punto 4: l'accennata collaborazione nel campo economico dovrebbe escludere qualsiasi forma di interessamento di altri paesi sulla valorizzazione delle risorse dell'Albania.

I punti 5, 6 e 7 riguardano interessi di terzi di cui il Governo italiano non può direttamente rispondere. Potevo intanto dirgli che a Roma non si sarebbe vista certo favorevolmente la costruzione di una raffineria in Albania per tutta la produzione petrolifera, essendo conveniente per ovvie ragioni che essa sia costruita in Italia. Sarebbe dipeso poi dalle disposizioni del ministero dell'economia nazionale albanese verso l'A.I.P.A. (che non mi sembravano davvero troppo incoraggianti per ora) di ottenere che essa prendesse se mai in esame la domanda di costruzione di una piccola raffineria per una parte limitata di petrolio non superiore ai bisogni del paese.

43 -Documenti diplomatid -Serie VII -Vol. XV

Il ministro ha fatto appello al mio personale interessamento per fare esaminare benevolmente dal Governo fascista le questioni suesposte che sperava in principio vedere accettate e per la definizione particolareggiata delle quali attendeva di conoscere le intenzioni di Roma.

Abbiamo concordato, anche per desiderio del Re, che queste nostre conversazioni si svolgessero nel più stretto segreto.

556

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 23 luglio 1934.

Colloquio con l'incaricato d'affari d'Inghilterra.

Ha avuto istruzioni di comunicare che il Governo inglese desidera mantenersi a contatto con quello italiano durante tutto il corso della questione del patto orientale al fine di evitare discordanze nell'atteggiamento dei due Paesi.

Ho ringraziato il signor Murray della sua comunicazione, assicurandolo che l'avrei portata a conoscenza di V. E., non senza fargli notare che la sua richiesta aveva già avuto un inizio di attuazione.

557

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2715/0109 R. Londra, 24 luglio 1934 (per. il 27J.

Ho avuto oggi al Foreign Office un colloquio con Sargent circa i negoziati a,ttualmente in corso per il patto di mutua assistenza nord-orientale. Sargent mi ha detto che, dopo la comunicazione che Phipps ebbe a fare a Berlino il 13 corrente Cl), il Governo britannico non ha svolto né presso il Governo francese né presso quello del Reich alcuna attività. Il Governo del Reich si è rivolto al Foreign Office per chiedere il testo del progetto di patto, e il Foreign Office ha risposto chiarendo che un progetto vero e proprio ancora non. esiste; e nello stesso tempo ha prospettato a Parigi l'utilità di redigere uno schema più dettagliato di quello assai generico che è stato portato a conoscenza dei Governi interessati. Ma finora Parigi non ha fatto pervenire a Londra alcun testo.

Sir John Simon ha avuto un colloquio con questo ambasciatore di Germania, nel corso del quale von Hoesch ha prospettato tutta una serie di difficoltà

che ostacolerebbero l'adesione della Germania al patto nord-orientale e che sono le seguenti:

l) Il patto non ha una durata determinata;

2) Il patto non prevede un procedimento di inchiesta imparziale per la definizione dell'aggressore;

3) Il patto darebbe agli Stati garanti il diritto di inviare truppe in territorio tedesco.

A queste difficoltà sir John Simon ha risposto che nessuna di queste questioni è stata finora definita e che si tratta dopo tutto di punti che possono benissimo formare oggetto di negoziato, né la difficoltà a un accordo su di essi appare a prima vista insormontabile.

Ma von Hoesch ha fatto anche delle considerazioni politiche di natura più essenziale, e cioè:

l) che la Germania con l'adesione al patto procederebbe a un nuovo riconoscimento delle sue frontiere orientali; 2) che alla sua sicurezza la Germania ritiene sufficiente il sistema dei patti bilaterali;

3) che non vi è nello schema che è stato portato a conoscenza del Governo del Reich un chiaro ed esplicito legame fra la conclusione del patto di mutua assistenza e il riconoscimento della parità di diritto.

Sir John Simon ha cercato di spiegare a von Hoesch che il Governo britannico aveva favorito e favoriva la conclusione del patto di mutua assistenza, anche nell'interesse della Germania, per evitare un rinnovamento della alleanza franco-russa, che potrebbe essere assai pregiudizievole alla posizione della Germania in Europa, ma von Hoesch ha risposto che l'ipotesi dell'alleanza franco-russa non preoccupa il suo Governo.

Il giudizio del Foreign Office, dopo questo colloquio e le informazioni che esso ha ricevuto dall'ambasciata britannica a Berlino, è che la Germania sollevi tutte queste difficoltà perché essa in realtà vuole evitare il negoziato, non avendo ancora compreso bene quale solido terreno il negoziato le offrirebbe per una soluzione favorevole della questione della parità di diritto. «La soluzione di questo problema -mi ha detto Sargent -non è stata posta da noi a Barthou come una condizione preliminare alla conclusione del patto nordorientale, e può essere anche vero che i due negoziati non siano stati nettamente legati, ma il Governo del Reich dovrebbe intendere che una volta entrato nei negoziati, esso mette la Francia in una situazione assai difficile, perché la Francia non potrebbe negare, in base ai principii stessi dai quali essa è partita, la necessità di far corrispondere a una maggiore misura di sicurezza una equa soluzione del problema del disarmo. Sargent mi ha aggiunto che la situazione era stata certamente danneggiata dal discorso inopportuno. di Barthou a Bayonne, ma che è assolutamente chiaro che il Governo britannico ha concepito il patto di mutua assistenza come la premessa dalla quale deve scaturire la soluzione del problema della parità di diritto.

Sargent mi ha poi letto un telegramma di sir Eric Drummond, nel quale è esposto il punto di vista italiano, e mi ha detto che gli argomenti portati da V. E. al Governo tedesco sembravano al Foreign Office di carattere decisivo.

Siamo poi passati a parlare dell'atteggiamento della Polonia, ma ho inteso che a questo il Foreign Office non attribuiva molta importanza. «Se la Germania si mette sulla strada dei negoziati, la Polonia non potrà restare estranea ad essi, e se la Germania entrerà nel patto essa sarà obbligata a prendervi parte>>. Comunque per ora il Governo britannico non svolge a Varsavia alcuna azione.

(l) Cfr. nn. 519 e 521.

558

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 988/179 R. Roma, 25 luglio 1934, ore 13.

Relativamente ai mancati pagamenti tedeschi per i prestiti Dawes e Young, prego V. E. comunicare a codesto Governo che Governo italiano, pur animato dalle intenzioni più amichevoli, non può fare a meno di fare le più ampie riserve per la tutela dei propri diritti (l).

Ella potrà aggiungere che c1 asteniamo da proteste ufficiali, ma che desideriamo la precisa assicurazione che in ogni caso sarà riservato all'Italia un trattamento pari al migliore trattamento che la Germania accorderà agli altri paesi partecipi dei prestiti Dawes e Young.

Superfluo rilevare che, così facendo, veniamo a facilitare la posizione della Germania, in quanto che se associassimo le nostre proteste a quelle degli altri paesi e insistessimo per un trattamento al riguardo che desse soddisfazione ai nostri diritti, la posizione tedesca in questa materia non verrebbe certo facilitata.

Mi informi.

559

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE. Roma, 25 luglio 1934.

Il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di riferirsi alla Nota Verbale dell'Ambasciata Britannica n. 198 del 16 luglio (2) relativa alle conversazioni preliminari navali di Londra e alla costruzione da parte dell'Italia di due navi di linea di 35.000 tonn. ciascuna.

Il Governo italiano stima superfluo di assicurare il Governo britannico che le considerazioni contenute nella Nota britannica hanno formato oggetto della maggiore considerazione nell'intento di venire possibilmente incontro ai desideri britannici; tanto più che l'Italia simpatizza pienamente col proposito di ridurre gli armamenti anche nel campo navale. Rivendica anzi a sé di avere già preso iniziative in tal senso. In tale ordine di idee il Governo italiano ebbe infatti a proporre alla Conferenza di Londra e a quella del Disarmo l'abolizione delle navi di dislocamento e di armamento superiori a quelle contemplate dal Trattato di Versailles. Né esso è oggi in un diverso ordine di idee.

Il Governo britannico suggerisce che il Governo italiano rinvii la costruzione delle due navi di linea di 35.000 tonn. a dopo le conversazioni preliminari della Conferenza del 1935 e possibilmente prescelga un dislocamento inferiore.

Il Governo italiano ha l'onore di ricapitolare di seguito gli avvenimenti che lo hanno condotto alla decisione di costruire le due navi di 35.000 tonn.

Il Trattato di Washington del 1922 dava il diritto alle Potenze europee (Gran Bretagna, Francia, Italia) di impostare ciascuna due navi di 35.000 tonn., durante la «vacanza navale». Il Governo britannico ha esercitato questo diritto costruendo la « Nelson » e la « Rodney » che si aggirano intorno alle 35.000 tonn. e sono armate di cannoni da 406 m/m. Esse sono entrate in servizio nel 1927 e hanno ancora un minimo di 13 anni di vita secondo il Trattato di Washington, e di 19 anni secondo le proposte britanniche fatte ultimamente a Ginevra ed accolte all'unanimità dalla Comissione Navale della Conferenza del Disarmo.

Il Trattato di Londra ha confermato nei riguardi della Francia e dell'Italia il diritto alla costruzione di due navi di 35.000 tonn. di cui le due Marine non avevano fatto uso; e il Governo francese se ne è avvalso per la costruzione di due corazzate ad alta velocità tipo « Dunkerque ».

Il Governo italiano, che alla Conferenza navale di Londra aveva assunto l'iniziativa testè ricordata per l'abolizione delle grandi navi di linea, e che aveva cercato, sia a Londra sia successivamente, di giungere ad accordi che portassero ad una sostanziale riduzione degli armamenti, non essendo riuscito in tale intento, e data l'aggravata situazione mondiale degli armamenti navali, non ha avuto altra alternativa se non quella di procedere esso pure ad esercitare il diritto riconosciutogli, prescegliendo per le nuove costruzioni un dislocamento che fosse in funzione dell'armamento e delle caratteristiche delle navi di linea esistenti nelle diverse Marine estere.

Il Governo britannico osserva che l'azione italiana potrebbe influenzare lo svolgimento della futura Conferenza. Il Governo italiano con tutta franchezza deve confessare che non saprebbe condividere questo punto di vista, in quanto che l'azione italiana non è che la conseguenza delle precedenti azioni altrui e dipende dalla situazione esistente, non da quella che potrà eventualmente essere creata dalla futura Conferenza. Indipendentemente dall'azione italiana, le Marine estere si presenteranno infatti alla Conferenza del 1935 con le loro grandi navi di linea con armamento anche superiore a quello delle due navi italiane in costruzione.

Riesce interessante a questo proposito l'esame di alcuni dati relativi alla situazione della flotta italiana per quanto riguarda le navi di linea. L'Italia, che alla fine della grande guerra ebbe a demolire 3 navi in costruzione ed una nave già varata di 31.500 tonn. armate con cannoni di 381 m/m, e che successivamente ha radiato senza rimpiazzo 6 delle 10 navi di linea !asciatele dal Trattato di Washington, si trova attualmente a possedere soltanto 4 navi di linea armate con cannoni da 305 m/m, di cui la più moderna fu impostata nel 1912, mentre tre delle altre Marine firmatarie hanno ·in servizio navi con cannoni da 406 m/m e la Marina britannica non ha alcuna unità di linea armata con cannoni di calibro inferiore a 381 m;m. È inoltre da osservare che le due nuove navi di linea italiane non avranno cannoni del massimo calibro ammesso dal Trattato di Washington (406 m/m), ma di 381 m;m.

La Nota Verbale britannica suggerisce che per la impostazione delle due navi si aspetti il risultato delle conversazioni preliminari di Londra. La decisione del Governo italiano è stata presa dopo maturo esame e dopo lunghi studi; sono già stati assunti impegni con le Ditte costruttrici nazionali e le ordinazioni relative sono già in corso di esecuzione. A parte questa circostanza, l'importanza della quale non potrebbe essere sottovalutata, e indipendentemente da essa, sta il fatto che se l'Italia accettasse di riprendere in considerazione la questione, essa ammetterebbe di discutere, in sede di regolamento per le future costruzioni navali, una quistione che è già stata regolata da accordi precedenti; e così facendo si metterebbe da sé in condizione di inferiorità giacché le altre Marine, per avere già esercitato questo stesso diritto, non si trovano in condizioni di farlo.

Nell'esposizione dei fatti che precede il Governo italiano si è inspirato allo spirito di amichevole franchezza che caratterizza le relazioni italo-inglesi e che l'importanza dell'argomento richiede; ed esso confida che sarà apprezzato dal Governo britannico. La conclusione a cui giunge, è che non pare si possa negare che le nuove costruzioni più che di un atto proprio della Marina italiana sono, a ben vedere, la conseguenza di uno stato di fatto e di atti precedenti altrui. Tali costruzioni conchiudono il periodo che va dal Trattato di Washington a quello di Londra e da questo alla prossima Conferenza.

Esse riguardano l'esercizio di un diritto acquisito.

Riprendere in esame la decisione italiana significherebbe rimettere in discussione unilateralmente per una sola Potenza tale diritto e il modo di esercitarlo, e questo, nonostante le migliori intenzioni, non è evidentemente possibile.

Il Governo Italiano deve pertanto confermare le dichiarazioni già fatte sulla decisione presa. Esso esprime la fiducia che il Governo britannico, badando all'esposizione obbiettiva dei fatti sottoposti amichevolmente al suo esame, vorrà convenire sulla ragionevolezza della decisione presa e sul fatto che essa era la sola che era consentita al Governo Italiano.

Fin qui per gli accordi passati.

Restano gli accordi da conchiudere pel futuro.

Il Governo Italiano ha apprezzato al suo giusto valore l'iniziativa presa dal Governo britannico di uno scambio preliminare di idee tra le Potenze firmata

rie del Trattato di Washington e di quello di Londra per facilitare lo svolgimento dei lavori della prossima Conferenza. Come in passato, anche attualmente il Governo italiano rimane pienamente favorevole a tutto quello che possa favorire una riduzione degli armamenti anche nel campo navale. A tal fine esso accede ben volentieri all'invito di partecipare alle conversazioni preliminari in corso; e sarà ben lieto se, come in passato, anche per l'avvenire potrà stabilirsi fra i due Governi una fruttuosa collaborazione.

(l) -L'invio di questo telegramma era stato proposto da Buti in un appunto per Suvich del 21 luglio sul quale Mussolini aveva annotato: <<Si». (2) -Cfr. n. 531, allegato.
560

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL CAPITANO DI VASCELLO, RAINERI BISCIA

ISTRUZIONI. Roma, 25 luglio 1934.

V. S. nella breve missione che compirà a Londra si atterrà alle seguenti istruzioni:

l) Giungendo a Londra, si presenterà alla R. Ambasciata per stabilire d'accordo luogo ed ora degli incontri con le Autorità inglesi.

2) Riferirà all'Incaricato d'Affari, qualora S. E. l'Ambasciatore non fosse rientrato in sede, l'andamento delle conversazioni.

3) Terrà presente che scopo principale della missione è quello di ricevere eventuali comunicazioni che il Foreign Office o l'Ammiragliato potranno fare sui risultati delle conversazioni svoltesi fra l'Inghilterra e gli Stati Uniti, e fra l'Inghilterra e la Francia, in merito alla preparazione della Conferenza Navale prevista per il 1935.

Dalle informazioni in possesso, V. S. conosce che su tali questioni non si sono fatti grandi progressi; purtuttavia, sul posto, potrà essere ottenuta qualche informazioni complementare non trascurabile.

4) Non è compito di V. S. discutere la questione dell'impostazione delle navi da 35.000 tonnellate, essendo tale questione stata regolata da accordi passati sui quali non è evidentemente possibile ritornare. In proposito, del resto, i due Governi sono stati in rapporti a mezzo delle rispettive Cancellerie ed Ella non avrebbe niente da aggiungere.

5) Sui punti che potranno essere presi in considerazione relativamente agli accordi futuri, V. S. potrà esprimere le idee generiche alle quali il R. Governo si è già associato con documenti ufficiali, come ad esempio il rinnovo del Trattato di Washington e la conferma dei punti di vista contenuti nel memorandum presentato dalla Delegazione Italiana alla Conferenza Navale di Londra.

Anche nel passare in rivista questi punti, V. S. terrà ben presente che si tratta di contatti preliminari nei quali non dovrà essere preso alcun impegno che sarebbe d'altronde estraneo all'incarico affidatoLe. Tutta la trattazione deve essere coperta sia dalla riserva che tali argomenti formeranno la prerogativa e l'oggetto di discussione della Delegazione che dovrà recarsi a Londra nell'ottobre 1934, sia da una esplicita riserva generale intesa a precisare che l'accettazione del R. Governo di ogni singolo punto è subordinata all'adesione a tutto l'insieme delle trattative.

6) Circa la sede e l'epoca della conferenza, V. S. può affermare che il R. Governo non ha particolari desideri da esprimere all'infuori di quello che la conferenza si svolga in Europa, senza fare menzione di Roma.

7) V. S. potrà farsi accompagnare dall'Addetto Navale a Londra, Comandante Capponi, per le riunioni che avranno luogo all'Ammiragliato o al Fon!tgn Office secondo le indicazioni che riceverà dalla R. Ambasciata.

8) Passando per Parigi, senza ritardare la prosecuzione del viaggio, predisponga l'incontro con quell'Addetto Navale per essere messo al corrente di eventuali importanti notizie dell'ultima ora.

9) A missione ultimata V. S. rientrerà a Roma.

561

L'INCARICATO D'AFFARI D'AUSTRIA A ROMA, ROTTER, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. R. 2973. Roma, 25 luglio 1934.

Par la lettre du 1er septembre 1933 (l) que V. E. a bien voulu faire parvenir à la Légation d'Autriche, le G'luvernement Royal a eu l'obligeance d'exprimer son consentement à ce que le Gouvernement fédéral, en raison de la situation exceptionnelle, portat l'armée fédérale à 30.000 hommes par le recrutement d'un effectif supplémentaire sous la forme d'un corps militaire auxiliaire, de durée limitée à un an, composé de volontaires engagés pour six mois.

Le Gouvernement Royal a déclaré notamment, simultanément et d'accord avec les Gouvernements intéressés, qu'il n'élèvera pas d'objections à la constitution et au maintien du corps militaire auxiliaire, aussi longtemps qu'existeront les circonstances spéciales qui ont nécessité le Gouvernement Fédéral à demander l'autorisation des Gouvernements intéressés à recourir à la mesure en question. La première incorporation des recrues destinées à former le corps militaire auxiliaire a eu lieu, ainsi qu'il a été communiqué aux Gouvernements intéressés, le 6 novembre 1933.

Etant donné que les circonstances spéciales, à savoir la campagne terroriste menée contre le Gouvernement actuel de l'Autriche ainsi que la nécessité qui s'impose à. celui-ci de pourvoir au maintien de l'ordre dans le pays, sont depuis restées les memes qu'elles étaient, il y a un an, j'ai l'honneur, d'ordre de mon

Gouvernement, de prier le Gouvernement Royal de bien voulolr consentir, ainsi qu'il a été prévu à l'article II de l'arrangement y relatif, à ce que l'accord intervenu entre les Gouvernements intéressés et l'Autriche au sujet de la constitution et du maintien du corps militaire auxiliaire soit prolongé, à partir du 6 novembre 1934, pour un délai, si faire se peut, non limité ou, à la rigueur, d'un an au minimum.

Je prie V. E. de bien vouloir me faire parvenir, le plus tòt possible, Sa réponse à ma demande ci-haut exposée.

(l) Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 139.

562

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ROSSI LONGHI (l)

T. 992/169 R. Roma, 26 luglio 1934, ore 14.

Notizie stampa e radio diffuse da fonti interessate tendono a dare ad opinione internazionale impressione che avvenimenti svoltisi ieri a Vienna siano episodi di un moto generale rivoluzionario che si svolge col consenso e l'adesione del paese. Versione è completamente tendenziosa. Tutte notizie confermano che Governo domina situazione, che popolazione è tranquilla e reagisce ad inqualificabili violenze. Neanche un uomo delle forze armate (esercito, polizia, Heimwehren) ha defezionato. Non si tratta di un colpo di Stato ma dell'attività criminosa di una banda di terroristi che trova disgraziatamente ispirazione e consensi fuori del territorio austriaco.

È opportuno che ella veda di far prevalere costì tale valutazione della situazione orientando codesta stampa e circoli diplomatici e politici. Occorre rendersi conto che interpretazione diversa fa il giuoco della propaganda nazista (2).

563

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2694/322 R. Parigi, 26 luglio 1934, ore 17,15 (per. ore 19,15).

Prima di mezzogiorno hanno circolato voci insistenti di mobilitazione di due nostri corpi di armata. Ho smentito recisamente informando anche il QUai d'Orsay per norma di linguaggio ai giornalisti francesi.

(l) -Ed. in DE FELICE, pp. 500-501, come telegramma circolare. (2) -Per la risposta cfr. n. 569.
564

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (l)

T. 995/95 R. Roma, 26 luglio 1934, ore 18,30.

Mi mandi per telegrafo commenti stampa jugoslava assassinio Dollfuss (2).

565

APPUNTO (3)

Roma, 26 luglio 1934, ore 19.

Il R. Incaricato d'Affari a Londra telefona che ha parlato al Foreign Office secondo le istruzioni ricevute ( 4).

Il Governo inglese concorda completamente con noi nella valutazione della situazione, che gli è stata prospettata dall'Incaricato d'Affari inglese a Vienna in modo perfettamente conforme alle informazioni e ai chiarimenti da noi forniti.

Simon farà quindi dichiarazioni al Parlamento nel senso da noi desiderato. Il nostro incaricato d'affari si è anche inteso col Foreign Office circa l'intonazione da dare alla stampa inglese in conseguenza.

566

IL CONSOLE GENERALE A INNSBRUCK, SILIMBANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2697/18 R. Innsbruck, 26 luglio 1934, ore 20,20 (per. ore 22,15).

Tirolo Voralberg Salisburgo situazione calma ordine pubblico perfetto. Autorità hanno effettuato numerosi arresti nazi, prese accurate misure di sicurezza e vigilanza. *Dolorosa constatazione freddezza quasi generale e scarso cordoglio questa popolazione.* (5).

(-4) Si riferisce probabilmente al n. 562 che però del registro dei telegrammi in partenza risulta inviato solo a Wash!ngton.
(l) -Minuta autografa di Mussolini. (2) -Analogo telegramma venne inviato in pari data a Varsavia col n. 994. Per la risposta cfr. n. 584. (3) -L'appunto, redatto su carta intestata del Gabinetto, è privo di firma. (5) -Il passo fra asterischi è stato sottolineato da Mussolini
567

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2695/242 R. Vienna, 26 luglio 1934, ore 20,45 (1) (per. ore 22,55).

Starhemberg ha fatto [le seguenti] confidenze:

l) Che egli ha detto mercoledì al presidente della repubblica non avere obbiezioni immediata nomina Schuschnigg a cancelliere dichiarandosi soddisfatto conservare attuale sua carica;

2) che presidente ha rinviato decisione a dopo funerali Dollfuss;

3) che è sua impressione presidente, pur preferendo Schuschnigg non sarebbe alieno considerare opportunità affidargli cancellierato;

4) che lui personalmente è d'avviso che sua immediata assunzione tale carica sarebbe prematura, ma che comunque è pronto anche a riconsiderare tale sua opinione.

568

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2706/324 R. Parigi, 26 luglio 1934, ore 21 (per. ore 22,30).

Il presidente del consiglio, il ministro degli affari esteri e il segretario generale del Quai d'Orsay hanno detto a questo incaricato d'affari austriaco che il Governo francese si attiene anche oggi alla dichiarazione delle tre Potenze del febbraio scorso circa indipendenza Austria.

Quai d'Orsay ha telegrafato alle sue ambasciate a Londra e Roma proponendo ai rispettivi Governi di mantenersi in stretto contatto e di scambiarsi le informazioni.

Allo stesso incaricato d'affari è stato dichiarato nel modo più formale che la Francia si asterrà scrupolosamente da qualsiasi azione isolata perché non possa esserle attribuito il peso di profittare della presente situazione per complicare i suoi rapporti ·colla Germania.

Confermo da parte mia che il Quai d'Orsay considera la situazione con calma.

* Si pensa che Dollfuss sarà difficilmente sostituibile e questo potrebbe influire in senso peggiorativo sugli svolgimenti ulteriori del problema austriaco * (2).

Non si hanno qui notizie dell'apprezzamento della situazione da parte Governo inglese. Si nota però che il linguaggio della stampa è intonato unanime sdegno suscitato dall'assassinio del cancelliere austriaco.

Mi tengo in stretto contatto con Quai d'Orsay. Informo che Banca di Francia ha perduto 430 punti, Banque de Paris 150, le rendite di Stato francesi hanno perduto da 2 a 2,25 punti.

La lira è stazionaria (l).

(l) -Il testo del registro del telegrammi in arrivo reca ore 10,45 ma il t. 241 risulta partito alle ore 20. (2) -Il passo fra asterischi è stato sottolineato da Mussolini.
569

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2712/237 R. Washington, 26 luglio 1934, ore 23 (per. ore 6,45 del 27).

Giornali pubblicano intere pagine circa avvenimenti Vienna e assassinio cancelliere austriaco.

Le notizie ora pubblicate -per quanto tuttora confuse -danno una più esatta sensazione di quanto è avvenuto a Vienna e cioè che si è trattato di un criminoso episodio isolato e circoscritto.

Stampa -con asprezza di linguaggio ormai abituale nei confronti del nazionalsocialismo tedesco -denuncia Governo di Berlino come vero colpevole e responsabile.

Atteggiamento deciso assunto dall'Italia viene messo in speciale rilievo, attuale momento politico europeo è prospettato come particolarmente preoccupante.

Con telegramma Stefani 731 sono state riassunte più largamente ultime notizie su editoriali apparsi.

Capo ufficio affari europei, col quale mi sono testè intrattenuto, mi ha detto che il Dipartimento di Stato è convinto che il Governo austriaco riuscirà superare questa prova e che ufficio stampa del Dipartimento di Stato ha avuto istruzioni di «minimizzare>> valore avvenimenti viennesi pur deplorandoli profondamente.

Mi ha poi mostrato lungo telegramma con cui presidente degli S.U.A. esprime al presidente della repubblica austriaca i suoi sentimenti di cordoglio e di « orrore » per l'assassinio del cancelliere austriaco.

Assicuro V. E. che mi sto adoperando nel miglior modo anche in questi ambienti giornalistici e diplomatici nel senso prescrittomi con telegramma

n. 169 (2) affinché reale aspetto avvenimenti austriaci risulti ancora maggiormente chiarito.

(l) -Con t. 2684/320 R. del 25 luglio Pignatti aveva informato che Barthou non si era mostrato eccessivamente preoccupato alle prime notizie del tentato colpo di stato in Austria e aveva aggiunto: « Barthou mi ha parlato poi della situazione germanica che considera torbida. Di Hitler, Goering e Goebbels ha detto che sono dei pazzi. Ha osservato che si ha torto di meravigliarsi che la Francia non acconsenta a fare concessioni a gente di quella specie». (2) -Cfr. n. 562.
570

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 996 R. Roma, 26 luglio 1934, ore 24.

Stampa pubblica seguente comunicato:

«Sin dal primo annuncio dell'assassinio del cancelliere Dollfuss e c10e alle ore 16 del giorno 25 e nella eventualità di complicazioni, sono stati ordinati movimenti di forze armate terrestri e aeree verso i confini del Brennero e della Carinzia.

Tali forze sono sufficienti a fronteggiare qualsiasi evenienza.

Tuttavia al momento che la situazione in Austria sembra avviarsi alla normalità, è lecito ritenere che non ci sarà bisogno di andare oltre a queste misure di carattere precauzionale».

571

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 3355/1296. Mosca, 26 luglio 1934 (per. il 1° agosto).

Nessun progresso vien qui segnalato nei riguardi della Locarno Orientale. L'impressione che va in proposito guadagnando terreno è che, mentre le difficoltà che si oppongono alla conclusione del patto sono tutt'altro che facili a sormontare, d'altra parte il centro di gravità delle resistenze al patto sembra spostarsi gradatamente da Berlino verso Varsavia e gli Stati Baltici maggiormente esposti alla influenza polacca. Questa impressione ~ espressa l'altro giorno dal Signor Litvinov --mi veniva quasi esplicitamente confermata dallo stesso Ambasciatore di Polonia, Signor Lukasiewicz, non più tardi del 22 corrente.

Sembra che, di tutte le obbiezioni mosse e possibili a muoversi ad un patto orientale, quella che avrebbe maggiore e più effettivo peso su Varsavia sarebbe quella del pericolo ~ inerente all'obbligo che un trattato di assistenza mutua militare imporrebbe a ciascun partecipante ~ di consentire il passaggio sul proprio territorio delle truppe degli altri contraenti. Nella specie, questa apprensione non è limitata alle sole truppe sovietiche: anche la prospettiva di ospitare un forte nerbo di truppe tedesche non è per la Polonia affatto attraente.

In secondo luogo, la Polonia sembra preoccuparsi fortemente della posizione che le sarebbe creata dal secondo patto, quello cosiddetto di garanzia e di cui farebbe ora parte anche la Germania. La sola idea di una unione, oggi fittizia e quindi sterile, ma domani eventualmente attiva, fra URSS e Germania dà a Varsavia la sensazione di un pericolo e di una minaccia contro la Polonia, che potrebbe ritrovarsene come stretta e attanagliata.

Queste apprensioni sono nella Polonia aumentate dalla considerazione, in fondo giusta, che l'azione franco-sovietica per la Locarno Orientale non può trovare e non trova giustificazione adeguata in una sensazione di effettivo pericolo da parte di quei due paesi. Per parlare più specialmente dell'URSS, essa non può seriamente sentirsi minacciata dalla Germania proprio in questo momento. Persino le minacce di un conflitto ad Oriente sono, se non dileguate, almeno sensibilmente allontanate. Allora, la conclusione si presenta ovvia, mi diceva in proposito il Signor Lukasiewicz, dato che l'URSS non può essere mossa da preoccupazioni, che essa lo sia invece da ambizioni.

Significativa è anche in materia l'attitudine dei piceoli paesi. Già sono note le riserve pubblicamente fatte dal Signor Seljimaa. Il Ministro di Estonia a Mosca, illustrandomi ulteriormente il punto di vista del suo Governo, mi diceva questa mattina essere gli Stati Baltici rimasti malamente impressionati delle dichiarazioni attribuite a Barthou che la Francia vorrebbe rimanere estranea al primo patto onde evitare di trovarsi mescolata in conflitti baltici, cosa che l'opinione pubblica francese non potrebbe assolutamente concepire. In queste condizioni, mentre gli Statarelli Baltici acquistano sempre più la sensazione di dover solo servire da trampolino per il maggior salto che Russia e Francia vogliono fare verso una intesa a due, hanno d'altra parte paura di essere lasciati soli alle prese di vicini come la Russia, che potrebbero profittare della nuova situazione per acquistare una pericolosa preminenza sui piccoli vicini. Questi temono specialmente che, in vista di ipotetici conflitti futuri, l'URSS domandi, per esempio, subito dopo ai Paesi Baltici una intesa fra gli Stati maggiori rispettivi e cioè una preparazione di quello che potrebbe a suo tempo diventare una vera e propria invasione sovietica nel Baltico.

Come si vede, non sembra che le difficoltà della Locarno Orientale tendano

o possano tendere a diminuire. Al contrario.

572

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 2944/1577. Vienna, 26 luglio 1934 (per. il 28).

Riassumo cronologicamente gli avvenimenti di ieri: Alle 13.40 mi telefonò a casa il Ministro della Giustizia, dicendomi che erano avvenuti due colpi di mano: uno alla radio RAVAG, -dove i nazi avevano diramato la notizia che il Gabinetto si era ritirato e che Rintelen aveva assunto il Cancellierato -l'altro al Ballplatz, dove erano rimasti prigionieri Dollfuss, Fey e Karwinski. Mi disse che lui stesso era al suo Ministero, e che non poteva porsi in contatto con i rimanenti membri del Gabinetto. Aggiunse « che si metteva a mia disposizione, chiedendo che cosa dovesse fare». Gli risposi che avrei subito telefonato a Roma, pregando di avvisare Starhemberg: che sembrava urgente fossero inviati uomini ad allarmare le

caserme dello Heimatschutz di modo che si vedessero subito circolare truppe nel centro della città; che intanto egli cercasse di entrare in contatto con il Segretario alla Guerra: che indicesse un luogo di riunione per i Ministri; che lui stesso o il più anziano dei Ministri assumesse la direzione del Governo, emanando subito un comunicato o proclama per attestare che il Governo esisteva ancora ed agiva; che facesse occupare i gasometri, la centrale elettrica, i telefoni, ecc.

Entrai subito in relazione con i colleghi di Inghilterra e di Francia, anche perché l'unico Addetto Militare presente a Vienna, essendo il francese, sembrava utile che questi si ponesse in contatto col Ministero della Guerra, dove, giusta quanto mi aveva telefonato il von Berger, c'era confusione e difettavano gli ordini.

Dopo meno di un'ora le Heimatschutz erano uscite e circondavano il Ballplatz. Cercai col cav. Straneo, di giungere alla Cancelleria Federale, ma ciò non ci fu possibile.

Saputo dal predetto Ministro von Berger (col quale restai in contatto) che i membri del Gabinetto rimasti liberi (cioè: lui stesso, Schuschnigg, NeustadterSturmer, Stockinger ed il Segretario alla Guerra) si erano riuniti al Ministero della Guerra, vi andai con il collega britannico. Intanto già da una ora (ore 16) le truppe erano uscite, stringendo il Ballplatz, ed occupando i punti principali della città.

Parlai con il _Ministro Schuschnigg, il quale era profondamente turbato. Mi disse risultargli essere il Cancelliere ferito e starsi per iniziare l'azione contro i ribelli del Ballplatz, la RAVAG essendo già rioccupata (da qui i nazi, dopo aver ucciso uno dei direttori, avevano sparato ripetutamente facendo quattro vittime). Alla domanda, fatta dal collega britannico, se intendesse agire con la forza o trattare, non volle dare risposta.

Alle 17 l'Addetto Militare francese comunicò che l'esercito era entrato in azione anche nelle provincie, dopo un momento di incertezza, forse dovuto a mancanza di ordini.

Alle 18 ci ponemmo in contatto col borgomastro Schmitz il quale annunziò che stava per essere dato un ultimatum ai ribelli.

Alle 20.30 circa, i ribelli si erano arresi.

Alle 21 venne annunciata la morte del Cancelliere.

Alle 22 mi recai al Consiglio dei Ministri presieduto da Schuschnigg, il quale era stato nominato «pro tempore » Capo del Governo. Si iniziò allora una lunga seduta durata sino alle 1.30, durante la quale venne discussa la sorte dei prigionieri e le misure per l'azione in Stiria, rinviando la definitiva decisione all'indomani, dopo il ritorno di Starhemberg.

Intanto -alle 22 -Fey e Schuschnigg avevano dato alla radio un resoconto degli avvenimenti, e contemporaneamente veniva proclamato lo stato d'assedio per Vienna e la Stiria.

Gli avvenimenti sono risultati essersi svolti nella seguente maniera:

Nella mattinata, alle ore 11, circa 300 nazisti si riunirono in una sala di ginnastica nel centro, ove avevano nascosto delle uniformi. Vestiti con la divisa del reggimento di guardia al Ballplatz un gruppo . di essi si impossessò della radio ave emanò il noto comunicato ed un altro si diresse in quattro vetture automobili al Ballhaus, ove disarmò la guardia e si sparse nei corridoi. Si pensava trovare tutti i Ministri riuniti: invece non vi erano che il Cancelliere € gli altri due sopra accennati, i quali vennero spinti in stanze separate. Del ferimento del Cancelliere si danno due versioni: una, giusta la quale egli avrebbe cercato di uscire e sarebbe stato raggiunto ed atterrato nel Salone del Congresso; l'altra che gli si sarebbe sparato mentre rientrava nella sua stanza. Comunque, alle ore 14.30 il Fey fu avvertito che il Cancelliere voleva parlargli. Questi era ferito e rantolante: gli raccomandò la famiglia ed i figli e che fosse evitato lo spargimento di sangue (pare anche consigliando la nomina a Cancelliere dello Schuschnigg e perfino del Rintelen). Fey chiese dei medici, che vennero rifiutati. Egli stesso venne condotto via e non vide più il Cancelliere. Dopo che gli erano stati rifiutati i conforti religiosi, Dollfuss fu rinchiuso nella stanza, ove si spense dopo qualche ora di agonia, solo.

Gli altri terroristi intanto avevano perquisito i funzionari riunendoli nel cortile ed avvertendo che Rintelen sarebbe tosto venuto a prendere possesso della Cancelleria Federale.

Nel frattempo le Heimatschutz e le truppe avevano bloccato il Palazzo. Gli occupanti, preoccupati della mancanza di notizie e soprattutto dell'assenza del Rintelen, spinsero a varie riprese il Fey, sotto minaccia dei loro revolver, alla finestra, proibendogli di parlare della morte del Cancelliere ed ingiungendogli di dire che questi, ferito, pregava il Presidente di nominare Cancelliere il Rintelen.

Il Presidente, ricevendo il messaggio, dichiarò non poter prestar fede a chi era sotto la minaccia delle armi e investì lo Schuschnigg della Presidenza dei Ministri.

Il Ministro Neustadter-Sttirmer, dalla strada, iniziò col Fey -sempre minacciato dagli armati -le trattative per la resa. I nazi telefonarono allora al Ministro di Germania, chiedendolo come mediatore e mallevadore di essa. n dott. Rieth giunse sul posto ed iniziò tale sua missione. Fu allora che venne promesso ai ribelli di trasportarli al confine germanico. Qualche parola d'onore fu data: se dal Fey o dal Neustadter-Sttirmer si ignora: e si ignora se lo Schuschnigg -il quale promise la salvezza se non v'erano perdite di vite umane -conoscesse o meno la morte del Cancelliere.

Alle 9 circa, su questa promessa, i ribelli si arresero e vennero trasportati nelle caserme.

Intanto nella Stiria ed a Innsbruck si erano prodotte delle sollevazioni. A Innsbruck veniva ucciso il Capo della polizia, ma le autorità sono rimaste sempre pienamente padroni della situazione. A sud-ovest di Graz vari colpi di mano eran stati effettuati nei diversi paesi, con l'occupazione dei municipi. Taluni posti si arresero in serata, taluni stamane, per talaltri -come Lietzen e Donawitz -sono tuttora in corso operazioni militari. In complesso della Stiria sono impegnati tre battaglioni nonché le Heimwehren locali, e sono state inviate artiglierie nella zona di Leoben.

Alle 14 di oggi, il Consiglio dei Ministri ha annunziato che Starhemberg ha assunto provvisoriamente la presidenza del Governo, e che il nuovo Cancelliere verrà nominato dopo i funerali del signor Dollfuss: che non essendosi verificate le condizioni previste nelle trattative di resa, i ribelli saranno giudicati da un Tribunale militare speciale.

Mi sembra di dover aggiungere le seguenti osservazioni: a) è probabile che i sollevati contassero, a causa specialmente dell'esecuzione capitale di avantieri, in una alleanza rossa. Gli elementi rossi si sono invece del tutto astenuti; b) ieri la cittadinanza era indifferente: oggi i dettagli della morte del Cancelliere hanno destato una grandissima impressione: il Governo ha quindi guadagnato molto in popolarità; c) la posizione di Fey sembra scossa. Lo si accusa di aver avuto paura e si trova strano il fatto ch'egli sia stato sempre il portavoce -sia pure forzato -dei ribelli; d) il colpo di mano è apparso male organizzato. Non si comprende che cosa si attendevano gli esecutori, rimasti prigionieri essi stessi della propria azione. V'erano dei capi? Se sì, e se uno era il Rintelen, perché non si è egli presentato subito alla Cancelleria Federale? Praticamente dalle 13 alle 15 non vi è stato altro Governo che quello del Ministro della Giustizia: dalle 15 alle 18 il Governo aveva cominciato a funzionare, ma assai debolmente. Vi è piuttosto da credere che i congiurati contassero su una stragrande maggioranza nazista

o comunque ostile a Dollfuss, la quale avrebbe dovuto non già sollevarsi (poiché la radio aveva annunziata la costituzion~ del sedicente nuovo Governo) ma manifestarsi solennemente in favore di questo. Ciò non essendo avvenuto, sembra possasi una volta di più constatare l'esistenza di due correnti naziste: una attivista e terrorista, che agisce, l'altra, nazista per sentimenti ed aspirazioni, ma non organizzata;

e) il Rintelen è stato attore o ha subito gli avvenimenti? Mi è stato formalmente assicurato aver egli accettato di capeggiare il nuovo Governo: ma era conscio dell'organizzazione del complotto? Il suo atto disperato lo farebbe ritenere;

f) quanta parte ha avuto la Germania -a Monaco -nella cosa? Sono corse troppe voci contraddittorie per esprimere un giudizio preciso: ma il fatto stesso che anche senza istruzioni, il Ministro di Germania abbia acceduto alla richiesta dei ribelli di intervenire in loro favore, indica, per lo meno, quale fosse l'atteggiamento abituale della Legazione di Germania nei riguardi dell' attivismo nazista austriaco;

g) il più impellente problema è ora quello della successione. Fino a stanotte il nome di Rintelen, malgrado tutto, è tornato spesso ad affiorare come quello dell'unico capace di raccogliere i diversi partiti. Il suo tentato suicidio -per il momento almeno -lo toglie fuori dalla vita politica. Finora, perciò il più probabile candidato sembra essere lo Schuschnigg. Ma accetterebbe il Capo delle Heimwehren una subordinazione al Capo delle Sturmscharen? E

44 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

quale forza avrà il nuovo Cancelliere --chiunque esso sia -per opporsi alle tendenze centrifughe degli altri membri del Gabinetto, per condurre a termine la costituzione, per distruggere il terrorismo? Ho avuto stamani impressione che sia atteso un forte appoggio morale dall'estero; certo che -specie negli ambienti dei funzionari -regna ancora una confusione che taluni punti oscuri dei recenti avvenimenti sembra aumentare ancor più. È quindi da augurarsi che il nuovo Gabinetto basi subito praticamente la sua azione sulle idee di indipendenza così decisamente propugnate dal Cancelliere defunto, e sappia valersi, anche nel difficilissimo giuoco dei partiti, dell'eredità morale da questi lasciata anche in conseguenza della sua stessa tragica fine.

573

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 6715/539. Monaco, 26 luglio 1934.

Quali siano state le prime confuse e contraddittorie notizie date ieri dalla stampa e dalla radio bavarese (con un preteso putsch di Fey e le dimissioni di Dollfuss) sugli improvvisi avvenimenti di Vienna, risulta dai telegrammi Stetani di questo Ufficio inviati nella serata medesima, così come da quelli odierni nei riguardi delle notizie ormai più precise date dai giornali di stamane sull'uccisione di Dollfuss e sulle sue cause, e dei primi commenti all'accaduto (1).

Questi ultimi sono tutti intonati sulla stessa falsariga e ripetono quasi le stesse frasi: sul caos scatenato da Dollfuss e che si è logicamente rivolto verso lui stesso, sull'impossibilità di potersi reggere sulla forza delle baionette ecc. E le Muenchner Neueste Nachrichten iniziano senz'altro il loro articolo di fondo col verdetto: «Chi semina vento raccoglie tempesta».

Rilevo, tuttavia, che non figurano nei giornali odierni le notizie che pure la stessa radio bavarese aveva date nel pomeriggio di ieri di insurrezioni armate di centinaia di socialnazionali nell'alta Austria e nella Stiria, notizie che mi consta esser stato dato ordine alla stampa di non riprodurre, mentre si tiene a porre in gran rilievo l'alibi del Governo del Reich, oltreché con le frasi che ritornano spesso nei vari commenti sopradetti essere l'accaduto un fatto interno dell'Austria, col dar notizia ufficiale di due intervenuti provvedimenti:

a) l'immediato richiamo del Ministro di Germania a Vienna, reo di aver trattato di sua iniziativa per garantire il passaggio nel Reich degli insorti;

b) la chiusura della frontiera bavarese per impedire anzi un tale passaggio, arrestare chi lo tenti, e, reciprocamente, per impedire quello degli austriaci dalla Germania in Austria.

Che, comunque, almeno la Direzione austriaca di Monaco del movimento socialnazionale fosse da qualche giorno al corrente che a Vienna doveva ten

tarsi un colpo disperato, e che essa si preparasse in conseguenza, vi è motivo di r,itenere da quanto segnalavo col mio rapporto di ieri (l) circa l'insolita e sospetta ripresa d'attività di detta direzione, e della legione austriaca da lei dipendente, proprio negli immediati giorni che hanno preceduto il putsch di Vienna.

Il passaggio, del resto, degli speciali autocarri descritti nel predetto rapporto, e con direzione verso la frontiera, è continuato anche nella serata di ieri. A sera inoltrata un connazionale di mia piena fiducia ha visto una colonna di circa una quarantina di tali automezzi sulla strada che conduce a Starnberg.

Ed io stesso, in un sopraluogo fatto verso l'una del mattino avanti la caserma della Franziskanerstrasse, (della quale pure è cenno in predetto rapporto) ho constatato essere essa in pieno movimento, ed ho visto uno di tali autocarri con rimorchio partirne in direzione di Tegernsee.

E che alla Direzione austriaca in Monaco del Partito socialnazionale, ed al famigerato Frauenfeld, che ne era divenuto in questi ultimi tempi il principale esponente, non fosse del tutto ignoto il colpo che doveva tentarsi ieri a Vienna, sarebbe anche dimostrato dall'indiscrezione fatta fra il fumo delle libazioni da uno squadrista dei reparti neri di protezione (S.S.) amante della segretaria di Frauenfeld.

Egli avrebbe detto avergli confidato la segretaria medesima tre giorni or sono che fra due giorni essa e Frauenfeld avrebbero fatto ritorno definitivamente a Vienna.

In ogni modo, sia perché il colpo di Vienna pur costando la vita a Dollfuss non ha raggiunto tutti gli scopi sperati, sia in seguito alle sopraggiunte disposizioni del Governo del Reich per la chiusura della frontiera, alla mattina di oggi è cominciato già il ritorno dalla frontiera dei famosi autocarri della legione austriaca.

E, da una informazione che ricevo ora, risulterebbe che anche 500 militi armati delle squadre nere di protezione (S.S.) si sono dal campo di concentramento di Dachau recati alla frontiera austriaca a Freilassing per cooperare ad assicurare la più rigorosa esecuzione delle disposizioni emanate dal Governo del Reich.

(l) Rossi Longhi aveva informato con t. 2680/235 R. del 25 luglio, non pubblicato de la Un!ted Press aveva dato notizia che, secondo fonte naz!sta bene informata, la sostituzione del cancelllere austriaco era stata decisa fin dal convegno d! Venezia.

574

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 26 luglio 1934.

Qui acclusa la risposta di Pietri al quale annunciavo il mio passaggio da Parigi. In caso tu avessi qualche cosa da dirmi prima della mia partenza per l'Inghilterra, ti prego farmi avvisare.

ALLEGATO

PIETRI A THEODOLI

L. P. Parigi, 19 luglio 1934.

Malheureusement, Vous ne me trouverez pas à Paris à ce moment là car je serai en Corse en train de m'occuper des élections cantonales, qui doivent avoir lieu en Octobre. Hélas! La situation entre nos deux Pays s'est beaucoup modifiée dépuis Genève, et je Vous avoue que je suis moi-méme assez découragé...

La lecture de la presse italienne est assez pénible pour ceux qui comme Vous et moi, désirent une bonne entente réciproque.

J'ajoute en passant, et quoique je ne veuille rien dramatiser, que j'ai été moiméme très personneUement affecté par le fait que ni notre Ambassadeur à Rome, ni moi-méme, ici, par l'entremise àu Votre n'avons été avisés de la décision concernant les fameux 35.000 Tonnes.

Nous avons appris celà... par les journaux!

Rappelez-Vous que, par un procédé très différent, j'avais eu soin, quatre jours avant le dépòt du projet de loi concernant le Dunkerque II, d'en informer moi-méme Pignatti, pendant que Chambrun le faisait connaitre à Suvich.

Remarquez que la déci&ion en elle-mème, n'a qu'une conséquence bien précise: c'est celle d'obliger tout le monde à se lancer dans la construction de ces énormes bi.ìtiments!

Le plus dur de tout cela, c'est quand on lit dans Votre principal journal: «la France fait ses Dunkerque pour les opposer aux Deutschland. Pourquoi trouverait-elle étonnant que nous faisions des 35.000 Tonnes pour les opposer à ses Dunkerque? ».

Vous avouerez que cela, c'est vraiment le bouquet... Si Vous ètes encore ici le 5, peut-ètre Vous verrais-je c:ar c'est précisément le jour où je compte ètre de retour.

(l) Non rinvenuto.

575

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 997/245 R. Roma, 27 luglio 1934, ore 1.

Suo 322 (l).

Da comunicato odierno che telegrafole in chiaro (2) V. E. potrà rilevare e, occorrendo, chiarire, che disposizioni militari prese al confine itala-austriaco con forze normali delle provincie di frontiera costituiscono misure prudenziali senza alcun carattere mobilitazione (3).

576

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2710/505 R. Londra, 27 luglio 1934, ore 1 (per. ore 4,30).

Ho avuto stamane al Foreign Office una lunga conversazione con Sargent sugli avvenimenti di Vienna e sulle loro possibili ripercussioni in Europa.

Sargent mi ha dato lettura dei telegrammi dell'incaricato d'affari britannico a Vienna, telegrammi che danno degli avvenimenti un quadro sostanzialmente identico a quello che mi è stato dato stamane per telefono da

S. E. Suvich. Ho comunque messo in luce con Sargent i seguenti punti:

l) che il colpo di mano dei nazi è stato ed è rimasto un episodio isolato; 2) che la popolazione di Vienna e quella delle provincie non hanno preso alcuna parte in favore dei nazi; 3) che la politica del Governo austriaco restava immutata.

Ho insistito su questi punti per concluderne che non vi era dunque nessun elemento che potesse indurre le Potenze a riconsiderare la loro posizione di fronte al problema dell'indipendenza dell'Austria, e che anzi il fallimento del colpo di mano nazi costituiva la prova migliore della solidità di questa posizione quale era stata definita dall'Inghilterra, dalla Francia e dall'Italia nella dichiarazione di febbraio (l).

In questo il Governo britannico è d'accordo, e Simon press'a poco [in questo senso] farà dichiarazioni oggi alla Camera dei Comuni.

Il giudizio poi che Foreign Office dà sugli avvenimenti di Vienna è fondato sul concetto che ~ quale che sia la parte avuta dal Governo tedesco negli avvenimenti stessi ~ la responsabilità morale di essi ricade sulla Germania. Lo stesso fatto che la popolazione di Vienna non ha sostenuto i nazi, mostra che l'istigazione del putsch era venuta dall'estero, né il Governo tedesco può liberarsi, con delle dichiarazioni postume, da questa cattiva posizione.

In questo senso il Foreign Office ha dato anche le sue istruzioni al riguardo alla stampa.

Questo giudizio corrisponde del resto al sentimento del paese che è unanime nell'accusare la Germania di avere fomentato il movimento e di avere istigato i nazi austriaci ai metodi del terrorismo.

(l) -Cfr. n. 563. (2) -Cfr. n. 570. (3) -Identico telegramma venne Inviato a Londra col n. 998/197 R.
577

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2703/506 R. Londra, 27 luglio 1934, ore 1 (per. ore 6,45).

Oggi pomeriggio ai Comuni Simon ha letto il sunto del comunicato ufficiale austriaco sugli avvenimenti di Vienna ed ha aggiunto: «Stamane mi son recato dal ministro di Austria per esprimergli a nome del Governo e mio personale il nostro orrore per questo vigliacco delitto e la nostra simpatia per la Famiglia Dollfuss (approvazioni unanimi). Barone Franckenstein mi ha informato che il suo Governo gli ha ufficialmente comunicato che Dollfuss ha

sopravvissuto per considerevole tempo alle ferite e che i suoi assassini hanno lasciato che morisse dissanguato rifiutandogli l'assistenza spirituale e medica.

Desidero aggiungere che l'atteggiamento del nostro paese *per quanto concerne indipendenza e integrità dell'Austria, in armonia trattati vigenti e in conformità della dichiarazione da me fatta a nome del Governo nel febbraio scorso, resta immutato dopo questi tragici eventi* » (l).

(l) Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 710.

578

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, BERlO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2728/98 R. Praga, 27 luglio 1934, ore 13,1O (per. ore 17;.

Mio telegramma n. 97 (2). Krofta che ho visto stamane mi ha confermato che governo cecoslovacco considera con calma situazione austriaca.

Crisi può considerarsi superata e per quanto sia dolorosa perdita Dollfuss tuttavia fallimento putsch costituisce attualmente serio indebolimento forze nazi e allontanamento pericolo Anschluss.

Anche attuale atteggiamento Hitler di sconfessione verso ribelli è suscettibile di provocare sfiducia scoraggiamento rappacificazione nazi austriaci. Tuttavia Governo cecoslovacco si domanda con preoccupazione se attuale regime austriaco troverà nel suo seno persona capace di assumere posto già tenuto con energia autorità da Dollfuss.

Krofta mi ha detto che misure militari adottate da Governo italiano sono considerate come opportuno gesto di pressione e avvertimento. Questione austriaca, allontanato in questo momento pericolo Anschluss, è interna. Spetta grandi Potenze e in specie Italia esaminare quali passi di carattere diplomatico siano opportuni per assicurare mantenimento rafforzamento attuale regime. Se azione comune dovesse intervenire fra le Potenze interessate Krofta mi ha espresso sua convinzione che Cecoslovacchia sarà interpellata.

Queste dichiarazioni concordano con termini articoli ufficiosi su giornali Lidovenoviny che segnalo con telegramma Stefani n. 155.

579

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2727/243 R. Vienna, 27 luglio 1934, ore 13,40 (per. ore 18,15).

Le sollevazioni che si sono successivamente prodotte in Stiria e Carinzia vengono poco a poco represse.

(l) -II passo fra asterischi è stato sottol!neato da Mussolini. (2) -T. 2714/97 R. del 26 lugl!o, non pubbl!cato.
580

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, BERlO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2726/99 R. Praga, 27 luglio 1934, ore 13,40 (per. ore 17).

Miei telegrammi nn. 97 e 98 (2). Da seria fonte mi viene riferito che Governo cecoslovacco si sarebbe astenuto dal prendere misure militari alla frontiera austriaca in relazione avvenimenti vicina repubblica. Esso si sarebbe limitato adottare misure polizia dislocando lungo la frontiera reparti volanti gendarmeria per impedire eventuali sconfinamenti nazi. Sembra inoltre -da quanto mi si è detto e che riferisco con ogni riserva che Governo cecoslovacco si asterrebbe intervenire in Austria anche in caso intervento armato Italia, sopratutto per evitare possibilità essere trascinato in complicazioni con nostro paese, specie ove truppe jugoslave dovessero a loro volta essere indotte varcare frontiera austriaca. Ad ogni buon fine ho incaricato questo addetto aeronautico effettuare giro controllo lungo frontiera austriaca. Riservomi riferire ulteriormente.

581

APPUNTO (3)

Roma, 27 luglio 1934 (4).

L'Ambasciatore Cerruti telefona da Berlino che il Vice Cancelliere von Papen è stato nominato Ministro di Germania a Vienna con una lettera a lui diretta dal Cancelliere Hitler. In questa lettera il Cancelliere dopo aver chiarito che il Ministro Rieth è stato richiamato da Vienna per essersi mescolato negli

(-2) Cfr. n. 578 e nota allo stesso.

affari interni austriaci, prega il signor von Papen che già tanti meriti ha acquisiti nella politica estera della Germania, di voler accettare il posto di Ministro a Vienna per far tornare cordiali amichevoli le relazioni con l'Austria.

Hitler fa appello a von Papen, data la piena fiducia di cui questo gode presso di lui assicurandolo che si tratta di missione straordinaria gradita al Presidente del Reich e che si svolgerà alle dirette dipendenze del Cancelliere.

Il testo della lettera potrà essere fra breve inviato (l).

(1) -I passi fra asterischi sono stati sottollnati da Mussolinl. (3) -L'appunto, redatto su carta intestata del Gabinetto, è privo di firma. (4) -L'ora non è indicata. Si inserisce qui poiché sicuramente precedente al n. 582.
582

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2731/219 R. Berlino, 27 luglio 1934, ore 14,25 (per. ore 18,15).

Ieri mattina atmosfera politica era di panico perché si temeva una azione combinata delle Potenze contro la Germania.

Linguaggio relativamente calmo della stampa inglese rassicurò Berlino cosicché preoccupazioni diminuirono e la stampa mostra sorpresa e indignazione per articoli stampa estera e sopratutto italiana che getta responsabilità sopra Germania.

Atteggiamento ufficiale è naturalmente quello del massimo stupore che si possa pensare a una ingerenza della Germania nelle cose austriache.

Senonché i vari provvedimenti adottati, quali chiusura confine verso Austria, rinvio ai campi di concentramento dei legionari austriaci che si andavano concentrando al confine austriaco, richiamo del ministro Rieth e revoca dei poteri di Habicht, mentre sono opportuni e provano intenzione del Governo germanico di evitare incidenti, sono pure dimostrazione manifesta della colpevolezza del Reich in passato.

Invio di von Papen in missione straordinaria diplomatica a Vienna ha permesso a Hitler di allontanarlo onorevolmente dal Governo con piena e intera sua soddisfazione morale essendo state riconosciute sue benemerenze verso nazionalsocialisti e confermata assoluta fiducia che cancelliere ripose in lui durante i comuni lavori.

È sintomatica la frase relativa al * desiderio di fare ritorno normali relazioni con Austria. Cosa potrebbe essere facilitata dalla nomina cancelliere di Sch uschnig g.

Fatto che von Papen è posto alla diretta dipendenza di Hitler dimostra però che affari austriaci continuano a essere considerati dal cancelliere non

già come affari esteri da trattarsi dal ministero degli affari esteri, ma come affari interni in cui deve avere ingerenza partito nazional-socialista * (l).

Mi risulta che telegramma di condoglianze di S. E. Capo del Governo produsse grande impressione e che risentimento di taluni circoli fu pari alla costernazione di altri.

Stampa tedesca si limitò farne cenno, riassumerlo brevemente tranne Daz che lo riprodusse omettendo però frase relativa ai responsabili.

(l) Non si pubblica il testo di tale lettera, datata Bayreuth 26 luglio. Essa è edita in Akten III, l, p. 245 e fu trasmessa a Roma da Antinori con un rapporto del 27 luglio di cui si pubblica solo il seguente brano: I commenti della stampa italiana ai fatti di Vienna sono violentemente attaccati dalla stampa tedesca che li definisce «ingiustificata e violentissima campagna italiana contro la Germania». Al contegno della stampa italiana è contrapposto quello <<misurato della stampa francese, che attende prima di pronunciarsi», e cosi pure le dichiarazioni fatte alla Camera dei Comuni da Simon.

583

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T.R. 2723/220 R. Berlino, 27 luglio 1934, ore 14,20 (per. ore 17).

Ho ragione di ritenere che vari provvedimenti ragionevolmente adottati dal Governo del Reich * circa questione austriaca siano stati presi sotto influenza della Reichswehr il cui atteggiamento al riguardo ci era noto da tempo* (l).

584

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2749/107 R. Belgrado, 27 luglio 1934, ore 19,15 (per. ore 22,30).

Telegramma di V. E. n. 95 (2). Tanto ieri che oggi stampa Belgrado dà soltanto notizie di fatti (veda Agenzia Stefani ieri).

Oggi viene pubblicata smentita Governo jugoslavo concentramento truppe (anche consoli generali Lubiana e Zagabria da me interessati già da ieri l'altro sera seguire situazione militare comunicavano nulla di nuovo) ed aiuti nazisti da Jugoslavia.

Giornali Zagabria di oggi pubblicano telegrammi interessanti commenti che telegrafo con Stefani speciale. Ieri con mio telegramma n. 106 (3) ho informato V. E. della conversazione con Puric. Essa riproduce opinione prevalente circoli politici cioè sincera com

mozione per tragica fine Dollfuss, mentre se ne ritiene Germania genericamente responsabile.

Credevasi ieri situazione ristabilita ma con riserve che trovano oggi giustificazione nelle notizie dalla Stiria,. come domani potrebbero trovarla in eventuale rinnovata attività nazista ... (l) germanica. Perciò permane preoccupazione che morte Dollfuss possa segnare inizio gravi complicazioni europee.

Circa eventualità Anschluss ed anche soltanto avvento al potere Governo nazista che della prima sarebbe aperto succedaneo, opinione è come riferito a suo tempo divisa.

Se non bisogna dimenticare che una parte della opinione pubblica crede che [non] potrebbe nuocere accordarsi con la Germania a nostro danno, Re e Governo (veda parole di Purich) si rendono conto grave pericolo per Jugoslavia unità germanica, quindi, se avvenimenti complicazioni future rendessero necessarie misure precauzionali militari alla frontiera austriaca esse saranno ispirate ad estrema prudenza e legate a questi due criteri:

a) Accordo con la Francia;

b) Studio evitare accuratamente qualsiasi incidente con noi quindi verosimile ricerca di accordo anche con l'Italia (veda mio telegramma 206, 28 novembre anno 1933) (2) relativo alla conversazione generale Aracich addetto militare.

(l) -Il passo fra asterischi è stato sottolineato da Mussolinl. (2) -Cfr. n. 564. (3) -T. 2711/106 R. del 26 luglio, non pubblicato.
585

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2735/326 R. Parigi, 27 luglio 1934, ore 20 (per. ore 23,15).

Nella visita fatta oggi al segretario generale del Quai d'Orsay ho trovato modo nel corso della conversazione di dire che l'invio di truppe alla frontiera era una misura prudenziale. Léger replicato con vivacità di non avere nulla da obiettare e che il Governo francese era completamente solidale con noi.

La nomina di von Papen a ministro a Vienna non è stata accolta qui con favore. Si è convinti che mascheri un cambiamento di tattica ma non di propositi. Il segretario generale si dice convinto che il nuovo Gabinetto austriaco patteggerà ben presto con i nazi.

Léger crede che V. E. dovrebbe spingere il nuovo Governo austriaco a chiedere immediatamente al Governo germanico, come prova dell'asserita sua lealtà, di sciogliere la legione austriaca in Baviera.

Se il nuovo Governo tergiversasse si dovrebbe dubitare della sua sincerità. Ho detto al mio interlocutore che il passo austriaco per avere qualche probabilità di successo dovrebbe avere l'appoggio delle tre grandi Potenze.

Léger ha annuito.

(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Non pubblicato.
586

APPUNTO (1)

Roma, 27 luglio 1934, ore 20,30.

Il Console a Klagenfurt telefona: La situazione in Carinzia non è ancora chiarita. Si segnala un ammassamento di circa duemila uomini che dovrebbero nella notte marciare su Villacco.

Le maggiori preoccupazioni sono destate da una linea di resistenza che corre parallela alle Caravanche perché continui rifornimenti di uomini, armi e munizioni provengono ai ribelli da parte della Jugoslavia. Il Console teme che le forze governative attualmente in Carinzia non siano sufficienti a ristabilire l'ordine.

587

APPUNTO (2)

Roma, 27 luglio 1934 (3).

L'Incaricato d'Affari a Vienna telefona che stanotte hanno avuto luogo ulteriori moti in Carinzia. Sembra che essi stiano per essere dominati. In Stiria la situazione è ormai tranquilla. Il ristabilimento della tranquillità è costato 35 vittime alle forze governative.

È già nota al Ballpla;tz la lettera con cui Hitler nomina von Papen Ministro a Vienna. Si desidera molto il suo arrivo per i funerali che avranno luogo domani alle ore 15.

Ho chiesto all'incaricato d'affari se era già stato dato il gradimento. Mi ha detto che questo non era ancora concesso ma che da parte almeno del Ministero degli Esteri austriaco si sperava molto che egli potesse giungere anche prima che fossero svolte le formalità per il gradimento.

L'incaricato d'affari ha l'impressione che la notizia della destinazione di von Papen sia stata accolta con estrema soddisfazione. Questo fatto e la fretta con cui si attende l'arrivo di von Papen può destare qualche preoccupazione.

(l) -L'appunto, redatto su carta intestata del Gabinetto, è privo di firma. (2) -L'appunto è privo d! firma. (3) -L'ora non è indicata; si inserisce qui poiché certamente precedente al n. 588.
588

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2751/245 R. Vienna, 27 luglio 1934, ore 21,30 (per. ore 10,15 del 28).

In previsione consiglio dei ministri e poiché ministro di Francia sarebbe giunto a Vienna soltanto in giornata, avevo suggerito collega francese opportunità attirare subito di lui attenzione su accoglienza fatte da questi ambienti lettera Hitler e su colore politico fattovi dare in edizione straordinaria.

Contemporaneamente avevo fatto intrattenere confidenzialmente Starhemberg da amico comune. Subito dopo ho svolto presso il segretario generale affari esteri consigli ed osservazioni di V. E. (l).

Ho dovuto punto per punto ribattere sue affermazioni giustificative. Egli ha però finito col riconoscere giustezza rilievi V. E. assicurandomi ne verrebbe tosto tenuto conto, stabilendo per intanto stretto controllo governativo su commenti giornali e pregandomi intrattenere anche vice cancelliere.

Mie argomentazioni hanno trovato Starhemberg disposto. Egli penserebbe proporre consiglio dei ministri stasera rinvio concessione gradimento a dopo nomina cancelliere nonché inserire in comunicato governativo qualche frase particolarmente significativa, quale presa di posizione di fronte avvenire.

589

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2748/329 R. Parigi, 27 luglio 1934, ore 21,50 (per. ore 23,15).

Parlando con segretario generale del Quai d'Orsay del patto di mutua assistenza questi mi ha detto che il Governo francese attenderà un mese e non oltre la risposta della Germania. Se non vi sarà risposta o se questa sarà negativa sarà offerta la conclusione del patto senza la Germania.

La Francia prevede il rifiuto della Polonia. In conseguenza la Francia avvierà a compimento le trattative per un accordo franco-russo. Léger ha aggiunto che fra sei mesi l'accordo franco-russo sarebbe impossibile.

La Francia sarebbe stata preceduta dalla Germania.

Osservo che Barthou e Léger si esprimono sull'argomento con qualche diver

sità (mio telegramma n. 307) (2).

Precisando poi un accenno fattomi nell'ultima nostra conversazione (mio telegramma n. 307) Léger mi ha assicurato che alla Wilheimstrasse vi è allo studio un accordo pseudo economico da proporre alla Russia. Lo stato maggiore tedesco da parte sua ha ripreso i rapporti con quello sovietico. Mosca, sempre secondo il mio interlocutore, seguirebbe con interesse e compiacimento il nuovo atteggiamento della Germania. L'alleanza germanica soddisfa l'U.R.S.S. più di quella francese in quanto toglierebbe ai sovietici una delle più grosse preoccupazioni riguardo alla loro frontiera occidentale (l).

(l) -Non ci sono telegrammi in partenza ma i consigli e le osservazioni possono essere desunti dalla successiva telefonata di Grazzi (cfr. n. 590). (2) -Cfr. n. 535.
590

APPUNTO (2)

Roma, 27 luglio 1934, ore 22.

L'incaricato d'affari a Vienna telefona:

l) che è terminato da pochi momenti il Consiglio dei Ministri al quale è stata sottoposta la richiesta di gradimento per il signor von Papen.

La nota con la quale era domandato il gradimento insisteva perché esso venisse concesso al più presto possibile in vista del significato che il Governo tedesco aveva voluto dare alla nomina di von Papen. Nonostante ciò il Gabinetto austriaco aveva deciso di rinviare ogni determinazione al riguardo dopo che il Presidente della Repubblica avesse nominato il nuovo Cancelliere.

2) Un comunicato dell'Ufficio Propaganda diretto dal signor Adam, pubblicato in serata, precisa che il pilastro della politica estera austriaca rimane l'indipendenza e la libertà dell'Austria;

3) Per le ore 11 è atteso un discorso alla radio del Principe Starhemberg che verosimilmente esporrà i concetti di cui al comunicato dell'Ufficio Propaganda;

4) Non risultano confermate a Vienna le notizie date dal Console a Klagenfurt circa la situazione in quella regione (3).

591

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2746/223 R. Berlino, 27 luglio 1934, ore 22,15 (per. ore 2 del 28).

* Apprendo da fonte bene informata e riferisco sopra tutto a scopo psicologico retrospettivo che nel consiglio dei ministri durante il quale Hitler riferì

circa colloqui di Venezia egli avrebbe manifestato suo intendimento porre sollecitamente fine alla propaganda austriaca e togliere poteri Habicht. Ma elementi estremisti e sopra tutto Goebbels avrebbero esercitato sopra di lui azione tale da indurlo soprassedere provvedimenti annunziati * (l).

Occorreva morte di Dollfuss e timore delle più gravi complicazioni internazionali perché Hitler si inducesse agire secondo sua volontà ancorché troppo tardi.

Desta grave preoccupazione nei circoli politici articolo di Giorda che parla della nomina di von Papen come di quella di un alto commissàrio del Reich anziché di un rappresentante diplomatico.

Si teme che Governo italiano possa influire su quello austriaco perché non conceda gradimento.

* Mi è stato chiesto da personalità giornalistica importante se l'Italia consentirebbe alla entrata nel nuovo governo austriaco di due nazionalsocialisti austriaci moderati*.

Ho creduto comprendere che questa sarebbe una delle condizioni per fare la pace con l'Austria. Ho risposto che il punto di vista del R. Governo è quello che Austria può fare quello che vuole.

(l) -Ritrasmesso ·a Washington, Londra, Berlino, Varsavia, Mosca, Tol{io, Madricl, Bruxelles, Ankara, Belgrado, Atene, Bucarest, Helsinki, Tallinn, Riga, Kaunas e Stoccolma con t. 1022/C. R. del 1o agòsto. (2) -L'appunto redatto su carta intestata del Gabinetto, è privo di firma. (3) -Cfr. n. 586.
592

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 27 luglio 1934.

n signor Potemkin è venuto a chiedermi informazioni sulla questione austriaca specialmente con riguardo alle nostre impressioni ed al nostro atteggiamento.

L'ho messo al corrente della situazione quale ci risulta avvertendolo che la nostra linea è quella che la politica di Dollfuss sia nei riguardi dell'estero (indipendenza formale e sostanziale dell'Austria), sia nei riguardi dell'interno (rinnovazione del paese e costituzione su base corporativa) debba continuare. Ciò soprattuto perché a noi pare che l'unica maniera per riportare la calma sia quella di non deflettere dal programma finora seguito. Qualunque debolezza o fluttuazione potrebbe ridare nuovo coraggio ai nazi e provocare altri guai. Abbiamo per ora un atteggiamento di attesa e di vigilanza e non abbiamo preso in considerazione -almeno per ora -l'eventualità di una azione col

lettiva.

L'Ambasciatore ringrazia per le informazioni e mi informa poi che l'Ambasciatore sovietico a Londra ha avuto in questi giorni una conferenza col Sottosegretario vansittart che gli pare importante. Vansittart ha detto che i centri

pericolosi per un turbamento della pace nel mondo sono la Germania, la Polonia ed il Giappone.

La Gran -Bretagna che deve difendersi per l'espansione giapponese e soffre molto per la concorrenza commerciale contro questo Paese non ha assolutamente nessun interesse ad una vittoria militare del Giappone; è anzi interesse della Gran Bretagna di migliorare i suoi rapporti con l'Unione dei Soviet. Litvinof che ha dato queste informazioni all'Ambasciatore Potemkin aggiunge che l'atteggiamento del Giappone negli ultimi tempi è diventato più remissivo e ciò è stato forse determinato dal fatto che la discussione sul Patto Orientale ha potuto dare l'impressione che l'Europa vada verso una sistemazione. In seguito a tale nuovo atteggiamento giapponese i negoziati per la ferrovia orientale hanno fatto notevoli progressi ed è probabile che tra breve si arrivi ad un accordo. Comunque Litvinof ha l'impressione che per il prossimo avvenire il Giappone non abbia idee aggressive.

Potemkin ha parlato anche con l'Ambasciatore di Polonia a Roma Wysocky ed ha avuto da questi le dichiarazioni che la Polonia non vede favorevolmente il Patto Orientale che considera inutile.

(l) Questo e successivi passi fra asterischi sono stati sottollneati da Mussollni.

593

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MURRAY

APPUNTO. Roma, 27 luglio 1934.

L'Incaricato d'Affari di Gran Bretagna è venuto a portarmi il testo delle dichiarazioni di Simon ai Comuni (1), e mi ha chiesto poi quale era il nostro atteggiamento.

Gli ho risposto che noi vediamo la necessità che la tendenza del Governo austriaco continui immutata e per ora noi manteniamo una posizione di vigilanza tenendoci in contatto per lo scambio di informazioni con le altre maggiori Potenze.

594

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

T. 2750/510 R. Lor.dra, 28 luglio 1934, ore 1,05 (per. ore 6).

Ho illustrato stamane al Foreign Office sulla base del nostro comunicato e telegramma di V. E. n. 197 (3) misure militari da noi adottate al confine italoaustr·iaco.

Tali informazioni sono state accolte con la maggiore soddisfazione e Sargent mi ha detto anzi che Governo britannico si rende perfettamente conto della nostra posizione e intende ragioni e spirito delle nostre misure precauzionali.

Spera solo che situazione vada rapidamente verso la normalità e questo anche in vista del nervosismo che voci di movimenti militari hanno destato nella opinione pubblica inglese.

Sargent ha aggiunto che vi erano due punti sui quali Foreign Office ritiene essere in pieno accordo con l'Italia e Che esso desidera mettere in rilievo:

l) Che Governo britannico intende restare fedele al principio della indipendenza dell'Austria, persuaso più che mai della possibilità preservarla e necessità difenderla;

2) Che Governo britannico ritiene che le tre Potenze che con dichiarazione febbraio hanno fissato atteggiamento comune di fronte indipendenza dell'Austria debbono mantenersi costantemente in contatto e agire di concerto.

Sargent ha soggiunto che Governo francese ha fatto presente al Foreign Office utilità che Italia Francia e Inghilterra svolgano assieme, * in uno spirito di prudenza e di calma, opera comune per attenuare presente tensione e non ha detto che su questo il Foreign Office ha dato al Governo francese le maggiori assicurazioni * (l).

Quanto alla Germania in risposta Sargent mi ha detto che essa non ha fatto sapere nulla.

Ambasciatore von Hoesch è andato da lui a protestare contro la versione che Simon ha dato degli avvenimenti Austria con riferimento all'azione svolta dal ministro di Germania a Vienna.

È evidente -mi ha detto Sargent -il Governo tedesco fa il possibile per attenuare le sue responsabilità, ma queste sono precise e incancellabili. Né le misure adottate dalla Germania e le dichiarazioni pubbliche possono ingannare nessuno. Siamo di fronte ad un cambiamento dl metodo, non ancora di direttive politiche.

Invio di von Papen a Vienna -a parte ragioni personali che possono ::~.ver consigliato Hitler ad allontanare vice cancelliere dalla Germania mostra <:alo che Governo tedesco è spaventato della situazione nella quale si è venuto a t.rovare e cerca riparare ad essa con una offensiva pacifista che * ai fini dell'indipendenza dell'Austria, potrà nell'avvenire essere non (dico non) meno pericolosa dei sistemi del terrore e alla quale l'Italia la Francia e l'Inghilterra dovranno essere in co~dizioni di far fronte * (2).

(l) -Cfr. n. 557. (2) -Ed. !n DE FELICE, pp. 502-503. (3) -Cfr. nn. 570 e 575, nota 3. (l) -Il passo fra asterischi è stato sottolineato da Mussolini. (2) -Il passo fra asterischi è stato segnato a margine da Mussolini.
595

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2754/133 R. Budapest, 28 luglio 1934, ore 4,06 (per. ore 7,30).

Questo presidente del consiglio mi ha detto stasera considerare con compiacimento destinazione Vienna Papen che permetteva sperare assestamento transazionale e pacificazione situazione Austria e che gli appariva prova dell'evoluzione compiutasi in Hitler.

Alle obbiezioni mossegli ha risposto a suo avviso non conveniva respingere queste dimostrazioni di resipiscenza: * meno che ad altri all'Ungheria la quale oggi, come per il passato, non poteva rinunziare sue relazioni amicizia col Reich * (1).

Circa successore Dollfuss era convinto Starhemberg fosse da preferirsi ad ogni altro: a differenza suoi competitori cristiano-sociali, disponeva energia necessaria per fronteggiare nazismo e di una organizzazione efficiente.

In realtà nuovo atteggiamento assunto Berlino sembra aver suscitato nel Governo ungherese impressione essere destinato raggiungere suo scopo, come loro sanguinoso obiettivo hanno raggiunto metodi terrorismo impiegati finora; scostandosi riserva osservata fino ad oggi questo mostra perciò tendenza assecondarlo.

È prevedibile questa tendenza rientri nel momento e nella misura in cui quell'impressione risulterà infondata.

596

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2766/225 R. Berlino, 28 luglio 1934, ore 17,56 (per. ore 20).

Addetto militare ha veduto stamane generale con Reichenau, che durante congedo estivo del ministro della Reichswehr regge il ministero.

Questi gli ha detto che era stato in contatto negli ultimi giorni col cancelliere del Reich che questi si era mostrato indignato degli avvenimenti di Vienna e aveva ordinato di condurre a fondo una inchiesta per stabilire eventuali corresponsabilità da parte di Habicht.

Cancelliere stava considerando eventualità di riprendere contatto diretto con s. E. Capo del Governo per convincerlo assoluta estraneità della Germania nei fatti occorsi e ferma sua decisione giungere a soluzione definitiva della questione austriaca d'accordo con l'Italia.

45 --Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Parlando del concentramento di truppe italiane al confine italo-austriaco generale suddetto disse che Reichwher ne aveva compreso perfettamente carattere precauzionale e non aveva attribuito ad esso alcun significato meno che amichevole verso Germania.

Circa nomina di von Papen spiegò che interpretazione data ad essa da parte della stampa italiana era inesatta. Von Papen era stato prescelto come un rappresentante della diplomazia tradizionale e come persona indipendente da ogni influenza del partito. Forma speciale della sua missione era dovuta soltanto alla sua posizione come ex cancelliere e attuale vice cancelliere.

(l) Il passo fra asterischi è stato sottolineato da Mussol!ni.

597

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2771/246 R. Vienna, 28 luglio 1934, ore 20 (per. ore 23,30).

Funerali cancelliere sono riusciti imponentissimi.

Una enorme commossa folla ha fatto ala al corteo.

Sul feretro hanno parlato presidente della repubblica e Starhemberg.

Entrambi hanno riaffermato volontà seguire esattamente linea politica defunto cancelliere.

Presidente della repubblica è entrata in merito della lotta condotta da Dollfuss per la indipendenza dell'Austria, affermando che essa lotta dovrà essere strenuamente continuata.

Sotto il punto di vista politico impressione generale è che tragica fine di Dollfuss mentre qualche mese fa avrebbe rappresentato una grave sciagura nazionale, oggi può essere invece considerata soltanto come gravissimo lutto.

598

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2772/514 R. Londra, 28 Zuglio 1934, ore 20,35 (per. ore 24).

Foreign Office giudica che la situazione austriaca è entrata ormai nella

fase finale di assestamento, e che gli episodi sporadici che ancora si verificano

nella provincia non possono destare alcuna preoccupazione.

Il nervosismo che si era notato ieri nella City è andato cadendo ed è opi

nione generale che la Germania abbia, almeno per ora, rinunziato ad ogni

attività negli affari preoccupata sopratutto di cancellare o di attenuare le sue

responsabilità.

Il merito di avere arrestata la Germania e di avere così impedito che gli avvenimenti austriaci provocassero una crisi internazionale è attribuito allo posizione netta assunta da V. E. ed alla rapidità ed energia della sua azione.

Come V. E. avrà potuto rilevare dal mio telegramma n. 512 (l) questo è anche giudizio unanime dei maggiori giornali inglesi, i quali stamane mettono in chiaro che le misure militari prese dall'Italia sono quelle che nelle sue condizioni particolari intimidito il Governo e fatto crollare resistenza tedesca.

599

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI (2)

T. 1000/155 R. Roma, 28 luglio 1934, ore 21,30.

Trovi modo di far sapere al colonnello Adam -dell'Ufficio Propaganda il mio compiacimento per gli energici e precisi discorsi da lui tenuti in questi giorni (3).

600

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2768/247 R. Vienna, 28 luglio 1934, ore 23,50 (per. ore 5,30 del 29).

Stamane, dopo avere presentato condoglianze, mi sono intrattenuto col presidente della repubblica circa situazione interna e nomina von Papen svolgendo opportunamente le diverse considerazioni suggerite telefonicamente da

V. E.

Presidente mi ha dichiarato:

1) che egli intende affidare a Schuschnigg il cancellierato, sia perché una analoga indicazione è stata fatta dallo stesso compianto cancelliere e sia perché nomina in parola contribuirà mantenere composizione politica precedente Gabinetto;

2) che non verrà pertanto fatto alcun cambiamento nella distribuzione portafogli eccetto quello agricoltura troppo tecnico per essere conservato da nuovo cancelliere federale il quale terrà invece assieme quelli esteri, guerra, sicurezza pubblica ed anche istruzione;

3) che la nomina di von Papen, oltre per il modo come è stata annunziata e le tendenze della persona (anche in riguardo suo antico progetto adoperare una scissione nel partito cristiano-sociale austriaco formando un partito nazionale cattolico), si presta anche a severi commenti per essere egli stato indicato quale rappresentante diretto cancelliere del Reich.

Questa era inammissibile pretesa, predetto rappresentante dovendo essere assolutamente equiparato nella sua posizione agli altri suoi colleghi;

4) che egli ed il Governo non potevano rifiutare chiesta gradimento per nomina in parola della quale era intanto impossibile prevedere lontane conseguenze;

5) che egli infine teneva ribadire che nuovo Governo seguiterà esattamente direttive politiche defunto cancelliere federale.

(l) -T. 2773/512 R., pari data, di rassegna stampa, non pubblicato. (2) -Minuta autografa di Mussol!ni. (3) -Con telespr. 3039/1618 del 1o agosto Preziosi comunicò di aver espresso il compiacimento di Mussol!ni ed Adam il quale ne era stato «letteralmente commosso».
601

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL (l)

APPUNTO. Roma, 28 luglio 1934.

L'Ambasciatore von Hassell è venuto a parlarmi di questioni di minore importanza.

Il discorso però si è aggirato principalmente sulla questione dell'Austria.

L'Ambasciatore mi ha detto della grande costernazione prodotta in Germania dall'atteggiamento della stampa italiana che ha attaccato in modo violentissimo il Governo tedesco, il Cancelliere e tutta la Nazione tedesca; egli mi cita in modo particolare il Popolo di Roma e il Marc'Aurelio. Egli spera tuttavia che oramai la fase più acuta sia passata e che si possa rientrare in una certa calma. Egli ha fiducia che gli avvenimenti di questi giorni non creeranno l'irreparabile fra i due Paesi. Gli rispondo che la stampa ha espresso l'indignazione che in questi giorni è esplosa nell'opinione pubblica italiana e in genere in quella di tutto il mondo. Mi pare difficile fare una gradazione di violenza fra il contegno della stampa dei diversi Paesi, perché in fondo tutti dicono le stesse cose e la responsabilità più o meno diretta del Reich è tirata in ballo da tutti. L'opinione pubblica e la stampa italiana hanno reagito con particolare prontezza perché il pericolo dell'incitamento tedesco ai nazi austriaci era stato da noi infinite volte, e particolarmente negli ultimi tempi, chiaramente denunciato.

L'Ambasciatore, come segno del proposito aggressivo della stampa italiana contro la Germania, mi cita i commenti relativi alla missione di von Papen, che in altri Paesi e nell'Austria stessa era stata accolta come una prova di buona volontà del Governo tedesco.

Gli Tispondo che anche la missione von Papen è stata interpretata circa allo stesso modo in tutti i Paesi; le circostanze che hanno accompagnato la nomina di von Papen non paiono atte a tranquillizzare l'opinione pubblica mondiale sulle intenzioni veramente amichevoli della Germania nei riguardi dell'Austria. Gli cito la pubblicazione della nomina senza aver atteso il gradimento, la dipendenza diretta dal Cancelliere anziché dal Ministero degli Esteri, il mancato scioglimento della Legione austriaca e dell'« anello di combattimento austriaco». Tutte queste circostanze danno l'impressione che i rapporti tedesco-austriaci non siano per entrare nella normalità di quelli che devono essere i rapporti tra Potenza e Potenza; si ha l'impressione che la Germania continui a trattare l'Austria come qualche cosa di subordinato.

L'Ambasciatore conchiude con la frase: «Insomma qualunque cosa faccia la Germania, è sempre mal fatto». L'Ambasciatore mi parla poi della questione Menel; lo metto al corrente delle notizie avute da Londra, al riguardo di tale problema 0).

(l) Ed. !n DE FELICE, p. 501.

602

IL MINISTRO A BERNA, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2782/65 R. Berna, 29 luglio 1934, ore 15,50 (per. ore 19,20).

Suo telegramma n. 80 (2).

Ambienti Governo federale e intera stampa svizzera approvano calorosamente energico atteggiamento assunto R. Governo relativamente situazione austriaca.

Parte stampa, preoccupata serie conseguenze che avvento Governo nazionalsocialista avrebbe incolumità Svizzera, giunge addirittura invocare nostro intervento armato.

Mi riferiscono che segretario generale Società Nazioni si mostra irritato per misure militari precauzionali prese Italia che, in caso azione, esautorerebbero consesso ginevrino il quale tenderebbe sostituirei per soluzione della questione.

Addetto militare austriaco Berlino Berna, generale Jausa, che ieri trovavasi qui, si è recato comandante questo Stato Maggiore ed ha cercato ridurre avvenimenti sanguinosi Vienna a unico tentativo cambiamento ministero.

Tali dichiarazioni hanno sollevato vivo stupore. Governo federale ha, per ora, rafforzato cordone doganale frontiera austriaca per impedire entrata elementi sospetti.

(l) -n contenuto del colloquio con Hassell fu trasmesso da Suvich a Berlino con T. 1009/184 R. del 30 lugllo di cui si pubblica il passo finale: «Mi ha parlato in tono accorato senza fare alcun accenno a protesta. Ha soltanto detto stampa tedesca naturalmente reagirà». (2) -Il telegramma originale porta la data del 27 luglio 1934 [e il numero di protocollo 63]. Il 28 ne fu chiesta la ripetizione [con t. 10163/80 P.R.] essendo giunto senza prescritta indicazione della tabella usata [nota del documento].
603

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2779/229 R. Berlino, 29 luglio 1934, ore 19,50 (per. ore 21,40).

Informo V. E. ad ogni buon fine che maggiore Renzetti in conversazioni avute meco e con funzionari ambasciata ha cercato scagionare Governo del Reich da responsabilità negli avvenimenti austriaci facendo apparire quest'ultimo vittima di una coda del tradimento di Roehm.

Egli che agisce evidentemente da portavoce dei nazionalsocialisti tedeschi sostiene che attacco al Ballplatz non fu altro che l'esecuzione di una parte del piano più complesso secondo il quale i fautori di Roehm avrebbero dovuto impadronirsi di tutti i ministeri del Reich a Berlino e ucciderne i titolari.

Probabilmente in questo piano era compreso pure il simultaneo attacco della cancelleria a Vienna, uccisione di Dollfuss e Anschluss al Reich dell'Austria.

Suddetto maggiore ha cercato pure di dimostrare che tutti i provvedimenti tedeschi provarono lealtà anteriori dichiarazioni del Governo del Reich di non volere privare Austria sua indipendenza.

Egli pone sopratutto in rilievo nomina di von Papen che deve recare ramo di ulivo a Vienna e trovare soluzione del conflitto austro-tedesco (1).

604

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2809/0133 R. Vienna, 29 luglio 1934 (per. il 1° agosto).

Parlando della figura del ministro Schuschnigg Starhemberg mi ha confidato che assai di recente il defunto cancelliere ebbe a dirgli che lo Schuschnigg era un individuo irresoluto e te<Jrico, che lasciava anche a desiderare nella condotta del suo ministero, in cui, a malgrado le buone intenzioni, non era in realtà riuscito a mettere ancora ordine nella nota questione degli insegnanti nazisti.

Starhemberg ha aggiunto che questo sfogo del compianto cancelliere gli faceva escludere che Dollfuss avesse potuto indicare a suo successore, come Miklas sembrava ritenere, proprio lo Schuschnigg. Questi aveva certo doti di intelligenza e di cultura che lo indicavano per quell'alta carica. E difatti egli stesso; -Starhemberg -aveva pensato allo Schuschnigg ed al signor Gleissner (attuale capo provinciale dell'Alta Austria) come probabili futuri cancellieri.

Senonché dette doti non potevano nascondere i lati negativi del personaggio, e cioè la sua irresolutezza, il suo soverchio teoricismo la sua disposizione verso

un cattolicismo tedesco comprendente territorialmente l'Austria ed i paesi tedeschi del sud, a fini anche legittimisti. A queste osservazioni dello Starhemberg si può aggiungere anche il rilievo dell'origine tirolese dello Schuschnigg.

Circa invece i sentimenti dello Schuschnigg nei riguardi dei rapporti austrotedeschi, desidero ricordare quanto egli ebbe a dichiarare al suo interlocutore tedesco signor Hess, nella visita da lui fatta nel novembre scorso a Berlino, per l'attuazione del noto mancato incontro Dollfuss-Habicht.

Nella terza pagina del mio rapporto segretissimo n. 2524 del 10 novembre 1933 (l), riferivo quanto segue:

«Il signor Hess toccò allora -lamentandosene vivamente -l'argomento che il Governo Dollfuss aveva avuto il torto di asserire e di patrocinare una teoria rigidamente antianschlussiana. In appoggio alla sua tesi, egli evocò il fatto che la costituzione austriaca del '18 afferma la volontà dell'Austria di unirsi alla patria tedesca.

Al che lo Schuschnigg replicò categoricamente che come la Germania aveva, col nazionalsocialismo, messo in disparte tutta l'ideologia sviluppatasi colà nel dopoguerra, così l'Austria del signor Dollfuss aveva messo da parte tutto quanto era stato detto e dichiarato nell'immediato dopoguerra. Egli quindi asserì nel modo più reciso che ogni discussione sarebbe stata vana se il Reich non avesse l'intenzione di prendere atto dei due punti capitali, proclamati dal cancelliere Dollfuss, nel suo discorso di Grossmugl, e cioè: il riconoscimento dell'accresciuta indipendenza dell'Austria e la definitiva rinuncia del Reich ad ogni intromissione nella politica interna del paese».

Inoltre, sono da rilevarsi le tendenze fascistofile dello Schuschnigg, la sua costante solidarietà con le Heimwehren; l'assenso da lui dato mesi fa a che l'organizzazione stiriana delle Sturmscharen da lui capeggiata, restasse alle dipendenze di quella delle Heimwehren; la solidarietà sempre dimostrata con le vedute del defunto cancelliere, sia in politica interna che estera: il che ha rappresentato una vera evoluzione dello Schuschnigg, qualora si tengano presenti i suoi antecedenti, e specie i postulati estremisti da lui sostenuti sia nei riguardi della restaurazione absburgica che nell'irredentismo alto-atesino. A tale proposito mi riferisco al mio telegramma filo n. 149 del 18 aprile 1933 (2).

(l) Non si pubblica un rapporto del 30 luglio che Renzetti inviò a Ciano perchè fosse eventualmente sottoposto a Mussolini (A C S , Carte Renzetti).

605

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2810/0134 R. Vienna, 29 luglio 1934 (per. il 1° agosto).

Vice cancelliere mi ha detto che fra breve egli dovrà recarsi a Roma per porgere a S. E. il Capo del Governo i sensi della più devota gratitudine del Governo austriaco.

Starhemberg desidererebbe previamente conoscere la forma che V. E. gradirebbe fosse data a detta visita; se del tutto ufficiale o semi-ufficiale. Nel corso della conversazione egli ha accennato, a mo' d'esempio, ad un suo viaggio in occasione della chiusura del campo Austria.

Sarò grato a V. E. se vorrà mettermi in grado di soddisfare il desiderio manifestatomi dal vice-cancelliere. Di quanto precede è anche al corrente il nuovo cancelliere.

(1) -Cfr. serie VII, vol. XIV, n. 356. (2) -Non pubblicato.
606

APPUNTO (l)

Roma, 29 luglio 1934.

L'Incaricato d'Affari d'Austria, che ha Ietto stamani il trafiletto del Messaggero circa la missione del dott. Rintelen a Roma, esprime la sua preoccupazione che la sua persona e in genere la Legazione possa essere accusata di aver favorito maneggi contro il proprio Governo.

Egli assicura di aver spesso pedinato il dott. Rintelen nelle sue uscite specialmente serali. Non ha mai potuto scoprire alcun suo incontro sospetto. Alcuni mesi fa egli si recava spesso in una Pensione in via Sistina (Pensione Internazionale) dove si incontrava con la nipote e il suo fidanzato che vi abitavano.

Successivamente la nipote, il fidanzato e il genero -tutti Nazi -sono

andati ad abitare in Legazione.

Si comprende quindi quale fosse la sua preoccupazione perché queste per

sone non avessero visione degli incartamenti di ufficio. Egli crede di esservi

riuscito ma non può garantire se attraverso questi suoi parenti il signor

Rintelen avesse dei contatti a lui ignoti. Quello che può dire oggi che il signor

Rintelen non è più il suo capo, è che questi durante la sua permanenza a Roma

non ha mai inviato al suo Ministero né un rapporto, né un telegramma.

Quanto la Legazione faceva era unicamente opera dei Segretari.

II signor Rotter, che accompagnava sempre Rintelen nei colloqui col Mi

nistro può dire che tutto svaniva nella mente del signor Rintelen un momento

dopo finita la conversazione. Egli non può comprendere come i Nazi ripongano

fiducia in un uomo le cui facoltà mentali sono quasi completamente annullate.

Di tutta questa situazione della Legazione egli ha fatto parecchie volte rap

porto a Vienna al signor Hornbostel e al signor Peter. Nello scorso febbraio

si recò anzi a Vienna col preciso scopo di informare anche a voce di quanto

accadeva. A Vienna aveva ricevuto l'ordine di fare del suo meglio perché il

signor Rintelen non insistesse sulle dimissioni che già tre volte il signor Rotter

aveva ottenuto che il suo Ministro si astenesse dall'inviare.

(l) L'appunto, redatto su carta intestata del Gabinetto, è privo di firma.

607

APPUNTO (l)

Roma, 29 luglio 1934.

L'Incaricato d'Affari di Austria è venuto a confermare che un gruppo di rivoltosi in Carinzia e precisamente a Lavanthal non può essere sopraffatto dalle forze governative perché travasi così vicino alla frontiera jugoslava al di là della quale si trovano truppe regolari jugoslave, che non può essere sparato su di loro senza colpire anche i soldati di oltre confine.

Risulta inoltre che i rivoltosi ricevono armi e viveri da parte jugoslava.

608

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2791/332 R. Parigi, 30 luglio 1934, ore 13,19 (per. ore 15,45).

Giornali francesi danno particolare risalto allo scambio parole poco amabili fra stampa tedesca e italiana. Mi permetto osservare che a prescindere dalle [direttive] che V. E. crederà fissare, potrebbe essere più opportuno attenuare le polemiche di stampa. Ho detto sopra che i giornali francesi pubblicano le ingiurie che vengono scambiate da una parte e dall'altra. Avrei potuto scrivere che in alcuni ambienti politici francesi si segue con compiacimento quello che sta accadendo fra noi e la Germania. Si pensa evidentemente, acuendosi la situazione, che l'Italia troverà delle difficoltà a proseguire la sua politica di equilibrio tra Francia e Germania.

Da notare inoltre che, a malgrado di tutte le dichiarazioni e gli incoraggiamenti ufficiosi e magari ufficiali, la Francia mantiene nell'insieme una prudente riserva.

Ed è sintomatico che proprio il 29 corrente sia stato firmato l'accordo commerciale franco-tedesco oggetto di lunghi e difficili negoziati. Ignoro se V. E. preferisca l'azione isolata dell'Italia nel caso di un eventuale e non impossibile nuovo aggravamento della situazione austro-tedesca. In ogni caso converrebbe evitare di trovarsi soli di fronte alla Germania e forse all'Inghilterra.

(l) L'appunto, redatto su carta intestata del Gabinetto, è privo di firma.

609

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2796/333 R. Parigi, 30 luglio 1934, ore 21,15 (per. ore 0,30 del 31).

A proposito nomina di von Papen questo incaricato d'affari di Austria ha suggerito al suo Governo di subordinare la concessione gradimento alle condizioni:

l) scioglimento della legione austriaca in Baviera;

2) Scioglimento della sotto-direzione d'Austria del partito nazionalsocialista a Monaco;

3) cessazione della propaganda radio e della campagna di stampa contro il Governo austriaco;

4) sorveglianza rigorosa per impedire il contrabbando.

Lo stesso incaricato d'affari mi ha riferito che al Qual d'Orsay dichiarano di ignorare le intenzioni dell'Italia e che un'azione isolata delle truppe italiane avrebbe conseguenze «immediate e incalcolabili».

Ho domandato al mio interlocutore chi gli aveva detto le parole che mi ha ripetuto.

Mi ha nominato Massigll.

Ha aggiunto che anche il direttore generale degli affari politici Bargeton non gli aveva fatto mistero della preoccupazione del Quai d'Orsay per il fatto non sapere quali siano le intemioni dell'Italia.

Ho chiesto poi a Bischoff come interpretasse le dichiarazioni di Massigli.

Mi ha risposto di avere l'impressione che al Quai d'Orsay si sia convinti che se truppe italiane entrassero in Austria le truppe germaniche e le truppe jugoslave farebbero altrettanto. Ho osservato da parte mia che si doveva sperare che la nostra dimostrazione i~ forze fosse sufficiente per ricondurre alla ragione i nazi ed i tedeschi.

610

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2808/0132 R. Vienna, 30 luglio (l) 1934 (per. il 1° agosto).

Mio telegramma n. 249 (2).

Starhemberg mi ha detto che iersera, poco dopo il nostro colloquio (3) di fronte alle voci di autocandidature di sottocapi, egli e Schuschnigg erano caduti d'accordo sulla necessità di addivenire senz'altro alla formazione del nuovo Gabinetto.

Il presidente della repubblica, pur dimostrando allo Starhemberg le più amichevoli disposizioni, gli aveva fatto rilevare le ragioni di opportunità, che, a suo credere, dovevano far prevalere, per la carica di cancelliere, il nome dello Schuschnigg; e cioè che il paese non avrebbe visto volentieri in questo momento un cancelliere di cosi spiccato colore politico quale lo Starhemberg; che anche l'estero, il quale aveva dimostrato una perfetta solidarietà con l'Austria nell'attuale crisi, avrebbe forse risentito in certo modo, la nomina stessa; che le masse operaie, presso le quali il Governo doveva compiere ogni sforzo d'attrazione, avrebbero probabilmente accolto con diffidenza il nome dello Starhemberg; che bisognava tener conto dell'umore di determinate sfere dell'opinione pubblica; che doveva pensarsi anche e sovratutto a problemi economici e finanziari, che nell'ora presente richiedevano speciale preparazione per la loro risoluzione; che infine avendo egli (Miklas) chiesto a due uomini di giudizio indipendente -l'uno il signor van Tonningen, rappresentante della Società delle Nazioni, cittadino non austriaco; e l'altro il signor Kienbdck, presidente della Banca Nazionale, del tutto estraneo alla politica il loro avviso su di un cancellierato Starhemberg, entrambi, pur ammirando le doti del capo delle Heimwehren, si erano pronunciati, per ragioni di opportunità, piuttosto per la nomina dello Schuschnigg. (A tal proposito Starhemberg, con grande nobiltà d'animo, mi ha fatto l'elogio delle due predette personalità, lodando le tendenze fasciste del primo ed il patriottismo del secondo).

Ai rilievi del presidente federale, StarlJemberg ha risposto che egli non voleva in questo momento che il bene del paese, la solidarità e la concordia, e che per questo accettava senz'altro quella decisione ch'egli avrebbe creduto d'adottare.

D'altra parte Schuschnigg aveva dimostrato la maggiore comprensione della situazione politica, accettando senza riserva, tutte le richieste di lui, Starhemberg.

Tuttavia l'assegnazione del ministero degli esteri ad un rappresentante heimwehrista aveva sollevato gli scrupoli del presidente della repubblica, il quale aveva di nuovo ripetuto che la politica austriaca non poteva essere di completa ed assoluta soggezione all'Italia. Al che Starhemberg aveva replicato che se l'Austria si trovava nelle attuali condizioni di indipendenza, ciò lo si doveva unicamente all'aiuto dell'Italia; e che della politica di perfetta intesa con l'Italia egli era stato il solo autore, i suoi rapporti con S. E. il capo del Governo essendosi iniziati due anni prima dell'avvento al potere del cancelliere Dollfuss, il quale, in realtà, non aveva fatto altro che seguirlo su questa strada: doveva egli dunque ora rivendicare interamente la direzione di detta politica estera, o direttamente o indirettamente, a mezzo di un suo rappresentante quale il von Berger Waldenegg. Da parte sua il signor Kienbéick, presente al colloquio, aveva ribadito interamente le parole dello Starhemberg, ed in modo del tutto favorevole aveva finito col pronunziarsi anche lo stesso Schuschnigg. Così fu decisa senz'altro la nomina del von Berger.

Al riguardo Starhemberg, ricordando il nostro lungo colloquio di ieri mi ha di nuovo spiegato le ragioni per le quali non aveva creduto di assumere egli

stesso direttamente la direzione degli affari esteri: e cioè, l'assoluta necessità di rivolgere ogni suo cura alle gravi sue nuove incombenze quale capo del fronte patriottico, capo del comitato ministeriale per le misure straordinarie di sicurezza, capo del dicastero della sicurezza, capo delle formazioni premilitari ed organizzatore della milizia volontaria (cioè dei corpi di polizia volontaria che il compianto cancelliere aveva incominciato a formare in ogni centro per controbattere l'offensiva nazista). Comunque, egli voleva ripetermi che il von Berger aveva assolutamente le sue stesse disposizioni e tendenze (il Berger dimostra infatti la più grande amicizia e stima per il nostro paese); tanto che ne rispondeva interamente sotto ogni riguardo.

Starhemberg è passato quindi a far l'esame della situazione e dei risultati raggiunti con la composizione del nuovo Ministero, esprimendo la sua soddisfazione ed il giudizio che non si preoccupava di qualche malcontento sorto nelle Heimwehren per non esser stato egli nominato cancelliere, giacché sentiva di poter ben presto calmare le apprensioni ed i risentimenti del suo movimento.

Il mio interlocutore ha infine rilevato che le sole vere difficoltà che si erano ier notte verificate nella formazione del nuovo Gabinetto erano unicamente pervenute dal Fey, il quale aveva lungamente discusso ogni minimo particolare delle mansioni assegnategli. Lo Schuschnigg era intimamente assai poco favorevole a mantenere il Fey ed il Karwinsky nel Gabinetto, parendogli che, all'assassinio di Dollfuss, dovesse almeno seguire l'allontanamento delle due predette personalità preposte alla sicurezza del paese. Tuttavia era prevalso il concetto della concordia, caldeggiato dalla Starhemberg, e l'adottata soluzione (l).

La nomina del capo delle Heimwehren a cancelliere, ora che tra le Heimwehren e i nazi corre un canale di sangue, sarebbe stato il chiaro monito che non si sarebbe giunti a fallaci compromessi... Altro ordine di considerazioni: l'alternativa per la soluzione della crisi di Governo creata dalla morte di Dollfuss correv'a tra Starhemberg e Schuschnigg. Confesso che quest'ultimo non mi piace: cresciuto in Tirolo non può non essere influenzato dalla mentalità antitaliana del tirolesi (non ho avuto il tempo di controllare qual parte egli abbia avuto nella famosa discussione antitaliana alla Camera austriaca nel febbraio 1928); allevato a quanto mi si dice dai gesuiti non può non conservare i tratti morali di questa educazione; mi viene descritto come un teorico ed è su una linea teorica che poggia tutta la predicazione antiparlamentare delle campagne del suo organo Sturm ilber Oesterreich: l'enciclica "quadragesimoanno", strumento tattico in mano di Dollfuss, sarebbe nelle sue mani diventata uno strumento di fede. Ed ancora: lo Schuschnigg ha già dato segni sufficienti della sua debolezza allo stesso Do!lfuss: posto a capo del dicastero della giustizia ha lasciato che i giudici austriaci pronunziassero quei verdetti di clemenza che hanno preparato il terreno al terrorismo nazlsta. Lo stesso Dollfuss, coll'ultimo rlmanegglamento ministeriale lo aveva allontanato da quel dicastero ...

La situazione, è inutile che lo dica, permane grave: le manifestazioni di cordoglio per la

morte di Dollfuss sono state imponenti e sincere, ma la voce dei cosiddetti ambienti " nazionali"

non si è finora unita ad essa. Questi cosiddetti " nationalen Elemente ", proclivi al protestante

simo od al cattolicesimo nazionale tedesco, sono intedesc,ati dalla testa ai piedi e giurano

sempre, malgrado tutto, anzi a dispetto di tutto, sul verbo di Hitler ...

Contro Rintelen, pare non cl sia ancora nessuna prova concreta: è troppo furbo e non so se si troveranno in Austria giudici istruttori all'altezza della sua furberia».

(l) -Sic ma i t. per corriere 0133 e 0134 (cfr. nn. 604 e 605) recano la data 29 luglio; evidentemente i tre documenti vennero protocollati e spediti insieme. (2) -T. 2797/249 R., pari data, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 604.

(l) Si pubblicano qui alcuni brani della !.p. XXXII di Morreale a Jacomoni dello stesso 30 luglio: «Il 27 mattina scoppia la bomba "Von Papen "; mi reco da lui [Starhemberg] nelle prime ore del pomeriggio. Gli dico che, da molti segni, avevo avuta l'Impressione che alla Cancelleria Federale, dipartimento degli esteri, l'offerta di pace di Hitler era stata accolta con troppa gioia, gli parlo del passato di Von Papen in America ed in Germania, lo invito a stare bene attento sulle mosse della Cancelleria perché dal primo atteggiamento sarebbero potutiderivare sviluppi poco favorevoli all'Austria ed un iniziale indebolimento di posizione in un momento In cui la Germania mostrava di volersi creare degli alibi, di voler cambiare tattica e di voler ricomparire sul terreno annessionistico con armi subdole, ma non per questo meno pericolose di quelle adoperate nel passato, tutt'altro. In mia presenza egli ha chiamato al telefono Il segretario generale del dipartimento esteri e gli ha detto di soprassedere ad ogni passo nella questione Papen per dar modo al consiglio dei ministri che si sarebbe riunito alle 18 di potere esaminare in piena libertà la questione...

611

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2811/0135 R. Vienna, 30 luglio 1934 (per. il 1° agosto).

Starhemberg mi ha detto che il ministro degli affari esteri ungherese, signor Kanja, venuto a Vienna per rappresentare il suo Governo ai funerali del compianto cancelliere, si era da lui recato stamane. Lo aveva intrattenuto esclusivamente sulla nomina di von Papen, facendone l'elogio ed insistendo sulla sua qualità di «perfetto gentiluomo», sulle sue disposizioni, ecc.

Starhemberg ha aggiunto di aver trovato tali aperture assai strane ed inopportune; tanto che aveva mantenuto un estremo riserbo, lasciando cadere senz'altro la conversazione.

Starhemberg, che ha fortemente risentito gli attacchi mossigli dalla stampa tedesca per gli ultimi suoi discorsi, non mi ha nascosto tutta la sua riprovazione per il passo del signor Kanja.

612

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, BERlO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2839/066 R. Praga, 30 luglio 1934 (per. il 2 agosto).

Al ricevimento offerto ieri sera al castello in onore dei reali del Siam di passaggio a Praga ho incontrato Benes il quale mi ha parlato a lungo della questione austriaca.

Egli ritiene che la situazione interna dell'Austria sia tale da giustificare serie preoccupazioni: nessuno degli uomini di cui si faceva il nome come eventuale successore di Dollfuss gli sembrava che potesse dare sufficienti garanzie a coloro cui sta a cuore l'indipendenza dell'Austria.

Se è vero che l'attuale Governo ha saputo fare fronte alla situazione e dominarla, è però anche vero -detta di Benes -che il colpo di mano avrebbe potuto avere tutt'altro successo se Dollfuss per puro caso non avesse sciolto il consiglio dei ministri poco prima dell'arrivo dei ribelli. Questa circostanza fortuita ha evitato che l'intero Gabinetto cadesse in mano dei nazi. D'altra parte nelle file dei ribelli sarebbero stati individuati anche appartenenti alle Heimwehren e alla polizia; segno questo -sempre a detta di Benes -della incerta e malfida situazione e delle gravi sorprese che se ne possono attendere.

Altro punto che preoccupa vivamente questo ministro degli esteri è la nomina di von Papen a Vienna. Egli mi ha detto risultargli in modo sicuro che il complotto germanico represso il 30 giugno e gli avvenimenti austriaci del 25 luglio erano predisposti da lungo tempo, l'uno in funzione dell'altro. Con il primo, Papen avrebbe dovuto sostituirsi a Hitler, con il secondo, Rintelen a Dollfuss. Benes ritiene prossimi sostanziali mutamenti in Germania, che si

avvierebbe verso un regime militare. In questo caso, la presenza di Papen a Vienna diventerebbe sempre più pericolosa.

A questa parte dell'esposizione di Benes, ho ritenuto opportuno obbiettare che le impressioni generali, e lo stesso linguaggio della stampa cecoslovacca, sembrano meno pessimiste nella valutazione della situazione attuale; il fatto sopratutto che il colpo di mano abbia avuto così scarso seguito nel paese starebbe a dimostrare come si fosse esagerato nel giudicare l'efficienza delle forze nazi quali venivano descritte da certa stampa prima dei recenti avvenimenti.

Ma Benes vuole vedere il peggio e giungere alla conclusione che gli sta a cuore. Se si è creata questa situazione -egli dice -si è perché delle grandi Potenze interessate e della Piccola Intesa non si sono a tempo presi gli accordi necessari per scongiurare il pericolo. Occorre quindi provvedervi subito e di urgenza. Una Potenza da sola non può essere in grado di arginare l'Anschluss. Solamente un accordo molto chiaro fra Italia, Francia e Piccola Intesa (secondo lui l'Inghilterra accederebbe ove vedesse uniti gli altri Stati interessati) potrà indurre la Germania a rinunciare all'assorbimento dell'Austria. Gli ho domandato insistentemente in che cosa dovrebbe praticamente consistere questo accordo, ma egli si è schivato e mi ha detto che per ora non è in grado di dirlo.

Gli ho allora obbiettato che il rimprovero da lui diretto alle Potenze interessate non poteva essere diretto all'Italia la quale è stata anzi il solo paese che abbia messo in atto provvidenze concrete in favore dell'Austria mediante gli accordi di Roma.

Avendo, egli, a sua volta, obbiettato che giudicava tali accordi piuttosto <<esclusivisti», gli ho fatto notare che, al contrario, era stata cura del Governo italiano di !asciarli aperti a tutti e che pertanto sembravami potessero continuare ad essere la base di utili intese per gli aiuti da apportare alla repubblica austriaca, come del resto esso Benes aveva a suo tempo riconosciuto. Nel campo poi degli accordi generali, erano da ricordare il protocollo del 22 e la recente dichiarazione itala-franco-britannica in favore dell'indipendenza dell'Austria.

Benes mi ha allora confermato che i protocolli di Roma hanno la sua simpatia e che egli è sempre pronto a trattare. Gli altri Stati della Piccola Intesa, se anche non lo volessero seguire, lo lascerebbero indubbiamente libero di agire.

Ma tali accordi -a suo dire -non bastano da soli, e quanto agli accordi generali da me ricordati, Benes mi ha formalmente dichiarato a loro riguardo di condividere le opinioni italiane in materia di « pattomania ».

Avendogli peraltro fatto io notare che non mi sembrava facile mettere d'accordo questo suo modo di vedere circa l'efficienza dei patti internazionali con il suo proposito di concludere un nuovo patto per garantire l'indipendenza dell'Austria, egli ha nuovamente cercato di schermirsi, mantenendosi sulle generali, ed accennando tuttavia -ed è questo evidentemente il punto centrale del suo pensiero -alla necessità di una politica comune tra Italia e Cecoslovacchia. «Tra Italia e Cecoslovacchia da molto tempo cerco un avvicinamento... Vero ora con molto piacere le conversazioni che si stanno svolgendo tra Roma e Parigi... La situazione tra di noi deve maturare, ma sono certo che maturerà. Io non faccio nulla, non mi muovo. Ma mi preparo e aspetto».

Queste frasi che ho ritenuto opportuno riportare testualmente mi sono state ripetute a varie riprese e con accentuazioni di voce e di gesto. Per parte mia, mi sono naturalmente limitato a raccoglierle.

Quale sia il pensiero concreto di Benes allorché parla della necessità di un nuovo accordo concernente l'Austria, non mi è dato dire, essendosi il Benes stesso mantenuto sulle generali e avendomi dichiarato che quanto veniva esponendo non era che il frutto di prime impressioni.

È però lecito dedurre dalle sue parole alcune conseguenze. Il ministro degli esteri cecoslovacco sembra innanzitutto profondamente preoccupato della attuale situazione austriaca e dei suoi possibili sviluppi in favore della Germania. Nella stessa misura, peraltro, egli si preoccupa di non rimanere fuori dell'azione che le Potenze interessate saranno per svolgere e fa delle aperture all'Italia.

Quanto poi al suo preconizzato accordo generale, si può immaginare che egli abbia comunque in mente la visione di una politica generale di intima intesa e collaborazione fra Italia, Francia, Inghilterra e Piccola Intesa che corrisponda all'isolamento ed accerchiamento della Germania e tolga quindi a quest'ultima ogni possibilità e velleità di movimento.

613

APPUNTO DELL'UFFICIO ALBANIA (l)

SEGRETO. Roma, 30 luglio 1934.

In relazione ai promemoria allegati relativi ad un incontro Mussolini-Zog, l'Ufficio scrivente ritiene suo dovere far presente che, a suo subordinato avviso, detto incontro sarebbe oggi del tutto prematuro.

Esso infatti non potrebbe essere che il coronamento e la consacrazione solenne di un accordo generale tra i due Governi su tutte le questioni pendenti, e vincolerebbe molto più della stipulazione di un trattato, per un periodo presumibilmente non breve la nostra futura politica in Albania.

È evidente infatti che la venuta di Re Zog a Roma sarebbe da tutti interpretata come la ripresa ufficiale dei rapporti di cordiale ed intima collaborazione politica tra i due Paesi e la riconferma che il Governo italiano intende imperniare, come una volta, la sua politica in Albania sulla persona di Zog.

Ora, se dopo tale incontro, non fosse possibile raggiungere un'intesa su tutte le principali questioni che sono attualmente causa di attrito tra i due Governi, il nostro prestigio in Albania ne sarebbe gravemente pregiudicato mentre non potremmo più neanche contare sulla simpatia degli avversari del Re, ed in particolar modo sui cattolici, che dopo un incontro Mussolini-Zog, penserebbero di essere stati da noi completamente abbandonati.

Con l'occasione devesi far inoltre presente che trattative per un incontro del genere condotte da persone senza veste ufficiale, non appartenenti a questa amministrazione, e ispirate a criteri non perfettamente identici a quelli cui si uniformano le competenti autorità diplomatiche, mentre da una parte non potrebbero non esautorare queste ultime con evidente pregiudizio per le trattative d'ordine generale che esse starebbero contemporaneamente conducendo, dall'altra farebbero molto probabilmente nascere nell'animo di Zog l'impressione che gli intendimenti del Regio Governo per quanto riguarda l'Albania non siano esattamente quelli contenuti nelle dichiarazioni ufficiali.

ALLEGATO

PROMEMORIA

Gli elementi da far presentA a S. E. e che non potevano essere espressi nell'accluso memoriale sono i seguenti:

l. Per condurre le trattative preliminari all'incontro con S. M. la persona più indicata è il Sen. Giacomo De Martino perché conosce perfettamente la quistione albanese fino dal tempo del Di San Giuliano il quale morendo la raccomandò allo stesso De Martino come al più competente, e perché essendo fuori della politica ufficiale si trova in condizioni di perfetta serenità.

2. -Il desiderio di S. M. Zogu di incontrarsi col Capo del Governo fu manifestato agli organi nostri rappresentativ.i fino da 4 mesi fa. Ne è stato informato il Duce? 3. -Da parte di S. M. Zogu vi sono le migliori disposizioni avendo espresso la convinzione che in tre giorni tutta la quis1Jione potrà essere definita. 4. -S.M. Zogu invitato dall'Ambasciatore di Francia e di Turchia subito dopo la comparsa della nostra flotta a Durazzo a entrare nel Patto panbalcanico ha recisamente rifiutato. 5. -È conveniente per ovv,ie ragioni di escludere nelle trattative l'attuale Incaricato italiano a Tirana, Comm. Koch. 6. -Le trattative a cui accenna il memoriale dell'Incaricato di Affari di Albania che S.M. Zogu avrebbe ordinato di condurre col Comm. Koch non si riferiscono all'incontro di S. M. col Duce, ma a quelle di ordinaria competenza degli organi diplomatici.

ANNESSO

PROMEMORIA DI KODHELI

Roma, 20 luglio 1934.

E con piacere che Sua Maestà ha preso conoscenza del passo fatto dalle SS.VV. presso il Duce per la preparazione di un incontro, è per questa bella iniziativa, che Sua Maestà ha molto gradito, mi ha incaricato di ringraziarVi.

Tale incontro risponde pienamente pure al desiderio del mio Sovrano, il quale mi ha autorizzato di portare alla Loro conoscenza, che sarà molto lieto di arrivare allo scopo al più presto, perché un tale desiderio è stato sempre ed è nel suo programma, ed ha aggiunto che Egli verrebbe ad incontrare personalmente il Duce.

Ugualmente, Sua Maestà mi ha autorizzato di comunicarVi che prima di fare un tale passo, è dell'avviso che l'incontro proposto avvenga quando tutte le questioni pendenti siano pienamente risolte, in modo che il Governo Fascista possa avere piena convinzione della sincerità della nostra collaborazione; tanto è vero che per questo Sua Maestà ha già dato ordQni a;l Suo Ministro degli Affari Esteri di iniziare immediatamente le trattative col Ministro Koch.

Comunque, se sarà del desiderio del Governo Fascista, sono anch'io da parte mia autorizzato ad entrare in trattative dirette.

(l) Il documento è privo di firma ma reca in calce, dattiloscritto, il nome di Castellani (segretario dell'Ufficio Albania) e il nome di Russo che non è stato identlficatò.

614

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2803/250 R. Vienna, 31 luglio 1934, ore 19 (per. ore 24).

Alle richieste spiegazioni circa passaggio lettera di Hitler concernente diretta rappresentanza affidata a von Papen, è stato risposto essere uso in Germania che l'inviato diplomatico in occasione di missione straordinaria e speciale (nel caso attuale la «détente » dei rapporti austro-tedeschi), dipende direttamente dal cancelliere, e ciò tanto più per von Papen, la cui antica carica di vice cancelliere male si concilierebbe con una di lui diretta subordinazione al ministro degli affari esteri. Che comunque tutto quanto precede era un fatto interno della Germania, il Governo del Reich essendo pienamente d'accordo che il von Papen debba essere a Vienna assolutamente sullo stesso piede degli altri inviati diplomatici.

Anche mio collega Francia ritiene che questa risposta di Berlino non potrebbe essere contraddetta. Essendo intanto completato il nuovo Ministero ex-sottosegretario di Stato Tauschitz, che aveva lasciato Berlino a titolo congedo (mio telespresso 1477 del 12 corrente) (1), ha avuto istruzioni riprendere nei prossimi giorni suo posto di ministro a Berlino.

615

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

T. 2800/335 R. Parigi, 31 luglio 1934, ore 21,45 (per. ore 24).

Rispondo alla domanda telefonica di S. E. Sottosegretario di Stato.

La situazione è considerata grave al Qual d'Orsay.

Si è convinti che la Germania non intenda desistere dall'azione e che i partigiani dell'Anschluss sono numerosi e agguerriti anche in Austria.

Quai d'Orsay ha approvato atteggiamento risoluto dell'Italia ma si domanda ora che cosa farebbe il Governo italiano nel caso che la minaccia dell'Anschluss si rinnovasse in forma più grave.

Un'azione isolata dell'Italia è considerata qui pericolosissima. Se Governo italiano facesse avanzare le truppe oltre confine senza avere avuto un esplicito mandato, la Jugoslavia occuperebbe la Carinzia. Ieri sera dopo avere spedito il mio telegramma n. 333 (3) ho mandato il consigliere di legazione da Massigli.

46 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Quest'ultimo ha detto a Fransoni che bisognerebbe in ogni caso evitare l'occupazione di territorio austriaco.

Ha aggiunto che la notizia del presunto sconfinamento di una pattuglia italiana in Austria aveva messo subbuglio Belgrado e che Parigi aveva dovuto intervenire con risolutezza presso il Governo jugoslavo per imporre la calma.

Le preoccupazioni del Quai d'Orsay derivano anche dal fatto che mentre sa che il nostro Governo non è disposto a fare un passo diplomatico a Berlino, ignora quali siano i propositi dell'Italia per un'azione ulteriore nell'eventualità che la situazione si aggravasse nuovamente.

Insomma il Governo francese chi,ede di essere illuminato sulle intenzioni dell'Italia, depreca un'azione nostra isolata e considera oltremodo pericolosa una occupazione del territorio austriaco.

(Segue col n. successivo) (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Ed. in DE FELICE, p, 502. (3) -Cfr. n. 609.
616

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2800/336 R. Parigi, 31 luglio 1934, ore 23,45 (per. ore 2,30 del 1° agosto).

Seguito del n. precedente (2).

Massigli ha poi esposto a Fransoni un'idea sua personale dichiarando che

suoi superiori non ne sono informati.

Trascrivo qui appresso note rimessemi al riguardo da Fransoni:

«Per far comprendere alla Germania che le tre Grandi Potenze sono d'accordo nel volere mantenimento indipendenza austriaca, e più ancora per potere seguire con l'attenzione che la grave situazione richiede gli avvenimenti austriaci, si dovrebbe creare un organo a Roma, una specie di conferenza degli ambasciatori che con... (3) e con la massima agilità potrebbe prendere le determinazioni opportune non appena si verificasse un... ( 3). Esso organo dovrebbe essere composto del rappresentante Governo italiano e degli ambasciatori di Francia e d'Inghilterra. Specialmente in questo... (3) settimana dovrebbe riunirsi... (3). Aggiungeva Massigli che si potrebbe addivenire alla creazione di questo organo con semplice intesa fra tre Governi; che se poi qualche... (3) alla S.d.N.... (3) di quest'ultimo non fosse lasciato fuori si potrebbe limitare a comunicare al consiglio della S.d.N. costituzione dell'organo suddetto

-o anche chiederne autorizzazione. A questo riguardo nessuna difficoltà secondo Massigli potrebbe provenire da Ginevra». Idea a prima vista può non sembrare cattiva. È a mio avviso indispensabile di fronte alla tracotanza teutonica di dare impressione al mondo che dichiarazione del 17 febbraio è assolutamente oggi viva e vitale. Se Francia e Inghilterra accettassero idea della conferenza degli ambasciatori, che da Roma prenderebbe decisioni immediate, azione ita

liana sarebbe disimpegnata da quello che può avere di pericoloso nell'eventualità di un aggravamento della situazione. Se V. E. è d'accordo potrei parlarne immediatamente a Leger e a Barthou.

Prego tener presente che nel pomeriggio di domani e gioveri sarò assente per assistere a Nancy ai funerali del maresciallo Lyautey. Se possibile dovrei ricevere istruzioni di V. E. domattina 1° agosto avanti mezzogiorno. Sarebbe sufficiente un [sì] o un [no] per telefono (1). (Segue col n. successivo) (2).

(l) -Cfr. n. 616. (2) -Cfr. n. 615. (3) -Gruppo lndeclfrato.
617

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2800/337 R. Parigi, 31 luglio 1934, ore 23,45 (per. ore 3,30 del 1° agosto).

Seguito del n. precedente (3).

A lumeggiare la situazione quale la si può vedere da qui, aggiungo che stamane un segretario di questa ambasciata britannica ha detto a Fransoni che in Inghilterra la situazione austriaca è considerata molto grave.

Almeno due ministri del nuovo Governo sono nazisti.

Il segretario ha nominato solo Fey schermendosi dal fare altri nomi.

Lo stesso segretario ha espresso l'avviso che 1'.\nschluss sia inevitabile e che la situazione austriaca si aggraverà di nuovo fra una diecina di giorni. Fransoni gli ha opposto le dichiarazioni fatte ai Comuni da Simon riaffermanti le assicurazioni collettive sull'indipendenza Austria.

In conclusione credo che sia venuto il momento di parlare alla Francia dicendo quello che vogliamo al fine di mettere in chiaro fino a quale punto il Governo francese è disposto a seguirei.

Riassumo infine come mi è stato chiesto da S. E. Sottosegretario di Stato atteggiamento stampa francese. Essa in generale loda decisioni pronte energiche di Mussolini che hanno servito a arrestare almeno momentaneamente pericolo.

Rileva intenzione espressa Capo del Governo agire soltanto di concerto con Inghilterra e Francia.

Compiacesi che l'Italia abbia finalmente aperto gli occhi circa pericolo germanico e riproduce largamente biasimi giornali italiani verso terzo Reich rilevando rischi e pericoli reazione stampa germanica.

Ha forse troppo insistito su misure militari italiane ma pubblicando anche nostri comunicati limitativi e rettificativi. Stampa sinistra specialmente estremista mette in rilievo pericolo lasciare una specie mandato all'Italia per la questione austriaca e sopratutto gravi

conseguenze che deriverebbero da azione militare italiana che penetrando in Austria scatenerebbe reazione militare Jugoslavia. Considera unico rimedio intervento S.d.N. e ristabilimento in Austria delle libertà democratiche soffocate da Dollfuss.

(l) -Cfr n. 630, nota 3. (2) -Cfr: n. 617. (3) -Cfr. n. 616.
618

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T..1024 R. Roma, 31 luglio 1934, ore 24.

Osservatore Romano ieri sera dà noti:àa comunicato codesta legazione Jugoslavia in cui si mette in rilievo correttezza atteggiamento jugoslavo di fronte situazione austriaca aggiungendo che solo Società Nazioni è competente risolvere eventuali complicazioni.

Comunicato sarebbe stato diramato da Deutsche Nachrichten Bureau.

Prego telegrafare se notizia esatta O).

619

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2806/252 R. Vienna, 31 luglio 1934, ore 24 (per. ore 7 del 1° agosto).

Questo Governo invierà a V. E. un documento che è stato trovato nella

notte fra il 25 e il 26 corrente su di un corriere proveniente dalla Germania.

Documento è di natura assai grave per corresponsabilità nazisti tedeschi.

Esso contiene anche i dati del cifrario segreto che contempla sia eventualità morte Dollfuss che formazione ministero Rintelen. Ballplatz lo comunicherà probabilmente anche a Londra e Parigi. Avendo chiesto ragione per la quale documento non è stato pubblicato,

mi è stato risposto che pubblicazione pregiudicherebbe processo in corso contro

rivo l tosi.

Tuttavia, malgrado questa giustificazione, ho l'impressione che Ballplatz,

allegando attuale tensione internazionale e pericolo complicazioni, preferirebbe

che pubblicazione del predetto documento e di tutto ciò che potrà essere

provato in base ad esso, venisse ritardata ed eseguita a poco alla volta (2).

(l) -Con t. 2819/234 R. del lo agosto Cerruti confermò l'esattezza della notizia che era stata comunicata alla Stefani fin dal pomeriggio del giorno 30. (2) -Non si pubblica 11 telespr. 3031/1610 di Preziosi del lo agosto di contenuto analogo a quello del presente telegramma.
620

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

APPUNTO. Roma, 31 luglio 1934.

Mi ha chiesto schiarimenti sulla situazione austriaca, mostrando di aver ricevuto ordini di tenersi a contatto con noi.

La nota di principale interesse è stata data al colloquio dalla viva preoccupazione del signor Dampierre di conoscere se le nostre truppe avrebbero varcato il confine.

Ho eluse le sue insistenze, facendo rilevare che il miglioramento della situazione (l) rende inutile la presa in considerazione di questioni del genere.

621

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2837/060 R. Belgrado, 31 luglio 1934 (per. il 2 agosto).

Da ampi resoconti Stefani V. E. avrà rilevato piccole notizie che continuano confermare solidarietà germanica con nazisti rifugiatisi in Jugoslavia e che a questo momento ammontano a circa 2.000.

Se autorità jugoslave hanno preso provvedimenti per loro internamento in varie località jugoslave Csegnatamente località Varazdin) ed impedire rifornimenti da Austria, i rifugiati hanno trovato aiuto di viveri e denari presso consolati germanici di Lubiana e Zagabria con i quali si sono messi subito in contatto.

Inoltre debbo segnalare un fatto che è forse una pura coincidenza ma che nelle circostanze presenti non deve essere trascurato, e cioè che al primi del corrente mese il segretario di questa legazione di Germania Sthamer si è trasferito nei pressi di Maribor con pretesto di salute, mentre la di lui moglie è invece andata a Sussak.

Quanto all'atteggiamento della stampa jugoslava sembrami constatare una tendenza a mutarlo nei nostri riguardi. Mentre nei primissimi giorni la stampa di Belgrado si è limitata a un ampio notiziario ed alla ripetizione dei principali commenti della stampa anche italiana, quella di Zagabria aveva assunto un atteggiamento non simpatico verso la Germania. Adesso anche quella stampa nulla più pubblica di antigermanico; anzi ha iniziato nelle Novosti di stamane

una campagna diretta a rigettare la colpa degli avvenimenti austriaci sulla politica italiana, mentre la Pravda di Belgrado si è espressa fiduciosamente sull'opera affidata a von Papen. Inoltre le notizie specie a Zagabria tendono a mettere in cattiva luce anche con vistosi titoli l'azione militare italiana.

Ho poi la sensazione che il Governo si insospettisca per il continuare delle misure militari italiane alla frontiera austriaca, mentre forse non cela un suo disappunto per un qualsiasi mancato accordo con noi, quando si era sempre qui nutrita la convinzione che la minaccia germanica sarebbe stata la determinante per un chiarimento itala-jugoslavo.

In ogni caso la nota fondamentale della stampa jugoslava è, per ora, e salvo i primissimi articoli dei giornali di Zagabria: evitare di assumere un atteggiamento antigermanico. Taluni giornali hanno anche con accorta disposizione di notizie cercato attenuare la responsabilità di Berlino.

Ho poi rilevato che una marcata diffidenza jugoslava traspare sopra tutto in telegrammi e comunicazioni ufficiose partite da Belgrado, ma comparse unicamente nella stampa estera ed anche italiana (ad. es. Piccolo di Trieste del 28 luglio, come anche Temps, Petit Parisien ed altri giornali francesi).

(l) Preziosi comunicò con telespr. 3017/1605 dello stesso 31 luglio: <<Il Consiglio dei Mtnistrl riunitosi ieri sotto la presidenza del Cancelliere Schuschnigg, ha anzitutto preso a conoscenza una relazione del Segretari di Stato per la Difesa Nazionale e per la Sicurezza ed ha constatato con soddisfazione che in tutta l'Austria la tranquillità è stata completamente ristab111tà e che anche gli ultimi tentativi di raggruppamento di rivoltosi, che avevano soltanto importanza locale, sono stati spezzati».

622

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2814/523 R. Londra, 1° agosto 1934, ore 0,15 (per. ore 7 ). Simon mi ha pregato oggi di andarlo a vedere e mi ha parlato della situazione austriaca e dell'atteggiamento del Governo britannico di fronte ad essa. Governo britannico -egli mi ha detto in sostanza -è interamente solidale col Governo italiano nell'atteggiamento che questo ha tenuto di fronte alla situazione che è stata creata in Europa dall'assassinio del cancelliere austriaco. Esso ha perfettamente compreso e apprezzato l'intenzione e l'azione del Duce; ed il Duce può esser'e sicuro che Governo britannico rimane fermamente fedele alla sua dichiarazione del febbraio ed alla politica comune con l'Italia e la Francia di difesa dell'indipendenza dell'Austria. Esso è lieto di constatare come la solidarietà delle tre Potenze su problema dell'indipendenza austriaca sia stata in questa occasione perfetta e come le tre Potenze, mantenendosi in

contatto, potranno agire di comune accordo anche nell'avvenire. Simon mi ha aggiunto che egli avrebbe scritto oggi stesso una lettera a

V. E. (l) per esprimere a V. E. i suoi sentimenti di solidarietà con la sua politica e con la sua azione.

Nel corso della conversazione Simon ha anche voluto spiegarmi le ragioni per le quali egli aveva dovuto tenere alla Camera dei Comuni un linguaggio piuttosto vago.

Il Governo, egli mi ha detto, voleva evitare una discussione sulla questione austriaca, discussione, che avrebbe potuto mettere in rilievo delle differenze di vedute in seno alla Camera. Vi sono infatti alla Camera elementi estremisti che hanno mostrato sempre poca simpatia per il Governo austriaco, e vi sono elementi estremisti pronti sempre ad accusare il Governo di seguire una politica che può coinvolgere Inghilterra in una guerra europea. Simon ha cercato di non dare occasione nè agli uni nè agli altri di intervenire limitandosi ad una dichiarazione generica sulla quale egli era sicuro di ottenere il consenso unanime della Camera.

Durante il corso del colloquio Simon ha avuto sopra tutto cura di mettere in evidenza che solidarietà Governo inglese con l'azione di V. E. è stata ed è completa e che solo ragioni di opportunità parlamentare lo hanno consigliato esprimersi in pubblico con la cautela colla qua1e lo ha fatto.

(l) Cfr. n. 632.

623

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2824/113 R. Belgrado, 1" agosto 1934, ore 18,30 (per. ore 1,30 del 2).

Mi si assicura e riferisco con riserva di possibili ulteriori accertamenti che Piccola Intesa avrebbe concordato tale linea di condotta nella questione austriaca: a) opposizione a qualsiasi azione militare isolata; b) partecipazione eventuale ad una azione militare internazionale; c) opposizione recisa a qualsiasi restaurazione Absburgo.

624

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2825/338 R. Parigi, 1° agosto 1934, ore 20,20 (per. ore 24).

Ho veduto il segretario generale del Quai d'Orsay. Egli considera la situazione austriaca... (1). Non crede a un colpo di mano della Germania ma teme le conseguenze della nuova tattica adottata dal Reich intesa a guadagnare con procedimenti subdoli la popolazione e il Governo austriaco.

Leger considera indispensabile di dare con qualche atto palese al Gabinetto viennese la sensazione che è sostenuto non solo dall'Italia ma anche dalla Francia e dall'Inghilterra.

La Francia si mantiene nella dichiarazione del 17 febbraio e continuerà a dare il suo appoggio al mantenimento effettivo dell'indipendenza Austria. Leger mi ha fatto osservare [che] Barthou aveva confermato tali direttive del Governo francese in un comunicato diramato alla stampa dopo la visita fattagli ieri dall'incaricato d'affari di Austria.

Il segretario generale mi ha confermato ciò che mi aveva detto il 27 corrente (l) e cioè che il Quai d'Orsay approva quello che l'Italia ha fatto fin qui a tutela dell'indipendenza austriaca.

Egli ha soggiunto che un'eventuale, ulteriore azione dell'Italia riuscirebbe più efficace specialmente nei riguardi dell'opinione pubblica mondiale se si sapesse che ha una base internazionale.

Mi ha precisato che jugoslavi e cecoslovacchi chiedono questo a Quai d'Orsay. Leger mi ha assicurato che ambedue i Governi anzidetti non solleverebbero più obbiezioni se vi fosse accordo previo dell'Italia con Francia e Inghilterra. Gli stessi Governi non hanno fatto mistero a Parigi che in caso di occupa

zione di territorio austriaco da parte dell'Italia senza preventiva intesa francoinglese, essi prenderebbero misure analoghe, ossia le truppe jugoslave e cecoslovacche entrerebbero in Austria.

Dall'insieme della conversazione ho tratto l'impressione che il Quai d'Orsay non abbia la minima intenzione di tirare in giuoco la Società delle Nazioni. Se sono bene informato lo stesso Quai d'Orsay avrebbe risposto in tale senso a un passo fatto qui alcuni giorni or sono dai ministri della Piccola Intesa.

Il comunicato richiamato sopra, diramato sulla visita dell'incaricato d'affari

di Austria, conferma d'altra parte il proposito di Barthou di circoscrivere l'azione

per la questione austriaca alle tre grandi Potenze.

Se V. E. non crederà di scartare l'idea di una conferenza degli ambasciatori

a Roma (2) penso che l'iniziativa dovrebbe venire dall'E. V.

L'Italia se ne riserverebbe la presidenza e ne disciplinerebbe il funzio

namento.

(l) Gruppo indeclfrato.

625

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2828/253 R. Vienna, 1° agosto 1934, ore 24 (per. ore 5,30 del Z).

Ho fatto testè visita ufficiale nuovo cancelliere.

Mi ha subito detto, dando uno speciale tono alle sue parole, che egli ed il

suo Governo sono rimasti commossi per le dimostrazioni di simpatia ricevute

dall'Italia; e che egli e il suo Governo non faranno che seguire esattamente

la stessa linea politica del compianto Dollfuss.

Cancelliere ha aggiunto che non poteva poi dire quanto profondo fosse desiderio rinnovare suoi sentimenti di stima e di ammirazione per il Duce, presso il quale mi pregava rendermene interprete.

Ho replicato evocando defunto cancelliere e ricordando la sua politica sboccata negli accordi di Roma, dei quali ho sottolineato importanza. Ho accennato poi a quanto egli ebbe a dirmi avantieri circa il suo proposito passare un breve congedo in Italia.

Avendo cancelliere confermato sua intenzione di passarvi qualche giorno ed anzi accennato a visite, gli ho detto che io avevo informato V. E. di quanto egli mi aveva confidato, ricevendo la risposta che gli ho esposta (1).

Cancelliere mi ha ringraziato vivamene del gradimento di V. E. circa soggiorno in Italia e -mi ha detto che egli si sarebbe recato a Roma nel giorno 19 corrente non sentendosi di lasciare prima il paese.

Sua famiglia andrà a Venezia o a Rimini, dove egli la raggiungerà per passarvi 4 o 5 giorni.

Ha aggiunto che intanto per ragioni di sicurezza interna avrebbe fatto smentire ufficialmente annunzio dato dal Berliner Tageblatt di stamane circa &mminenza sua visita a Roma.

Non ha potuto darmi a tale riguardo particolari.

Aggiungo che anche un giornale ufficioso austriaco della sera reca notizia di un probabile viaggio che cancelliere e vice-cancelliere compirebbero fra breve a Roma.

Per quanto cancelliere non me lo abbia richiesto, prospetto V. E. opportunità, stante situazione interna austriaca, tenere per ora notizia viaggio segreta. (Il presente telegramma continua col n. successivo) (2).

(l) -Cfr. n. 585. (2) -Cfr. n. 616.
626

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2829/254 R. Vienna, 1° agosto 1934, ore 24 (per. ore 5,30 del 2).

n presente telegramma fa seguito al n. precedente (3).

Cancelliere federale mi ha detto poi:

1°) Situazione interna. Essa è tranquilla, ma sono tutt'altro da escludersi nuovi attentati da parte dei nazisti, benchè avvenimenti del 25 corrente avrebbero dovuto ad essi provare relatività loro forze e saldezza esecutivo austriaco.

Ha aggiunto: «Ad ogni modo nazisti troveranno la medesima resistenza ed il pieno fallimento d'ogni eventuale tentativo».

Ha quindi riassunto avvenimenti del 25, mostrandomi testo originale sua dichiarazione con la quale egli prometteva liberazione degli attentatori «qualora tutti i ministri venissero trovati in vita'>.

Rife;risco oon rapporto (l).

2°) Situazione finanziaria. Cancelliere se ne è mostrato molto preoccupato (2). Non mi ha citato cifre, ma ha insistito sulle gravi difficoltà che essa presenta (telespresso 1550 del 20 luglio) (3).

3°) Von Papen. Cancelliere ha detto che gradimento sarà concesso, ma, oltre a non specificarne data, ha insistito sul punto che, cardinale di Vienna e Vaticano sono estremamente contrariati di tale notizia.

4°) Situazione Germania. Ha osservato che malgrado notizie contraddittorie, essa deve essere critica. È impressionante che talune personalità (direttore della Reichsbanck, signor Tissen ecc. ecc.) abbiano lasciato partito nazista.

Ha poi criticato vivissimamente politica hitleriana, specie quella estera. Ha infine rilevato che organizzazione antiaustriaca di Monaco di Baviera è tuttora in funzione.

(l) -Preziosi aveva informato telefonicamente dell'intenzione di Schuschn!gg di recarsi !n !talla. Con t. 8014/156 P.R. del 31 lugl!o, non pubbl!cato gl! era stato comunicato il gradimento di Mussol!ni. (2) -Cfr. n. 626. (3) -Cfr. n. 625.
627

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2852/0183 R. Berlino, tn agosto 1934 (per. il 3).

Ho avuto occasione negli ultimi giorni di intrattenermi con vari miei colleghi esteri circa la situazione generale in Germania. Gli avvenimenti del 30 giugno continuano ad aleggiare sopra ogni. conversazione e ciascuno ha ogni giorno occasione di constatare quale profonda ripercussione essi abbiano e soprattutto avranno in avvenire sugli svolgimenti politici tedeschi.

L'ottimismo delle masse, almeno quello che il Governo vuoi fare credere che esista, non è certo condiviso dai rappresentanti diplomatici esteri. I più benevoli ritengono che il popolo tedesco, dotato di poco senso politico ed abituato a vederne di tutti i colori, si adatterà anche al Governo nazionasocialista, nonostante non possa più avere in esso una fiducia illimitata. Quelli decisamente ostili non vogliono nemmeno ammettere l'ipotesi che il nazionalsocialismo riesca a rifarsi una base: essi ritengono che la situazione economica molto grave gli darà il colpo finale, che dobbiamo attenderci ad altri avvenimenti tragici i quali travolgeranno l'hitlerismo. Quelli intermedi scorgono le molte difficoltà di ogni natura, politica, militare ed economica, che il nazional

socialismo dovrà affrontare nel prossimo futuro, sl domandano se avrà la sag

gezza (che sarebbe cosa nuova) e la forza di risolverle o se non ricorrerà invece

ancora una volta ad uno di quei provvedimenti improvvisi e nefasti che tanto

danno hanno arrecato allo hitlerismo.

Posto il problema della possibilità che il Governo nazionalsocialista non

possa reggere, ne consegue logicamente un altro: quello della sua successione.

Il pericolo del bolscevismo spaventa ognuno ed è quindi unanime l'opinione

che la sola soluzione corrispondente all'interesse della Germania ed a quella

del mondo intero, sia il ritorno di questo paese alla forma monarchica.

Lo stesso ambasciatore di Francia se ne mostra fautore convinto e mi ha detto

di essere persuaso che nessuno in Francia oserebbe opporsi ad una restaurazione

monarchica, beninteso alla condizione che non tornasse sul trono nè l'impe

ratore Guglielmo, nè il Kronprinz. François-Poncet non scorgerebbe difficoltà

all'ascesa al trono di un altro Hohenzollern, mentre ho trovato parecchia ostilità

al riguardo da parte di altri rappresentanti esteri, dell'olandese, del danese,

dello svedese ad esempio. Questi ritengono che sarebbe preferibile romperla

con una dinastia che è stata sempre l'espressione del «prussianesimo », cioè

di quelle tendenze egemoniche tedesche e di quello spirito militare a cui il

mondo è debitore dello stato di cose attuale.

Poiché devono essere scartati, data la loro fede cattolica, i principi di Baviera e di Sassonia, coloro sui quali si concentra l'attenzione generale sono l'ex granduca regnante di Mecklembuqi;-Schwerin, Federico-Francesco, fratello della Kronprinzessin, nato il 9 aprile 1882 e quindi ancora giovane, e l'ex Duca · di Brunswick-Lunesburg, Ernesto Augusto, marito dell'unica figlia dell'imperatore Guglielmo II, nato il 17 novembre 1887. Entrambi hanno discendenza diretta maschile, sono Principi dotati di qualità non comuni in Germania, quali il tatto e la riservatezza cosicché sembrerebbero adatti per regnare sopra l'intero Reich con la stessa capacità di cui diedero prova nei loro piccoli Stati

rispettivi.

(l) -Cfr. n. 633. (2) -Analoghe le dichiarazioni di Starhemberg (t. 2857/257 R., pari data, non pubbllcato). (3) -Non pubbllcato.
628

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2853/0184 R. Berlino, 1° agosto 1934 (per. il 3).

Persona che ebbe occasione di avvicinare in questi giorni il signor von Papen mi riferì confidenzialmente averle questo ultimo detto di essere stato informato del suo allontanamento dal Gabinetto del Reich e della sua nomina come ministro in missione straordinaria a Vienna solamente dopo che i provvedimenti erano stati decisi. Egli si era subito recato a Bayreuth, dove risiedeva il cancelliere Hitler, ed aveva tenuto con lui un linguaggio molto fermo. Questo aveva riguardato non soltanto il trattamento a cui egli ed i suoi segretari di

Gabinetto erano stati sottoposti dopo gli avvenimenti del 30 giugno, ma anche la mancanza di considerazione in cui erano stati tenuti molti dei suoi consigli. Aveva particolarmente insistito sopra quelli dati nei riguardi dell'Austria, onde evitare che le relazioni con l'Italia si intorbidassero, senza che se ne fosse tenuto il minimo conto e con il risultato che la Germania, in seguito all'assassinio di Dollfuss, si trovò di fronte ad un nucleo compatto di avversari. Non tralasciò nemmeno di parlare dell'atteggiamento errato assunto da Hitler contro le chiese cattolica e protestante.

Dopo di che dichiarò di accettare il posto di Vienna ponendo però due condizioni: quella di poter condurre seco i propri attuali collaboratori diretti (un modo sicuro di sottrarli ad eventuali ulteriori persecuzioni dopo la sua partenza da Berlino) e quella di rimanere in contatto diretto col cancelliere, di poter cioè venire a fargli rapporti verbali quante volte lo ritenesse necessario.

Il cancelliere accettò queste due condizioni e, per dargli piena soddisfazione, redasse la nota lettera ( 1).

Von Papen avrebbe chiesto a Hitler se non credesse informare previamente del provvedimento preso il ministro degli affari esteri, ma il cancelliere avrebbe risposto che la cosa non era necessaria.

Cosicché l'Auswartiges Amt ed il barone von Neurath che si trova in congedo estivo avrebbero appreso la notizia della destinazione di von Papen a Vienna dalla stampa.

Il mio informatore chiese a von Papen come mai non fosse stato previamente chiesto il gradimento al Governo austriaco, al che questi rispose che a dire il vero non vi si era pensato e che del resto si trattava di una pura formalità. La cosa più importante per Hitler era di poter rendere pubblica la decisione presa, dato che egli se ne riprometteva una ripercussione favorevole in Austria e da parte dell'opinione pubblica mondiale.

Si ha ragione di ritenere che la nomina di von Papen a Vienna sia stata suggerita ad Hitler da Goebbels, che gli sta continuamente a fianco anche durante il congedo estivo, non sembrando vero a quest'ultimo di liberarsi, in seno al consiglio dei ministri, di un uomo verso il quale il cancelliere aveva avuto, sino al 30 giugno, certi riguardi e che più di una volta, non senza coraggio, aveva difeso tesi che non riuscivano gradite all'estremista Goebbels, soprattutto nei riguardi dell'Austria, delle chiese e dell'eccessiva tendenza a sinistra del Governo nazionalsocialista.

Von Papen non menzionò al mio informatore che egli si sia fatto dare

mano libera dal cancelliere nei riguardi della revoca del provvedimento con

cernente la tassa di mille marchi sui passaporti dei cittadini tedeschi che si

recano in Austria e dello scioglimento delle legioni austriache. Da quanto mi

disse questo incaricato d'affari d'Austria la revoca della tassa di mille marchi

riuscirebbe poco gradita in questo momento a Vienna, preferendosi che se ne

parli solo fra qualche tempo, allorché la ripercussione dei fatti del 25 luglio

si sarà calmata. Quanto allo scioglimento delle legioni austriache esso è tutt'al

tro che agevole e deve preoccupare il Governo del Reich ancora più che quello

austriaco, dato che occorre trovare un collocamento a queste varie migliaia

di persone che l'Austria potrebbe respingere e che i tedeschi vedrebbero, certo non con favore, accrescere il numero già ingente dei disoccupati in Germania. La notizia diffusa a Berlino che von Papen partirà per Vienna oggi stesso

o domani, non appena gli sia stato dato il gradimento, potrebbe essere soggetta a modificazione in seguito all'aggravamento del maresciallo von Hindenburg, la cui fine è considerata questione di ore. Il signor von Papen, molto devoto al presidente del Reich, potrebbe infatti desiderare di tributargli le ultime onoranze.

Permangono in tutti quelli che conoscono bene von Papen il convincimento ed il timore che egli, col suo modo di fare poco serio, si rechi a Vienna senza rendersi esatto conto della difficoltà della sua missione. Devo pure aggiungere che in questi ambienti diplomatici non è minore il timore che egli trovi in Austria una situazione politica assai diversa da quella che esisteva ai tempi di Dollfuss. Se allora, e nonostante la tenace volontà del cancelliere federale, vi furono vari tentativi di accordarsi con Berlino, questi si moltiplicheranno probabilmente ora, giacché le ambizioni degli uomini politici austriaci potrebbero essere così grandi da indurii a negoziare con i nazionalsocialisti pur di arrivare ad agguantare il potere.

Von Papen, che conosce molto bene l'arte di creare intrighi politici, potrebbe essere a Vienna un elemento molto utne per i nazionalsocialisti, anche perché potrebbe nascondere bene la sua azione col ricordare opportunamente di essere stato egli stesso vittima dell'estremismo hitleriano.

Nessuna diffidenza sarà quindi da considerarsi esagerata.

(l) Cfr. n. 581, nota l, p. 626.

629

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

APPUNTO. Roma, 1° agosto 1934.

Il signor Dampierre è venuto a riferirmi che aveva sentito in questi giorni

affermare da qualche parte che il contegno del governo e della stampa fran

cese erano stati eccessivamente riservati nell'affare dell'Austria.

Avendo egli comunicato a Parigi tali impressioni ne ha avuto oggi una

risposta a firma Barthou nella quale si afferma l'assoluta solidarietà del go

verno francese col governo italiano nella questione dell'Austria e l'approva

zione incondizionata da parte della Francia di tutte le misure prese dal governo

italiano.

n motivo per cui la Francia ha mantenùto un contegno piuttosto riservato

è dipeso da due considerazioni: l) non mettere in imbarazzo l'Austria di fronte

alla Germania, lasciando che la reazione sorgesse spontanea nell'Austria stessa;

2) non intralciare l'opera italiana.

Questo per quanto riguarda il passato.

Per quanto riguarda l'avvenire, la Francia sarebbe molto interessata a

sapere quali sono i propositi del Governo italiano.

Da parte francese si fanno due ipotesi: la prima è quella che l'Austria potrebbe far dipendere il gradimento dì von Papen dall'accettazione dì determinate condizioni da parte tedesca; la più importante dì tali condizioni dovrebbe essere lo scioglimento della legione austriaca. Osservo all'Incaricato d'Affari di Francia che la cosa non mi pare tanto semplice, perché nel caso in parola si tratta soltanto del gradimento della persona di von Papen, che può essere concesso o respinto per ragioni che riguardano la persona stessa, ma non per ragioni di carattere politico più generale. Tali seconde condizioni si potrebbero ammettere se fossero interrotti i rapporti diplomatici e si trattasse di riprenderli, ma questo non è il caso.

Il signor Dampierre dice che la seconda eventualità prospettata sarebbe una idea dello stesso Ministro degli Esteri francese. Egli pensa che si potrebbe fare una convenzione che traducesse con un impegno concreto e preciso verso l'Austria l'obbligo del diritto delle genti riguardante la non ingerenza negli affari interni di un paese straniero e l'interdizione sul proprio territorio di ogni azione sovversiva contro un governo straniero. Il Ministro degli Esteri francese pensa che a tale accordo potrebbe aderire anche la Germania impegnandosi così a non tollerare azioni sovversive contro Ì'Austria.

Osservo all'Incaricato d'Affari che la cosa è interessante; bisognerà esaminarla, dopo dì che ne potremo riparlare.

630

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1° agosto 1934.

Siamo dì fronte a due proposte francesi, una delle quali risulta dai telegrammi allegati (l) e l'altra dal colloquio con Dampìerre (2).

Mi pare che la cosa possa avere un certo interesse, almeno come punto di partenza. Ad ogni modo ritengo che la cosa non abbia una particolare urgenza per cui se ne potrà parlare quando V. E. sarà di ritorno (3). Nel frattempo si sta preparando anche l'altro schema secondo le idee espostemi da V. E.

631

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, A VINCENZO ROCCO

PROMEMORIA. [Roma, 1° agosto 1934] (4).

Le trattative possono essere iniziate a qualunque momento. Sarebbe gradito che esse si svolgessero in Italia fra un incaricato del Re e il Barone Aloisi a Roma o in altra località.

È desiderio del Governo Italiano che le trattative abbiano per oggetto tutte le questioni in corso. Esse dovrebbero anzitutto porre le premesse di una leale e chiara intesa politica ed economica dei due paesi sulle linee indicate già da parte albanese colla comunicazione alla quale si risponde.

Si conferma che mai da parte italiana si è voluto fare alcuna cosa che potesse nuocere al Re Zogu e lederne il prestigio. Se l'Italia avesse fatto ciò si sarebbe posta in contraddizione con tutta l'opera svolta per anni nell'intento di cooperare al consolidamento dell'Albania e del suo Re. Personalmente verso Sua Maestà si confermano sentimenti di alta considerazione e rispetto.

In questo ordine di idee si desidera da parte italiana lasciare che la questione delle scuole confessionali, che non in se stessa, ma per il momento e il modo in cui essa fu aperta rientra fra le questioni da definire nel complesso delle prossime trattative, sia risolta nel modo che apparirà migliore nell'intento di evitare che permanga in Italia la sensazione che i provvedimenti in merito attualmente in vigore abbiano avuto per mira di infliggere una ferita all'Italia. Si desidera ciò sopratutto perché alla fine delle trattative l'intera situazione fra i due paesi appaia definitivamente chiara secondo i_ voti delle due parti e perché, sgombrato il terreno da ogni malinteso, tutto il complesso delle questioni pendenti possa essere definito con soddisfazione dell'Albania e del Re personalmente.

Pertanto la comunicazione da farsi attualmente a Zogu deve essere impostata sulla linea precedente in maniera che appaia ben chiaro che allorché il Re Zogu s'incontrerà col Capo del Governo, tutte le questioni, compresa quella delle Scuole, debbano avere avuto una soluzione definitiva.

(l) -Cfr. nn. 615, 616 e 617. (2) -Cfr. n. 629. (3) -Da un altro appunto di Suvich per Mussollnl dello stesso 1° agosto risulta che egli telefonò in tal senso a Pignatt!. (4) -La data si desume dal Journal di Aloisi, p. 208 e dal documento qui edito al n. 674.
632

L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MURRAY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. Confidenziale 149/181/34. Roma, 1° agosto 1934.

I bave received this morning a telegram (l) from sir John Simon instructing me to deliver to Y. E. the following purely personal and private message from himself:

«The House of Commons adjourned today for a short recess, but before leaving London tomorrow I should like to send Y. E. a personal message recording the sympathy with which your own policy and declarations in connexion with recent events in Austria bave been received here. You have, I know, been kept fully informed of the reactions of British opinion through the Italian Embassy and it is a great satisfaction to feel that the correspondence between the Italian and British views is so close. I feel sure that the prudence which these Governments have shown has been the right course and has tended to allay at the earliest possible moment the natura! alarm caused by the insur

rections in Vienna and by the bruta! murder of the Austrian Chancellor. I trust that the Italian and French Governments and His Majesty's Government will continue to cooperate on the basis of the joint declaration of February 17th last and will take counsel together in regard to the Austrian problem so as to avoid any danger of misunderstanding or divergence of policy.

In my statements in the House of Commons on July 26th and July 3Qt11 , I have reiterated on behalf of this country the point of view taken by the three Governments in the February declaration, and have repeated that His Majesty's Government, while refusing themselves to interfere in the internai affairs of Austria, recognize the right of Austria to demand that there shall be no interference from any other quarter ».

(l) In DB, vol. pp. 882-883 e edito il t. del 31 luglio di Slmon e Murray.

633

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 3003/1601. Vienna, 1° agosto 1934 (per. il 4).

Mi risulta che il Ministro degli Esteri ungherese ha ripetuto anche ad altri il discorso tenuto a Starhemberg (mio telegramma per corriere n. 0135 (l) circa le possibilità che offrirebbe la missione straordinaria affidata a von Papen, del quale ha tessuto l'elogio.

D'altra parte questi elementi ungheresi commentano la recente rivolta nel senso che qui appresso riassumo.

«Gli avvenimenti del 25 luglio sono lungi da rappresentare la fine del nazismo, e tanto meno dal provare la pretesa relatività delle sue forze. Esso rimane una forza intatta, attiva e preoccupante. Sono da attendersi nuovi tentativi, la cui gravità potrebbe essere aumentata dalla partecipazione delle masse socialiste. D'altra parte è venuto a scomparire la sola figura, che poteva essere l'animatore e l'armonizzatore delle forze patriottiche. La situazione è dunque così pericolosa, che bisogna urgentemente trovare una soluzione ad uno stato di cose, che non potrebbe restare ulteriormente affidato alla sola forza delle baionette dell'esecutivo».

Il pensiero del Governo austriaco, come mi hanno dichiarato Schuschnigg e Starhemberg, è invece che gli avvenimenti del 25 hanno provato la relatività delle forze naziste e la perfetta solidarietà e lealtà dell'esecutivo; e che quindi ogni nuovo probabile attentato nazionalsocialista è destinato a fallire, così come è fallito quello del 25.

I due suesposti giudizi sono alquanto unilaterali.

Il primo non tien conto che i terroristi nazisti sono probabilmente tutti venuti alla ribalta nella giornata del 25, e che essi, se non altro, si trovano diminuiti dei più ardimentosi, cioè di quei due o tre mila che hanno resistito

fino all'ultimo, rifugiandosi poscia in Jugoslavia. Né tien conto del fatto che le masse naziste, quale che sia l'ammontare di esse, come hanno preferito attendere cautelosamente nelle loro case il risultato delle mischie di questi giorni, così probabilmente si comporterebbero in altre similari occasioni. Inoltre la scomparsa dall'attività pubblica di quegli uomini politici dei cui nomi il nazismo maggiormente si serviva per adescare gli incerti, non può non rappresentare un notevole alleg"ger.imento nella pressione nazista, che dovrà scontare anche l'impressione morale lasciata dalla selvaggia soppressione del Cancelliere.

Il giudizio del Governo non tiene invece alcun conto di quella massa di scontenti dell'attuale regime che, come ho segnalato a V. E., si è venuta notevolmente accrescendo negli ultimi tempi sia per stanchezza di lotta, sia per motivi economici, sia per reazione contro i pretesi ambigui atteggiamenti del Governo verso il clericalismo, il semitismo ed il legittimismo, e sia perché convinta della mancanza di una «via d'uscita» nella prodottasi situazione politica.

Ora è un fatto che il nuovo Governo dovrà tenere il massimo conto di questa massa di scontenti, sia in vista del pericolo di una possibile aumentata disoccupazione (Schuschnigg mi ha detto che i terroristi del 25 luglio erano

o dei visionari intellettuali o dei disoccupati), e sia in vista d'una più che probabile difficile situazione economica. Del pari, dovrà tener presente la questione dell'atteggiamento dei socialisti, specie se in Germania sia per avvenire un cambiamento od una modificazione nell'attuale regime, giacché permane sempre il principio che la socialdemocrazia austriaca è anti-anschlussista solo pel fatto del nazionalsocialismo di Hitler.

Ed inoltre è pure un fatto che il nuovo Governo dovrà preoccuparsi, più che di quanto non abbia fatto pel passato, del buon funzionamento della polizia (le cui deficienze e smarrimenti sono stati già da me segnalati a V. E.), in guisa che essa provveda efficacemente, benché possa prevedersi un probabile cambiamento di metodo nello sforzo di penetrazione nazista nel paese, sia al controllo. di detto movimento che alla prevenzione dei crimini. Esso Governo dovrà poi sovrattutto far sì che ogni frizione scompaia al più presto tra i diversi corpi, che compongono l'esecutivo: circa tale importantissima questione Starhemberg mi ha già accennato ad un suo largo programma di azione.

Rimane poi il punto oscuro rappresentato dalla scomparsa del compianto Cancelliere. Il suo potere di attrarre le simpatie internazionali; di comprendere la speciale linea politica d'ogni paese; onde attirarlo nel modo più opportuno alla difesa dell'indipendenza dell'Austria; di conciliare e di transigere, sempre rispettando i punti basilari del suo programma; di tenere unite, a malgrado tante difficoltà, le diverse forze componenti il Fronte Patriottico; la sua lealtà; tutte doti, che è assai difficile trovare in altri.

È vero che il suo martirio, oltre a dare un'anima alla indipendenza del suo Paese, ha conferito pure un contenuto al concetto di nazionalità austriaca -finora soltanto ricercata nella tradizione asrturgica -; ma questo conseguimento, per divenire operante, necessita previamente la formazione di una mistica.

Le suesposte circostanze additano adunque le principali debolezze della situazione e la conseguente opportunità ·-specie dopo la morte del grande

'17 --Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

patriota, che pur ebbe egli stesso qualche improvviso vacillamento ~ d'insistere sulle garanzie internazionali, che debbono suffragare l'indipendenza di questo paese.

(l) Cfr. n. 611.

634

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2849/241 R. Berlino, 2 agosto 1934, ore 21 (per. ore 23).

Parlandomi in via strettamente confidenziale e personale Neurath mi ha detto che la morte del maresciallo Hindenburg in questo momento è un colpo molto grave.

Ho compreso che ministro esteri non si fa illusioni circa i commenti che la stampa estera farà alla assunzione di Hitler alla carica di capo dello Stato.

Impressione dei circoli diplomatici è che con la scomparsa del maresciallo è venuta a mancare a Hitler la difesa di cui poteva disporre sino ad ora di fronte a talune pretese delle parti estremiste del suo stesso partito che [fronteggiano trincer]andosi dietro a una avversione del presidente del Reich per provvedimenti contrari alla sua mentalità.

Si osserva pure che con la riunione di due poteri Hitler è l'uomo più potente d'Europa.

Questa constatazione induce i meno benevoli dei miei colleghi a trarre conclusione del più nero pessimismo in quanto essi si domandano, dopo i vari esperimenti degli ultimi mesi, se un essere impulsivo come Hitler non potrebbe, qualora la situazione politica economica della Germania dovesse diventare disperata o qualora dovessero sorgere nuovi gravi conflitti in seno al partito nazionalsocialista, tentare una avventura che ributtasse il mondo in una guerra (1).

Ora non risulta dalla legge del 1° agosto quale sia il titolo di Hitler? Egli ordina solamente in una lettera indirizzata al ministro dell'Interno del Reich che lo si chiami "Ftihrer e cancelliere del Reich ". Rilevo che secondo lingua tedesca questa denominazione non può essere interpretata come "Ftihrer del Reich e cancelliere del Reich" siccome potrebbe apparire dalla traduzione italiana. In tedesco, per interpretare in tal modo, la dizione avrebbe dovuto essere "Reichsftihrer und Kanzler ", mentre invece Hitler nella sua lettera ha scritto proprio "FUhrer und Reichskanzler ", distinguendo nettamente l due concetti, cosicché egli intende essere non FUhrer del Reich, ma semplicemente F'tihrer• ed in più cancelliere del heich. Ora «FUhrer senz'altra aggiunta in tedesco significa "conducente" e si dice di chi guida un carretto, un automobile, una locomotiva ecc. Sta bene che nazionalsociallsti, rivolgendo la parola al loro capo gli dicano "mein FUhrer ", ma agli Stati esteri occorre sapere con precisione, in base ad una legge del Reich, qual'è il titolo ufficiale del capo dello Stato tedesco. Ritengo che sarà opportuno far rilevare in conversazioni amichevoli all'Auswltrt!ges Amt, il quale del resto probabilmente se ne sarà già reso conto, come non sia possibile che un fatto così importante come la denominazione ufficiale del capo dello stato tedesco rimanga insoluta e dia luogo ad interpretazioni svariate».

(l) Con t. per corriere 2902/0187 R. del 3 agosto non pubblicato, Cerruti osservava. tra l'altro. quanto segue: «Rilevo !"inesattezza storica in cui è incorso Hitler dicendo che la grandezza della figura del maresciallo von Hindenburg ha conferito al titolo di presidente del Reich un significato ·• una volta tanto" dato che tale titolo fu pure portato dal lo presidente del Reich, Ebert, cosicché i presidenti del Reich furono due e non uno solo. Storicamente parlando non è sufficiente ignorare, come fanno i nazionalsocialisti, l'esistenza di regimi a loro avversi che li hanno preceduti e non è soprattutto lecito dire cosa inesatta in un documento ufficiale. I documenti sopra citati mi sembrano poi atti ad ingenerare dubbi anche nei riguardi internazionali. Occorre infatti che la qualifica del capo di uno Stato sia esatta, dovendo essa venire indicata nelle comunicazioni che i Sovrani e gli altri capi di Stato gli avessero a dirigere.

635

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2846/255 R. Vienna, 2 agosto 1934, ore 23,20 (per. ore 6 del 3).

Da ieri noto (mio telespresso n. 1601 del 1° corrente) (1) una tendenza intesa a fare risultare che le imprese terroristiche naziste sono in ogni caso destinate a fallire, giacchè, anche quando esse vincessero la resistenza interna, si troverebbero sempre a dovere fronteggiare interventi ed eserciti esteri, che trasformerebbero l'Austria in un campo di battaglia.

Probabilmente tale tendenza si propone scopo di propaganda.

Tuttavia temo che essa possa travisare in questa opinione pubblica i reali scopi di determinate misure internazionali intese alla difesa dell'indipendenza austriaca.

Attirerò su quanto precede personale attenzione di Starhemberg (2).

636

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2863/0137 R. Vienna, 2 agosto 1934 (per. il 4).

Facendo seguito a quanto ho accennato telefonicamente sull'argomento, segnalo che tre giorni fa ebbe luogo presso il cardinale Innitzer una riunione di tutti i vescovi d'Austria, tranne quello di Salisburgo, ammalato.

Essi esaminarono la questione della nomina di von Papen rilevando l'inopportunità che venisse in Austria proprio l'uomo che aveva aspramente criticato la pastorale, che i vescovi stessi avevano diramato nel dicembre scorso, contro il nazionalsocialismo (mio teleposta n. 2840 del 24 dicembre 1933 e mio telegramma per corriere n. 01 del 2 gennaio us.) (3).

Tale dibattito è stato riassunto in un documento, che è stato consegnato al presidente della repubblica personalmente dal cardinale di Vienna.

Come ho già telegrato a V. E. (4), il cancelliere mi disse ieri della contrarietà del cardinale Innitzer e del Vaticano alla nomina di von Papen, dichiarandomi al tempo stesso, senza tuttavia specificarne la data, che il gradimento per il von Papen sarebbe stato ad ogni modo concesso.

Mi risulta che il cancelliere Schuschnigg si è stamani recato da questo nunzio; e non vi ha dubbio che l'oggetto del colloquio sia stato proprio la questione del gradimento.

So che il nunzio aveva pensato, avvalendosi della circostanza che tanto a Berlino quanto a Vienna le legazioni dei due paesi erano rette da incaricati

(-4) Cfr. n. 626.

d'affari, di fare protrarre questo stato di fatto, rimandando il più possibile la concessione del gradimento. Senonchè l'istruzione, che è stata data al Tauschitz di riprendere il suo antico posto di Berlino, ha fatto venire meno l'aspettazione del nunzio, il quale dovrà probabilmente contentarsi di un ripiego; forse quello che il von Papen si impegni a ritrattare le critiche fatte alla pastorale innanzi indicata.

(l) -Cfr. n. 633. (2) -Preziosi comunicò con t. 2855/258 R. del 3 agosto: «Sterhemberg ha completamenteaderito mie personali osservazioni. Ha detto che le !arà sue, intrattenendone diversi colleghi ». (3) -Non pubblicati.
637

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 2865/0185 R. Berlino, 2 agosto 1934 (per. il 4).

Per dare una idea dell'atmosfera che esiste qui, informo in via del tutto confidenziale l'E. V. che il signor von Papen, visto l'aggravamento del maresciallo von Hindenburg, avvicinò avantieri un rappresentante diplomatico straniero con cui ha dimestichezza supplicandolo di fare possibilmente in modo che il Governo austriaco gli accordasse al più presto il gradimento, in modo da potere lasciare sollecitamente Berlino dove, dopo la morte del presidente del Reich, suo protettore ed amico, non si sentirebbe più sicuro.

Stamane von Papen, accompagnato dalla sua consorte, è ricomparso per la prima volta ad una cerimonia ufficiale dopo il 30 giugno. Egli rappresentava infatti il cancelliere alla messa di suffragio per Dollfuss celebrata nella cattedrale cattolica di Sant'Edvige. Produsse su tutti una grande impressione il mutamento avvenuto nella sua fisionomia solitamente così mobile e sorridente. Egli ha l'aspetto preoccupato. Mostrò inoltre un grande imbarazzo ed evitò di rivolgere lo sguardo verso i banchi in cui avevano preso posto i rappresentanti diplomatici esteri.

Quando, a cerimonia terminata, von Papen che vi aveva assistito in un posto speciale «in cornu Evangeli » strinse la mano e fece le condoglianze del cancelliere del Reich, dinanzi all'altare, all'incaricato d'affari d'Austria, nella chiesa ove, oltre ai diplomatici ed ai rappresentanti dell'Auswartiges Amt, erano convenuti numerosissimi austriaci residenti a Berlino, si diffuse un senso di incredulità molto significativo.

638

IL DIRETTORE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 2 agosto 1934.

Ho intrattenuto il Ministro di Cina presso la Real Corte in relazione alle istruzioni impartite da V. E. circa l'elevazione ad Ambasciate delle Rappresentanze diplomatiche italiana in Cina e cinese in Italia (1).

Il signor Liou Von Tao mi ha detto quanto riassumo qui appresso:

l) -Il Governo cinese, in occasione della creazione della R. Ambasciata a Pechino, desideroso di dare anch'esso prove tangibili della sua amicizia verso l'Italia e di fare un gesto, procurerebbe di acquistare in Italia:

a) navi da guerra; b) aeroplani. La decisione di fare le ordinazioni predette in Italia, in occasione della creazione delle Ambasciate, sarebbe già stata presa, in via di massima, dal Governo di Nanchino. I quantitativi, i particolari e le condizioni dovrebbero essere concordati tra il R. Ministro in Cina e il Ministro delle Finanze cinese Dr. Kung.

2) -Il Signor Liou Von Tao ha proposto al suo Governo d'invitare il R. Governo a inviare in Cina: c) una missione navale; d) tecnici per bonifiche e agricolture o tecnici industriali.

Sui punti c) e d), il Ministro di Cina non ha ancora avuto risposta; si riserva di comunicarla non appena l'avrà ricevuta (1). I particolari relativi a questi punti potrebbero essere concordati a Roma.

3) -L'elevazione ad Ambasciata della R. Legazione a Pechino dovrebbe apparire come un gesto spontaneo dell'Italia, e ogni correlazione formale tra la creazione delle Ambasciate e gli acquisti e l'invio di missioni dovrebbe essere evitata.

4) -Tuttavia, al fine di sollecitare le decisioni del Governo cinese al riguardo, il signor Liou Von Tao conta di recarsi personalmente in Cina, probabilmente il 12 corrente.

(l) Annotazione a margine d! Mussolinl: «Preparare Il decreto per Il Consiglio del Ministri dl settembre ».

639

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 3473/1346. Mosca, 2 agosto 1934 (per. il 6).

Le informazionà di cui al telegramma di V.E. n. 1022/C (2), pervenutomi oggi, meritano, sotto riserva di eventuali precisioni che mi propongo di chiedere a Litvinov, un qualche commento.

In primo luogo, esse fanno giustizia di tutti i tentativi del Signor Léger tendenti a prospettare tutta la presente attività pattologica franco-sovietica come dovuta alla iniziativa di Mosca.

In secondo luogo, esse provano, pur facendo la debita parte al compito « dimostrativo » evidentemente assuntosi in materia dal signor Léger, come,

effettivamente, quello che le due parti volevano non era una Locarno orientale, bensl una intesa diretta franco-sovietica.

Ho detto le due parti, ma certamente più la Francia dell'URSS. Mi permetto richiamare in proposito l'accenno fattomi da Litvinov nel suo colloquio del 17 giugno (mio rapporto n. 2543 del 20 stesso mese) (l) all'interesse «negativo» che nella Locarno Orientale avrebbe potuto avere la Francia. Quell'accenno acquista, alla luce degli sviluppi attuali, un indubbio valore ed un evidente significato. Non potrebbe questo far riaprire gli occhi all'Inghilterra e farle una buona volta comprendere quello che effettivamente si sta preparando in Europa?

Quanto alle ragioni, che secondo Léger, indurrebbero la F1rancia a «far presto» posso dire:

l) È vero che a Berlino è in istudio un accordo economico finanziario per crediti finanziari all'URSS a lunga scadenza (sei anni). Ma è anche vero che queste trattative non hanno agli occhi di Litvinov, modificato affatto la situazione « politica » fra i due paesi, tanto più che anche a Parigi si negozia per crediti simili e per un ammontare di circa 3 miliardi di franchi francesi.

2) È pure vero che in materia di relazioni con la Germania, le sfere militari sovietiche (così si esprimeva proprio l'altro ieri lo stesso Voroshilov) sono meno « pessimiste » di quelle politiche, ma è assai dubbio che una riattivazione di rapporti fra i due Stati Maggiori (tedesco e sovietico) siasi potuta verificare proprio in questi ultimi tempi di acuta tensione germano-sovietica.

Del resto, la decisione di entrare a Ginevra senz'altro, anche indipendentemente dalla Locarno Orientale, decisione che punta nettamente sopra una intesa franco-sovietica anzichè sovietico-tedesca, è stata presa consenziente Voroshilov membro, egli stesso, autorevolissimo del Polit Bureau.

Dunque, quelle addotte da Léger mi sembrano, ad un primo esame, delle scuse, intese a mascherare -ormai malamente -la situazione vera: la Francia vuole arrivare ad una intesa con l'URSS e profitta del momento attuale che le sembra, ed è, particolarmente favorevole; questa intesa servendo, insieme a tutte le altre, a stabilire il suo indiscuso predominio in Europa. È possibile, ripeto, che questo non sia visto dall'Inghilterra?

(l) -Cfr. n. 673. (2) -Cfr. n. 589. nota l, p. 631.
640

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. CXXXIII. Vienna, 1-2 agosto 1934.

Ho rivisto il Principe ieri, martedì. Si è detto soddisfatto della composizione del nuovo Governo. Le Heimwehren vi hanno conseguito una posizione di forza senza esporsi direttamente alle incertezze della situazione economica. Si sono

garantite nei riguardi delle relazioni colla Germania ponendo il von Berger al dicastero degli esteri, non senza, per altro, resistenza di Schuschnigg. «Schuschnigg, ha soggiunto il Principe, non sarebbe stato un buon ministro degli esteri, perché in fatto di politica estera ha le idee schematiche care agli studenti di università. Non ha in argomento una sensibilità propria ed è troppo teorizzante ». Gli ho chiesto se non gli sembrava che Schuschnigg nell'assumere l'eredità di Dollfuss avesse tenuto per sè troppi dicasteri. Mi ha risposto che avrebbe passato a Karwinski quello della giustizia, nominato soltanto sottosegretario, perché la diretta promozione di Karwinski a ministro avrebbe dato troppa ombra a Fey. Gli ho chiesto se la sua gente sarebbe stata ugualmente soddisfatta di una soluzione che pone a capo del Governo il capo delle Sturmscharen invece del capo delle Heimwehren. Mi ha risposto che essendo egli ministro della sicurezza e disponendo quindi anche dei corpi assistenziali potrà per ciò stesso evitare ogni attrito. Ha finito poi col dirmi che l'unica sua preoccupazione è la mentalità di Schuschnigg proclive anch'egli a quelle idee cattoliche di marca tedesca che potrebbero costituire un pericoloso ponte tra Vienna e Berlino.

Dal canto mio ho incoraggiato il mio interlocutore a far di tutto perché, ormai, l'unità non venga turbata e perché il nuovo Governo si dia anche un· programma sociale e lo sbandieri quanto più è possibile attutendo in tal modo i mormorii per l'inevitabile repressione.

Passando ad altro argomento, il Principe mi ha informato di avere espresso il giorno avanti lunedì a nostra sede competente il desiderio di recarsi a Roma e di sapere se la sua visita sarebbe stata più gradita in forma ufficiale o privata. Gli ho chiesto: e Schuschnigg non andrebbe?; mi ha risposto: andrei io (1).

La notizia di un viaggio di Schuschnigg a Roma è stata pubblicata qui stamattina dal Neues Wiener Journal che l'ha riprodotto dal Berliner Tagblatt.

Alle 5 del pomeriggio il Neuigkeit Weltblatt di Vienna ha pubblicato che il Cancelliere si sarebbe recato prossimamente a Roma e sarebbe stato accompagnato dal vicecancelliere. Il foglio viennese non avrebbe usato il tono affermativo nè avrebbe dato alla notizia il carattere di una informazione propria se non fosse stato autorizzato dalla Cancelleria. Poco dopo ho sentito dire che la Cancelleria si apprestava a smentire il foglio berlinese (ed implicitamente quello viennese). Ho detto quanto stava in me perché ciò non avvenisse.

Mi indugio su questi particolari perchè non riesco a vincere l'impressione che, capovolgendo la situazione, si voglia qui speculare sulla mobilitazione delle nostre truppe per cercare l'unità interna in nome del pericolo dall'estero. La conseguenza sarebbe un raffreddamento dell'opinione pubblica nei riguardi dell'Italia. La prego di leggere attentamente il commento che il Commisario per il servizio patriottico Adam ha fatto al documento letto ieri sera relativo al regolamento del « putsch »; segnalo altresì all'attenzione Sua l'articolo di fondo delle pangermaniste Wiener Neueste Nachrichten di oggi.

Mi auguro di sbagliarmi, ma il cancelliere Schuschnigg parla troppo di « Deutschoesterreich ».

Quanto alla nomina di Berger non ne sono troppo entusiasta: è un gran brav'uomo, ma non so se potrà resistere agli intrighi di Hornbostel e poiché è nostro amico, può darsi che dovremo spesso accontentarci di sorrisi.

P. S. Ho finito di scrivere la presente giovedì 2 agosto: La prego di leggere le dichiarazioni alla stampa estera fatte oggi da Schuschnigg.

(l) Cfr. n. 445, nota 2.

(l) Sia Schuschnigg che Starhemberg avevano chiesto e ottenuto di incontrare Mussolini in Italia (t. 80141/156 P.R. e t. 8015/157 P.R. del 31 luglio, non pubblicati).

641

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI (l)

T. P. 1034/189 R. Roma, 3 agosto 1934, ore 10,45.

I vescovi austriaci sono furibondi contro von Papen per discorso che egli avrebbe pronunciato a Gleiwitz. Mi dica quando e di che si tratta (2).

642

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2854/242 R. Berlino, 3 agosto 1934, ore 21,35 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 189 (3).

Discorso che von Papen tenne a Gleiwitz 13 gennaio u.s. aveva come tema:

«Le basi cristiane del terzo Reich ».

Esso era essenzialmente una polemica contro le note prediche di avvento del cardinale Faulhaber nonché contro pastorale collettiva dell'episcopato austriaco della fine dell'anno 1933.

Quest'ultima veniva espressamente citata e definita ingerenza negli affari interni tedeschi.

Veniva invocata una parola chiara su tale argomento da fonte competente

allo scopo pacificare popolo tedesco del quale quello austriaco fa parte come

pure a scopo di pacificazione religiosa del Reich.

Diceva inoltre essere merito dell'esempio dato dal nazionalsocialismo se

anche Austria aveva dovuto iniziare lotta contro liberalismo e marxismo.

Testo del discorso stesso fu [trasmesso] integralmente con il telespresso

diretto a Ufficio Stampa del 16 gennaio u.s. n. 191/70.

(l) -Minuta autografa di Musssolini. (2) -Per la risposta cfr. n. 642. (3) -Cfr. n. 641.
643

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2860/259 R. Vienna, 3 agosto 1934, ore 22 (per. ore 6 del 4).

Discorso di ieri sera del cancelliere dà impressione che egli non solo non abbia voluto prendere posizione nei riguardi Germania e nazisti tedeschi, ma anzi si sia studiato spianare più possibile terreno.

Infatti:

1°) Egli ha insistito in elogi per Hindenburg; 2°) Egli si è sempre definito « tedesco austriaco » benché questa definizione sia stata modificata in quella di « austriaco » nel resoconto ufficiale; 3°) Egli ha alluso senza tuttavia specificare a consultazioni popolari. (Al riguardo mi risulta che egli pensa a plebiscito. Starhemberg vi è invece contrario, pensando che tale dimostrazione potrebbe piuttosto essere data dal numero degli iscritti al fronte patriottico, qualora in seguito intensificata propaganda si riesca come sembra a lusinghieri risultati); 4°) Egli si è astenuto completamente da accenni di politica estera. Da parte sua Starhemberg mi ha detto che discorso, cui egli ha assistito, gli è sembrato troppo «da avvocato» ed anodino nei riguardi della Germania. Ha attribuito ciò ad inesperienza, aggiungendo che, però, ciò che importa è che nuovo cancelliere è nel fondo bene inquadrato e che Heimwehren hanno in realtà effettivo controllo situazione politica.

644

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2858/260 R. Vienna, 3 agosto 1934, ore 22 (per. ore 6 del 4).

Essendomi stato riferit6 essere intenzione Governo di liberare tutti i socialisti ancora imprigionati, anche ai fini di una collaborazione politica, ne ho chiesto a ministro della sicurezza interna, Starhemberg.

Questi mi ha detto che egli stesso proporrà al Governo liberazione socialisti «minori» anche in segno [apprezzamento] corretta condotta tenuta in recenti avvenimenti da socialdemocratici.

Che nessuna misura di clemenza sarà invece da lui proposta per « antichi capi » imprigionati.

Che è poi da escludere ogni loro partecipazione Governo.

Circa relazioni fra Heimwehren e Governo mi riferisco al mio telegramma per corriere 117 del 21 giugno u.s. (l).

(l) Cfr. n. 423.

645

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI D'AUSTRIA A ROMA, ROTTER

APPUNTO. Roma, 3 agosto 1934.

Il Signor Rotter mi interessa alla prolungazione per un ulteriore periodo di almeno un anno -della facoltà di mantenere 30 mila uomini sotto le armi. La stessa richiesta è stata fatta a Parigi e a Londra.

Dalla Piccola Intesa non si chiede l'autorizzazione, ma soltanto che non prenda una posizione contraria come è stato fatto nelle occasioni precedenti.

Rispondo al Signor Rotter che può contare in modo assoluto sulla nostra

approvazione. Il Rotter mi presenta poi l'unito appunto (l) e copia dei documenti sequestrati al cittadino germanico Heel, arrestato alla frontiera il 26 luglio (2).

L'Incaricato d'Affari crede che oggi o domani sarà dato il gradimento per von Papen; non sa ancora chi sarà il Ministro a Roma. Parlando del Rintelen, mi dice essere sua impressione che Io stesso non abbia preso nessuna parte attiva alla congiura, ma abbia lasciato agire per l'ambizione di diventare Cancelliere, carica a cui aspirava da lunghi anni.

646

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 3 agosto 1934.

Ho l'onore di riferirmi all'Appunto del 29 luglio (3) relativo ad uno schema di Protocollo col Governo austriaco per una eventuale azione militare concordata itala-austriaca.

Non v'è dubbio che l'atteggiamento risoluto dell'Italia di fronte agli avvenimenti del 25 luglio sia stato elemento decisivo per impedire in Austria maggiori complicazioni. Non v'è dubbio però che da parte tanto della Francia quanto dell'Inghilterra esista il fermo proposito che l'azione dell'Italia nei riguardi dell'Austria non prescinda dalle altre Potenze, evitando, o quanto meno riducendo, il carattere particolare dell'azione italiana. A parte ogni altra indicazione, mi riferisco alla lettera in data 1° agosto che Sir John Simon ha fatto rimettere a S. E. il Capo del Governo (4) -sul cui contenuto non possono

sussistere dubbi -e alle dichiarazioni fatte sia dal Quai d'Orsay alla nostra Ambasciata a Parigi (1), sia da questo Incaricato d'Affari di Francia all'E.V. (2).

Quanto alle Potenze minori (Cecoslovacchia e specialmente Jugoslavia) n loro atteggiamento di fronte ad un'azione isolata italiana è nettamente contrario.

Il criterio di «aprire» un eventuale Protocollo italo-austriaco alle altre Potenze trova quindi rispondenza nei fatti e toglierebbe alla Germania la possibilità di speculare su una diversità d'atteggiamenti, italiano da un lato, francese, inglese, ecc. dall'altro, per avvantaggiarsene nella sua opera in Austria. Mantenendo sostanzialmente il criterio di un Protocollo aperto alle altre Potenze, si potrebbe anzi pensare ad uno scambio di vedute preliminari con gli altri Governi allo scopo di stabilire d'accordo i termini del progettato Protocollo, evitando così di dare l'impressione di voler far trovare le Potenze dinanzi ad un Accordo previamente concordato fra Italia e Austria. Ciò non esclude affatto, anzi può presupporre un previo scambio di vedute a tal fine tra Italia ed Austria.

Nelle dichiarazioni fatte «sia pure a titolo personale» dal Quai d'Orsay all'Ambasciata a Parigi e più specialmente nella proposta di creare a Roma una specie di Conferenza degli Ambasciatori per l'Austria, sono da ritenere due elementi: uno dirò così favorevole e uno negativo. Quello negativo è l'esclusione della Germania. Non pare si possa infatti pensare ad un Protocollo per l'Austria senza che il Governo tedesco sia in ogni caso invitato a partecipare. L'elemento favorevole è la circostanza che la Conferenza dovrebbe risiedere. a Roma, la iniziativa essere italiana e la Società delle Nazioni messa praticamente da parte. Con che si può ritenere che pur non ammettendosi una esclusività d'azione dell'Italia, non si sollevino obiezioni a una nostra posizione speciale. Ciò indipendentemente dal giudizio sulla proposta di una Conferenza degli Ambasciatori che per evidenti ragioni non pare conveniente soprattutto se limitata alla Francia, all'Italia e all'Inghilterra.

Tenendo presenti gli elementi finora accennati, lo schema di Protocollo unito all'Appunto del 29 luglio potrebbe essere modificato nel seguente modo:

a) rendere partecipi al Protocollo la Francia, l'Inghilterra, la Germania. (Sarà da vedere se l'Inghilterra voglia effettivamente parteciparvi giacché l'opinione pubblica inglese non sembra, a quello che si può giudicare, pienamente edotta di ciò che possa rappresentare per l'Inghilterra stessa l'atteggiamento tedesco e l'annessione dell'Austria alla Germania o la Gleichschaltung, che ne sono gli scopi finali);

b) introdurre il concetto che le Parti contraenti non intendono tollerare movimenti od azioni che siano diretti contro l'ordine costituito o possano turbare la situazione politica in Austria. Ciò che mirerebbe ad escludere qualsiasi

forma dà propaganda non legale e quindi tanto la propaganda nazionalsocialista, quanto quella socialdemocratica;

c) far consistere il Protocollo in una «garanzia» che le Potenze darebbero per l'indipendenza dell'Austria contro «le minacce interne ed esterne», « garanzia » che dovrebbe essere sufficientemente elastica affine di ottenere possibilmente la partecipazione dell'Inghilterra. Ove-tale partecipazione non fosse possibile, l'Inghilterra non intendesse cioè di andare al di là della Dichiarazione del Febbraio u.s., la formula potrebbe essere resa più precisa, ad es. parlando di «impiego di tutti i mezzi». Però è evidente che la partecipazione dell'Inghilterra avrebbe grandissimo valore; mentre d'altra parte è evidente pure la possibilità di sviluppi anche della formula più semplice di «garanzia». Qualsiasi formula non escluderebbe poi, anzi potrebbe essere il presupposto per Accordi Militari segreti itala-austriaci sotto la forma ben nota di « studi tra i due Stati Maggiori»;

d) conservare all'Italia una posizione a così dire preminente in confronto a quella delle altre Potenze, giustificata da ragioni geografiche, storiche ecc. Segretamente questo scopo potrebbe essere ottenuto cogli «studi tra i due Stati Maggiori». Di fronte agli altri Stati si potrebbe pensare ad una formula che stabilisse che nel caso in cui l'indipendenza austriaca apparisse minacciata, l'Italia convocherebbe a Roma i rappresentanti delle Parti contraenti per avvisare ai provvedimenti da prendere.

La portata di una tale formula in un Accordo del genere è evidente.

Quanto alla Germania, a parte l'obbligo di osservare l'indipendenza dell'Austria a norma dell'art. 80 del Trattato di Versailles, Hitler ha costantemente dichiarato che intende rispettarne l'« indipendenza», ma la Gleichschaltung a cui egli mira in ogni caso del presente, non è meno preoccupante e pericolosa per l'Italia dell'Anschluss. Ora con la partecipazione della Germania ad un

Protocollo del genere, la Germania si legherebbe al riconoscimento dell'indipendenza austriaca non più per atto « impostale » (Trattato di Versailles), ma per atto liberamente accettato, come è avvenuto per la frontiera francese (Locarno). È naturale supporre che la Germania possa non accettare o quanto meno fare difficoltà; ed è evidente che dinanzi alla ferma volontà dell'Italia, della Francia e possibilmente dell'Inghilterra di garantire l'indipendenza austriaca e all'offerta rivolta alla Germania di parteciparvi, un atteggiamento negativo tedesco metterebbe la Germania in una posizione meno favorevole; là dove non invitando la Germania a partecipare ad un simile Accordo, noi faremmo il giuoco tedesco. In altri termini mentre la Germania si accinge con von Papen a trattare a Vienna un « modus vi vendi» escludendo gli altri Stati, l'iniziativa italiana concordata con Vienna e trasportata sul campo internazionale verrebbe a disturbare il negoziato tedesco e a trasportarlo su un terreno a noi più favorevole.

Sulle linee indicate -tracciate necessariamente in modo sommario -po

trebbero essere iniziate conversazioni con l'Austria e colle altre Potenze (In

ghilterra, Francia, Germania) traendone anche elementi per le decisioni defi

nitive e la definitiva redazione dell'Accordo.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. n. 619. (3) -Non rinvenuto. (4) -Cfr. n. 632. (l) -Cfr. n. 616. (2) -Cfr. n. 629.
647

IL MAGGIORE RENZETTI A ... (l)

L. confidenziale. Berlino, 3 agosto 1934.

Nei circoli governativi si crede che il plebiscito del 19 corrente rappresenterà un notevole successo per Hitler e conseguentemente per il regime nazionalsocialista.

Vagliate le varie circostanze, sembra di poter ritenere fondato l'ottimismo delle Personalità con cui ho avuto modo di conferire in questi giorni. II popolo ha accolto con una rassegnata soddisfazione la mossa di Hitler il quale, in maniera semplice, senza demagogia, ha comunicato al serio, modesto ed onesto ministro l''rick, la propria decisione di voler la approvazione popolare. II popolo è rimasto lusingato: ha sentito, poiché il Parlamento ormai non conta più nulla, di essere sempre quello a cui Hitler fa appello nei momenti difficili.

Il popolo, nel suo buon senso, ha compreso che la mossa di Hitler, ha significato la eliminazione di tutte quelle lotte e discussioni che avrebbero preceduto la elezione, o per meglio dire, la scelta di un candidato alla Presidenza del Reich: eliminazione di una questione che avrebbe contribuito ad accrescere il malessere di cui il Paese è in preda. Il predetto popolo sa ora di avere un nuovo Capo e, a quanto mi è dato ritenere, comprende che non vi è altro da fare che approvarlo, che porsi al suo seguito così per ragioni di politica interna come per motivi di politica estera. Certo esso è ancora in preda ad un naturale smarrimento, che è sparito improvvisamente il burbero «Papà», il giudice inappellabile, l'Uomo al disopra dei gruppi, degli interessi e dei partiti; l'Uomo che non può venire rimpiazzato da un altro che rimane sempre il Fiihrer di un partito. Ma appunto anche per questo smarrimento e per quella solidarietà che si forma tra coloro che soffrono per una stessa sciagura, che le masse finiranno per orientarsi e per pronunziarsi a favore di Hitler anche se una parte di esse non approva né la condotta e le opinioni di alcuni dei sottocapi, né la idea nazionalsocialista. A tutte le precedenti considerazioni è da aggiungersi anche il timore di rappresaglia che spingerà molti a deporre nell'urna il si richiesto.

Hitler ha posto così in esecuzione il progetto che già da anni era stato preparato, e del quale ricordo di aver discusso, con lo stesso Hitler e con Goring, i particolari. I due, un tempo accaniti detrattori di Hindenburg, -ricordo che allora io dicevo loro che un giorno avrebbero lodato Hindenburg che per il bene della Patria certo li avrebbe chiamati al potere -, erano assolutamente contrari -pour cause -alla nomina di un nuovo Presidente del Reich. Goring allora tentava di varare la candidatura Assia per apporla a quella del Kronprinz che oggi però non ha probabilità dato che per la sua azione è tutt'altro che in buone relazioni con Hitler.

Nei circoli governativi non si teme alcun timore di disordini. Frick ed altri hanno deciso di tornare in licenza non appena le operazioni del plebiscito saranno terminate.

La eccitazione contro l'Italia va lentamente calmandosi. I tedeschi si sentono profondamente offesi non tanto dalla azione italiana, quanto dalle frasi scritte per loro in questi ultimi giorni. Si è qui formato una specie di fronte unico e i mestatori hanno facile gioco. Mi viene riferito ad es. che una festa italiana ha dovuto venire abolita in seguito alle minacce fatte contro il proprietario del locale in cui la festa avrebbe dovuto avere luogo: che una orchestra, chiamata italiana, sarebbe· stata licenziata.

Mi viene assicurato che contro Goebbels sarebbe stato tentato un colpo da parte di scontenti: i particolari non mi sono stati ancora esposti. Qui si vocifera che Goebbels presto andrà a fare l'Ambasciatore a Varsavia, cosa che io credo non riuscirebbe sgradita né al ministro della propaganda, né a moltissimi tedeschi. Di definitivo e di preciso non vi è però ancora nulla.

Quello che vi è invece di preciso è la volontà di Hitler di giungere ad una conciliazione all'interno: anche con l'estero si vuole, concedendo quanto è possibile, arrivare ad una détente. Il Paese non può più vivere sotto la attuale pressione: l'inverno si avvicina e con esso si avvicina anche l'aumento della disoccupazione con relativi torbidi. Presto Hitler farà delle dichiarazioni anche per preparare il suffragio popolare e spiegherà ancora la sua volontà di pace all'interno ed in campo internazionale.

(l) Da ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzetti, 11 destinatario non è indicato.

648

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2861/528 R. Londra, 4 agosto 1934, ore 0,18 (per. ore 6).

Mio telegramma n. 522 (l). Interpretazione, forse affrettata, che alcuni giornali francesi hanno dato al discorso di Baldwin alla Camera dei Comuni, ha provocato qui una certa sorpresa.

Non sembra qui che le parole di Baldwin possano essere interpretate nel senso che Gran Bretagna si disponga ad aderire alle posizioni tenute dalla Francia di fronte al problema della sicurezza, o nel senso di una intesa politica franco-inglese.

Ho veduto oggi Vansittart che mi ha detto che nel suo discorso Baldwin ha voluto mettere in rilievo essenzialmente due cose:

l) Che obbligazioni contratte a Locarno non permettono all'Inghilterra di restare assente da un conflitto che si producesse sul Reno.

2) Che sviluppo aeronautica rende Gran Bretagna vulnerabile dal continente.

Conclusione è quindi una sola: che linea di vulnerabilità dell'Inghilterra non è più sulla Manica, ma sul Reno.

Baldwin non ha inteso andare al di là di questa constatazione.

Sue dichiarazioni non vanno perciò, [intese] nel senso politico di un accordo franco-inglese, fuori dello schema di Locarno, né nel senso di un accordo militare per appoggiare difesa aerea britannica in territorio francese o belga.

Vansittart mi ha formalmente smentito che vi siano state o vi siano in corso trattative per stabilire dei campi di azione militari britannici in territorio belga o francese.

Nello stesso senso si è espresso con me questo incaricato d'affari del Belgio il quale mi ha assicurato che mai questo argomento è stato toccato nelle conversazioni fra i Governi.

(l) Con t. 2801/522 R. ciel 31 luglio, non pubblicato. Vitetti aveva riferito rirca il dibattito alla Camera dei Comuni su una mozione d! censura proposta dall'opposizione riguardo il progetto governativo di incremento dell'aviazione.

649

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2868/262 R. Vienna, 4 agosto 1934, ore 14 (per. ore 16,45).

Gradimento per von Papen doveva essere dato ieri in consiglio dei ministri. Starhemberg mi disse tuttavia che egli avrebbe proposto una ulteriore proroga.

Avendogli fatto osservare che erano ormai passati parecchi giorni. mio interlocutore mi accennò a circostanze che il segretario di von Papen risultava essere certo conte Lamerg, un ex heimwehrista fuggito Germania 4 anni fa al tempo del putsch stiriano e che da allora [aveva] sempre menato aspra lotta contro l'Austria.

Al Ballplatz mi è stato stamane detto che gradimento sarà dato in consiglio dei ministri di martedì o mercoledì prossimo, quello ministri ieri essendosi limitato a solo pochi ministri (l).

Signor Tauschitz è intanto partito ieri per Berlino.

650

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2871/531 R. Londra, 4 agosto 1934, ore 17,34 (per. ore 21,15).

Ho veduto oggi Vansittart, il quale mi ha chiesto se ero in grado di fargli conoscere maniera di vedere di V. E. circa nomina di von Papen a ministro di Germania a Vienna.

Egli mi ha confermato quello che Sargent mi aveva detto venerdì scorso (mio telegramma n. 510) (l) delle preoccupazioni inglesi per la nomina e per l'attività che von Papen si preparava a svolgere in Austria.

L'opinione del Foreign Office è che, prima di dare il gradimento, il Governo austriaco dovrebbe per lo meno porre delle condizioni.

Quali queste condizioni dovrebbero essere Vansittart non mi ha detto.

Il suo pensiero è che il fatto stesso che il Governo austriaco mostri di essere in grado di porre delle condizioni alla Germania, varrebbe a rafforzare vantaggiosamente la sua posizione e il suo prestigio. Autorità sarebbe maggiore se l'Italia, l'Inghilterra e la Francia incorag

giassero e appoggiassero Governo austriaco in un atteggiamento di fermezza. Segnalo all'E. V. editoriale odierno del Times (mio telegramma n. 530) (2) nel quale sono indicate le condizioni che il Governo austriaco dovrebbe porre.

(l) Preziosi comunicò la notizia della concessione del gradimento per von Papen da parte del consiglio dei Ministri con t. 2896/268 R. dell'8 agosto.

651

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 1044/141 R. Roma, 4 agosto 1934, ore 24.

Giornale arabo di Damasco Fata al Arab del 25 luglio ha pubblicato notizia secondo cui Imam Yahia avrebbe recentemente scoperto un complotto contro la sua persona ordito da personalità yemenite con la complicità di italiani e tendente a fare occupare dall'Italia la città di Hodeida e il Tiama. Organizzatori del complotto sarebbero stati arrestati e giustiziati.

Poiché notizia è priva di qualsiasi fondamento e tende a porre in falsa luce nostra azione politica nei confronti Stati arabi, azione che è invece ispirata al rispetto della sovranità e dell'indipendenza di detti Stati ed è particolarmente amichevole nei riguardi dello Yemen, prego V. S. voler opportunamente rappresentare a Ragheb bey nostro desiderio che notizia stessa venga opportunamente smentita, oltre che da parte nostra, anche da parte codesto Governo al quale deve essere noto, attraverso le comunicazioni fattegli di volta in volta da V. S., come leale amichevole e disinteressata sia stata nei confronti dello Yemen nnstra attitudine anche durante recente conflitto.

Circa azione che V. S. avrà potuto svolgere al riguardo questo R. Ministero gradirà venire telegraficamente informato anche per averne norma nella smen·· tita che si propone di dare alla notizia di cui trattasi (3).

<< Ragheb bey al quale stamane ho comunicato suo telegramma n. 141, interessandolo per una pronta smentita, avendo riconosciuto convenienza smentire false voci senza attendere comparsa giornali locali, mi ha diretto lettera annunziante pubblicazione di una comunicazione ufficiale smentire non solo voci citate da giornale di Damasco, ma anche insinuazioni e accuse che da qualche tempo comparivano su stesso oggetto nella stampa araba ed europea ».

(l) -Cfr. n. 594. (2) -T. 7807/530 R., non pubblicato. Le condizioni indicate dall'articolo del Times erano: scioglimento della Legione austriaca, cessazione della propaganda e del contrabbando di armi, abolizione del visto di m1lle marchi per i turisti tedeschi. (3) -Dubbiosi rispose con t. massima precedenza assoluta 2903/390 R. dell'8 agosto:
652

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2882/061 R. Belgrado, 4 agosto 1934 (per. il 6).

Mio telegramma per corriere n. 060 del 31 luglio (1).

La nota antitaliana della stampa jugoslava si è precisata vieppiù. Cito gli articoli delle N ovosti, dell'Obzor sullo stesso tema della stampa del l o agosto di quel giorno (la colpa di tutto è la politica di Mussolini), che sono stati regolarmente telegrafati con Stefani Speciale. Ho trascurato segnalare piccoli giornali di provincia (Nova Doba, Novi List ecc.) sulla stessa intonazione.

È degno di ogni interesse il comunicato emanato dall'incaricato di affari jugoslavo a Berlino e riprodotto da tutta la stampa internazionale. lvi il Governo jugoslavo precisa un suo punto di vista: essere cioè necessario lo intervento della S.d.N. in caso di maggiori complicazioni. Dal ministero degli affari esteri si fa uscire la voce che l'incaricato d'affari jugoslavo non era autorizzato a fare tale comunicazione, poiché trattavasi soltanto di direttive indicate a lui in via del tutto personale. Ma può trattarsi, anche in considerazione della capitale dove si è verificata, che la indiscrezione di detto incaricato d'affari sia stata proprio voluta da Belgrado. E ciò per quell'atteggiamento non antigermanico che questo Governo, malgrado tutto, ha voluto assumere marcandolo sempre più sensibilmente.

E ciò contro ogni suo interesse effettivo, ma solo per un complesso di contradittorie reazioni.

Infatti come già ebbi a telegrafare a V. E. a conferma del resto di quanto ripetutamente riferito, il Governo jugoslavo si rende perfettamente conto del grave pericolo per la Jugoslavia di avere la Germania alla Caravanche. Tratterebbesi di una vera rivoluzione territoriale politica in Europa le cui conseguenze non sono facilmente valutabili. A prova di ciò stiano le grandi simpatie che vanno sorgendo in Slovenia proprio fra le popolazioni slovene, quindi non soltanto fra le tedesche, verso il nazismo, considerato come mezzo per sottrarsi al Governo di Belgrado. Me lo confermava questo incaricato di affari d'Austria (mio telegramma n. 111 del 28 luglio) (2) ed ora lo conferma anche più ampiamente questo addetto militare aggiunto tornato stamani dalla Siavenia per dove era partito la stessa sera del 25 luglio per segnalare eventuali movimenti militari jugoslavi.

Il capitano Toschi ha narrato a me ed al colonnello Franceschini di aver potuto sinceramente rilevare che la corrente di simpatia verso Hitler ed il nazismo è delle più forti in Slovenia e traspare in ogni occasione. Né ciò mi sorprende affatto.

Tale corrente di simpatia non sembra ancora estesa alla Croazia, per quanto fin qui mi risulta, ma la sua estensione e diffusione non sarebbe difficile se in determinate contingenze internazionali essa sembrasse il miglior mezzo per porre fine al Governo dei serbi e per entrare nel grande complesso germanico.

48 -Documentl diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Il giorno in cui queste correnti naziste nelle ex-provincie imperiali si rivelassero concrete e minacciose per la compagine jugoslava e dirette alla riunione col germanesimo, non si avrebbe che una applicazione di quei sentimenti filoaustriaci e filo-ungheresi che ho sempre sostenuto permanere in Slovenia e Croazia, e che fanno comprendere il timore absburgico di questo Governo.

La legazione di Germania ed i consolati germanici di Lubiana e Zagabria smentiscono qualsiasi aiuto ai profughi nazi, il cui numero definitivo supera di poco il migliaio. La loro permanenza in Jugoslavia (e si aggiungono alla quarantina di socialisti qui rifugiatisi dopo le sanguinose giornate di Vienna del febbraio scorso) costituisce un non facile problema sul quale, per quanto mi risulterebbe, questo Governo non avrebbe ancora preso una decisione definitiva. Si spera però ottenere il loro ritorno in patria con solenne promessa di immunità, da parte delle autorità austriache.

(l) -Cfr. n. 621. (2) -T. 2169/111 R., non pubblicato.
653

CONVERSAZIONE CON MONSIGNOR TESTA DI RITORNO DALLA SAAR (l)

APPUNTO. Roma, 4 agosto 1934.

La situazione in Germania è molto grave. Ma regge. Le difficoltà economiche non si prevede possano diventare tali da costituire un vero pericolo. Molto importante è stato il giuramento della Reichswehr. Anche il telegramma del Ministro della Guerra era molto caloroso.

Riguardo al complotto si espresse molto scetticamente; riteneva fosse stato piuttosto un pretesto di cui si sono serviti Goering e Goebbels per impressionare Hitler e liberarsi di persone a loro incomode.

Avendogli chiesto se non ritenesse che le misure radicali adottate il 30 giugno potessero essere state dettate dalla necessità di eliminare il dissidio ogni giorno più acuto fra S. A. e Reichswehr che comprometteva i rapporti fra il partito e Reichswehr, il che si presentava come molto pericoloso in previsione dell'attesa morte di Hindenburg, mi rispose che non aveva dati al riguardo.

Quanto a von Papen egli è completamente screditato presso i cattolici e presso il Vaticano. Non ha dimostrato né linea né dignità. Non è che un intrigante, perciò è opportuno tagliare con lui i ponti a Vienna per evitare che possa svolgere la sua azione che sarebbe solo di intrighi. Questa è la linea di condotta che adotterà l'Episcopato austriaco.

Mi ha accennato alla liberazione di Seitz e di altri capi socialisti austriaci che trova significante.

Riguardo al movimento anti-cristiano, la sua impressione è che sia profondo e che si estenda. Vi è tutta la macchina dell'ufficio di propaganda a servizio di tali idee. In occasione delle feste pagane del solstizio indette dal Governo, i cattolici si dovettero essi stessi uniformare, trovarono la via di uscita di identificare tale festa con quella di San Giovanni.

Quando i delegati di Hitler vennero a Roma per la stipulazione del Concordato, accettarono venissero inclusi principi importanti cui il Vaticano teneva; ostentarono la migliore buona volontà. Tutto ciò si rivelò poi come assolutamente falso.

(l) Il documento è privo di firma.

654

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

TELESPR. S. 3028. Roma, 4 agosto 1934.

Si riferisce al foglio 225154/484 (Aff. Pol. Uff. III). Ho preso in attento esame tanto la relazione del Ministro Vinci come la risposta ad essa data da cotesto Ministero (1).

Le nostre relazioni con l'Abissinia vanno precipitosamente peggiorando; me ne avvedo anche io ogni giorno. Ma io penso che non si possa, né si debba -per ora -neppure tentare un confronto tra la posizione che hanno colà Francia ed Inghilterra e quella che vi abbiamo noi.

Questo dipende, sì, dalle ragioni essenziali espresse dal nostro Ministro; ma anche da particolari errori da noi commessi sui quali è vano oggi recriminare. Tanto più che gran parte di alcune manchevolezze sono dipese da mancanza di aiuti finanziari tempestivi.

È inutile: tutta la politica orientale è basata sui soldi.

Quel che a noi ora necessita è di fare una politica che distolga il più possibile la mente del governo etiopico da nostre mire aggressive. Noi abbiamo assoluto bisogno di potere lavorare in pace alla nostra preparazione almeno per un anno.

Capisco come ciò non sia facile.

Io spero che la mia andata laggiù con immediata offerta del ramo d'olivo (come da ordini di S. E. il Capo del Governo) possa essere di qualche utilità. Ma intanto, secondo me, occorre fare una politica di sorridente condiscendenza.

È difficile essere condiscendenti verso il Governo Abissino e nel medesimo tempo conservare la voluta dignità. L'unico mezzo a ciò idoneo, a mio parere, può essere il seguente:

Fissare alcuni punti controversi sui quali noi dobbiamo senz'altro essere disposti a cedere.

Ne cito due: Questione dei Consolati -di cui ebbi già a scrivere il 24 luglio col n. 45780 (2) -; questione dei confini con la Somalia. Non diciamo più «no»; non tiriamo in lungo; non usiamo più le loro armi; accettiamo di vedere e di discutere sopra luogo.

Noi dobbiamo basarci su questa considerazione: se anche adesso noi dovessimo passare per un poco troppo accondiscendenti, il giorno in cui ci decideremo ad operare potremo e sapremo sempre rifarci.

(-1) Si riferisce presumibilmente al rapporto citato nella nota 2, p. 270 e al n. 425.

A noi occorre ora avere una base di partenza, la più sicura possibile.

Questa è l'unica politica e saggia che dobbiamo fare.

Con la circostanza (e poichè è sullo stesso ordine di idee) insisto per la sostituzione del Console Di Lauro, pel quale vi sono altre ragioni di opportunità per il suo ritiro da Gondar. Ho il funzionario adatto per sostituirlo. (Il Comm. Moreno, ora reduce da Addis Abeba, dice che sarebbe opportuno attendere 3-4 mesi alla sostituzione effettiva) (l).

(2) -Non pubblicato.
655

IL SENATORE DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

L.P. Roma, 5 agosto 1934.

Conforme le istruzioni di V. E. mi sono recato a Vienna il 28 luglio scorso per rappresentare V. E. ai funerali del Cancelliere Dollfuss. All'aerodromo erano ad attendermi un segretario della R. Legazione e un alto funzionario austriaco che mi porse il bene arrivato da parte del suo Governo.

L'aeroplano giunse con qualche minuto di ritardo causa la nebbia sulle montagne e d'altra parte il funerale era stato anticipato di mezz'ora, per cui, per quanto mi vestissi in brevi minuti, arrivai sul posto quando la cerimonia era appena cominciata. Ma questo poco ritardo valse, per combinazione, a imprimere una forma più individuale e più spiccata all'arrivo del rappresentan\;e dell'E. V., come io rilevai dall'accorrere dei fotografi e cinematografisti, e come mi fu fatto da altri poi notare.

Non erano ancora terminati i discorsi che il Presidente della Repubblica Miklas mi pregò di far pervenire a V. E. i ringraziamenti del Governo austriaco, e i suoi personali, per l'invio di un Rappresentante di V. E.

Durante le varie cerimonie io ebbi il primo posto dopo il Nunzio Apostolico. Con me era il Ministro degli Affari Esteri di Ungheria.

Nel lungo percorso del corteggio funebre era da notare la commozione della folla che faceva ala. Donne e anche uomini piangenti e il generale manifesto cordoglio dimostravano il sincero rimpianto e lo sdegno per la barbara fine del Cancelliere. Queste manifestazioni erano anche notevoli nel tratto di quartiere popolare percorso.

Durante quel brevissimo soggiorno a Vienna ho potuto rilevare quanto sia stata apprezzata in ogni ceto la parte personale presa da V. E. nella luttuosa circostanza, le espressioni di riconoscenza e di ammirazione all'indirizzo di V. E.

derazioni. Attendiamo allora un paio di mesi per la sostituzione del Di Lauro».

Nelle discussioni sulla situazione internazionale, negli ambienti più diversi, (mi veniva riferito), il nome dell'E. V. era pronunciato anche dagli avversari d'Italia con rispetto e quasi con timore.

Il Delegato del Ministero degli Esteri Barone Hauenschield, mi offrì di combinare colloqui con varii Ministri e autorità, ma naturalmente mi sono rimesso per questa parte al giudizio del Ministro Preziosi.

E il lunedì, insieme al nostro Ministro, feci visita al Presidente della Repubblica il quale, alla telefonata di Preziosi, aveva fatto rispondere che desiderava ricevermi immediatamente.

Il signor Miklas mi accolse colla più amichevole e deferente cordialità. Subito egli mi reiterava la domanda che io facessi pervenire a V. E. i ringraziamenti suoi e del Governo per la missione che V. E. mi aveva affidata.

Passando al campo politico generale, il Presidente mi disse che il Governo austriaco è risoluto a continuare le direttive del defunto Dollfuss; egli affermò che esso è risoluto a mantenere strenuamente la indipendenza dell'Austria, a non ammettere ingerenze dell'estero nelle cose interne austriache, e che desiderava amicizia con tutti i Governi e specialmente con chi, nel difficile cimento trascorso, prestò all'Austria così amichevole efficiente aiuto: con ciò intendendo precisamente l'Italia e V. E.

Il Ministro Preziosi mi disse che di questo colloquio avrebbe fatto oggetto <ii un rapporto in relazione a precedenti conversazioni.

Ho cercato di farmi una idea della situazione discorrendo non solo con gli amici del nostro Paese, ma anche con avversarii, per quanto lo permettese la brevità del tempo e, com'è mio costume, attaccando discorso con gente del popolo.

La prima constatazione fatta fu che la mossa di V. E. della concentrazione di truppe al confine fu quella che salvò, questa volta, la situazione, in quanto, pur essendo gli uomini del Governo risoluti a compiere il loro dovere di fronte alla sopraffazione nazista, pure era deficiente il fattore psicologico della fiducia. In alcuni ambienti era anzi un senso incipiente di collasso. Ora l'atteggiamento italiano -di fatti e non di parole -servì nel quadro psicologico, a infondere il necessario elemento del coraggio e della fede, che era deficiente. Di questo ebbe sensazione anche la massa la quale era incerta e titubante nella cognizione delle divergenze latenti fra potenze estere.

Un altro rilievo non è speciale al settore politico austriaco. L'evidente successo dell'azione italiana formò immediatamente argomento di invidia e di più

o meno dissimulata opposizione di altre Potenze, come se, nonostante la comunità d'interesse con l'Italia, il risultato conseguito costituisse un danno per esse o uno smacco.

Ebbi anche un interessante colloquio col Ministro di Cekoslovacchia a Vienna, che era stato mio collega in America. Acuto conoscitore delle cose austriache egli mi espose a lungo le sue vedute sui partiti politici dell'Austria. Quanto all'Italia egli affermò la comunanza dell'interesse cekoslovacco di tenere in vita l'Austria, tuttavia, aggiunse « nous ne prenons pas de responsabilités ~. Queste parole subdole egli metteva in relazione alla sua convinzione che i cristiani sociali, colle Heimwehren, non sono in grado di assicurare un Governo stabile

e duraturo. E tutto ciò portava il mio ex collega alla nota conclusione della opportunità di agevolare una riconciliazione coi social-democratici che egli voleva separare dai comunisti.

Pochi paesi offrono oggi, come l'Austria, un campo cosi contrastato e contraddittorio di opinioni, di suggerimenti in buona e in mala fede, e di diverse previsioni dell'avvenire.

Per conto mio confesso che dall'insieme dei rilievi fatti in quelle brevi ore viennesi ho tratta l'impressione della instabilità del futuro.

Vi è un fattore che è talvolta trascurato nell'esame delle cose d'Austria: il fattore «uomo~-Troppo fugace è stato il mio soggiorno a Vienna per esprimere un giudizio ma, come impressione, credo che I'« uomo di Governo~ oggi tanto indispensabile alla salvezza dell'Austria, non ci sia.

I tre partiti che più o meno si bila;::.ciano, appunto per questo, non offrono base di lavoro costruttivo. E nello sfondo sta il legittimismo monarchico e anche l'altro fattore del sentimento nazionale contro lo straniero in genere, oggi assopito.

Fra le Potenze estere sola l'Italia segue una politica leale e rettilinea. L'Inghilterra può a un dato momento lasciarsi soverchiare da teorie fallaci. Le recenti manifestazioni ufficose yugoslave e cekoslovacche danno la misura della gretta politica a stampo balcanico di quei Governi. La Francia, secondo i giornali, sarebbe sincera, ma nelle contrastanti tendenze interne di quel paese, la pregiudiziale democratica massonica antifascitsa può ad ogni momento, e quando senza danno, propendere verso il modo cekoslovacco di sostenere l'esistenza dell'Austria.

Quanto alla Germania fu buona fortuna per noi e per l'Austria quel cumulo di errori inverosimili commessi da Hitler. Il pericolo per l'Austria consiste appunto in un ravvedimento tedesco che porti a nuove tattiche. La eventualità è certo prevista negli studii dei nostri uffici competenti.

All'invito comunicatomi dal Suo Gabinetto, assolvo con queste brevi note affrettate per l'onorifico incarico commessomi...

(l) Suvich rispose con I.s. del 16 agosto: «Ho la tua lettera del 4 corr. -Segreta -N. 3028. Sono d'accordo con le tue consi

(2) Annotazione a margine di Mussollni: «S. E. Suvich ».

656

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 6 agosto 1934.

Il Barone Villani mi ha chiesto se sarebbe intervenuto qualche Ministro dei paesi espositori alla inaugurazione della Fiera del Levante. Egli crede di sapere che il Ministro Kallay interverrebbe molto volentieri.

Mi riservo di assumere informazioni e di dargli qualche notizia.

II Ministro mi parla poi dell'accordo ungaro-jugoslavo; oltre alla parte nota e pubblicata ci sono delle clausole segrete. Secondo queste, la Jugoslavia, pur

non potendo dare disposizioni generali per una modificaz10ne delle misure prese ai confini, s'impegna a fare in modo che siano evitati gli incidenti con gli ungheresi. Da parte sua l'Ungheria si impegna ad evitare che sul proprio territorio si esplichino delle attività che possono costituire un turbamento per la Jugoslavia.

Ho detto al Ministro che ciò evidentemente era un riferimento ai rifugiati croati ed ho chiesto quali fossero le disposizioni prese dal suo Governo nei riguardi degli stessi.

Il Barone Villani mi ha detto che tali rifugiati sono ora internati nel paese e non si permette loro di svolgere alcuna attività terroristica. Il Ministro mi consegna poi l'unito appunto sui risultati del viaggio del Presidente del Consiglio romeno Tatarescu a Parigi.

Risulta anche al suo Governo che Barthou avrebbe dichiarato ai rappresentanti della Piccola Intesa che l'azione italiana nei riguardi dell'Austria era stata fatta d'accordo con la Francia. Pare che il Governo francese sia rimasto molto seccato degli atteggiamenti presi in tale occasione dalla Jugoslavia e in parte anche dalla Cecoslovacchia.

Il Barone Villani mi dice infine risultare al suo Governo che durante le giornate critiche sarebbero stati presi dei provvedimenti per il movimento di truppe verso il confine austriaco tanto in Jugoslavia che in Cecoslovacchia.

Gli osservo che a noi questo non risulta. Soltanto in Jugoslavia si sarebbero date delle disposizioni di carattere del tutto generico, ma non sarebbe stato mosso neanche un uomo.

Il Governo ungherese è ad ogni modo di opinione che se succedessero delle complicazioni e le truppe italiane entrassero nel territorio austriaco, altrettanto farebbe sia la Jugoslavia che la Cecoslovacchia.

ALLEGATO

Après son premier entretien avec M. Tatarescu M. IIIimescu, Sous-Secrétaire d'Etat de l'Aviation, et le Général Commandant Supérieur des Forces Aériennes, le Général Denain a rapporté au Gouvernement français que les Roumains ont été beaucoup plus préparés que les Français memes à la conclusion d'un accord engageant explicitement les deux Gouvernements.

M. Tatarescu et M. Irimescu ont posé des questions très nettes sur les possibilités d'une aotion commune en cas de conflit entre les aviations des deux Pays. Le Général Denain a répondu que le Gouvernement français entier devrait etre saisi de cette question. Il a ajouté que le rayon d'action des escadrilles de bombardement françaises ne dépasse pas Vienne, d'après le pian de la mobilisation de la région et la base de Dijon.

Les Ministres roumains désirent l'appui technique et financier de la France pour l'accroissement de leur aviation. Ils veulent renforcer leur frontdère russe par la création d'une escadrille d'hydroavions dans la Mer Noire, cette escadrille comprenant un navire porte-avions qui permettrait d'atteindre les ports les plus éloignés de cette mer.

Le Général Denain a proposé à ses interlocuteurs de s'adresser au Général Barès, Chef d'Etat Major Général de l'Armée de l'Air qui étudd.era les problèmes envisagés avec son collègue roumam.

657

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1218/526. Terapia, 6 agosto 1934.

In vista dell'inizio della missione del nuovo Ambasciatore di Turchia a Roma, Hussein Ragip bey, è forse opportuno farsi un'idea di ciò che il Governo Turco si attende da lui.

Premetto che Vassif bey, che ho veduto lungamente in questi ultimi giorni, partirà direttamente per la Russia senza passare da Roma, né per ritirare la sua roba né per presentare le lettere di richiamo. In questo divieto di toccare Roma risiede la parte più dura del p~ovvedimento che lo riguarda; egli, con una certa amarezza, ha detto che lo si tratta come un ragazzo a cui si voglia togliere dal cuore una passione.

A parte questo spunto disciplinare, il significato del cambiamento dell'Ambasciatore turco a Roma è questo: controllare, per mezzo di un osservatore notoriamente calmo e ponderato come è il nuovo Ambasciatore, quale sia il vero pensiero dell'Italia nei riguardi della Turchia.

Il Governo di Ankara si trova in presenza di dichiarazioni che provengono:

a) dal Capo del Governo Italiano (assicurazioni di V. E. a Vassif bey) (l);

b) dall'Ambasciatore d'Italia ad Ankara (mio colloquio con Ismet Fascià) (2);

c) dall'Ambasciatore di Turchia a Roma.

Queste tre fonti sono perfettamente concordi; il che è nell'ordine più naturale delle cose per quello che riguarda la subordinata azione dell'Ambasciatore d'Italia nell'interpretare lo spirito ed i limiti degli intendimenti di V. E. Non altrettanto naturale sembra al Governo Turco che il proprio Ambasciatore a Roma si sia reso sempre solidale con le idee del Governo Fascista; di guisa che può essere sorto qui il dubbio che Vassif bey, uomo di slancio e di prima impressione, capace di lasciarsi trascinare dal sentimento e dalle inclinazioni, abbia finito con essere un osservatore suggestionato che credeva di vedere ciò che il suo animo era disposto a vedere.

La scelta di Hussein Raghib bey, carattere freddo, senza prevenzioni né pro né contro, ragionatore acuto e sistematico, sembra indicare che il Governo Turco intende sottoporre a controllo tutte le affermazioni di Vassif bey sullo spirito del Governo Italiano nei riguardi della Turchia e sopratutto sul fondamento della asserita mancanza di ogni intenzione dell'Italia a cercare una espansione in Anatolia.

Se realmente Hussein Raghib bey è quell'attento indagatore che si dice, non gli sarà difficile rassicurare il suo Governo e dare all'opera del suo pre

decessore la conferma di un secondo e più severo giudizio. Il vaglio a cui codesta Ambasciata di Turchia si accinge attraverso la missione del suo nuovo titolare non ha nulla che possa preoccuparci o che debba provocare atteggiamenti di persuasione da parte nostra che apparirebbero tanto più inopportuni quanto meno richiesti. Ciò che importa però è che le prime sensazioni di Hussein Raghib siano le più serene possibili: quelle di trovarsi in un paese la cui missione nel mondo è ben più alta che quella di andare contro alla Turchia o -ancor meno -dietro alla Turchia. Riservandogli una accoglienza protocollare del tutto cortese e deferente, e !asciandogli il tempo di ambientarsi vuoi spontaneamente e vuoi con nostra benevola assistenza, nel clima fascista, si dovrebbe dargli la possibilità di studiare quali sono i veri problemi dell'Italia nell'Europa e nel Mediterraneo, prima di metterlo alle prese col problema italaturco. Il quale, singolarmente considerato, non sarebbe rassicurante per la Turchia; ma, nel giuoco della più vasta politica europea e nell'intendimento che noi abbiamo di conservarci libero il passaggio degli Stretti e di fare del Mediterraneo Orientale un'oasi di tranquillità alle nostre spalle, finisce con essere nella realtà un problema non privo di possibili compromessi adattabili alla dottrina turca della sicurezza basata sull'equilibrio e sulla neutralità.

Ripeto che a queste conclusioni l'Ambasciatore turco potrà venire non attraverso il problema isolato italo-turco, ma attraverso il problema dell'Italia nel mondo.

(l) -Nel colloquio Mussolini-Vassif bey di cui non si è trovato il verbale. (2) -Cfr. n. 302.
658

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (l)

L. P. (2), 6 agosto 1934

Ho riflettuto nuovamente sul telegramma di Vitetti: conversazione con Vansittart (3), e devo in coscienza confermal.'e che non seguendo il suggerimento inglese indeboliremmo la nostra posizione. Questo a parte altre ragioni mi spinge a sottoporti la convenienza di consigliare in ogni caso a Vienna di soprassedere al gradimento.

Avrai avuto i due schemi di accordo (4). Non saprei abbastanza -seppure molto subordinatamente -raccomandare il secondo. Avremo l'adesione francese e certo -se non l'adesione -· la benedizione inglese; mentre il primo cì metterà contro tutti, e innanzi tutto la Germania. Per questo, pur senza citare il trattato di arbitrato itala-tedesco -secondo il tuo suggerimento -ne ho aUegato copia al mio «Appunto »

Scusa questa lettera affrettata...

ALLEGATO

Il Governo Austliaco fermamente deciso a mantenere l'indipendenza e l'integrità dello Stato Austriaco contro qualsiasi minaccia esterna e interna e a non tollerare movimenti o azioni che siano diretti contro l'ordine costituito o possano turbare la situazione politica in Austria;

il Governo Italiano pienamente convinto che l'indipendenza e l'integrità dello Stato Austriaco -solennemente sancita da impegni internazionali e riaffermata da ultimo nella Dichiarazione del 17 febbraio 1934 -è elemento indispensabile di equilibrio e per la vicostruzione dell'Europa;

animati entrambi dal proposito di concorrere in modo effettivo al rispetto degli obblighi assunti, e nello spirito del 'I'rattato di Amicizia itala-austriaco e de~ Protocollo del 27 marzo 1934;

hanno convenuto quanto segue: Il Governo Italiano si impegna a non tollerare movimenti o azioni che sianc diretti contro l'ordine costituito in Austria o possano turbare la situazione politica dell'Austria; il Governo Italiano garentisce l'indipendenza e l'integrità dello Stato Austriacu. e nel caso in cui l'indipendenza e l'integrità dell'Austria fossero minacciate a giudizio del Governo Austriaco, o violate, esso si impegna coi mezzi che appariranno più idonei allo scopo compresi quelli di ordine militare a dare l'appoggio necessario per la salvaguardia dell'indipendenza e dell'integrità dell'Austria. Il presente Accordo è aperto all'adesione di altri Stati.

(l) -Autografa. (2) -Il luogo di partenza non è indicato. La lettera è scritta su carta intestata <<R. Incrociatore Bolzano. Il Comandante». (3) -Cfr. n. 650. (4) -Il primo schema è presumibilmente quello che si pubblica in allegato. Il secondo schema non si è trovato.
659

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Vienna, 6 agosto 1934.

Lunedì scorso Starhemberg ebbe a confidarmi che stava espletando personali e segrete indagini per ben stabilire l'atteggiamento e la condotta del Fey nei recenti avvenimenti. Avant'ieri egli mi disse che nulla gli era risultato di positivo; ma che, nel giudicare le persone, v'ha sempre -oltre i fatti -un lato imponderabile, rappresentato dal comportamento, dalla sensibilità, dal gesto; qualità queste, che sembravano aver fatto difetto nel diportamento generale del Fey, nel tremendo pomeriggio del 25 luglio, all'interno del Ballplatz.

Lo spiegabile ritegno dello Starhemberg non è stato meco osservato da un suo amicissimo austriaco, che sovente mi ha dato informazioni di delicata natura. Questa persona, venutami a vedere giovedì scorso, mi ha confidato di aver esaminato dappresso, insieme con lo Starhemberg, la posizione del Fey, e di aver riscontrate strane risultanze e concomitanze, che mi ha poi accennate: (fra l'altro, la circostanza che, in seguito alla denuncia di un imminente putsch, mentre veniva chiuso il portone del Ministero della Sicurezza, era trascurata analoga elementare misura per il Ballplatz; l'improvvisa partenza della moglie del Fey, avvenuta il martedì 24 da un luogo di villeggiatura in Carinzia -dove il marito si era appositamente recato ìn aeroplano da Vienna -alla volta di Venezia: donde il sospetto che essa abbia potuto essere incaricata di trasportare colà in tutta fretta documenti riservati, ecc.).

Ho mantenuto con detto mio interlocutore un assoluto riserbo. Egli ha tuttavia aggiunto che lo Starhemberg, impressionato dagli stretti vincoli di amicizia intercedenti tra il Fey ed il Neustaedter-Sttirmer, penserebbe, nel suo segreto, di inviare quest'ultimo a Roma, quale successore di Rintelen; e ciò, sia per togliere al Fey un sicuro appoggio, e sia per dare al Neustaedter-Sturmer il modo di ravvP.dP.rsi nP.l sano ambiente di Roma.

A tale ultimo riguardo devo però aggiungere che avant'ieri, nella mia anzidetta conversazione, avendo fatto cadere il discorso sul Neustaedter-Sturmer ed accennato al buon lavoro da lui compiuto per la riforma costituzionale, Starhemberg non solo assentì, ma fece i di lui elogi per la condotta tenuta negli avvenimenti del 25. Rilevò che in quel pomeriggio, mentre i Ministri cristiano-sociali si erano perduti d'animo alle prime preoccupanti notizie, il Neustaedter-Sttirmer aveva invece così vivamente rincuorato gli animi, che i suoi colleghi avevano creduto di dargli l'incarico di trattare la resa dei ribelli, mettendosi all'uopo in comunicazione con l'imprigionato Fey.

Questa versione dello Starhemberg differisce di molto da quella datami dall'anzidetta persona, benché sua amicissima. Suppongo che lo Starhemberg abbia sopratutto cercato di non pregiudicare comechessia la posizione del Neustaedter-Sttirmer, e ciò pel caso in cui il suo Governo decida effettivamente di destinarlo a Roma.

Ho creduto mio dovere di chiarire a V. E. tutto quanto precede, anche perché risulti l'atmosfera di sospetti, determinatasi dopo la tragedia del 25, e la speciale circospezione e lo stretto riserbo che ancora maggiormente sono qui consigliati dalle attuali circostanze.

660

IL CAPO GABINETI'O DEL MINISTRO DELLA MARINA, CAMPIONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

N. 488. Roma, 6 agosto 1934.

Si rimette per uso dell'Ufficio S.I.!. di codesto Dicastero una copia del rapporto compilato dal Comandante Raineri Biscia al ritorno dalla recente missione compiuta a Londra, circa le questioni da contemplarsi nelle conversazioni preliminari della Conferenza Navale prevista per il 1935.

ALLEGATO

RAINERI BISCIA A CAMPIONI

N. 485. Roma, 4 agosto 1934.

In merito alla missione in argomento, riferisco all'E. V. quanto segue:

Il 30 luglio alle ore 11, unitamente al Comm. Vitetti, Incaricato di Affart ed al Comandante Capponi, Addetto Navale, mi sono recato al Foreign Office ove era stato predisposto l'incontro con i rappresentanti inglesi.

Erano presenti il Sig. Craigi.e, Consigliere d'Ambasciata e consulente del Ministro degli Esteri per gli Affari del disarmo, il Contrammiraglio Bellairs, Capo dell'Ufficio

S.d.N. dell'Ammiragliato, ed il Capitano di Vascello Danckwerts, Viice direttore del· l'Ufficio piani di guerra. Era pure presente il Capitano di Fregata Clarke dell'Ammiragliato che ha disimpegnato le funzioni di Segretario.

Appena iniziata la seduta, il Comm. Vitetti ha preso la parola per riassumere la ragione della presenza di un esperto nava;le italiano, prec,isando nuovamente che la missione del Comandante Raineri era puramente informativa. Il Comm. Vitetti ha aggiunto che, dal punto di vista politico, egli non aveva nulla da dire e che, dopo fatta la dichiarazione in atto, avrebbe lasciata la seduta.

Il Sig. Craigie ha preso qu1ndi la presldenza della riunione ed è subito entrato in argomento. Il Sig. Craigie ha proposto di svolgere il seguente programma:

1° -questioni di procedura;

2° -questioni qualitative;

so -questioni quantitative.

Dato il carattere non impegnativo delle conversazioni, il sottoscritto ha aderito a tale programma.

a) Nazioni partecipanti alle conversazioni.

L'idea inglese era queUa di procedere, come è noto, a conversazioni bilaterali fra le 5 Potenze firmatarie dei Trattati navali in vigore; esaurito tale programma si sarebbe dovuto passare ad una conferenza preliminare delle 5 Potenze ed in seguito ad una conferenza genemle comprendente tutte le potenze marittime del mondo.

La delegazione francese ha però fatto presente durante la sua visita a Londra che non riteneva possibile partecipare con utilità ad una conferenza preliminare delle 5 Potenze firmatarie se si era completamente all'oscuro circa le idee e le domande di altre potenze ('ad esempio, la Germania).

Come conseguenza di tale rilievo Craigie propone ora la seguente procedura:

1° stadio -conversazioni bilaterali fra le 5 Potenze firmatarie (Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Francia, Italia 2° stadio -conversazioni bilaterali con rappresentanti di altre Potenze. so stadio -riunione preliminare delle 5 potenze (Preliminary Meeting).

N. B. -Questa riunione preliminare sarebbe ristretta a 5 Potenze per ragioni di praticità. La Francia ha aderito a tale nuova soluzione, ma ha insistito a ché si adottasse la parola riunione anziché quella di conferenza desiderando dare il nome di conferenza soltanto a quella Generale contemplata nel 4° stadio.

4° stadio -Conferenza generale di tutte le Potenze navali se il so stadio darà un risultato felice.

Ho fatto presente al Sig. Craigie che ritenevo che da parte del R. Governo non vi sarebbero state difficoltà per accettare la procedura suggerita.

Ho confermato che la delegazione italiana per le conversazioni bilaterali verrà a Londra verso la fine di settembre o ai primi di ottobre ed ho aggiunto che ritenevo pratico che l'incontro suddetto avvenisse dopo ultimato l'incontro fra la delegazione inglese e quella giapponese; ciò allo scopo di poter discutere alla luce delle proposte che il Governo nipponico porterà a Londra, proposte tuttora molto vaghe e imprecisate.

Il Sig. Cvaigie e gli esperti navali inglesi hanno riconosciuto l'utilità che le conversazioni si svolgano nell'ordine suddetto. Il Sig. Craigie si è però riservato di far conoscere a suo tempo a Roma quale sarà la data che proporrà al R. Governo in base alla data di arrivo dei giapponesi onde conseguire l'intento che le conversazioni non si sovrappongano o che non si svolgano a data troppo avanzata n~'l caso che i giapponesi arrivassero alla fine di ottobre.

b) Data relativa alla riunione delle 5 Potenze.

La Gran Bretagna preferirebbe che la riunione avesse luogo nel gennaio 1935. Ragioni: avere abbastanza tempo per la compilazione dei piani e l'esecuzione dei disegni delle navi che dovranno rimpiazzare quelle antiquate; cercare che la riunione non si svolga contemporaneamente al giubileo relativo ai 25 anni di regno di

S. M. Giorgio V; sistemare l'ingranaggio necessario per un pratico svolgimento delle conversazioni senza che l'organizzazione si trovi efficiente ad una data troppo avanzata nell'anno 1935.

Il Giappone (per ragiorn relative al suo Parlamento) vorrebbe che la riunione avvenisse in aprile 1935. Gli Stati Uniti non la vorrebbero prima di giugno 1935 (ciò perché il Congresso generalmente si scioglie a tale epoca).

La Francia sarebbe d'accordo per il gennaio 1935.

Il Sig. Craigie ha aggiunto che, qualora non sia possibile accordarsi sul mese di

gennaio, spera che tutti aderiscano ad una Riunione da effettuarsi dopo la Pasqua. Attenendomi alle istruzioni ricevute, ho detto di ritenere che da parte del nostro Paese non vi siano preferenze circa la data per la Riunione preliminare.

c) Località ove tenere la riunione delle 5 Potenze.

Il Sig. Craigie comunica che il Giappone non desidera che la riunione abbia luogo né a Washington n~ a Londra. Il Giappone pre.terisce Parigi ed esclude Tokio.

Gli Stati Uniti propendono per Londra con l'esclusione di Washington.

La Francia non desidera Parigi.

La Gran Bretagna non esprime parere ma dice che se non si sceglierà Londra opterebbe per una località vicina a Londra per ragioni di praticità.

Craigrie osserva che tenendo la riunione in una capitale vi è il vantaggio che le conversazioni vengano spinte da personalità politiche presenti sul posto, il che non si verifica per le piccole località.

Su tale argomento dichiaro che è a mia conoscenza che a Roma si preferisce che la riunione avvenga in Europa ma che si è indifferenti nei riguardi della località che verrà prescelta. Non si è accennato a Roma. Ho lasciato quindi le cose completamente impregiudicate.

Nei riguardi delle conversazioni bilaterali con Potenze non firmatarie dei trattati in vigore il Sig. Craigie spiega che durante tali incontri si potranno fare delle precisazioni sopra le idee e le domande che tali Potenze avanzeranno. Craigie aggiunge che il Governo inglese ha preso la determinazione di fare conoscere in modo chiaro al Governo Germanico che esso verrà chiamato a tali conversazioni senza alcun pregiudizio del Trattato di Versailles dal quale Trattato il Governo tedesco deve considerarsi sempre legato finché non ne venga liberato dai firmatari.

Il Sig. Craigie aggiunge che egli ritiene desiderabile che anche in Italia si facciano previsioni di quanto si potrebbe logicamente accordare alla Marina tedesca; la delegazione che si reca a Londra nel mese di ottobre farebbe cosa grata al Governo inglese qualora per tale epoca potesse esprimere il pensiero del R. Governo su tale argomento.

Ho detto al Sig. Oraigie che avrei riferito a Roma tale desiderio del Governo Inglese.

Il Comandante Danckwerts ricorda la questione relativa all'assegnazione alla Germania di 6 oppure di 8 navi di linea; questione che non risulta tassativamente chiara dal testo del trattato e sulla quale vi è disparità di vedute fra il punto di vista tedesco e quello francese.

Ho osservato che si conosce l'esistenza di tale controversia senza peraltro esprimersi nei riguardi del pensiero che su t8Je questione le Autorità italiane hanno presentemente fissato.

2° -QUESTIONI QUALITATIVE.

Prima che il Sig. Craigie apra la discussione sulle limitazioni qualitative, prendo la parola per dichiarare che non ho autorità per discutere la questione delle nuove navi da battaglia decretate dal R. Governo.

Il Sig. Craigie prende atto e dichiara di aver ricevuto soltanto un telegramma che annuncia il punto di vista italiano su tale questione. Informa che attende da un momento all'altro la nota verbale rimessa all'Ambasciatore britannico a Roma (1). Aggiunge che si limiterà a esporre il punto di vista inglese sulla futura nave da battaglia. A seduta ultimata ed in forma esclusivamente privata pregherà il sottoscritto di ascoltare alcuni rilievi da parte inglese sulla questione dei 35.000.

Circa le navi da battaglia del futuro, Craigie dice che la Gran Bretagna propone navi da 25.000 tonn. armate con cannoni da 12 pollici. A Ginevra la Gran Bretagna aveva proposte navi da 22.500 tonn. armate con cannoni da 11 pollici. Ma tale proposta doveva intendersi abbinata all'abolizione degli incrociatori da 10.000 tonn. Siccome però questi incrociatori solcheranno ancora per molto tempo i mari del mondo, tale proposta non può essere ripresentata.

Circa gli Stati Uniti Craigie dice che essi preferiscono grandi navi da battaglia, ma egli non esclude la possibilità che essi ammettano una certa riduzione del dislocamento e del calibro. La questione non è stata approfondita nelle conversazioni anglo-americane e su tale argomento non esiste alcuna dichiarazione ufficiale che impegni gli Stati Uniti.

La Gran Bretagna spera in una riduzione per ragioni . economiche.

n Comandante Danckwerts dichiara che ritiene probabile che gli Stati Uniti accettino di ridurre il calibro a 14 inch. Tale calibro sarebbe accettato altresì dal Giappone.

Il Sig. Graigie dice di ritenere che i Giapponesi accetterebbero la nave da battaglia da 25.000 tonn. con cannoni da 14 inch. La Gran Bretagna però ritiene che per il dislocamento di 25.000 tonn. il calibro di 14 inch. sia troppo elevato.

Il Sig. Craigie dice di avere l'impressione che i Francesi accetterebbero navi da battaglia da 25.000 tonn. con cannoni da 12 pollici.

Il Comandante Danckwerts riferisce che con gli esperti americani sono stati discussi i vantaggi e gli svantaggi delle navi da 35.000 e da 25.000. Si è giunti alla conclusione che era meglio una moderna 25.000 che una vecchia 35.000.

La Gran Bretagna ritiene che la nave da battaglia deve essere decisamente superiore all'incrociatore da battaglia da 10.000 e che a tale fine il calibro di 12 pollici è suffìiciente; dato il calibro se ne deduce come conseguenza il diSilocamento di 25.000 tonnellate.

. L'Ammiraglio Bellairs mi chiede se posso dire qualche cosa sull'atteggiamento italiano per le navi di Unea del futuro.

Ho risposto che ritengo che l'Italia sia disposta a delle riduzioni. Nel caso che il tonnellaggio unitario del futuro fosse inferiore a 26.500 ritenevo che si sarebbe dovuto tener conto nei riguardi dell'Italia dell'esistenza dei due Dunkerque francesi.

In linea di massima ho detto che l'Italia era disposta a rinnovare le clausole del Trattato di Washington e che pure in linea di massima avrebbe mantenute le proposte incluse nel memorandum del 19 febbraio del 1930.

Prima di passare all'esame delle ,altre categorie ho adempiuto l'altro ordine impartitomi (2) cioè quello di comunicare che l'esame di ogni punto deve intendersi coperto dalla riserva generale che l'accordo finale deve riflettere tutto l'insieme della futura convenzione e non un dato punto preso isolatamente.

Craigie ha soggiunto che il punto di vista inglese era identico.

Navi porta-aerei.

Il Comandante Danckwerts, dietro richiesta di Craigie, riassume la posizione nei riguardi delle navi porta-aerei.

(2\ Cfr. n. 560.

La Gran Bretagna ritiene eccessive quelle superiori a 22.000 tonn.

Propone quindi tale tonnellaggio di 22.000 come dislocamento unitario massimo e, come armamento, il cannone di 5,1 pollici, che è H massimo accordato ai CC.TT. In pratica però la Gran Bretagna adotterà cannoni di 4,7 pollici (120 mm.).

Il Sig. Craigie afferma che anche la Francia e gli Stati Uniti hanno, se pure non ufficialmente, aderito al dislocamento di 22.000 ed al calibro massimo di 5,1 pollici. Richiesto del punto di vista italiano ho risposto di ritenere che dal punto di vista del tonnellaggio massimo unitario non vi sarebbe forse stata difficoltà; ad ogni modo la questione rimaneva impregiudicata essendo, come per tutte le altre, devoluta alla Commissione che verrà a Londra nel mese di ottobre; ho aggiunto che la questione del calibro dei cannoni costitutiva una novità importante che mi riservavo riferire alle Superiori Autorità al ritorno a Roma.

Incrociatori da 10.000 tonnellate armati con cannoni da 8 pollici. Grossi incrociatoriJ armati col cannone di 6 pollici.

Il Comandante Danckwerts dice: «La Gran Bretagna non vorrebbe più costruire incrociatori da 10.000 tonn. armati col cannone da 8 pollici (203). L'Inghilterra desidererebbe che i nuovi incrociatori fossero armati col cannone da 6 pollici. Così pure avrebbe desiderato diminuire attorno alle 7.000 tonnellate il dislocamento dei nuovi incrociatori. Per questo ha costruito il tipo Leander. Ma il Giappone ha deciso di costruire incr. di 8.500 tonnellate armati con 15 cannoni da 6 pollici. Gli Stati Uniti hanno risposto votando 10 incr. da 10.000 tonn. armati con un forte numero di cannoni da 6 pollici. Di fronte a tale situazione la Gran Bretagna è stata obbligata a modificare il suo programma del 1934 includendovi incrociatori da 9.000 tonn. circa, armati con un notevole numero di pezzi da 6 pollici. Ne costruirà dieci. Si raggiunge così la cifra di 26 incrociatori di tonnellaggio superiore a 8.500 e armati col 6 ». Malgrado ciò, la Gran Bretagna spera limitare in futuro questi grossi incrociatori armati con cannoni da 6 pollici e dopo costruite le 26 unità sopra indicate l'Inghilterra spera che il tonnellaggio degli incrociatori futuri venga fissato attorno alle

7.000 tonnellate.

Richiesto dell'opinione italiana circa gli incrociatori da 10.000 armati da 203 rispondo che la dichiarazione fatta dal Comandante Danckwerts costituisce una novità importante che mi riservo di segnalare a Roma. Perciò non posso dare nessun ragguaglio circa il futuro atteggiamento dell'Italia . nei riguardi degli incrociatori da 10.000 armati con 203.

n Sig. Craigie interviene dicendo che la Froncia non costrud.rebbe incrociatori da 9.000 armati con cannoni da 6 pollici se tali unità fossero costruite soltanto dalle Potenze oceaniche, cioè Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone.

Categoria unica comprendente gli incrociatori armati col cannone da 6 pollici ed i CC.TT.

L'Ammiraglio Bellairs ricorda che in passato fra i tentativi di un accordo italafrancese venne incluso quello di considerare in un'unica categoria gli incrociatori armati col cannone da 6 pollici ed i CC.TT.

Mi domanda l'idea dell'Italia su tale punto. Rispondo che personalmente ritengo che la elasticità permessa da tale principio potrebbe eventualmente concorrere per far raggiungere un accordo.

Cacciatorpediniere.

Per questa categoria Craigie dichiara che la Gran Bretagna è pronta a riproporre le stesse limitazioni previste dal Trattato di Londra. Cioè per il 16 % del tonnellaggio totale unità da 1.850 tonn. e cannoni da 5,1; per il restante tonnellaggio unità da

1.500 al massimo. Nessun altro dato viene fornito in merito a tale tipo di unità.

Sommergibili.

Il Comandante Danckwerts domanda se l'Italia è sempre fautrice dell'abolizione contemporanea dei sommergibili e delle navi da battaglia.

Rispondo che tale principio è contenuto nel memorandum del 19 febbraio del 1930.

Il Sig. Craigie domanda se l'Italia si opporrebbe alla abolizione dei sommergibili qualora tutti fossero d'accordo di abolirli senza abolire le navi da battaglia.

Rispondo riierendomi al principio contenuto nel Memorandum e ricordando che la Delegazione che verrà a Londra nel mese di ottobre sarà quella qualificata per rispondere in merito a tale quesito.

Il Comandante Danckwerts dice che l'Inghilterra proporrà di ridurre il dislocamento dei sommergibili a 250 tonnellate rendendo i.à sommergibile un'unità di difesa e non di offesa. Se ciò non verrà accettato l'Inghilterra proporrà di mantenere il limite massimo a 2.000 tonnellate come stabilito nel Trattato di Londra.

Richiesto del punto di vista dell'Italia rispondo di ritenere che lo Stato Maggiore considera possibile una limitazione attorno alle 1.400 tonnellate.

Craigie osserva che secondo il pensiero inglese se si debbono mantenere grossi sommergibili occorre che abbiano tutte le qualità per un ottimo impiego in tutti i mari e che a tale fine si ritiene che il tonnellaggio di 2.uoo sia il più conveniente.

Naviglio esente.

Il Sig. Craigie domanda se l'Italia chiederà di ridurre al disotto di 600 tonnellate il tonnellaggio limite delle navi esenti.

Rispondo che farò presente il quesito a Roma.

Il Comandante Danckwerts dichiara che la Gran Bretagna aderirebbe ad un limite pm basso di quello attuale ma osserva che il Giappone ha delle torpediniere appena superiori alle 500.

Si sospende la seduta antimeridiana (ore 13).

Si conviene di continuare lo scambio di informazioni alle ore 15.

SEDUTA POMERIDIANA

3° -QUESTIONI QUANTITATIVE. Aperta la seduta il Sig. Craigie informa di essere in possesso della nota verbale diretta dall'Italia all'Ambasciatore britannico a Roma. Il documento però viene messo in disparte e Craigie dichiara che lo leggerà a seduta ultimata. Il Sig. Craigie sull'argomento della limitazione quantitativa chiede al Comandante Raineri se può esprimere con una cifra globale la richiesta che corrisponderebbe ai bisogni dell'Italia. Craigie conosce che l'Italia desidera la parità con la Francia ma vorrebbe sapere se si è ol1ientata attorno ad una cifra che corrisponda ai suoi desiderata. Ricordo la tesi fondamentale di S. E. il Capo del Governo in merito alla riduzione degli armamenti. Per conseguenza dichiaro che non sono autorizzato ad esprimere alcun dato numerico. Ricordo che dal punto di vista proporzionale ho istruzioni di dire che l'Italia è pronta a prolungare il Trattato di Washington che appunto consacra la parità con la Nazione continentale più armata. La questione quantitativa è strettamente legata al principio della relatività. n Comandante Danckwerts domanda la parola per esprimere delle sue idee circa l'esistenza di bisogni assoluti e bisogni relativi. Ritenendo esplicita, precisa ed inattaccabile la esposizione già fatta non rispondo al Comandante Danckwerts. Il Sig. Craigie chiede se a prescindere dalla Potenza continentale più armata l'Italia ha preso in considerazione anche altre Potenze. Rispondo che non ignoro che la stampa ha pubblicato delle notizie secondo le quali alcuni Paesi vorrebbero commisurare le proprie forze alla somma delle forze possedute da più Paesi. A parte la non ufficiosità di tali notizie, la questione è di forte

sapore politico ed esorbita quindi dal mandato avuto. Osservo però che se si entra in tale ordine di idee anche i principì sostenuti in passato potrebbero subire delle varianti imposte da nuove situazioni.

Il Comandante Danckwerts avanza l'ipotesi di una Germania non più legata dal Trattato di Versailles e di un aumento della Flotta Russa e domanda se anche in tal caso l'Italia manterrebbe inalterato il principio della parità con la Potenza continentale più armata.

Rispondo riconfermando che tali tesi sono strettamente legate a situazioni politiche e quindi la loro discussione esorbita dal mio mandato. Non vi è dubbio che ad ogni situazione deve corrispondere uno studio ed un atteggiamento che salvaguardi gli interessi dei vari Paesi.

A questo punto Craigie osserva che se la tesi sostenuta dall'Italia sarà di massima identica a quella sostenuta durante le trattative del Trattato di Londra del 1930, non vi sono molte speranze di raggiungere una pratiCa soluzione. Aggiunge che spera che l'Italia vorrà esaminare le ripercussioni che potrebbero avere sulla sua posizione e suoi principì un aumento della flotta germanica e della flotta russa, e quali sarebbero, in particolare, quegli aumenti che non modificherebbero l'atteggiamento italiano.

Dichiaro che esporrò tali quesiti a Roma. L'Ammiraglio Bellairs domanda al Comandante Raineri se ha notizie circa il riarmo della Germania. Rispondo che nei diversi memorandum presentati allo scopo di raggiungere un accordo sugli armamenti la questione navale è stata rimessa in blocco alla Conferenza prevista nel 1935. D'altra parte al pari dell'Inghilterra, l'Italia era al corrente delle idee tedesche sulla politica navale che il Reich avrebbe seguita fino al 1936: cioè accettazione del numero fissato dal Trattato di Versailles salvo l'eguaglianza di diritto a migliorare a suo favore i tonnellaggi unitari. Il Sig. Craigie vorrebbe conoscere il punto di vista italiano circa i tonnellaggi quantitativi per le Marine minori del Mediterraneo. Rispondo che il Governo Italiano è in possesso dei dati che a suo tempo furono presentati a Ginevra, dati che sono aperti alla discussione e quindi soggetti a risentire l'influenza degli sforzi che si faranno per il raggiungimento di un accordo generale. Il rapporto del Relatore Sig. Moresco è stato esaminato wn attenzione. Si passa quindi all'esame della:

Quantità per ciascuna categoria.

Il Sig. Craigie afferma che la Gran Bretagna domanderà di mantenere 15 navi da battaglia. La questione dei rimpiazzi verrà esaminata. Cioè tali 15 navi potrebbero essere in parte under-age ed in parte over-age.

Gli Stati Uniti sono d'accordo su tale punto. Craigie osserva che Stati Uniti, Francia, Giappone, Italia, Gran Bretagna sono d'accordo sull'età massima delle navi da battaglia (26 anni). Circa gli incrociatori, Craigie osserva che la Gran Bretagna deve aumentare il

loro tonnellaggio unitario che in passato si aggirava attorno alle 5.000 tonnellate. Per questo motivo, anche a prescindere dal numero, il tonnellaggio globale degli incrociatori armati con 6 pollici necessario aJl'Inghilterra subirà un aumento. (Ora è fissato a

192.200 tonn.).

Circa il numero, esso verrà discusso cogli Stati Uniti e col Giappone, ma la Gran Bretagna preferisce non legarsi. L'Inghilterra ha bisogno di circa 70 incrociatori, di cui probabilmente 60 entro i limiti di età e 10 over-age. Il Comandante Danckwerts nota che gli Stati Uniti cominciano ad apprezzare l'utilità degli incrociatori tipo Omaha (7.050 T.). Confida quindi che tali 10 incrociatori verranno rimpiazzati con altrettanti 7.000 e non con 10.000. Ciò non è ufficialmente dichiarato ma l'Ammiraglio Leigh ha accennato a questa possibilità.

Nelle trattative, come è stato detto, la Gran Bretagna non aderirà a fissare il numero degli incrociatori, ma accetterà la limitazione del tonnellaggio globale.

49 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Secondo Craigie, la Francia sarebbe pronta ad accettare per il futuro il tonnellaggio globale che possiede oggi nella categoria incrociatori (154.000 fra under-age ed in costruzione, 48.835 over-age).

Cacciatorpediniere.

Il Sig. Cl'aigie dice: L'Inghilterra accetta la cifra di 150.000 per i CC.TT. purché il tonnellaggio globale dei sommergibili, di ciascuna Potenza, non ecceda le 40.000 tonn. Se i sommergibili saranno aboliti, la Gran Bretagna ridurrebbe il tonnellaggio totale dei CC.TT. a 100.000 tonn.

Se invece il tonnellaggio totale dei sommergibili non sarà ridotto a 40.000 tonn. la Gran Bretagna tratterrà in servizio dei CC.TT. over-age per soprassare la cifra di 150.000 tonn.

Gli Stati Uniti aderiscono, in massima, al principio della tnterdipendenza fra CC.TT. e Sommergibili.

La Francia, dice Craigie, non si proporrebbe di costruire tutto il tonnellaggio di sommergibili previsto dallo statuto navale del 1924. (126.000 tonn., di cui 96.000 di grande e medio tonnellaggio e 30.000 di piccolo tonnellaggio). Non ritiene però che la Francia accetterà grandi riduzioni. Pensa che adopererà i sommergibili per negoziare la ratio delle navi da battagl1a. Pensa che t francesi accetteranno una cifra compresa fra le 70.000 e 80.000 tonnellate di sommergibili.

Il Sig. C!'aigie chiede il pensiero dell'Italia nei riguardi dei sommergibili.

Rispondo che l'Italia ha sempre sostenuto il principio di una eguale quota di naviglio sommergibile per le principali Potenze. Ricordo che tale era pure il pensiero inglese e domando se vi erano ragioni per ammettere tale schiacciante superiorità francese.

Il Comandante Danckwerts si limita rispondere che una volta raggiunta una superiorità in una data direzione è difficile ottenere una rinuncia. Fine delle conversazioni pomeridiane.

Idee inglesi circa le nuove navi da battaglia italiane da 35.000 tonnellate.

Come ho l'iferito in principio del rapporto, ho comunicato ai colleghi inglesi che non era autorizzato a porre tale questione in discussione. Craigie e Bellairs mi hanno detto che dopo sciolta la seduta avrebbero desiderato di dirmi, in forma privata, alcune loro idee sull'argomento.

Alle ore 17,30 del 30 luglio è stata dichiarata chiusa la seduta informativa pomeridiana presso il Foreign Office. I Delegati hanno lasciato il tavolo attorno al quale si erano svolte le discussioni e in altra sede il sign. Craigie ha Ietto la nota verbale diretta dal R. Governo all'Ambasciatore britannico a Roma, nota giunta al Foreign Office in mattinata.

Ho seguito la lettura del testo inglese tenendo sott'occhio il testo italiano.

La traduzione corrispondeva all'originale nella lettera e nello spirito.

Secondo quanto mi ha riferito il Comm. Vitetti, l'Ambasciatore Drummond aveva teLegmfato al Foreign Office che l'Ltalia si era decisa a costl'Wre due nuove navi da

35.000 tonnellate per sollevare la disoccupazione.

La lettura della nota italiana ha, in modo non dubbio, richiamata l'attenzione del sig. Craigie e degli ufficiali di Marina presenti sulla forza delle argomentazioni esposte in modo chiaro ed irrefutabile.

Craigie, a lettura ultimata, ha ripetuto quanto già si conosceva e cioè che la decisione presa dal R. Governo è causa di seria apprensione per il Governo inglese.

Si pensa a Londra che la Francia risponderà ai 35.000 con altri 35.000 e che quindi le supposte buone disposizioni americane per ridurre tonnellaggio e calibro verranno frustrate dalla mossa adottata dal Governo Italiano.

Gli ufficiali inglesi hanno aggiunto che per la parità con la Francia sarebbe stato sufficiente costruire due navi dello stesso valore dei tipi « Dunkerque ». Tutto questo senza mettere in dubbio il positivo diritto dell'Italia ad impostare due 35.000.

Agli argomenti esposti nel memorandum ho aggiunto i seguenti: l) L'Italia per amor di accordarsi su tali problemi, ha perduto un tempo prezioso. 2) Il Trattato di Wa:shington vige tuttora e se non verrà denunciato si protrarrà oltre il 1936. 3) Le regole che verranno adottate per il futuro sono una incognita.

4) Attendere le decisioni della Conferenza del 1935 significherebbe perdere almeno un altro anno in aggiunta a quelli lasciati trascorrere senza utilizzare diritti acquisiti. 5) Visto ciò ineffettuabile, non è possibile per l'Italia investire le proprie risorse

in navi che potrebbero essere :sclassificate prima di nascere. 6) La misura adottata dall'Italia era, occorre riconoscerlo francamente, la sola che qualunque stato conscio della grande importanza di assicurare la difesa nazionale avrebbe adottato nelle presenti contingenze. Il Sig. Craigie ha quindi soggiunto che la questione che preoccupava di più il Governo Inglese era quella del calibro delle arbiglii.erie; Egl.ii. aveva fondate speranze che

tutti gli altri contraenti avrebbero accettato il cannone da 14 pollici. Tale calibro avrebbe indotto ad una riduzione del tonnellaggio con conseguente economia per tutte le Nazioni. Ho osservato che l'Italia pur avendone la facoltà non aveva optato per il calibro massimo, calibro di cui sono armate delle unità che hanno ancora 19 anni di vita.

Si è così ultimato lo scambio di ·idee su questo argomento.

Craigie mi ha chiesto di riferire verbalmente sulla questione del calibro da 14 inches.

Non ho preso su questo punto alcun impegno.

ViSite all'Ammiragliato britannico.

Alle ore 11 del 31 lugHo sono stato ricevuto dal Sottocapo di Stato Maggiore, Vice Ammiraglio Little, all'Ammiragliato britannico.

L'Ammiraglio, dopo una conversazione su argomenti vari, mi ha parlato della questione delle navi da 35.000 tonn. Ha detto che l'Ammiragliato non ha nessuna obiezione da fare circa H tonnellaggio di 35.000 ma che riterrebbe ottima cosa se si potesse, nelle nuove navi italiane, limitare il calibro a 14 pollici. Dato che le navi americane e giapponesi sono in generale armate con tale cannone, l'Ammiragliato ritiene che esso potrebbe essere generalmente adottato con una riduzione del tonnellaggio.

L'Ammiraglio Little ha osservato che tale calibro sarebbe una novità per l'Inghilterra perché essa non lo ha mai adottato. Malgrado questo, la Gran Bretagna sarebbe pronta ad accettarlo.

Secondo l'Ammiraglio Little la nave da battaglia che la Conferenza del 1935 dovrebbe accettare sarebbe quella da 30.000 tonn. armata col cannone da 14 pollici. Tale tonnellaggio starebbe a cavallo fra quello di 25.000, proposto dall'Inghilterra, e quello di 35.000 fissato nei trattati in vigore.

L'Ammiraglio Little in seguito ha ascoltato col più grande interessamento una breve esposizione che gli ho fatto del punto di vista italiano. Egli stesso mi ha poi introdotto dal Pr-imo Lord del Mare, Ammiraglio Sir Ernle Chatfield.

Conosco l'Ammiraglio Chetfield da 15 anni.

L'incontro è stato dei più cordiali. Ho portato all'Ammiraglio i saluti delle alte autorità navali italane che hanno avuto modo di incontrarlo ne·i Comandi che egli ha disimpegnato in Mediterraneo. Eg1i mi ha pregato di contraccambiarli in forma assai calorosa.

Il Primo Lord del Mare non mi ha accennato alla questione delle nav.i da 35.000.

Ho lasciato l'Ammiraglio alle ore 13 per recarmi, alle ore 13,15, all'United Service Club ove l'Ammiraglio Little mi ha offerto una colazione cui erano presenti l'Ammiraglio Bellairs, il Comandante Danckwerts ed il Comandante Capponi.

La colazione si è svolta in forma spiccatamente cordiale. Nell'ambiente dell'United Service Club ho rivisto Ammiragli e Comandanti conosciuti in passato che mi hanno fatto affettuosa accoglienza. Ricordo questo dettaglio perché può servire a daTe un orientamento sull'umore generale della Marina inglese nei riguardi delle importanti questioni che sono sul tappeto. Lo stesso giorno, alle ore 18, l'Ammiraglio Bellairs mi ha invitato all'Hotel Mayfair. Alla riunione è intervenuto l'Ammiraglio Capo del Servizio delle Informazioni.

L'Incaricato d'Affari ha offerto una colazione nella sua bella residenza londinese agli esperti inglesi, al sottoscritto e al Comandante Capponi. H 1° agosto, alle ore 13, l'Ammiraglio Bellairs IIlÌ ha pregato di fare colazione con lui. Ho compreso che scopi dell'incontro erano: l) avere precisi ragguagli del modo come erano fallite le trattative it,alo-francesi dell'ottobre e dicembre 1933; 2) insistere sulla convenienza di adottare il cannone da 14" sulle nuove navJ da 35.000. A tale riguardo mi ha fatto capire che non è improbabile che il Governo inglese risponda alla nota verbale italiana.

Gll ho fatto osservare che non potevo contestare tale diritto ma che per mia par,te, ritenevo inutile la IllOssa, vista la precisa deterlllÌnazione presa dal R. Governo su tale punto. Ho, infine, soggiunto che ritenevo che quanto più presto tale questione fosse stata

sepolta tanto meglio.

Considerazioni.

Da quanto precede e dalle impressioni riportate nei contatti personali, possono farsi alcune deduzioni:

La Gran Bretagna ha aderito al desiderio francese che venga chiarita la politica navale che la Germania intende eseguire prima della riunione preliminare delle 5 Potenze firmatarie dei trattati in vigore.

A tale riguardo, se si ammette che non si siano fatti progressi in tema di conferenza generale del disarmo (Ginevra), non si vede come la Germania possa accedere alle conversazioni nelle quali dovrebbe confessare che la sua politica è quella di non osservare ulteriormente e strettamente le clausole del Trattato di versaìlles.

Se, come ha detto Craìgìe, le conversazioni sono coperte dalla riserva che verrà ammessa la non osservanza del Trattato solo se i firmatari vl acconsentlranno, semora porre dall'inizio una difficoltà grave all'avverarsi dì tali conversazioni.

Sì può osservare, d'altra parte, che la Germania potrebbe prendere rx:casionP. rll!ll'incontro per affermare che non intende più attenersi al Trattato di Pace.

Comunque, ci si può fare la domanda:

Ha l'Inghilterra aderito in massima ad accordare alla Francla un aumento nella flotta nel caso che la Germania non osservi ulteriormente il Trattato di Versailles'l

A questo riguardo, le domande rivolte dal sig. Craigie circa la tendenza ltaHana di fronte alle possibili mosse tedesche sembrano poter far dedurre che qualclle cosa aev<i! essere stato, dì massima, convenuto.

Per il momento risulta, dalle informazioni avute a Londra, che Francia e Inghilterra si sono accordate non solo per l'integrità, fino a nuovo orrune, del Trattato dl Ve.rsailles, ma anche su altri punti di cui l'importanza non può sfuggire.

Cosi, ad esempio, la mancata reazione inglese ad ammettere per la Francia uu tonnellaggio di sommergibili quasi doppio (70.000) di quello che la Gran Bretagna VOI.'rebbe assegnare a se stessa ed agli altri (40.000).

Tale tendenza porta con sé l'altra, pure rilevata, dì una molto più tenue attituàlnt>. verso la tesi dell'abolizione totale dei sommergibili. Non sì può giustificare l'assegnazione dì un'altra quota di sommergibili alla Francia col fatto che lo « Statut N a val» del 1924 prevedeva il possesso, da parte francese di

126.000 tonn. di naviglio subacqueo. La Francia non le ha mai possedute e l'avocarsi diritti con tale procedura costituirebbe un precedente pericoloso in tutte le trattative internazionali.

Sulla questione della parità itala-francese il Sig. Craìgie ha fatto solo l'accenno, contenuto nel corpo del rapporto, che, se le due Potenze rimangono fisse sulle posizioni prese, un accordo nel 1935 sarà assai difficile.

È ovvio ch'io ricordi aver detto al Sig. Craigie che l'Italia non ammette dislivelli di diritto nel problema navale con la Potenza continentale più armata.

Da parte degli Ammiragli inglesi ho notato durante le conversazioni una seria e leale comprensione per la difficHissìma posizione strategica posseduta dall'Italia chiusa nel Mediterraneo.

Le tendenze francofile del Governo inglese sono, in questo momento frutto più di una riflessione che di una inclinazione.

Lo scrivente si trovava a Londra per la missione in argomento allorché il Ministro Baldwin ha fatto l'importante dichiarazione che la frontiera inglese non è più il Canale della Manica ma che essa si trova sul Reno.

Gli avvenimenti della Saar, di Memel, di Danz,ica, del 30 giugno in Germania, del 24 luglio in Austria, hanno prodotto profonda impressione in Inghilterra, che appoggia chiaramente la Francia forse per prevenire, da parte della Germania, un colpo di testa che sarebbe fatale nell'immediato avvenire europeo.

A Londra il senso di acredine verso la Germania si nota nella stampa e nelle persone.

Le recenti determinazioni prese dal Gabinetto britannico in tema di armamenti sono state basate sul pensiero che il concorso alla pace è più valido per quanto una Nazione è più forte.

Baldwin si è lungamente soffermato a spiegare che per far fronte alle obbligazioni interna:<ionali e per costituire un peso potenziale che tenga a bada un aggressore intenzionale, occorre disporre, fin dalla pace, di una forza pronta a colpire che non si può improvvisare al momento della cr:isi.

Tali idee si possono sposare per dedurne ulteriore appoggio alla decisione presa dall'Italia di costruire due grandi navi da baJttaglia a sostegno della sua politica di pace come mezzo per l'adempimento dei suoi obblighi internazionali e per essere apprezzata come amica e come alleata.

l 0 -QUESTIONI DI PROCEDURA.

(l) Cfr. n. 559.

661

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MILIZIA VOLONTARIA PER LA SICUREZZA NAZIONALE, TRADITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

N. 6546. Roma, 6 agosto 1934.

Si trascrive qui di seguito, per doverosa informazione, la segnalazione

n. 1391 del 2 corrente mese pervenuta dal Comando della 45a Legione (Bolzano), circa l'oggetto:

«Com'era logico, gli ultimi gravi avvenimenti austriaci hanno destato profonda impressione in questa provincia, ove, più che altrove, vengono seguiti con ansia, sia nell'ambiente italiano che in quello alloglotta, l'andamento della situazione ed ogni sfumatura delle relazioni internazionali.

Nell'ambiente alloglotta, specialmente, gli avvenimenti trovano le cure di una morbosa attenzione, e vengono accolti e considerati con diverse mentalità, a seconda delle già costituite posizioni mentali delle diverse correnti.

Quella moderata, amante del quieto vivere, senza preconcetti di dottrina politica, ma desiderosa di conservare il ceppo linguistico e le tradizioni culturali (avvocati, professionisti, commercianti, funzionari ex a.u. ecc.), in genere giudica che i fatti infergono un altro grave colpo al mito della disciplina e della " Kultur " tedesca.

Quella aristocratica, legittimista e chiesaiuola (nobili, proprietari, ex ufficiali a.u. in pensione ecc.) che è legata alla grandezza del passato da vincoli di nostalgia asburgica, e che non può e non vuole pensare ad un'Austria come semplice provincia germanica, trova in queste ragioni ideali motivo di aspra riprovazione, per la folle azione nazista, ma, nel contempo, mostra il malcontento nel vedere l'indipendenza dell'Austria affidata alle cure dei fanti italiani.

giovani, invece, che costituiscono una corrente numericamente rilevante e di spirito più nervoso, abilmente lavorati nel passato dall'attiva propaganda nazista, giudicano con simpatia i rivoltosi austriaci e provano un celato sentimento di soddisfazione per la pietosa fine del Cancelliere Dollfuss, cercando di giustificare i fatti come un naturale fenomeno del dinamismo politico nazista, e come tragica conseguenza delle aspirazioni del popolo austriaco.

Un'altra corrente, costituita dagli amorfi e dai pervasi di spirito pratico (contadini, intelletuali convertiti, ecc.), giudica come naturale e circonda di simpatia l'azione energica del Governo italiano, ed apprezza la serenità di tutti gli organi che hanno consentito, col loro esemplare contegno, il regolare funzionamento dei gangli economici della provincia.

Gli albergatori, infine, che guardano le vicende politiche a seconda dei loro interessi particolari, si crogiuolano nella speranza di un maggiore afflusso di forestieri (rifugiati politici, paurosi, malati di nervi, ecc.), e constatano che i loro proventi non sono stati mai così grassi come nell'attuale periodo.

La corrente attiva, quella, cioè, che rivolge le sue simpatie al nazismo e ai terroristi, tenta invano di riguadagnare il terreno perduto, svolgendo tra le anime semplici una celata quanto inefficace e stupida propaganda a base di notizie allarmanti, che, però, non allarmano alcuno ed il cui credito iniziale si dimostra mal riposto col trascorrere dei giorni.

Le principali voci divulgate nella campagna o nella città, a seconda delle mentalità e degli scopi, sono le seguenti:

l) la Francia spingerebbe l'Italia ad un'azzardata avventura, per poter intervenire al momento opportuno e liquidarla col concorso della Jugoslavia;

2) l'Italia riscalderebbe l'ambiente politico internazionale con lo scopo di procedere, appena possibile, all'annessione dell'Austria; 3) si attenderebbe l'invio delle rappresentanze militari francese ed inglese, per procedere all'invasione dell'Austria.

Ma ciò che, finalmente, comincia, con la dimostrazione lapalissiana dei fatti, ad entrare nei crani più o meno imbottiti della popolazione, malgrado la propaganda nazista, la ottusa mentalità politica locale ed i preconcetti della razza, è che ogni speranza circa la " cosidetta libertà del Tirolo Meridionale " è definitivamente perduta. Le affermazioni del Governo italiano, fin'oggi sottovalutate, non lasciano più spiraglio ad alcun dubbio: l'Italia ha presidiato militarmente il confine; l'Italia è decisa, ad ogni costo, non solo a far rispettare l'indipendenza dell'Austria (il che, per questa gente, ha importanza secondaria) ma sopratutto a non mollare l'Alto Adige che rimarrà definitivamente italiano.

L'energica evidenza delle iniziative mussoliniane ha potuto, in pochi giorni, più di qualsiasi annosa e lenta politica di penetrazione.

La quindicina è trascorsa nella più completa calma, senza manifestazioni di gioia o di dolore. Negli alloglotti predomina la perplessità. Le imponenti misure militari hanno raffreddato qualsiasi eventuale iniziativa. Nessun fatto degno di nota si è registrato, ad eccezione di qualche animata discussione fra alloglotti di ~contrastati sentimenti. Il Console Comandante la Legione firmato

O. Olita :~>.

662

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2907/0113 R. Londra, 7 agosto 1934 (per. il 10).

Telegramma di V. E. n. 1022 (1). L'interesse di questo Governo alle vicende del patto di mutua assistenza per l'Europa Orientale mi sembra nel complesso piuttosto scarso. L'accenno che Baldwin ha fatto, nel suo discorso alla camera dei comuni, ai negoziati in corso,

non poteva essere più vago. Vansitta:-t e Sargent, nei colloqui che ho avuto con loro in questi giorni, si sono mostrati non so se più scettici o più indifferenti alle sorti del negoziato. Vansittart, al quale ho fatto cenno di quanto

Leger ha detto al conte Pignatti, mi ha replicato che gli sembrava difficile che la Francia assumesse un atteggiamento così perentorio. È giusto che essa si attenda una risposta dalla Germania, ma non risulta al Foreign Office che essa esiga questa risposta entro un termine fisso e così vicino.

Quanto ai negoziati per un accordo franco-russo il Foreign Office sembra ora preoccuparsene meno. Vansittart mi ha ripetuto che l'Inghilterra si era decisa a raccomandare la conclusione del patto, sopra tutto per distogliere la Francia dalla idea di un'alleanza con la U.R.S.S., alla quale il Governo britannico è avverso. Non vi sono ragioni per ritenere che questo atteggiamento sia cambiato, ma evidentemente il Foreign Office pensa che, ora che Barthou ha potuto rendersi conto di quanto l'opposizione britannica alla alleanza francorussa sia decisa, egli andrà molto più cauto su questa strada.

663

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

TELESPR. RR. 225771/464. Roma, 7 agosto 1934.

Questo Ministero ha esaminato attentamente le proposte che codesto Ministro degli Affari Esteri ha fatto alla S. V. a nome di Re Zog per addivenire alla definizione di tutte le questioni pendenti tra i due Paesì (2).

In linea generale vien fatto di rilevarr-e che mentre le richieste sono quasi tutte ben precisate e alcune così eccessiv da far dubitar, ove non si avesse a che fare con albanesi, del sincero desiderio di giungere ad un accordo, le offerte sono molto vaghe.

Si ritiene tuttavia opportuno non lasciar cadere le proposte fatteci e rispondere in modo da non scoraggiare le buone disposizioni albanesi.

La S. V. vorrà pertanto comunicare a codesto Ministro degli Affari Esten che il Governo Fascista ha preso atto con vivo compiacimento del desiderio manifestato dal Governo albanese di definire tutte le questioni pendenti tra i due Paesi al fine di ristabilire tra essi quelle relazioni cordiali e quella efficace collaborazione che così buoni frutti hanno dato in passato.

Il Governo Fascista che aveva con sincero rammarico visto la recente deviazione da tale cordialità di rapporti e che, a più riprese, si era dichiarato pronto a trattare sol preoccupandosi di creare alle trattative un ambiente favorevole e di iniziare su una base che fosse garanzia di riuscita, coglie l'occasione per riaffermare tale sua disposizione.

Esso sarà perciò grato al Governo albanese qualora vorrà cortesemente fornire sui punti enunciati da codesto Ministro degli Affari Esteri, quali basi per i negoziati, quelle maggiori precisazioni che, in particolar modo per quanto concerne le offerte albanesi, sembrano necessarie per un approfondito esame delle varie questioni.

Per quanto concerne le richieste avanzate da codesto Governo, la S. V. vorrà, evitando per quanto possibile di entrare in particolari, limitarsi a ribadire il concetto che quelle tra esse che appaiono -sia pur con qualche modificazione accettabili, implicano una contropartita non potendosi dar valore di contropartita alle offerte albanesi, come Ella ha già giustamente fatto osservare al Signor Villa (l).

(l) -Cfr. n. 589, nota l. p. 631. (2) -Cfr. n. 555.
664

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 5089/1396. Belgrado, 7 agosto 1934.

Mio telegramma per corriere n. 061 del 4 agosto (2).

Nelle espressioni di simpatia verso l'Italia non si è andato più in là, dopo quanto pubblicato da altri giornali e telegrafato a V. E. con Stefani Speciale, dell'Jutarnje List del 4 corrente. Questo foglio di Zagabria nel suo acciecamento antitaliano arriva a scrivere: «Forse lo spostamento del confine germanico al Brennero -in quanto la politica fascista non si adatterà alla realtà dei popoli -sarebbe l'unico mezzo per tenere in freno le egemoniche esigenze del fascismo nella regione sotto danubiana».

Così l'atteggiamento jugoslavo si precisa sempre meglio, nè vale ad attenuare tale suo indirizzo la speranza espressa dalla stampa di oggi che, mediatrice la Francia, la politica di Mussolini possa seguire una direttiva che la conduca ad un contatto con la Jugoslavia e Cecoslovacchia, o la malignità ostile della Pravda che afferma che il problema economico austriaco deve prevalere nella ricerca di una soluzione duratura che non può trovarsi prendendo la via di Trieste, e invoca la testimonianza di qualche giornale francese per rafforzare

la sua tesi che soltanto un avvicinamento Italia-Piccola Intesa può recare la piena e soddisfacente soluzione dei problemi della Europa Media.

Nel suo complesso quindi l'atteggiamento jugoslavo non esce dalla situazione equivoca cui lo porta l'accorgimento sottile col quale esso ricerca di non porsi direttamente contro la Germania. Tanto che ha sentito il bisogno di far difendere la sincerità dei suoi propositi, la fedeltà al sistema francese sostenendo il pericolo del germanesimo alle Caravanche, in un pagato articolo comparso nel Journal des Débats del 6 corrente a firma del noto Mousset agli stipendi jugoslavi.

Ma neanche questa interessata difesa basta a colmare quella che viene da tutti indicata come una falla nel blocco della Piccola Intesa data la compiacenza con la quale ha guardato e si guarda ancora ad Hitler. La falla ebbe aspetti significativi quando fu firmato il trattato di commercio con la Germania e Goring fece la sua apparizione aerea alla metà di maggio e fece accorrere Barthou a riscaldare il fuocherello francese.

Ma è scherzare col diavolo. Poichè se nel mio telegramma del 4 corrente segnalavo Ia forte corrente di simpatia per l'hitlerismo già formatasi in Slovenia e riservavo la situazione in Croazia di dove non avevo ancora notizie, il R. Console Generale in Zagabria ha nel frattempo così concluso il suo rapporto

n. 454 del 3 corrente (l): *«Per quanto riguarda la impressione prodotta dall'arrivo dei profughi fra questa popolazione, dai commenti circolanti fra la massa risulterebbe che essa segue con viva simpatia la azione dei fuorusciti austriaci, mentre le simpatie per l'Austria indipendente vanno scemando sempre più». È in Croazia come in Slovenia, dove la avversione al Governo di Belgrado assume, anche per la propaganda delle minoranze germaniche, l'aspetto hitleriano* (2).

Dell'atteggiamento equivoco fa anche parte quella pubblicazione dell'Incaricato d'Affari Jugoslavo che V. E. mi comunica col suo telegramma per corriere del 4 corrente (3) e che formava oggetto anche del mio telegramma per corriere dello stesso giorno. A conoscere i sistemi quotidiani di questo Ministero degli Affari Esteri, e saperne bene i metodi tortuosi, la ipotesi da me formulata che si tratti di volontaria e prescritta indiscrezione ha molta probabilità di essere vera. Poichè, qui, malgrado quello che si potrà in qualsiasi momento dichiarare ufficialmente, ripeto che * non si vuole in ultima analisi prendere nessun atteggiamento antigermanico. Lo si farà solo a rimorchio della Francia, e forse sotto la nostra pressione * (4) per ragioni dirette od indirette, ma non mai in modo tale ed al momento in cui ciò riversi su di sè una parte anche piccola dell'astio germanico. La Germania è certamente, nel recondito pensiero di questo Governo, l'ultima trincea d1 difesa contro l'Italia se con questa potente vicina (la rapidità del concentramento militare al Brennero e specie nella conca di Tarvisio è stata accuratamente seguita, spiegata con ampi dettagliati diagrammi dei giornali sopratutto zagabresi ed ha fatto non dubbia impressione) non si potrà mai venire ad un accordo sicuro e duraturo, e se per le vicende

avvenire una qualsiasi combinazione od accordo politico franco-italiano toglierà alla Jugoslavia la difesa francese.

È a questa suprema necessità di difesa vitale che si inspira la intima attitudine jugoslava, fino a vagheggiare di un accordo con la Germania, estremo e pericolosissimo male, ma ultima difesa.

(l) -Una versione più ampia di questo telespresso era stata preparata il 30 luglio (cfr. n. 715, allegato I). (2) -Cfr. n. 652. (l) -Non pubblicato. (2) -Il passo tra asterischi è stato segnato a margine da Mussolini. (3) -T. per corriere 1040 R., non pubblicato. (4) -Il passo tra asterischi è stato sottolineato da Mussolini.
665

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 2974. Londra, 7 agosto 1934.

Ho cercato nei miei telegrammi di riassumere nella forma più breve possibile quello che è stato l'atteggiamento inglese di fronte agli avvenimenti di Austria. Questi hanno formato oggetto di tante considerazioni e di tante divagazioni che sarebbe necessaria una lunga esposizione per darne un quadro completo, mentre quello che forse importa sono solamente i punti fermi che nel corso di queste giornate si sono venuti chiarendo e che possono presentare un interesse concreto per l'avvenire. Credo che la reazione inglese all'assassinio di Dollfuss e agli avvenimenti austriaci si possa riassumere nelle seguenti conclusioni:

l) -L'assassinio di Dollfuss può considerarsi l'episodio culminante dell'azione svolta dalla Germania durante questi ultimi anni e la Germania dev'essere considerata responsabile per quanto è avvenuto. Non è a dubitarsi che il colpo di mano di Vienna fosse stato preparato in Germania e colla connivenza delle autorità tedesche. Questo mostra quali possono essere i metodi ai quali la Germania è pronta a ricorrere e di quanto pericolo alla pace d'Europa questi metodi possano essere, nell'avvenire.

2) -Gli avvenimenti austriaci, messi in connessione con una serie di incidenti che si sono verificati e si verificano ovunque i tedeschi sono alle prese con un problema internazionale, a Danzica, a Memel e nella Sarre, danno una indicazione dei pericoli ai quali l'Europa è esposta per l'irrequietezza e la mancanza di misura dei dirigenti della politica tedesca. È ormai alla Germania che bisogna guardare come al focolare di un possibile conflitto futuro. Ed è quindi davanti alla Germania che l'Inghilterra deve fissare con fermezza le sue posizioni.

3) -L'Inghilterra è stata sempre contraria a seguire una politica la quale potesse portare ad una divisione dell'Europa in combinazioni ostili. A tale politica essa resta fedele. È tuttavia da dubitarsi se non sia oggi necessario mettere chiaramente la Germania davanti ai pericoli ai quali essa si espone, perseguendo una politica aggressiva e se non sia negli interessi della stessa Germania farle capire che di fronte ad una tale politica essa troverà l'Inghilterra risoluta a non cedere.

Queste conclusioni che io ho raccolte più o meno negli stessi termini da fonti diverse e che comunque sono le conclusioni del Foreign Office, portano inevitabilmente verso l'idea che l'Inghilterra -pur mantenendo quei principi di equilibrio sui quali essa fonda la sua politica estera e nei quali essa riscontra una stretta affinità colla politica italiana -debba tuttavia preoccuparsi in primo luogo della ipotesi di un conflitto che sia determinato dalla politica tedesca, ipotesi che, come è facile intendere, porta poi di se stessa a delle conseguenze pratiche, le quali possono anche essere in contraddizione con le stesse premesse della cosidetta politica di equilibrio. Non è un mistero per nessuno che vi sono in Inghilterra e nello stesso Gabinetto delle tendenze a considerare la utilità di un rafforzamento dei legami franco-britannici. La stessa strada logica sulla quale Baldwin si è messo può portare a questa conclusione. La teoria poi professata dal Ministero dell'Aria che il maggior pericolo alla sicurezza dell'Inghilterra venga dagli attacchi aerei e che questi attacchi non si possono prevenire che disponendo di basi in territorio francese finisce col condurre allo stesso risultato. Il Foreign Office smentisce che vi siano state trattative con la Francia e col Belgio per un accordo diretto a stabilire dei campi d'aviazione militare britannica in territorio francese e belga; e si può anche prestar fede a questa smentita. Ma ciò non toglie che la dottrina dell'aeronautica militare inglese si fonda su due concetti: l) che la guerra avvenga tra l'Inghilterra e la Germania; 2) che la Francia sia l'alleata dell'Inghilterra. L'ipotesi contraria non è neppure prospettata. Questo per dirti quale sia l'atmosfera nella quale lo studio delle questioni militari inglesi attualmente si svolge. Potrei aggiungere anche altri indizi. Nello scambio di idee che abbiamo avuto al Foreign Office per la questione navale e per la quale è venuto qui il Comandante Raineri Biscia (1), si è parlato anche dei sottomarini, questione per la quale una volta francesi e inglesi erano nettamente divisi. Ebbene l'impressione che si ha ora parlando dei sottomarini con gli inglesi è che, in certe condizioni, e in una certa misura, essi sono disposti a prendere in considerazione i desiderata della Francia.

Tutto questo non è che il risultato di un senso vero e proprio di paura che ha preso l'Inghilterra in queste ultime settimane, paura che la Germania provochi, sia pure per un atto inconsiderato e con suo sicuro danno, un nuovo conflitto. Il pubblico inglese è contrario alla partecipazione dell'Inghilterra in una guerra europea ma l'opinione prevalente è che forse sarà possibile prevenire una tal guerra solo se si riuscirà ad intimidire e immobilizzare la Germania. Mi ha fatto molta impressione il discorso di Samuel ai Comuni durante la discussione per il Patto Orientale di Mutua Assistenza. Samuel è un vecchio liberale di quelli che hanno costantemente rimproverato alla Francia la sua politica di armamenti. Ebbene, egli è venuto fuori colla seguente dichiarazione: «Lo spirito del militarismo francese è morto da lungo tempo. In Francia non si glorifica più la guerra e i francesi, come noi, vogliono pace e libertà civile e desiderano contribuire alla tranquillità dell'Europa e del mondo. È per questo che noi ci troviamo naturalmente a cooperare con loro in molti aspetti della politica

internazionale».

Ancora non è facile misurare tutti gli effetti che l'assassinio di Dollfuss ha avuto in Inghilterra, ma per ora il più grave è stato quello di aver fatto volgere per così dire il popolo inglese verso questa strada che fino a qualche tempo fa era la strada battuta solamente da Churchill, da Chamberlain e da pochi altri. La nomina poi di Hitler a Presidente del Reich e le vicende della politica interna tedesca non fanno che aggravare la situazione ogni giorno, poichè ogni giorno di più gli Inglesi si persuadono che il controllo della situazione in Germania sta passando in mano alla Reichswehr e che la Reichswehr imprimerà alla politica estera un carattere di militarismo aggressivo.

(l) Cfr. n. 660, allegato.

666

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Vienna, 7 agosto 1934.

Faccio seguito alla niia di iersera (l).

Stamani Starhemberg mi ha pregato di passare da lui, al Ballplatz. L'ho trovato alquanto turbato. Mi ha subito detto che, nell'ultima conversazione, nel parlarmi del Fey, egli aveva peccato per ottimismo: di fatti, ulteriori preoccupanti risultanze lo persuadevano a pregarmi di far usare la maggiore riserva, nei riguardi del predetto personaggio, sia da parte della nostra stampa (gli risultava che il Fey aveva ieri concesso al giornalista Caputo una intervista, che non poteva non dare una troppo unilaterale versione delle dolorose recenti vicende) ; e sia da parte del nostro Governo, pel caso che il Fey sollecitasse udienze presso S. E. il Capo del Governo o presso V. E.

Starhemberg mi ha quindi accennato al contegno del Fey nella giornata del 25, ripetendomi all'incirca quanto già mi aveva detto il suo amicissimo, e di cui alla mia ultima lettera. Tuttavia egli ha insistito sul seguenti tre punti:

l) che il Fey, sebbene fosse stato avvertito mercoledì 25 luglio, alle ore 10 a.m., da un Heimwehrista di Vienna, del progettato imminente putsch al Ballplatz, ne aveva avvisato il compianto Cancelliere soltanto dopo mezzogiorno;

2) che il Fey fece partire improvvisamente la moglie -il 24 luglio alla volta di Venezia, per un soggiorno risultato brevissimo;

3) che il Fey, quantunque più volte avvertito nei mesi scorsi dallo Starhemberg di procedere senz'altro allo arresto del dott. Wachter (cioè l'individuo che è risultato aver organizzato personalmente il putsch del 25 luglio) non soltanto si era sempre astenuto dal farlo. ma aveva anzi continuato ad aver contatti secoluì, sia direttamente e sia indirettamente, a mezzo del suo noto sospetto «entourage».

Starhemberg ha aggiunto che, malgrado questi ed altri strani indizi, egli

non vuole ancora credere ad una vera e propria responsabilità o collusione del

Fey: pensa piuttosto che il Fey, consapevole del putsch terrorista, abbia voluto

che l'irruzione avvenisse nel Ballplatz, sì da avere poi modo di intervenire pron

tamente con le sue Heimwehren di Vienna, e di raccogliere a questo modo i desideratissimi allori morali e politici per la conseguita liberazione del Cancelliere e degli altri Ministri.

Starhemberg ha concluso raccomandando ancora una volta la maggiore riserva e circospezione nei riguardi del Fey «che non può essere intanto allontanato dal Governo, per il pericolo che rappresenterebbe, restandone fuori».

Il Vice Cancelliere mi ha poi accennato ad una speciale questione, che intende sottoporre a V. E. nella prossima sua visita.

Ha detto essere persuaso che i nazisti ritorneranno in autunno, alla pratica del terrorismo: donde, a suo avviso, l'urgente necessità di procedere all'armamento ed all'equipaggiamento dei Corpi Militarizzati e della Milizia Volontaria, della quale egli sta curando l'organizzazione in ogni centro.

A suo dire, i Corpi Militarizzati formano un complesso di 52 mila uomini, di cui solo 23 mila sono armati ed in qualche modo equipaggiati (fra questi ultimi risultano armate ed equipaggiate in modo perfetto le Heimwehren di Vienna, avendo il Fey -che le comanda -provveduto a tanto, durante il suo potere, a scapito delle altre formazioni heimwehriste).

Ora, nell'adunata generale avvenuta il 25 luglio, stante la buona stagione, il deficiente o manchevole equipaggiamento non è stato una difficoltà per l'avvenuto ammassamento di più che 50 mila uomini; ma grandeiUente difficile sarebbe invece un'adunata, che dovesse aver luogo nell'autunno, a causa dei rigori del clima.

Un'altra difficoltà è rappresentata dal deficiente armamento. Fin'oggi le adunale generali -di più di 50 mila uomini rispetto ad un quantitativo di 23 mila fucili -hanno imposto un doppio turno nel servizio attivo, e quindi una diminuzione della metà delle forze complessive, e ciò anche quando l'urgenza e l'entità del pericolo avrebbe consigliato lo spiegamento totale degli effettivi. È vero -ha aggiunto Starhemberg -che molti Heimwehristi si presentano con i loro fucili da caccia: ma ciò, in definitiva, complica le operazioni, sovra tutto pel fatto della diversità del munizionamento.

Una difficoltà non minore è poi rappresentata dalla organizzazione delle milizie v·olontarie, giacchè essa non potrebbe effi.cacemente effettuarsi se non formando, in ciascun centro di raccolta, un deposito di armi e di oggetti di equipaggiamento, da confidarsi alla vigilanza della Gendarmeria, incaricata poi di effettuarne la distribuizone ai Militi Volontari, in caso di adunata.

« Tutte queste manchevolezze -ha concluso il Vice Cancelliere -vanno risolte al più presto. Io ne ho già intrattenuto il Ministro delle Finanze, il quale, se vede il modo di iscrivere sul bilancio una somma per pagamenti rateali, esclude assolutamente che esso bilancio consenta la concessione della somma capitale. Ora, per le spese suindicate, urge una somma globale, che potrebbe dunque attenersi solo con un prestito all'estero, da rimborsarsi annualmente. Di tutto ciò parlerò a Roma».

Nei riguardi infine degli indizi che lasciano supporre probabili nuovi attacchi terroristici nazisti. Starhemberg mi ha rimesso un rapporto pervenutogli dalla Direzione delle Heimwehren. Ne accludo il testo (1). V. E. rileverà quanto ivi

è detto circa l'eventuale atteggiamento della Cecoslovacchia e della Jugoslavia, nonchè circa le previsoni tedesche nei riguardi del comportamento definitivo dell'Italia. Tali previsioni rendono attuali le osservazioni fatte dal signor Léger al Conte Pignatti circa l'opportunità che anche la Francia e l'Inghilterra diano prove analoghe a quelle fornite dall'Italia, per la difesa dell'indipendenza dell'Austria. A tale riguardo devo segnalare che se il R. Addetto Militare mi ha accennato, giorni fa, alla voce di concentrazioni di truppe francesi, sulla frontiera del Reno, contemporaneamente alle misure italiane sulle frontiere austriache, essa voce non è per contro corsa in nessuna guisa in questi ambienti politici e diplomatici.

(l) Cfr. n. 659.

(l) Non rinvenuto

667

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Londra, 7 agosto 1934.

Come ti <!issi prima di partire Dampierre aveva telegrafato al Quai d'Orsay che io avrei passato due giorni a Parigi. Infatti appena giunto all'Hotel Meurice, vi trovai un appuntamento fissato da Barthou e una lettera gentilissima di Pietri che desiderava vedermi avendo rinunziato al viaggio in Corsica e dovendo prendere l'interim degli Affari Esteri durante il congedo di Barthou che lascia Parigi per 5 settimane. Mi recai dunque prima da Pietri che trovai simpaticamente di buon umore e mi spiegò il tono ufficiale della sua lettera del 19 Luglio (l) che io ti comunicai a suo tempo. Egli teneva ad avere una franca e chiara spiegazione con me prima che io andassi al Quai d'Orsay dove mi consigliò di parlare di tutto e di tutti perché il Consiglio dei Ministri ha deciso il viaggio a Roma e l'atmosfera in Francia è molto cambiata dopo l'assassinio di Dollfuss. Pietri mi spiegò che l'affare delle navi da 35 mila tonnellate aveva più seccato gli inglesi che i francesi, ma quello che aveva urtato Parigi era una questione di forma, ossia la mancanza di comunicazione ufficiosa o ufficiale al Quai d'Orsay. Egli mi ha avvertito che Barthou lavora a persuadere Doumergue della necessità di sistemare la questione del disarmo perché Barthou non ha cambiato idea dopo il nostro incontro a Ginevra, ove mi disse, e Pietri lo ripeté ad Aloisi, che solo il progetto Mussolini poteva essere accettato dalla Francia, salvo però in una misura diversa data l'irriducibile aggressività dello spirito tedesco e dell'aumentata forza ed influenza del Reichswehr, dopo i fatti del 30 giugno. Pietri mi consigliò pure di veder Léger perché, malgrado tutto quello che si dice è il migliore dei funzionari al Quai d'Orsay che Pietri definisce sabotatori di tutte le nuove idee ed i nuovi orientamenti. Mi recai dunque venerdì 3 corrente, nel pomeriggio, dal Ministro degli Affari Esteri che mi accolse molto cordialmente, pur lamentandosi ridendo del modo come la stampa italiana l'aveva trattato durante il suo viaggio nel Centro d'Europa. A bruciapelo

gli domandai se era vero che egli avesse detto che non teneva più tanto ad andare a Roma, ciò che egli smentì con veemenza dicendo essere questo assurdo, ma che teneva a dichiararmi che Pietri e lui contavano recarsi a Roma (se graditi e invitati) ai primi di ottobre e con intenzioni concrete, non a compiere un viaggio che si risolvesse in una manifestazione senza contenuto. Egli così si spiegò: «Io vado ora a riposarmi. Pietri mi rimpiazza fino verso 1'8 di settembre. Mussolini ha le grandi manovre navali e terrestri, poi vengono le grandi manovre di Ginevra. Vedete dunque, mi disse se a Roma i primi di ottobre noi possiamo essere ricevuti~. Con spirito di malizia e, direi quasi, con cattiveria, mi mostrò una lettera di Bérenger e un'altra di Bordeau che si preparano ad andare a inaugurare il monumento a Chateaubriand sul Pincio verso il 14 ottobre, dicendomi: «Il faut absolument que Pietri et moi soyons à Rome pour agir et conclure et non pas nous livrer à des discours littéraires qui ne sont plus goO.tés per les peuples qui vivent aujourd'hui sous la préoccupation de crises politiques et économiques qui se suivent si rapidement. De deux choses l'une, ou nous nous trouverons tous ensemble, ce qui ferait beaucoup trop de monde français à la fois ou bien il faudrait renvoyer l'inauguration de Chateaubriand au commencement de l'hiver ~. Io mi limitai a rispondere che mi affretterei a trasmettere questo suo desiderio a Roma informandone il nostro Ambasciatore Pignatti. Barthou mi domandò dove si sarebbe trovata S. M. il Re ai primi di ottobre, perché intendeva ossequiarlo e fargli una visita di dovere e cercare di dissipare e riassicurare Sua Maestà sui sentimenti della Nazione francese verso la Monarchia Italiana, la persona di Sua Maestà, e lo Esercito Italiano, giustamente irritati da articoli e pubblicazioni che egli definì ignobili e contrari alla verità, e mi mostrò in quel momento una lettera di Poincaré dicendomi: «Le pauvre, il est irresponsable, voyez à quel point il a vieilli ~. E infatti la lettera di suo pugno scritta dall'ex Presidente della Repubblica all'attuale Ministro degli Affari Esteri cominciava col ripetere tre volte « Mon cher Ami~ e non aveva né capo né coda. Lungamente si sfogò Barthou contro Hitler.

Complimenti e dichiarazioni di simpatia per l'azione energica e tempestiva di MussoHni dopo l'assassinio di Dollfuss, ma aggiunse: «Ora bisogna mettersi d'accordo sul futuro e perciò conto parlare chiaramente sulla possibilità e il limite del riarmamento della Germania~.

« Il memorandum di Mussolini, come vi dissi a Ginevra, era ed è il più ragionevole, ma dopo tutto quello che è successo, Mussolini converrà che bisogna mettersi d'accordo sul limite e i dettagli di questo riarmo, e più che mai una intesa si impone per ottenere dai tedeschi garanzie serie ed un controllo efficace: Una politica comune della Francia, Inghilterra e Italia si impone anche per l'Austria dove l'Italia ha una missione speciale. Egli aggiunse, un'intesa o una chiarificazione dei rapporti itala-francesi possono costituire un pericolo nel creare o permettere un riavvicinamento della Jugoslavia colla Germania. Vi ripeto dunque, disse egli, quello che io ho detto e ripetuto al Ministro degli Esteri Jeftic, che l'Italia e la Jugoslavia devono avvicinarsi e intendersi direttamente~. Sia da quello che mi aveva già detto Pietri, sia dal riassunto della conversazione con Léger, io ho avuto la sensazione chiara e preclsa che a Parigi si vuole assolutamente evitare che dopo il viaggio a Roma di Barthou e Pietri l'Italia e la Francia possano trovarsi nelle grandi linee della politica mondiale e nei consessi internazionali in campi opposti. Certo che in questo caso si farebbe unicamente il giuoco dell'Inghilterra.

Nella lunga conversazione con Barthou, consigliato da Pietri, io ho detto tutto quello che pensavo e penso delle relazioni itala-francesi; credo che egli ne sia stato impressionato, e molte cose gli sono giunte nuove tanto che ringraziandomi egli della mia franchezza mi pregò di mettergli quel mio discorso per iscritto e farglielo recapitare al suo indirizzo privato e non al Quai d'Orsay. (Mi permetto di accluderla qui nella forma rapida e poco diplomatica come ho dovuto redige!'lo per mancanza di tempo). Accomiatandomi dal Ministro degli Affari Esteri egli mi mostrò l'ultimo articolo di Gayda sul Giornale d'Italia ed io gli domandai se aveva letto l'articolo di Mussolini sulla revisione dei Trattati che aveva pubblicato L'Injormation del 31 luglio che Pietri aveva letto ed apprezzato e che mi permisi di consegnare a Barthou che ne fu molto impressionato.

Prima di lasciare il Quai d'Orsay feci una visita a Léger che mi dichiarò senza veli aver l'uccisione dì Dollfuss riavvicinato la Francia all'Italia e la Francia all'Inghilterra perché gli inglesi non hanno più paura di urtare l'Italia prendendo impegni con loro (impegni che mi consta per ora non vi sono). Dalla conversazione con Léger mi resi conto che gli inglesi non vogliono saperne di un accordo franco-russo e i francesi se ne servono con vantaggio per fare la loro politica con il Foreign Office.

Lasciato il Quai d'Orsay fui invitato sia da Barthou sia da Léger di rivedere Pietri che l'indomani doveva assumere l'interim degli Affari Esteri. Pietri si mostrò meco soddisfatto della conversazione avuta col Quai d'Orsay e si rallegrò meco dell'accenno fatto a Barthou della possibilità che le sue buone intenzioni fossero intralciate dalla resistenza passiva dei diversi Saint Quentin et Bargeton e mi incaricò di dire a Pignatti di andarlo a vedere durante il suo interim spesso onde preparare il viaggio per l'avviamento delle relazioni Itala-Francesi che loro dicono voler franche e cordiali. Pietri mi disse essere Barthou molto sensibile all'influenza della cultura e del genio di Mussolini col quale lÒro sono sicuri di intendersi.

Pietri volle rivedermi l'indomani dopo aver rivisto il suo Ministro degli Affari Esteri, onde avere l'impressione sulla mia visita. Egli testualmente mi disse quanto segue, che qui riferisco nel testo francese:

1°) Terrain très favorable (Parlement Gouvernement Opinion) à un véritable et définitif contact avec l'Italie. 2°) Phobie de l'Itaile très grande Puissance, complètement disparue dans l'opinion publique Française. 3°) Grosse impression laissée dans tous les milieux par la viguer de l'attitude italienne après l'affaire Dollfuss. 4°) Ne pas s'exciter sur les tendresses françaises à l'égard des Jugoslaves. La Serbie est prodigieusement loin des préoccupations du français moyen.

5°) Dans un règlement général entre les deux Pays aucune véritable fric1li.on en vue, mème dans l'ordre naval où il suffit de part et d'autre d'éviter certains mots.

6°) Désarmement (conversation Pietri-Aloisi à Genève). Question de formules à trouver. Ne jamais oublier que les Français ont la passion des formules, commun désir d'écarter l'obstructionnisme des bureaux (Quai d'Orsay et le Colonies).

7°) Question de la Còte de Somalis, délicate (à cause de la susceptibilité du «pavillon ») mais soluble.

8°) L'Angleterre désire une détente franco-Italienne pour faire une entente Anglo-Française. Aujourd'hui Londres se défend sur le Rhin.

ALLEGATO

Parigi, 3 agosto 1934.

Theodoli expose rapidement ses impressions qui sont le résumé des conversations avec les hommes responsables et l"opinion of the man of the street en Italie. Il se permet de dire toute sa pensée, brutalement, franchement, car la tàche est délicate et le but à atteindre très élevé.

En Italie on n'a jamais eu une g:rande sympathie pour les a1lemands. Mussolini a cru dans leur loyauté et dans la nécessité de ne pas pousser à bout un peuple de 65.000.000 d'habitants.

Il a toujours soutenu que le Traité de Versailles a commis des injustices. Il n'impose pas aujourd'hllli la ou les révisions, mais il n'est pas d'accord avec ceux qui soutiennent que les Traités sont éternels.

La France apres '70 a réclamé l'Alsace et la Lorraine. Est-ce qu'Elle aurait soutenu que le Traité de Francfort devait étre éternel? Si les Françads ont des antipathies en Italie, c'est que jusqu'ici ils ont traité l'Italie en «parent pauvre », en «arnie génante ».

Ce que les Italiens reprochent aux Français c'est leur ton de supériorité, leur outrecuidance et leur manque de largesse, ou les concessions tellement tardives qui deviennent lnefficaces.

L'opinion publique Italienne croit que la France a oublié ou veut abso1ument oublier l"énorme service rendu le 2 Aoiì.t 1914 en déclarant la neutralité. Les Italiens croient qu'ils ne peuvent rien espérer de la France que des kilomètres carrés de désert, tout à fait inutiles à un peuple dépourvu de matières premières et nécessiteux d'expansion pour son immense développement démographique.

Si la FTance veut s'associer l"Italie et désire que elle devienne conservatrice aussi, Elle doit lui donner quelque chose à conserver. Depuis 1919 l'Italie a obtenu les deux «becs de canards » et tous les autres arrangements ont été une déception comme l'affaire des 20 millions de soie Accord Asquini-Lamoureux).

On reproche en France la mise en chantiér des deux cuirassés de 35.000 tonnes. Mais on oublie que trois fois Mussolini a essayé d'arriver à un accord naval avec la France. Et ce n'est pas la faute des Italiens (comme l'a certifié le Comte Deleuze) si on ne s'est pas entendus.

Mussolini a averti Chambrun que si cet hiver un accord ne serait pas survenu, il aurait construit des 35.000 tonnes. Jamais nous aurions voulu arriver à une conférence navale dans un état d'infériorité. Une Nation comme l'Italie peut avoir des raisons pour rester dans un état d'infériorité, mais ne peut pas souscrire et reconnaitre une disparité juridique. En France l"opinion publique est aujourd'hui d'accord pour admettre que seulement une entente anglo-franco-italienne peut sauver l'Europe. Mussolini veut bien causer et s'entendre avec Paris, mais les Italiens ne veulent pas se mettre à genou pour traiter avec le Quai d'Orsay, ni supporter les chinoiseries et les agaceries de la Petite Entente pour devenir les amis de la France.

L'Accord Barrère-Prinetti fut atteint malgré la Triplice; et l'Entente avec la Russie suivit dix ans plus tard. Le Quai d'Orsay se fait des illusions s'il croit mener l'Italie à jouer un ròle dans le genre de celui que Prague et Bucarest acceptent de bonne joie.

50 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Il ne faut pas qu' en France on trouve étrange le revirement de Mussolini dans !es rapports avec Hitler.

Il n'y a pas, au fond, que de la logique et de la cohérence. Non seulement Mussolini défend l'indépendance de l'Autriche JllllJ.s il est révo~té par l'assassinat, ou plutòt «la saignée à mort » de son ami personnel Dollfuss.

On a eu en Italie l'impression claire et nette que Paris a été satisfait de la position pr!Be et des mesures exécutées par Rome contre les nazis des deux Pays voisins. Mais on a la sensation qu' il ne suffit pas de tenir compte de ce que pense Paris; il faut prévoir et prévenir les dangers de comp1ications que Prague et Belgrade n'oseraient pas ménacer si la France parlait de la voix forte qu'il conviendrait dans un moment aussi dangereux pour la paix Européenne.

Si vraiement MM. Barthou et Pietri veulent avoir des explications et des conversations avec Rome, M. Mussolini, j'en suis sùr, appréciera leur franchise, leur décision et Ieur largesse de vue, à condition que les Bureaux de Rome et de Paris n'entravent pas les bonnes intentions bilatérales. Soit Mussolini soit Barthou ont toujours déclaré de vouloir éclaircir l'horizon.

Quelles nuages sont sur !es Alpes?

I) La question de l'Anschluss et de l'Europe Centrale;

II) Le désarmement;

III) La Conférence navale;

IV) Le Statut de Tunis;

V) L'article 13 du Traité de Londres.

Lorsque Theodoli, il y a trois ans, avait parlé avec Mrs. Berthélot et Lava! des frontières afric.aines, on était tombe d'accord que, si l'Italie renonçait à tout droit de reg;ard sur le Nord de l'Afrique, la France trouvea-ait naturelle une !.iberté d'action de l'Itaiie dans l'Afrique Orientale.

A Rome on envisageait toujours des compensations du còté du Tchad. Theodoli a toujours soutenu que c'était demander la lune. Et so~t avec de Caix, soit avec Jouvenel, soit avec Pietri, il a toujours soutenu la possibilité d'une entente sur la Mer Rouge.

A Rome on soutient que ce sont des illusions parce que !es Français ne savent pas dépenser au bon moment et ne comprennent pas la nécessité de faire la part méme ~a ~us modeste de leurs immenses richesses aux dernliers arrivés à leur table opulente.

N'est-ce-pas donc aujourd'hui le moment psychologique pour écarter les malentendus et rapprocher la France et l'Italie?

(l) Cfr. n. 574, allegato.

668

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2891/244 R. Berlino, 8 agosto 1934, ore 12,56 (per. ore 17,45).

Mio telegramma n. 243 (1).

Kanya mi ha detto di avere fatto presente a Hitler che la situazione internazionale della Germania, dopo i fatti di Vienna, è divenuta molto difficile

cosicchè credeva suo dovere di esprimergli francamente l'opinione che egli avrebbe dovuto cercare di trovare una soluzione del conflitto con l'Austria.

Tutti gli Stati di Europa e l'Ungheria in modo speciale, vivono infatti in una eccitazione continua provocata dal timore di complicazioni internazionali e ciò non poteva durare più a lungo.

Hitler gli ha risposto che intende contribuire al miglioramento della situazione. Si doveva però pensare che i giustiziati di Vienna erano morti gridando: « Heil Hitler» e che ciò lo obbligava a non scordare i nazionalsocialisti austriaci.

Aveva tolto ogni potere a Habicht. Smentì che Frauenfeld avesse preso il posto alla direzione del movimento nazionalsocialista austriaco e dichiarò le voci che corrono in proposito come invenzioni calunniose. Disse che era sua intenzione di sciogliere le legioni austriache incorporando gli appartenenti a esse nelle varie organizzazioni del «fronte del lavoro».

Non, dico non, era sua intenzione di sospendere la tassa di mille marchi per i tedeschi che si recano in Austria. Intendeva porre termine alla propaganda antiaustriaca a mezzo della stampa e della radio. Tutto ciò a condizione cne il Governo austriaco accordasse senza indugio a von Papen il gradimento (il che è nel frattempo avvenuto) perchè in caso contrario egli contava ritirare il proprio incaricato d'affari da Vienna !asciandovi solo un console.

Altra condizione di Hitler è che il Governo austriaco cessi dal fare pubblicazioni per provare la responsabilità di Monaco di Baviera negli attentati in Austria, perchè altrimenti egli pubblicherà il materiale in suo potere che proverà le varie colpe di Dollfuss.

Hitler aggiunse (e Kanya osservò che glielo aveva già detto un'altra volta) che tutto l'aiuto austriaco come poteva facilmente comprendere non valeva per lui l'amicizia di Mussolini alla quale teneva moltissimo (1).

La situazione in Austria si poteva secondo Hitler facilmente chiarire se il nuovo Governo si fosse deciso a porre il paese in condizioni di dichiarare sinceramente se gli accorda o meno il proprio appoggio. Non pronunciò la parola «elezioni» ma ricordò che egli aveva nel suo Governo attualmente ministri che non erano nazionalsocialisti cosicchè anche il Governo austriaco avrebbe potuto comprendere un paio di ministri nazionalsocialisti ma ciò a cui assolutamente si opponeva nelle circostanze attuali, era che il capo del Governo austriaco fosse un nazionalsocialista.

Il presente telegramma continua col numero successivo (2).

(l) T.r. 2886/243 R. del 6 agosto. non pubblicato, con ·!l quale Cerruti riferiva avergli detto Kanya, durante la cerimonia a Reichstay per i funerali di Hindenburg, di avere un piano per risolvere 11 conflitto austro-tedesco che avrebbe esposto a Hitler nel pomeriggio.

669

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2892/245 R. Berlino, 8 agosto 1934, ore 13,32 (per. ore 17,35).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente numero di protocollo precedente (3).

(-3) Cfr. n. 668.

Lo aveva dichiarato formalmente ai suoi partigiani in Austria e li aveva minacciati di abbandonarli qualora avessero agito contrariamente alle sue direttive.

Kanya mi ha detto di avere veduto anche Papen e di averlo trovato molto inquieto per la mancanza del gradimento.

Egli non aveva ancora ricevuto da Hitler istruzioni precise. A lui per esempio non aveva detto che avrebbe sciolta legione austriaca e che l'avrebbe incorporata nel «fronte del lavoro» ma solo che si proponeva di studiare scioglimento stesso. Papen si era mostrato del resto ottimista.

Kanya condivide la mia opinione che Papen a causa della sua abituale faciloneria non vede difficoltà che sono molte e grandi. Kanya mi ha detto pure che Starhemberg durante la sua sosta viennese gli disse che per molto tempo ancora non vi sarebbero state elezioni in Austria. Egli aveva creduto bene informarne Hitler senza tuttavia menzionare Starhemberg. Al passaggio per Vienna Kanya conta raccomandare prudenza al Governo austriaco sopratutto per la questione della pubblicazione documenti.

Hitler si è data la maggiore pena per persuadere Kanya [che] potrebbe essere ancora accresciuta sua popolarità in Germania cosa di cui Kanya dubita in base alle constatazioni fatte personalmente.

Non dubita però che il plebiscito sarà fatto in modo da dare pienamente ragione all'opinione di Hitler.

Terminando Kanya mi ha detto che considera che non si debba temere un'altra azione nazionalsocialista verso Austria almeno per qualche tempo perchè Hitler non può non rendersi conto dell'impopolarità di cui gode in tutto il mondo e devE; pure cercare, sopratutto in questo momento, e data la sua nuova situazione di capo dello Stato di riguadagnare un poco del terreno perduto.

Egli aveva tratto l'impressione dal suo colloquio con Hitler che questi fosse ben poco al corrente di quanto era successo (1).

Aveva poi cercato di parlargli della situazione generale politica nel bacino danubiano, ma aveva dovuto tralasciare essendosi accorto che Hitler è completamente digiuno di simili cose.

(l) -Il capoverso è stato sottolineato da Mussol1n1. (2) -Cfr. n. 669.
670

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2897/269 R. Vienna, 8 agosto 1934, ore 19,30 (per. ore 21,30).

Nell'odierno ricevimento del corpo diplomatico ministro esteri mi ha detto essergli giunta notizia della dislocazione di due reggimenti jugoslavi lungo frontiera carinziana sulla linea Lavamund-Bleiburg-Petzen.

Ministro degli affari esteri ha soggiunto avere riferito quanto precede a ministro di Francia, che aveva ricevuto prima di me.

Mio collega era rimasto preoccupato, dichiarando che avrelje senz'altro invitato ministro di Jugoslavia, che attendeva la sua udienza, a dare al Governo austriaco le maggiori spiegazioni.

Ministro degli affari esteri mi ha telefonato testè che mio collega di Jugoslavia gli aveva dichiarato non risultargli alcun che ma che avrebbe subito chiesto a Belgrado ragguagli che si riservava immediatamente comunicare.

(l) Il capoverso è stato segnato a margine da Mussolini.

671

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2909/0136 R. Parigi, 8 agosto 1934 (per. il 10).

Questo ministro degli esteri è partito avanti ieri in vacanza, per tre settimane, che passerà in Svizzera, probabilmente al Biirgenstock, sul lago dei Quattro Cantoni. Durante la sua assenza la direzione del Quai d'Orsay sarà assunta dal ministro della marina.

Ho fatto visita, oggi, al signor Pietri. Il discorso è caduto subito sul viaggio di Barthou a Roma. Il ministro della marina mi ha assicurato che il suo collega ha vivo desiderio di fare visita a V. E. Il signor Pietri lo accompagnerà. Circa la preparazione diplomatica del viaggio, il ministro della marina mi ha dichiarato che il memorandum italiano fornisce una buona base per trovare un punto d'intesa nella questione del disarmo. Il ministro ha detto che, lui e i suoi colleghi della difesa nazionale, concordano nell'attribuire la massima importanza alla possibilità di mantenere lo statu quo in fatto di armamenti. Non li preoccupa invece troppo, contrariamente a quanto si crede dai più in Francia, il riarmamento limitato e controllato della Germania. Il signor Pietri ha soggiunto di sapere bene che questo punto di vista suo e dei suoi colleghi per la guerra e l'aviazione, non è condiviso dal presidente del consiglio e dai ministri di Stato Herriot e Tardieu. Il ministro degli esteri sta nel mezzo, nel senso che egli personalmente condivide il parere dei tre ministri della difesa nazionale; però, dopo il 17 aprile, ha accettato la tesi del presidente del consiglio e la difende lealmente. Secondo Pietri si tratta di trovare una formula che consenta di dare soddisfazione alla Germania senza legalizzare palesemente un riarmamento fatto in frode ai trattati. Il ministro ha precisato che si sta appunto studiando la questione, sotto questo aspetto. Non ho potuto sapere di più, per questa volta.

Il ministro della marina ha portato poi il discorso sulla questione navale. Mi ha ricordato la nostra ultima conversazione (mio telegramma n. 269 del 22 giugno) (l) per dolersi del linguaggio della stampa italiana e specialmente del

Se le nuove costruzioni italiane fossero messe !n relazione alle Dunkerque francesi, si avrebbe un immediato inasprimento di polemiche».

Giornale d'Italia a proposito dell'impostazione delle due unità da 35.000 tonnellate, messa in opposizione alle due Dunkerque. A conclusione di questa parte della conversazione, il signor Pietri ha espresso la fiducia nella possibilità di una intesa che egli si ripromette di negoziare personalmente nel viaggio di Roma.

Riguardo alle questioni coloniali il ministro mi ha detto di sapere che l'Italia dimostra interesse a ricercare una soluzione nell'Africa Orientale, ed ha soggiunto che si incontreranno gravissime difficoltà negli ambienti coloniali francesi. Questo punto è stato sollevato nelle recentissime conversazioni del senatore Theodoli col Ministro Pietri, col signor Barthou e col segretario generale del Quai d'Orsay. II marchese Theodoli ebbe l'impressione che la sua suggestione non avesse incontrato un'opposizione di principio (1). La dichiarazione del ministro Pietri ha valore in quanto denota che l'accordo su questo punto non si presenta facile.

Il ministro della marina mi ha dichiarato, infine, che l'opinione pubblica francese ha accolto col più grande favore l'azione risoluta dell'Italia a protezione dell'indipendenza dell'Austria. Il signor Pietri mi ha lasciato intendere che se la Francia non ha dato all'Italia prove tangibili della sua solidarietà ciò è dipeso dall'atteggiamento irresoluto dell'Inghilterra. Da alcune velate allusioni del ministro dovrei arguire che il Governo francese abbia procurato, senza riuscirvi, di indurre il Governo britannico a prendere posizione contro la nomina di von Papen a Vienna. Il Gabinetto di Londra avrebbe pretestato trattarsi di questione d'ordine interno della quale non intendeva ingerirsi.

Ho ascoltato il racconto del signor Pietri ed ho osservato che mi compiacevo di sentire ripetermi da lui che il Governo e l'opinione pubblica in Francia, avevano apprezzato l'azione dell'Italia intesa a salvaguardare, con l'indipendenza austriaca, la pace europea. In verità non si poteva dire lo stesso di alcuni Stati della Piccola Intesa. La Jugoslavia e la Cecoslovacchia, ad esempio, avevano dimostrato in questa circostanza apprensioni assolutamente fuori di posto.

(l) Con t. 2327/269 R. Pigmatti aveva comunicato: «Ministro della Marina si è compiaciuto con me del linguaggio della stampa italiana a proposito della impostazione di due nostre navi per 70.000 tonnellate complessivamente. Signor P!etr! ha detto d! sperare che l nostri giornali persisteranno nel felice atteggiamento.

672

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 8 agosto 1934.

L'Ambasciatore Cerruti mi telefona di aver spedito oggi il telegramma sulla sua conversazione con Kanya (2).

A parte quelle che possono essere le idee per la soluzione del conflitto austro-tedesco, ha tratto comunque dalla conversazione l'impressione che per ora ci sarà una certa tranquillità.

L'Ambasciatore, che è stato poco bene negli ultimi giorni, chiede di poter fare la sua cura che aveva rimandata per gli avvenimenti recenti. Andrebbe a Badgastein da dove in qualunque momento in 12 ore può essere a Berlino. Partirebbe sabato.

È opinione generale che il 19 non succederà niente e tutto si ridurrà ad una pura formalità. Con la riserva di doverlo richiamare se succedesse qualche fatto nuovo, lo autorizzo a partire per la cura.

L'Ambasciatore mi dice anche di una certa impressione fatta a Berlino dalle dichiarazioni di von Hassell (1), riportate da alcuni giornali della capitale germanica, in cui stigmatizza il contegno della stampa italiana che avrebbe fatto un'opera di denigrazione contro la Germania senza alcun giustificato motivo. Von Hassell avrebbe detto anche che noi abbiamo insolentito Hindenburg fin dalla sua andata al potere, ciò che sarebbe del resto in contraddizione con quanto ha detto von Hoesch a Londra, secondo il quale Hindenburg sarebbe trattato sempre da tutti con rispetto e venerazione.

(l) -Cfr. n. 667. (2) -Cfr. nn. 668 e 669.
673

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 8 agosto 1934.

Il Ministro di Cina è venuto personalmente a comunicare quanto segue:

l. -Da parte cinese, è deciso, in massima, che, in occasione della creazione della R. Ambasciata in Cina, il Governo cinese procederà:

a) all'acquisto di aeroplani in Italia;

b) all'ordinazione di unità navali in Italia;

c) all'invito al R. Governo d'inviare una missione navale in Cina, a

spese del Governo cinese;

d) all'invito al R. Governo ad inviare alcuni tecnici in Cina, a spese del Governo cinese.

Il signor Liou Von Tao ha chiarito che le decisioni di massima di cui sopra hanno per ora carattere ufficioso, inquantochè sono state prese dal generalissimo Chang Kai-shek, ma non sono state ancora deliberate dagli organi competenti: Wang Ching-wei, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri,

{l) Si riferisce al discorso pronunciato da Hassell il 6 agosto per la commemorazione di Hindenburg. In tale occasione, secondo quanto riferi Renzetti con lettera del 7 agosto, Hassell «mosse un attacco all'Italia, dicendo che per i fatti di Vienna i tedeschi dovettero subire incredibili insulti da parte italiana; egli incuorò i tedeschi di Roma a resistere a tutte le avversioni, da qualunque parte esse provengano, ed a dimostrare la loro virtù di fronte agli attacchi, alle offese, alle menomazioni ».

che è d'accordo, ne è al corrente a titolo personale e non come Mi-llistro degli Esteri. Pertanto il Ministro di Cina prega di tenere segreto tutto quanto riguarda sia la istituzione della R. Ambasciata sia le decisioni di massima esposte sopra, prese dal generalissimo.

2. --Il Ministro di Cina propone che la comunicazione ufficiale al Governo cinese relativa alla elevazione della R. Legazione a R. Ambasciata sia fatta dal Governo italiano quando il Governo di Nanchino avrà preso formalmente le decisioni di massima già prese da Chiang Kai-shek circa gli acquisti, la missione navale e gli esperti e quando le decisioni predette saranno state comunicate ufficialmente e per iscritto al R. Governo, tramite la Legazione di Cina presso la Rea! Corte. 3. --Il Ministro di Cina conferma che si reca in Cina, con il Conte Rosso in partenza da Brindisi il 12 agosto corrente: per quanto rigurda la missione navale, egli proporrà che sia composta di un ammiraglio e di 12 ufficiali; si occuperà anche dell'invio di tecnici italiani e delle ordinazioni in Italia, ma soltanto fino a quando saranno prese le relative decisioni di massima in via ufficiale; non si occuperà di concretare i particolari (condizioni di pagamento, quantità delle ordinazioni ecc.), e propone che ciò venga fatto mediante trattative da condursi in un secondo tempo dalla R. Legazione in Cina con il Governo cinese. 4. --Il Ministro di Cina desidera conoscere appena possibile se V. E. è d'accordo su tutto quanto precede (1).
674

VINCENZO ROCCO, AL CAPO GABINETTO, ALOISI

L. P. Durazzo, 8 agosto 1934.

Mi onoro comunicare a V. E. che Sua Maestà ha già deciso l'invio di uno

o due delegati a Livorno nei primissimi giorni dell'entrante settimana, per incontrarsi con l'E. V. e intavolare le note trattative.

Spero bene sopratutto per la soluzione della questione accennata nella seconda parte del promemoria consegnatomi da V. E. il primo corrente (2) ed al cui contenuto mi sono strettamente attenuto.

Le mie dichiarazioni hanno soddisfatto Sua Maestà. Sarò in Italia fra tre giorni e Le fornirò da Roma maggiori dettagli.

Re Zog desidera che il negoziato rimanga per ora segreto.

Faccio conforme comunicazione al Comm. Jacomoni.

(-2) Cfr. n. 631.
(l) -Annotazione a margine di Mussolini: «Sta bene». Altra annotazione di Scaduto: «Comunicato all'Incaricato d'Affari di Cina che sta bene 18 agosto 1934 XII».
675

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2906/405 R. Shanghai, 9 agosto 1934, ore 10 (per. ore 2,30 del 10).

Colonnello Lordi, che è venuto da Nanchang a Shanghai per parlarmi di varie questioni relative missione aeronautica, mi ha riferito che nei giorni scorsi Chiang Kai-Schek gli ha tenuto una conversazione il cui tenore è press'a poco il seguente:

Egli, Chiang-Kai-Schek, al quale sono devolute in maniera sempre più positiva responsabilità politiche della Cina, segue con vivo interesse sviluppi della situazione europea, e non può fare a meno di constatare profonda, decisiva influenza che su di essa esercita personalità del Capo del Governo Italiano.

Non si limita ad ammirare Mussolini, ma desidera, per quanto gli è possibile e per quanto gli è consentito dalle speciali condizioni del suo paese, inquadrare la sua opera nelle linee generali politiche segnate dal Duce.

Chang Kai-Schek ha considerato attentamente recenti sviluppi della situazione Europea centrale che hanno culminato nelle categoriche affermazioni italiane di garantire indipendenza Austria.

Pur giudicando tale situazione da un punto di vista naturalmente conforme alla posizione politica e geografica della Cina, egli si sente, anche a tale riguardo, vicino al Capo del Governo italiano.

Come è noto però, una parte dell'esercito cinese è stata addestrata da ufficiali tedeschi, mentre alcuni di essi fanno parte dello Stato Maggiore di Chang Kai-Schek in qualità di consiglieri, per quanto si possa affermare che la loro posizione sociale sensibilmente diminuita negli ultimi tempi, pur non di meno essa continua ad avere suo peso negli orientamenti dello Stato Maggiore cinese.

È in relazione alla presenza di tali elementi militari germanici in Cina e all'eventuale continuazione della loro missione che Chiang-Kai-Schek ha invitato Lordi a venirmi a vedere per chiedermi a titolo personale di domandare riservatamente a V. E. « quale sia attitudine del R. Governo nei confronti del regime Hitler».

Nostra risposta dovrebbe servire Chang Kai-Schek di norma politica e militare e anzi, a quanto mi dice Lordi, allo spirito di essa egli vorrebbe conformarsi.

Ho fatto notare a Lordi come recente azione politica di V. E. seguita da commenti stampa italiana, abbia chiaramente precisato scopi che persegue Italia nei confronti nazioni europa centrale.

Non potevo perciò che rinforzare quanto V. E. ha reso periodicamente pubblico.

Una risposta più categorica invece, anche se fosse possibile darla, rischierebbe, pur non nutrendo nessun dubbio sulla sincerità di Chang Kai-Schek, di essere, se riferita a persone interessate, malamente interpretata e provocare malintesi che è interesse reciproco evitare.

Credo comunque necessario portare a conoscenza quanto precede l'E. V. per dovere informativo e a riprova del sintomatico stato d'animo di Chang Kai-Schek nei nostri riguardi, nonché in considerazione della sua personalità assolutamente preponderante.

Qualora tuttavia V. E., tenendo conto anche dei caratteri della tipica mentalità cinese che ha determinato una domanda del genere, stimasse opportuno farmi pervenire istruzioni, esse mi potrebbero servire di norma per una eventuale mia comunicazione a Chang Kai-Schek (l).

676

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1086/163 R. Roma, 9 agosto 1934, ore 16,30.

Pregola informare in via personale e riservata il cancelliere che truppe italiane recentemente spostate verso frontiera in seguito noti avvenimenti rimarrebbero ancora qualche tempo nelle vicinanze della frontiera per le esercitazioni di montagna che hanno già cominciato a compiere.

Ove peraltro ciò potesse creare al cancelliere il minimo imbarazzo, siamo disposti a provvedere per il ritiro.

677

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2905/344 R. Parigi 9 agosto 1934, ore 20,15 (per. ore 23).

Mio telegramma per corriere di ieri 0136 (2). Ho voluto chiarire col segretario generale del Quai d'Orsay quale sia stata l'azione esercitata a Londra nella questione austriaca.

Leger mi ha detto che il Quai d'Orsay avrebbe desiderato indurre il Foreign Office a far pervenire al Governo austriaco qualche incoraggiamento morale per la sua azione di resistenza contro il nazismo tedesco.

In assenza di Simon, gli uffici del Foreign Office non hanno però creduto di assumersi la responsabilità di dar corso alla anzidetta suggestione.

Infatti è stato risposto da Londra che si considerava prudente non far nulla nel timore che gli incoraggiamenti della Francia e dell'Inghilterra potessero spingere Vienna a tenere un contegno così risoluto verso il Reich da dar luogo a nuove complicazioni.

In seguito, e proprio di questi giorni, il Foreign Office ha manifestato al Quai d'Orsay la propria sorpresa per il fatto che il Governo austriaco non avesse subordinata la concessione del gradimento a von Papen a determinate condizioni.

Da Parigi partiranno in giornata istruzioni all'ambasciata francese a Londra rilevando l' ... (l) del Foreign Office e incitando nuovamente il Governo britannico a dare a Vienna qualche incoraggiamento.

Leger ha aggiunto che, essendo ritornato a Londra Simon, spera che sia possibile giungere a pratici. risultati.

Si tratta, ripeto, di far giungere a Vienna l'assicurazione dell'appoggio morale dei Governi francese e inglese per rafforzare la posizione del Governo austriaco di fronte al paese.

Non escludo, segretario generale ha concluso, che se non si fa nulla, fra un mese saremo da capo.

(l) -Per le istruzioni di Mussollnl cfr. n. 747. (2) -Cfr. n. 671.
678

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2920/0193 R. Berlino, 9 agosto 1934 (per. l'11).

Sono stato stamane da von Biilow che non avevo rivisto dopo i fatti di Vienna. Mi sembrò fuori di luogo non farne parola, cosicchè li menzionai limitandomi a dire che deploravo che non fosse stato possibile evitare quanto era accaduto, non solo per le conseguenza tragiche verificatesi ma anche per la ripercussione sopra le relazioni fra l'Italia e la Germania.

Von Biilow, premettendo che condivideva i sentimenti da me espressi e che non intendeva menomamente approvare i metodi del signor Habicht, dichiarò di non potersi astenere dal constatare come i fatti di Vienna fossero la conseguenza logica della politica seguita dal Governo di Dollfuss: politica di repressione del sentimento nazionale germanico, di crudeltà inaudite contro i nazionalsocialisti.

Il linguaggio di von Biilow mostrava chiaramente che, nel giudicare i fatti di Vienna, prevaleva in lui il sentimento del «tedesco-nazionale :. sopra quello che lo porta generalmente ad essere tiepido fautore della politica e dei metodi hitleriani.

Gli risposi che naturalmente dissentivo dal suo modo di vedere perchè ero convinto che i fatti di Vienna non fossero dovuti ad una insurrezione interna, ma piuttosto ad una istigazione esterna la cui azione era continua, sistematica e mirava in definitiva a provocare quanto era accaduto. Vi erano ormai troppe prove al riguardo.

Von Btilow disse che il Governo del Reich non conosceva i presunti documenti probatori, cosicchè non aveva avuto sin qui modo di pronunciarsi sopra la loro autenticità o meno.

Aggiunse che era del resto superfluo occuparsi ulteriormente di quanto era accaduto e non poteva quindi più essere evitato. Ciò che invece lo preoccupava era l'avvenire perchè la situazione in Austria era quanto mai critica: i socialdemocratici ricevevano aiuti sia dalla Francia che dalla Cecoslovacchia (non dai Governi naturalmente, ma dai loro compagni di fede) e sembravano rialzare la testa; le lotte delle Heimwehren sembravano essere all'ordine del giorno e nello stesso Governo era difficile vedere gli elementi di un accordo durevole.

In tale stato di cose egli non scorgeva come le relazioni fra la Germania e l'Austria avrebbero potuto ridiventare normali e si domandava come avrebbe potuto svolgersi la missione di pacificazione affidata dal cancelliere del Reich al signor von Papen. Nei vari colloqui avuti nei giorni scorsi con quest'ultimo egli non aveva nascosto le sue apprensioni, condivise bensì da von Papen ma non in modo totale, perchè egli si illude di poter trovare il modo di restituire la normalità ai rapporti fra i due paesi. Evidentemente von Papen dovrà limitarsi a discorrere ed a trattare con il Governo e come può allora illudersi di trovarlo consenziente ad una linea di condotta accettabile dal Governo del Reich?

Mi limitai ad ascoltare, tanto più che l'ultima frase lasciava chiaramente intravvedere che von Papen conta di trattare con i vari partiti per seminare zizzania. Ciò del resto conferma quanto già sapevamo.

(l) Gruppo indecifrato.

679

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2974/0196 R. Berlino, 9 agosto 1934 (per. ore 15,30 del 16).

Il viaggio che i capi delle missioni diplomatiche e gli addetti militari relativi f·ecero il 6 ed il 7 corrente da Berlino a Tannenberg e ritorno per assisterre alla cerimonia funebre del presidente del Reich, feldmaresciallo von Hindenburg, diede occasione a scambi di vedute tanto più interessanti inquantochè molti diplomatici avevano lasciato da tempo Berlino per le vacanze estive e non avevano quindi avuto occasione di discorrere dei fatti di Vienna.

La deplorazione per l'accaduto fu pari all'indignazione per coloro che ne sono responsabili. Dal 30 giugno si vive a Berlino in una atmosfera nella quale ormai tutto può succedere senza destare soverchio stupore. Il che non toglie che i giudizi furono molto severi e che l'inizio del potere supremo di Hitler nel Reich non fu certo accompagnato da elogi e neppure da espressioni di fiducia e speranza.

L'argomento principale delle conversazioni fra diplomatici era infatti quello

della restaurazione monarchica, considerata ormai da tutti come una delle solu

zioni che occorre tenere presente, dato che le altre sarebbero l'esperimento

comunista, che tutti respingono, oppure la dittatura militare che finirebbe per

sfociare pur essa nella restaurazione monarchica.

I polacchi riuscirono a far camminare il treno diplomatico attraverso il corridoio ad un'andatura così lenta che i duecento chilometri circa furono percorsi in oltre quattro ore e mezzo tempo più che sufficiente per permettere ai viaggiatori curiosi ed interessati di constatare come, a differenza della Prussia orientale, il corridoio mostri i segni del frazionamento della proprietà in modeste aziende contadine. I segni palesi erano costituiti dai piccoli greggi di mucche pascolanti e dalla esistenza di numerose capre frammiste al bestiame bovino. Anche i cavalli si vedevano non in mandrie, ma dn numero limitato. Tutto ciò portava a considerazioni che non erano precisamente in favore della Germania né della politica che Hitler credette seguire verso la Polonia, saltando agli occhi di tutti che nei dieci anni di tregua i polacchi riusciranno a sradicare in gran parte il sentimento germanico della popolazione del corridoio, aiutati in ciò anche dai continui errori dei nazionalsocialisti.

Durante le fermate nelle varie stazioni polacche, le autorità locali tennero a mantenere strettamente le disposizioni secondo le quali è vietato ai viaggiatori di scendere dal treno. Anche questa manifestazione di sovranità da parte dei polacchi fu molto commentata.

Per quanto concerne la cerimonia funebre, che fu solenne e veramente degna del grande soldato cui venivano resi gli estremi onori, destò stupore la frase finale dell'elogio di Hitler: « und nun hinein ins Walhall ». Erano universalmente noti i sentimenti profondamente cristiani del maresciallo von Hindenburg che egli professava pubblicamente. Non corrispose quindi certamente alle idee del defunto l'accenno al pagano Walhalla.

Il secondo elogio funebre fu pronunciato dal vescovo protestante della Reichswehr. Il Governo nazionalsocialista aveva stabilito che fosse detto dal vescovo del Reich, Muller, ma la famiglia von Hindenburg insistette perché fosse invece prescelto il vescovo militare il quale era stato nominato al proprio posto personalmente dal defunto presidente del Reich. Con questa scusa fu possibile impedire che il vescovo Mliller, capo dei «deutsche Khristen » che il maresciallo aborriva, dovesse parlare in nome della chiesa sulla sua tomba.

n vescovo dell'esercito non fu troppo felice nel suo discorso perché credette dilungarsi sopra la virtù della « Treue » (fedeltà), la quale non sembra davvero essere quella prevalente nella Germania nazionalsocialista, a giudicare dai fatti occorsi negli ultimi mesi.

Com'era prevedibile, brillò per la sua assenza il generale von Ludendorff, nemico acerrimo del suo ex-Capo in guerra e del regime. Sulla bara del maresciallo vi era un solo ramo di fiori, quello inviato dall'Imperatore Guglielmo con nastro bianco su cui spiccavano le lettere W. II.

Assistemmo alla sepoltura di una Germania che aveva veduto grandezze per opera di un Sovrano e di uomini di Stato e di guerra illuminati e che è poi scesa giù giù per la mancanza di spirito politico dei loro successori, riuscendo però a salvarsi in parte anche per merito del patriota che accompagnavamo

alla tomba.

L'avvenire di questo paese appare ben oscuro e questo è il sentimento, che ancorché gelosamente celato, esiste nell'animo della grande maggioranza del popolo tedesco.

680

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 9 agosto 1934.

L'Ambasciatore Von Hassell è venuto a trovarmi per prendere congedo perché ora va in licenza.

Mi chiede se c'è nulla di nuovo nel campo politico.

Gli rispondo che si pensa che ora ci possa essere un periodo di tranquillità senza notevoli avvenimenti. Un fatto di rilievo di questi giorni è la decisione della Russia di entrare nella Società delle Nazioni. Mi chiede in che forma ciò avverrà. Gli rispondo: probabilmente nella forma scelta per il Messico e la Turchia, cioè un invito dalle altre Potenze.

Richiamo l'attenzione dell'Ambasciatore sui telegrammi da Berlino relativi alle dichiarazioni da lui fatte giorni fa alla colonia tedesca (l). Questi telegrammi lasciano supporre che egli abbia usato dei termini molto violenti contro la stampa italiana, alla quale avrebbe rinfacciato anche di avere attaccato Hi:ndenburg.

II Signor Von Hassell mi risponde che la versione è inesatta. Egli ha detto press'a poco le seguenti parole:

«Nell'ultimo periodo i tedeschi di Roma si sono trovati in una situazione molto penosa e hanno dovuto subire una esperienza molto dura. La Germania è stata oggetto di attacchi molto severi da parte della stampa italiana. Se noi negli ultimi avvenimenti abbiamo avuto qualche colpa, ciò lo dirà la storia futura, ma il tono e la misura degli attacchi che ci sono stati mossi si giudica da sé:..

A proposito di Hindenburg, l'Ambasciatore non ha fatto nessun accenno all'atteggiamento della stampa italiana. Ha detto soltanto che Hindenburg, che era sulla lista dei criminali di guerra, dopo l'assunzione alla Presidenza del Reich ha saputo accattivarsi la fiducia e il rispetto di tutto il mondo.

L'Ambasciatore Von Hassell continua a ricevere lettere e cartoline, generalmente anonime, in cui lo si carica di insulti. II meno che gli si dice è che egli rappresenta un paese di assassini.

II Signor Von Hassell prosegue dicendo che ancora oggi, pure essendo subentrata una certa calma, la stampa italiana è dominata da un senso di malanimo verso la Germania. Egli lo constata anche in questioni di carattere secondario, come quella di Memel.

Gli rispondo che le sue impressioni non sono per nulla giustificate perché proprio nel caso di Memel stiamo occupandoci della faccenda con tutta oggettività, tenendo conto di tutti i desideri manifestati dalla Germania.

A proposito della mlSSlone Von Papen, l'Ambasciatore mi domanda se noi lo lasceremo lavorare tranquillamente.

Gli rispondo che il successo della sua m1sswne non dipende da noi ma dalla Germania. Fino a che non sarà sciolta la legione austriaca è difficile che si possa avere fiducia nelle buone intenzioni dichiarate dalla Germania.

Il Signor Von Hassell mi dice che il governo tedesco ha dato prova delle sue buone intenzioni impedendo ai reparti della legione di passare la frontiera e internando la legione stessa in altre regioni più distanti dal fronte. D'altra parte il problema dei 40 mila austriaci rifugiati in Germania non è un problema indifferente per il suo Paese.

L'Ambasciatore, in via di discorso, mi dice di sapere che gli si fa il rimprovero di avere avuto dei rapporti frequenti, anzi quasi giornalieri, con Rintelen. Egli può affermare che nei 9 mesi che Rintelen è stato a Roma, non lo avrà visto in media più di una volta al mese. E deve dire che Rintelen non gli ha dato l'impressione di un uomo che congiurasse contro il proprio governo. Anzi una volta Rintelen · ebbe a dirgli che gli austriaci dovevano fare l'accordo con la Germania attraverso Dollfuss. Egli, Rintelen, ammetteva di essere alla oppos1zwne di Dollfuss, ma tuttavia riteneva che non si potesse risolvere il problema dei rapporti austro-tedeschi senza di lui.

(l) Cfr. n. 672, nota l, p. 721.

681

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIÉ

APPUNTO. Roma, 9 agosto 1934.

Ho convocato tanto la mattina che il pomeriggio il Ministro DUCIÉ richiamando la sua attenzione sugli articoli comparsi nella Pravda e nel Morgenblatt e Novosti di Zagabria, relativi alla situazione politica interna italiana.

Gli ho fatto presente che le notizie portate sono di una tale evidente inesattezza e di una tale palese malafede che non possono non provocare una reazione da parte italiana. È necessario quindi che il Ministro faccia presente a Belgrado l'opportunità di rimettere la cosa nella vera luce e far cessare detta campagna, altrimenti la causa dei buoni rapporti tra i due paesi che sta tanto a cuore al Ministro DUCIÉ riceverebbe un gravissimo colpo.

Il Ministro di Jugoslavia mi risponde di aver già segnalato per conto suo la inesattezza delle voci da me rilevate, facendo presente anche che l'incidente Arpinati non ha nessuna importanza e non costituisce alcuna incrinatura nella compagine del Fascismo.

Il Ministro ritiene però che l'atteggiamento della stampa jugoslava sia determinato anche da una reazione contro i recenti articoli del Popolo d'Italia. In uno di tali articoli si diceva che l'Italia aveva mobilitato ai confini dell'Austria e della Jugoslavia; in un altro si diceva che la Jugoslavia aveva par

tecipato al «putsch '> nazista in Austria e che il Governo austriaco aveva in mano la prova della colpevolezza del Governo jugoslavo Cl).

Rispondo al Ministro che gli articoli del Giornale d'Italia non hanno a che fare con la questione oggi sollevata. Si possono piuttosto mettere in relazione con l'atteggiamento poco simpatico assunto dalla stampa jugoslava nei riguardi dell'azione italiana in quanto, anziché riconoscere l'aiuto che noi portiamo alla causa comune, ci si attribuivano delle intenzioni aggressive.

Il Ministro jugoslavo, anche in tale occasione ha segnalato a Belgrado che le intenzioni italiane erano assolutamente pacifiche e che l'intento era quello di impedire ogni attacco contro l'indipendenza dell'Austria. Se però si vuole andare a cercare le prime origini della campagna odierna si andrebbe molto lontano, ed egli non crede che si possa dare la massima colpa dell'atteggiamento odierno alla Jugoslavia.

Gli rispondo che neanche io intendo andare a ricercare le origini prime.

Gli espongo un fatto preciso e concreto che dimostra da parte della Jugoslavia una malignità e una cattiva volontà atte a turbare i rapporti tra i due paesi. Voglia segnalare ciò a Belgrado.

Il Ministro non mancherà di farlo, tanto più che ciò rientra perfettamente nel suo modo di vedere e nelle aspirazioni da lui sempre dimostrate per un accordo fra i nostri Paesi. Non può non nascondersi però le difficoltà nelle quali egli si scontra.

Il Signor DUCIÉ ha preso nota, e ha riferito ancora al suo governo, di quanto io gli ho detto nei riguardi dei rifugiati croati, ed egli spera che ciò possa portare a tranquillizzare il governo e l'opinione pubblica jugoslava, rimaste profondamente impressionate dal caso Oreb.

Ripeto al Ministro che non è il caso ora di andare a discutere i precedenti dei fatti odierni sui quali altre volte ci siamo intrattenuti. Gli confermo che se il recente contegno della stampa jugoslava non cambierà rapidamente, la reazione italiana sarà inevitabile.

682

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIÉ

APPUNTO. Roma, 9 agosto 1934.

Il ministro DUCIÉ, pru-landomi della questione dell'Austria, mi dice che gli sembra che la via migliore sia quella di spingere sempre più l'Austria verso la Società delle Nazioni. Interventi diretti in Austria da parte di singole potenze non possono altro che confermare quanto stanno dicendo i nazionalsocialisti e cioè che l'Austria è venduta a potenze straniere. Quando tale accusa

«Il Ministro Duclc mi segnala gli uniti articoli di giornale in cui si attacca la Jugoslavia.

M! segnala anche le guide del Tour!ng, nelle quali, sotto la collezione: "Guide d'Italia" appare anche il fascicolo " Venezia Giulia e Dalmazia ". A quest'ultimo proposito gli faccio osservare che fra le guide d'Italia, la Dalmazia è perfettamente a posto in quanto una parte di essa appartiene al Regno d'Italia».

apparisse confermata dall'atteggiamento dei vicini dell'Austria, non c'è dubbio che tutta la parte patriottica austriaca -nazi e non nazi -si unirebbe per difendere il principio dell'Austria tedesca.

Rispondo al Ministro che la Società delle Nazioni ha una propria funzione nella salvaguardia dell'indipendenza austriaca e noi non abbiamo fatto nulla per distogliere l'Austria dall'appoggiarsi alla Società delle Nazioni. Sta però il fatto che la S.d.N. non ha mezzi per agire efficacemente e rapidamente. Se noi ci rimettessimo solo alla Società delle Nazioni un bel giorno ci troveremmo di fronte al fatto compiuto.

(l) Cfr. un altro appunto di Suv!ch dello stesso 9 agosto:

683

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2936/383 R. Addis Abeba, 10 agosto 1934, ore 12 (per. ore 17,50).

Telegr. di V. E. Gab. 175 (1).

Mi sono espresso con Imperatore secondo le istruzioni dell'E. V.

Imperatore ha soggiunto che lavori delimitazione potrebbero iniziarsi anche senza attendere risoluzione incidente di frontiera.

Ho ripetuto, illustrandolo, concetto indicato dall'E. V.

Circa razzia Giaghi, come riferito con mio telegr. 378 (2), etiopici non mi pare abbiano intenzione di far presto: così, mantenendo nostro punto di vista, inizio eventuale delimitazione non sembra possa rischiare di essere affrettato.

684

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

T. 1092/c. R. Roma, 10 agosto 1934, ore 22.

Diffuse ad arte circolano da qualche tempo notizie di un'azione militare italiana in Abissinia. Invito a smentirle nella maniera più categorica quando il discorso cadrà sull'argomento (3).

685

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2953/0138 R. Parigi, 10 agosto 1934 (per. il 13).

Mio telegramma per corriere n. 0136 (4). Circa il progettato viaggio, a Roma, di questo ministro degli esteri, il segretario generale del Qual d'Orsay non si dimostra così ottimista come il ministro

(-4) Cfr. n. 671.

51 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Pietri. Leger mi ha confermato che la questione più importante da risolvere, preliminarmente, è quella del disarmo. In questo egli concorda con quanto il suo ministro ha detto al signor de Chambrun e io ho riferito a suo tempo a V. E. A questo punto le cose si complicano.

Leger persiste ad essere intransigente riguardo al riarmamento della Germania. Egli afferma che il ministro degli esteri non può fare alcuna concessione in merito perché legato da una decisione del consiglio dei ministri. Ho osservato che il Gabinetto può modificare le sue deliberazioni. Il mio interlocutore non si è smosso dalla sua intransigenza. Ha soggiunto che a parere suo si è avuto il torto di lasciare parlare troppo, dai giornali, del viaggio a Roma del ministro degli Esteri, mentre non si poteva ignorare che la preparazione diplomatica sarebbe stata difficile.

Mi è sembrato che il marchese Tlleodoli abbia riportato dalla conversazione avuta di recente col segretario generale del Quai d'Orsay, un'impressione più ottimistica di quella risultante dai miei precedenti colloqui con Leger. Ho voluto per questo sincerarmene ed ho constatato che, con me, il segretario generale non ha mutato il linguaggio nel considerare il problema del disarmo che il Quai d'Orsay ha voluto legare alla visita del ministro degli esteri a Roma. Il signor Barthou avrà la forza d'infrangere l'opposizione che gli viene dai suoi stessi servizi? È quello che vedremo fra tre settimane. È probabile che Barthou voglia riservare le sue decisioni a Ginevra dove i patteggiamenti, al di fuori del diretto controllo del Quai d'Orsay, gli riusciranno più facili. Il funzionarisma del Quai d'Orsay ha evidentemente sposata, in fatto di disarmo, la tesi del triumvirato Doumergue-Herriot-Tardieu. D'altra parte, se si deve credere a quello che mi ha detto il ministro Pietri, e io credo che si debba prestare fiducia alle sue parole, vi sarebbe nel seno stesso del gabinetto Doumergue una corrente autorevole a favore di un compromesso, che si starebbe studiando.

Occorre insomma che si stabilisca l'accordo qui, fra i poteri competenti, prima che sia possibile di avviare fra il Quai d'Orsay e noi, serie trattative con probabilità di giungere a concreti risultati.

(l) -Cfr. n. 542. (2) -T. 7997/378 P.R. del 9 agosto, non pubblicato. (3) -Minuta autografa dl Mussollnl.
686

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO DELLE COWNIE, DE BONO, E AI SOTTOSEGRETARI ALLA GUERRA, BAISTROCCHI, ALLA MARINA, CAVAGNARI, E ALL'AERONAUTICA, VALLE (l)

L. s. Roma, 10 agosto 1934.

Riconfermo, precisandolo in forma perentoria, il mio pensiero sulla questione abissina, affinché ognuno informi strettamente la sua azione e quella dei propri dipendenti, alle mie direttive.

1° ~ L'attuale situazione in Europa coll'oramai avvenuto fallimento della conferenza del disarmo e coi conflitti dell'Estremo Oriente è così incerta che

tutte le forze armate italiane, devono essere tenute in vigile efficienza per poter affrontare nelle migliori condizioni gli avvenimenti che si possono prodmre anche improvvisamente com'è accaduto alla fine dello scorso luglio.

2° -Qualsiasi impresa che in questo momento sottragga importanti forze militari allo scacchiere europeo deve essere ritenuta come sommamente dannosa e come producente una pericolosa diminuzione del nostro potenziale bellico.

3° -Di conseguenza per quanto riguarda l'Abissinia la nostra linea di condotta deve essere tale da dare a tutti la sensazione che noi manteniamo fede al trattato di amicizia .

Siano quindi decisamente stroncate e con ogni mezzo tutte le chiacchiere che in Italia e nelle colonie si fanno su nostre intenzioni aggressive verso l'Abissinia. Queste voci possono costare domani più ingenti sacrifici.

4° -Ciò posto il Ministro delle Colonie con tutti gli accorgimenti all'uopo necessari deve imprimere un ritmo accelerato alla preparazione difensiva della nostra colonia, secondo i programmi già definiti nelle riunioni interministeriali tenutesi a Palazzo Venezia ed essenzialmente provveda con precedenza:

a) a rinforzare il R. Corpo truppe coloniali con una salda ed ampia inquadratura di ufficiali e graduati italiani;

b) a dare reale consistenza con numerosi capisaldi alla linea di difesa indicata dal Capo di Stato Maggiore Generale, munendola di un largo ordine di reticolati.

5° -Informo che ho dato ordine al Capo di Stato Maggiore della M.V.S.N. di preparare la mobilitazione di tre forti battaglioni di camicie nere, uno dei quali -il primo -dovrà essere composto esclusivamente o quasi, di ufficiali e sottufficiali. Per non sollevare sospetti viaggeranno come semplici soldati. Tale battaglione dovrà partire entro settembre e gli altri due immediatamente dopo, se le notizie da Addis Abeba saranno sospette.

Dette truppe saranno inviate sollecitamente in Eritrea se avremo in ottobre qualche serio indizio di preparativi del Negus contro di noi.

6° -Preciso ancora e definitivamente che in caso di aggressione abissina (l) la Unea da seguire è la seguente: «resistere sulle nostre organizzazioni difensive e soltanto dopo avere inflitto un decisivo scacco al nemico passare alla controffesa in quella direzione e con quegli obiettivi che la situazione del momento consiglierà».

Prego accusare ricevuta della presente (2).

«Con l'occasione credo di poter riconfermare non essere assolutamente probabile una aggressione abissina al cessare del'attuale stagione delle piogge».

«40 -Linea di condotta: restare sulle organizzazioni difensive e attendere l'attacco nemico. Solo dopo respinto l'attacco nemico il comandante potrà prendere quelle decisioni che la situazione consiglia.

s. E. DE BONO: occorre prospettarsi anche l'eventualità che gli abissini non attacchino, ma stiano a vedere la nostra preparazione e facciano domandare dalle altre potenze che

(l) La lettera fu inviata, per conoscenza, anche a Badoglio. Ed. !n RoCHAT, pp. 356, 357 e !n MussoLrNr, Opera Omnia, vol. XLII, pp. 84-85.

(l) Cfr. 11 capoverso finale della lettera segreta 81088 del 14 agosto con cui De Bono rispose al presente documento:

(2) Si pubblica qui un passo del verbale di una riunione tenuta al Viminale 11 27 luglio con la partecipazione di Badoglio, De Bono, Baistrocchi, Cavagnari, Vannutelli, Valle e Pinna (Archivio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito):

687

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI D'AUSTRIA A ROMA, ROTTER

N. 6390. Roma, 10 agosto 1934.

Ho l'onore di riferirmi alla lettera in data 25 luglio u.s. O), con la quale Ella, d'ordine del Suo Governo, pregava il Governo Reale di voler consentire che l'accordo intervenuto a suo tempo tra i Governi italiano, francese e britannico e il Governo federale austriaco per la costituzione e il mantenimento di un corpo militare ausiliario, venga prolungato, a partire dal 6 novembre 1934, per una durata ulteriore e indeterminata fintanto che sussisteranno le circostanze speciali che motivarono quell'accordo.

Ho l'onore di informarLa che il R. Governo non ha obiezioni al riguardo e che da parte sua acconsente di buon grado alle richieste.

688

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2939/273 R. Vienna, 11 agosto 1934, ore 20,30 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 272 (2).

Cancelliere mi ha detto che scioglimento della direzione del partito nazional socialista austriaco in Monaco di Baviera non risulta ancora in modo ufficiale.

Detta evenienza è stata solo accennata da von Papen in una visita fatta mercoledì scorso al ministro d'Austria a Berlino (3). Ho poscia preso visione del rapporto inviato al riguardo da detto diplomatico austriaco.

cosa intendiamo di fare. Noi non potremo lasciare per lungo tempo in Eritrea un grosso corpo di spedizione senza scopo. L'eventualità è stata prospettata al Capo del Governo.

S. E. BADOGLIO: non possiamo fare troppe ipotesi e considerare tutti l casi.

S. E. DE BONO: se si verifica quella situazione, ad un certo punto bisognerà provocar!!.

s. -E. BADOGLIO: si vedrà a suo tempo. Le condizioni dell'Abissinia non sono ancora molto mutate per quanto riguarda sostentamento. Non può mancare la crisi logist!ca. s. -E. DE BONO: vi sono soltanto se! giornate di viveri in più di una volta. s. -E. BADOGLIO: !l Capo del Governo valuta la gravità dell'impresa: a) quattro divisioni allontanate dalla madre patria; b) s'intacca la riserva aurea di almeno un terzo; c) si pregiudica la nostra situazione in Europa con paralisi per un numero notevole di

anni -non conviene quindi impegnarsi laggiù.

Bisogna illuminare anche tutti i nostri dipendenti: la nostra preparazione ha lo scopo di mettere l'Eritrea in grado di parare a colpi di testa abissini: ci prepariamo in Italia soltanto per sostenere l'Eritrea.

Riassumendo ripeto:

1o -non abbiamo intenzione di sollevare noi la questione abissina, perché ci polarizze

rebbe per un certo numero di anni in un momento in cui la situazione in Europa è precaria;

2o -il giuoco non vale la candela. Ha voluto far queste dichiarazioni fin dalla prima

riunione».

In esso sono riprodotte le seguenti dichiarazioni di von Papen. lo Che egli, prima di accettare missione a Vienna, ha ottenuto da Hitler le seguenti garanzie: scioglimento suindicata direzione; scioglimento del comando delle legioni austriache incorporate S. A.; dispersione di tutti i legionari austriaci compresi quelli incorporati nelle S. A. 2° Che egli non può che rimproverare la Wilhelmstrasse per aver permesso che il partito nazista si ingerisse, come ha fatto, nelle cose austriache. Tale sua riprovazione lo ha consigliato a chiedere ed ottenere di non dipendere dal ministro degli affari esteri ma direttamente dal cancelliere del Reich. 3° Che egli intende venire a Vienna nella settimana prossima solo per qualche giorno onde presentare lettere credenziali ma di stabilirvisi soltanto nell'autunno inoltrato. Ciò perché non volendo egli essere un «ministro lotta » desidera che nel frattempo da una parte la Germania recida ogni filo di ingerenze nelle cose austriache e dall'altra parte proceda ad una completa pacificazione all'interno. Al che rappresentante austriaco ha risposto che detta pacificazione non mancherà di prodursi non appena cesseranno inframmettenze tedesche. Al Ballplatz si hanno notizie giusta le quali sarebbero effettivamente in corso in Germania misure intese allo scioglimento dei predetti comandi e corpi. Cancelliere mi ha infine detto che signor Frauenfeld avrebbe avuto un impiego nella Prussia orientale e che sarebbe stata soppressa pubblicazione noto notiziario dei legionari austriaci. Cancelliere ha rilevato altresì completa tranquillità in tutto il paese.

(l) -Cfr. n. 561. (2) -Con t. 2912/272 R. del lO agosto Preziosi aveva comunicato: «Al Ballplatz m! è stato detto che nulla risulta fino ad oggi ufficialmente ne! riguardi notizie date stampa odierna circa scioglimento direzione partito nazionalsocialista austriaco in Monaco di Baviera». (3) -Cerrut! aveva comunicato analoghe notizie, r!fer!tegli dal ministro d'Austria dopo11 suo colloquio con von Papen (t. 2916/246 R. del 10 agosto, non pubblicato).
689

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2938/274 R. Vienna, 11 agosto 1934, ore 19 (per. ore 22.30).

Telegramma di V. E. n. 164 (l).

Cancelliere mi ha detto che egli desidera dare al suo incontro con S. E. il Capo del Governo non un carattere occasionale ma quello di una speciale visita, (quantunque in forma privata stante il lutto ufficiale austriaco), giacché sente tutto il dovere di rappresentare personalmente al Duce il sentimento di viva gratitudine del suo paese.

Ciò stante cancelliere intende partire direttamente per aeroplano da Vienna alla volta di quel luogo che sarà convenuto per la visita.

Egli suggerisce Venezia; come data: 22 corrente.

Da Venezia cancelliere si proporrebbe andare per qualche giorno nell'Alto Adige a Braies, dove sua famiglia probabilmente si recherà a villeggiare. Egli pensa pure ad una breve crociera nell'Adriatico.

(l) T. 1087/164 R. del 9 agosto, non pubblicato.

690

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2934/275 R. Vienna, 11 agosto 1934, ore 18,40 (per. ore 20,45).

Telegramma di V.E. 163 (1). Cancelliere è stato molto sensibile al messaggio di V. E. da me riferitogli in via assolutamente personale e riservata. Mi ha pregato esprimere a V. E. i suoi più caldi ringraziamenti e di farle conoscere che egli non ha alcunché da eccepire.

Nel seguito della conversazione cancelliere mi ha in fretta accennato che sarebbe forse opportuno mantenere una certa discrezione intorno movimento delle truppe.

691

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2933/276 R. Vienna, 11 agosto 1934, ore 18,30 (per. ore 22,30).

Ministro degli affari esteri ungherese di ritorno da Berlino si è fermato qualche ora Vienna. Da fonte bene informata mi risulta aver egli detto essere sua impressione:

1° -Che Hitler desidera sinceramente una détente austro-tedesca, anche nei riflessi dei rapporti con l'Italia: 2° -Che non è però sicuro che Hitler abbia la forza di far prevalere su ambienti estremisti tali suoi pacifici intendimenti. Kanya avrebbe anche aggiunto che esecuzioni in seguito avvenimenti 30 giugno scorso ammonterebbero a 700.

692

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2951/046 R. Tirana, 11 agosto 1934 (per. il 13).

Telespresso di V. E. n. 464 del 7 corrente (2). Ho fatto a ministro degli affari esteri comunicazione circa trattative ispirandomi ai concetti esposti da V. E. nel suo citato telespresso. Ho fatto sopra• tutto presente necessità precisazionl circa definizione questioni lasciate in so

speso da questo Governo. Ho ricordato che loro offerte non possono costituire una contropartita a nostre concessioni laddove loro richieste saranno considerate accettabili. Qui il ministro mi ha pregato di essere a mia volta preciso su concessioni che Governo fascista sarebbe disposto accordare mostrando intendimento non esporsi prima che noi ci fossimo pronunciati al riguardo. Ho subito ribattuto su questa errata impostazione delle conversazioni ricordando che mentre Governo fascista si era sempre dichiarato e si dichiarava nuovamente pronto a trattare per una cordiale ripresa della collaborazione ma si preoccupava in pari tempo di dare alle trattative una favorevole atmosfera e una base che fosse garanzia di riuscita, non mi sembrava che da parte albanese ci fosse desiderio egualmente sentito e analoga preoccupazione poiché altrimenti esso si affretterebbe a mostrare tali sentimenti procedendo appunto a definizione di quelle pendenze o almeno a precisazioni al riguardo che possano dimostrare sue buone disposizioni. Sarà questo, come avevo detto tante volte, modo migliore per attirare benevola attenzione di Roma su problemi essenziali dell'economia e delle finanze del paese pei quali Governo albanese faceva appello ad interessamento del Governo amico ed alleato. Ho passato nuovamente in rassegna detti problemi, ho fatto qualche accenno a attese precisazioni e ho di sfuggita, a titolo del tutto personale, domandato quale andamento avessero le conversazioni col Vaticano per raggiungere con questo l'accordo cui mi aveva fatto cenno nel precedente colloquio ricordandogli che avevo dato al mio Governo precise comunicazioni su quanto egli mi aveva assicurato al riguardo. Il ministro mi ha confermato sue precedenti dichiarazioni senza precisare maggiormente. Ha concluso che avrebbe dettagliatamente riferito al Re.

(l) -Cfr. n. 676. (2) -Cfr. n. 663.
693

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2973/0197 R. Berlino, 11 agosto 1934 (per. il t6n

Mio telegramma per corriere n. O192 (l).

Ho appreso da buona fonte che il Governo del Reich si proporrebbe il giorno in cui avesse ricevuto un progetto completo del patto orientale di non assumere un atteggiamento di ripulsa, ma di proporre degli emendamenti tali da porre in evidenza la parte consultativa del patto stesso facendo passare in seconda linea quella dell'assistenza mutua. Così facendo il Governo del Reich tenderebbe a fare assumere al patto orientale più o meno la stessa funzione del patto a quattro, con la variante peraltro che la consultazione circa i vari problemi politici ed economici europei non sarebbe limitata a quattro Potenze, ma comprenderebbe pure la Polonia e l'URSS.

(l) T. per corriere 2921/0192 R. del 9 agosto, non pubblicato, con il quale Cerruti comunicava avergli detto von Billow che il Governo tedesco non aveva alcuna ragione di considerare con favore il patto orientale dato che esso non prevedeva una garanzia preventiva da accordare alla Germania per l'applicazione pratica della parità dei diritti.

694

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 8105/991. Budapest, 11 agosto 1934 (per. il 16).

1. -Nel corso di una conversazione confidenziale il direttore degli Affari Politici di questo Ministero Esteri ha detto stasera al primo segretario della R. Legazione che al Quai d'Orsay era stata data lettura all'Incaricato d'Affari d'Ungheria della nota diretta in questi giorni dal Governo francese a quello jugoslavo in relazione all'atteggiamento tenuto da quest'ultimo durante la recente crisi austriaca. Egli, Apor, si era subito chiesto quale potesse essere lo scopo di tale inusitata premura; ed era giunto alla conclusione che con questa comunicazione Parigi avesse inteso dare a Budapest una specie di avvertimento, nell'infondata supposizione di mire ungheresi sul Burgenland, analoghe a quelle fondatamente attribuite alla Jugoslavia sulla Carinzia, e magari di una collaborazione più o meno stretta ungaro-germanico-jugoslava nella questione dell'Austria. 2. -Sviluppando quindi il concetto della fondatezza del richiamo fatto da Parigi a Belgrado, Apor non ha lesinato gli apprezzamenti e le argomentazioni antiserbe che questo Governo ci va ripetendo con insistenza da qualche tempo: l'atteggiamento del Governo jugoslavo era stato più che equivoco in tutta questa faccenda; era certo che se le truppe italiane avessero dovuto entrare in Austria quelle jugoslave avrebbero fatto altrettanto; certe pure risultavano ormai le connivenze degli ambienti responsabili serbi con i nazisti. Credeva di trovarne quasi una riprova nella campagna inscenata in questi giorni -senza che la situazione interna austriaca e tanto meno quella ungherese ne offrissero motivo -dalla stampa jugoslava e ceca contro un'eventuale restaurazione: le minacce dirette in apparenza contro Austria ed Ungheria gli sembravano rivolte in realtà contro la Francia per il caso che questa, in ·seguito all'atteggiamento tenuto dai suoi alleati orientali durante la crisi austriaca e ripagandoli di uguale moneta, prendesse a considerare l'opportunità di una soluzione legittimista.

Egli, Apor, aveva in ogni caso l'impressione -oggi come ieri -che a Belgrado si pensasse senza preoccupazione, anzi con qualche speranza, all'eventualità di una realizzazione dell'Anschluss: se il grande Reich e la grande Italia -doveva ragionarsi colà -fossero venuti un giorno a confinare, la Jugoslavia avrebbe potuto trarre profitto da tale situazione.

695

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1102/118 R. Roma, 12 agosto 1934, ore 16,30.

È stato concordato incontro fra S. E. capo del Governo e cancelliere Schuschnigg verso 20 corrente in località alta Italia ancora da stabilire, dipendendo da spostamenti S. E. capo Governo durante periodo manovre terrestri.

Prego V. S. informarne codesto Governo.

696

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Vienna, 12 agosto 1934.

A seguito delle due lettere che ho avuto l'onore di inviarLe relativamente ai sospetti destati dalla condotta tenuta dal Fey nel corso dei recenti avvenimenti (1), mi permetto sottoporre all'attenzione di V. E. copia di un rapporto

n. 1656, in data 9 corrente, del R. Console a Klagenfurt, relativo a strani accenni fattigli dalla consorte del predetto Ministro.

ALLEGATO

ARNO' A PREZIOSI

R. rr. 1656. Klagen/uTt, 9 agosto 1934.

Ho ricevuto la visita della signora Fey che si trova in villeggiatura a Krumpendorf sul Worthersee. Essa ha detto di sentirsi profondamente rattristata dalle depresse condizioni morali del marito venuto a trovarla domenica scorsa. Tale depressione sarebbe dovuta a gravi preoccupazioni per la situazione politica che si presenta sempre più difficile e incerta. Mentre i nazionalsocialisti si mostrano irreducibili e sempre più esaltati, ~ncombe sul Paese la minaccia dei comunisti che finanziati dalla Russia preparano una nuova rivolta. La signora ha poi lasciato intendere che a divergenze di vedute fra gli elementi che compongono il Gabinetto devesi attribuire il disorientamento del Governo. Infine si è doluta della accusa di essersi rifugiata a Venezia immediatamente prima del putsch e di altre gravi ingiuste accuse fatte al marito. Alludeva probabilmente alle voci corse con insistenza di connivenze del maggiore Fey con gli organizzatori della rivolta, connivenze con cui si vorrebbe spiegare il contegno tutt'altro che eroico tenuto dal Fey durante l'occupazione della Ballhaus e l'assassinio del Cancelliere Dollfuss.

Le confidenze che la signora Fey ha avuto l'aria di fare a me e a mia moglie in un momento di sconforto, trovano una strana rispondenza nell'atteggiamento di taluni ambienti nazisti che vanno agitando il pericolo comunista per dedurne la necessità di una alleanza fra nazi e heimwehren. Si precisa anzi che il compito di von Papen sia quello di formare un blocco di tal genere capeggiato da Starhemberg o da Fey. Non mi è possibile precisare se tali ipotesi e programmi incontrino o meno favore nei partiti interessati e nel Paese. È però certo che i recenti avvenimenti hanno lasciato uno strascico di rancori di miserie e di odio verso il Governo Federale, ma più specialmente verso il partito cristiano-sociale e che un Governo Heimwehren sarebbe più accetto anche ai nazi.

697

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A BERLINO, DIANA E A LONDRA, VITETTI

T. 1110 R. Roma, 13 agosto 1934, ore 24.

Visita Starhemberg (2) non ha alcun carattere ufficiale. Egli ha avuto uno scambio di idee con S. E. il Capo del Governo ma non è stata trattata in modo

particolare alcuna determinata questione. Non è stato diramato alcun comunicato ufficiale. Quanto precede per sua informazione e norma di linguaggio.

(per Londra e Parigi) Allo stesso fine informola;

(per Berlino) Informola pure;

(per tutti) che 21 o 22 corrente in località da determinarsi ma che sarà città dell'alta Italia avrà luogo un incontro tra S. E. il Capo del Governo e il cancelliere Schuschnigg, analoghi incontri che hanno avuto precedentemente luogo con il cancelliere Dollfuss;

(per Berlino) Della visita di Schuschnigg ella potrà tener parola a codesto Governo però in via di discorso e senza farne oggetto di comunicazione particolare;

(per Londra e Parigi) Della visita di Schuschnigg è stata informata questa;

(per Londra) ambasciata britannica;

(per Parigi) ambasciata di Francia.

(l) -Cfr. nn. 659 e 666. (2) -Starhemberg aveva incontrato Mussolini a Palazzo Venezia 1'11 agosto; non si è rinvenuto l! verbale del colloquio.
698

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2975(0142 R. Vienna, 13 agosto 1934 (per. il 16).

Mio telegramma 269 dell'8 corr. (l).

Questo ministro degli esteri mi ha testè fatto conoscere, giusta quanto il rappresentante jugoslavo gli ha riferito secondo precisazioni pervenutegli da Belgrado:

l) --che è esatto che due reggimenti jugoslavi permangano alla frontiera carinziana sulla linea in precedenza indicata;

2) -che tali reggimenti sono stati portati in avanti dalle loro sedi abituali, iniziando, sul posto su cui sono giunti, una «vita normale», senza cioè, né spostamenti ulteriori né esercizi;

3) -che tali truppe rimarranno colà fino a quando quelle italiane resteranno concentrate alla frontiera.

(l) Cfr. n. 670.

699

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2987/8170/051 R. Budapest, 14 agosto 1934 (per. il 18).

l. Giusta le istruzioni impartitemi con telegramma n. 118 (1), ho informato stamane questo presidente del Consiglio, rientrato dopo tre giorni di assenza, del prossimo incontro di V. E. con il cancelliere austriaco. Il presidente Goemboes da parte sua mi ha fatto del suo recente incontro con il signor von Schuschnigg (mio telegramma n. 142 dell'll corr.) (2) il resoconto che qui appresso riassumo:

L'impressione generale !asciatagli dalla visita e dalla persona del nuovo cancelliere austriaco è ottima sotto ogni riguardo. Lo ha definito ponderato e deciso, «di vedute più larghe e profonde del povero Dollfuss ». <<Al suo arrivo non lo conoscevo ancora -mi ha detto -alla sua partenza ci siamo lasciati già amici».

Nel lungo colloquio Goemboes ha pregato Schuschnigg dì esporgli chiaramente ìl suo pensiero circa la questione legittimìsta. Il Cancelliere ha osservato sorridendo: « La mia fama a riguardo non deve essere troppo buona... ». Poi ha dichiarato: *<<Sono monarchìco; non ritengo la questione di attualità; non intraprenderò comunque mai passi in proposito senza preavvertirvi ». Tono e contenuto di queste assicurazioni hanno evidentemente tranquillizzato Goemboes * (3).

Altrettanto gli è piaciuta l'altra, datagli da Schuschnigg circa i rapporti dell'Austria con la Piccola Intesa: «Vi do la mia parola che il mio Governo non trescherà mai con ìl trinomio ». Goemboes ha inoltre mostrato di rendersi conto della necessità, prospettatagli da Schuschnigg e ch'egli Goemboes ritiene di carattere finanziario, che l'Austria «vada d'accordo» con la Francia.

L'uno e. l'altro si sono trovati quindi pienamente d'accordo nel « confermare che gli accordi tripartiti di Roma costituiscono la base della politica dei due paesi». Il cancelliere austriaco ha preannunziato al presidente ungherese come prossima la sua visita a S. E. il Capo del Governo; nel compiacersene Goemboes * « gli ha consigliato di parlare al Duce di ogni cosa, anche della questione legittimista, a cuore aperto» *.

Circa la situazione interna dell'Austria Schuschnigg dopo aver sottolineato il suo pieno accordo con Starhemberg sulla cui persona e cooperazione si è espresso nei termini più lusinghieri -ha illustrato a Goemboes la necessità in cui si trovava il loro governo di reprimere i crimini nazisti con oculata fermezza; Goemboes ne ha decisamente approvata e incoraggiata l'energia. Quanto alla politica religiosa ha affermato nulla desiderare maggiormente che una assoluta equiparazione delle confessioni ed una piena pacificazione degli ani

mi; se taluno -ha aggiunto -lo considera oggi troppo «nero» gli è che ln Austria oggi protestantesimo è divenuto sinonimo di nazionalsocialismo. In complesso Schuschnigg -come Goemboes --considera la situazione interna austriaca migliorata, ma evidentemente non ancora scevra da rischi. Egli attribuisce la forza della propaganda nazi in gran parte al fatto che nelle cellule germaniche, cioè pangermaniste, costituite nelle provincie austriache fin dall'anteguerra, la propaganda attuale ha trovato bell'e pronto un poderoso strumento. *Goemboes da parte sua ravvisa la miglior garanzia per la normalizzazione definitiva nel rafforzamento e nello sviluppo dell'esercito federale, anziché delle formazioni politiche militarizzate *.

Per quanto concerne più particolarmente le relazioni austro-germaniche, Goemboes avrebbe detto all'incirca a Schuschnigg: «Io, al posto vostro, terrei a Papen al suo arrivo il seguente discorso: Sono lieto di vedervi qui come ministro del Reich, e mi riprometto molto della vostra opera per il miglioramento dei rapporti tra i nostri due Paesi e per la loro armonica collaborazione con Roma e Budapest. L'Austria tuttavia intende non soltanto conservare la sua indipendenza statale, ma anche non tollerare intromissioni nei suoi affari interni di Stato sovrano». «È inutile dichiarare -aggiungeva a me il presidente -come fa Hitler nella sua ultima intervista che l'indipendenza dell'Austria è fuori discussione, quando, consigliando nella frase successiva le elezioni, compie di già una nuova intromissione negli affari interni di quel Paese».

* Continuando nei consigli di cui ama esser largo *, il generale Goemboes avrebbe infine suggerito al signor Schuschnigg di ispirare le sue trattative coi tedeschi a chiara fermezza: fin qui sono disposto ad arrivare, più in là no. «Se trattasse con loro all'austriaca -ha concluso meco -temporeggiando e destreggiandosi, non conseguirebbe lo scopo».

2. Essendo quindi la nostra conversazione naturalmente passata all'atteggiamento germanico, il presidente è uscito nella frase: «Hitler è rimasto un propagandista. Si è preoccupato delle ripercussioni dei fatti di Austria sull'opinione pubblica interna ed interna:donale, ha avvisato ai rimedi per quellè; ma, nella sostanza, sembra continui a menare il cane per l'aia». Che il piano, di cui Kànya si proponeva informare l'ambasciatore Cerruti a Tannenberg Ctelespresso ministeriale n. 226214/c dell'll corr. mese) (l) e sul quale Goemboes mi ha dato una risposta evasiva, non abbia incontrato successo a Berlino?

Come che sia, le dichiarazioni fatte da Goemboes a Schuschnigg; il rilievo dato qui alla visita Schuschnigg, la cordialità dell'accoglienze e il contenuto del comunicato ufficiale; le impressioni, infine, che vengo raccogliendo in questi ambienti responsabili, sembrano mostrare che la tendenza, qui affiorata tre settimane or sono, sia venuta rientrando -come fin d'allora mi fu facile prevedere (mio telegramma n. 133 del 28 luglio) (2) -a misura che questo Governo è venuto realizzando la portata del successo che *la politica di Roma ha conseguito su quella di Berlino*.

Non soltanto nel linguaggio, ma anche forse nel pensiero del Governo di Budapest queste fasi contraddittorie dell'atteggiamento ungherese non sono

invece che naturali manifestazioni dell'orientamento di amicizia per Roma, Berlino e Vienna ad un tempo, che è considerato qui essenziale per le necessità economiche del presente e per le speranze revisioniste dell'avvenire.

(l) -Cfr. n. 695. (2) -Con t. 2929/142 R., non pubblicato. Colonna aveva riferito che il Governo ungherese era assai soddisfatto delle conversazioni cui aveva dato occasione la visita di Schuschnlgg. (3) -Questo e i successivi passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussolln!. (l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 595.
700

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 11 agosto 1934.

Sono stati da me -separatamente -l'Incaricato di Francia e quello di Inghilterra per dirmi che i rispettivi Governi preoccupati dalla situazione del Governo austriaco pensavano che lo stesso dovesse allargare la propria base nel paese attirando a sé tutti quegli elementi che sono decisamente contrarii all'Anschuss e che tuttavia non agiscono nell'orbita della coalizione governativa austriaca.

Si tratta secondo quanto mi hanno detto i due Incaricati d'Affari sopra· tutto degli elementi più moderati del socialismo e di alcuni elementi «nazionali » che non seguono le idee e le forme di azione dei nazionalsocialisti.

È opinione dei Governi francese e britannico che converrebbe fare un passo comune a Vienna per indurre quel Governo a un'opera di avvicinamento verso gli elementi suddetti; si rivolgono a noi per sentire se siamo d'accordo e in caso affermativo quale forma vorremmo scegliere; a Parigi e a Londra si era pensato di fare questo passo a mezzo dei Ministri a Vienna.

Ho risposto che il Governo austriaco è già sulla linea di conquistare al fronte patriottico gli elementi provenienti dai partiti di opposizione e quindi su tale punto non ci può essere dissenso; è un'opera da fare sulle masse e non sui capi. Per quanto riguarda i socialdemocratici in particolare i capi sono completamente esautorati e le masse non ne vogliono sentire più parlare. È chiaro ad ogni modo che il Governo austriaco non può deflettere dal suo atteggiamento contrario alla socialdemocrazia perché qualunque compromesso con la socialdemocrazia segnerebbe una rovina dell'attuale Governo e quindi di tutto il regime austriaco attuale con gravissime conseguenze.

Per quanto riguarda i «nazionali» la questione non è affatto semplice,

perché questi idealmente sono per l'Anschluss.

Mi riservo di informare il Capo del Governo di quanto i due Incaricati

d'Affari mi hanno detto per sentire le sue decisioni, anche per il caso che

intendesse farne parola al Cancelliere Schuschnigg in occasione del prossimo

incontro.

Tanto l'Incaricato d'Affari di Francia che quello di Inghilterra mi hanno

pregato di riferire loro le decisioni del Capo del Governo per regolarsi in con

formità.

Ho riferito questi colloqui al Principe Starhemberg, il quale mi ha detto

che la situazione non poteva essere forzata ma che conveniva attendere che

attraverso un'opportuna propaganda gli elementi provenienti dai partiti di oppo

sizione si avvicinassero al fronte patriottico.

701

APPUNTO (l)

Roma, 14 agosto 1934.

Il Colonnello Barbasetti mi ha detto (e la notizia mi è stata data anche da altra fonte indipendente) che giusta informazioni pervenute allo Stato Maggiore vi sarebbe nelle forze armate austriache un diffuso senso di disagio per il permanere delle nostre truppe sulla zona di frontiera.

702

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P.S. Belgrado, 14 agosto 1934.

Con telespresso odierno n. 5165/1428 (2) riferisco della stampa jugoslava in rapporto ed in occasione della ultima crisi austriaca, e di un mio colloquio con Purich.

Ho sorvolato in quella comunicazione ufficiale, su quanto egli mi ha estesamente detto su Oreb e compagni ciò che come sai è ritornello che dura dal gennaio. Lo ho più volte interrotto dicendogli che erano favole per il mio bambino, che la Jugoslavia spendeva male il suo denaro in informazioni, che correvano dietro ai fantasmi e spauracchi etc. etc. Finché lo ho definitivamente interrotto dicendogli che se voleva gli avrei raccontato varie prodezze di funzionari jugoslavi e dato le prove della complicità del suo Governo mentre funzionava in pieno l'amicizia itala-jugoslava e mi sono da lui accomiatato.

La sostanza di quanto mi ha detto Purich è questa:

Il Governo jugoslavo saprebbe che vi sono in Italia circa 1000 croati organizzati come ustasci, vestiti, pagati armati con fondi pubblici. Che dopo il mancato attentato di Zagabria gli ustasci sono stati spostati da Bardi, Borgotaro etc. tre volte. Non ha detto le località, e non ho compreso bene se si tratti invece di ripartizione in tre diversi luoghi. La Jugoslavia è in costante contatto, e sorveglianza di questi gruppi e ne conosce minutamente e quotidianamente i movimenti e l'attività.

Ciò essa ha fatto anche per l'Ungheria quanto al campo di Janka Pusta. Purich mi ha detto che qualche informatore jugoslavo era stato ucciso dagli ungheresi, ma ciò non aveva fatto rinunciare il Governo a mandare degli emissari per essere informato. Né rinuncierà mai a farlo.

Mi ha poi detto di chiedere al mio collega di Sofia quello che il Governo bulgaro aveva trovato negli archivi della organizzazione macedone circa i suoi rapporti con l'Italia e gli aiuti che ne riceveva. Anche Gombos ha inviato a quel comitato molto denaro.

La conclusione che egli ne trae è che fin quando esisteranno organizzazioni croate da noi aiutate etc. etc. sarà impossibile parlare serenamente, sarà impossibile esigere che la stampa jugoslava tenga contegno diverso da quello che tiene, sarà impossibile aspirare ad un rasserenamento qualsiasi dei rapporti fra i due Stati. Occorre distruggere ogni apparenza di aiuto armato ai croati, far dimenticare che Re Alessandro avrebbe potuto anche essere ucciso.

Non ho da aggiungere alcunché e nessun subordinato suggerimento, visto l'insuccesso di tutti i precedenti. Ma sì da affermare, come ho sempre fatto, che coloro i quali vi hanno portato in passato menzognere prove che la Jugoslavia si sarebbe dislocata e che un nucleo di ustasi sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso a nostro pro', o sono degli imbecilli, o dei traditori, o dei miserabili profittatori.

La Jugoslavia non poteva dislocarsi che se l'unità dell'esercito e la sua disciplina come quella della polizia fosse mancata. Potrà dislocarsi domani se si verificheranno grossi rivolgimenti territoriali europei. Ma io tremerei se osassi affermare che ciò potrebbe essere per il meglio della nostra Patria.

Credi all'affetto di un irredentista ed alla mia non modificabile convinzione imperiale.

(l) -L'appunto, redatto su carta Intestata del gabinetto, è privo di firma. (2) -Non pubbllcato.
703

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

T. 2977/283 R. Vienna, 16 agosto 1934, ore 21,30 (per. ore 5 del 17 ).

Nuovo ministro di Germania ha presentato stamane credenziali pronunciando breve discorso che si è riservato pubblicare.

Risposta del presidente come di consueto non sarà data alla stampa.

Questa risposta (di cui Ballplatz mi ha dato testo) è di tono riservato.

Precisa esatta posizione diplomatica del von Papen (che in suo discorso ha dichiarato essere ministro plenipotenziario in missione speciale) parla anzitutto di normalizzazione di rapporti anziché di relazioni amichevoli, come ha detto ministro di Germania: e sottolinea che trattasi di rapporti fra Stato e Stato.

Mi risulta altresì che presidente federale voleva aggiungere qualche parola di maggior cordialità al testo di risposta preparatogli dalla cancelleria, ma questa è stata irremovibile.

Aggiungo Governo federale aveva preso severe misure di polizia per arrivo ministro di Germania alla cancelleria.

E' sintomatico che tali misure erano state richieste da questa legazione di Germania che ha asserito essere stata preavvertita della possibilità di un attentato contro von Papen.

Legazione non ha specificato se l'attentato era temuto da parte patriottica austriaco da parte nazisti tedeschi.

704

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, DIANA

T. 1118/199 R. Roma, 16 agosto 1934, ore 23.

Telegramma di codesta ambasciata n. 195 del 10 agosto corrente Cl). S.V. si astenga partecipare congresso nazional socialista.

705

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2989/0144 R. Vienna, 16 agosto 1934 (per. il 18).

In una conversazione di qualche giorno fa col cancelliere, questi mi ha tra l'altro accennato all'Inghilterra. Ha detto di non sapere esattamente che cosa essa voglia «con i socialisti e con le elezioni austriache » * e d'essere dolente che essa esamini e giudichi le cose d'Austria, non solo non tenendo alcun conto della situazione e delle necessità locali, ma anche sulla base che tutto ciò che è bene per l'Inghilterra, lo è pure per l'Austria» (2).

Circa la socialdemocrazia, Schuschnigg ha poi osservato che l'Inghilterra, abituata ai suoi moderati laburisti, non ha una chiara idea delle tendenze e delle malefatte della social-democrazia austriaca; e che egli è sicuro che se il Governo inglese avesse da fare con socialisti del tipo di quelli locali, sarebbe ancora più severo di quanto non lo sia il governo austriaco.

Circa la questione delle elezioni, ed in replica ad analoga mia domanda, Schuschnigg mi ha spiegato che il noto passaggio del suo discorso ai giornalisti esteri, relativamente ad una consultazione popolare, era !ungi dall'alludere ad una elezione o a un plebiscito; ch'egli pensa piuttosto ad una manifestazione indiretta «quale ad esempio il numero degli iscritti sulle liste del fronte patriottico» (mio telegramma n. 259 del 3 agosto) (3).

Da parte mia ho detto al cancelliere che essendo iio da lunghi anni in buone relazioni d'amicizia con questo ministro di Inghilterra, Selby, non lascio passare occasione per chiarirgli nel miglior modo le condizioni e le esigenze locali.

In realtà il contegno di questo ministro d'Inghilterra, nonché quello dei suoi collaboratori, richiede particolare attenzione. Ancora ieri il mio collega di Francia è venuto a parlarmene, con evidente preoccupazione.

La predetta legazione sostiene in oggi (nella scorsa settimana essa insinuava che il processo dei 144 partecipanti all'invasione del Ballplatz era inammi8sibile, stante il noto accordo intervenuto fra i rivoltosi ed il Governo, e ~iò nonostante le reiterate dichiarazioni di Schuschnigg che detto accordo era stato condizionato all'incolumità di tutti i ministri che furono colà imprigionati) che

la situazione politica austriaca richiede ormai una profonda revisione nel programma e nella composizione del Governo.

Essa asserisce che, in seguito ad un'accurata inchiesta eseguita dall'addetto militare in ogni regione del paese, dopo i fatti del 25 luglio, risulterebbe in modo preciso che, mentre i nazisti sono annientati od in condizione di non muoversi per lungo tempo, tutto il resto del paese (eccetto naturalmente i cristiano-sociali e le Heimwehren) sarebbe assolutamente contro la riforma corporativa, il clericalismo, l'heimwehrismo, la politica filo-italiana del presente Governo; donde la necessità che il nuovo cancelliere, che non potrebbe ulteriormente reggersi sulle scarse forze dei cristiano-sociali e delle Heimwehren,

Il mio collega di Francia mi ha detto che non mancherà di far comprendere a Selby il gravissimo pericolo di siffatte teorie, giacché i predetti esponenti una volta al Governo, non mancherebbero di praticare il più genuino nazismo, di rimettere in vita il gioco dei partiti ecc., ma non si nascondeva le difficoltà di convincere il comune collega, che è sotto l'incubo del laburismo e che subisce troppo l'influenza di qualche suo collaboratore, notoriamente simpatizzante per la socialdemocrazia.

Condivido anch'io quest'opinione: e difatti mi risulta che ogni mio argomento ed osservazione, da me espostegli nelle frequenti visite che usa farmi, hanno piuttosto il risultato di remora nell'agitato suo contegno, che di persuasione.

Intanto le conseguenze d'una così viva attività di questa legazione britannica nei riguardi della politica austriaca appaiono non solo dal preoccup2.~o surriferito accenno fattomi dal cancelliere Schuschnigg, ma anche dal respiro che, anche per il predetto contegno inglese, * vanno prendendo i socialisti. Questi non solamente irridono (fra l'altro, l'articolo editoriale dell'ultimo numero dell'Arbeiter-Zeitung -12 agosto edizione di Brno) all'invito rivolto recentemente dal cancelliere * alle classi operaie di rientrare nello Stato, ma provvedono di nuovo ad armamenti (rapporto n. . . . (l) del R. console generale a Innsbruck).

Atteggiamento questo particolarmente pericoloso, poiché potrebbe essere preso a pretesto da quelli che, sotto colore d'una crociata contro il crescente pericolo socialista tendono ad una alleanza delle Heimwehren con i nazionalsocialisti; ed a tale riguardo mi riferisco agli accenni analoghi fatti dalla signora Fey al R. console in Klagenfurt (2).

(l} Il numero manca.

52 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

(l) -T. per corriere 2922/0195 R., non pubblicato, con Il quale Cerruti chiedeva istruzioni circa l'eventuale partecipazione di Diana al Congresso del partito nazionalsocialista in programma il 1° e 2 settembre a Norimberga. (2) -Questo e i successivi passi tra asterischi sono sottolineati da Mussolin!. (3) -Cfr. n. 643.

(2) Cfr. n. 696, allegato.

706

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MURRAY (l)

L. CONFIDENZIALE. Roma, 16 agosto 1934.

Ho il pregio di riferirmi e di ringraziarla per la lettera che Ella mi ha Ultimamente inviato per trasmettermi la comunicazione direttami da Sir John Simon relativamente agli affari austriaci (2). La prego a mia volta di voler comunicare a Sir John Simon la seguente lettera personale:

« Sono sinceramente grato a V. E. per la lettera personale che Ella mi ~l-" fatto comunicare dall'Ambasciata Britannica a Roma. Ho molto apprezzato l'atto cortese e La ringrazio vivamente.

«E' per me motivo di soddisfazione che la politica italiana nei riguardi dell'Austria e le mie dichiarazioni siano state accolte con simpatia nei circoli responsabili britannici e che i punti di vista italiano e inglese s'inspirino alle stesse finalità. Sono io pure d'avviso che l'atteggiamento assunto dalla Gran Bretagna e dall'Italia sia stato un fattore di grande importanza nel periodo di maggiore tensione al fine di impedire che la situazione potesse ulteriormente complicarsi, e per ricondurre la calma negli animi.

Come la E. V. giustamente rileva, la cooperazione dei Governi interessati secondo i criteri fissati nella Dichiarazione del 17 febbraio, è elemento prezioso perché le misure prontamente prese dal Governo austriaco e quelle che esso verrà ulteriormente prendendo, possano avere il loro pieno effetto nel senso di avviare il paese verso uno stato di tranquillità e di normalità. In relazione a tale scopo è pure certo che, come anche Ella osserva, l'Austria ha pieno diritto di non tollerare movimenti e azioni dirette contro l'ordine costituito, che occorre sia invece pienamente rispettato da tutti.

E' mio proposito come in passato anche per l'avvenire di tenermi in contatto col Governo Britannico e con gli altri Governi ai fini indicati e mentre Le rinnovo ancora una volta i miei ringraziamenti per la lettera dalla E. V. direttami, mi è grato porgerLe le espressioni della mia più alta considerazione e i miei migliori saluti personali ~.

707

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL SOTTOSEGRETARIO ALLA GUERRA, BAISTROCCHI

L. U. P. 6557. Roma, 16 agosto 1934.

Ho avuto l'ordine dal Capo di fare il comunicato (3) circa il ritiro delle truppe concentrate alla frontiera e di invitarti a provvedere al movimento relativo.

«Le Divisioni che furono concentrate al confine nord e nord-est per misure precauzional! dopo gl! avvenimenti del 25 luglio hanno ricevuto l'ordine di ritornare alle loro sedi. Il movimento è in corso».

Poiché non ti ho trovato, ho trasmesso le istruzioni di cui sopra al tuo Capo di Gabinetto. Non ho avuto istruzioni circa i dettagli dell'eseP-uzione dell'ordine.

(l) -Ed. !n inglese !n DB, vol. XII, pp. 31-32. (2) -Cfr. n. 632. (3) -Il comunicato che fu pubblicato su! giornal! del 17 agosto era !l seguente:
708

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2982/286 R. Vienna, 17 agosto 1934, ore 21,30 (per. ore 5,30 del 18).

Ministro degli affari esteri mi ha riferito in via confidenziale colloquio avuto stamane con von Papen. Per desiderio di quest'ultimo (che ripartirà domani per Berlino) al colloquio ha assistito anche cancelliere.

Von Papen ha cominciato col dichiarare ufficialmente dissoluzione della legione austriaca, che sarà trasportata in Pomerania e trasformata in reparti di lavoratori, nonché dissoluzione del Governo regionale per Austria (signor Habicht, Frauenfeld ecc.).

Ministro degli affari esteri ha allora chiesto che cosa si intende:;;se fare del « Kampfring :\) (qui si crede sia destinato a rimpiazzare legione austriaca). Von Papen ha risposto di ignorare tale organizzazione e che se ne sarebbe informato. Ministro degli affari-esteri ne ha chiesto senz'altro dissoluzione. Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (1).

709

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2986/287 R. Vienna, 17 agosto 1934, ore 24 (per. ore 5,30 del 18).

Seguito del numero precedente (2). Papen ha quindi accennato, senza precisare la sua richiesta, ai cosiddetti «nazionali che hanno le medesime idee prevalenti attualmente in Germania).

Cancelliere è subito intervenuto dichiarando in modo formale che come l'Austria non si intromette nelle cose interne della Germania, così essa intende che nessuno si intrometta nelle sue cose interne -e che l'Austria è e vuole restare uno Stato assolutamente indipendente.

Papen non ha replicato.

Ha chiesto che si consentisse l'introduzione dei giornali tedeschi.

Ministro degli affari esteri ha risposto che questa era una questione secondaria la quale poteva essere regolata allorché si fossero effettivamente normalizzati i rapporti fra i due paesi: in ogni caso egli doveva chiedere che si mettesse fine a Monaco di Baviera alla pubblicazione dei noti giornali destinati alle diverse regioni dell'Austria.

Ministro di Germania lo ha promesso.

Papen ha poi chiesto che cosa potesse precisamente riferire a Berlino.

Cancelliere lo ha pregato dire che l'Austria è pronta a vivere in pace con la Germania, così come con tutti gli Stati, ma sulla base del più completo rispetto della sua indipendenza.

Riferisco che Papen, nel prendere congedo, ha accennato alla opera da lui spesa per il concordato lamentandosi di dovere adesso constatare la diffidenza del Vaticano verso la sua persona.

Riferisco altresì che nel corso della conversazione, avendo il ministro degli affari esteri accennato all'errore imperdonabile della Germania nel non avere preso nella dovuta considerazione progetto tendente ad una politica comune dell'Italia, della Germania, dell'Austria e dell'Ungheria, Papen ha lasciato cadere discorso.

A mia richiesta, ministro degli affari esteri ha riassunto, pregandomi della maggiore riservatezza, la sua impressione generale.

Ha detto che contegno di PalJen gli ha accresciuta la diffidenza che già nutriva verso di lui; che Papen si è studiato in tutto il colloquio di subito annullare con accorte parole quanto aveva in precedenza lasciato comprendere; che i nazisti tedeschi sono !ungi dall'avere detto l'ultima parola nelle cose austriache, e che infine tutte le notizie che pervengono al Governo federale dalla Germania, lasciano sempre più pensare che ci troviamo di fronte ad una nuova accorta «manovra, (1).

(l) -Cfr. n. 709. Il presente telegramma venne ritrasmesso a Berlino con t. 1133/203 R. del 19 agosto. (2) -Cfr. n. 708.
710

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO R. Roma, 17 agosto 1934.

L'Incaricato d'affari di Francia -premesso che non è stato incaricato di fare nessuna comunicazione al Governo italiano, ma che riferisce soltanto a titolo personale quello che il Quai d'Orsay ha comunicato a lui personalmente ha detto che non è affatto nelle intenzioni del Governo francese né, a quello che esso ritiene, del Governo inglese che si intervenga a Vienna a favore di un partito politico qualsiasi, nella fattispecie del partito socialista, né che se raccomandi l'accesso al potere, anche perché questo sarebbe un intervento negli

Riferendosi poscla a quanto m! aveva comunicato ministro deg!l affar! ester! circa risposte da lui -Cancelllere -date a Papen, ha affermato che esse non avrebbero potuto essere più espllclte e precise ».

affari interni austriaci; ma che invece si faccia presente a Schuschnigg l'opportunità che siano prese delle misure per assicurare al Governo la simpatia e l'appoggio di quanta più parte possibile dell'opinione pubblica e particolarmente degli elementi socialisti e operai.

Questa comunicazione è stata fatta dal Signor Dampierre in risposta alla comunicazione che aveva ricevuto dal Quai d'Orsay a seguito della conversazione avuta al riguardo coll'E. V. alcuni giorni fa (1).

(l) Con successivo t.rr. 3004/291 R. del 19 agosto Preziosi comunicò ancora: « Cancell1ere mi ha detto che ministro di Germania gll ha lasciato impressione di non sincerità.

711

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ROSSI LONGHI (2)

T. 1132 R. Roma, 18 agosto 1934, ore 24..

Col telespresso n. 225808 dell'8 corr. fu trasmesso a V. E. un rapporto del comandante Ratneri Biscia (3) sui contatti da lui avuti a Londra relativamente alle conversazioni preliminari della conferenza navale prevista per il 1935. Nel rapporto predetto sono precisate le questioni sulle quali i rappresentanti britannici hanno chiesto di conoscere il punto di vista del R. Governo. A parte le informazioni richieste col telespresso su riferito si segnalano particolarmente le questioni relative:

a) all'opportunità o meno di riprodurre gli incrociatori da 10.000 tonn. armati con cannoni da 8 pollici (203 mm.); b) alle quote di tonnellaggio di naviglio sommergibile proposte per le principali Potenze.

Il rapporto medesimo espone il punto di vista del Governo britannico su ambedue tali questioni e indica per quanto riguarda gli incrociatori il programma di costruzioni che l'Inghilterra intende attuare prima della scadenza del trattato di Londra. Sulle quote di tonnellaggio globale del naviglio sommergibile il comandante Raineri Biscia segnala un orientamento del Governo britannico meno contrario a riconoscere alla Francia una quota di 70 o di 80 mila tonnellate.

Per mettere in grado la R. marina di disporre di ogni utile elemento di informazione prego l'E.V. di voler indagare e farmi conoscere il punto di vista di codesto Governo in merito:

l0 ) alla proposta britannica di ridurre il dislocamento dei nuovi incrociatori a 7.000 tonnellate con cannoni da 6 pollici (152 mm);

2°) alle proposte concernenti le quote di naviglio sommergibile per le principali Potenze con particolare riguardo alla eventualità di attribuire alla Francia una quota di tonnellaggio quasi doppia di quella da assegnarsi alle altre Potenze firmatarie.

Resta inteso, per norma dell'E. V. che il punto di vista del R. Governo per quanto riguarda il naviglio sommergibile si ispira al criterio della parità tra le principali Potenze.

(l) -Cfr. n. 700. (2) -A Tokio il telegramma venne trasmesso via Shanghai. (3) -Cfr. n. 660, allegato.
712

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 18 agosto 1934.

In conformità delle istruzioni di V. E. ho parlato tanto all'Incaricato d'Affari di Francia quanto a quello d'Inghilterra relativamente al suggerimento avanzato dai due Governi francese e inglese di un passo a Vienna per favorire un accaparramento da parte del Governo austriaco degli elementi di sinistra.

Ho detto tanto a Dampierre quanto a Murray che S. E. il Capo del Governo aveva già considerato la convenienza di consigliare il Cancelliere austriaco di fare una politica di accaparramento delle masse provenienti dal socialismo e degli elementi «nazionali». La linea direttiva generale sarebbe naturalmente rimasta quella segnata da Dollfuss. Ho aggiunto che S. E. il Capo del Governo troverebbe invece inopportuno di fare un « passo » specie se collettivo perché si risaprebbe, e nella migliore delle ipotesi non farebbe che compromettere lo scopo da raggiungere.

L'Incaricato d'Affari di Francia mi ha chiesto se da parte nostra vi sarebbero difficoltà acché il suo Governo e quello inglese -una volta che una raccomandazione nel senso indicato fosse già stata fatta da S. E. il Capo del Governo al Signor Schuschnigg -avessero pure parlato in modo analogo a Vienna appoggiando. Si sarebbe così evitato il passo collettivo, ma il Govérno austriaco avrebbe avuto la sensazione dell'accordo dei tre Governi italiano, francese e inglese.

In conformità delle istruzioni di V. E. ho fatto sapere al Signor Dampierre che non sembrava esistessero difficoltà in proposito, con riserva di una risposta definitiva.

P. S. Il Signor Dampierre, in via di discorso, ha accennato al fatto che l'iniziativa del passo a Vienna sarebhe venuta da Londra.

713

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI

L. P. Roma, 18 agosto 1934.

Ti mando l'appunto sull'Albania approvato da S. E. il Capo del Governo e sulle linee del quale -mi ha confermato S. E. Suvich per telefono -potrai quindi esprimerti con Sereggi.

Troverai anche un appunto non firmato circa uno scambio di telegrammi con Zogu. S. E. Suvich mi ha telefonato che considera questa proposta come

un'idea da lanciare in modo leggero e senza insistenza e ha aggiunto che lo scambio potrebbe eventualmente aver luogo anche in altra occasione, ad esempio la nascita di un Principe.

ALLEGATO I

... (l) A MUSSOLINI

APPUNTO.

Come da accordi presi, Re Zog ha mandato a Livorno un suo incaricato a prendere contatti col Barone Aloisi.

L'incaricato è il Colonnello Sereggi, Primo Aiutante di campo del Re stesso.

Le conversazioni si sono mantenute sulle generali. Il Colonnello Sereggi ha presentato, non in forma impegnativa, le proposte di concessioni e le richieste che risultano d~gli uniti appunti, a cui ha aggiunto qualche indicazione di maggior dettaglio, -secondo istruzioni avute dal Re, -pure allegata.

Da un esame di tali proposte e richieste risulta che in complesso non c'è nulla di nuovo di fronte alle «avances » già fatte al Ministro Koch dopo la partenza delle squadre (2).

Per quanto in particolare riguarda la questione delle scuole, ad onta di qualche vaga indicazione di buone disposizioni albanesi nei riguardi del divorzio e del problema degli uniati, non c'è da segnalare nessun progresso sostanziale.

Ho avuto oggi stesso occasione di parlare col Nunzio, che si era intrattenuto della questione col Cardinale Pacelli, e ne ho riportato la netta impressione che la Santa Sede non intenda marciare. Dice che la questione dei seminari è un trucco che non può essere praticamente applicato per difficoltà di princ·ipio e di organizzazione.

Ad ogni modo, dato che una certa apparenza di buona volontà albanese c'è indubbiamente e che noi abbiamo accettato la proposta delle trattative dirette, converrebbe, se V. E. è d'accordo, seguire questa procedura:

Comunicare al Sereggi che, pur non potendo accettare, nella forma in cui sono presentate, né le richieste né le concessioni albanesi, tuttavia siamo pronti e desiderosi di continuare le tmttative già iniziate col proposito -che siamo certi è reciproco -di condurle sollecitamente a buon porto con mutua soddisfazione;

che siamo disposti ad iniziare delle conversazioni lasciando che in una sede separata venga regolata la questione delle scuole; tuttavia rendiamo attento il governo albanese che tale questione non ci pare impostata su una base pratica. Ad ogni modo nessuna proposta potrà avere pratica appHcazione se prima non sarà risolta la questione delle scuole;

che per le ulteriori negoziazioni, dato che si tratta di discutere questioni di ordine pratico, sarebbe meglio che la sede delle discussioni stesse venisse trasportata a Roma

o anche a Tirana, al fine di avere modo di influire direttamente sul Re.

Aggiungo che secondo la mia impressione la cosa non può essere di rapida soluzione; pare pericolosa in modo parti. .. (3).

ANNESSO I

OFFERTE (4)

[15 agosto 1934].

l) Il Governo albanese è pronto a risolvere favorevolmente agli interessi italiani la questione petroli. 2) Il Governo albanese è pronto a rinnovare le convenzioni aeree con le Società italiane.

(-4) A margine, di pugno di Alois!, «fatte dal Ministro Ester! albanese ».

3) Scuole confessionali e professionali. Sua Maestà di sua iniziativa darà una soluzione alle questioni nel momento che riterrà più opportuno.

4) Organizzatori militari. Sua Maestà assumerà personalmente la organizzazione militare ed in ogni occasione che presenti qualche interesse si consulterà direttamente con l'Addetto militare italiano per assicurare all'organizzazione stessa pieno successo.

5) Organizzatori civili. Il Governo albanese ha definitivamente deciso di avvalersi in linea di massima della competenza degli organizzatori italiani che trovansi nei vari Dicasteri. La competenza di detti organizzatori è stabilita in un regolamento speciale. S'intende che ove il Governo albanese sentisse il bisogno di assumere nuovi organizzatori per i vari rami dell'amministrazione civile si rivolgerà al Governo italiano perché metta a disposizione suoi funzionari.

6) Il Governo albanese nel suo programma scolastico attribuisce massima importanza all'insegnamento dell'italiano nelle scuole medie. A questo scopo assumerà profP.ssori in Italia.

7) Il Governo albanese ritiene superflro rinnovare la sua irremovibile decisione di restare fedele al Patto di Alleanza che lega i due Paesi. Perciò il Governo albanese sarà in continua strettissima collaborazione a tale riguardo con l'Italia, alla cui politica estera aderirà in modo pieno.

8) Dato che Re Zog ed il Duce sono i principali fattori della politica di collaborazione e di alleanza tra i due Paesi, il rafforzamento dei rapporti personali tra i due Capi avrà una ripercussione molto feconda sulla collaborazione tra le due Nazioni.

ANNESSO II

RICHIESTE

15 agosto 1934.

l) Il Trattato commerciale in vigore non corrisponde alle reciproche necessità. Le relazioni commerciali tra i due Paesi dovrebbero potere conseguire la esportazione in Italia di prodotti agricoli albanesi. A tale scopo si ravvisa necessaria la stipulazione di un'intesa commerciale su basi preferenziali così come è stata conclusa con l'Austria e l'Ungheria.

2) Finché non sarà raggiunto un accordo definitivo su basi e condizioni tali che consentano al Governo albanese di fare fronte ai pagamenti si desidera che sia accordata all'Albania, per un periodo di 15 anni, una moratoria senza interessi. In pari tempo il Governo italiano dovrebbe intervenire perché gli interessi accumulatisi sino ad oggi siano annullati.

3) Il Governo albanese, siccome compilava i suoi bilanci secondo le esigenze richieste dalla collabomzione con l'Italia, non riusciva a coprire le spese con le entrate ordinarie. Per effetto della improvvis& cessazione di tutti i versamenti in conto del prestito decennale, sd. è determinato, nei passati bilanci, un deficit considerevole. Per poter colmare una volta per sempre tale deficit e conseguire l'equilibrio del bilancio si desidera che il Governo italiano accordi all'Albania una volta tanto un prestito dai 10 ai 12 milioni di franchi oro.

4) Per assicurare lo sviluppo economico ed agricolo dell'Albania, sarebbe desiderabile che l'Italia accordasse all'Albania un prestito di 30 milioni di franchi oro. Detto prestito potrebbe essere pagato da parte del Governo albanese con prodotti agricoli, come olio, olive, cotoni, tabacco, riso, lino ecc. ecc. Questa intesa fra i due Governi verrebbe esaminata e conclusa da un'apposita Commissione che stabilirebbe le modalità tecniche in tutti i suoi dettagli.

5) Il Governo italiano è pregato d'interporre i suoi buoni uffici presso la Banca Nazionale d'Albania perché, in base al paragrafo 13 dell'articolo 15 della Convenzione, consenta ogni anno al Governo albanese un'apertura di credito di franchi oro 2.500.000.

6) Il Governo albanese chiede infine la istituzione a Valona di una raffineria di petrolio per i bisogni del paese.

ANNESSO III

NOTA ESPLICATIVA DEL RE (l)

Roma, 16 agosto 1934.

l) Concessioni petrolifere. Non solo verrà perfezionata la domanda delle FF.SS. ora in sospeso, ma quanto la concessione verrà estesa, se desiderato, ad altre zone.

2) Convenzione aerea. Il Governo albanese è pronto a rinnovare la convenzione aerea con la Società italiana.

3) Scuole confessionali. Il Governo albanese è pronto a concludere immediatamente un Concordato con la Santa Sede. In tale atto verrebbe contemplata la istituzione di Seminari, ai quali verrebbe consentita la frequenza di secolari. Si farebbero inoltre concessioni nel campo del «Rito Unito» in modo da favorire l'accaparramento dell'elemento ortodosso.

Da notare che su tale importantissima questione e su quella del divorzio cadde, per il rifiuto albanese ad aderire ai desiderata del vaticano, la trattativa per il Concordato (per il divorzio i Prelati albanesi hanno già dichiarato di non insistere più sul loro punto di vista).

Verrebbero emanate speciali facilitazioni per la frequenza agli asili degli Ordini religiosi.

4) Organizzazione militare. Come avveniva al tempo della Missione Pariani, Re Zog assumerebbe direttamente la direzione della organizzazione militare e, senza passare per il tramite del Comando delle Forze Armate, si consulterebbe direttamente con l'Addetto Militare Italiano. S'intende che resteranno in servizio gli organizzatori italiani. In sostanza il Re si propone di riprendere una politica militare in piena armonia con le direttive italiane anche per quanto riguarda la Marina. Vi sarebbe soltanto da prendere in esame la possibilità di non far gravare sull'Albania tutti gli onori inerenti alla organizzazione militare.

Gradualmente saranno licenziati, senza sostituzione, gli organizzatori inglesi della gendarmeria.

5) Organizzatori civili. Il Governo albanese ha definitivamente deciso di avvalersi della competenza di organizzatori italiani che trovansi nei vari Dicasteri. La competenza di detti organizzatori è stabilita in un regolamento speciale. S'intende che ove il Governo albanese sentisse il bisogno d'ingaggiare nuovi organizzatori per i vari rami dell'amministrazione civile, si rivolgerebbe al Governo italiano perché metta a disposizione suoi funzionari.

6) Insegnamento dell'italiano e cultura italiana. Il Governo albanese considera sopratutto di suo interesse che la lingua e la cultura italiana abbiano la più larga diffusione e conoscenza in Albania. In tale ordine di idee ha già provveduto a rendere obbligatorio l'insegnamento dell'italiano nelle scuole secondarie ed a favorire l'istituzione di centri di cultura italiana (Dante Alighieri). TaJ.i provvedimenti non hanno potuto prendere lo sviluppo desiderato per insufficienza di mezzi finanziari. Re Zog desidera che i giovani albanesi, allorché si recano in Italia per frequentare le Uni

versità, non debbono perdere tempo per imparare l'italiano e debbono essere in grado di iniziare subit o lo studio delle vari e discipline. Verranno assunti in Italia i professori che si renderanno necessari.

7) Politica estera. Dato che Re Zog ed il Duce sono i principali fattori della politica di alleanza e di collaborazione tra i due Paesi, il rafforzamento dei loro rapporti personali sarà di grandissimo vantaggio per lo sviluppo di una sempre più intima intesa tra le due Nazioni in tutti i campi. In tale ordine di idee Sua Maestà ambisce d'incontrarsi quanto prima con S. E. il Capo del Governo fascista.

ALLEGATO Il

APPUNTO

Allo scopo di dare una espressione tangibile alla volontà di regolare la questione pendente, si potrebbe in via preliminare pensare ad uno scambio di telegrammi fra

V. E. e Re Zog in occasione dell'anniversario della proclamazione della Monarchia (1° settembre), telegrammi da concordare previamente, i quali prendendo lo spunto dalle trattative in corso riaffermassero il proposito ·italiano e albanese di mantenere e sviluppare i plù amichevoli rapporti fra i due Stati.

Naturalmente l'iniziativa dovrebbe partire da Re Zog.

(l) -L'appunto redatto su carta Intestata del Gabinetto è privo d! firma e di data. (2) -Cfr. n. 555. (3) -Il documento è mutilo.

(l) Il titolo è di mano d1 Alolsl.

714

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, DIANA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3035/0204. Berlino, 20 agosto 1934 (per. il 23).

Telegramma di V. E. n. 203 del 19 corrente (1). Salvo l'accenno alla diffidenza del Vaticano, von Papen ha ripetuto a Vienna sostanzialmente quanto aveva già detto qualche giorno prima a questo ministro d'Austria (telegramma di questa ambasciata n. 246 del 10 corrente) (2). Merita di essere messa in rilievo l'ignoranza di cui ha fatto nuovamente mostra a Vienna von Papen nei riguardi del «Kampfring ». A parte che l'esistenza e l'attività di quest'associazione sono da un pezzo note a chiunque in Germania si occupi di politica estera, sta il fatto che fin dal 10 corrente questo ministro d'Austria aveva chiaramente fatto presente a von Papen le malefatte del «Kampfring » e la necessità di addivenire al suo scioglimento. Una settimana dopo von Papen ripetè a Vienna di ignorare persino l'esistenza di tale organizzazione. L'ignoranza dimostrata dal signor von Papen deriva probabilmente dalla circostanza che egli non aveva avuto nessuna istruzione a riguardo e non sapeva quindi quale atteggiamento prendere. Circa smobilitazione delle organizzazioni austriache in Baviera notizie ricevute, a mezzo dei suoi informatori locali, dal ministro d'Austria concordano con quelle raccolte ed a più riprese recentemente comunicate dal R. console generale in Monaco: la direzione regionale per l'Austria avrebbe infatti cessato la sua attività e forti contingenti di legionari e di rifugiati austriaci sarebbero stati in questi ultimi giorni allontanati dalla Baviera. Il ministro d'Austria ritiene più esatto parlare di allontanamento piuttosto che di scioglimento, non avendo notizia in che modo gli ex legionari vengano sistemati in altre località della Germania e sembrandogli evidente che, anche per ragioni di organizzazione e di disciplina, i contingenti allontanati dalla Baviera dovranno comunque conservare una certa qual forma di inquadramento. Egli ha escluso, almeno per un

prossimo avvenire, possibilità di un ritorno in Austria degli ex legionari e rifugiati, trattandosi di elementi malfidi e turbolenti che difficilmente potrebbero trovare in Austria lavoro ed occupazione, e che del resto giuridicamente vengono ormai considerati come privi della cittadinanza austriaca. Secondo le notizie più recenti raccolte da questo ministro d'Austria il numero dei suddetti legionari e rifugiati dovrebbero aggirarsi dai 12 ai 15.000.

(l) -Cfr. n. 708, nota l. (2) -Cfr. n. 688, nota 3.
715

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 20 agosto 1934.

Ho l'onore di allegare un appunto relativo ad una conversazione con l'In

caricato d'Affari d'Albania (Allegato n. 1), nonché copia delle proposte di istru

zioni al Ministro Koch preparate in data 30 luglio u.s. (Alleg. n. 2).

Nel pensiero dell'Ufficio tali proposte erano intese a permettere la conti

nuazione delle conversazioni fra la R. Legazione e Re Zog e sembrano tuttora

rispondere sia alla situazione di fatto sia alle considerazioni svolte nella conver

sazione con l'Incaricato d'Affari d'Albania.

ALLEGATO I

APPUNTO DELL'UFFICIO ALBANIA

Roma, 20 agosto 1934.

Questo Incaricato d'Affari d'Albania, Signor Kodheli, in un colloquio avuto questa mattina con un Segretario dell'Ufficio ha dichiarato quanto segue:

«Secondo notizie giuntegli dal Ministero degli Esteri albanese gli scambi di

vedute iniziatisi tra il Ministro Koch ed il Ministro Giafer Villa per un accordo

generale fra i due Governi procedono molto lentamente. Dato il notevole ritardo

con cui il Ministro Koch ha risposto al primo passo albanese e la forma piuttosto

generica di tale risposta, a Tira:na si va facendo strada la impressione che le buone

disposizioni del Governo Italiano sono soltanto apparenti e che esso non abbia serie

intenzioni di concludere. Tale impressione -a giudizio del Signor Kodheli -sarebbe

sopratutto fondata sul fatto che ci si è limitati a dichiarare le proposte albanesi

insufficienti senza fare delle controproposte concrete e senza specificare quali erano

«desiderata » italiani.

Il Sig. Kodheli ha soggiunto che finché si fosse continuato tlllle sistema difficilmente si sarebbe potuto raggiungere un accordo e che ogni ulteriore ritardo non poteva che nuocere alla ripresa dei buoni rapporti fra i due Paesi. Ha dichiarato inoltre che qualora il R. Governo preferisse trasportare la sede delle trattative a Roma egli era stato autorizzato da Re Zog a condurre i negoziati di cui trattasi e che . sarebbe stato quindi lieto di mettersi per questo a completa disposizione del R. Mini

stero degli Affari Esteri ».

ALLEGATO II

PROGETTO DI TELEGRAMMA PER CORRIERE A KOCH

Questo Ministero ha esaminato attentamente le proposte che codesto Ministro degli Affari Esteri ha fatto alla S. V. a nome di Re Zog per addivenire alla definizione di tutte le questioni pendenti tra i due Paesi.

In linea generale vien fatto di rilevare che mentre le richieste son quasi tutte ben precisate ed alcune così eccessive da far dubitare, ove non si avesse a che fare con albanesi, del sincero desiderio di giungere ad un accordo, le offerte sono molto vaghe.

Esaminandole particolareggiatamente si deve osservare: l) Nessuna garanzia viene data per una soddisfacente soluzione della questione delle scuole confessionali. Infatti il Governo albanese si limita a manifestare il suo desiderio di concludere un Concordato ma noi ·non sappiamo quali proposte, specie in materia scolastica, esso intende fare alla Santa Sede e d'altra parte qualora non volesse risolvere il problema scolastico, pur salvando le apparenze nei nostri riguardi, potrebbe sempre rendere impossibile la conclusione del Concordato adottando una linea di intransigen21a su altri punti cui la Santa Sede tenga in modo particolare. Occorre perciò chiarire che anche arrivati ad uno schema d'accordo col Governo albanese tutto rimarrà sospeso sinché non sarà regolato in problema delle scuole confessionali. 2) La riapertura della scuola industriale di Scutari ed eventualmente di un'altra che per il futuro dovrebbero essere gestite a spese nostre e non sui fondi del prestito, rappresenta in sostanza un piaeere che noi facciamo all'Albania, non una sua concessione, e perciò non si vede quale formula si possa trovare per salvaguardare il nostro prestigio se non quella della perfetta autonomia salvo quel diritto di ispezione che mai abbiamo negato alle autorità scolastiche albanesi. 3) Circa l'insegnamento obbligatorio della nostra lingua nelle scuole albanesi occorrerebbe conoscere come si intenda assicurarne la serietà ed efficacia. 4) Circa la situazione che si vuol fare ai nostri organizzatori è certo opportuno, per eliminare fonti di attrito, determinarne esattamente i compiti, i doveri e i diritti, ma quello che conta è che in definitiva essi vengano ad avere attribuzioni e prestigio eguali se non superiori a quelli che avevano in passato. Non occorre ricordare come specialmente tra gli organizzatori civili ve ne fossero di quelli ai quali veniva fatta una situazione incompatibile con il loro prestigio. Ciò non deve ripetersi. 5) L'offerta di non assumere per il futuro organizzatori altri Paesi e di non rinnovare i contratti esistenti con stranieri è ottima; ma non occorrerà raccoglierla che quando saremo sicuri di addivenire ad un accordo perché altrimenti tale offerta si trasformerà in una nostra richiesta e si cercherà di valersene ai nostri danni come è già accaduto. 6) Per quanto concerne le questioni con l'A.I.P.A. e con la S.A.M. non basta evidentemente la promessa di un esame celere e benevolo. Occorre l'accoglimento della richiesta avanzata dalle due predette Società le quali non domandano del resto alcun trattamento di favore per quanto l'A.I.P.A. almeno, avrebbe diritto a un tale trattamento. Ad ogni modo come giustamente ha osservato la S. V. le offerte sopra esposte non potrebbero fare oggetto di nessuna speciale contropartita, mentre altrettanto non può dirsi delle richieste albanesi le quW.i sono tali da non poterle, sia pur parzialmente, accogliere qualora non ci venga assicurata una contropartita.

1. La prima richiesta tendente ad assicurare con un nuovo trattato di commercio uno sbocco nel mercato italiano a tutti i prodotti albanesi con concessioni del genere di quelle accordate ai prodotti ungheresi può essere evidentemente presa in considerazione; ma è evidente che la misura di tali facilitazioni sarà in relazione coi vantaggi che l'Albania accorderà alle nostre importazioni e non potrà non essere genericamente influenzata dalla minore o maggiore cordialità dei rapporti politici e cioè della eliminazione più o meno completa delle attuali cause di attrito.

2. -La richiesta di una moratoria gratuita di 15 anni IJ€r il prestito SVEA e della annullazione degli interessi maturati è evidentemente inaccettabile e giustamente lo ha fatto già osservare al Sig. Villa la S.V.; sarebbe stato però bene premettere o aggiungere che analogamente ai punti 5), 6) e 7) trattasi di questione concernente interessi di terzi. Il R. Governo potrebbe solo intervenire sotto forma di consigli alla SVEA o assumendosi come ha già fatto in passato parte degli oneri del Governo albanese; a quest'ultima possibilità non conviene però accennare per il momento. 3. -La richiesta di un prestito gratuito di otto milioni di franchi oro a completamento delle tranches del prestito decennale che non vennero interamente versate va, come ha già dichiarato la S. V., respinta. Ciò non vuole però dire che non si voglia anche nel campo finanziario venire incontro ai bisogni del Governo albanese. L'entità e le modalità di tali aiuti potranno formare oggetto di benevolo esame da parte del Governo Fascista, ma saranno evidentemente condizionate allo stato delle relazioni politiche tra i due Paesi. 4. -Per quanto concerne la richiesta di una collaborazione nel campo economico si tratta di una cosa che può offrire p€r noi un grande interesse ma enunciata in maniera cosi vaga che occorre invitare il Governo albanese a preoisare il suo pensiero perché se siamo noi a fare dei progetti ogni nostra forma di aiuto si trasformerebbe in una concessione fattaci dal Governo albanese. 5. -L'AIPA non può evidentemente imp€gnarsi a raffinare in Albania tutta la sua produzione, ma una volta liquidate favorevolmente tutte le questioni p€ndenti col Governo albanese essa è effettivamente disposta a creare una raffineria sufficiente ai bisogni del Paese. Avendola i più recenti accordi petroliferi esonerata da qualsiasi obbligo dei genere tale suo gesto rappresenterebbe una notevole concessione perché -occorre metterlo bene in chiaro -anche la creazione di una piccola raffineria in Albania costituirebbe per l'AIPA un grave sacrificio.

Le richieste di cui a.i nn. 6) e 7) potrebbero essere esaminate ma anch'esse dovrebbero naturalmente formare oggetto di adeguate contropartite; per ora si dovrebbe lasciar comprendere come appaia assai dubbio che la Banca Nazionale d'Albania possa entrare in quest'ordine di idee.

Le osservazioni fatte sulle richieste albanesi potranno servire alla s. V. come norma di linguaggio ove Ella debba anche, indipendentemente dalle trattative generali iniziatesi, aver conversazioni sulle singole questioni; ma sembrerebbe opportuno per ora non abbordare tali temi.

La S. v. vorrà p€rtanto comunicare a codesto Ministro degli Affari Esteri che il Governo Fascista ha preso atto con vivo compiacimento del desiderio manifestato dal Governo albanese di definire tutte le questioni pendenti tra i due Paesi al fine di ristabilire fra essi quelle relazioni cordiali e quella efficace collaborazione che così buoni frutti hanno dato in passato.

Il Governo Fascista che aveva con sincero rammarico visto la recente deviazione da tale cordialità di rapporti e che, a più riprese, si era dichiarato pronto a trattare, sol preoccupandosi di creare alle trattative un ambiente favorevole e di iniziarle su una base · che fosse garanzia di riuscita, coglie l'occasione per riaffermare tale sua disposizione.

Esso sarà perciò grato al Governo albanese qualora vorrà cortesemente fornire sui punti enunciati da codesto Ministro degli Affari Esteri quali basi p€r i negoziati quelle maggiori precisazioni che, in particolar modo per quanto ha tratto alle offerte albanesi, sembrano necessarie per un approfondito esame delle varie questioni.

Nel comunicare quanto precede la S. V. vorrà per quanto concerne le offerte svolgere gli argomenti accennati nella prima parte di questo telegramma, limitandosi invece p€r quanto riguarda le richieste a llibadire il concetto che quelle fra di esse che appaiono, sia pur con qua-lche modificazione accettabile, implicano delle contropartite non potendosi dare valore di contropartite alle offerte albanesi.

716

APPUNTO (l)

Elementi di massima per un accordo generale col Governo Albanese

l.) Soddisfacente soluzione del problema delle scuole cattoliche. (Avrebbe il nostro gradimento anche la soluzione proposta dal Colonnello Sereggi di autorizzare cioè i laici a frequentare i corsi di istruzione ordinaria dei seminari) ( 3).

2°) Mantenimento degli organizzatori civili (finanze, miniere, agricoltura e lav ori pubblici).

3°) Impegno del Governo albanese di chiedere al Governo Italiano tutti gli altri organizzatori di cui egli avesse eventualmente bisogno in avvenire per qualunque campo dell'amministrazione pubblica.

4°) Ristabilimento del prestigio e dell'autorità della nostra Missione Militare:

a) lieve accrescimento al numero concordato degli ufficiali (20); b) restituzione ad essi di tutte le delicate mansioni che esercitavano fino al 1932. c) conferimento al R. Addetto Militare o ad altro ufficiale italiano del grado e delle funzioni di capo del Dipartimento Militare come lo erano al tempo del Gene~ale Pariani.

d) reintegrazione della Missione di Marina come lo era prima dell'estate scorsa.

5°) Impegno del Governo albanese di dare la preferenza a parità di condizioni, a cittadini italiani di fronte ad altri stranieri per tutto quanto riguarda concessioni minerarie, appalti di lavori, acquisto di prodotti ecc.

6°) Rinnovamento della concessione alla S.A.M. per il monopolio dei servizi aerei, conformemente al progetto già parafato.

7°) Soluzione di tutte le questioni pendenti con l'A.I.P.A.

8°) Soluzione di tutte le questioni pendenti con la S.E.S.A.

9°) Modificazione alla legge sulla pesca secondo il progetto Merlino e contemplante la possibilità di concessioni dirette a pescatori italiani.

10°) Dichiarazione del Governo albanese con cui esso dichiara di affidare all'Italia la protezione degli interessi dei cittadini albanesi in tutti i Paesi ove esso non abbia propri rappresentanti diretti.

Il) L'autore del documento non è stato identificato.

11°) Denuncia da parte del Governo albanese di tutti i Trattati di Commercio stipulati con altri Stati e stipulazione di un nuovo Trattato di Commercio itala-albanese contenente la concessione da parte dell'Albania di un trattamento preferenziale per le merci italiane e l'impegno da parte dell'Italia di acquistare attraverso un istituto di esportazioni, una determinata quantità di prodotti albanesi ed eventualmente con clausole segrete che ammetterebbero il parziale rimborso dei dazi pagati da alcune merci albanesi al loro ingresso in Italia.

12°) Miglioramento nell'insegnamento della lingua italiana nelle scuole medie albanesi, con larga percentuale di insegnanti italiani.

13°) Riapertura della scuola professionale di Scutari senza controllo.

14°) Concessione gratuita trentennale della gestione del Porto di Durazzo ad una impresa italiana, con l'obbligo per questa di provvedere a tutti 1 lavori necessari, ammontanti a circa un milione di franchi oro.

15°) Garanzia contro la possibilità di espropriazioni per tutte le aziende italiane che abbiano affittanze agricole in Albania a lungo termine, e autorizzazione per esse di far venire personale italiano specializzato nella proporzione del % del personale albanese, finché questo sul posto non diminuisca sensibilmente.

16°) Rinuncia al prestito decennale con annullamento dei precedenti versamenti.

17°) Versamento da parte del Governo Italiano dell'intera rata maturata per il 1933-34 di dieci milioni di fr. oro, con la quale per primo dovranno essere liquidati tutti i crediti vantati da ditte italiane sia verso il Governo che verso altri enti pubblici albanesi.

18°) Promessa da parte del Governo italiano di prendere in benevola considerazione tutte le richieste di fondi che volta per volta gli saranno fatte da Re Zog per esigenze di carattere straordinario (prestiti a interessi bassissimi, senza controllo, ma garanti sui proventi di tutte le concessioni petrolifere).

19°) L'impegno del R. Governo di favorire il finanziamento da parte di nostre Banche di un Istituto di credito edilizio itala-albanese del capitale di 3-5 milioni di fr. oro.

20°) Offerta del R. Governo di intervenire presso la S.V.E.A. perché questa consenta a modificare le sue convenzioni originarie, sostituendole con altre ispirate ai criteri usati dalla S.d.N. per i prestiti da essa fatti ai vari Stati.

21°) Promessa del R. Governo di intervenire presso la S.V.E.A. per favorire una soluzione della questione che tenga conto dei diritti dei creditori e dtila possibilità di pagamento del Governo albanese -(pagamenti parte in contanti e parte in natura o concessioni).

22°) Ad accordi firmati ed eseguiti visita di Re Zog a Roma. La visita sarà restituita da S.A.R. il Principe Ereditario.

Condizioni per un accordo provvisorio

Per base delle trattative si potrebbe prendere la situazione che si è venuta a creare in seguito ai noti provvedimenti scolastici del Governo albanese e alla sospensione del prestito da parte nostra.

Si dovrebbe dichiarare francamente al Governo albanese che il funzionamento del prestito decennale il quale del resto non ha, a giudizio dello stesso Governo, corrisposto ai suoi scopi, non verrà più rip;:eso e che noi ci limiteremo a liquidare le note pendenze per lavori eseguiti in seguito a deliberazione della Commissione del prestito.

Si dovrebbe però nello stesso tempo far comprendere al Governo albanese che nessun surrogato del prestito stesso pot1à essere preso da noi in considerazione qualora non si intenda da parte albanese rivenire sui noti provvedimenti scolastici.

Le trattative dovrebbero avere per oggetto:

1°) il mantenimento per un anno dello statu quo per quanto concerne gli organizzatori civili e militari (a spese nostre).

2°) l'obbligo da parte albanese di non chiamare entro l'anno altri organizzatori stranieri.

3°) una soluzione soddisfacente delle questioni pendenti coll'A.I.P.A.

4°) la rinnovazione del contratto con la S.A.M.

5°) un accordo per dichiarare decaduto per la fine dell'anno corrente il vigente trattato di commercio con l'obbligo di iniziare subito trattative per la conclusione entro l'anno di un nuovo trattato meglio rispondente alle esigenze economiche dei due paesi, trattato che dovrebbe ispirarsi ai principi consacrati negli accordi con gli Stati danubiani.

Per quest'anno potremmo !imitarci ad acquistare l'eccedenza della produzione frumentaria albanese.

6°) L'impegno da parte albanese di iniziare subito trattative con la SVEA per arrivare ad una sistemazione definitiva e l'impegno da parte della SVEA di contentarsi per l'anno finanziario in corso dei 250.000 fr. ora iscritti in bilancio.

(2).

(2) -Posteriore al promemoria Sereggi del 14 agosto cit. nella. nota 3. Si colloca. sotto il giorno 20, subito dopo l'appunto di Buti sullo stesso argomento. (3) -La. proposta d! Sereggi era. contenuta. in un promemoria. datato Livorno 14 agosto 1934 intitolato «Considerazioni sulle scuole confessionali albanesi».
717

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. R. Roma, 20 agosto 1934.

Questo Ministro d'Ungheria, riferendosi ad una domanda fattagli da S. E. ii Capo del Governo, prega gli sia riferito che da informazioni assunte a Budapest è risultato che i fuorusciti croati, che ancora si trovano in Ungheria, sono 26; che però non si trovano riuniti ma sparsi nell'interno dell'Ungheria a gruppi di due.

La notizia è riservata.

718

IL CAPO DELL'UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, QUARONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 20 agosto 1934.

Gli incaricati d'affari di Francia e di Gran Bretagna sono venuti a dire che i loro rispettivi Governi sono perfettamente d'accordo perché sia S. E. il Capo del Governo a consigliare al Cancelliere Schuschnigg una politica interna che gli permetta di raccogliere intorno al Regime la maggior parte possibile della popolazione austriaca dai socialisti moderati ai nazionalisti.

Tanto il Governo di Londra quanto quello di Parigi desidererebbero, se possibile, che S. E. il Capo del Governo intrattenendo sull'argomento il Cancelliere Schuschnigg gli facesse conoscere che su questo punto il Governo francese e quello inglese sono dello stesso avviso che il Governo italiano.

Hanno aggiunto che i Ministri francese ed inglese a Vienna, alla prima occasione che si presenterà e sotto forma di amichevole conversazione, confermerebbero al Cancelliere Schuschnigg il loro accordo sull'argomento con il Governo italiano. È stato messo in rilievo con particolare insistenza che si tratterebbe di una conversazione privata ed amichevole escludendo qualsiasi forma di passo o pressione o ingerenza.

719

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI, A MOSCA, ATTOLICO, E A PARIGI, PIGNATTI E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 1139 R. Roma, 21 agosto 1934, ore 24.

Questo incaricato d'affari di Francia ha informato che il Governo dell'URSS ha chiesto a Parigi se il Governo francese sarebbe stato favorevole all'ingresso dell'URSS nella Società delle Nazioni e alla sua partecipazione al Consiglio come membro permanente. Il Governo francese per parte sua è favorevole (1), e desiderava di conoscere il modo di vedere del Governo italiano.

È stato risposto al signor Dampierre che noi eravamo pure favorevoli in armonia d'altronde colla linea di condotta sempre tenuta nei riguardi dell'URSS. In questo senso ci eravamo già espressi con l'ambasciatore dell'URSS

Questo per la questione di merito.

Restava da considerare la questione di procedura. In proposito l'incaricato d'affari di Francia ha dato lettura del seguente appunto, chiedendo di conoscere se eravamo d'accordo o se avevamo da fare osservazioni in proposito:

(R. 3180/1156 di Vitetti, del 20 agosto, non pubblicato).

53 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

«Dès le début de la session du Conseil et dans une réunion privée préparée par des conversations, les représentants de la France, de l'Italie et de l'Angleterre et ceux des autres Gouvernements qui seraient disposés à se joindre à eux proposeraient que la Russie fiìt invitée à entrer dans la Société des Nations, étant entendu que la création à son intention d'un siège permanent serait, dès son admission, proposée par le Conseil. Le Gouvernement soviétique arrèterait, d'accord avec le Secrétariat général les déclarations qu'il tiendrait à faire sur certains points de vue tels que la non rétroactivité de l'arbitrage ).

È stato risposto al signor Dampierre che anche per questo non avevamo in massima nulla da osservare, la procedura proposta essendo accettabile ove lo fosse anche all'URSS ».

(l) Analoga richiesta l'U.R.S.S. aveva rivolto all'Inghilterra, ottenendo analoga risposta

720

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3058/0145 R. Vienna, 21 agosto 1934 (per. il 25).

Mio telegramma per corriere n. 0144 del 16 c.m. (1).

Giusta mie informazioni, sotto la spinta dei suoi collaboratori -e forse pure sotto l'impressione di un certo ambiente a fondo nazista con cui egli intrattiene relazioni -mio collega d'Inghilterra ha finito col formulare al suo Governo le proposte accennate nel mio precitato telegramma, circa la necessità di un allargamento della base dell'attuale Governo, con la collaborazione dei «nazionali», dei socialisti moderati e del Landband, e la conseguente opportunità di prendere accordi con Roma e Parigi per una comune suggestione, in tale senso, al nuovo cancelliere.

Di questo suo procedere Selby non ha tenuto parola né a me né a Puaux: e di certo alla sua reticenza egli è stato indotto dalla contraria opinione che tanto io quanto il mio collega francese gli abbiamo manifestato, specie in queste ultime settimane.

Intanto l'attività del Selby, se è destinata a non avere alcun pratico risultato, è tuttavia atta a generare particolari conseguenze. Oltre quelle già accennate a V. E. circa l'indiretto incoraggiamento che da detta attività proviene alla socialdemocrazia, è da rilevarsi altresì il beneficio che ne potranno trarre i cosiddetti « nazionali » e lo stesso von Papen. D'altra parte rilevo che se è vero che lo stesso Schuschnigg ebbe a dirmi che non riusciva a rendersi conto di quanto esattamente volesse l'Inghilterra «con i socialisti e con le elezioni» (mio telegramma precitato), nessun accenno egli ebbe invece a farmi nei riguardi delle aspettazioni di questo ministro britannico « per i nazionali ed il Landbund ».

È questa una omissione che potrebbe non apparire fortuita di fronte ad una mia recente e precisa informazione e cioè che lo Schuschnigg ha consentito di ricevere in questi giorni alcuni dei cinque esponenti « nazionali », di cui era oggetto il mio teleposta n. 1737 del 20 c.m. (1).

A mio avviso, l'importanza di tale condiscendenza non è tanto nel fatto che il capo del Governo abbia ricevuto detti esponenti, quanto nei propositi che i medesimi non mancheranno di attribuire al cancelliere, sulla base del dato preciso ed irrefutabile del colloquio da essi ottenuto. Già infatti circola la voce che, durante l'assenza di von Papen, i « nazionali » riesciranno ad ottenere dal cancelliere il riconoscimento dell'importanza e della lealtà della loro collaborazione.

(l) C!r. n. '105.

721

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3057/0146 R. Vienna, 21 agosto 1934 (per. il 25).

Mio teleposta n. 1719 del 20 agosto (1). Von Papen, oltre alla visita fatta a questo nunzio apostolico, ha saputo trovare ancora un altro momento di tempo, prima della sua affrettata partenza, per recarsi da questo incaricato d'affari di Ungheria, barone Bessenyey. Questi, venutomi a vedere testé, mi ha detto che la breve visita fattagli

dal ministro di Germania, e della quale egli voleva darmi un completo resoconto, dovevasi sovratutto al fatto «degli intimi rapporti che il von Papen intrattiene con Kanya fin da quando furono insieme al Messico, durante la

guerra».

Come che sia, il barone Bessenyey mi ha riferito che il von Papen aveva cominciato con l'assicurarlo che egli avrebbe assolto con ogni impegno la sua «missione speciale» intesa alla normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi; che alla buona riuscita di essa missione egli avrebbe rivolto ogni sforzo; che non disperava del successo «perché la Germania era pronta a fare delle concessioni » ecc.

Il barone Bessenyey replicò di non avere l'impressione che una détente austro-tedesca potesse verificarsi in breve ;tempo; che anzi doveva avvertire il suo interlocutore che troppo affrettate manifestazioni d'amicizia verso l'Austria ed il suo Governo non avrebbero certo trovato quella pronta reciprocità che pareva essere nella sua aspettazione; che la situazione era divenuta troppo grave per potere sperare in miracolose soluzioni; che solo il tempo e la dimostrazione effettiva del completo abbandono dei vecchi sistemi avrebbero portato un po' alla volta, alla normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi, e più

in là ancora ad amichevoli relazioni; che per tutto questo occorreva gran tempo, e che intanto bisognava scartare ogni idea di contatti o di speciale politica con questo o quel partito, come ad esempio i cristiano-sociali.

Giusta il diplomatico ungherese, il ministro di Germania non avrebbe obiettato alcunché: avrebbe solo insistito sulla sua buona volontà, escludendo in modo assoluto ogni progetto di speciale azione presso i cristiano-sociali.

Nel corso della conversazione, von Papen ebbe pure a chiedere al barone Bessenyey quale, a suo avviso, fosse il punto di vista dell'Italia. Al che quest'ultimo rispose che se la Germania avesse proceduto alla dissoluzione del corpo dei legionari austriaci e della Landesleitung di Monaco, e se essa avesse fatto cessare la propaganda per radio e di stampa, e se fosse passato qualche tempo dall'adozione di queste misure ed in questo lasso di tempo si fosse constatato l'effettivo carattere delle misure stesse, egli riteneva che l'Italia non sarebbe stata contraria ad una normalizzazione dei rapporti tra Vienna e Berlino.

n barone Bessenyey, del cui cordiale atteggiamento verso questa R. legazione ho avuto già a riferire a V. E., non mi ha dato altri ragguagli. Tuttavia dal suo atteggiamento ho creduto comprendere che le dichiarazioni e raccomandazioni, così precise e formali, da lui fatte al von Papen, siano piuttosto da attribuirsi a speciali istruzioni ricevute da Budapest; e che inoltre il fatto di una così rapida presa di contatto fra il von Papen (che per tutte le altre legazioni estere ha creduto limitarsi al solito scambio di lettere) e questa lagazione di Ungheria, sia da attribuirsi probabilmente ad una intesa corsa fra il von Papen ed il Kanja, nel senso che la rappresentanza diplomatica ungherese in Vienna divenga compiacente tramite non solo fra il Governo austriaco e questa legazione di Germania, ma anche fra quest'ultima e le altre locali rappresentanze maggiormente sostenitrici dell'indipendenza dell'Austria.

(l) Non pubblicato.

722

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG (l)

APPUNTO. Firenze, 21 agosto 1934.

Il Cancelliere Schuschnigg ringrazia il Capo del Governo per l'aiuto prestato nei momenti più gravi della storia dello Stato austriaco, aiuti che sono stati determinanti per superare la grave crisi da cui è dipesa l'esistenza stessa del Paese.

Il Cancelliere informa che la situazione austriaca è molto migliorata. L'unica preoccupazione vera del momento è la situazione finanziaria. n bi

lancio in corso si chiuderà probabilmente con un deficit di oltre 200 milioni di scellini, deficit determinato dalle azioni di dtfesa -sia quella del febbraio che quella del luglio -che sono costate molti quattrini allo Stato austriaco.

Per rimediare a tale situazione il Cancelliere pensa di poter ottenere una conversione del prestito della Società delle Nazioni che gli farebbe risparmiare qualche cosa come 100 milioni di scellini. Rimane ancora l'altra metà del deficit da coprire e occorrerebbe inoltre avere dei crediti per rinnovare e completare l'armamento austriaco il che porterebbe anche la conseguenza di fare lavorare le industrie diminuendo la disoccupazione. Fra una cosa e l'altra il Cancelliere pensa di dover fare un prestito all'estero di 200 milioni di scellini per il quale egli pensa soprattutto al concorso della Francia. Tale prestito potrà essere negoziato a Ginevra in occasione della prossima assemblea della Società delle Nazioni. Egli chiede il concorso dell'Italia per la soluzione prospettata.

Il Capo del Governo appoggerà la richiesta austriaca. Crede che sarebbe bene attendere la venuta di Barthou in Italia poiché in tale occasione egli potrà cercare di convincere il governo francese a venire incontro alla richiesta austriaca. Il Capo del Governo pensa però che bisogna mascherare lo scopo del riarmo chiamandolo prestito per investimenti.

Il Cancelliere Schuschnigg è d'accordo.

Von Papen è giunto, come è noto, a Vienna, e, in un colloquio avuto col Cancelliere Schuschnigg, il Ministro germanico ha dichiarato che sarà sciolta la legione austriaca, avviando i componenti ai campi di lavoro e che sarà soppressa anche la direzione politica per l'Austria che ha sede a Monaco di Baviera. Il Cancelliere ha chiesto anche lo scioglimento del Kampfring.

Il Cancelliere ha avuto notizia che la legione sarebbe stata sciolta. Non sa però se ciò sia fatto con sincerità di intenti o se sia una mascheratura.

Su domanda del Capo del Governo afferma che le trasmissioni Radio di Monaco contro l'Austria sono cessate.

Ora l'Austria sta costruendo una stazione molto potente, stazione che è attesa con impazienza anche in Germania dove si seguono con interesse le trasmissioni austriache.

Per quanto riguarda la situazione interna dell'Austria, se i tedeschi non riprendono una offensiva in grande stile e con impiego di molto denaro il Cancelliere Schuschnigg ritiene che la crisi sia superata. Si fa un gran lavoro, che procede però lentamente, per attirare al fronte patriottico gli elementi già appartenenti ai partiti di opposizione. Per quanto riguarda i socialisti, si vogliono attirare i lavoratori, ma non si vuole avere da fare coi capi del partito. Nessuna transazione col socialismo. Nei riguardi dei «Nazionali» il governo è disposto a discutere cogli elementi non compromessi, purché questi facciano una esplicita e precisa dichiarazione di fedeltà al principio dell'Austria indipendente. In questo senso si sta lavorando e forse si potrà ottenere qualche risultato. In massima il Governo intende agire con energia sulle linee già tracciate dal Cancelliere Dollfuss. La perdita del Cancelliere Dollfuss è stato un danno di eccezionale gravità per il regime in Austria. Il Cancelliere che provenendo dai contadini godeva la fiducia degli stessi era il loro capo riconosciuto. Ora però si è nominato un lavoratore autentico mutilato di guerra come Sottosegretario

a.l Lavoro e si ritiene che questo possa avere un buon effetto per attirare le masse lavoratrici. II Cancelliere Schuschnigg riferisce anche sulla sua visita a Budapest.

A parte certe difficoltà di carattere economico determinate dal fatto che l'Ungheria ha poco grano da esportare e quindi è difficile mantenere in piedi gli accordi del marzo, l'intesa fra i due Paesi è perfetta. Naturalmente in Ungheria si è parlato con rimpianto della difficoltà di una intesa Roma-Berlino, Vienna-Budapest.

II Capo del Governo chiede al Cancelliere quale sia il suo atteggiamento nella questione della restaurazione.

II Cancelliere dà al Capo del Governo a tale riguardo la stessa risposta che ha dato al Presidente Gombos. Egli ha detto di essere in principio un monarchico convinto perché ritiene che la Monarchia costituisca un punto fermo intorno al quale si svolge tutta la vita nazionale. Si rende conto che in questo momento le opposizioni sono troppe e troppo serie per poter sollevare la questione monarchica in Austria. Perciò la questione non è di attualità. II Cancelliere osserva però che oltre alla questione politica c'è in connessione col problema absburgico una questione semplicemente di diritto. Si tratta della restituzione dei beni alla famiglia degli Absburgo e dell'eventuale permesso di soggiorno nel Paese. Per quanto riguarda la restituzione dei beni non c'è motivo di non rendere questo atto di giustizia che è perfettamente sentito dal Paese; però la questione è complicata e non può essere risolta così celermente. Per quanto riguarda il permesso di soggiorno il Cancelliere afferma che personalmente è molto favorevole. Però anche qui ci sono delle difficoltà di attuazione. Egli potrebbe pensare a togliere la legge eccezionale che vieta il soggiorno degli Absburgo nel Paese solo se avesse l'assicurazione precisa da parte dei membri della famiglia che non faranno uso del diritto loro concesso e ciò per un tempo indeterminato. Però la questione non è ancora all'ordine del giorno. Il Cancelliere ha comunque dato assicurazione a Gombos, che ne è rimasto perfettamente soddisfatto, che nei riguardi degli Absburgo non farà nulla senza prima avere informato il Governo ungherese.

Questa dichiarazione vale anche per l'eventuale soppressione del divieto di soggiorno in Paese. II Cancelliere Schuschnigg vuole informare poi di alcune questioni di ordine pratico che possono interessare l'Italia.

C'è la possibilità di acquistare la maggioranza delle « Alpine » (il 56 %) già tenuta da capitale tedesco. Ai prezzi attuali di borsa l'operazione verrebbe a costare circa 16 milioni di scellini. La cosa sarebbe per l'Austria di molto interesse perché si vorrebbe togliere le «Alpine» alla Germania impedendo nello stesso tempo che vadano a finire in mani francesi. (C'è una offerta svizzera che potrebbe mascherare un interessamento francese).

II Capo del Governo si riserva di fare esaminare la cosa.

Seconda questione: la Società di navigazione sul Danubio. Ora la Credit Anstalt sta sanando la situazione, operazione che è già avanzata; a risanamento avvenuto l'Italia potrebbe acquistare metà dell'impresa -in partecipazione col Governo austriaco -con un esborso di 6 milioni di lire all'anno per un periodo,

da determinarsi, che potrà variare tra i 5 e· i lO anni. Il Capo del Governo trova che la proposta è interessante. L'On. Suvich si riserva di fare assumere informazioni più precise al Mini

stero del Commercio austriaco a mezzo dell'Addetto Commerciale.

In terzo luogo il Cancelliere Schuschnigg parla delle facilitazioni al commercio di transito attraverso Trieste in base ad un nuovo progetto già presentato al governo italiano.

L'On. Suvich avverte che la cosa è bene avviata e che ci sono tutte le probabilità per arrivare tra breve a soluzione.

I Capo del Governo chiede al Cancelliere se non sia possibile unificare tutte le milizie del Paese mettendole in stretto rapporto con l'esercito federale. Ha sentito da Starhemberg che la cosa è già avviata.

Il Cancelliere conferma. Oggi ci sono quattro milizie. Sono destinate tutte a diventare la formazione di carattere militare del fronte patriottico. Avranno tutte la stessa uniforme, distinta con particolare distintivo secondo le loro specialità.

Quello che preoccupa il Cancelliere è che in Austria non si sia riusciti ancora per mancanza di mezzi finanziari a organizzare la gioventù.

Il Capo del Governo raccomanda tuttavia di fare uno sforzo in tale riguardo. Ci vuole una organizzazione della gioventù con una bella uniforme che svolga un'attività sportiva ginnastica e premilitare.

Il Cancelliere Schuschnigg pensa che potrà avere difficoltà da parte del Vaticano. Il Capo del Governo ritiene che si possa trovare una soluzione conveniente come si è fatto in Italia dove i sacerdoti stessi sono nell'organizzazione. Il Capo del Governo raccomanda anche l'organizzazione del Dopolavoro con facilitazioni per teatri, cinematografi, biblioteche, escursioni ecc. Il Cancelliere è persuaso della bontà della cosa, ma anche qui incontra difficoltà di carattere finanziario. Il Capo del Governo chiede informazioni sull'attività degli sloveni in Carinzia e del Governo jugoslavo.

Il Cancelliere informa che gli sloveni in Carinzia, che costituiscono una piccola minoranza, si dividono in due partiti: i cattolici che sono lealissimi verso il Governo, e i liberali che trescano con elementi jugoslavi di oltre confine. Egli

..ha saputo con tutta positività che alcuni mesi fa era stato fatto un accordo fra questo gruppo di liberali sloveni e i nazionalsocialisti per un aiuto reciproco. Gli sloveni avrebbero aiutato i nazionalsocialisti a vincere in Carinzia e questi ultimi avrebbero poi ceduto agli Sloveni il territorio del plebiscito. È molto probabile -secondo il Cancelliere -che qualche patto del genere si sia fatto anche in occasione degli ultimi avvenimenti. Per quanto riguarda l'accordo di cui sopra, il Cancelliere deve avvertire che non è risultata una compromissione nelle auto-. rità Naziste centrali.

Informa ancora che il Governo jugoslavo protesta sempre per gli aiuti che l'Austria darebbe ai profughi croati. Queste proteste sono infondate perché l'Austria non fa assolutamente nulla in tale riguardo. II Generale Sarkotich è un vecchio di BO anni che non può dare fastidio a nessuno.

L'Austria non crede alla possibilità di successo del movimento croato.

Il Capo del Governo e il Cancelliere Schuschnigg sono d'accordo nel considerare l'opportunità di un più intenso scambio culturale fra i due Paesi. II Cancelliere ritiene poi che convenga fare un passo avanti nell'applicazione degli accordi di Roma.

II Capo del Governo è d'accordo.

L'On. Suvich si riserva di far sapere al Cancelliere quando potrebbe aver luogo un ulteriore incontro per far progredire detti accordi. Con tutta probabilità nel corso dell'autunno.

II Cancelliere tiene a far sapere al Capo del Governo che l'accordo nel Gabinetto austriaco è perfetto, specialmente fra lui e Starhemberg, e che tutte le voci in contrario sono invenzioni di marca tedesca.

II Capo del Governo riporterà al Cancelliere Schuschnigg quello che ha già detto al Cancelliere Dollfuss: in Austria si deve considerarlo un amico del Paese Egli farà quanto è nell'interesse dell'Austria e vuole farlo con discrezione. Autorizza il Cancelliere Schuschnigg a rivolgersi in qualunque occasione con animo assolutamente aperto a lui, sia direttamente, sia attraverso il Ministro a Vienna.

II Cancelliere ringrazia profondamente sapendo valutare in tutta la sua portata che cosa rappresenti per l'Austria l'amicizia del Capo del Governo italiano.

II Capo del Governo ritiene utile che il Cancelliere, dopo la questione del prestito, faccia una visita ufficiale a Roma, nella quale occasione potrà anche rendere visita al Sovrano e al Pontefice.

II Cancelliere Schuschnigg è perfettamente d'accordo: condurrà a Roma in tale occasione anche il Ministro degli Esteri (l).

(l) Al colloquio era presente Suvlch, autore dell'appunto.

723

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Firenze, 21 agosto 1934.

Il Cancelliere Schuschnigg mi ha detto che nei prossimi giorni non andrà a Viareggio per il fatto che in prossimità dimora ora l'Imperatrice Zita.

II Cancelliere mi dice ancora che egli non esclude che la soluzione momentanea della questione del regime in Austria possa essere quella di nominare un reggente come in Ungheria. Al riguardo di tale carica mi fa il nome del Principe Starhemberg come uno dei possibili candidati.

(l) Dal diario di Alo!si (cfr. Journal, pp. 210-211) risulta che Mussolini avrebbe voluto fare accettare a Schuschnigg un trattato di garanzia da parte dell'Italia dell'indipendenza austriaca, aperto anche all'adesione di altre potenze, ma che, nel corso del colloquio, 11 Cancelliere austriaco non offri alcuno spunto per introdurre la questione. Come risulta da un appunto ministeriale senza data il contenuto del presente colloquio fu comunicato agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia.

724

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA U. 3632/487. Zagabria, 22 agosto 1934 (per. il 27).

Da persona assolutamente degna di fede tornata questa mattina da Belgrado, dove si è fermata qualche giorno, ho le seguenti informazioni:

l) Nei circoli informativi e più strettamente legati alla Corte si ha l'impressione che le relazioni italo-jugoslave non siano state mai peggiori che in questo momento. La ragione è tutta l'azione spiegata dall'Italia in queste ultime settimane a favore dell'Austria: i dettagli sono contenuti negli articoli di fondo in tutti i giornali principali di questo paese, ai quali l'Ufficio stampa di Belgrado passa addirittura le minute degli articoli stessi.

2) Si suppone che la situazione possa ancora peggiorare. 3) Come prova tangibile di tale malcontento ufficiale è già stato dato ordine al dott. Tomicié Juraj, direttore dell'Istituto Importazione ed Esportazione di Belgrado di ritirare l'adesione ufficiale della Jugoslavia alla Fiera del Levante di Bari e di sospendere preparativi ed invii di merci ecc., al padiglione jugoslavo di quella Fiera. 4) Lo stesso dott. Tomisié ha avuto ordine di non dare più alcun corso alle pratiche per le nomine e riunioni dei membri jugoslavi del Comitato permanente economico italo-jugoslavo, previsto dall'ultimo accordo firmato a Roma l'anno passato. 5) Lo Stato Maggiore ha avuto istruzioni di rafforzare tutti i preparativi e le misure di protezione ai confini della Jugoslavia, Italia e Austria. 6) La salute del Sovrano, quantunque non così grave come annunciata dal mio notiziario precedente, sarebbe tuttavia molto precaria ciò che impressiona moltissimo tutti i circoli superiori del Regime. Il Re, dopo i bagni di Vranjska Banja, vicino a Nis, trovasi ora a Bled, dove ha come ospite per le sue caccie il Principe Giorgio d'Inghilterra.

725

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3061/263 R. Washington, 24 agosto 1934, ore 18,50 (per. ore 6,45 del 25).

Telespresso 225808 (l) e telegramma 181 (2). Mi sono intrattenuto con Capo Ufficio competente Dipartimento di Stato allo scopo cercare di aver più precise notizie circa direttive della politica navale

americana nonché controllare intenzioni attribuite a questo Governo da parte degli inglesi.

Mio interlocutore mi ha premesso che in linea generale occorre tener ben presente che Stati Uniti sono in favore mantenimento attuali proporzioni delle forze navali delle Potenze oceaniche fissate a Washington e a Londra e contrarie in linea di massima a qualsiasi proposta che possa portare aumento di spese per armamenti. A proposito punto di vista e delle tendenze inglesi in materia di disarmo navale mi ha detto che punto di vista americano diverge notevolmente perchè notevole è diversità che problema navale presenta per i due paesi, aggiungendo esplicitamente che nei confronti degli Stati Uniti atteggiamento giapponese è elemento predominante e determinante. Scendendo più al particolare mi ha confermato opposizione Stati Uniti a una sensibile diminuzione del dislocamento navi da battaglia dicendomi anche che analoga opposizione incontrerebbe ogni proposta di sensibile diminuzione del dislocamento degli incrociatori pesanti.

Ciò mi ha motivato nota necessità per la marina americana di disporre di navi con larga autonomia. Avendo io chiesto al mio interlocutore che cosa gli risultasse circa la favorevole disposizione da parte inglese all'assegnazione alla Francia di una quota di tonnellaggio sommergibili molto superiore a quella che verrebbe assegnata alle altre Potenze firmatarie nonché quale fosse al riguardo il pensiero del dipartimento di Stato egli mi ha detto che non gli risulta che questione sommergibili fosse stata oggetto discussione durante conversazioni londinesi di Norman Davis che ad ogni modo tendenza inglese a cui gli facevo cenno gli tornava del tutto nuova e che quindi non poteva rispondere.

Alla mia insistenza per conoscere quale a suo avviso sarebbe stata attitudine americana in una simile eventualità il mio interlocutore ha pure evitato di rispondere. Egli si è però nuovamente soffermato sul concetto che le questioni concernenti le Potenze oceaniche e in special modo Giappone sono quelle che per gli Stati Uniti hanno maggiori e più diretti interessi.

(l) -Comunicazione del n. 660, allegato. (2) -Cfr. n. 711 inviato a Washington con protocollo particolare 181.
726

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3087/0147 R. Vienna, 24 agosto 1934 (per. il 29).

Al Ballplatz mi è stato detto che la Jugoslavia ha effettivamente organizzato tre campi di concentramento per circa 1300 rivoltosi nazisti austriaci provenienti dalla Carinzia e dalla Stiria.

Il Governo austriaco ha chiesto un elenco nominativo di tali rifugiati; ma la sua domarida non è stata accolta. Il Governo di Belgrado ha invece fatto presente che molti dei predetti individui chiedono di tornare in Austria: al che è stato risposto che il rimpatrio dovrebbe avvenire sotto opportune condizioni: ad esempio gruppi di non più di trenta persone; notificazione del nome e della

dimora di ciascun rimpatriando; dichiarazione di lealismo aa parte dei medesimi, ecc.

Mi è stato aggiunto che se Belgrado ha proceduto alla costituzione di detti tre campi, d'altra parte permette che molti fuorusciti girino indisturbati pel paese; che agenti nazisti si mettano in contatto con gli internati nei campi di concentramento e sovratutto che a Maribor si formi un concentramento di rifugiati, che potrebbe divenire una «legione di volontari» del tipo di quelle già esistenti in Baviera, e destinata, come queste ultime, ad eventuali azioni contro l'Austria.

Il Ballplatz è invece del tutto soddisfatto del comportamento dell'Ungheria, che non ha esitato a fare tornare in Austria i pochi rivoltosi nazisti che si erano rifugiati sul suo territorio, e fra questi i tredici implicati nelle aggressioni avvenute nel Burgenland, e delle quali si occupa lo speciale tribunale (mio teleposta

n. 1789 in data odierna) (1).

727

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3379/1793. Vienna, 24 agosto 1934.

Questo Ministro degli Esteri è stato informato da fonte -da lui ritenuta degna di fede-che a von Papen sarebbe stato assegnato, in un primo momento, un lasso di tempo di sei mesi, e poscia solo di tre mesi, per portare a termine la sua missione, definita nei seguenti obbiettivi: l) amnistia per i nazisti attualmente in prigione o nei campi di concentramento (e difatti, nella sua prima conversazione col Cancelliere, il von Papen ha avuto ad accennare vagamente alla sorte che sarebbe stata riservata ad un noto nazista, che è in prigione). 2) Sostanziale modificazione dell'atteggiamento generale del governo e delle autorità provinciali verso i « nazionali ». 3) Riammissione della stampa tedesca in Austria, e soluzione di altre questioni minori.

Qualora questi conseguimenti non fossero stati raggiunti restava inteso che sarebbe stata ripresa senz'altro la pratica terroristica.

Rilevo che le predette informazioni sono ad un dipresso quelle pervenutemi da altra fonte e di cui ho riferito a V. E. con mio teleposta n. 1733 del 20 agosto (1).

Il Ministro deli Esteri ha quindi insistito meco sugli indizi che egli ha detto essere tutti accertati -degli apprestamenti nazisti per una ripresa di ostilità. E cioè:

l) L'arrivo in Austria di nuovi organizzatori nazisti essendo ormai stabilito che gli eventi del 25 luglio hanno sottratto al movimento nazista, in

seguito al loro arresto od alla loro fuga, le principali figure, nonché hanno sconvolto interamente le fila del movimento stesso.

Ho osservato al Barone Berger che era da chiedersi perché, essendosi accertato -com'egli mi diceva -l'arrivo in Austria di detti nuovi organizzatori, non si fosse subito proceduto ad opportune misure di controllo e di repressione. Ancora una volta mi è stata opposta l'estrema difficoltà dell'impresa;

2) Un documento originale, consistente in una circolare datata del 18 agosto, con cui il dirigente di Monaco dà istruzione di smentire nel modo più reciso che il Kampfring sia per essere sciolto, e la menzione che i nuclei di lotta saranno rappresentati d'ora innanzi dalle organizzazioni regionali del Kampfring stesso.

3) Informazioni e segnalazioni secondarie, dimostranti la permanente disposizione alla lotta.

Infine mi è stato riassunta una lettera di un ufficiale tedesco in riserva, certo Mayer, proprietario in Carinzia, ai suoi parenti, quivi ancora dimoranti. L'ufficiale è fuggito in Germania, dalla Carinzia, subito dopo i moti del luglio.

Nella lettera, datata del 7 agosto, il Mayer riferiva ai suoi parenti d'aver trovato in Baviera completamente disciolta la Landesleitung. Preoccupato di tale circostanza, egli si era recato dal noto von Kothen, che era appena tornato da Berlino, dopo aver avuto un colloquio di due ore con Hitler, circa la « Schweinerei » di Vienna: «una schweinerei » da idioti giacché il piano prestabilito d'una simultanea azione offensiva in tutti i Lander era stato all'ultimo momento revocato dalla Wilhelmstrasse preoccupata dai concentramenti militari dell'Italia, della Jugoslavia e della Cecoslovacchia, ma sovratutto di quelli dell'Italia che erano stati da essa ritenuti un sicuro prologo di guerra. Malauguratamente, l'ordine di revoca non aveva raggiunto alcuni Lander austriaci, donde la grave perdita degli arrestati nazisti e dei 1300 rifugiati in Jugoslavia che hanno costato al movimento ben 100.000 sceilini ». La lettera aggiungeva che il von Kothen aveva offerto allo scrivente o di recarsi in Jugoslavia, nei tre campi di concentramento colà organizzati, o di restare in un campo tedesco a 15 scellini al mese, o di usufruire di un biglietto ferroviario gratuito per recarsi in Olanda «per quelle tre o quattro settimane che ancora occorrono per poter liberamente tornare in Austria».

Il Ballplatz dà grande importanza a questa lettera, ritenendo che essa comprova: l) che la rivolta nazista del luglio è stata infranta esclusivamente dai timori della Wilhelmstrasse in un intervento militare italiano; 2) che vi è una piena connivenza della Landesleitung di Monaco nei fatti del luglio; 3) che il nazismo tedesco continua ad organizzare sostenere ed incitare quello austriaco; 4) che in Germania vi è infine la speranza che in poche settimane von Papen riuscirà ad ottenere la completa normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi.

(l) NC'In pubblicato.

728

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

r. 3075/297 R. Vienna, 27 agosto 1934, ore 13,50 (per. ore 18).

297. Cancelliere che è tornato ieri sera, ha voluto intrattenermi lunga

mente stamane circa convegno Firenze.

Ne è entusiasta.

Mi ha detto sentite parole di ammirazione pel Duce e per nuova Italia.

Cancelliere si è poi diffuso su sue preoccupazioni (in seguito a informazioni testé pervenutegli) per atteggiamento Jugoslavia e per attività nazisti austriaci colà rifugiati, che egli paventa possano procedere ad un'azione armata prima del ritorno Papen a Vienna.

Riferisco per corriere (l).

729

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3089/0148 R. Vienna, 27 agosto 1934 (per. il 29).

Mio telegramma odierno n. 297 e mio telegramma per corriere n. 147 del 24 agosto (2).

Cancelliere mi ha detto stamani che le notizie che gli erano state riferite ieri sera, subito dopo il suo ritorno a Vienna, circa l'attività dei nazisti austriaci rifugiatisi in Jugoslavia, l'atteggiamento del Governo di Belgrado e le mene dei dirigenti nazisti di Monaco, lo preoccupavano vivamente.

A suo avviso, perché ormai in Germania prevale il concetto che nulla possa più operarsi sulla frontiera austro-tedesca, tutto lascia credere che gli sforzi nazisti si dirigano verso un movimento da svilupparsi dalla frontiera jugoslava-austriaca, a mezzo delle legioni di fuorusciti nazisti austriaci colà assembrati.

Cancelliere ha poi la sensazione che le azioni dei fuorusciti austriaci, concentrati in Jugoslavia, possano effettuarsi a breve scadenza, e cioè prima ancora del ritorno del signor von Papen a Vienna.

Schuschnigg ha aggiunto che il Governo di Belgrado si mostra risentito a causa del preteso buon trattamento che le autorità austriache userebbero ai

fuorusciti croati. Di tale questione egli aveva anche fatto accenno a S. E. il Capo del Governo; ma non sapeva spiegarsi su quali basi il Governo di Belgrado potesse fondare le sue lagnanze, dato che il noto generale Sarkotic, d'origine croata, è così avanti negli anni che nessuna reale attività gli è più consentita, e dato che l'Austria non ha, né vuole avere, niente a che vedere con la Croazia.

Da parte mia rilevo che dell'eventualità di un attacco da parte dei fuorusciti austriaci, proveniente dalle frontiere jugoslave, nella presunzione che l'Italia non intraprenderebbe mai una azione militare che potesse comportare una complicazione con la Jugoslavia, era oggetto un foglio di segrete informazioni da me trasmesso a S. E. Suvich, in una lettera personale del 7 agosto (1).

(l) -Cfr. n. 729. (2) -Cfr. n. 728 e 726.
730

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3088/0149 R. Vienna, 27 (2) agosto 1934 (per. il 29).

Ministro degli esteri mi ha detto essere ormai d'avviso che il Governo federale potrà conseguire l'appoggio di quelle larghe masse che, nella preoccupazione d'un possibile cambiamento di regime in Austria, hanno finora preferito mantenersi in un ambiguo atteggiamento, solo se una garanzia internazionale sarà per suffragare in modo così solenne l'indipendenza dell'Austria, da togliere loro ogni dubbio che ad un mutamento di governo o di regime possa seguire una diretta od indiretta soggezione del paese alla Germania.

n barone Berger mi ha quindi confidato d'aver intrattenuto il cancelliere, poco innanzi la sua partenza per Firenze, della convenienza di un patto di garanzia, contenente speciali clausole statuenti la non immistione, per i firmatari, nelle cose interne dell'Austria, nonché l'obbligo per i medesimi di interdire ogni azione violenta o sovversiva contro l'Austria. Barone Berger aveva anche prospettato l'opportunità che di una siffatta proposta si facesse promotrice qualche grande Potenza, giacché l'Austria, precedendovi essa stessa, darebbe con ogni probabilità l'impressione di una sua riconosciuta inanità a conservare l'attuale stato di cose.

Segnalo altresì che il ministro degli esteri, nel farmi gli accenni suindicati, ha osservato che «dovrebbe comunque scartarsi ogni progetto di neutralizzazione ».

Barone Berger ha concluso che cancelliere gli aveva promesso di rappresentare la questione a S. E. il Capo del Governo, durante i colloqui di Firenze.

(l) -Cfr. n. 666, il foglio però non è stato rinvenuto. (2) -Sul registro del telegrammi la data è erroneamente 24 agosto ma il t. 0148 (cfr. n. 729). è del 27 agosto.
731

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO R. Roma, 27 agosto 1934.

È venuto stamane a trovarmi il Conte de Chambrun il quale è tornato da tre giorni dalla Francia dove ha trascorso il suo congedo estivo,-durante il quale ha avuto occasione d'intrattenersi lungamente con il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Ministro degli Affari Esteri, il Segretario Generale del Quai d'Orsay, Signor Léger, il Signor de Jouvenel e gli altri principali esponenti della politica francese.

Il Conte de Chambrun mi ha detto di aver principalmente interpellato queste personalità politiche sul riavvicinamento itala-francese. Egli, durante il suo soggiorno in Patria, ha constatato in tutti gli ambienti e sopratutto nel popolo il rapido progresso che ha fatto l'idea di una necessaria e generale intesa con l'Itali.a e la grande popolarità che V. E. gode t~a le masse popolari e fin nei più piccoli villaggi della Francia.

Dalle conversazioni avute con i dirigenti la politica del suo Paese, Chambrun mi ha detto di aver tratto l'impressione che il viaggio che prossimamente Barthou dovrebbe fare in Italia viene considerato negli ambienti francesi sotto due aspetti: o come un incontro per esaminare i grandi problemi che agitano il mondo oppure come un viaggio di vera e precisa consacrazione dell'identità dei punti di vista francese ed italiano sulle grandi questioni internazionali.

Chambrun propende verso il secondo di questi aspetti ed in questo senso mi ha detto essersi egli espresso a Parigi.

Gli ho obiettato che per poter affermare questa identità di vedute tra il Governo italiano e quello francese è necessario mettere prima d'accordo la politica dei due Paesi sulla questione del disarmo che, date le posizioni assunte dai due governi, obbligherebbe Francia ed Italia a rimanere su questo grave problema in due campi opposti. E gli ho ricordato quanto mi avevano detto Barthou e Pietri circa la possibilità di trovare una formula che permetta alla Francia di aderire al Memorandum Italiano sul disarmo senza però legalizzare la «parità di diritti».

Chambrun mi ha risposto che sulla questione della parità dei diritti dopo le vicende tedesche degli ultimi mesi l'opinione pubblica francese aveva fatto un netto passo indietro.

L'Ambasciatore di Francia mi ha poi lungamente esposto lo stato d'animo della stampa francese.

Mi ha affermato che tutti i grandi organi della stampa di ogni colore, salvo quelli di destra, sono favorevoli ad una intesa con l'Italia e che avendo egli avvicinato gli esponenti dei giornali di destra e cioè Le Journal des Débats, Le Jour, La Liberté e l'Echo de Paris era riuscito ~a neutralizzare i primi tre, restando invece nostro dichiarato oppositore l'Echo de Paris.

Continuando la nostra conversazione, Chambrun mi ha detto che gli Ufficiali francesi che hanno assistito alle recenti manovre militari sono rimasti ammirati dal comportamento delle truppe e dei quadri e che il Capo della Missione Militare francese è stato specialmente colpito dal perfetto funzionamento dei servizi logistici e dallo sforzo compiuto dalle fanterie durante le lunghe e faticose marcie. Di tutto questo il Generale francese aveva fatto oggetto di un rapporto al suo Governo.

L'Ambasciatore di Francia mi ha infine detto che, desiderando prospettare le sue impressioni sulla situazione politica generale vista dalla Francia, che egli aveva avuto agio di studiare durante il suo congedo, avrebbe voluto avere l'onore di essere ricevuto dall'E. V. A questo riguardo egli mi ha accennato che nel corso dell'udienza sarebbe stata sua intenzione di chiedere a V. E. qualche dettaglio circa le conversazioni di Firenze con il Cancelliere austriaco, specialmente in relazione al passo proposto da Francia e Inghilterra per indurre il Cancelliere Schuschnigg a considerare l'opportunità di prendere le necessarie misure per assicurare al Governo austriaco la simpatia e l'appoggio di quanta più parte possibile della opinione pubblica e particolarmente degli elementi operai (l).

732

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 27 agosto 1934.

In occasione di colloquio che questo Ministro d'Ungheria ha avuto, nel corso del quale è stato messo al corrente delle conversazioni di Firenze tra

S. E. il Capo del Governo e il Cancelliere Federale austriaco, il Barone Villani ha comunicato d'incarico del suo Governo, le seguenti informazioni del Ministro d'Ungheria ad Ankara circa la crescente intimità di rapporti tra la Turchia e la Jugoslavia.

Il Ministro degli Esteri turco ha veduto di recente lungamente il Ministro d'Ungheria ad Ankara e gli ha detto che dopo l'amicizia tra l'URSS e la Turchia, l'amicizia turco-jugoslava rappresenta pel Governo di Ankara l'elemento più importante della propria politica. Anzi ha segnalato al Ministro d'Ungheria l'opportunità che l'Ungheria si avvicini maggiormente alla Jugoslavia specie ora dopo la conclusione degli Accordi di Belgrado per il traffico di frontiera, offrendosi di facilitare questo maggior avvicinamento, come aveva facilitato la conclusione dei detti Accordi. Ha pure detto che crede che Jeftich sarebbe disposto a tale maggiore avvicinamento.

Tewfik Ruschdi bey ha poi espresso l'avviso che sia contrario agli interessi turchi la formazione di un blocco slavo (Jugoslavia e Bulgaria) nei Balcani. Si sente però sicuro che taJe blocco non si formerà nonostante l'attività che

si svolge da parte bulgara. Si sente tanto più sicuro in quanto, sia il Re di Jugoslavia che il Ghazi personalmente si sono impegnati colla propria parola d'onore di continuare la loro attuale politica.

Quest'ultima circostanza, fatta presente da Tewfik Ruschdi bey al Ministro d'Ungheria ad Ankara, e tutto l'assieme delle conversazioni hanno dato l'impressione a quest'ultimo (Ministro d'Ungheria) che probabilmente tra la Jugoslavia e la Turchia esiste una qualche convenzione, fors'anche d'ordine militare, intesa a difendere l'integrità della penisola balcanica e l'integrità della penisola anatolica contro possibili estensioni di terze Potenze che il Ministro d'Ungheria ad Ankara stima non potrebbero essere altro che l'Italia (1).

Le informazioni del ·Ministro d'Ungheria ad Ankara terminano col constatare il miglioramento dei rapporti tra la Turchia e la Piccola Intesa.

(l) Annotazione a margine: «S. E. il Capo del Governo riceverà 11 Conte Chambrun venerdì 31 alle ore 18 ».

733

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1327/585. Terapia, 27 agosto 1934 (per. il 3 settembre).

La politica della Turchia in questi ultimi tre mesi, e cioè da che non si sono più verificate né visite di uomini politici europei né firma di atti internazionali, sembra esser penetrata in una zona di ombra.

Per un governo che basa gran parte dei suoi successi politici sopra lo sbandieramento e le manifestazioni clamorose, le ombre ed il silenzio sono forse sinonimo di malessere. Ed è questa la sensazione che si ha qui sulla posizione attuale della Turchia di fronte ai vari settori europei. Cercherò di individuare

motivi ed i sintomi di questo malessere, facendo un giro di orizzonte.

I -All'interno dei Balcani, le rivalità ed i sospetti sono giunti ad una fase acuta. L'amicizia turco-greca, che un anno fa di questi tempi toccava il massimo della sua parabola con l'accordo di Ankara del 14 settembre 1933, è ridotta ad una larva ricoperta di paramenti ufficiali. Nessun rapporto intimo; nessuno scambio di vedute confidenziali; risentimento greco per l'esodo dei lavoratori da Stambul; risentimento e disprezzo turco per le manifestazioni di

54 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

timore della Grecia di fronte all'Italia; smarrimento comune di fronte alla politica jugoslava in Bulgaria.

Ogni idea di solidarietà e di coesione sulle frontiere esterne dei quattro Stati firmatari del famoso Patto Balcanico era già crollata con la propalazione del protocollo aggiunto. Rimaneva una speranza di solidarietà sulle frontiere interne e cioè praticamente sulle frontiere albanesi e bulgare. Ma per l'Albania, la Turchia dichiarava di non avere ragione di interessarsene, stante la mancanza di frontiera comune con quel Paese; e la Grecia di non volere contrastare l'Italia. Per la Bulgaria, la Turchia faceva accettare dagli altri firmatari la sua riserva di non marciare contro una Bulgaria alleata della Russia; e la Grecia, per mezzo di Kondylis, dichiarava ad Ankara di dover fare eguali riserve nel caso di una Bulgaria alleata dell'Italia.

Anche l'edificio interno era dunque intaccato; ma ciascuno dei firmatari nutriva la speranza che almeno le garanzie negative del Patto, e cioè le garanzie di astinenza di ciascuno di essi verso la Bulgaria, fossero rispettate. Invece, ecco il movimento interno bulgaro, l'ascesa al potere di uomini di tendenza jugoslavofila, la soppressione del Comitato Macedone, e la grande incognita della formazione di un blocco politico bulgaro-jugoslavo. Questa incognita scuote dalle fondamenta il patto balcanico, sia pure ridotto alla sua scheletrica espressione di atto negativo. Turchi e greci sono ridotti a confidare unicamente sulla forza giuridica di esso. Quando un vincolo tra nazioni cessa di avere forza politica, cioè ragione di vita propria e fondamento di interessi, e si contrae nell'« area di rigore l) giuridica, diviene inevitabilmente sterile. Continuando nel gergo sportivo, possiamo dire che tutto quello che se ne può sperare è che la propria linea non venga violata; ed è ciò che Grecia e Turchia sperano ancora dal Patto Balcanico. Il quale, inteso in questo senso, e cioè come una difesa contro la calata degli slavo-balcanici sull'Egeo e sugli Stretti, e sfrondato di ogni finalità pan-balcanica ed antieuropea, finisce con essere, per questo solo lato che gli rimane, uno strumento utile anche per noi. Ed è tempo perciò che si cessi da parte nostra di sopravalorizzarlo attribuendogli una portata che esso non ha più e che forse non ha mai avuto.

2 -Intanto, tra Turchia e Bulgaria le polemiche di stampa crescono di frequenza e di asprezza; e nello sfondo di esse si muovono le divisioni ed i corpi di esercito, non certo per dar luogo ad atti di ostilità bensi per rispondere ad ogni minaccia con una minaccia più forte. Ho già riferito a V. E. -mio rapporto

n. 1259/551 del 15 agosto c.a. (l) -che da parte turca gli apprestamenti militari verso la frontiera trace hanno un significato di precauzione non tanto verso l'esercito bulgaro come tale, ma contro di esso considerato quale avanguardia di un blocco retrostante, a carattere slavo.

In queste incertezze, che ne è del Signor Titulesco? Anche lui è penetrato nell'ombra. L'infatuazione della stampa turca e quella personale di Tewfik Rustu bey per questo cavaliere dell'idealismo panbalcanico e della spiritualizzazione dei confini, sembrano risentire di quello stato di disagio particolare a chi comincia

a dubitare di avere ricevuto la solita «patacca ». Titulesco aveva affibiato a Tewfik Rustu la ricetta del patto balcanico come elemento coagulante della penisola; invece ecco infierire una crisi di smarrimento e di incomprensione che, partendo dall'enigma del nuovo governo di Sofia, accende gli animi ed i sospetti dei quatto compari, ognuno dei quali attribuisce all'altro la capacità, e forse la volontà, di mancare agli impegni presi.

3 -I rapporti della Turchia con la Russia, bilateralmente guardati, sono ancora intatti; ma l'allargamento della posizione della Russia in pieno teatro europeo procura ai turchi qualche pensiero di nostalgia per i tempi beati quando Ankara era l'unica capitale amica dei russi e godeva i favori esclusivi di quel colosso isolato. Oggi l'amicizia russo-turca è divenuta una carta come tante altre nelle mani del governo di Mosca. L'interesse verso gli Stretti rimane inalterato da parte della Russia, ma non so fino a qual punto i turchi debbano ritenere prudente di stimolare tale interesse. L'uomo che viene qui al posto di Souritz è tale da soddisfare la vanagloria del governo presso cui è accreditato; ma ha fama di invadente e di rude realizzatore e se Karahan si mette a guardare agli Stretti col suo freddo occhio di padrone, i tempi aurei della buona amicizia dei Sovieti col regime kemalista possono riuscire offuscati da qualche nube.

4 -Intanto nelle sfere della grande politica europea si agitano nuove idee: Tevfik Rustu si rode che la Turchia non abbia una posizione geografica tale da farle muovere il mestolo del Patto Orientale. In mancanza d'altro, si sforza di far credere che l'idea è sua; ma il circolo entro cui egli può dare a credere simili cose è troppo ristretto: è il circolo dei diplomatici di Ankara i quali sanno qual peso dare a tali vanterie. Egli tuttavia si agita per favorire il Patto Or[entale non foss'altro che per simpatia verso questo articolo ginevrino. All'ambasciatore di Germania egli ha detto che, come amico della Russia, non poteva che augurare la conclusione del Patto ed il ritorno delle buone relazioni germano-sovietiche. Il Signor Rosenberg gli ha risposto che la Germania non poteva accarezzare l'idea di divenire il centro di un cerchio avversario, se il Patto si rivolgeva contro di essa, ovvero di divenire il campo di passaggio di tutti gli eserci,ti europei se il Patto si rivolgeva a suo favore.

5 -Naturalmente qui si spasima per un Patto Mediterraneo. Nessuno me ne ha intrattenuto per conto del Governo turco, nella evidente consapevolezza che non si può trattare seriamente di una questione del genere senza passare da Roma. Io, da mia parte, mi sono guardato bene dal dare importanza a questo Governo parlandogliene, sia pure negativamente. A qualcuno dei miei colleghi che mi ha mosso qualche quesito, ho risposto che un Patto Mediterraneo o doveva essere guidato dall'Italia, il che non si era verificato né forse si sarebbe verificato, o doveva essere contro l'Italia, il che non era consigliabile per il bene dell'Europa. In quanto all'eventualità, accennatami da questo Incaricato di Affari di Russia, che dal Mediterraneo le cose finissero col limitarsi al Mar Nero, con un ritorno alla famosa idea di un anno fa, ho ritenuto di dover chiarire che Mar Nero e Mediterraneo non possono vivere separatamente; e che se gli Stati rivieraschi del Mar Nero credessero di essere padroni di quel mare, chiudendolo,

gli Stati del Mediterraneo, o uno solo di essi, potrebbero esercitare la reciproca. In altri termini, se è facile chiudere gli Stretti da dentro, è altrettanto facile chiuderli da fuori; ed il danno maggiore sarebbe per chi vi rimane dentro. Il discorso, benché fatto in un tono fra il teorico e lo scherzoso, è andato al segno; ed era opportuno che intervenisse qui una messa a punto della questione, dato che troppo spesso si sente strombazzare questa eventuale chiusura degli Stretti contro chiunque non sia nelle grazie di russi e di turchi.

6 -A questo proposito debbo chiarire, al lume di una sempre maggiore riflessione, ciò che i turchi veramente temono dalla nostra base di Leros. Io sono convinto che, come minaccia per una operazione in Anatolia, essi riconoscano la insufficienza di Leros; ma insistono nel far credere che vi credono per non rivelare ciò che veramente li assilla; e cioè che Leros abbia a servire un giorno di appoggio ad una squadra che blocchi i Dardanelli. Questa ipotesi, appunto perché li tocca nel punto più sensibile, spiega la loro intolleranza verso questa notevole arma che noi possediamo.

7 -Continuando nel nostro giro di orizzonte, esammmmo l'atteggiamento turco di fronte agli avvenimenti austriaci. Finché la situazione si presentò minacciosa, l'azione italiana fu guardata serenamente e con vera, se pur tacita, solidarietà. Infatti, salvando la pace, noi salvaguardavamo il maggiore fra gli interessi turchi. Ma, a pericolo superato, è venuto fuori quel senso di rivalità in cui il Governo turco pretende di vivere nei riflessi di questa Italia che, farfortunatamente per essa, non si sente affatto rivale della Turchia. L'idea di uno spiegamento di forze rapido, preciso, di pura iniziativa italiana, è cominciata a divenire meno digeribile. Per contro è divenuto aggradevole alla stampa turca congegnare le cose in modo da dare ad intendere che l'azione italiana era stata fermata, non dal fatto naturale che l'ipotesi per cui le nostre truppe si erano mosse non si era verificata, bensì dalle minacce jugoslave e cioè di un semplice stato balcanico come la Turchia. Dal movimento militare sulla frontiera austriaca si è voluto ritornare alla faccenda dell'apparizione della nostra flotta dinanzi a Durazzo; ed anche qui, dàgli a magnificare la fermezza jugoslava che aveva arrestato lo sviluppo di ogni ulteriore iniziativa.

Queste sono, naturalmente, manifestazioni di stampa, che trovano posto quasi sempre in articoli firmati o da Yunus Nadi, direttore della République, nostro amico mancato e perciò vendicativo, o da piccoli uomini privi di notorietà che si slanciano avanti sotto la protezione di qualche lira turca proveniente dalla propaganda jugoslava. Il Governo ha mantenuto una linea di riservatezza apparentemente irreprensibile.

8 -Infatti, i rapporti con l'Italia non sono assolutamente condannati nell'intendimento di queste sfere dirigenti: ma sono subordinati: a) alla fiducia che noi possiamo ispirare, la quale si va rassodando; b) ed alle sorprese che possono venire da Sofia e da Belgrado, e che possono creare qui la necessità di riprendere in pieno la politica di appoggio sull'Italia.

9 -Le relazioni con la Francia, ottime dal punto di vista della politica generale, sono invece tesissime nel campo degli affari. Da circa sei mesi, e cioè da quando il Ministro delle Finanze Abdul Halik fu costretto per una malattia agli occhi a cedere il suo portafogli al Signor Fouat bey, la politica economica della Turchia si è indirizzata verso il riscatto di tutte le imprese di interesse pubblico ancora rimaste in mano di concessionari stranieri. Come è noto, le Società Concessionarie sono in massima parte francesi, meno che per le tramvie elettriche che sono belghe.

Tanto l'Ambasciatore di Francia che il Ministro del Belgio mi hanno parlato in termini addirittura desolati e sdegnati per la vera e propria spoliazione di cui le loro Società sono vittime; né hanno trovato modo sinora di fare rntendere le loro ragioni a questo Governo. Dello spirito di accesa xenofobia che anima il regime kemalista in questo momento tutti soffriamo egualmente, chi per i lavoratori che debbono tornare in patria, e chi per i grandi interessi finanziari calpestati con deliberazioni unilaterali, in dispregio dei contratti esistenti.

La conseguenza è il crollo del credito e dei valori turchi all'estero. Per i valori, che rappresentano il credito goduto nel passato, si può anche comprendere che il Governo turco, sapendo che i relativi possessori sono stranieri, non ne tema il crollo e forse anche lo desideri in modo da potere ricomprare i relativi titoli quando saranno ridotti a zero, o quasi. Ma per il credito, che rappresenta l'avvenire, nell'acuto bisogno di denaro in cui questo Paese vive per le sproporzionate esigenze della sua politica militare e ferroviaria, è certamente un grave errore quello di inimicarsi tutto il mondo come sta avvenendo. Un recente articolo del Times, criticando i metodi di spoliazione dei capitali stranieri investiti in Turchia e le difficoltà all'uscita dei dividendi, ha fatto comprendere che molte porte si sarebbero chiuse in faccia al Governo turco. Il mio collega di Francia mi ha detto ancora più esplicitamente che «nessun Governo sarà da oggi in poi cosi pazzo da prestare denaro alla Turchia »; e questo, dopo il mancato nostro prestito, ci rassicura sul timore che la Francia venisse a colmare gli insoddisfatti bisogni della Turchia.

10 -Questo intermezzo finanziario con relative reazioni contrarie delle sfere plutocratiche internazionali, lo sdegno per le intolleranze di ogni genere e per gli eccessi a cui sta giungendo la xenofobia kemalista, la inospitalità ed il senso di barbarie che colpiscono chiunque si approssimi a questo popolo che ha cambiato di abiti ma non di animo, sono elementi oscuri che gravano sull'atmosfera generale e la deprimono sovrapponendosi a quelle preoccupazioni politiche che nei vari settori balcanici, mediterranei ed europei danno a questo Governo la sensazione di qualche cosa di non raggiunto, malgrado i successi apparenti con cui si è iniziato questo anno di attività. In una conversazione col nostro Addetto Militare, il Capitano Denardou, Addetto Militare aggiunto francese, che è il vero animatore del servizio francese in questo centro balcanico, ha definito così la posizione della Turchia in questo momento: ha voluto lasciare una cavalcatura per inforcarne un'altra ed è rimasta disarcionata dall'una e dall'altra.

Ho voluto citare questa definizione per la fonte da cui proviene; la quale, esaminando le cose da un punto perfettamente opposto al nostro, giunge alle medesime conclusioni. Il che, come controllo, vale molto.

(l) con altro appunto dell'8 settembre Buti comunicò a Suvich: «Questo Incaricato d'Affar! d! Ungheria, riferendosi ad una comunicazione fatta giorni fa circa la crescente intimità di rapporti tra la Turchia e la Jugoslavia, ha informato che in questi ultimi tempi sono state frequenti le visite ad Ankara del Ministro turco a Belgrado. Ciò che confermerebbe il Ministro d'Ungheria a Belgrado nella opinione che l rapporti tra la Jugoslavia e la Turchia possano veramente sboccare in un trattato militare. Un trattato militare era stato proposto fin da 11 anni fa dalla Turchia alla Jugoslavia, ma allora Nincic ebbe a rlfiutarlo, cosa che probabilmente oggi non si verificherebbe dati l rapporti esistenti fra l due Paesi. Una proposta formale !n tal senso sarebbe stata fatta da Tewf!ck Rouscdy bey a Jeft!c in occasione del recente viaggio d! quest'ultimo ad Ankara».

(l) Non pubblicato.

734

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 5484/1510. Belgrado, 27 agosto 1934.

Telespresso di V. E. n. 227476/C del 24 agosto (1).

La Jugoslavia, insieme alle altre Potenze della Piccola Intesa sembra avesse l'intenzione di sollevare una serie di eccezioni e di riserve per la richiesta del mantenimento in servizio della milizia ausiliaria austriaca.

Questo Ministro di Francia Naggiar avrebbe fatto ripetuti passi e pressioni presso questo Governo per la modificazione della sua attitudine. La decisione presa è stata quella di non rispondere alla nota austriaca, come già lo scorso anno.

Mi si dice che in tale occasione il Ministro Naggiar avrebbe fatto sapere a questo Governo che all'Anschluss il Governo francese avrebbe preferito la soluzione absburgica per quanto essa sia tutt'altro che matura. Ne avrebbe avuto la netta risposta che la Jugoslavia preferisce invece l'Anschluss. Ciò in conformità con la decisione comune della Piccola Intesa: absburgo determina l'immediato intervento militare. Vi sarebbe quindi una netta divergenza di idee fra il Governo francese e questo Governo.

Ciò non impedisce che, come mi si continua ad affermare anche dal mio collega d'Austria, la linea di condotta del Naggiar (fiancheggiato da certo Hunsbuchler, alsaziano, altro dignitario massonico, il quale, come corrispondente dell'Agenzia Havas compie un servizio spionistico per conto del II Ufficio dello Stato Maggiore francese) continui ad apparire non in tutto consona alle direttive del Quai d'Orsay nella valutazione della questione austriaca nel suo complesso, sia per lo meno nei colloqui privati che egli tiene un poco con tutti e che verosimilmente tiene anche con questo Governo.

735

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 3083/559 R. Londra, 28 agosto 1934, ore 19,06 (per. ore 22).

Questo ambasciatore di Francia ha comunicato al Foreign Office che Governo francese ha fatto in questi giorni dei. passi presso i Governi membri del Consiglio della Società delle Nazioni nonché Svizzera Olanda e Belgio in favore entrata URSS nella Società delle Nazioni e per appoggiare domanda URSB seggio permanente nel Consiglio.

Questo ambasciatore ha chiesto anche al Foreign Office se Governo inglese è disposto fare altrettanto.

Foreign Office si prepara rispondere favorevolmente;. ma desidererebbe conoscere se Governo francese si è rivolto anche a noi e se siamo disposti svolgere azione diplomatica nello stesso senso.

(l) Ritrasmetteva a Londra, Berlino, Vienna, Praga, Belgrado e Bucarest il t. 2994/349 da Parigi del 18 agooto, non pubblicato. Con tale telegramma Pignatti comunicava che incaricato d'affari di Austria non aveva ancora riferito la notifica ufficiale del consenso francese alla richiesta austriaca di proroga del termine per 11 mantenimento in servizio della m!l!zia ausU1aria.

736

APPUNTO DELL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI (l)

[Roma, 28 agosto 1934].

1°) Qual'è l'atteggiamento della S. Sede nei confronti dell'Austria di oggi?

2°) Quali ordini ha l'Episcopato Austriaco nei rapporti del Governo che la regge?

3°) Quale apprezzamento si fa da parte della Santa Sede sulla situazione politica austriaca odierna, sul suo governo e quali sono le previsioni per il domani?

4°) L'Austria ha secondo l'apprezzamento del Capo del Governo -Mussolini -ancora notevoli difficoltà fra la gioventù. Il Capo giudica Schusschnigg cattolico ad oltranza ma lo stesso nuovo Cancelliere trova difficoltà da parte delle formazioni giovanili cattoliche a creare come desidererebbe una organizzazione giovanile del tipo di quella fascista. Non si potrebbe far rinunziare a questa organizzazione esclusivamente dipendente dall'A.C. per crearne una statale naturalmente con tutte le garanzie per la Chiesa, cappellani, dirigenti etc. sicuri?

5°) Von Papen non costituirà un pericolo in Austria, malfido come si è dimostrato per tutti? Ma che cosa ha fatto von Papen quando era in America da farsi espellere?

6°) Qual'è la politica della Santa Sede verso la Germania di Hitler?

7°) Perché l'Osservatore ha un tono così raddolcito e quasi amoroso tanto da destare dei sospetti nel Capo del Governo? Ah! Quell'Osservatore! Mons. Pizzardo ha offerti articoli di attacco. Bisognerebbe che uscissero.

8°) Quali sono le previsioni della S. Sede circa lo sviluppo degli avvenimenti nel prossimo avvenire in Europa? (La Sarre -dopo il Plebiscito teme nuove azioni della Germania verso l'Austria).

9°) Se la S. Sede ha il duplice principio dell'appoggio all'Austria odierna e della avversione alla Germania Hitleriana noi Le domandiamo azione solidale in caso di guerra su_questa base, così che se varchiamo il confine la solidarietà di manifesti non soltanto in paese ma anche attraverso le Nunziature Europee.

(Fronte cattolico contro il neo paganesimo) (1).

(l) L'appunto ha il seguente titolo: «Questionario e proposte per il mio colloquio con Sua Eminenza n Cardinale Segretario di Stato n mercoledì 29 agosto 1934 XII, ore 11. In seguito agli ordini ricevuti dal Capo n 27 agosto XII ore 16.

737

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEl?PR. 8504/1031. Budapest, 28 agosto 1934 (per. il 1° settembre).

Mio telegramma per corriere n. 8173/052 del 14 c.m. (2).

Non sembra puro caso che, mentre i giornali di Praga interpretano il comunicato ufficiale del Convegno di Firenze come un invito alla Cecoslovacchia di aderire agli Accordi itala-austro-ungheresi, qui si dà rilievo ad un articolo del pubblicista Szudy, ex capo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, in cui, parlando della prossima visita a Varsavia del Presidente Goemboes, si dice: «dove appare Budapest in un certo senso è presente anche Roma. Se Roma e Varsavia si incontrassero, se Mussolini e Pilsudski attraverso Budapest e Vienna si stringessero la mano, si potrebbe ottenere un serio e grande risultato per lo sbrogliamento della situazione europea», si constata una solidarietà di atteggiamento tra Polonia ed Ungheria nei confronti della Cecoslovacchia per ciò che concerne le minoranze, e si accenna invece alla possibilità che la Polonia possa farsi intermediaria di un « modus vi vendi» fra Ungheria e Romania.

Occorre ricordare a tal proposito che il comunicato ufficiale dell'incontro tra S.E. il Capo del Governo ed il Cancelliere Schuschnigg e, sovratutto, i commenti di qualche giornale austriaco, qui ritenuto ufficioso, sono stati accolti con riserbo dalla stampa governativa ungherese là dove si accenna alla possibilità di allargamento dei Protocolli di Roma, mentre il Pester Lloyd, che di solito rispecchia le vedute di questo Ministero degli Esteri, si è affrettato ad indicare Germania e Polonia come gli Stati con i quali si potrebbe eventualmente trattare per una adesione ai protocolli stessi.

Da una parte la naturale tendenza ad esagerare -anche ai fini propagandistici interni -l'importanza del viaggio a Varsavia e, dall'altra la malcelata apprensione che Roma si mostri sensibile alle nuove voci di Praga affioravano nella seguente informazione pubblicata da un giornale dì lunedì mattina:

« Nel mondo politico la questione che adesso interessa di più è il prossimo ;!aggio a Varsavia del Presidente del Consiglio Giulio Goemboes e del Ministro degli Affari Esteri Kànya. A questo viaggio si annette grande importanza poli

tica. Le trattative di Varsavia dureranno una settimana. Nei circoli bene informati e specialmente in quelli governativi si conferma la notizia del prossimo viaggio a Roma del Presidente del Consiglio Goemboes. Il viaggio avrà luogo nel prossimo autunno. Si dice che Goemboes si recherà dal Duce per trattare le condizioni e le prospettive d'una collaborazione italo-ungaro-austro-polacca. L'On. Goemboes anche a Roma sarà accompagnato dal Ministro degli Affari Esteri.

Subito l'Agenzia Telegrafica Ungherese diramava il seguente comunicato:

«Secondo una comunicazione del giornale di un mattino di lunedì il Presidente del Consiglio Giulio Goemboes nel corso del prossimo autunno si recherebbe a Roma per incontrarsi con Mussolini. Secondo informazioni attinte da fonte competente la notizia è destituita da ogni fondamento».

Essendomenese presentata l'occasione ed in assenza del Presidente Goemboes (in vacanza di nozze), del Ministro Kànya (ammalato), del Vice-Ministro de Hory (in congedo), ho chiesto al Direttore degli Affari Politici se per caso dato che vi fosse bisogno di un comunicato ufficiale -non si fosse un po' troppo ipotecato il futuro coll'escludere la possibilità di un viaggio a Roma per l'autunno del Presidente del Consiglio (sarebbe bastato dire che un tale viaggio non era in questo momento previsto).

Il Barone Apor mi ha risposto che aveva ritenuto di prendere l'iniziativa del comunicato di smentita per «evitare si diffondesse l'impressione che il Presidente Goemboes, dopo l'incontro di Firenze, si aspettasse un invito a Roma».

Se questa spiegazione rispondesse interamente alla verità, il Barone Apor sarebbe stato più sincero ed aperto di quanto gli è solito essere. Pratico e realista come sempre, non ha invece esitato a sfrondare tutte le esagerazione sulla portata del viaggio di Goemboes a Varsavia. Per quanto i vincoli di amicizia tra Ungheria e Polonia possano essere ulteriormente approfonditi -e questo sarebbe il desiderio del Governo ungherese specie ora che non vi è rischio di fare cosa sgradita a Berlino -il Governo polacco avrebbe fatto capire, secondo quanto dice l'Apor, che non vuole troppo mischiarsi negli affari del bacino danubiano, bastandogli in questo momento quel poco che valga a creare qualche preoccupazione alla Cecoslovacchia.

(l) -Questo documento è redatto in base ad alcun! sommari appunti presi da De Vecchi durante l'udienza concessagli da Mussolinl. In essi è contenuta la frase seguente: <<Colla Germania i nostri rapporti sono ultra tesi e difficilmente sanablll -dal 25 ad oggi si sono rotti tanti vetri che è difficilissimo sanarli ». (2) -Con t. per corriere 2988/8173/052 R. del 14 agosto Colonna aveva comunicato il desiderio espresso da Gombos di conoscere gli orientamenti della politica italiana nel confronti della Polonia.
738

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 3262. Londra, 28 agosto 1934.

In un colloquio che ho avuto ieri al Foreign Office, Vansittart mi ha parlato a lungo dell'Austria, e delle idee che ha il Governo britannico sul rafforzamento della situazione interna del Governo austriaco. Queste idee ti sono note perché Vansittart mi ha detto che il Foreign Office aveva dato incarico a Murray di esporle al Capo del Governo come aveva dato all'ambasciatore britannico a Parigi incarico di esporle al Governo francese. A ogni modo quello che in sostanza egli ha detto a me è che, secondo il Foreign Office, Schuschnigg dovrebbe allargare le sue basi nel paese, cercando di attirare alla sua politica, se non gli elementi estremi della socialdemocrazia e del nazismo che conviene abbandonare a se stessi, tutti quegli elementi incerti, che si trovano ora al SP-I!ulto dei due partiti di opposizione. Egli mi ha aggiunto che nel prendere l'iniziativa di questo suggerimento, il Foreign Office aveva voluto mostrare all'Austria quanto vivamente il Governo britannico si interessasse al rafforzamento del Governo attuale e al consolidamento della sua posizione e della sua politica.

Quanto Murray aveva riferito da Roma circa i colloqui di Firenze era stato di grande interesse e di piena soddisfazione del Governo britannico. Egli era perfettamente d'accordo col modo di vedere del Capo del Governo circa la maniera di considerare il problema della situazione interna dell'Austria, e la cura che è necessario porre nel rafforzare Schuschnigg senza dare al popolo austriaco l'impressione che il suo governo sia sotto la tutela dello straniero.

In tutto il corso del colloquio Vansittart ha tenuto a darmi l'impressione più precisa della cordialità e della fiducia del Governo britannico verso la nostra politica austriaca. A questo deve aver molto contribuito il messaggio che il Capo del Governo ha diretto, il 16 corrente, a Simon (1). Dai telegrammi con i quali ho riferito nei giorni passati dei miei colloqui con Simon, con Vansittart e con Sargent tu avrai certo rilevato l'insistenza con la quale essi avevano marcato il concetto che «l'Italia, la Francia e l'Inghilterra dovevano mantenersi in contatto e agire di comune accordo'>; concetto che Simon ha anche espresso nella sua lettera al Capo del Governo. Si sarebbe detto che la solidarietà che il Governo britannico ci offriva nella nostra politica austriaca non fosse disgiunta da una certa preoccupazione che, negli affari austriaci, noi intendessimo agire per nostro conto scartando le altre Potenze. Questa preoccupazione mi sembra ora scomparsa. Le parole del Capo del Governo hanno valso a chiarire la nostra posizione con assoluta nettezza.

Ho letto nei telegrammi di Pignatti quello che Leger ha raccontato dell'azione svolta dalla Francia a Londra per indurre il Governo britannico a dare il suo appoggio morale a Schuschnigg. È una bellissima favola inventata après coup. L'azione della Francia a Londra, nella questione austriaca, è lltata. assolutamente nulla. Subito dopo l'annunzio del nostro concentramento al confine austriaco il Quai d'Orsay fece sapere al Foreign Office che, a suo avviso, la Francia, l'Inghilterra e l'Italia dovevano fare opera comune per attenuare la tensione della situazione politica, un passo che dette l'impressione più che altro che la Francia fosse preoccupata che le nostre truppe passassero il confine. Questo fu tutto. Al Foreign Office non è mai pervenuta da Parigi per l'Austria alcuna proposta concreta di alcun genere. L'unico punto, che fece oggetto di uno scambio di idee fu la questione della nomina di von Papen a Vienna, poiché il Foreign Office, come tu sai, voleva che si suggerisse Governo austriaco di porre delle condizioni al gradimento. Ti aggiungerò che è stato un vero danno che la Francia abbia mostrato a Londra di essere preoccupata della nostra azione militare e delle complicazioni che potevano verificarsi con la Jugoslavia, perché ha dato l'impressione agli Inglesi che il fronte

unico contro l'Anschluss potrebbe presentare a un dato momento delle crepe proprio tra gli alleati orientali della Francia e che la Francia non fosse assolutamente sicura dei suoi veri interessi.

L'Ambasciata di Germania qui si tiene in una posizione di riserbo. L'unica azione che mi risulta che essa svolga negli ambienti giornalistici è diretta a dimostrare:

l) che il Governo tedesco non ha avuto alcuna parte nell'assassinio di Dollfuss;

2) che l'Italia, con la sua permanente ingerenza negli affari austdaci, mira a fare dell'Austria uno stato suo vassallo e protetto, e che gli Austriaci, anche quelli che non sono nazi, preferiranno sempre l'annessione alla Germania a un protettorato italiano;

3) che i nazi austriaci hanno dovuto cedere alla forza, ma che l'Austria è nazi e alla lunga non sarà possibile impedirle di unirsi alla Germania.

Di questi argomenti non ve ne è che uno che faccia una certa presa, ed è il secondo: sono i laburisti che con la loro solita cecità, gli danno credito, per un residuo di ostilità all'appoggio da noi dato al Governo austriaco nella sua lotta contro la social-democrazia. È su questo punto, a mio avviso, che la propaganda tedesca si concentrerà.

Oggi è venuto a vedermi il Principe di Bismarck, Incaricato d'Affari di Germania. Reduce da Berlino, dopo un mese di assenza da Londra, voleva darmi le sue impressioni e avere le mie. Non penso a riferirti un lungo colloquio di carattere generale, tanto più che non so quanto le idee di Bismarck siano quelle del Governo tedesco. Ma vi sono due o tre punti di vista interessanti, come documento per lo meno dello stato d'animo tedesco, sui quali ti scriverò col prossimo corriere.

(l) Cfr. n. 706.

739

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 3090/561 R. Londra, 29 agosto 1934, ore 12,56

(per. ore 15,10).

Mio telegramma n. 559 (l).

Foreign Office dà oggi istruzioni ai suoi rappresentanti diplomatici presso i Governi, membri del Consiglio Società delle Nazioni, nonché Berna Aja e Bruxelles perché facciano passi analoghi a quelli del Governo francese.

Foreign Office spera che noi vorremo fare altrettanto. Dalla conversazione che ho avuto sull'argomento mi è sembrato intendere che Governo britannico non dico non abbia desiderio lasciare che Governo francese svolga da

solo azione diplomatica per assicurare entrata U.R.S.S. nella Socletà delle Nazioni ma vorrebbe che questa avvenisse per l'azione· concertata Italia Inghilterra Francia (l) .

(l) Cfr. n. 735.

740

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3094/299 R. Vienna, 29 agosto 1934, ore 20 (per. ore 1 del 30 ).

Ministro degli affari esteri mi ha intrattenuto stamane di nuovo circa questione patto di garanzia per l'Austria. Mi ha ripetuto quanto ho avuto già a riferire a V. E. col mio telegramma per corriere 0149 (2) aggiungendo:

1°) Di ritenere più che mai [utile] patto di garanzia, che dovrebbe essere firmato anche dalla Germania, eviterebbe ripetersi atti terroristici, i quali sarebbero ormai mal sopportati dalla popolazione, che egli ha definito oltremodo stanca;

2°) Avere stamane esposto sua idea anche al mio collega di Francia;

3°) Essere sempre più d'avviso che proposta relativa patto di garanzia parta da una grande Potenza, prevalentemente poi: Italia o Francia.

741

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3119/0150 R. Vienna, 29 agosto 1934 (per. il 1° settembre).

Seguito mio odierno telegramma n. 300 (3).

Questo ministro degli esteri, barone Berger, ha visibilmente evitato di precisarmi se nel convegno di Firenze sia stata o meno esaminata l'idea da lui propugnata, circa un patto di sicurezza del tipo descritto a V. E. col mio telegramma per corriere n. 149 del 27 c.m. (4).

Egli ha tuttavia accennato che l'impressione generale raccolta dal cancelliere era che a Roma non vi si sarebbe contrari: ma si è schivato dal chiarire se questa impressione generica sia derivata al cancelliere dai colloqui di Firenze ovvero da semplici elementi da lui raccolti nel suo soggiorno in Italia.

R.ilevo altresì che il cancelliere, parlandomi lunedì scorso del convegno di Firenze, se ebbe ad accennarmi che, sul terreno politico, era stata colà toccata la questione dei rapporti austro-tedeschi e della missione von Papen, nulla invece ebbe a dirmi di scambi di vedute circa l'eventuale patto di sicurezza, benché il barone Berger mi avesse comunicato di avergliene accennato prima della sua partenza per Firenze, onde forse intrattenerne l'E. V.

A tale proposito mi permetto segnalare l'opportunità che il nostro punto di vista circa il progetto di un patto del genere suindicato sia possibilmente definito prima della partenza del Berger per Ginevra (fissata per 1'8 settembre), e ciò per evitare che questi si affretti colà ad agitare la questione, senza avere una previa esatta conoscenza del nostro pensiero al riguardo.

Tale mia impressione è confortata anche dalla considerazione che questo Governo, ansioso come è di ottenere al più presto il noto prestito internazionale, sia indotto a porre sul tappeto la questione del patto di sicurezza, nella presunzione che questa nuova garanzia possa incoraggiare quelle opinioni pubbliche estere ancora incerte sul definitivo avvenire dell'Austria.

(l) -Cfr. il seguente brano del R.r. 3376/1236 di Vitetti del 7 settembre: <<È dunque in definitiva sopra uno sviluppo dei rapporti anglo-russi e del rapporti italo-russi che il Foreign Office conta per evitare un'alleanza tra la Francia e la U.R.S.S. o tra la U.R.S.S. e la Germania. Questo anche spiega la premura con la quale esso ha sollecitato la nostra collaborazione ad assicurare l'entrata della U.R.S.S. nella S.d.N. e perché l'entrata della U.R.S.S. apparisse non 1l risultato della politica francese, ma della concorde volontà delle Tre Grandi Potenze». (2) -Cfr. n. 730. (3) -Riferimento errato, si tratta del 299 per il quale cfr. n. 740. (4) -Cfr. n. 730.
742

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3120/0151 R. Vienna, 29 agosto 1934 (per. il 1• settembre).

Mio telegramma per corriere n. 143 del 27 corr. (1).

Sia il ministro degli affari esteri che i funzionari del Ballplatz mi hanno intrattenuto circa la situazione che si è delineata in Jugoslavia, a seguito dell'afflusso dei rivoltosi nazisti austriaci.

In succinto, mi è stato ribadito che detti rifugiati ricevono ogni aiuto morale dalle autorità jugoslave nonché larghi aiuti materiali dalle organizzazioni naziste tedesche; che essi tendono sempre più a concentrarsi sulle frontiere di Stiria e di Carinzia, sotto la direzione del noto signor Kammerhofer e del von Kothen, venuti appositamente dalla Baviera, al presumibile scopo di organizzare un attacco contro le due predette regioni austriache; che infine informazioni segrete segnalano che i nazisti austriaci vorrebbero tentare un putsch fra 1'8 ed il 15 settembre; putsch che sarebbe effettuato con movimenti contemporanei dalla periferia verso i centri regionali -e specie in Carinzia ed in Stiria (ma sopratutto in Carinzia) con attacchi contro Klagenfurt e Graz, anche a mezzo dei rivoltosi ammassati alla frontiera della Jugoslavia.

Il barone Berger ha insistito meco sull'atteggiamento di favore assunto dalla Jugoslavia nei riguardi dei rifugiati nazisti; su alcune notizie pervenutegli circa ttattative segrete in corso fra Belgrado e Berlino (alle quali non sarebbe estranea Ankara) sulla base di promesse tedesche «anche per quanto riguarda Trieste»; sulla accertata presenza -lungo la frontiera jugoslavoaustriaca -di due reggimenti jugoslavi di fanteria.

Tuttavia il barone Berger mi ha accennato pure alla possibilità che il Governo di Belgrado voglia far «apparire » anche più di quanto non sia in realtà, il suo benevolo atteggiamento verso i fuorusciti nazisti, onde spingere il Governo di Vienna a prendere, per correggere detto suo atteggiamento, speciali misure di rigore verso i rifugiati croati in Austria.

A tale ultimo riguardo il barone Berger mi ha anzi detto che questo ministro di Jugoslavia gli ha stamani accennato che il signor Jeftic non mancherà di parlargli, in Ginevra, della predetta questione dei rifugiati croati in Austria, facendogli anche comprendere la possibilità di stabilire una correlazione fra il trattamento dei predetti fuorusciti croati in Austria, e quello dei nazisti austriaci attualmente in Jugoslavia.

(l) Cfr. n. 729.

743

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TTELEI;iPR. R. 3422/1814. Vienna, 29 agosto 1934 (per il 3 settembre).

Nelle dichiarazioni fatte avant'ieri dal Cancelliere Schuschnigg alla Polilische Korrespondenz, circa l'incontro di Firenze, correva il seguente passaggio:

« Con grande soddisfazione ho notato che le conversazioni di Firenze sono state giustamente valutate dall'opinione pubblica europea, che il fatto che si è nuovamente sottolineata la cooperazione politica ed economica col Regno d'Italia non è stato interpretato come un patto esclusivo, ma che con poche eccezioni la competente opinione europea può riassumersi nel senso che l'inizio di un riordinamento della situazione economica nel bacino danubiano incoraggerà anche altre forze ad aderire in modo positivo all'inizio di una riorganizzazione costruttiva politica ed economica. Se questa aspettativa espressa dall'opinione pubblica europea si realizzerà, ciò sarà una prova che oggi più che mai l'idea della collaborazione è atta a vincere le idee di un esagerato sistema autarchico».

Com'era da prevedersi, questo passaggio ha subito sollevato l'allarme di questi ambienti ungheresi. E difatti stamani è venuto a vedermi questo Incaricato d'Affari d'Ungheria, Conte Besseney, che mi ha fatto rilevare il passo sopra trascritto, aggiungendo che l'Ungheria, se poteva addivenire ad ordinari trattati di commercio con gli Stati componenti la Piccola Intesa, non avrebbe mai sottoscritto a patti che andassero al di là dei predetti trattati o consentito che un qualsiasi componente della Piccola Intesa partecipasse al « regime » previsto dai protocolli di Roma, senza che nel contempo esso Stato non soddisfasse le note tre condizioni enunziate replicatamente dal generale Gombos: ossia l) garanzie per un'ampia protezione delle minoranze; 2) riconoscimento all'Ungheria della parità dei diritti; 3) l'ammissione della facoltà, da parte dell'Ungheria, di procedere al suo armamento. Egli aveva pertanto -::hiesto a questo Ministro degli Affari Esteri un chiarimento ufficiale delle parole pronunziate dal Cancelliere.

Il Barone von Berger, nell'escludere un qualsiasi speciale valore alle dichiarazioni stesse, si era riservato di chiederne al Cancelliere. Egli aveva in seguito telefonato alla Legazione ungherese che anche il Cancelliere aveva escluso che le sue parole dovessero alludere ad una qualsiasi particolare intenzione del Governo austriaco.

Malgrado queste assicurazioni, il Barone Besseney mi è sembrato non completamente rasserenato.

744

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. Roma, 29 agosto 1934.

Ieri ed oggi ho data esecuzione ai tuoi ordini verbali del giorno 27 (l) con una indagine che ritengo completa sui vari quesiti che mi hai posti e col più minuto controllo delle risultanze. Eccoti quanto ho appurato:

0 ) L'atteggiamento della Santa Sede nei confronti dell'Austria di oggi non potrebbe essere più favorevole. Si considera il cancelliere come un elemento ideale per il Governo di quello Stato. Si conosce perfettamente il cattolicismo e, più, il clericalismo, di lui e non è ignorato il suo legittimismo. La conoscenza del cancelliere Schuschnigg da parte del Cardinale Pacelli data da molti anni.

2°) L'episcopato austriaco ha l'ordine della difesa ad oltranza della situazione presente. Il Cardinale asserisce tuttavia che anche senza gli ordini di Roma il clero austriaco sarebbe unito più che mai intorno a questo suo Governo. La dedizione è ritenuta piena e la circostanza di qualche prete pangermanista non appare rilevante di fronte ad una questione che tocca il dogma, anzi, secondo il Cardinale e secondo Monsignor Pizzardo l'episcopato avrebbe anche sorpassati i limiti imposti dalla forma quando ha pubblicamente protestato contro la nomina di von Papen.

Era nata, è vero, qualche divergenza fra il Cardinale di Vienna ed il defunto Cancelliere per la persona di Starhemberg ma questa era stata pienamente superata, ed anche oggi, pure facendo qualche riserva sullo Starhemberg, non vi si insiste affatto.

3°) In Segreteria di Stato e da parte del Papa si considera la situazione austriaca alquanto migliorata. Il sangue di Dollfuss avrebbe affermato un princ1p10 nazionale finora dopo la guerra pressoché inesistente e si avrebbe la prova di questa rinascita dai fiori freschi che coprono ogni giorno la tomba del Cancelliere martire di quell'idea. Si afferma decisamente che assai più che non ai tempi socialisti di Seipel ed a quelli di Schober (partigiano dell'Anschluss) esista ora la possibilità ed un movimento di orientamento verso un principio nazionale.

Non ci si nasconde tuttavia che il lavoro nazista, è ininterrotto ed incessante e dispone anche in Austria di mezzi notevoli di danaro e di organizzazione. Uno degli argomenti per la propaganda consisterebbe nello sfruttare l'atteggiamento italiano dopo gli avvenimenti del giugno rappresentandolo come una minaccia odiosa di intervento straniero nelle cose interne dell'Austria. Ciò non pertanto la Santa Sede, pure attendendosi altri sforzi anche violenti, considera la situazione austriaca con fiducia e con ottimismo. In ogni caso i nuovi sforzi nazisti sarebbero, secondo il Cardinale Pacelli, da attendersi soltanto dopo il plebiscito della Sarre, perché la Germania Hitleriana ha paura del voto dei cattolici della Sarre, nel caso di proteste della Santa Sede per l'azione che viene condotta contro l'Austria.

4°) «Se tutto ciò è vero e se avete tanta fiducia e tanto favore per l'Austria d'oggi e per il suo Cancelliere, perché non li aiutereste, ho detto io, a radunare intorno allo Stato la sua gioventù favorendo la creazione di istituti analoghi a quelli italiani e rinunziando alle formazioni di Azione cattolica, che poi in sostanza dal punto di vista politico non sono buone per nessuno perché sostanzialmente imbelli?». Ho soggiunto che questo sarebbe stato anche il desiderio del Cancelliere oltre che naturalmente il tuo punto di vista.

n Cardinale, al quale ho anche detto delle garanzie date dai cappellani, etc. oltre che dallo spirito animatore del Governo, non si è dimostrato affatto contrario. Non ha preso tuttavia alcun impegno riservandosi di assumere informazioni in Austria e di prendere gli ordini dal Papa; vorrai poi vedere tu se non sia il caso di far conoscere quanto sopra al Cancelliere. Per intanto ti assicuro che le informazioni che pervengono alla Santa Sede dalla Nunziatura di Vienna sono nel senso che ti ho scritto.

5°) Ho obbiettato che l'azione di von Papen a Vienna avrebbe forse potuto recare danno...

Con von Papen sono irritatissimi, e sul suo conto parlano volentieri. Il Cardinale Pacelli si serviva di lui in Germania perché egli era il detentore della maggioranza delle azioni del famigerato giornale Germania del quale abbiamo avuto da lagnarci tante volte. Ai tempi della stipulazione del concordato colla Germania Hitleriana pare che li abbia mistificati così che i rapporti con lui sono pressoché interrotti e lo dicono un uomo finito.

Della sua azione in America il Cardinale Pacelli mi ha raccontato le stesse cose che mi hai dette il giorno 27; inchieste compiute agli Stati Uniti durante la guerra e la neutralità ed organizzazione per distruggerle, donde la espulsione ordinata da quel Governo.

6°) La politica della Santa Sede verso la Germania Hitleriana è la più contraria, la più in antitesi che si possa pensare. Per tutti i cattolici, e non è a dirsi per il clero, nasce il dovere di coscienza di opporsi a forme di neo paganesimo che la Chiesa non può tollerare ed alle quali si oppone con tutte le forze. È precisamente questione di principio e di dogma che trova la massima intransigenza e sulla quale non sarebbe neppur possibile impostare una qualsiasi discussione. La tattica è confessatamente quella temporeggiatrice che ho descritta, come ricorderai, mesi addietro dando fortemente sulla voce a Cerruti che voleva saperla lunga e, come hanno provati i fatti, diceva alcune sciocchezze.

7°) Ho domandato: «Ma, e allora il linguaggio melenso dell'Osservatore in fondo pieno di fiele». Appunto qui, mi si è risposto, è il temporeggiare del resto, se lo desiderate, pigliando il primo pretesto che non mancherà subito faremo degli articoli cogli attacchi più aspri». Ho detto che li impegnavo a farlo e che aspettavo con vera ansia di leggerli e di farteli leggere.

8°) Il Papa e la Segreteria di Stato,. pure non escludendo tentativi disperati da parte della Germania, non credono alla guerra provocata da lei per alcuni anni. Pensano che per quanto siano nati nuovi amori polacchi e di altro genere la Germania non sia tuttavia in condizioni di battersi per mille ragioni che, se lo vorrai ti potrò anche meglio precisare e specificare.

9°) Lo stato d'animo della Santa Sede nel caso di una conflagrazione ti potrà apparire da questa frase che, dopo un certo lavorio, corre sulle labbra un po' di tutti i responsabili: «Si tratta di fronte cattolico contro il neo paganesimo ». È chiaro che sul fronte cattolico tutti i cattolici si debbono battere.

Alla mia richiesta di solidarietà totale, anche attraverso tutte le nunziature europee in questo caso, il Cardinale si è riservato di interpellare il Santo Padre trattandosi di cosa troppo importante.

I<i ti assicuro fin d'ora che di fronte al fatto compiuto la solidarietà, con questo Papa, verrebbe e senza riserve (1).

(l) C!r. n. 736.

745

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, ATTOLICO, E A PARIGI, PIGNATTI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 1161 R. Roma, 31 agosto 1934, ore 2.

(Per Londra) Telegrammi di V. E. n. 559 e 561 (2).

(Per Parigi) R. ambasciata a Londra telegrafa quanto segue:

«Questo ambasciatore di Francia (come nel telegramma 3083/R/559) ».

55 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Successivamente R. ambasciata Londra comunica:

«Dalla conversazione sino alla fine» (come telegramma 3090/561) ».

È stato risposto:

(Per tutti) Passo analogo è stato fatto ieri da questo ambasciatore di Francia perché entrata dell'URSS nella Lega delle Nazioni venga appoggiata anche dai rappresentanti diplomatici italiani presso i Governi membri del Consiglio Società delle Nazioni nonché Berna, Aja e Bruxelles.

Dati i rapporti esistenti fra l'Italia e l'URSS è stato risposto all'ambasciatore si sarebbe subito spiegata azione nel senso indicato.

Nell'informare di quanto precede Foreign Office prego mettere in rilievo che punto di vista del Governo italiano coincide con quello inglese anche sull'opportunità che entrata dell'URSS nella Società delle Nazioni avviene in QUalche modo per l'azione concertata dell'Inghilterra Italia e Francia.

(l) -Mussolini rispose lo stesso giorno a De Vecchi: «La tua relazione sugli argomenti di cui parlammo Austria, Germania, Santa Sede è di un grande interesse. Te ne sono vivamente grato.Anche la tua sollecitudine nel ragguagl!armi è esemplare, cioè fascista >>. (2) -Cfr. n. 735 e 739.
746

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI (l)

T. 1164/178 R. Roma, 31 agosto 1934, ore 23.

Dica al cancelliere che lo felicito per il suo discorso di Mariazell ed anche per la nomina del generale Ki:inigbrunn a capo di tutte le formazioni paramilitari. Considero questo come l'avviamento ad una sola organizzazione paramilitare Vaterlandische Wehr così come fu accennato nel colloquio di Firenze (2). Stampa austriaca dovrebbe sottolineare fatto della nave « Wien » che nel porto di Ancona ha issato la bandiera austriaca e far vedere in ciò i risultati nostra collaborazione.

747

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI

T. R. P. 1165/265 R. Roma, 31 agosto 1934, ore 24.

Mi riferisco suo telegramma n. 405 (3) e le indico di seguito maniera considerare rapporti con Germania. Italia considera Germania elemento equilibri() europeo e Governo fascista ha sempre appoggiato giuste domande tedesche inspirandosi a tale criterio che risponde a interesse proprio come a quello di tutti altri Stati. È così nota -limitandosi a più importanti questioni

parte che Italia ha avuto nella questione delle riparazioni che per tanti anni hanno occupato un posto così notevole nella politica europea; per l'evacuazione dei territori renani e ultimamente per assicurare alla Germania l'uguaglianza dei diritti. Governo italiano deve constatare con rammarico che da un certo tempo politica tedesca ha assunto atteggiamenti che legittimano dubbi e sospetti circa ultime finalità che essa persegue. Con la stessa determinatezza con la quale Italia ha appoggiato le legittime rivendicazioni della Germania, Italia è intervenuta nella questione austriaca per arginare l'azione tedesca e assicurare l'indipendenza e l'integrità dello Stato austriaco, inspirandosi anche qui allo stesso criterio di equilibrio europeo e di rispetto dei diritti che sono il caposaldo della sua politica. Proposito italiano di svolgere una politica di collaborazione -oltre che con Inghilterra e con Francia -anche con Germania -non contro di essa -continua tuttavia a persistere, naturalmente fino e dove è possibile, ma è certo che i rapporti fra la Germania e tutti gli Stati europei risentono in questo momento e da un pezzo di una minore cordialità e di una mal celata preoccupazione. Errori commessi da Stato tedesco si mostrano anche nella stessa compagine interna dove appaiono crepe e dissidi di cui sono evidentemente indice i risultati della recente votazione.

Condivido parere che convenga procedere con oculatezza nel parlare con Chiang Kai-shek, ma non conviene tacere situazione quale si sta determinando in Europa nei riguardi tedeschi.

Di quanto precede ella potrà quindi opportunamente avvalersi per rispondere alla domanda rivoltale ma mi parrebbe opportuno che ella lo intrattenesse personalmente alla prossima occasione.

Nella sua conversazione ella vorrà pure e anzitutto ringraziarlo della comunicazione che Le ha fatto e degli apprezzamenti che ha espresso riguardo al regime fascista, aggiungendo che apprezzo pienamente i propositi da lui manifestatile. Converrà poi che in modo appropriato ella si faccia pure eco delle notizie che circolano ormai correntemente, di intese sempre più intime fra Germania e Giappone allo scopo di lasciare più libero il Giappone nella sua azione verso l'URSS e la Cina, e la Germania nella sua politica verso l'URSS.

A proposito del principio della parità dei diritti cui è accennato di sopra, ella potrà pure dire a Chang Kai-shek che nel concetto italiano tale principio si applica oltre che all'Europa anche all'Oriente e che Italia segue con soddisfazione le cure che Chang Kai-Shek dedica all'organizzazione dell'esercito e alla riorganizzazione della marina, riorganizzazione che è indispensabile perché la Cina possa validamente tutelare i propri interessi, e che --come è ben noto al generalissimo -trova nel Governo fascista tutta la simpatia e l'appoggio possibile.

Infine, poiché domanda di Chang Kai-Shek circa attitudine R. Governo nei riguardi della Germania sembra, secondo quanto V. S riferisce, sia da mettersi in relazione alla presenza elementi militari germanici in Cina e al . l'eventuale loro sostituzione, V. S. potrà, ove ella lo giudichi opportuno, far comprendere al generalissimo che l'Italia sarebbe ben lieta di aiutarlo anche in questo campo.

(l) -Minuta autografa d! Mussollnl. (2) -Cfr. n. 722. (3) -Cfr. n. 675.
748

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, E AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOMBIERI

TELE:?PR. u. 228328/C. Roma, 31 agosto 1934.

Telegramma per corriere di codesta R. Ambasciata n. 140 dell'll corrente (qui unito in copia per il R. Consolato Generale in Tunisia) (1).

Nel colloquio che l'E. V. ha avuto con il Segretario Generale del Quai d'Orsay, per far presente la necessità di compiere a Tunisi alcune costruzioni scolastiche in rimpiazzo di altre esistenti, il signor Leger si è fatto interprete delle preoccupazioni della Residenza che in una questione che per sua natura non sarebbe dovuta uscire dal campo tecnico, solleva un problema politico, e formula degli apprezzamenti circa le nostre scuole e circa il carattere del loro insegnamento, apprezzamenti che non possono da parte nostra rimanere senza replica.

Sarà bene che V. E. in una prossima visita al signor Leger, gli faccia osservare come il R. Governo sia rimasto sorpreso per talune affermazioni contenute nel rapporto del Residente, che dimostrano una valutazione da parte di quest'ultimo degli scopi e del carattere delle nostre scuole in Tunisia, che non ha riscontro con la realtà dei fatti. Se è esatto che le nostre scuole in Tunisia compiono opera di italianità per rafforzare il sentimento nazionale degli italiani colà residenti, è del tutto arbitrario affermare che in esse si impartisce «un insegnamento antifrancese ed irredentista ». Al contrario, nelle nostre scuole, pur non facendosi della politica, può dirsi con sicura coscienza che non si manca di ispirare all'occasione nell'animo degli alunni non solo il rispetto per la Potenza protettrice, ma altresì sentimenti di cordialità itala-francese, ai quali del resto si inspira, giusta le direttive del R. Governo, l'azione del R. Consolato Generale in Tunisi e delle autorità che ne dipendono.

Se nelle nostre scuole si tende, come è naturale, a rafforzare il sentimento italiano negli alunni, non è esatto che la nostra gioventù riceva un insegnamento « ultranazionalista »: le preoccupazioni della Residenza di «gravi incidenti politici da attendersi a breve scadenza» non hanno fondata base: nulla del resto è sostanzialmente innovato nell'insegnamento delle nostre scuole in Tunisia; e come nel passato nessun incidente politico si è verificato, non si vede perché dovrebbero avvenire nel futuro, almeno per fatto nostro.

La Residenza inoltre ha espresso il timore che le nostre scuole, frequentate, per quanto in numero assai limitato, anche da ebrei e da mussulmani, diventino un centro di nazionalismo tunisino. Anche tale timore non poggia su alcuna base di fatto. Si potrà far osservare in proposito al signor Leger che l'Italia sente, al pari della Francia, la necessità ed ha interesse di mantenere, nel Nord Africa un atteggiamento di solidarietà e di collaborazione con le altre

Potenze Coloniali nei riguardi delle aspirazioni di taluni gruppi indigeni. In applicazione di tale direttiva politica generale, l'azione delle RR. Autorità in Tunisia come delle Istituzioni Italiane, si è mantenuta, nei riguardi della Potenza protettrice, sempre perfettamente leale e corretta: è quindi arbitrario supporre che le nostre scuole in Tunisia possano divenire un centro di nazionalismo tunisino.

Premesse queste osservazioni di carattere politico generale è opportuno che

V. E. chiarisca al signor Leger la reale consistenza, il carattere e gli scopi delle costruzioni che intenderemmo di compiere a Tunisi in rimpiazzo di alcuni edifici scolastici colà esistenti.

Come risulta dal pro-memoria che il R. Console Generale in Tunisi rimetteva alla Residenza il 2 giugno u.s., pro-memoria qui unito in copia (1), si tratterebbe in sostanza, vista la necessità di abbandonare, su richiesta del proprietario, l'immobile in locazione dove sono attualment·e contenute la «scuola Elementare femminile Turrisi Colonna» e «l'Asilo Francesco Crispi », di trasferire queste scuole nell'immobile della Avenue Bab Djedid, che attualmente occupano quattro scuole Secondarie italiane, trasferendo a loro volta queste ultime in un immobile di nuova costruzione, che corrisponda meglio alle esigenze dell'igiene scolastica e alle moderne necessità pedagogiche e scientifiche. Già nel passato le scuole Secondarie italiane hanno cambiato due volte di sede.

La nuova costruzione, che il signor Leger, evidentemente in base ad equivoco, afferma occuperebbe un'area di 100.000 metri quadrati, verrebbe invece fatta su un terreno di 5.000 metri quadrati all'inCirca come è indicato nel pro-memoria anzidetto del R. Console Generale in Tunisia alla Residenza.

Nessuna preoccupazione quindi di eccessivo allargamento delle scuole; si tende solo a quella modernizzazione di esse e al loro miglioramento dal punto di vista igienico e pedagogico che come Le ha detto il signor Leger, il Quai d'Orsay è disposto in massima a riconoscere come r.on contrastante alla clausola dello statu quo contenuta nelle Convenzioni del 1896.

Il signor Leger ricordando all'E. V. il precedente del 1926 relativo alla trasformazione della scuola di Susa, ha affermato che in quella occasione si sarebbe passato oltre a questo impegno.

Questo Ministero, malgrado le ricerche eseguite, non ha trovato negli atti alcun cenno ad obblighi od afflidamenti che sarebbero del resto contrastanti con l'atteggiamento costantemente da noi tenuto nella questione della interpretazione della clausola dello statu quo contenuta nel Protocollo del 1896. A proposito della scuola di Susa questo Ministero inviava a codesta Ambasciata un telespresso di istruzioni n. 233627/932 in data 12 agosto 1926, nel quale non è alcun cenno ad oblighi od af.fidamenti che sarebbero stati da noi assunti nel senso suespresso. Il R. Console Generale a Tunisi ha anche escluso che esistano negli atti del R. Consolato dell'epoca elementi relativi al preteso impegno citato dal signor Leger.

Eliminate le preoccupazioni di carattere politico espresse dalla Residenza, e precisata l'importanza relativa della costruzione scolastica da noi progettata, questo Ministero ritiene che riuscirà meno difficile alla E. V. di ottenere che

il Governo francese non si opponga all'effettuazione del nostro programma. Co· me questo Ministero telegrafava all'E. V. in data 23 giugno, noi non intendiamo riaprire ex professo la discussione sulla interpretazione da darsi alla clausola dello statu qua contenuto nell'art. 3 del Protocollo annesso alla Convenzione di Stabilimento del 1896; ma analogamente a quanto è già avvenuto altre volte nel passato non possiamo fare a meno di compiere neUe nostre scuole in Tunisia talune trasformazioni, rese necessarie da necessità edilizie, igieniche, o pedagogiche. Anche questa volta ci attendiamo dal Governo francese la stessa comprensione dellE> necessità locali che altre volte ci ha dimostrato.

Dopo aver quindi conferito col Commendatore Bombieri (che è stato pregato di recarsi a Parigi verso la fine del mese corrente per fornire a V. E. eventuali ulteriori delucidazioni) prego V. E. di voler intrattenere il signor Leger ed eventualmente il signor Barthou, nel senso suesposto, e di farmi conoscere appena possibile il risultato delle Sue pratiche.

Si prega nel contempo il R. Console Generale a Tunisi di voler cortesemente riferire, sia a questo R. Ministero che alla R. Ambasciata a Parigi, tutti quegli ulteriori elementi di fatto e quelle considerazioni che potessero tornare utili per efficacemente controbattere le affermazioni della Residenza e del flil!nor Leger, e dissipare ogni malinteso al riguardo.

(l) T. per corriere 2945/0140 R.: non si pubblica in quanto l'essenziale si trova riassunto nel presente documento.

(l) Non pubblicato.

749

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 3300/1210. Londra, 31 agosto 1934 (per. il 3 settembre).

Mi riferisco al tel espresso di codesto Ministero n. 226970 (l).

Non mi risulta che questo Ministro d'Austria nel sollecitare al Foreign Office l'appoggio del Governo britannico nella sua lotta contro il nazismo, abbia fatto alcuna allusione alla utilità di limitare l'influenza italiana in Austria. Egli si è rivolto di recente, al Foreign Office in due occasioni: una volta, alla fine di luglio, per chiedere l'assenso del Governo britannico a prolungare di un anno il permesso di reclutare gli ottomila volontari autorizzati dalle Potenze l'anno scorso; e un'altra volta ai primi di agosto per comunicare un gruppo di documenti sulla responsabilità tedesche nel complotto del 25 luglio, documenti sui quali il Governo austriaco desiderava richiamare l'attenzione del Governo britannico.

In questa occasione il Barone Franckenstein ebbe un lungo colloquio con sir Robert Vansittart sulla situazione austriaca e gli fece fra l'altro presente la necessità che ha l'Austria di essere aiutata dalle Potenze per condurre a termine la sua opera di ricostruzione economica e garantire il suo consolidamento poli

tico. Vansittart rispo::;e che il Governo britannico era desideroso di fare tutto il possibile, ma che era il Governo austriaco che doveva avanzare dei suggerimenti concreti. Non so in che termini il Barone Franckenstein abbia parlato anche di un appoggio politico all'Austria, ma nei numerosi colloqui che ho avuto con Simon, con Vansittart e con Sargent, non ho mai avvertito un motivo del genere di quello al quale ha fatto cenno Leger nella sua conversazione con il

R. Ambasciatore a Parigi. Vi è stata forse al primo momento al Foreign Office l'impressione che, negli affari di Austria, noi volessimo agire per nostro conto, evitando di consultarci con le Grandi Potenze, e attribuisco a questa impressione, non ad altro, l'insussistenza con la quale Simon, Vansittart e Sargent mi hanno ripetutamente parlato della necessità che l'Italia, la Francia e l'Inghilterra si tenessero strettamente in contatto e agissero di (l) comune accordo. (v. miei telegrammi n. 510, 523 e 531). Il messaggio che S. E. il Capo del Governo ha diretto, in qata del 16 corrente a Sir John Simon, è valso a mettere bene in chiaro il nostro atteggiamento, e nel mio ultimo colloquio con Va;nsittart (27 corrente) (2) egli ha insistito a ripetermi che il Foreign Office era in completo accordo con la maniera di vedere di S. E. il Capo del Governo tanto sulla situazione austriaca che circa i metodi che è necessario seguire per rafforzare la posizione del Cancelliere Schuschnigg.

Nei colloqui che ho avuto con il Barone Franckestein, questi mi ha sempre parlato di appoggi economici che l'Inghilterra dovrebbe dare all'Austria, lamentando il poco che il Governo britannico ha fatto, e questa mi è sembrata sempre la maggiore preoccupazione della Legazione d'Austria. Non mi risulta che essa abbia mai presentato il problema sotto altra forma che la necessità di uno sforzo comune delle Grandi Potenze per consolidare l'economia austriaca.

Del pericolo di una manomissione italiana dell'Austria sono i Tedeschi che parlano, ed è questo anzi uno dei motivi preferiti della loro propaganda in Inghilterra: essi dicono che l'Italia mira a fare dell'Austria una seconda Albania, e gli Austriaci finiranno col rivoltarsi contro la manomissione del loro paese da parte di una potenza straniera. Prima o poi essi si volgeranno alla Germania, preferendo-anche quelli di loro che ora vi sono avversi-l'Anschluss a un protettorato italiano». Ma la propaganda tedesca fa in questo momento pochissima presa su un'opinione pubblica che è ostilissima al nazismo. Fuori dunque di quanto ha scritto qualche giornale laburista -che per la posizione di ostilità alla politica antisocialista di Dollfuss che il Labour Party ebbe ad assumere è avverso all'intesa itala-austriaca -e della lettera del deputato conservatore Cazalet che ho segnalato con mio rapporto n. 3253/1191 (3) la stampa inglese non ha per ora raccolto o messo in rilievo questo argomento. Io ho tuttavia già richiamata l'attenzione di :Sir .A!rrthur Willert sulla necessità di impediire che l'opinione pubblica inglese sia deviata dal vero problema: che è il problema dell'influenza tedesca in Austria e non della influenza italiana.

(l) Non rinvenuto.

(l) -Cfr. nn. 594, 622 e 650 (2) -Cfr. n. 738. (3) -Non pubblicato.
750

IL CAPO DELLA SEZIONE ACCORDI COMMERCIALI AL MINISTERO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHÙLLER, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. Vienna, 31 agosto 1934.

Il Signor Cancelliere federale mi ha incaricato, nel senso dei colloqui di Firenze, di mettermi in comunicazione con Lei per il termine da fissarsi per nuove trattative riguardo all'esecuzione dei Protocolli romani, trattative che devono aver luogo prima della fine di quest'anno. Egli mi ha comunicato che S. E. Mussolini è d'accordo con lui che si debba fare un gran passo in avanti. Perciò v'è bisogno da ambedue le parti, di preparazioni adeguate, e io mi permetterei quindi di proporre che le trattative dovessero comincia~·e il 20 novembre e terminare prima della fine dell'anno.

Circa la questione della « Donau-Dampfschiffahrtgesellschaft » e della «Alpine Montan-Gesellschaft », il Signor Cancelliere federale mi ha comunicato che in primo luogo si debbono aspettare passi informativi da parte di V. E. Io sto volentieri a Sua disposizione e sarei molto obbligato se Ella credesse di farmi conoscere le intenzioni per l'ulteriore trattazione della questione. Nella «Alpine Montan Geselleschaft ~. in questi ultimi giorni, per divergenze con i gr3indi azionisti esteri, s'è creata una sttuazione insostenibile. Eventuali trattative col Governo italiano richiederebbero naturalmente un tempo piuttosto lungo. Al Governo austriaco importerebbe sapere fin d'ora se il Governo italiano, in linea di massima, sia pronto a questa transazione.

751

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GUARIGLIA

T. 1166 R. Roma, 1° settembre 1934, ore 1.

Questo ambasciatore di Sp::Jgna ha chiesto appoggio R. Governo per rielezione Spagna nel Consiglio della S.d.N. Come è noto Spagna ha un seggio semi permanente che le conferisce diritto ripresentare sua candidatura al termine del mandato. E' stato promesso ad ambasciatore di Spagna che delegazione italiana sosterrà cartditlatura spagnuola.

752

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI

'r. T. 1168/266 R. Roma, 1° settembre 1934, ore 1.

Questo ministro di Cina ha chiesto appoggio dal R. Governo perché al posto di membro del Consiglio della Lega delle Nazioni occupato dalla Cina e che viene a scadere venga rieletta la Cina stessa. Anche Persia e Turchia hanno posto la loro candidatura ma nostre preferenze vanno alla candidatura cinese.

753

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 8646/447 P.R. Shanghai, 1° settembre 1934, ore 10 (per. ore 22,30 del 2).

Suo 257 (1}.

Questo vice ministro esteri (pregandomi di mantenere il più assoluto riserbo sulla questione) mi ha detto che ieri a Nanchino Aksciam gli ha fatto recentemente delle aperture per elevazione ad ambasciata delle rispettive legazioni, ma che Govemo cinese, quantunque desideri da molti anni di elevare al rango di ambasciata le proprie legazioni presso le Grandi Potenze, esita, per ovvie ragioni, ad incominciare dalla propria rappresentanza in Giappone.

Però, egli ha soggiunto, se Governo giapponese prenderà per primo il provvedimento noi saremo costretti a fare altrettanto.

Ha quindi continuato ricordando come fin dal 1930 Governo cinese aveva fatto esprimere desiderio di trasformare proprie legazioni in ambasciate; allora le risposte furono negative.

Ultimamente però ministro di Cina a Roma aveva fatto sapere che R. Governo non sarebbe stato alieno dal prendere in considerazione la cosa ed ha concluso dicendo che per Cina sarebbe stato grande onore di poter iniziare elevazione ad ambasciata l'ex legazione in Italia.

Mi ha chiesto poi quali erano mie informazioni e mia maniera di vedere a riguardo.

Gli ho risposto che non avevo alcuna precisa informazione, né istruzioni a tale proposito, ma che conoscendo amichevoli disposizioni di V. E. verso la Cina, non ritenevo impossibile che la questione avrebbe potuto essere favorevolmente esaminata.

Resto in attesa pertanto di quelle eventuali istruzioni che V. E. volesse inviarmi.

Prevengo, però che esse dovrebbero essermi fatte pervenire con cortese sollecitudine, perché ministro di Cina a Roma, che porterà informazioni a riguardo, giungerà Shanghai 4 corrente.

754

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, A VIENNA, PREZIOSI, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A BERLINO, DIANA, A LONDRA, VITETTI E A WASHINGTON, ROSSI LONGHI.

T. PER CORRIERE 1174 C.R. (2)

V.E. (V.S.) conosce a mezzo delle agenzie telegrafiche il comunicato di Firenze sull'incontro che ha avuto luogo fra S. E. il Capo del Governo e il Can

celliere federale austriaco. Comunicato indica questioni effettivamente discusse e intonazione conversazioni svoltesi.

Fornisco in aggiunta seguenti ulteriori notizie. Incontro fra S. E. il Capo del Governo e cancelliere ha avuto sopra tutto carattere di una presa di contatto fra i capi responsabili dei due Governi con l'intenzione di voler marcare da entrambe le parti la continuità della linea politica del compianto cancelliere Dollfuss. Nei colloqui sono stati passati in rassegna i problemi attuali dell'Austria specialmente dal punto di vista dei rapporti con l'Italia. Cancelliere ritiene che la situazione politica in Austria possa considerarsi stabilita. Avvenimenti del 25 luglio hanno suscitato in Austria una viva reazione di cui hanno risentito il modo di vedere e l'atteggiamento dell'opinione pubblica austriaca nei riguardi della Germania e del partito nazionalsocialista. Quanto alla situazione economica e a quella finanziaria l'Austria, oltre che della crisi generale, ha risentito e risente della pressione esercitata su di essa dalla Germania. Così per quanto riguarda la parte economica, le misure adottate dal Governo tedesco contro il commercio austriaco specialmente contro il turismo si sono ripercosse sulla economia austriaca. Più particolarmente la situazione finanziaria ha risentito delle spese straordinarie occorse per le misure di polizia e di repressione del terrorismo che hanno culminato nei due episodi della repressione della rivolta socialista e del movimento del 25 luglio. Il bilancio austriaco si presenta così in deficit per oltre 200 milioni di scellini. Il Governo austriaco ha messo allo studio le misure per superare tali difficoltà ed è suo proposito di chiedere che l'Austria venga aiutata. Il Governo italiano si riserva di ritornare sull'argomento dopo avere esaminato la questione sulla base dei necessari elementi.

Per quanto riguarda i rapporti con la Germania, cancelliere ha confermato che le dichiarazioni fatte da von Papen hanno avuto tono conciliativo e l'Austria attende la Germania alla prova dei fatti. Von Papen ha promesso lo scioglimento della legione austriaca e dell'ispettorato nazi per l'Austria. Si è mostrato invece presso che all'oscuro dell'attività del Ke~mpfring. Cancelliere ha domandato lo scioglimento anche di esso. Quanto alla stazione radio di Monaco, per il momento essa ha cessato la sua propaganda antiaustriaca.

Circa le notizie che hanno insistentemente circolato a proposito della restaurazione monarchica, cancelliere ha dichiarato che non considera tale questione di attualità ed essa non è stata quindi neanche discussa. Superfluo poi aggiungere che sono destituite di qualsiasi for:damento le notizie di patti militari o di altri accordi del genere.

Per quanto riguarda più particolarmente la politica interna nella nuova situazione creata dalla scomparsa del cancelliere Dollfuss, Schuschnigg si è mostrato nell'ordine di idee la nomina già avvenuta di un operaio a sottosegretario pel lavoro ed il proposito del Governo austriaco di seguire una politica di investimenti per diminuire la disoccupazione [sic].

(Per Parigi e Londra). I due incaricati d'affari di Francia e d'Inghilterra sono stati informati di quanto precede. E' stato messo in particolare rilievo l'aspetto finanziario della situazione austriaca, aggiungendo che Governo italiano si ri::;ervava di riprendere prossimamente l'argomento con i due Governi francese

e inglese. Anche per quanto riguarda il proposito del cancelliere di seguire una politica che gli assicuri l'appoggio delle masse popolari è stata indicata l'inopportunità di un qualsiasi passo da parte dei 3 Governi italiano, francese e inglese in tal senso, visto che anche il cancelliere è già in tale ordine di idee. Ciò non esclude tuttavia che in via di discorso i rappresentanti francese e inglese possano -volendo -significare che essi apprezzano favorevolmente le intenzioni di Schuschnigg al riguardo.

(Per Washington e Mosca) Di quanto precede è stata informata questa ambasciata (Stati Uniti -U.R.S.S.).

(Per Belgrado e Sofia) Di quanto precede è stata occasionalmente e in modo sommario informata questa legazione (per Belgrado) di Jugoslavia, (per Sofia) di Bulgaria.

(Per Budapest) Di quanto precede è stato messo al corrente questo ministro d'Ungheria aggiungedo che la S. V. ne era stata informata perché ella potesse a sua volta informarne codesto Governo.

(Per Berlino) Quanto precede per informazione e norma. Ella potrà mostrarsene sommariamente al corrente con codesto Governo.

(Per tutti, meno Parigi, Londra, Washington, Mosca, Berlino, Budapest, Vienna) Quanto precede per informazione e norma.

(Per tutti) La notizia relativa al deficit del bilancio austriaco e al proposito del cancelliere di chiedere di essere aiutato per rimediarvi va considerata riservata.

(l) -Non pubblicato. (2) -A Wash!ngton !l telegramma fu inviato per posta aerea.
755

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI (l)

T. 1175/76 R. Roma, 1° settembre 1934, ore 22,30.

Telegramma di V. E. n. 160 (2). Anche in vari giornali europei sono state di recente diffuse voci di un rlavvicinamento anglo-giapponese.

Si citano come sintomi: dichiarazioni lord Barnby nonché articoli Times e supplemento speciale Daily Telegraph su Manciukuo; come oggetto: supposto o progettato accordo delimitazione zone influenze in Estremo Oriente e in Asia Centrale, questioni commerciali.

Motivi inglesi del riavvicinamento potrebbero essere: fare giuocare a proprio favore il Giappone nel contrasto tradizionale con l'URSS nel Medio Oriente nonché bisogno difendersi concorrenza giapponese addivenendo ad

una intesa per divisione mercati. Motivi giapponesi: interesse rompere isolamento determinato da uscita Società Nazioni, consolidare stato di fatto in Manciuria, rafforzare posizioni in Estremo Oriente e assicurarsi neutralità benevola Inghilterra in caso conflitto con URSS.

Voci anzidette sono state smentite da parte inglese, ma come V. E. telegrafa e come alcuni giornali pubblicano, sembra che delle conversazioni anglogiapponesi al riguardo abbiano avuto luogo a Londra.

Comunque -poiché tendenze e motivi suesposti sono tra i più importanti elementi della situazione esistente nel Medio ed Estremo Oriente -va considerata seriamente possibilità che, nonostante l'accresciuta potenza giapponese, Gran Bretagna riprenda sua politica di anteguerra, anteponendo alla difesa sue posizioni nell'Oriente lontano, la difesa sue posizioni in Asia Centrale e in India. Naturalmente nella decisione inglese non potrebbe non entrare considerazione ripercussioni che un accordo anglo-giapponese avrebbe sui rapporti dei due paesi con gli Stati Uniti.

In relazione a questi vari aspetti del complesso problema e agli altri che apparissero interessanti specialmente da Tokio, converrà che l'E. V. ne continui a seguire i possibili sviluppi riferendo particolareggiatamente.

(l) -Il telegramma venne trasmesso tramite la legazione !n Cina. (2) -T. 3074/160 R. del 27 agosto, non pubblicato.
756

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1• settembre 1934.

L'Incaricato d'Affari di Inghilterra è venuto a dirmi che secondo notizie pervenutegli da Londra sono da prevedere in Austria nuovi disordini provocati dai socialisti.

Il Governo inglese ritiene quindi che sia sempre più necessario interessare il Cancelliere austriaco ad allargare la base del suo Governo.

Ho risposto che non avevamo al riguardo notizie da Vienna, ma che V. E. aveva incoraggiato il Signor Schuschnigg a svolgere un'opera che attraesse le masse già socialiste.

Il Signor Murray mi ha parlato poi della situazione attuale fra Germania e Jugoslavia insistendo sul grave pericolo che si va profilando nei riguardi dell'Austria di fronte all'eventualità di un accordo fra Berlino e Belgrado.

Il Signor Murray veniva alla conclusione, che era poi lo scopo principale della sua visita, che sembrava al Governo inglese quanto mai opportuno in questo momento che si verificasse una qualche distensione nei rapporti italajugoslavi per ovviare all'anzidetto pericolo.

Ho assicurato l'Incaricato d'Affari di Inghilterra che da parte dell'E. V.

vi erano le migliori disposizioni al riguardo ma che lo stato d'animo e la con

tinua campagna di provocazione da parte della Jugoslavia erano tan che non era da prevedersi alcuna immediata modifica nei rapporti itala-jugoslavi pur potendosi sperare in un graduale miglioramento.

757

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (l)

APPUNTO. Roma, 2 settembre 1934.

A domanda ho risposto:

a) La situazione interna in Jugoslavia è eccellente. Inutile ripetere alcunché sul serpeggiare del malcontento, sul permanere di uno spirito antiserbo specie in Slovenia ed in Croazia. Il fatto è che il Governo è padrone della situazione e che il Re non sembra, malgrado ripetute voci e speranze di esclusi dal potere di volere seguire via diversa da quella iniziata il 6 gennaio 1929.

b) I rifugiati nazisti si aggirano fra 1500-2000, non dovrebbero in alcun caso superare questa cifra, o se mai di poco dato che anche dopo la tragica fine di Dollfuss altri nazisti sono arrivati dall'Austria. In ogni caso questo è il numero che fu comunicato giorni addietro dal Governo jugoslavo al Ministro d'Austria.

Sono raggruppati in tre campi di concentramento, ben trattati. Se hanno gli aiuti materiali per la necessità di vita dalle autorità jugoslave, ne hanno anche indirettamente dalle autorità diplomatiche e consolari germaniche in Jugoslavia. Sembra che molti trovino modo di avere passaporti germanici ed andare in Germania via Ungheria. È a loro impedito di circolare, e di portare il distintivo nazista.

Il contegno del governo jugoslavo sembra essere stato corretto verso di essi, ma durante tutto questo periodo, anche verso l'Austria. Così ha riconosciuto pubblicamente l'Incaricato d'Affari austriaco, che ha ripetuto le stesse dichiarazioni a me.

Mi sorprendono perciò le attuali rivelazioni della Reichspost. Il nostro Console Generale in Lubiana, funzionario diligente ed assennato, non mi ha segnalato nulla in proposito, ed il Ministro d'Austria veduto il 28 corr. (vigilia della mia partenza da Belgrado) non mi ha neppure nulla detto di ciò. Credo dunque che le notizie della Reichspost debbano essere accolte con cautela, e che si debbano attendere conferme precise da altre fonti. Ciò perché Ùi Reichspost ha sempre dato notizie tendenziose e spesso false sulla situazione jugoslava, e perché se nel giuoco sottile e circospetto del governo jugoslavo

vi è il fermo proposito di non creare neanche un'ombra di dissapore con la Germania, sussiste anche l'assoluta necessità di non fare alcunché che lo ponga in diretto e preciso contrasto con la Francia con la quale (come ho comunicato a Belgrado) si sono verificati due punti di dissenso in questi ultimi periodi riguardo alla questione austriaca.

Vedo adesso una comunicazione fatta dal Governo austriaco al nostro Ministro a Vienna (1). Certo essa ha tutte le apparenze della serietà. Ma anzitutto ivi si afferma il passato avviamento di due reggimenti jugoslavi alla frontiera jugoslava; il che non è stato mai provato da tutte le informazioni da me raccolte a Belgrado (fra altro metto in evidenza che durante la crisi e per ordine mio e per ordine del R. Addetto militare tre persone hanno percorso per quasi quindici-venti giorni in ogni possibile senso la frontiera jugoslavo-austriaca). Potei solo personalmente accertare che per il periodo 5-24 agosto, 14 aeroplani della base di Zagabria erano stati spostati presso Bled su un campo di attegraggio allestito provvisoriamente.

Concludo quindi che, malgrado questa più autorevole informazione, la quale certo deve essere considerata con attenzione, io sono prudente nell'accogliere le affermazioni di concreti decisi aperti aiuti jugoslavi al nazismo, specie per la preparazione della Jugoslavia di un nuovo putsch. La Jugoslavia sa quali conseguenze dirette ricadrebbero su di essa in tal caso, forse anche la guerra con l'Italia. E la rapida adunata delle nostre truppe alla frontiera austriaca specie a diretto contatto con quella jugoslava (Tarvisio) non si è effettuata senza dar luogo a precisa riflessione da parte delle autorità militari jugoslave.

Naturalmente, al mio ritorno a Belgrado (parto domani sera per la mia sede) farò ogni più seria possibile indagine su tale punto e ne riferirò al più presto.

Vero è che simpatie naziste in Jugoslavia sussistono e per ragioni diverse e contraddittorie. Ve ne sono negli elementi ultranazionali che per cieco odio antitaliano vorrebbero la Germania al Brennero per «mettere a posto l'Italia» come ve ne sono nelle popolazioni croate e slovene per odio a Belgrado.

Né si debbono dimenticare le voci corse fino dalla primavera scorsa, e da me ampiamente segnalate: contatti nazisti a Narodna Obrana sulla base di consenso dell'Anschluss, attribuzione della Carinzia jugoslava alla Jugoslavia, libertà di discesa tedesca a Trieste, garanzie nazionali alle minoranze slovene comprese nella grande Germania.

Anzi il comizio irredentista di Maribar (che ha vari significati) per uno di essi si riattacca certo anche a questi approcci e contatti più sopra ricordati.

Ma dal Re in giù per le persone responsabili di governo nessuno si cela quale pericolo di attrazione sulle popolazioni ex Impero a.u. e quale pericolo di espansione sarebbe la presenza della Germania sulle Caravanche. Ma è che partendo dalla presupposta volontà distruttrice dell'unità jugoslava attribuita all'Italia si cerca un difensore. Era fino a ieri la Francia, e diplomaticamente lo è ancora. Ma se questa manchi, la difesa si può cercare nella Germania,

stabilendo un compromesso tipo polacco, che rinvii almeno per qualche decennio il pericolo suaccennato, con riversare tutto il peso germanico sull'Alto Adriatico con Trieste (richiamo a questo proposito quanto da me risposto a Purich giorni or sono e riferito. Risposi a Purich: dimenticate che al di qua delle Alpi Giulie vi è un popolo che ha una unità spirituale letteraria e religiosa fissata da molti secoli, e che ha oggi tutte le armi per decisamente e sicuramente difendersi. Non so se si potrebbe dire altrettanto di tutti i nuovi vicini della più grande Germania).

Ma è appunto per questo pericolo potenziale che la Jugoslavia ha cercato un accordo con noi fino dal 1930: per assicurare anzitutto la sua esistenza e la sua unità dalla supposta aggressione italiana, e per difendersi dal germanesimo nemico comune. Oggi, non raggiunto il primo obiettivo, essa come ultima speranza guarda alla possibilità di un compromesso col germanesimo.

c) Rispondendo poi anticipatamente a domande che, ricevuto il telegramma di S. E. il Capo del Governo che mi chiamava a conferire (1), avevo fatto ipotesi potessero eventualmente essermi rivolte, ho detto che ritenevo sempre possibile la ripresa delle conversazioni e con una conclusione utile. Occorreva però

l) preliminarmente sgomberare il terreno da tutto quanto poteva sembrare organizzato contro la Jugoslavia;

2) superare poi l'ostacolo psicologico di Re Alessandro. Per questo fine io avevo molto riflettuto, per giungere alla conclusione che solo una parola diretta di S. E. il Capo del Governo a Re Alessandro avrebbe potuto dissipare tutte le nubi accumulatesi specialmente dal dicembre ad ora. Ma questa parola prima di incoraggiare o suggerire da parte mia, doveva essere preparata opportunamente, poiché se fosse spettato a me la responsabilità di subordinatamente proporla, non avrei mai voluto esporre la persona di S. E. il Capo del Governo ad una risposta non gradita ed inopportuna. Perciò se avessi avuto Istruzione di predisporre simile passo avrei chiesto qualche tempo per saggiare U terreno. Forse la mia supposizione sulla resistenza sovrana era infondata (per quanto mi vi autorizzassero molti sintomi ma era mio preciso dovere ·prospettarla e suggerire contemporaneamente quello che entrava nelle mie possibilità.

S. E. il Capo del Governo ha esposto ampiamente: a) la necessità di addivenire ad un chiarimento dei nostri rapporti con la Jugoslavia; b) la necessità di non essere soli a sostenere la indipendenza austriaca poiché ciò avrebbe potuto determinare una forte reazione in Austria stessa; c) la susseguente necessità di opporsi al germanesimo, al cui primo de

cisivo trionfo altri Stati non tedeschi avrebbero potuto associarsi, rompendo cosi l'equilibrio europeo.

Come istruzioni mi ha detto:

D pur confermando la necessità di addivenire ad un accordo non conveniva iniziare alcuna trattativa per ora, ma dovevasi attendere per non dare l'impressione che agivamo sotto la pressione del pericolo germanico. Già altre volte del resto si erano iniziate trattative che non avevano avuto seguito. La prossima doveva portare a conclusione.

Il) nel tornare a Belgrado avrei dovuto esprimermi unicamente nel senso che S. E. il Capo del Governo era deciso a chiarire i rapporti itala-jugoslavi.

Ad altre domande ho risposto:

a) ero convinto e sicuro che vi era una larga base di simpatia italiana fra i serbi. Erano tradizionali e storiche. Per quanto la propaganda ostile le avesse fatte diminuire, esse erano ancora vivissime e forti. Si tacevano per patriottismo, cioè nella convinzione che il governo considerava non patriottico avere amore per l'Italia, ma per poco fossero libere avremmo vedute singolari inattese manifestazioni.

b) i serbi avevano molti terribili difetti, erano menzogneri, avevano scarso senso morale, erano corrotti ecc., ma possedevano una idealità politica ed una forza politica ultramassima. Anche ritenevo, una fedeltà politica superiore a quanto può supporsi. Tale era la mia precisa netta convinzione dopo più di sei anni di Jugoslavia.

c) Come dopo quindici anni passati intorno all'Adriatico (7 e mezzo a Trieste, 2 in Albania, e più di sei a Belgrado) ero convinto, fino alì'estremo, dell'assoluta necessità dell'accordo con la Jugoslavia.

d) La convinzione jugoslava sulla solidità della situazione austriaca era limi t a tissima.

e) Malgrado ogni ingiuriosa campagna di stampa, l'ammirazione, la considerazione della forza italiana anche militare, e della personalità di S. E. il Capo del Governo erano senza riserva.

f) vi era possibilità di compromesso jugoslavo-ungherese e di un accordo sempreché peraltro non si parlasse di revisionismo.

Aggiungo oggi e preciso:

Non vi è dubbio secondo me che occorre sgomberare il terreno dalla prevenzione di Re Alessandro, anzi dalla sua estrema irritazione. Lo credo possibile. Ma occorre ciò accortamente preparare. Io me ne assumerei tutta la responsabilità dando alla mia azione aspetto di personale iniziativa sempre sconfessabile, e negabile in qualunque momento.

Occorre anche contemporaneamente smobilitare tutta la organizzazione degli ustasci, allontanare da Roma i funzionari che se ne sono occupati ed i cui nomi (tutto mi porta a crederlo) sono noti alle autorità jugoslave. Anche

allontanare i croati pm m vista. Occorre poi promuovere il R. Console Gene

rale in Zagabria dandogli un posto confacente ai suoi precedenti ed alla sua

capacità. Ma i suoi rapporti strettissimi con quanto resta di opposizione croata

a Zagabria sono parimenti noti. Ed è necessario destinare a Zagabria un fun

zionario che dia prova di assoluta imparzialità nel giudicare quella situazione.

Mi sembra anche necessario far tacere in ogni possibile modo la nostra stampa anche se si tratti di riprodurre stampa straniera. Quanto ha pubblicato la Reichpost può anche essere una manovra a noi contraria.

Io non posso dimenticare che nel settembre 1933 (l) si svolgevano interessanti colloqui che forse avrebbero potuto condurre ad una utile conclusione, e scoppiò la rivolta della Lika che ebbe così misero insuccesso. Poi nel dicembre '33 si svolgevano altri colloqui (2) anche assai precisi e forse decisivi ai quali certo il governo jugoslavo dava ogni importanza, e vi fu l'attentato Ore b.

Nel pomeriggio di ieri ho veduto il Signor Kassidolas, Consigliere della Legazione di Jugoslavia. Mi ha detto che Ducich aveva avuto il 31 corr. un colloquio con S. E. il Capo del Governo (3). Ne era stato soddisfattissimo.

Le disposizioni manifestategli da S. E. il Capo del Governo, sia pure genericamente espresse, ma indirizzate al proposito di una ripresa di conversazioni e di una definizione dei rapporti itala-jugoslavi lo avevano riempito di speranza. Egli, modificando precedenti progetti, si sarebbe recato direttamente a Belgrado per vedere Jeftich, prima della partenza di questi per Ginevra.

Ducich era stato anche felicissimo di apprendere dalla bocca di S. E. il Capo del Governo che gli ustasci erano ora disarmati, che si stavano smobilitando, che erano stati diretti al sud, che ormai non erano più che dei rifugiati politici.

S. E. il Capo del Governo, e lui soltanto, è giudice ài quanto le conversazioni dovranno e potranno essere concretamente e decisamente riprese. Mi sia concesso subordinatamente additare due termini che a mio avviso non dovrebbero essere trascurati. Uno viene dal giudizio che si può fare sulla durata della situazione austriaca; non essere cioè sorpresi da nuovi fatti compiuti, non correre il rischio di un effettivo ingresso di nostre truppe in Austria senza accordo con la Jugoslavia e ciò per evitare possibili oscuri sviluppi. Lo Stato Maggiore jugoslavo è da tempo pronto a tale accordo (vedi mie comunicazioni da Belgrado). Ancora più non correre il rischio di un inevitabile trionfo germanico in Austria, perché in tal caso la Jugoslavia potrebbe definitivamente gettarsi da quella parte.

L'altro termine è il prossimo annunciato viaggio di Barthou. È certo che egli farà a Roma ogni possibile cortese pressione per l'accordo itala-jugoslavo. È da chiedersi se esso debba essere concluso prima o dopo tale incontro.

56 -Documenti diplomattoi -Serle VII -Vol. XV

(l) L'appunto è relativo ad un'udienza accordata da Mussol!n! a Galli Il 1° settembre, ore 10,30

(l) Cfr. nn. 726 e 742.

(l) T. 8621/100 P.R. del 20 agosto, non pubbhcato.

(l) -Sto, ma la rivolta della Llka cui Gall1 accenna più sotto avvenne nel settembre 1932. Invece gli interessanti colloqui menzionati sono del settembre 1933. Cfr. serle VII, vol. XIV, nn. 217, 218, 224 e 228. (2) -Cfr. serle VII, vol. XIV, nn. 452 e 465. (3) -Non si sono trovati verbali del coiloqul avuti da Mussolini fra il 13 luglio e il 20 ottobre.
758

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A KAUNAS, AMADORI, A RIGA, MAMELI, E A TALLIN, WELL

SCHOTT

T. 1182 R. Roma, 3 settembre 1934, ore 23.

(Per Kaunas): Concordo con apprezzamento accordo baltico di cui al tuo telegramma n. 63 (1).

(Per tutti): Prego V.S. voler esprimere codesto Governo felicitazione R. Governo per conclusione accordo baltico fra Estonia Lettonia e Lituania che ad avviso Governo italiano costituisce importante fattore stabilizzazione nell'Europa orientale.

759

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI (2)

T. l?· 9250/271 P.R. Roma, 3 settembre 1934, ore 24.

Decifri ella stessa.

Informo V.S. che R. Governo, in considerazione importanza Cina, sviluppo rapporti tra due paesi, orientamento Governo Nanchino verso Italia, è venuto nella determinazione aderire ripetute richieste cinesi elevare R. legazione in Cina grado ambasciata.

Da parte cinese, è deciso in massima che, in occasione creazione R. ambasciata Governo cinese procederà:

a) acquisto aeroplani in Italia;

b) ordinazione unità navali in Italia;

c) invito R. Governo inviare missione navale in Cina, a spese Governo cinese; d) invito R. Governo inviare alcuni tecnici in Cina, a spese Governo cinese.

Signor Liou Von Tao ha chiarito che decisioni di massima di cui sopra hanno per ora carattere ufficioso, inquantoché sono state prese dal generalissimo Chang Kai-shek, ma non sono state ancora deliberate dagli organi com

Il comunicato, di cui nel telegramma stesso, è stato già approvato da S. E. il Capo del Governo, tuttavia, secondo gli accordi presi col Ministro di Cina, per passarlo alla « Stefani », occorrerà attendere la risposta da Shanghai, risposta che non potrà pervenire che tra qualche giorno -dc-.nde come detto l'opportunità di far partire al più presto il telegramma».

petenti: Wang Ching-wei, che è d'accordo, ne è al corrente a titolo personale e non come ministro degli esteri.

Pertanto ministro di Cina ha pregato tenere segreto tutto quanto riguarda sia istituzione R. ambasciata sia decisioni di massima esposte sopra, prese dal generalissimo.

Ministro di Cina ha proposto che risposta affermativa ufficiale al Governo cinese relativa elevazione rispettive rappresentanze ad ambasciate sia data dal Governo italiano quando Governo di Nanchino avrà preso formalmente decisioni di massima già prese da Chang Kai-shek circa acquisti, missione navale e esperti e quando decisioni predette saranno state comunicate ufficialmente e per iscritto al R. Governo, tramite questa legazione di Cina.

Per quanto riguarda missione navale, Liou Von Tao proporrà che sia composta di un ammiraglio e dodici ufficiali; si occuperà anche invio tecnici italiani e ordinazioni in Italia, ma soltanto fino a quando saranno prese relative decisioni di massima in via ufficiale. Liou Von Tao non si occuperà invece di concretare particolari (condizioni di pagamento, quantità ordinazioni ecc., ciò c:he dovrà essere fatto mediante trattative da condursi in un secondo tempo costà con il Governo cinese.

Questo Ministero ha comunicato al signor Liou Von Tao che era d'accordo su quanto precede (1).

Peraltro se le risultasse confermata notizia relativa prossima creazione ambasciata giapponese (telegrammi di V. S. n. 424 (2) e n. 447) (3) prego V. S. mettersi in contatto con Liou Von Tao e prendere accordi per affrettare procedura di cui sopra affinché annunzio ufficiale istituzione R. ambasciata possa essere dato in ogni caso prima eventuale annunzio giapponese.

Se ragioni ordine interno cinese impedissero affrettare procedura concordata mi proporrei far pubblicare comunicato ufficioso presso a poco seguente tenore:

«Nei circoli autorizzati si apprende che il Governo italiano si propone di elevare prossimamente la rappresentanza diplomatica in Cina al rango di ambasciata per farla corrispondere sia all'importanza della Cina come grande paese, sia all'importanza dei rapporti politici, economici e culturali tra l'Italia e la Cina».

Se del caso prenda subito accordi in tal senso e telegrafi d'urgenza.

Liou Von Tao ha detto a questo Ministero che appena sbarcato conta recarsi da Chang Kai-shek per riferirgli: giudichi V.S. se per eseguire presenti istruzioni sia opportuno che anche ella si rechi personalmente dal Generalissimo o da Wan Ching-wei a Nanchino.

Durante le conversazioni, raccomando a V.S. in modo particolare seguente obiettivo; arrivare noi prima degli altri (Giappone). Abbia poi molta cura nell'evitare che nella stampa quanto farà Governo cinese in occasione istituzione R. ambasciata possa apparire come condizione

posta da noi anziché come gesto spontaneo della Cina: infatti importa assolutamente evitare ogni parvenza di legame fra le due quistioni.

Con l'occasione desidero esprimere a V.S. il mio compiacimento per efficace contributo portato alla continuazione dell'opera intensificazione dei rapporti con codesto paese di cui divisato provvedimento costituisce appropriata espressione.

(l) -T. 3098/63 R. del 30 agosto, non pubblicato, nel quale Amadori osservava, tra l'altro che il patto baltico poteva <<essere considerato un punto di partenza della situazione baltica e un elemento di consolidamento degli Stati baltici». (2) -Cfr. il seguente appunto urgente di Buti per Suvich dello stesso 3 settembre: «Ho l'onore di sottoporre all'E. V. l'unito schema di telegramma per Shanghai. Esso si tiene nella linea dei telegrammi precedenti, ma ha carattere d'urgenza dato che il Giappone potrebbe trovare conveniente di prevenire!, sia pure con atto unilaterale. (l) -Fino a qui 11 telegramma riproduce l'appunto 8 agosto (cfr. n. 673). (2) -T. 3002/424 R. del 19 agosto non pubblicato. (3) -Cfr. n. 753.
760

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (l)

APPUNTO. Riccione, 3 settembre 1934.

a) i due telegrammi che le accludo e che Aloisi deve portare a Ginevra per farli vedere a Schuschnigg dimostrano con quale impudenza il governo inglese vuole intervenire nella politica interna austriaca. E' un colpo mancino, anzi due che il Foreign Office vibra neila schiena di Schuschnigg. Bisogna evitare nei limiti del possibile che la Francia si associ al punto di vista inglese ed è urgente provocare l'allontanamento di Selby da Vienna.

b) Per quanto concerne il patto orientale, disinteresse più marcato, anche davanti a eventuali sollecitazioni inglesi. Bisogna far comprendere al governo inglese che Malta sta diventando qualche cosa di più della solita nuvoletta nel cielo della «tradizionale » etc. etc.

c) Il Signor Chambrun è venuto a parlarmi e come le altre volte, ha girato al largo con un mucchio di parole su argomenti di ordine generale (Danubio, patto orientale, disarmo).

Ma per quanto concerne i rapporti itala-francesi e relativi problemi, si è rimesso agli uffici. Poiché i giorni passano e l'ottobre innanzi viene, sarà bene di concretare o caso contrario non far più parola del viaggio.

d) Poiché il Consiglio federale ha accennato proroga patto itala-svizzero si potrebbe preparare la firma e darvi un certo rilievo magari nell'occasione di un banchetto offerto da me e discorsi.

e) Bisognerà farsi mandare l'articolo del Pester Lloyd, cui accenna questa radio da Berlino.

ALLEGATO l SIMON A MURRAY (2)

T. 275. Londra, 31 agosto 1934.

Ripetuto per conoscenza a Parigi e a Vienna.

Come è noto speravamo che il Governo austriaco, dopo le conversazioni del Cancelliere Schuschnigg a Firenze col signor Mussolini, riconoscesse l'opportunità di adottare una politica conciliativa sia verso gli elementi socialisti che verso quelli

(2} Ed., in inglese, in D B vol. XII, p. 58.

pangermanisti, i quali potrebbero ormai essere pronti ad appoggiare il suo governo e la sua politica, in difesa dell'indipendenza dell'Austria. Sfortunatamente però l'atteggiamento assunto dal Cancelliere verso i pangermanisti, come viene riportato oggi anche dal Times, sembra diretto esattamente verso l'opposta direzione, dimostrando così che il Governo a;ustriaco vuole continuare nella situazione creatasi dall'antagonismo di tutti questi elementi e che desidera adottare « in toto » il programma delle Heimwehren. Sembra a noi che questo stato di cose condurrà certamente a situazioni gravissime e pertanto credi·amo che sia giunto il momento opportuno perché il Governo di Sua Maestà, unitamente al governo francese, appoggino a Vienna, per il tramite delle loro rappresentanze, ciò che il signor Mussolini potrà avere detto al Cancelliere in fa;tto dii. politica conciliativa. Prima però di proporre un tale passo al governo francese, gradiremmo che una ulteriore indagine venga espletata da parte

vostra, senza tuttavia sembrare importuno, allo scopo di accertare cosa effettivamente disse il signor Mussolini al Cancelliere austriaco. Qualora la vostra indagine non riuscisse nel nostro intento, dovremo fare del nostro meglio per agire di concerto col governo francese sulle basi delle informazioni già in nostro possesso. Vi prego quindi di eseguire l'indagine alla vostra sede nel senso sopra indicato (1).

ALLEGATO II

SIMON A MURRAY

T. Londra, 31 agosto 1934.

Vi comunico per conoscenza il seguente telegramma testè ricevuto da Vienna:

« I capi del socialismo, per quanto è stato possibile accertare in forma privata, si trovano tuttora detenuti parte presso le prigioni locali e parte in qualche ospedale. In una dichiarazione fatta ieri dal Cancelliere i capi del socialismo sono stati attaccati per i loro scopi antireligiosi e contrari all'insegnamento della religione nelle scuole. In via privata ho sa;puto che i ragazzi tedeschi non potranno continuare a frequentare le scuole di Vienna se non sarà da essi pagata una tassa di nuova applicazione. Questo provvedimento colpirà maggiormente le classi meno abbienti. I socialisti si dolgono amaramente inoltre dell'aumentato controllo nelle scuole e sull'educazione dei fanciulli da parte di enti cattolici. Da varie voci qui circolantli si rileva che anche i socialisti parteciperanno al prossimo putsch ».

(l) Originale autografo di Mussollnl.

761

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3157/374 R. Parigi, 4 settembre 1934, ore 21,05 (per. ore 24).

Il segretario generale Quai d'Orsay mi ha detto che il ministro Barthou ha appreso con soddisfazione le dichiarazioni fatte da S. E. il Capo del Governo a cndesto ambasciatore di Francia nella recente loro conversazione (2).

Leger ha precisato essere stata riconosciuta da ambedue le parti identità di vedute sui maggiori problemi europei quali il Patto Orientale di mutua assistenza, l'ammissione dell'URSS a Ginevra.

E' stata particolarmente apprezzata la dichiarazione di V. E. di voler procedere d'accordo con Francia ed Inghilterra nella questione austriaca.

Al conte di Chambrun è stato mosso appunto di avere preso l'iniziativa di proporre a V. E. di lasciare da parte la questione del riarmamento della Germania.

Leger ha osservato che l'ambasciatore non aveva su questo punto interpretate le idee del Governo francese che considera essenziale una intesa con noi sia pure in linea generale sul riarmamento della Germania.

Il segretario generale mi ha dato lettura di un lungo telegramma che proporrà stasera a Barthou e che sarà, se da lui approvato, spedito domani a Chambrun perché riprenda costà la conversazione su questo punto.

Leger ha osservato poi che non sarebbe a suo avviso opportuno stabilire fin da ora la data del viaggio a Roma del ministro degli affari esteri fino a che non siano a buon punto le conversazioni in corso.

L'ambasciatore di Francia ha riferito infine avergli S. E. il capo del Governo dichiarato che impartità istruzioni a S.E. il sottosegretario di Stato perché sia in grado intraprendere trattative sulle questioni libica e tunisina.

Circa il disarmo prego informarmi se punto di vista italiano è sempre quello esposto nel nostro memorandum ossia limitazione degli armamenti per gli Stati non disarmati da Trattati e riarmamento limitato e controllato del Reich.

Mi permetto formulare la domanda surriferita perché avvenimenti di giugno e luglio potrebbero avere suggerito di considerare sotto altra luce il riarmamento del Reich.

(l) -Annotazione a margine dl Suvlch su questo telegramma e sul seguente: «Riservatissimo da restltuirml ». Altra annotazione sul due telegrammi: «Visto da Schuschnlgg ». (2) -Si tratta del colloquio del 31 agosto (cfr. n. 731, nota l, p. 778) del quale non è stato rinvenuto il verbale.
762

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

Appunto Strettamente Riservato. Roma, 4 settembre 1934.

Sono stati a trovarmi i due Capi del movimento arabo, Shekib Arslan e El Giabri. Si riportano alle conversazioni avute con V. E. in merito allo sviluppo del movimento arabico.

Il Signor El Giabri ricorda che gli è stato assicurato un aiuto di due milioni all'anno per un periodo di 3-4 anni. Fino ad ora ha ricevuto mezzo milione di lire.

Secondo gli accordi presi il movimento doveva comprendere:

l) un'azione diplomatica -L'Italia avrebbe dovuto nei limiti delle sue possibilità e degli impegni internazionali vigenti favorire, nelle conferenze internazionali nei rapporti fra gli Stati ecc., la tendenza all'indipendenza arabica.

2) un'azione politica -Questa rientra nei compiti del comitato di agitazione panarabico il quale deve provvedere a organizzare il movimento all'interno dei vari paesi arabi e tenere sempre desto lo spirito di indipendenza.

3) un'azione diretta, da esplicarsi al momento opportuno con movimenti in grande stile di carattere violento, diretti alla conquista della libertà dei popoli arabici. Per questa azione si richiedono dei grandi mezzi (armi, ecc.) ma essa non è presa in considerazione nel momento attuale.

Tanto Shekib Arslan quanto El Giabri mi informano che la preparazione in Siria procede fra difficoltà; si tratta in quel Paese di impedirne la manomissione da parte della Francia a mezzo del trattato ora in discussione. Quello che preoccupa più però è la situazione in Palestina dove gli ebrei, favoriti dal governo inglese, prendono sempre più piede e fra qualche anno potrebbero anche avere in mano la padronanza del paese. D'altra parte la Palestina non è più per loro sufficiente e cominciano a prospettare la possibilità di estendersi nella Transgiordania. E' questione di vita pei popoli arabi di difendersi da tale invasione. Bisogna perciò ricorrere a qualunque mezzo, anche al terrorismo. In questo momento è forse l'unica difesa che rimane agli arabi.

Osservo che nelle condizioni dei paesi sotto il mandato il terrorismo può essere un'arma pericolosa perché può dare un buon pretesto alle potenze mandatarie per dichiarare che detti paesi non sono maturi per la libertà politica.

Shekib Arslan e El Glabri riconoscono la fondatezza di questo argomento ma hanno avuto modo di constatare che l'Inghilterra si è sempre preoccupata quando sono avvenuti dei conflitti sanguinosi ed ha per qualche tempo sospeso la sua azione favorizzatrice degli ebrei.

I due notevoli arabi vorrebbero sapere ora da me se le nostre intenzioni sono immutate e quando potranno contare sul completamento dell'aiuto da noi promesso. Osservano che il nostro sussidio serve per l'azione politica. L'opera di organizzazione è già cominciata. Si sono costituiti quattro comitati sui cinque previsti. Ora l'azione potrebbe essere ancora rallentata ma la parte organizzativa e preparatoria non può essere fermata se non si vuole rinunciare a tutta l'azione.

Mi riservo di esaminare più a fondo la questione che tocca molti campi e tutti delicati della nostra azione politica internazionale per cui bisogna agire con la massima prudenza.

Dalle conversazioni che i due rappresentanti arabi hanno avuto. con V. E. essi hanno potuto già rendersi conto con quanta simpatia il Capo del Governo segue il movimento per l'indipendenza arabica.

Se i due miei interlocutori vorranno venire nella seconda metà di settembre, potrò dire loro qualche cosa di più preciso.

Shekib Arslan prima di partire mi consegna un pugnale con cintura prodotto dell'arte arabica dello Yemen, di cui egli intende fare un presente a V. E. Assicuro Shekib che non mancherò di far avere tale oggetto al Capo del Go

verno che certamente apprezzerà il suo gentile pensiero.

763

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELE~PR. 1662/1172. Praga, 4 settembre 1934.

Mio telegramma filo n. 115 del 31 agosto Cl).

Nella conversazione di cui al telegramma sopra ricordato Centrata dell'URSS nella SDN) ho avuto occasione di parlare con Benes della crisi austriaca e dell'atteggiamento della Cecoslovacchia al riguardo.

Mi sono !agnato del tono tuttora acido della rivista L'Europe Centrale organo notoriamente al servizio di questo Ministro degli Affari Esteri, compilato quasi interamente da redattori fra~lCesi e diretto da quel Georges Marot, corrispondente praghese del Temps che ho più volte segnalato a V. E.

(Il nervosismo dei Marot, Albert Mousset e consorte, che costituiscono una specie di stato maggiore giornalistico francese pel collegamento della Piccola Intesa con la politica francese, è comprensibile, in quanto l'eventualità di una cooperazione itala-francese nelle regioni danubiane e balcaniche li priverebbe dei principali argomenti di polemica e di intrigo, indebolendo quindi le loro posizioni personali e l'importanza dei servigi professionali cui debbono gli stipendi che ricevono da questi governi).

Particolarmente ho chiesto a Benes come si conciliassero l'ultimo articolo di fondo dell'Europe Centrale, riprodotto quasi integralmente a firma di Marot nel Temps del 26 agosto, coi propositi di collaborazione ripetutamente manifestati da esso Benes (vedi da ultimo telegramma per corriere n. 066 del 30 luglio) (2) nonché dalla maggioranza della stampa ceca, compresi organi ufficiosi.

Benes ha incominciato col dire che l'Europe Centrale non ha mai avuto istruzioni dirette da lui. Indi ha risposto ad alcune delle mie obbiezioni, con giustificazioni dalle quali egli non mi è apparso affatto estraneo alle direttive degli articoli in questione.

E, precisamente, ho detto a Benes:

l0 ) È ridicolo mettere sullo stesso piano il pericolo germanico o hitleriano dell'Anschluss e una pretesa influenza predominante o egemonica dell'Italia a Vienna. Il primo significa il prolungamento integrale del Reich germanico lungo il Danubio, mentre qualunque influenza dell'Italia in Austria e nelle regioni danubiane non può costituire un pericolo analogo, anzi è garanzia di indipendenza delle dette regioni dall'egemonia o dal diretto dominio germanico. È quindi grottesco impostare il dilemma sotto l'immagine speciosa della frase «sarebbe scacciare Satana per chiamare Belzebù».

2°) «Il ne faudrait pas que l'Italie, parce qu'elle prend aujourd'hui avec éclat sa juste part de risques et de responsabilités, prétende ètre la bénéfi

ciaire exclusive d'une action solidaire des puissances grandes et moyennes contre la menace hitlérienne en Autriche l).

Anche a questo riguardo, premesso che l'Italia non minaccia nessuno, è d'altra parte ridicolo compiacersi della funzione di gendarme dell'ordine europeo che sola l'Italia è in grado di esercitare a difesa dell'Austria -come è stato dimostrato e universalmente riconosciuto un mese fa -; e poi pretendere che a questi oneri, sacrifici e rischi affrontati dall'Italia (non è piccola cosa, né utile per l'Italia prendere posizione politicamente, economicamente e militarmente contro la Germania) non debba corrispondere quell'adeguata influenza politica ed economica che -si noti -la Cecoslovacchia e la Piccola Intesa hanno sempre accettato senza obbiezioni quando si tratta della Francia. Tanto più che l'influenza dell'Italia non può essere che equilibratrice e positiva per una generale ed organica collaborazione danubiana.

3°) È più che ridicolo che un organo cecoslovacco, all'indomani della mobilitazione dei reparti italiani al Brennero e a Tarvisio, pretenda che Praga non si senta messa in pericolo di morte dall'Anschluss. «Ce voisinage de la Grande Allemagne, dont la perspective donne des sueurs d'angoisse à l'Italie, nous l'avons subì pendant des siècles et nous ne sommes pas morts pour cela. Si l'Anschluss devenait une réalité, nous saurions préserver notre existence nationale camme par le passé, et mieux encore que par le passé, puisque notre situation en Europe est aujourd'hui plus favorable que ne l'était jadis celle de la Bohème l),

Questo linguaggio fa pensare -e l'ho detto a Benes senza riguardi -al monello che mentre stava per prenderle da un avversario molto più grosso di lui, corre a ripararsi dietro le gonne della balia e, una volta al sicuro, fa le boccacce al suo avversario.

Che, del resto, le pronte ed energiche misure dell'Italia avessero giovato, non meno che all'Austria, alla Cecoslovacchia, è stato dimostrato dall'atteggiamento favorevole che l'opinione pubblica di questo Paese non ha potuto far a meno d1 prendere al riguardo, a diffe.renza dell'alleata Jugoslavia e nonostante l'unità politica che la Piccola Intesa pretende di seguire.

Benes mi ha risposto innanzi tutto richiamando la mia attenzione sulla conclusione dell'articolo, che è del seguente tenore:

«L'Italie peut reprendre à Prague, Belgrade et Bucarest la piace enviable qu'elle y occupait au lendemain de la guerre: il ne tient qu'à elle. Il lui suffira pour cela d'abandonner une attitude d'hostilité envers les intérets essentiels de la Petite Entente. Quant à la Tchécoslovaquie, à la Yougoslavie et à la Roumanie, elles ne demandent pas mieux que de renouer avec l'Italie les liens d'amitié qui l'unissaient à ce grand Pays il n'y a pas si longtemps. Aucun obstacle ne s'y oppose dont le bon sens et la loyauté des hommes d'Etat ne puissent aisément avoir raison l).

Questa perorazione finale non mi era sfuggita, tanto più che il Direttore degli affari politici del Ministero degli Esteri, al quale avevo già fatto cenno dell'articolo in questione, mi aveva detto che L'Europe Centrale aveva avuto raccomandazioni, in seguito all'ultima protesta di Berio, di conformarsi ad un orientamento collaborazionistico verso l'Italia; indirizzo che il redattore aveva creduto, evidentemente, di seguire, con le belle parole della chiusa, dopv essersi sfogato con le insinuazioni e le riserve da me rilevate.

In merito a tali rilievi particolari, Benes mi ha dato una sua interpretazione, evidentemente già preparata, del paragone fra Satana e Belzebù. Riferisco, a un dipresso, la sua argomentazione:

«L'Austria non ha attualmente una propria forza di resistenza all'Anschluss, la quale le viene principalmente dall'esterno: in questo momento soprattutto dall'Italia. Ma l'opposizione italiana non potrà, alla lunga, impedire i progressi della propaganda pangermanista, anche perché come fattore esteriore e non nazionale della politica austriaca, essa determina un rinnovellarsi della reazione germanica. Sicché, mentre l'Italia argina, effetti\ramente, in Austria la spinta germanica esterna e interna, d'altra parte fornisce essa stessa, automaticamente, materia ed argomenti alle rivendicazioni annessioniste degli elementi pangermanisti, che siano nazionalsocialisti, militaristi, economici e forse anche, come in passato o in futuro del tutto ipotetico, socialdemocratici.

Anche col suo peso di Grande Potenza, l'Italia, alla lunga, non potrà impedire l'Anschluss se non con la guerra. Altrettanto dicasi per la Francia, altrettanto per la Piccola Intesa. Ciascuno di questi tre fattori è incapace di impedire da solo l'Anscluss, mentre, per di più, ogni azione isolata di uno di essi inasprisce e rafforza il movimento annessionista.

Il senso, dunque, della immagine «scacciare Satana per chiamare Belzebù» vuol significare che un'egemonia italiana a Vienna non risolverebbe il problema, anzi lo inasprirebbe».

Spiegazione abile, se non altrettanto sincera.

Con la quale il Benes vuole anche rispondere alla mia seconda abbiezione.

Egli conviene che una gerarchia di valori debba pur determinarsi automaticamente nella collaborazione dei fattori interessati a mantenere l'indipendenza dell'Austria. Ma ritiene indispensabile la partecipazione di tutti i fattori interessati, ed in tal senso interpreta la frase -giornalisticamente brutale che l'Italia non può pretendere di essere «beneficiaria esclusiva dell'azione contro la minaccia hitleriana in Austria».

Anche questa è tattica diplomatica intesa a coprire con argomentazioni non prive di forza dialettica sentimenti comprensibili di preoccupazione e di gelosia, come dirò in seguito.

Conclude Benes:

«Quel che occorre è dare agli austriaci la sensazione di potersi appoggiare su garanzie di tale solidità e stabilità da rappresentare per essi un sufficiente baluardo per affrontare, al riparo di esso, la lotta contro Berlino. Oggi questa sensazione essi non l'hanno, se pure la decisione e la rapidità dell'ultima azione del Duce li abbiano momentaneamente rassicurati. Ma è una sicurezza che non può durare, essendo del tutto esteriore e al di fuori della iniziativa nazionale, se pure appoggiata sul consenso di buona parte della Nazione.

È consenso passivo e su di esso non può farsi affidamento».

(Qui Benes, per dar forza alla sua argomentazione, ha insinuato che prima del gennaio di quest'anno Starhemberg, Schuschnigg e lo stesso Dollfuss avrebbero avuto contatti e cercavano un accomodamento con gli hitleriani).

Nel riservarmi un giudizio definitivo del mio Governo, ho mosso a Benes arcora due obbiezioni e cioè come ed in quanto egli credesse le sue idee suscettibili di essere accettate o subite dalla Germania. Egli non esclude che la Germania possa indursi ad accedere ad accordi comprendenti tutti gli interessati e dai quali essa, non potendoli impedire, avrebbe troppo interesse a non rimanere esclusa, tanto più che l'elemento economico dovrà avere una parte non trascurabile nella risoluzione del problema e dovrà giuocare notevolmente sugli austriaci. D'altra parte egli ritiene generalmente che l'unico mezzo per indurre i tedeschi ad accettare un limite a pretese eccessive consiste nel far sentire loro preventivamente che tale limite non può essere sorpassato.

Ho finalmente accennato alla Jugoslavia ed all'atteggiamento innegabilmente differente assunto nel problema austriaco tra le due alleate slave della Piccola Intesa. Benes ha convenuto che effettivamente la posizione della Cecoslovacchia e quella della Jugoslavia sono notevolmente differenti specialmente in confronto delle possibilità di interventi dell'Italia in Austria; interventi che, nella forma già verificatasi di misure militari dirette contro la Germania, sono unicamente e grandemente rassicuranti per la Cecoslovacchia, mentre non possono non destare inquietudini in Jugoslavia.

A questo riguardo egli ha tenuto ad assicurarmi di aver fatto pervenire consigli di moderazione a Belgrado, cercando di tranquillizzare le apprensioni jugoslave. Avendo io espresso dei dubbi sui risultati di tale azione moderatrice, Benes mi ha detto che «Belgrado non potrà mai fare qualche cosa di contrario a Praga ».

Ho creduto superfluo insistere su questi «dispiaceri in famiglia», che non volevo lasciare inosservati, ma dei quali riterrei grave errore mostrare un sollecito compiacimento.

Come pure mi son guardato dal seguirlo senza riserve nelle sue presunzioni di una fine irremediabile di ogni collaborazione italo-germanica.

E la conversazione si è chiusa con rinnovate, calorose profferte di Benes per una collaborazione della Cecoslovacchia con l'Italia nel problema dell'Austria e del risanamento dei paesi danubiani.

Senza volerle naturalmente giustificare, ravviso l'origine della preoccupazione e della gelosia che affiorano sotto queste profferte, e possono sembrare in contraddizione con esse, nella differenza che rappresenta per la Cecoslovacchia essere la longa manus della Francia in funzione antigermanica ed antitaliana, oppure essere elemento accessorio di una eventuale politica concorde dell'Italia e della Francia nel sud-est europeo. Minori i rischi, ma anche assai minore la valorizzazione internazionale del Paese e dei suoi dirigenti. Date le ambizioni del Benes, che non teme di esporre per esse al rischio il suo Paese, tutto ciò è comprensibile. Ma nel suo fondo realistico e duttile, Benes intuisce e «realizza» (per dirla all'inglese) il prevalere e l'ascesa dell'Italia Fascista. e quindi si barcamena tra il patronato fin qui esclusivo della Francia, l'importanza antimagiara della Piccola Intesa, sua creatura prediletta, e l'opportunità di avvicinare la Cecoslovacchia e la Piccola Intesa stessa all'Italia, che si viene dimostrando fattore sempre più essenziale di ogni sistemazione delle regioni danubiane e principale garante dell'ordine europeo contro la ripresa di una eccessiva spinta pangermanista verso il Mediterraneo; come è nell'ordine naturale, storico e geografico.

Inutile dire che Benes non ha dimenticato le eventualità che gli si fecero intravvedere di una possibile presa di contatto diretta, a tempo e luogo e con adeguata preparazione generale e specifica. Nella sua mente egli mi sembra intravvedere tale possibilità, con ogni discrezione e solo attraverso caute allusioni, per un'epoca successiva alla eventuale visita di Barthou a Roma e credo che, allo stato delle cose, possiamo considerarlo sempre pronto ad accettare premurosamente l'invito che V. E. avesse a giudicare opportuno e tempestivo di fargli pervenire.

Dato tale suo stato d'animo ritengo che quale Presidente della prossima sessione del Consiglio della Società delle Nazioni egli si mostrerà oltremodo attento ai desiderii della nostra Delegazione a Ginevra.

È soprattutto in visLa dell'utilità di un tale elemento ed in vista dei contatti che il dr. Benes avrà coi rappresentanti del Governo Fascista che ho creduto dovermi dilungare nella particolareggiata esposizione che precede, del che chiedo venia all'E. V.

(l) -T. 3113/115 R. non pubblicato. (2) -Cfr. n. 612.
764

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 3352. Londra, 4 settembre 1934.

Richiamo la tua attenzione sul mio rapporto n. 3348/1227 diretto al Capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo. Mi pare assolutamente necessario controbattere l'idea che si sta diffondendo qui -e i tedeschi lavorano a fomentarla -che noi vogliamo fare dell'Austria un protettorato politico ed economico dell'Italia. Col Foreign Office la situazione mi sembra, dopo l'incontro di Firenze, assai chiara, e Sir Arthur Willert si sta adoperando presso la stampa.

Credo però che, nei contatti con l'Ambasciata d'Inghilterra costì, è utile tener presente quello che Gedye e altri scrivono, in modo che al Foreign Office venga una parola anche da Roma (l).

ALLEGATO

VITETTI A CIANO

R. 3348/1227. Londra, 4 settembre 1934.

Con mio rapporto n. 3300/1210 del 31 agosto u.s. (2) ho segn9lato l'atteggiamento assunto da scrittori e giornali laburisti di fronte alla politica italiana verso l'Austria, richiamo ora l'attenzione di V. E. sull'attività che, dopo gli avvenimenti del 25 luglio, va svolgendo il giornalista inglese G.E.R. Gedye, residente a Vienna.

Come è noto il Gedye è stato per varii anni corrispondente del Times, prima per la Ruhr e la Renania (1922-25) poi per l'Austria e l'Europa Centrale (1925-26), ed è dal 1929 corrispondente da Vienna del Daily Telegraph e del New York Times. Il suo lungo soggiorno a Vienna e la sua conoscenza ctei problemi centro-europei fanno sì che i suoi articoli, oltre che dal Daily Telegraph, vengano ospitati da varii periodici e riviste di prim'ordine. In particolare egli collabora regolarmente al New Statesman, alla Fortnightly Review ed alla Contemporary Review.

Le corrispondenze che il Gedye invia al Daily Telegraph sono in genere prudenti e corrette ma è più che probabile che esse subiscano una certa revisione da parte della direzione del giornale. Esse infatti si differenziano sensibilmente dagli altri scritti del G~ye su1 problemi austriaci, apparsi recentemente nella stampa britannica. Cosi nel suo articolo Austria's Dark Outlook pubblicato nell'accluso numero di settembre della Fortnightly Review non solo la situazione austriaca è prospettata con il più marcato pessimismo ma la politica dell'Italia a sostegno dell'indipendenza dell'Austria è presentata nella luce più falsa. La tesi che il Gedye sostiene è che «è impossibile che l'Austria possa continuare ad essere governata dalla presente coalizione dei clericali e delle Heimwehren » e che l'unica pacificazione possibile è « una pacificazione del paese su basi democratiche».

«In cambio della pacificazione dell'Austria attraverso il ritorno alla democrazia -egli conclude -varrebbe certo la pena che la Gran Bretagna si spingesse oltre la prudentissima dichiarazione a Tre del febbraio scorso», ma ciò, si noti

«a patto che cessi non solo l'ingerenza tedesca ma anche l'ingerenza italiana negli affari austriaci».

Concetti analoghi vengono svolti in un recente articolo della rivista New Statesman che parimenti accludo. L'articolo non è firmato ma da buona fonte mi è stato riferito che anch'esso è stato scritto dal Gedye.

«Il problema -scrive l'autore dell'articolo -non è soltanto come assicurare l'indipendenza dell'Austria, ma come rendere tale indipendenza reale e soddisfacente

o a-lmeno tollerabile per il popolo austriaco. Lasciando da parte la Germania, la più attiva ed energica vicina dell'Austria è l'Italia e, in ultima analisi l'interpretazione Mussoliniana dell'indipendenza austriaca è un'Austria satellite dell'Italia, una piccola sorella fascista guidata, sorvegliata e eventualmente intimidita da Roma ».

Come ho riferito a V. E. nel mio rapporto sopr·acitato, ho già mchiamato l'attenzione di Sir Arthur Willert su questa pericolosa tendenza, che si è manifestata in qualche giornale inglese, di spostare il problema austriaco da un problema di ingerenza tedesca a un pmblema di ingerenza italiana. Sir Arthur Willert mi ha promesso di intervenire presso la direzione dei giornaii più autorevoli perché essi non si prestino a quest'equivoco, che la propaganda nazista sta suscitando e fomentando. Io mi permetto di segnalare a V. E. queste pubblicazioni per il caso che V. E. ritenga opportuno, nei contatl:ii con i corrispondenti dei giornali inglesi di Roma, di far ribattere le affermazioni del Gedye e le interpretazioni che egli da della politica austriaca dell'Italia.

(l) -Annotazione a margine d! Mussolini: <<I soliti!». (2) -Cfr. n. 749.
765

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3162/377 R. Parigi, 5 settembre 1934, ore 21,15 (per. ore 22,30).

Mio telegramma n. 374 (1).

Nella conversazione che ho avuto oggi con lui, questo ministro affari esteri si è mostrato assai favorevolmente disposto circa il suo viaggio a Roma.

Ha osservato che vi è concordanza di vedute fra i nostri due paesi su:.. più importanti problemi di politica estera che sono presentemente in discussione.

Mi ha confermato l'interesse che annette la Francia alla questione del dlsarmo e a non trovarsi in disaccordo con noi su questo punto. Ha soggiunto di avere impartito stamane istruzioni a Chambrun riaffermando il pensiero intransigente del Governo circa il riarmo del :Jleich. Barthou si lusinga che sia possibile un accordo di principio con V. E. anche su questo punto.

(l) Cfr. n. 761.

766

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3168/307 R. Vienna, 5 settembre 1934, ore 22 (per. ore 7 del 6).

Sono informato che domani miei colleghi di Francia e Inghilterra rappresenteranno al cancelliere desiderabilità che Governo federale si adoperi sempre più per trovare nuovi consensi sia da destra che da sinistra.

Mi è stato aggiunto che analoga raccomandazione sarebbe stata rivolta al cancelliere, a Firenze, da S. E. il capo del Governo.

Ho anche appreso in via confidenziale che il Foreign Office avrebbe insistito presso il Quai d'Orsay affinché, nella predetta occasione, venisse altresì raccomandata al cancelliere austriaco l'elargizione di una completa amnistia per i moti del febbraio scorso. Senonché Quai d'Orsay non avrebbe accolto tale suggestione, pur ammettendo che qualche parola in favore di un trattamento di clemenza nei riguardi dei socialisti potrebbe essere opportunamente spesa presso il cancelliere.

Poiché cancelliere in una sua recente intervista ha dichiarato «che una liquidazione degli avvenimenti del febbraio u.s. potrebbe avvenire subito, qualora emigrati social-democratici desistessero dalla loro attività~. ho motivo di ritenere che da tale dichiarazione sarà tratto lo spunto cercato.

767

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DI GIURA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3214/08 R. Terapia, 5 settembre 1934 (per. il 10).

Hussein Raghib bey, nuovo ambasciatore di Turchia a Roma, che si trova attualmente di passaggio in Istanbul, è venuto ieri a farmi visita.

Egli ha tenuto a ripetermi di essere animato non solo dai migliori sentimenti verso il nostro paese ma anche dal fermo convincimento che « qualche passato malinteso potrà, e dovrà essere facilmente eliminato ».

Ho immediatamente domandato al signor Hussein Raghib quale potesse essere mai stato tale malinteso, perché, per parte dell'Italia, non avrei proprio potuto ritrovarne alcuno.

Il mio interlocutore, allora, nel corso della esauriente conversazione, ha finito col portare a mia conoscenza i «tre malintesi» che, a suo parere, «avrebbero offuscato le relazioni, già così cordiali e fiduciose, fra l'Italia e la Turchia. Li riassumo qui appresso:

0 ) Mancato appoggio, l'anno scorso, dell'Italia alla Turchia per il seggio a Ginevra nel Consiglio della Società delle Nazioni;

2°) Mancata tempestiva informazione del patto a quattro, da parte dell'Italia amica, alla Turchia che ne venne altrimenti a conoscenza;

3°) Accenno, nel discorso di S. E. il Capo del Governo alla seconda assemblea quinquennale del regime, ai territori geograficamente così vicini all'Italia dell'Africa e dell'Asia (territori subito, per quanto erroneamente, precisati qui in Turchia in quelli dell'Asia Minore).

Su ciascun punto ho dato a Hussein Raghib bey tutti gli schiarimenti del caso, e gli ho ripetutamente dimostrato l'assoluta inesistenza, da parte del R. Governo, di alcuno dei motivi che, secondo quanto mi era stato da lui accennato «avrebbero portato a malintesi e diffidenze».

Nel contempo, gli ho ricordato come quei punti fossero già stati più volte, ed esaurientemente, chiariti sia in Roma da codesto R. Ministero e, in particolar modo, da S. E. il Capo del Governo, a Vassif bey, che in Turchia da questa R. Ambasciata tanto presso Ismet pascià anche Tewfik Rusty bey.

Ho richiamato, quindi, l'attenzione del signor Hussein Raghib sul fatto che sovente questa stampa si era fatta portavoce di considerazioni tutt'altro che in armonia con l'amicizia che doveva esistere tra l'Italia e la Turchia, amicizia che, da parte nostra, era sempre stata lealmente mantenuta.

L'ambasciatore ha convenuto con me sulla verità delle mie osservazioni, dichiarando, però, che il problema dei rapporti itala-turchi doveva essere considerato fondamentalmente come un « problema di fiducia reciproca » e che pertanto « occorreva far rinascere la più completa fiducia in questo Governo nei riguardi dell'Italia, e che tale era il compito che egli stesso si era proposto nell'accettare la sua missione a Roma».

Gli ho fatto osservare che il Governo turco non avrebbe dovuto dimostrarsi restio a rendersi conto della verità delle cose, e gli ho espresso la speranza che egli sarebbe riuscito a convincerlo una buona volta dei suoi ripetuti errori di apprezzamento nei riguardi della politica italiana.

Nel riferire quanto precede a V. E. mi permetto di richiamare la sua attenzione su due rapporti di S. E. l'ambasciatore Lojacono; quello portante il n. 1218/ 526 del 6 agosto scorso (l) nei riguardi precisamente del nuovo ambasciatore di

Turchia a Roma, e quello portante il n. 1313/579 del 22 agosto scorso (l) circa la rinnovata domanda della Turchia per il seggio a Ginevra, affinché l'E. V. nel Suo illuminato pensiero, possa metterli in relazione con ciò che qui sopra ho avuto l'onore di riferirle (2).

(l) Cfr. n. 657.

768

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. R. Nave Aurora, 5 settembre 1934.

Richiamo l'attenzione sulla corrispondenza romana pubblicata dal Pester Lloyd e su altre informazioni ungheresi che bisogna jar.controllare. C'è un progetto W. sulla Bulgaria. Non credo che sia da prendere in considerazione almeno per il momento.

ALLEGATO

STRANO ATTEGGIAMENTO DEL PESTER LLOYD

Vienna, 1° settembre 1934.

Un articolo del 30 Agosto, datato da Roma, « L'indipendenza austriaca» è ispirato al concetto che dopo il colloquio di Firenze l'Austria viene a trovarsi sotto la tutela militare dell'Italia. L'articolista prosegue quindi facendo un parallelo tra la Manciuria e l'Austria, facendo apparire, per prudenza, che non è lui, ma sono le male lingue che lo dicono. Le medesime attendono la restaurazione di Ottone d'Arburgo perché il paragone divenga anche più calzante.

Nell'articolo il buon tedesco appare come il capro espiatorio mentre la Piccola Intesa prepara la miccia e a Parigi si è imbarazzati.

Tutto il risentimento viene gettato sulla stampa italiana che -su ordine superiore -accusa !'•innocente Germania quale nemica dell'indipendenza austriaca. Ciò che indispone particolarmente l'articolista sembra essere il fatto che la stampa italiana dedica numerose colonne dei suoi giornali, che una volta erano dedicati alla Germania, al notiziario austriaco. Con tatto singolare egli conclude: «Si potrebbe credere che la Germania nazista sia uno statarello e l'Austria una grande Potenza ».

* Scopo dell'articolo è di dare corpo ad una finzione, di far apparire cioè, a pochi giorni di distanza dal 25 Luglio, che l'~ndipendenza austriaca è minacciata dall'Italia, per far dimenticare i veri responsabili. Il fatto che il PesteT Lloyd pubblichi simile articolo dimostra a quali oscillazioni è sottoposta attualmente l'opinione pubblica ungherese in materia di politica estera* (3). La Reichspost aggiunge -non avremmo

con l'Italia ».

Avendo accennato al mio interlocutore che avrei con piacere riferito queste sue impressioni a v. E., egli mi ha pregato di farlo, ripetendoml che l'importante era di «far nascere la fiducia» e che «da tale fiducia nell'alto sarebbe discesa, derivata logicamente e spontaneamente, la risoluzione di tante questioni non ancora risolte, nonché la scomparsa di prevenzioni e preoccupazioni tuttora esistenti in Turchia verso la politica italiana».

creduto possibile che un giornale importante di uno Stato amico a noi legato da antiche

tradizioni possa dopo poche settimane dalla morte di DollfllilS pubblicare una frase

come la seguente: «Ben presto si accorgeranno che per l'indipendenza di un Paese

vi sono delle cose ben più pericolose di fogli di propaganda e petardi! ».

Per una simile gaffe vi è una sola spiegazione: un errore di stampa e che l'articolo

invece che da Roma provenga da BerLino (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Con T. per corriere n. 3357/09 R. del 15 settembre Di Giura riferì di aver offerto una colazione in onore del nuovo ambasciatore di Turchia a Roma e aggiunse: «Gli ho ricordato ... quanto egli mi aveva, nei nostri precedenti colloqui, promesso di riferire circa la sue impressioni delle attuali disposizioni, sia di questo Governo che dello stesso Gazi, verso il nostro paese. Hussein Raghib bey mi ha risposto che dalle sue ultime, e recentissime, conversazioni in proposito aveva riportato la certezza che «qui si desidera nel modo più completo una intesa

(3) Questo passo è stato sottolineato e segnato a margine da Mussolini.

769

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 5 settembre 1934.

Il Signor Chambrun mi parla anzitutto dell'Austria. Egli sa -e me lo dice confidenzialmente -che il Ministro di Gran Bretagna a Vienna, Selby, ha una visione non esatta della situazione; il Ministro di Francia invece è bene orientato e agirà in conformità al punto di vista italiano.

L'Ambasciatore ha avuto da Parigi le seguenti indicazioni che vuole sottoporre alla nostra considerazione: poiché nel comunicato di Firenze si parla di estendere gli accordi danubiani iniziati dall'Italia, a Parigi si è pensato di costituire a Vienna una commissione composta dal rappresentante del governo austriaco, da quelli dell'Italia, della Francia e della Cecoslovacchia per esaminare in qual modo si possa venire incontro ai bisogni dell'Austria sul terreno economico. Naturalmente questa specie di commissione potrebbe essere anche allargata colla partecipazione di altri rappresentanti.

L'Ambasciatore mi chiede che cosa pensiamo noi di un tale progetto.

Gli rispondo che in principio noi siamo favorevoli all'allargamento degli accordi danubiani: naturalmente bisogna procedere con molta cautela per non distruggere il lavoro già iniziato e che ha dato già qualche buon risultato. E' noto che la politica italiana nel campo degli accordi danubiani parte dalla base: Italia, Austria, Ungheria. Ora l'idea francese lascerebbe completamente da parte l'Ungheria il che, anche a prescindere dal punto di vista italiano, può essere pericoloso perché spingerebbe l'Ungheria, che si sentirebbe isolata, a cercare degli accordi da altre parti. Ad ogni modo la cosa va esaminata attentamente, e mi riservo di ritornare con l'Ambasciatore sull'argomento.

n Signor Chambrun riafferma che è intenzione della Francia di non intralciare per nulla la politica italiana nel Bacino danubiano. Il governo fran

«...Col rapido mutamento di fronte da parte dell'Italia, tanto più sorprendente in quanto segue a breve distanza dall'incontro di Venezia, anche la stampa fascista ha subito un mutamento essenziale. Nessun accenno contro la Francia, nessuna parola a pro della Germania. Se la democrazia era fino a ieri il bersaglio, oggi lo è il nazismo. Una volta si era inorriditi per le forche austriache, oggi se ne fa cenno come di un giornaliero bollettino meteorologico...

...Tanto che si potrebbe credere che la Germania nazista è uno Staterello e l'Austria una grande Potenza. Tale cambiamento di valori si estende anche al campo culturale. Così ad es. il film tedesco, che fino a ieri fu proclamato all'avanguardia viene oggi trattato come un cane arrabbiato (ciò non da qualche giornaletto di concorrenza, ma dallo stesso Giornale d'Italia). Per farla breve, sembra di essere tornati sul più bello della guerra.

...Ci troviamo di fronte agli stessi criteri che indussero l'Italia a passare dalla Triplice Alleanza all'Intesa... ».

57 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

cese si riserva poi di parlare della cosa a Londra soltanto quando ci sia un preventivo accordo con l'Italia.

Richiamo poi l'attenzione dell'Ambasciatore sulla necessità di aiutare l'Austria sul terreno finanziario; e un aiuto concreto, che rientra nella politica comune francese e nostra, aiuto del quale l'Austria ha assoluto bisogno. Ritengo inutile portare la cosa in un campo più vasto, poiché in pratica si sa che l'aiuto concreto può venire dall'Inghilterra, dalla Francia e da noi. Si sa anche che noi in questo campo, a differenza di altri dove possiamo assumere la parte principale, abbiamo delle possibilità limitate. Si tratta appunto di attuare questo principio di solidarietà nei riguardi dell'Austria, secondo il quale ciascuno dei Paesi soccorritori deve portare il massimo aiuto in quel campo in cui ha maggiori facilità di azione.

L'aiuto di cui ha bisogno l'Austria si aggira sui 200 milioni di scellini. Stiamo ad ogni modo a vedere se e come l'Austria presenterà la cosa a Ginevra per poi intervenire nella forma più opportuna.

L'Ambasciatore riferirà quanto gli ho detto a Parigi, avvertendo anche Barthou che potrà essere interessante che egli in tale riguardo si metta d'accordo col delegato italiano e con quello inglese.

Passando ad altro argomento, chiedo al Signor Chambrun che istruzioni egli abbia per trattare le questioni controverse tra Francia e Italia allo scopo di ottenere quell'accordo che renda possibile la venuta in Italia di Barthou. Mi pare che per il momento il disarmo non sia di attualità. Rimarrà quindi da discutere la questione della Tunisia e quella dei confini libici.

L'Ambasciatore è dello stesso avviso; anzi, a proposito del disarmo, lo stesso Capo del Governo gli ha detto nel recente colloquio che tale questione non doveva fare oggetto dei negoziati preparatori della visita di Barthou. Il Capo del Governo ha aggiunto che nella questione degli armamenti, Italia e Francia sono d'accordo nel mantenere gli armamenti che oggi hanno. Non pare che il momento sia favorevole per venire ad un accordo con la Germania; non rimane quindi che da attendere per prendere, in caso di necessità, le disposizioni opportune, rinviando una soluzione radicale ad un momento successivo.

Chiedo all'Ambasciatore come egli intenda trattare le questioni sopra indicate.

Mi dice che vorrebbe esaminarle con me nei prossimi giorni.

Si rimane d'accordo per lunedì prossimo alle ore 17.

Il Signor Chambrun, come sua idea personale, ritiene che sarà difficile un accordo se noi insistiamo per il Lago Ciad. Egli pensa che un modo di mettere d'accordo i reciproci inteQ"essi sarebbe quello di lasciare libertà d'azione alla Francia verso il sud Sahariano, esaminando le aspirazioni italiane nella parte più orientale dell'Africa.

Infine l'Ambasciatore chiede se saremmo disposti a rinviare la cerimonia di Chateaubriand oltre il 18 ottobre perché vi possa assistere anche il Capo del Governo. Anche la visita di Barthou potrà avvenire, secondo quanto gli ha detto il Capo del Governo, dopo il 18 ottobre.

Mi riservo di rispondere su questo punto.

(1) Di questo articolo. ri,assunto nella parte iniziale dell'allegato, si pubblicano solo i seguenti passi segnati a margine o sottolineati da Mussolini:

770

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 5 settembe 1934.

a) Ho consegnato al Ministro Biancheri che parte per Ginevra i due telegrammi di Londra (2). Li darà al barone Aloisi per farli vedere al Cancelliere Schuschnigg. Effettivamente il Ministro Selby è completamente fuori di strada; non capisce nulla della situazione dell'Austria: oggi lo ha riconosciuto con me anche Chambrun. Aspetto il ritorno di Drummond per metterlo al corrente della situazione e cercare di provocare l'allontanamento di Selby.

b) Ho dato le disposizioni relative all'atteggiamento che la nostra delegazione dovrà assumere nei confronti del «Patto Orientale». Aspetto Drummond per dirgli molto chiaramente il nostro stato d'animo per Malta e le conseguenze che ne possono derivare.

c) Accludo relazione sul colloquio con l'Ambasciatore Chambrun (3); l'accenno ad aspirazioni italiane nell'Africa Orientale mi pare del massimo interesse. Converrà insistere ancora sul Tchad salvo a ripiegare in un secondo tempo su altre concessioni nel settore abissino-somalo.

d) Dispongo per dare la solennità voluta da V. E. al rinnovo anticipato del patto italo-svizzero.

e) Disposto per il Pester Lloyd (4).

771

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 5 settembe 1934.

In relazione al quesito di V. E. -se sia il caso di proporre al Governo afgano la conclusione di un patto di amicizia con l'Italia -la Direzione Generale degli Affari Politici -Ufficio IV -esprime l'avviso che convenga rinviare ogni decisione al riguardo e quando vi sarà a Kabul un titolare della R. Legazione.

Infatti, data la presenza a Roma dell'ex Re Amanullah, i rapporti italaafgani sono particolarmente delicati e sembra opportuno riesaminarli sulla scorta degli elementi che potrà raccogliere il R. Ministro sul posto, prima di fare delle eventuali proposte al Governo afgano.

In pari tempo, la Direzione Generale degli Affari Politici --Ufficio IV ---ha l'onore di richiamare l'attenzione di V. E. su quanto segue:

-Il R. Governo ha stipulato, con il Governo afgano, in data 3 giugno 1921, due Accordi, concernenti il primo l'invio in Afganistan di una missione commerciale italiana incaricata di studiare sul posto le risorse naturali e le condizioni commerciali del Paese, in vista di speciali accordi commerciali conformi ai reciproci interessi; -il secondo lo stabilimento reciproco di rappresentanze diplomatiche aventi fra !"altro i seguenti diritti: uso della bandiera, dei servizi telegrafici, telefonici e radiotelegrafici, due cifrari.

I due accordi non sono stati ratificati, non essendo tale formalità da essi prevista.

Il primo di questi accordi non ha formato oggetto di ulteriori atti: non vi è dunque un trattato di commercio italo-afgano: ne segue che alle merci dei due Paesi si applicano le tariffe massime. Per evitare tale ostacolo agli scambi italo-afgani, converrà anche esaminare se non convenga negoziare un trattato di commercio.

(l) -Autografo di suv1ch. (2) -Cfr. n. 760, allegati. (3) -Cfr. n. 769. (4) -Cfr. n. 768.
772

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 3384. Londra, 5 settembre 1934.

Come avrai potuto rilevare dal mio odierno telegramma n. 576 (l), Sargent nell'informarmi che erano state inviate a Selby istruzioni di appoggiare presso il Cancelliere Schuschnigg i consigli che il Capo del Governo gli ha dato al Convegno di Firenze, mi ha aggiunto che il Foreign Office gradirebbe essere messo al corrente, in maniera più completa del nostro punto di vista. E questo tanto per assicurare una maggiore unità di azione a Vienna, quanto perché il Governo Britannico sia messo in condizione di poter più efficacemente controbattere le critiche dei laburisti alla politica austriaca dell'Italia (2).

Ho preso occasione di questo discorso per richiamare l'attenzione di Sargent, come avevo già richiamata l'attenzione di Sir Arthur Willert, sull'atteggiamento deleterio assunto dalle Trade Unions. Queste fanno interamente il gioco dei nazi. La fanno per ragioni di politica interna, perché vogliono controbattere Mosley e con Mosley tutto il fascismo in blocco, ma quando veniamo all'Austria, essi, mettendo la politica italiana e la politica tedesca sullo stesso piede, capovolgono, a vantaggio della Germania, la situazione. Ho richiamato anche l'attenzione di Sargent su due fatti egualmente dannosi: uno è la promessa di aiuto da parte delle Trade Unions ai socialisti austriaci, l'altra è la precisa impressione che dà il Labour Party che esso vuole sostenere i socialisti austriaci contro il Governo di Schuschnigg. «Voi -ho detto a Sargent -vo

lete che Schuschnigg faccia una politica di conciliazione, ma questa diventa impossibile se i socialisti austriaci si sentono appoggiati all'estero. Perché, attraverso un processo di assorbimento di masse, Schuschnigg possa allargare la sua base politica, bisogna che queste masse siano scoraggiate dal resistere».

Sargent mi ha risposto che non gli pareva che fosse il caso di sopravalutare l'atteggiamento laburista, e l'influenza che esso può avere nel paese, al che ho replicato che non era tanto dal punto di vista inglese che bisognava considerare questo problema, quanto dal lato austriaco. L'idea che un grosso partito inglese, che esercita una notevole influenza nella vita del paese, assuma una posizione di ostilità al Governo austriaco non può avere che un effetto solo in Austria: quello di fare il gioco del Nazismo. Senza contare che, di fronte al mondo, la politica inglese, indebolita dall'atteggiamento dei laburisti, potrebbe non apparire così decisa com'è, con danno degli stessi fini che essa persegue.

Sargent ha oonvenuto con me, e mi ha promesso eh eavrebbe indagato sulla questione di fondi promessi dalle Trade Unions ai socialisti austriaci e si sarebbe messo d'accordo con Willert, per la stampa. Io per mio conto ho mandato stamane a chiamare Kennedy, che dirige i servizi esteri del Times, e gli ho fatto lo stesso discorso.

(l) -T. 3165/576 R. del 6 agosto, ore l, che non si pubblica percbè dice quanto è riportato nel primo capoverso del presente documento. (2) -Per la risposta cfr. n. 782.
773

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. PER CORRIERE 1202 R. Roma, 6 settembre 1934, ore 10,30.

Suo telegramma per corriere n. 2988 (1).

Sono note a V. S. le relazioni tradizionali di simpatia che, fino dall'epoca della lotta per l'indipendenza, hanno legato le nazioni polacca ed italiana. Assunta la Polonia a Stato indipendente questi rapporti tradizionali hanno costituito una solida base di reciproca simpatia la quale però non ha avuto, fino ad oggi, campo di concretarsi in un'azione politica comune e concreta.

Fino all'anno scorso, più precisamente fino alla conclusione dell'accordo tedesco-polacco, la politica di Varsavia è stata dominata dall'alleanza con la Francia, temperata da qualche manifestazione di indipendenza, consone alla tradizione ed alla coscienza polacca che aspira ad essere riconosciuta definitivamente quale grande Potenza. Una delle manifestazioni di questi atteggiamenti di indipendenza sono state appunto le buone relazioni con l'Italia: buone relazioni però che non hanno superata la parte formale.

Con l'accordo con la Germania la politica polacca ha effettivamente assunto una maggiore indipendenza: la questione austriaca però ed il vero o presunto disinteresse polacco verso la politica germanica in Austria non hanno

permesso che a questa maggiore effettiva indipendenza della politica polacca corrispondesse una più fattiva intimità dei rapporti fra Roma e Varsavia (1).

Sono note le reazioni polacche al patto a quattro ed il raffreddamento che esse a suo tempo portarono nei rapporti con noi: questa fase può considerarsi oggi superata in seguito alle amichevoli spiegazioni intercorse tra i due Governi.

Non mancano, nelle grandi questioni internazionali, punti di contatto tra la politica italiana e quella polacca: citerò ad esempio le comuni simpatie per l'Ungheria, le riserve polacche nei riguardi della Piccola Intesa, la non eccessiva fiducia con cui, da Varsavia, si guarda all'attività della S.d.N. Nell'ultimo periodo si sono aggiunte anche le considerazioni più realistiche, da parte polacca del problema del disarmo nel suo aspetto principale del momento attuale che è quello del riarmo della Germania.

La questione della revisione dei trattati ha costituito per molto tempo un punto di cardinale divergenza tra l'Italia e la Polonia. Oggi con l'accordo tedesco-polacco la Polonia ritiene avere risolto, almeno per dieci anni, il problema della revisione per quanto la riguarda e mostra di considerare con occhio favorevole la revisione per quanto concerne altri Stati (Ungheria) il che naturalmente ha eliminato un punto negativo nei rapporti fra i due paesi.

Riassumendo le relazioni fra Italia e Polonia possono definirsi formalmente buone: esiste anche un comune desiderio di mantenere queste buone relazioni: è però mancata, finora, e non sembra che in un prossimo avvenire la situazione sia destinata a cambiare, la possibilità e l'opportunità di dare a queste relazioni un contenuto più reale e concreto.

(l) Cfr. n. 737, nc-ta 2.

774

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, DIANA

T. PER CORRIERE U. 1206 R. Roma, 6 settembre 1934, ore 21.

Invio qui unito un appunto, nel quale la S. V. e la delegazione italiana troveranno espresso il pensiero del R. Governo per quanto riguarda le varie questioni ancora in discussione per l'accordo sui pagamenti itala-germanici.

Converrà quindi che la nostra delegazione si attenga a tali direttive, chiedendo ulteriori istruzioni qualora lo ritenesse opportuno.

Da una parte la Germania 1°) ha rinunziato alle sue pretese sul «corridoio»; 2o) ha promesso alla Polonia di aiutarla nella rivendicazione della regione di Teschen, in Cecoslovacchia. In compenso, la Polonia ha promesso alla Germania 1°) di appoggiarla nella sua aspirazione di annettersi la regione dei Sudeti, in Cecoslovacchia, ove -come è noto -vivono quattro milioni di tedeschi; 2°) di non ostacolare in alcun modo né direttamente né indirettamente le bramosie del III Reich per l'« Anschluss ».

Alla sorpresa che ho mostrato per quanto mi diceva, soprattutto di fronte a questa. ultima sua affermazione, monsignor Marmaggi mi ha detto testualmente: «Glielo potrei giurare»... ».

Invio in pari tempo un progetto di memorandum che, ove le circostanze lo esigessero, la S. V. potrà rimettere a codesto ministero degli affari esteri, beninteso dopo avervi apportato quelle modificazioni, specialmente di forma, che ritenesse opportune. Ma, nel consegnare il documento, occorrerà naturalmente che la S. V. ne illustri il contenuto, lasciando chiaramente comprendere che il R. Governo ritiene di aver fatto da parte sua tutto il possibile per facilitare la conclusione dell'accordo e non può assolutamente andare al di là.

Pertanto esso, mentre confida che il Governo del Reich da parte sua vorrà recedere da quelle posizioni di intransigenza che renderebbe impossibile la conclusione dell'accordo, ritiene d'altra parte oppor,tuno richiamare l'attenzione del Governo stesso sulle gravi conseguenze che potrebbero derivare per i due paesi dalla cessazione di ogni regolamento dei pagamenti reciproci.

Ove poi nel corso della conversazione se ne presentasse l'occasione, la S.V. potrà anche lasciar comprendere che, a suo avviso in caso di non riuscita dei negoziati, l'Italia sarà costretta ad adottare, a tutela dei suoi vitali interessi, dei provvedimenti di difesa. Ora, è già avvenuto in passato che provvedimenti del genere sono stati poi presi ad esempio, con danno considerevole della Germania, da altri paesi che pure avevano con essa difficoltà di ordine economicofinanziario.

(l) Con R.r. 2119/1017 del 21 agosto l'incaricato d'affari a Varsavia Bellardi Ricci aveva riferito un colloquio con il nunzio apostolico, Monsignor Marmaggi circa la posizione internanazionale della Polonia. Di tale rapporto si pubblica qui il seguente brano: «La Polonia, secondo la sua convinzione, si è gettata completamente nelle braccia della Germania, e sarebbe pronta a seguirla anche in inconsulte avventure. E a questo proposito, Monsignor Marmaggi mi ha affermato di essere sicuro che l'avvenuto accordo e le vieppiù rinserrate relazioni tra Berlino e Varsavia poggiano su una formale reciproca pattuizione, che rappresenta un buon affare per entrambe:

775

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3194/0157 R. Vienna, 6 settembre 1934 (per. l'B).

Mio telegramma n. 307 di ieri (l).

Passo di cui al mio telegramma ~uindicato è stato eseguito oggi, in modo separato ma in forma analoga, da questi ministri di Francia e di Inghilterra (2).

Giusta mie informazioni, ministro di Inghilterra, che aveva ricevuto istruzioni analoghe a quelle pervenute al ministro di Francia e cioè: di notificare al cancelliere l'adesione dei rispettivi Governi alla raccomandazione a lui fatta in Firenze da S. E. Mussolini, circa l'opportunità di trovare nuovi consensi, allargando la base su cui si appoggia il Governo federale (3), e 2) di signi

ficargll, nel modo che sarebbe stato giudicato il più conveniente, la desiderabilità di misure di clemenza in favore dei condannati per i moti del febbraio scorso) ha cercato anzitutto di persuadere collega francese a non effettuare il passo. Sir. W. Selby ha sostenuto che la notificazione e la raccomandazione surriferite avrebbero potuto essere fatte «più autorevolmente» dai rispettivi ministri degli esteri al cancelliere federale, nell'imminente riunione ginevrina. Egli ha inoltre sostenuto che, qualora si fosse proceduto al passo, avrebbe dovuto insistersi per «la messa in libertà dei leaders socialistici ».

Il signor Puaux ha invece rappresentato opportunità di eseguire senz'altro istruzioni ricevute, contenendole nei termini prescritti: e pertanto di accennare solo indirettamente alla questione delle misure di clemenza per i socialisti, e ciò col chiedere generici ragguagli circa la dichiarazione fatta dal cancelliere in Innsbruck -dichiarazione da me trascritta nel telegramma precitato.

Tale idea è prevalsa.

Giusta le mie informazioni, cancelliere ha risposto:

l) che egli era assai lieto della comunità di vedute fra i Governi di Roma, Parigi e Londra;

2) che la dichiarazione da lui fatta ad Innsbruck andava interpretata nel senso letterale, dovendosi escludere che un trattamento di clemenza possa essere usato mentre ancora viene svolta un'intensa azione di propaganda sovversiva da parte degli emigrati socialisti;

3) che altrettanto doveva dirsi per i cosiddetti «nazionali» e nazisti, finché duri un'azione di sobillazione e di propaganda terroristica dal di fuori.

(l) -Cfr. n. 766. (2) -In realtà il passo inglese venne eseguito il giorno 7, come risulta da un promemoria dell'Ambasciata di Gran Bretagna a Roma. (3) -Cfr. quante scrisse Salata In un rapporto da Vienna del 15 settembre: «Dopo tre lustri d! lotta sfrenata contro la religione specialmente a Vienna, si è passati ad un reglme che puòben dirsi confessionale e si esplica specialmente nel campo della scuola, elementare e media. Pur affermando sempre di nuovo la più larga tolleranza religiosa verso gli altri culti, si è troppo precipitosamente ritornati nella scuola al rigorismo prebellico tanto nell'ampiezza dell'insegnamento obbligatorio della religione quanto nelle pratiche religiose. Si ha l'impressione che tale trapasso, necessario in uno Stato nel quale il patriottismo si fonda sulla religione, si sarebbe dovuto svolgere con maggiore gradualità e, suscitando meno resistenza e reazioni specie nel giovani educati di lunga mano, ad altra scuola, sarebbe stato forse più efficace. Sarebbe questo uno dei punti di attrito fra i cristiano-sociali di vecchia e rigida osservanza e gli elementi più vicini alle Heimwehren. che, pur essendo fedeli al cattollcismo, non sono e soprattutto non vogliono apparire clericali. Né va trascurato che questo del «clericalismo» che ha nella scuola e fuori (anche in alcune cerimonie pubbliche religiose e patriottiche di queste ultlme settimane) manifestazioni forse troppo appariscenti, sarebbe uno degli ostacoli al riavvicinamento di larghi ceti operai, già aggregati alla socialdemocrazia, al Fronte Patriottico. Di questo preteso prevalere della tendenza clericale si approfitterebbe da parte nazista o «nazionale» per cercar di staccare le Heimwehern dal Governo od almeno per alimentare dissensi, ancora sempre latenti, in seno al Fronte Patriottico ... ».
776

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3198/0158 R. Vienna, 6 settembre 1934 (per. l'B).

Mio telegramma per corriere n. 0150 del 29 agosto u.s. (1).

Mi risulta in via confidenziale che uffici del Ballplatz hanno approntato uno schema di patto di sicurezza, che dovrebbe essere comunicato, per notizia, ai delegati italiano, francese ed inglese, in Ginevra.

Patto, che dovrebbe anche essere sottoscritto dalla Germania, conterrebbe impegno di non immistione; impegno d'impedire ogni attività od apprestamento rivolto contro l'ordine pubblico in Austria o contro la «stabilità del Governo», ed infine una clausola che concederebbe all'Austria la facoltà di rivolgersi ai firmatari del patto in questione, nel caso che essa si ritenesse minacciata.

Di tale schema sia ministro degli esteri che uffici del Ballplatz non mi hanno tenuto fino ad oggi parola.

Ho poi appreso da buona fonte che Foreign Office si è rivolto al Quai d'Orsay, sollecitandolo a prendere iniziativa della proposta del suindicato passo. Senonché Quai d'Orsay ha risposto negativamente, adducendo molteplici ragioni, fra cui quella di non volersi mettere in modo diretto contro la Germania, e facendo presente che patto potrebbe essere proposto dallo stesso Governo austriaco (il quale poi, per le ragioni indica;temi da Berger e da me riferite a V. E. col mio telegramma per corriere n. 149 del 27 agosto (l), ritiene non poterlo assolutamente fare) o tutt'insieme dalle tre grandi Potenze.

(l) Cfr. n. 741.

777

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1934.

L'Ambasciatore Chambrun ha avuto notizie da Parigi che il Governo francese terrebbe moltissimo a che nelle conversazioni preparatorie per la venuta di Barthou fosse esaminata la questione del disarmo, e ciò nell'intento di evitare che dopo l'incontro si possa venire ad una manifestazione di punti di vista contrastanti.

Rispondo all'Ambasciatore che, come gli avevo detto nel precedente colloquio (2), non vedevo a quali conclusioni si potesse ora arrivare nel campo del disarmo, ma che tuttavia da parte nostra non ci poteva essere alcuna difficoltà a discutere il problema con il Governo francese.

L'Ambasciatore osserva che neanche il Governo francese pensa che si possa arrivare ad una convenzione sul disarmo al momento attuale e si riserva di parlarmi lunedì dell'argomento.

778

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI DI TURCHIA A ROMA, NEBIL

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1934.

L'Incaricato d'Affari di Turchia è venuto a sollecitare ancora una volta il nostro appoggio per la nomina della Turchia al seggio nel Consiglio della Società delle Nazioni, oggi occupato dalla Cina.

Informa che la Persia ha ritirato la propria candidatura a favore della Turchia. La Turchia conta sui sentimenti di amicizia del governo italiano.

Gli rispondo che il governo italiano considera con la massima simpatia tale desiderio del governo turco. Non sono tuttavia in grado di dargli delle assicurazioni precise perché ci sono vari elementi che devono essere preventivamente vagliati. Certamente il fatto che il seggio di cui si tratta sia riservato ad un paese asiatico, mentre la Turchia si è fino ad oggi opposta ad essere considerata Stato asiatico, ha un po' pregiudicato l'aspirazione turca. Ad ogni modo gli confermo che, nei limiti delle possibilità e tenuto conto di tutte le ragioni politiche che possono influire sulla nostra decisione, si terrà in considerazione il desiderio turco (l).

(l) -Cfr. n. 730. (2) -Cfr. n. 769.
779

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1934.

Il Barone Aloisi telefona che oggi vedrà il Ministro delle Finanze austriaco Buresch. Chiede se debba fargli delle riserve politiche in occasione della domanda di prestito che il Ministro gli farà certamente.

Gli rispondo che conviene almeno per ora trattare le questioni indipendentemente; stia a sentire le richieste per poi riferircele. Il Barone Aloisi chiede se ci sono istruzioni da parte del Governo in occasione della discussione sul mandato sulla Siria che avrà luogo domani.

Gli rispondo che il Capo ha avuto il rapporto che ha restituito siglato; rimane dunque stabilito che egli faccia le più ampie riserve regolandosi secondo le circostanze per la votazione.

Il Barone Aloisi ha visto Barthou e lo rivedrà oggi a colazione da Avenol.

Barthou gli ha detto che ha riservato al Re di Jugoslavia un giorno fra il 7 e il 14 di ottobre. Barthou ritiene opportuno che egli senta il Re di Jugoslavia prima di venire in Italia.

780

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO U. Roma, 7 settembre 1934.

In relazione a quanto è stato esposto all'E. V. dalla Direzione Generale Affari Politici III (relazione del 4 corrente) (2) circa l'opportunità che il Rappresentante italiano in Consiglio si astenga dal voto sulla parte delle Conclusioni della Commissione dei Mandati concernenti la Siria ed il Libano, è. stato osservato dal S.I.!. che tale proposta peccherebbe d'illogicità, in quanto suggerisce l'astensione su una parte del rapporto in cui la Commissione dei Mandati non fa che esprimere una riserva.

È da notare che il rapporto della Commissione dei Mandati va considerato in relazione a tutto il complesso delle discussioni svoltesi in seno alla Commissione e consacrate nei Processi Verbali, che, come è noto, sono annessi al rapporto della Commissione e ne formano parte integrante. Sta di fatto che la Commissione si è trovata di fronte ad un testo (il Trattato franco-siriano) che è una chiara e formale espressione della politica della Potenza Mandataria verso la Siria, e che tale politica è stata successivamente confermata e difesa dal Rappresentante accreditato del Governo francese. Se la Commissione -peccando essa veramente d'illogicità -dopo avere ampiamente esaminato la politica della Potenza Mandataria, ha preferito, per continuare nella pericolosa tradizione delle conclusioni adottate all'unanimità, assumere nelle sue conclusioni un atteggiamento agnostico (nulla obiettando di fronte ad una politica della Potenza Mandataria che evidentemente contrasta con gli scopi del Mandato e con precedenti decisioni del Consiglio), appare necessario che da parte nostra si faccia rilevare che noi non potremmo assistere indifferenti alla continuazione di una tale politica. È vero che, a stretta logica, noi dovremmo proporre il rinvio del Rapporto alla Commissione perché questa esprima degli apprezzamenti in merito al contenuto del Trattato franco-siriano ed in genere alla politica della Potenza Mandataria in Siria. Ma tale rinvio suonerebbe aperta critica all'operato della Commissione, operato che sostanzialmente si verrebbe a riconoscere deficiente. Ora non appare conveniente gravare così la mano sulla Commissione.

La proposta di astensione rappresenta il mezzo di far sentire il nostro modo di vedere nella maniera più riguardosa senza che per questo esso perda di efficacia. Il senso e la portata della nostra astensione sarebbero spiegati da opportune dichiarazioni. Che se poi, in relazione a tali dichiarazioni altri membri del Consiglio preferissero che la situazione fosse chiarita, provochino essi, se lo credono, il rinvio del Rapporto alla Commissione dei Mandati per pregarla di esprimere il suo avviso sull'azione politica della Potenza Mandataria e sul contenuto del Trattato franco-siriano.

È stato altresì osservato dal S.I.I. che la nostra astensione dal voto avrebbe una grave portata e provocherebbe una reazione da parte francese.

La gravità del gesto sarebbe in ogni caso relativa: non è la prima volta che si verifica, anche in materia di Mandati, un'astensione dal voto da parte di un membro del Consiglio. Del resto la nostra astensione non ferma il corso delle deliberazioni. Essa rappresenta un avvertimento. Avvertimento che per la pratica invalsa di approvare con riserva, non si vede in quale altra forma potrebbe essere data. D'altronde una certa reazione da parte francese è proprio lo scopo che, con l'astensione, si vuole raggiungere.

Si è pervenuti ormai ad un punto cruciale dell'azione poutlca della Potenza Mandataria in Siria; questa è stata chiaramente formulata col Trattato: tutte le informazioni dalla Siria concordano nel far ritenere che la Francia ripresenterà il noto Trattato, od uno simile, al Parlamento di Damasco, e che già «lavora» i Deputati per ottenere, comunque sia, l'approvazione della maggioranza.

Dobbiamo lasciare che la Francia compia altri atti che avvicinino semnre più e forse irrimediabilmente il mandato francese a un protettorato. our camuffato sotto la forma di un Trattato di alleanza e di amicizia? Che l'equilibrio politico del Mediterraneo Orientale, già seriamente compromesso dalle attribuzioni dei Mandati, si modifichi ancor plìl a nostro danno?

Le istruzioni di S. E. il Capo del Governo ( « sostenere con energia la tesi antifrancese») sono del Maggio scorso. La Direzione Generale A.P. III ha l'onore di sottoporre all'E. V. che, a suo subordinato avviso, essa ritiene che le proprie osservazioni e proposte si inspirino ed appllchlno nelle attuali circostanze le anzidette istruzioni, istruzioni che, a suo parere, è indispensabile mettere anche in relazione all'atteggiamento a:a nol assunto nel riguardi delle aspirazioni dei nazionalisti siriani, alcuni eminenti Capi del quaU hanno avuto. come è noto, contatti con S.E. il Capo del Governo.

P. S. Ove si dovesse scartare la soluzione dell'astensione che la Direzione Generale propone e raccomanda per ragioni d'indole generale, H parere della Direzione Generale è che, piuttosto del consueto ed inefficace voto di approvazione con riserva, sarebbe da votare contro dato lo stadio a cui la autsttone è ormai giunta. Per le ripercussioni che un voto negativo potrebbe avere sul rapporti itala-francesi -dopo un primo momento di malumore --la Direzione Generale se ne rimette a quello che è detto più sopra.

La Delegazione Italiana a Ginevra giudicherà se convenga parlare previamente colla Delegazione francese. A questo proposito è superfluo osservare che la quistione in oggetto -che è quistione di mandati -ha fondamento del tutto distinto dalle altre quistioni itala-francesi: compensi colontalt. auistione tunisina ecc. Il Governo italiano ha messo sempre particolare cura a mantenere separati questi diversi ordini di quistioni contro la tendenza francese a unirli e confonderli a proprio vantaggio.

(l) -Comunicato a Ankara e Ginevra con t. per corriere 1217 del 9 settembre. (2) -Non pubblicato.
781

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3206/310 R. Vienna, 8 settembre 1934, ore 18,10 (per. ore 21).

Mio telegramma per corriere n. 158 (l).

Ministro degli affari esteri mi ha pregato di recarmi da lui.

Dopo avermi parlato d'altre questioni, mi ha letto schema di un patto di sicurezza, approntato dagli uffici. Gli ho ripetuto che sulla questione non sapevo alcun che, salvo ciò che egli stesso mi aveva riferito.

Al che ministro ha ribadito che il cancelliere, sebbene non gli avesse fatto precisazioni al riguardo, lo aveva tuttavia garantito che «Roma era favorevole a tutto quanto potesse fortificare e garantire indipendenza austriaca».

Schema del patto si compone di un preambolo e di un articolo.

Preambolo dice che Stati firmatari (Austria Francia Germania Inghilterra e Italia), consci che un'Austria indipendente è di tale interesse per la pace Europa centrale, intendono salvaguardare sua esistenza contro ogni attacco

o minaccia, nonché assicurare all'Austria i vantaggi permanenti dell'ordine all'interno e di un Governo stabile; e che pertanto essi vogliono rafforzare garanzie internazionali già esistenti in favore «della sovranità e dell'indipendenza politica dell'Austria».

Articolo dice che, in vista di quanto precede, gli Stati contraenti si obbligano ad intervenire immediatamente qualora Governo federale denunziasse loro che ordine e sicurezza dell'Austria si trovino minacciati.

Ministro degli affari esteri ha aggiunto che tale patto, circa il quale avrebbe tenuto parola non appena giunto a Ginevra al barone Aloisi, avrebbe il merito di scoprire realmente intenzioni Germania, qualora questa si rifiutasse di accedervi.

(l) Cfr. n. 776.

782

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 1212/218 R. Roma, 8 settembre 1934, ore 23.

Informazioni fornite a questa ambasciata britannica (l) sono quelle comunicate a codesta ambasciata col telegramma 1174/C del lo corrente (2). Colloquio Firenze non ha riguardato altri argomenti. Evidentemente situazione austriaca si avvantaggerà da sostanziale identità di vedute e intendimenti tra Governi italiano e britannico che Foreign Office le ha confermato.

783

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3207/79 R. Ginevra, 8 settembre 1934, ore 23,50 (per. ore 5,30 del 9).

Delegato austriaco Società delle Nazione, Pfliigel, venuto parlarmi situazione austriaca. Dalla conversazione emersero due punti importanti.

A) Governo austriaco ritiene provvidenze finanziarie economiche in corso di studio essere perfettamente corrispondenti attuali esigenze.

Necessità future vertere quindi esclusivo campo [economico], allo scopo di raggiungere tranquillità pubblica e rafforzamento Governo che f'Onsolidino definitivamente situazione.

B) Nuovo Cancelliere, pur ispirandosi identica linea politica Dollfuss, segue differente tattica, in quanto mira a entrare in contatto con Potenze occidentali per intesa politica.

A tale scopo è dovuta sua venuta a Ginevra annunziata per lunedì prossimo.

Ho fatto presente al ministro d'Austria che, innumerevoli aiuti e sacrifici, sia nel campo politico, sia nel campo finanziario ed economico decisi da V. E. in favore Austria, non lasciano adito dubbio alcuno su portata appoggio italiano in qualunque evenienza.

Tale considerazione porta necessaria conseguenza che a V. E. debba essere lasciata iniziativa qualsiasi passo riguardante sistemazione situazione austriaca.

Ho prospettato quindi opportunità che cancelliere, al suo arrivo a Ginevra, prenda contatti col rappresentante di V. E. prima di incontrare rappresentanti di altre Potenze.

Pfltigel assicuratomi che avrebbe informato di ciò cancelliere, e intanto mi ha invitato a pranzo con Schuschnigg immediatamente dopo suo arrivo.

Onoromi quindi chiedere V. E. autorizzazione iniziare, nel primo incontro con cancelliere, conversazione sulle linee dettatemi da V. E. recente udienza, prospettandogli possibilità conclusione patto italo-austriaco mutua assistenza aperto anche alla Francia e Inghilterra ed eventualmente Germania, che si ricollegherebbe idea ispiratrice patto a quattro.

In quanto eventuale successiva estensione di detto accordo anche alla Piccola Intesa, abbiezione che certamente mi verrà sollevata, attendo ordini da V. E.

(l) -Cfr. n. 772, nota l. (2) -Cfr. n. 754.
784

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PflR CORRIERE 3222/0159 R. Parigi, 8 settembre 1934. (per. il 10).

Riferimento: telespresso ministeriale n. 228328 bis/C del 31 agosto scorso (1).

Il comm. Bombieri mi ha messo al corrente degli antecedenti e di particolari che ignoravo sulla questione delle nostre scuole. Ho potuto così intrattenere il signor Barthou, prima della sua partenza per Ginevra. Il ministro, di ritorno da una settimana dal congedo, mi ha dichiarato di non avere potuto approfondire lo studio della questione. Ho tenuto ciò nonostante a fargli sapere che eravamo stati sorpresi per il fatto che la residenza aveva creduto di dare un carattere politico ad un affare che non l'aveva affatto. Si trattava di fare alcuni adattamenti e una nuova costruzione per dare aria, luce e qualche maggiore comodità agli alunni delle nostre scuole e niente altro. Non solo non avevamo fatto, in Tunisia, dell'irredentismo, ma le nostre scolaresche ave

vano tenuto un contegno riguardoso e corretto, che era stato in varie occasioni notato ed elogiato da elementi locali, non sospetti. Il ministro ha preso nota di quello che gli dicevo e si è dichiarato d'accordo per la continuazione delle conversazioni con il signor Leger, durante la sua assenza da Parigi.

Sono stato nuovamente dal segretario generale del Quai d'Orsay dopo un prlmo colloquio col R. console generale a Tunisi per chiarire il punto dell'area del nuovo ginnasio-liceo e l'episodio della scuola di Susa. Si tratta di 5 mila metri quadrati, non di centomila. C'è stato equivoco che può essere dipeso dal ratto che la pronuncia francese dei due aggettivi non è molto dissimile. Per quel che riguarda la Scuola di Susa ho dichiarato che a noi non risulta di nessun accordo del genere di quello accennato dal signor Leger, nella prima conversazione, né sappiamo di un preteso impegno da parte nostra di non aumentare classi, né alunni. Il segretario generale mi disse che avrebbe approfondito la cosa.

Sono ritornato da lui ieri. Ho creduto opportuno farmi accompagnare dal consigliere della R. ambasciata anche perché egli potesse essere in grado di continuare la trattazione di questo affare durante il mio congedo. Il signor Leger era a sua volta assistito, in assenza del signor de Saint Quentin, da un funzionario dello stesso ufficio Africa che si è dimostrato, nella discussione, soiacevole quanto e più del suo capo gerarchico assente.

Ho affrontato subito la questione politica, esprimendomi con maggiore precisione di quello che avessi fatto col signor Barthou. Ho detto che nessuna osservazione era stata mai fatta al R. console generale a Tunisi, né a Roma, riguardo a pretese mene irredentistiche, che d'altra parte, la cordialità dei rapporti esistenti fra le nostre autorità e quelle di Tunisi, e fra la popolazione italiana e quella locale, dimostravano che le preoccupazioni della Residenza non avevano base.

Ho osservato poi che nessun fatto preciso era stato citato a prova dell'asserita azione irredentista. D'altra parte noi saremmo stati in grado di provare, all'occorrenza con testimonianze francesi ( il comm. Bombieri mi ha fornito elementi al riguardo), che l'insegnamento impartito nelle nostre scuole è inspirato a una riguardosa correttezza verso la Francia e le sue istituzioni. Il segretario generale ha riconosciuto subito che nessun appunto poteva esserci ratto ed ha voluto spiegare che egli aveva inteso prospettare i pericoli che potevano derivare da una situazione che tendeva ad acutizzarsi per il nuovo incremento dato alle nostre scuole dal 1928 a scapito di quelle locali che erano disertate dalla scolaresca. Il signor Leger non ha messo più in giuoco la Resiaenza e ml e sembrato che egli evitasse di proposito di parlare del rapporto del signor Peyrouton.

Ho domandato, a questo punto, al mio interlocutore se egli intendeva con gli schiarimenti che mi aveva dati di togliere all'affare il carattere politico che vi aveva dapprima dato. Egli ha annuito. A mia volta ho osservato che non domandavo di meglio di riportare la trattazione su basi pratiche. Ho accennato tuttavia alla questione degli arabi e degli ebrei per dichiarare che la Residenza era male informata anche su questo punto. Le nostre scuole cercano di sbarazzarsi degli arabi e quanto agli alunni ebrei ne abbiamo pochissimi.

Il discorso è passato alla scuola di Susa. Il segretario generale e il funzionario dell'ufficio Africa hanno riaffermato a una voce il punto di vista francese quale risulta dalla nota del Residente Saint, del 18 giugno 1926, che il funzionario citava quasi a memoria, ossia: nessun aumento di classi, né di alunni. Ho risposto che noi non avevamo mai aderito a quel punto di vista. I miei due interlocutori hanno replicato che di fatto noi non avevamo risposto alla nota Saint e avevamo fatto i nostri comodi. La Francia si sarebbe accorta di questo nel 1928. A quella data si sarebbe avuto un grosso incidente che fu lasciato cadere da parte francese perché, in quel tempo, erano avviate trattative per un accordo generale della questione tunisina e libica, trattative che comprendevano la rinuncia da parte nostra della posizione di eccezione goduta dalle nostre scuole a Tunisi. Ho risposto essere vero che non avevamo risposto alla lettera della Residenza del 18 giugno 1926 che stabiliva delle condizioni inaccettabili per consentire la costruzione di un nuovo edificio scolastico. Ed appunto per non sottostare a quella pretesa il progetto fu da noi abbandonato. Il R. Consolato generale rientrò, infatti, nel 1927, nel vecchio locale dove le scuole erano state per oltre vent'anni. Dunque, ho concluso, non c'è stata violazione di accordo per la buona ragione che non c'è mai stato accordo.

Questa mia risposta non ha convinto i miei interlocutori i quali si sono riservati di riesaminare questo punto. Essi hanno riaffermato quindi con energia che in ogni caso lo statu qua significava divieto di aumento di classi

o di alunni. Ho replicato che il R. Governo non intendeva per una domanda di rimodernamento di edifici, igienicamente inadatti e insufficienti, sollevare la questione dello statu qua. Però non mi sembrava fuori di luogo osservare che nel 1896 al momento della esecuzione dell'art. 3 Protocollo aggiunto alla Convenzione di Stabilimento, il R. Governo fornì solo il nome e la qualità delle Scuole governative fruenti dello statu quo, non dette, e non gli venne del resto chiesto, il numero degli alunni né quello delle aule.

Il linguaggio dei miei interlocutori è diventato via via più chiaro ed esplicito. Essi hanno osservato che nel 1914 le nostre scuole avevano 7 mila alunni, nel 1923 sei mila. Con l'avvento del Fascismo -ripeto le parole testuali di Leger -gli alunni sono aumentati; nel 1926 erano 8 mila e sono oggi più di dieci mila. Le scuole francesi hanno seguito la parabola inversa, scendendo, da un massimo, di 9 mila a 8 mila e più in giù. Si è che, ha soggiunto il segretario generale «voi fate un'intensa propaganda per attirare i giovani nelle vostre scuole, fornite loro la minestra a due soldi, somministrate effetti di vestiario e offrite viaggi gratuiti». La Francia non vuole fare questo, ed è disturbata da questa propaganda che la colpisce perché «ostacola il processo di assimilazione degli elementi italiani, perché contribuisce ad impedire che gli italiani si amalgamino alla popolazione locale». Ho chiesto a Leger se egli intendeva con questo proclamare che i fenomeno che si verifica in tutti i paesi del mondo, ossia la pacifica coesistenza degli stranieri, e in particolare di italiani, con la popolazione indigena, non è voluto dalla Francia per la Tunisia. n ~egretario generale ha replicato che solo in Tunisia si verifica il fatto che

l'italiano, pur risiedendo nel paese, fino anche alla terza generazione, non si assimila.

Ho osservato che lo stesso fenomeno si sarebbe verificato anche sul territorio metropolitano in Francia se le autorità francesi non procedessero alla espulsione di tutti i figli di italiani nati in Francia che a vent'anni optano per la nazionalità dei genitori. Questa parte della conversazione ha assunto da ambo le parti un'intonazione vivace, ma è stata fatta col sorriso sulle labbra.

Ho riportato il discorso alle scuole per prospettare l'opportunità che il nostro Console generale e il residente generale siano autorizzati a concretare direttamente i particolari del progetto per le tre scuole. Leger ha risposto che l'idea poteva essere. accettata a patto che il R. console generale fornisse garanzie che le classi e gli alunni non sarebbero aumentati. Ho osservato che in questo modo ci si sarebbe urtati alla stessa difficoltà provocata dalla lettera del residente Saint. Bisogna dunque, ho detto, girare l'ostacolo. Ma Leger ha insistito fermamente su questo punto, dichiarando senza ambagi che le scuole italiane di Tunisi sono per la Francia « un'ipoteca della quale essa intendeva sbarazzarsi». Il segretario generale ha soggiunto che sarebbe un errore da parte nostra il credere che in un accordo generale la questione delle scuole di Tunisi potrebbe essere risolta a nostro favore. L'allusione è abbastanza chiara e mi richiama alla memoria un'altra dichiarazione dell'ambasciatore de Chambrun. Egli mi disse, un paio di mesi fa, che in un eventuale regolamento generale itala-francese, il Governo francese, per farlo accettare, doveva poter dare al popolo francese qualche soddisfazione. E' lecito, dunque, pensare con fondamento che nella mente dei governanti francesi la rinunzia ai privilegi goduti dalle nostre scuole a Tunisi rappresenti lo scotto di un regolamento generale itala-francese.

La questione è troppo seria ed io sono così poco al corrente delle nostre cose tunisine, per poter azzardare una opinione. Mi pare però che nello stadio presente della vertenza possa giovare di riprendere l'atteggiamento adottato dal compianto R. console Gauttieri a seguito della lettera del signor Saint, ossia lasciar cadere la nostra domanda di riattamento e rifazione delle tre scuole e tirare avanti con i mezzi a nostra disposizione, procurando però di non assumere un'aria di sfida. Bisogna tener conto che, comunque, siamo in casa d'altri. Per parte mia mi astengo da nuovi passi in attesa di istruzioni.

(l) Cfr. n. 748.

785

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 8 settembre 1934.

Questo Incaricato d'Affari di Ungheria è venuto a dire, d'incarico del suo Governo, che la stampa jugoslava, romena e cecoslovacca commenta il viaggio dei Signori Goemboes e Kanya a Varsavia nel senso che esso dovrebbe rappresentare l'inizio di un nuovo orientamento della politica ungherese. Talunl

58 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

giornali indicano anche che il viaggio avverrebbe senza «l'approvazione del Governo italiano». Il Governo ungherese suggerisce che la stampa italiana metta in evidenza l'infondatezza di tali notizie, e si esprima anzi in senso favorevole al viaggio e agli scopi che esso si propone rilevando che sono condivisi dai due Governi.

Sotto riserva di approvazione di V. E., ho risposto a questo Incaricato d'Affari di Ungheria che prendevo atto della comunicazione che egli mi faceva, ma che quanto alla procedura suggerita mi pareva più naturale e quindi più efficace che la stampa ungherese, rispondendo alla stampa jugoslava, romena e cecoslovacca, mettesse in evidenza le cose da lui dettemi. La stampa italiana avrebbe potuto poi riprodurre e riprendere opportunamente quello che la stampa ungherese avrebbe pubblicato.

786

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 8 settembre 1934.

Con telegramma di questi giorni (l) il R. Ministro in Cina è stato avvertito della decisione italiana di elevare la nostra Rappresentanza ad Ambasciata. Gli è stato telegrafato pure il testo di un eventuale comunicato al riguardo.

Come l'E. V. sa, a proposito di eventuali elevazioni del rango delle Rappresentanze diplomatiche delle grandi potenze nelle capitali dove non esistono Ambasciate, sono intercorse ripetute comunicazioni tra il Governo italiano e quello inglese.

Il punto di vista inglese nella fattispecie è che dovremmo metterei previamente d'accordo con Londra per elevare ad Ambasciata la nostra Rappresentanza a Shanghai. Per contro il Governo italiano ha sostenuto che tale previo accordo non era necessario visto che in Cina esiste già un'Ambasciata (l'Ambasciata dell'URSS).

Il Governo inglese ha replicato che l'argomentazione italiana era discutibile,

che ad ogni modo non fosse che a titolo di cortesia si sarebbe atteso da noi un

previo scambio di vedute.

La Direzione Generale del Personale è del resto meglio al corrente di questa

Direzione Generale della quistione che essa ha trattato.

Il punto che la Direzione Generale Politica vuol rilevare è il seguente, e cioè la

convenienza di informare tempestivamente a titolo di cortesia il Governo britan

nico della decisione italiana relativa alla istituzione della R. Ambasciata in Cina.

Sembrerebbe opportuno fare tale comunicazione non * appena sarà pervenuta la

risposta all'ultimo telegramma diretto al riguardo al R. Ministro in Cina, e natu

ralmente prima che la decisione presa dal R. Governo sia resa di pubblica ragione

mediante il progettato comunicato * (2).

La Direzione Generale Affari Politici (IV) rileva inoltre che analoga comunicazione sarebbe conveniente di fare alle altre principali Potenze interessate, sia per usare loro una cortesia, sia anche per marcare che le comunicazioni verrebbero fatte appunto a titolo di cortesia e non in relazione ad un supposto nostro impegno verso il Governo britannico.

Sembra alla Direzione Generale Affari Politici che le comunicazioni di cui si tratta potrebbero essere fatte verbalmente ai Rappresentanti diplomatici a Roma degli Stati interessati.

(l) -Cfr. n. 759. (2) -n passo tra asterischi è stato sottolinato da Mussolinl.
787

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3211/122-123 R. Belgrado, 9 settembre 1934, ore 16,40 (per. ore 19).

Mio telegramma Stefani odierno.

Mi sono limitato a riassumere un oltraggiosissimo articolo odierno Vreme (l) la cui traduzione integrale parte oggi per posta ordinaria espresso. Esso è di una violenza senza precedenti. Per quanto il giornale si richiami ad un trafiletto del San Marco del 29 ago

sto scorso, (richiamai costà attenzione di S. E. Galeazzo Ciano sul San Marco come sulla Vedetta d'Italia), che sarebbe stato ripetuto dalla radio di Bari, la volgarità delle espressioni supera ogni tollerabile limite.

Le affermazioni del San Marco, che ho sotto occhi, sono a mio giudizio inopportune, non in tutto storicamente esatte ed in ogni caso feriscono l'amor proprio serbo in quello che esso considera sacro. Ma la reazione del Vreme è assolutamente sproporzionata mentre contiene anche invenzioni obbrobriose contro il nostro esercito.

Debbonsi quindi cercare forse altri moventi di consimile attacco.

Riferisco pertanto, ma senza mia conferma, che circola la voce negli ambienti giornalistici, di larghe sovvenzioni germaniche alla stampa jugoslava; il che peraltro non toglierebbe, data esistenza rigoroso controllo e censura, un consenso Governo jugoslavo almeno tacito.

Può pure farsi la ipotesi che si voglia, in questo volgare modo, rispondere indirettamente alla frase di S. E. il Capo del Governo al termine delle grandi manovre sulla simiglianza del terreno con fronte orientale, frase che unita a tutto il resto del discorso, ha fatto qui viva impressione ed è stata commentata nei circoli militari e politici quasi come una minaccia.

Giudichi V. E. quali istruzioni darmi a seguito di tale articolo.

Mi astengo dal protestare senz'altro, soltanto perché, se tale protesta vada fatta, essa deve uscire dalla serie consueta e sterile delle analoghe, e potrebbe forse avere perciò sviluppi e conseguenze che debbono anzitutto essere valutate da V.E.

E ciò tanto più in quanto attuale articolo non può essere staccato da situazione generale, specie quella delineatasi in Jugoslavia dopo crisi austriaca, da campagna stampa jugoslava cui violenti attacchi non sono certamente sempre giustificati da polemica con nostra stampa o radio, e progressivo acuirsi rapporti itala-jugoslavi a partire da dicembre scorso.

(l) L'articolo, apparso il giorno 9, aveva per titolo: «Risposta agli eroi di Caporetto :t.

788

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSO LINI (l)

APPUNTO. Roma, 9 settembre, 1934.

Si è chiesto di urgenza a Vienna il testo del progetto -non è ancora pervenuto. Ad ogni modo lo schema di convenzione non dovrebbe essere molto diverso da quello preparato da noi (2), con la differenza che ora viene messo direttamente su terreno internazionale, mentre secondo il nostro progetto c'era una prima fase itala-austriaca. Bisognerà dare delle istruzioni a Ginevra s11Ue quau mi permetterò di intrattenere V. E. domani (3).

789

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

RELAZIONE U. Roma, 9 settembre 1934.

In relazione alla venuta in Italia del Sottosegretario Saudiano degli Affari Esteri Signor Fuad Hamza, la Direzione Generale Affari Politici III ha l'onore di qui di seguito esporre a V. E., in riassunto, lo statua attuale della situazione politica nell'Arabia sud-occidentale, con particolare riguardo alla posizione di Ibn Saud, re dell'Arabia Saudita, nonché lo stato attuale delle nostre relazioni politiche ed economiche con la Saudia.

l) -Per quanto si riferisce alla situazione politica del Regno arabo-saudiano è da rilevarsi che la conclusione del conflitto saudiano-yemenita ha rafforzato in Arabia la posizione di Ibn Saud non solo nei confronti del suo rivale saudita l'Imam Yahia (il quale ha dovuto rinunciare ad ogni rivendicazione territoriale sia sull'Assir sia nel Negiran) ma, di riflesso, anche nei confronti dei suoi rivali hascemiti (Emiro Abdullah di Transgiordania -Re Ghazi dell'Iraq ed ex Re Ali) i quali mentre nutrivano allo scoppio delle ostilità la speranza di una sconfitta militare di Ibn Saud, che avrebbe a sua volta potuto determinare

rivolte antisaudiane nell'Assir e nell'Hegiaz e favorire il ritorno alla loro famiglia del trono hegiazeno, hanno di poi dovuto convincersi della efficienza militare e politica del regime saudiano resa anche più manifesta dalla relativa facilità con cui l'Imam è stato costretto a rinunciare al proseguimento del conflitto armato e ad accettare le condizioni di pace postegli dal vincitore.

D'altra parte la moderazione dimostrata da Ibn Saud nelle condizioni di pace da lui formulate e con le quali si è accontentato di ottenere la rinunzia da parte dell'Imam alle rivendicazioni di questi sui territori già contestati e la consegna dei capi idrissiti fuorusciti, ma si è tuttavia astenuto dall'annettere in toto o in parte i territori yemeniti occupati durante la guerra, ha procurato ad Ibn Saud largo movimento di simpatia negli ambienti islamici di Palestina e Siria e nello stesso Iraq. Tale simpatia, nonostante le note differenze religiose che separano il wahabismo dal resto dei mussulmani di Arabia, è poi anche aumentata quando, reso noto nei suoi particolari il Trattato di Pace saudiano-yemenita, si è conosciuta la dichiarazione contenuta in parecchi dei suoi articoli e relativa alla «fratellanza mussulmana e araba». Dopo la scomparsa di Re Feisal, il quale per il suo passato militare, per l'opera da lui svolta a favore della causa araba, per le affinità religiose col resto del mondo islamico era considerato come il campione del risveglio arabo, può oggi dirsi che Ibn Saud sia, tra i monarchi regnanti nella penisola araba, quello che gode di maggior ascendente e di più alto prestigio.

2° I rapporti itala saudiani, pur essendo stati in ogni tempo corretti e normali e pur essendo divenuti amichevoli dopo la firma del Trattato italo-higiazeno del 1932, avevano tuttavia sempre risentito delle particolari attenzioni che uniscono l'Italia allo Yemen e in considerazione delle quali noi ci eravamo astenuti dal riconos-cere formalmente la sovranità di Ibn Saud sull'Assir r!ivendicato dall'Imam. D'altra parte gli impegni derivantici dalle note conclusioni delle Conversazioni italo-inglesi di Roma del 1927, impegni da parte nostra sempr~ osservati e in base ai quali veniva riconosciuta dalle due Potenze una maggiore influenza dell'Inghilterra a Gedda e dell'Italia a Sanaa, ci avevano trattenuto dallo svolgere a Gedda una attività politica che avrebbe potuto non apparire in armonia con le citate conclusioni delle Conversazioni itala-britanniche.

Qualche ombra nelle relazioni italo-saudiane si è verificata precedentemente al conflitto Saudia-Yemen, e precisamente durante la rivolta dell'Assir. In quell'occasione infatti dipartendosi dal necessario atteggiamento di osservazione e di riserva, il Governo dell'Eritrea prese l'iniziativa di contatti con i ribelli idrissiti; il che giustificò in certo modo le lagnanze del Governo saudiano. La situazione fu tuttavia prontamente ristabilita; ed il recente conflitto Saudia-Yemen ci ha dato modo di stabilire in questi ultimi tempi, più frequenti e cordiali contatti col Governo Saudiano, e ciò sia direttamente a Gedda, dove il Fuad Hamza e lo stesso Ibn Saud hanno manifestato in termini assai cordiali, al nòstro Incaricato d'Affari, il desiderio di stabilire più intimi rapporti con l'Italia, sia attraverso le quotidiane relazioni stabilitesi, durante l'occupazione saudiana di Hodeida, fra l'Emiro Feisal, figlio del Re Ibn Saud, e le nostre autorità navali nel Mar Rosso.

Come fatti concreti provanti le buone disposizioni del Governo saudiano nel nostri riguardi possono citarsi la prontezza con cui il Governo stesso ha consentito, dopo l'occupazione di Hodeida, lo sbarco in quella città di un nostro medico e la riapertura di quel nostro ambulatorio (rimasto chiuso da quando l'Imam av·eva espulso il Dottor Venerosi), nonché il riconoscimento della qualità di « intermediario ufficioso » fra la nostra Colonia in Hodeida e le Autorità saudiane, al Dottor Jamiceli, funzionario da parte nostra distaccato dall'Eritrea ad Hodeida, appunto a tale scopo, dopo l'evacuazione di quella città da parte degli yemeniti -deve anche ricordarsi che il Governo saudiano ebbe a rivolgersi alla Società di Navigazione « Tirrenia », prima che ad altre Società, per il trasporto delle sue truppe da Hodeida a Gedda,·dopo la cessazione delle ostilità, trasporto che la bandiera nazionale non poté tuttavia effettuare per le eccessive pretese avanzate dalla «Tirrenia » e ridotte, dietro intervento del

R. Ministero degli Affari Esteri, quando però il Governo saudiano, data l'urgenza dell'imbarco, si era già rivolto ad altra bandiera. Infine il Signor Fuad Hamza ha ripetutamente detto a quel R. Incaricato d'Affari che egli sarebbe disposto ad esaminare con la maggiore attenzione qualunque proposta gli venga fatta dal R. Governo per eventuali accordi economici.

Non è da escludersi, ed è anzi probabile che a spingere il Re Ibn Saud ad atti e ad aperture amichevoli nei nostri riguardi contribuisca la particolare situazione che è venuta a crearsi in Arabia dopo il recente conflitto saudianoyemenita: abbassati pel momento il prestigio e l'infuenza dello Yemen in Arabia, questa penisola si trova infatti attuamente divisa in due blocchi rivali, da un lato quello hascemita, completamente controllato dall'Inghilterra (Iraq e Transgiordania), dall'altro quello saudita che, pur non essendo formalmente infeudato al sistema britannico, deve all'appoggio inglese la sua ascesa, e che sostanzialmente, ha sinora dipeso dalla Gran Bretagna per gli appoggi necessari a consolidare la propria posizione interna ed esterna. Manovrando, secondo il proprio tornaconto, l'uno o l'altro blocco, l'Inghilterra tende ad imporre alla penisola araba una specie di pax britannica a proprio esclusivo beneficio; è quindi verosimile che, risolte, dapprima con l'appoggio inglese e poi dlirettamente con l'Imam, le divergenze con lo Yemen, Ibn Saud cerchi ora di stringere cordiali rapporti anche con altri paesi, all'infuori dell'Inghiterra, e ciò allo scopo di sottrarsi, per quanto possibile, alla esclusiva influenza del Colonia! Office. Che ciò si verifichi non sembra alla Direzione Generale scrivente contrario ai nostri interessi in Arabia e nel Mar Rosso, ragione per cui la Direzione Generale Affari Politici (Ufficio III) riterrebbe conveniente, politicamente ed economicamente, ove l'E. V. concordi, di cogliere l'occasione della visita del Signor Fuad Hamza a Roma per cercare di consolidare le amichevoli relazioni oggi esistenti fra l'Italia e il Regno arabo-saudiano, ciò che potrebbe attenersi da un Iato dimostrando di gradire le aperture in tal senso già fatte al

R. Incaricato d'Affari a Gedda e dall'altro esaminando la possibilità di utili intese nel campo economico e commerciale.

D'altra parte una maggiore cordialità di rapporti fra Italia e Regno Arabo saudiano non sembra possa suscitare oggi, e dopo che l'Iman ha formalmente rinunciato allo Assir e ad ogni altra rivendicazione territoriale, nei confronti dell'Arabia Saudia, diffidenze presso il Governo jemenita che è stato anzi dal

R. Governo messo al corrente della venuta del Fuad Hamza a Roma. Né sembra che una nostra più attiva azione politica a Gedda possa, se condotta col dovuto tatto, dare ombra agli inglesi i quali hanno pure provveduto in epoca recente, a regolare le questioni da tempo pendenti con lo Yemen, a concludere con questo paese un trattato di amicizia, e stanno ora interessandosi ad iniziative di carattere economico nello Yemen come provato dal già avvenuto allacciamento stradale di questo paese con Aden.

Del resto è inevitabile che, pur mantenendo fermo nei riguardi del Governo di Londra il contenuto delle Conversazioni di Roma che hanno come noto carattere segreto, e che· né Ibn Saud né l'Iman conoscono, almeno ufficialmente, l'applicazione di esse sia adattata alle nuove circostanze; e che quindi Roma e Londra esercitino oggi praticamente influenze parallele tanto nella Saudia che nello Yemen, in conseguenza delle modificazioni avvenute nei reciproci rapporti dell'Italia e del Governo britannico coi due Stati arabi.

La Direzione Generale Affari Politici III riterrebbe opportuno che il Sottosegretario degli Affari Esteri saudiano (il quale giungendo a Roma il 9 corrente conta trattenersi quattro o cinque giorni) sia ricevuto da S. E. il Capo del Governo al quale Fuad Hamza desidera ~ per espresso incarico di S. M. Ibn Saud ~ presentare i ringraziamenti del Re Saudiano per l'atteggiamento tenuto dall'Italia durante il recente conflitto fra Saudia e Yemen.

La Direzione Generale Affari Politici III ha l'onore di prospettare la convenienza che in tale udienza sia messo nella dovuta evidenza:

a) nel campo dei rapporti generali politici fra i due Stati, che l'Italia intende attenersi lealmente, come pel passato, ad una politica di cordiale amicizia col Regno saudiano quale è consacrata nel Trattato italo-saudiano del febbraio 1932. (Si tratta di cancellare l'impressione prodotta al Governo saudiano, sia da qualche iniziativa presa del Governo dell'Eritrea, precedentemente al conflitto saudiano-yemenita, di contatti con i capi ribelli dell'Assir, iniziativa non intonata alle istruzioni ministeriali, sia dal fatto che a Hodeida i saudiani ~ secondo quanto ha verbalmente detto Fuad Hamza al R. Incaricato d'Affari a Gedda ~ sono venuti in possesso di corrispondenze scambiate fra i ribelli stessi e taluni fuorusciti hegiazeni che godono in Eritrea della nostra ospitalità.

Tale politica di amicizia col Regno saudiano trova il suo naturale complemento negli ottimi rapporti esistenti fra l'Italia e lo Yemen. L'Italia si è quindi particolarmente compiaciuta della pace, testé conclusa fra i due Regni arabi, e della rinnovata fratellanza mussulmana, fra di loro confermata.

Il vicendevole rafforzamento dei due Regni arabi e l'eliminazione delle divergenze fra loro contribuirà a stabilizzare la situazione nella zona del Mar Rosso, e permetterà che i due Regni sviluppino le loro possibilità economiche.

b) Nel campo economico, che l'Italia, prossima al Regno arabo saudiano con la sua Colonia Eritrea, farà il possibile per dare incremento ai reciproci traffici nell'interesse comune dei due Paesi, e confida che anche da parte saudiana si adottino provvedimenti che valgano a facilitare gli scambi ed inoltre

che il Governo saudiano, per eventuali richieste di forniture, di specialisti ecc., si rivolga altresì alle industrie ed ai tecnici italiani.

La Direzione Generale Affari Politici III in occasione della visita di Fuad Hamza a Roma si proporrebbe di prender opportuni accordi con l'Ufficio Stampa di S. E. il Capo del Governo perché i nostri quotidiani commentino simpaticamente tale visita, ed in particolare mettano in rilievo il significato della visita stessa, che rappresenta il riconoscimento del leale atteggiamento di neutralità, adottato dall'Italia durante il conflitto fra Saudia e Yemen. Ciò specialmente per controbattere le insinuazioni contenute in pubblicazioni di taluni giornali egiziani, secondo i quali l'Italia durante il conflitto avrebbe parteggiato per lo Yemen e svolto un'attività ostile al Regno saudiano.

Naturalmente la stampa dovrà opportunamente accennare alla concomitante amicizia italo-yemenita, che non solo non contrasta con quella italosaudiana, ma la integra nell'interesse della pace nella penisola araba.

Si unisce un appunto con notizie biografiche sulla personalità di Fuad Hamza (1).

(l) -Autografo di Suvich. (2) -Cfr. n. 658, nota 4. (3) -Su questo colloquio Mussolini-Suvich del 10 settembre non si è trovata documentaz~one.
790

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T 3228/81 R. Ginevra, 10 settembre 1934, ore 20,40. (per. ore 22,30).

Ho avuto oggi una lunga conversazione con Henderson.

Valendomi di opportune considerazioni relative alla situazione politica attuale, gli ho dimostrato l'inopportunità ed inutilità di convocare il Bureau ed in qualunque modo riaprire discussione sulla questione del disarmo.

Egli ne ha convenuto e si è dichiarato disposto a rinunziare alla sua idea di una convocazione durante il periodo dell'assemblea e di rinviare il bureau al mese di novembre.

Ha accennato alla data del 6, ma ha consentito a subordinarla ad un esame (alla fine di ottobre) della situazione quale risulterà a quell'epoca, ed a conversazioni da a vere luogo al riguardo con le principali delegazioni.

A titolo informativo, aggiungo che confidenzialmente mi è stato detto che, a questo scopo, Henderson si recherà a Parigi a vedere signor Barthou a fine ottobre.

Il rinvio della convocazione del Bureau comprende anche il rinvio della convocazione di ogni e qualsiasi sotto-commissione, compresa quella per la fabbrica delle armi, che ha un particolare interesse per noi.

In vista di quanto precede, mi sembra inutile la presenza a Ginevra degli esperti militari che rinvio.

(l) Non si pubblica.

791

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A SOFIA, CORA

T. PER CORRIERE 1228 R. Roma, 10 settembre 1934.

Suoi rapporti 689 (l) e 3072 (2) del 18 febbraio e 14 agosto u.s.

La possibilità di attuazione di una politica sinteticamente chiamata Salonicco-Tracia e che in sostanza dovrebbe significare una intesa bulgaro-jugoslava a spese dei vicini del sud, con ripartizione di territori tra i due paesi e assegnazione di Salonicco alla Jugoslavia e della Tracia con sbocco all'Egeo alla Bulgaria, prospettata da V. S. anche come una possibile soluzione da meritare il nostro appoggio, per i vantaggi che ne potrebbero venire nei nostri confronti, non sembra trovare corrispondenza negli elementi della situazione quali per altri lati vengono riferiti da codesta R. Legazione. Se vi è un notevole sforzo verso un avvicinamento bulgaro-jugoslavo, vi sono anche le profonde delusioni patite, le tradizioni macedoni, tutto un passato da scancellare.

Né è un sintomo rassicurante che siano proprio gli agrari estremisti facenti capo al giornale Pladne e soprattutto l'ex-ministro Kosta Todorof, notoriamente sovvenzionato da Belgrado che si facciano banditori di una politica di intesa sulla base della formula « Salonicco-Tracia ».

Finché sussistono i dati di fatto politici e militari della situazione balcanica degli ultimi anni, non vi è dubbio che la direttiva politica italiana intesa a non rafforzare e possibilmente indebolire il complesso jugoslavo, ad evitare l'unione panslava della Jugoslavia e della Bulgaria, a salvaguardare l'integrità albanese e greca, è una politica che sembra tuttora corrispondere ad un fondamentale interesse italiano di equilibrio e di sicurezza in Adriatico, sulla nostra frontiera orientale nonché nel Mediterraneo orientale. La Jugoslavia a Salonicco significa l'affacciarsi della Jugoslavia al Mediterraneo, sul mare libero e con porto proprio, significa la sua maggiore e forse definitiva sicurezza in Macedonia. Sembra quindi che l'idea di patrocinare fin d'ora un accordo bulgaro-jugoslavo con finalità di perfino nuove sistemazioni territoriali sia per lo meno prematura, tanto nei riguardi della situazione politica interna bulgara (naturalmente salvo diverse precise indicazioni di V. S.) quanto nei riguardi della situazione balcanica e sopratutto dei rapporti itaJo-jugoslavi. Fintanto che la Jugoslavia permanga, almeno potenzialmente nemica e parte integrante del sistema francese di alleanze orientali, un avvicinamento e in sostanza una pacificazione tra Jugoslavia e Bulgaria non può significare che un rafforzarsi della prima e quindi un danno per noi.

Nelle considerazioni che precedono non vi è certamente alcun apriorismo, nessuna pregiudiziale sistematica ad un mutamento di direttive. Non sfugge certamente il vantaggio che in nuove determinate situazioni potrebbe risultare da una Bulgaria rinfrancata e rafforzata, moralmente e territorialmente, come

pure da una sincera e profonda trasformazione di rapporti tra noi e la Jugoslavia. Ma è tutta una politica di cui oggi è ancora prematuro parlare come di politica attuale.

Da quanto diligentemente riferito da codesto R. Ufficio non si trae l'impressione di essere in presenza di una politica definita e di qualcosa di più di un semplice miraggio di comprensibile fascino.

Tutto quanto è stato da lei segnalato è certamente pieno di interesse e va attentamente seguito, ma perché possa rendersi opportuno un nostro cambiamento così radicale di indirizzo occorre che divenga qualche cosa di più di un semplice moto tendenziale e sia poi accompagnato anche da altre circostanze di politica generale che è ancora prematuro prevedere se e quando potranno realizzarsi.

(l) -Non pubblicato. (2) -Telespr. 3072/897, non pubblicato.
792

APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

Roma, 10 settembre 1934.

Questioni franco-italiane: d'ordine generale: disarmo, [questione] navale, Austria-Danubio etc., patto politico (extra-Locarno), Tunisi; d'ordine particolare: Libia, Oceano Indiano; d'ordine economico: contingenti, etc.

793

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL SOTTOSEGRETARIO DELL'ARABIA SAUDITA, HAMZA

APPUNTO. Roma, 10 settembre 1934.

Il Sottosegretario di Stato Fuad Hamza è venuto a trovarmi e ad espri

mermi il compiacimento del Re Ibn Saud e del Governo hegiazeno per i buoni

rapporti esistenti fra i nostri due Paesi. Egli intende approfittare di questo

suo soggiorno a Roma e della udienza che il Capo del Governo ha voluto con

cedergli per esporre le grandi linee della politica dello Hegiaz e cercare i punti

di contatto con la politica italiana. Egli si professa un ammiratore del Regime

dal quale l'Hegiaz -che è all'inizio del suo sviluppo statale -ha molto da

imparare.

Il Sottosegretario di Stato Fuad Hamza mi dice che la politica del suo

Paese, pure conservando i migliori rapporti di amicizia con la Gran Bretagna,

non vuole appoggiarsi esclusivamente su quel Paese e cerca quindi anche l'appoggio dell'Italia il cui prestigio è molto aumentato nei paesi dl Oriente. L'Hegiaz ha anche interesse che altre potenze, oltre l'Inghilterra siano attive nel Mar Rosso, perché il Mar Rosso deve essere mare libero e non un lago chiuso sottoposto ad un'unica influenza come oggi è diventato ad esempio il Golfo Persico.

Rispondo al Sottosegretario agli Esteri dell'Hegiaz che la politica del suo paese rientra perfettamente nelle linee della politica italiana. Noi abbiamo il massimo interesse all'armonica convivenza dei due regni arabi sull'altra sponda del Mar Rosso ed abbiamo ammirato perciò la saggezza con la quale il Re Ibn Saud si è regolato nel recente conflitto. Noi vogliamo coltivare allo stesso titolo l'amicizia coll'Hegiaz e con lo Yemen. Ci siamo trovati in questa nostra politica d'accordo con la Gran Bretagna, come lo dimostra l'azione concordata svolta in occasione del recente conflitto.

Come Fuad Hamza già sa, il Capo del Governo si occupa con speciale interesse della sorte e dello sviluppo dei Paesi arabici coi quali vogliamo intensificare i nostri rapporti politici, economici e culturali.

L'apporto alla intensificazione degli scambi nei campi suaccennati deve essere dato tanto dall'una parte che dall'altra.

Fuad Hamza mi parla poi degli altri paesi arabi, della situazione difficile della Siria, che la Fran~ia vorrebbe smembrare, e della intollerabile posizione degli Arabi in Palestina, ove gli Ebrei prendono sempre più piede. Mi parla anche della politica fluttuante della Turchia che un paio di anni fa egli aveva trovato completamente italofila, mentre ora ha un atteggiamento poco amichevole nei riguardi dell'Italia.

794

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 10 settembre 1934.

Il Conte Chambrun è venuto da me come d'accordo per occupare! della preparazione della visita di Barthou in Italia. Mi dice che a suo modo di vedere i problemi sui quali dovremo fermare la nostra attenzione sono il disarmo, la Tunisia e le frontiere libiche.

Gli osservo che, dato che il Capo del Governo e il Ministro degli Esteri francese parleranno certamente anche di altri argomenti, converrebbe esaminare almeno i principali fra questi, per sgomberare il terreno di tutta la parte di dettaglio e lasciare alla discussione fra i due uomini di Stato soltanto la parte sostanziale.

D'accordo che sul problema della Tunisia e dei confini libici si tratta di arrivare alla redazione di un accordo per cui durante l'incontro rimarrà da apporvi soltanto la firma.

problemi quindi che potrebbero essere esaminati sarebbero: il disarmo (eventualmente la questione navale); tutta la questione dell'Europa Centrale con speciale riguardo all'Austria; le questioni della Libia e dell'Africa orientale; questioni di ordine economico (contingenti, ecc.).

Il Signor Chambrun è d'accordo. Vorrebbe che nell'esame di tali questioni non si trascurassero le preoccupazioni che si hanno oggi tanto in Francia che in Italia per la pace di Europa.

Gli rispondo che evidentemente, questo a cui egli accenna è il problema centrale delle discussioni fra i due Paesi.

Chiedo all'Ambasciatore se nelle intenzioni di Parigi ci sia la conclusione anche di un accordo di carattere più comprensivo fra Francia e Italia, un accordo per esempio, che porti alla collaborazione fra i due Paesi in alcuni campi politici ed economici.

L'Ambasciatore mi risponde che in Francia si desidera conchiudere un patto di amicizia con l'Italia e mi chiede che cosa se ne pensi da noi.

Gli rispondo che, salvo il nome e il carattere del Patto, la cosa potrebbe essere accolta con favore in Italia sotto determinate condizioni. L'Italia, per quanto desideri di migliorare e approfondire i suoi rapporti con la Francia, non può perdere quella sua posizione di equilibrio che trova espressione in varie manifestazioni internazionali come nel Patto di Locarno. Da noi non si potrebbe ammettere di rinunciare alla indipendenza della nostra politica per seguire degli altri sistemi.

Il Signor Chambrun osserva molto vivacemente che non si tratta assolutamente di questo, che la Francia non vuole imporre in modo assoluto le proprie direttive politiche all'Italia, ma intende mettere le questioni tra Francia e Italia sul piede della più assoluta parità e che la Francia non aspira ad alcuna egemonia. Ciò ha voluto mettere in preciso e particolare rilievo il Signor Barthou, nelle istruzioni date a lui, Chambrun.

Rispondo che questo è evidente né noi potremmo trattare su piede diverso. Ma c'è anche un altro elemento da considerare per stabilire dei rapporti amichevoli e duraturi con la Francia. L'Italia ha l'impressione di avere subito dei torti molto gravi, nella costituzione del nuovo ordine politico derivato dalla guerra. Lo hanno riconosciuto anche diversi uomini politici francesi fra cui anche il signor Herriot nel suo discorso di Tolosa. In Italia non si comprenderebbe un avvicinamento alla Francia se non fosse riparato almeno in parte a questi torti. A ciò può servire un'equa applicazione dell'art. 13 del Trattato di Londra, che deve formare oggetto delle nostre attuali conversazioni.

Il Signor Chambrun riferirà al proprio Governo perché voglia tener conto di queste circostanze. Chiede quale metodo si deve seguire nelle attuali conversazioni. Egli pensa che potremmo nei prossimi giorni iniziare l'esame dei problemi concreti per precisare i rispettivi punti di vista, e poi ritrovarci la prossima settimana per passare ad una fase conclusiva.

Non ho obiezioni al riguardo.

Sulla questione del disarmo l'Ambasciatore mi dice che la preoccupazione del suo Governo è quella di trovarsi in disaccordo fondamentale col Governo italiano, dopo che l'incontro fra il Capo del Governo e Barthou avesse potuto chiarire i reciproci rapporti. Il Governo francese d'altra parte si rende conto che in questo momento non si può arrivare a una convenzione con l'a<!lesione della Germania; anzi il Governo francese preoccupato dalle ultime manifestazioni dello spirito di rivincita e imperialista tedesco ritiene che si debba agire con la massima circospezione nel fare delle concessioni di armamenti alla Germania.

Gli osservo che il punto di vista italiano è sempre quello del nostro memorandum, che tanto più si dimostra opportuno quanto più il tempo passa e la Germania più riprende la propria libertà di movimento.

Certo che il momento attuale non è favorevole per un accordo perché da una parte la Francia vorrebbe limitare la concessione più o meno già fatta, mentre la Germania dichiara che non le bastano le armi difensive.

L'Ambasciatore Chambrun dice che il suo paese si preoccupa sopratutto della possibilità di legalizzare le infrazioni fatte dalla Germania.

Gli rispondo che noi non siamo stati mai per legalizzare puramente e semplicemente le infrazioni commesse dai tedeschi. Noi siamo stati invece favorevoli a discutere per aggiornare di mutuo accordo le disposizioni dei trattati secondo le nuove esigenze. Quindi questo timore francese non ha ragione di essere. Mi pare quindi che ci siano alcuni punti nel campo del disarmo e lasciando da parte per il momento ogni idea di una convenzione, sui quali possiamo trovarci d'accordo: 1°) necessità da parte nostra di mantenere gli armamenti esistenti; 2°) non legalizzare senz'altro le infrazioni ai trattati commessi dalla Germania. Si potrà anche esaminare la possibilità di informazioni reciproche prima di assumere atteggiamenti precisi nella questione del disarmo.

Tutto questo è detto a titolo di conversazione, senza nessun impegno, riservandomi di esaminare la cosa più a fondo. E tutto ciò è per venire incontro ai desideri francesi perché noi per conto nostro non domandiamo nulla nella questione del disarmo.

Il Capo del Governo è persuaso che nel momento attuale non ci sia nulla da fare. L'Ambasciatore Chambrun si riserva di ritornare sull'argomento nella prossima riunione che viene fissata per mercoledì alle ore 17 (l).

795

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI DI GERMANIA, SMEND

APPUNTO. Roma, 10 settembre 1934.

Il signor Smend mi comunica l'allegato Memorandum (2) con cui la Germania risponde all'invito rivoltole di partecipare al Patto orientale.

Il signor Smend mi legge il Memorandum e me lo commenta chiedendo anche le mie impressioni.

Gli rispondo che il documento dovrà essere esaminato più profondamente. Ad ogni modo, come mia impressione personale posso dirgli fin da ora:

l) che molte delle critiche fatte dal governo tedesco al progetto del Patto orientale appaiono fondate perché effettivamente il patto non è chiaro, contiene molte imprevisioni e lacune ed è di difficile applicazione.

3) Pare tuttavia che la posizione, almeno formale creata alla Germania col patto, sia favorevole, in quanto Germania, Francia e Russia vengono messe su un piede di assoluta parità ciò che costituirebbe un passo verso la Gleichberechtigung.

3) Non pare possa affermarsi che lo spirito del patto sia quello di accerchiare la Germania, ma che invece lo stesso sia ispirato dal criterio (salvo a discutere se raggiunge o no il fine) di creare una base di sicurezza in Oriente, come con Locarno è stata creata in Occidente.

(l) -Cfr. n. 804. (2) -Non si pubblica: cfr. Akten, vol. III, l, pp. 385-390.
796

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 3299/1477. Berlino, 10 settembre 1934.

Il signor François-Poncet che trascorse gli ultimi venti giorni in Francia mi disse questa mattina che il signor Barthou gli aveva comunicato, a Parigi, il rapporto del Conte de Chambrun sul recente colloquio avuto con l'E. V. Tale documento gli era sembrato molto soddisfacente e poteva assicurarmi che il signor Barthou era animato dalla più ferma intenzione di condurre i negoziati con l'Italia in modo da giungere ad una risoluzione completa delle varie questioni in sospeso fra i due Paesi. Egli voleva infatti raggiungere non già una intesa su qualche punto, ma un accordo generale che fosse di natura tale da costituire la solida base per la politica estera della Francia e dell'Italia durante un lungo periodo. Il signor Barthou intendeva recarsi a Roma, verso la fine di ottobre, in un'epoca cioè non tanto prossima appunto perché desiderava che vi fosse tutto il tempo necessario per discutere a fondo i vari problemi. Egli desiderava durante il suo soggiorno in Italia poter mettere la sua firma al documento che doveva costituire la «magna carta» della solidarietà latina.

Espressi al mio collega francese la viva soddisfazione che provavo per le notizie da lui datemi. Aggiunsi sperare che a Parigi si volessero considerare veramente senza preconcetti, cosi come la situazione politica lo imponeva, le richieste dell'Italia.

François-Poncet mi rispose ch'egli sperava che il Conte de Chambrun sarebbe riuscito a farsi esatto interprete del pensiero di V. E. circa le varie questioni discusse. Non sarebbe mancato ad ogni modo all'E. V. il modo di fare eventualmente conoscere al signor Barthou per un altro tramite quali fossero i postulatì italiani. Quanto maggiore fosse la chiarezza al riguardo, tanto maggiore sarebbe stata la probabilità del successo, perché -teneva a ripetermelo -il signor Barthou è veramente deciso dì giungere ad una conclusione che era del resto richiesta dalla gravità della situazione politica.

Francia e Italia, in pieno accordo con l'Inghilterra, avrebbero avuto forse assai presto da esaminare situazioni delicate create dall'inerzia mantenuta di fronte al riarmamento della Germania. Fra pochi mesi il Reich avrebbe disposto di una Reichswehr di 300.000 uomini, affiancata dall'« Arbeìtsdienst », vera e propria fucina di riservisti, dato che i giovani addetti alle varie opere pubbliche ricevono l'istruzione militare. La « Hitlerjugend » costituiva poi la riserva per il futuro. In uno Stato in cui si era creata l'atmosfera che esiste in Germania, dopo il trionfo del Nazionalsocialismo, tutto ci si poteva attendere da un momento all'altro.

Il signor Françoìs-Poncet non escludeva neppure che in epoca più o meno lontana i tre Stati occidentali d'Europa dovessero trovarsi nella necessità di esaminare di comune accordo situazioni che potrebbero verificarsi nell'URSS onde evitare che i rispettivi interessi potessero esserne lesi. Quest'osservazione del mio collega francese mi è parsa particolarmente interessante perché confermerebbe l'impressione manifestata dall'Ambasciatore Attolico che l'alleanza franco-sovietica non dovrebbe essere cosa tanto facile da realizzare.

Molte altre, secondo François-Poncet, erano le questioni che avrebbero potuto rendere necessarie consultazioni tra Italia, Francia ed Inghilterra.

Egli mi disse inoltre che naturalmente la questione che preoccupava maggiormente Barthou erano le relazioni dell'Italia con la Piccola Intesa, soprattutto con la Jugoslavia. Era intenzione del Ministro degli Affari Esteri francese di esercitare una forte pressione sul Re Alessandro, sovrano intelligente ed illuminato, per indurlo a mutare il proprio atteggiamento verso l'Italia. Naturalmente il signor Barthou contava sopra una minore condiscendenza anche da parte dell'Italia nei riguardi della Jugoslavia e soprattutto sopra un minore disprezzo della Piccola Intesa. In Francia si sapevano valutare le forze costituenti la Piccola Intesa: non si faceva gran conto della Romania, di cui Titulescu era il degno Ministro degli Affari Esteri; ma si apprezzavano invece la Cecoslovacchia, paese serio, ed il signor Benes e si ricordava che la Jugoslavia si era sempre mostrata correttissima verso la sua grande alleata.

n signor Barthou voleva dunque intrattenere a lungo il Re Alessandro durante il suo soggiorno a Parigi in ottobre e soltanto dopo questa visita recarsi in Italia per concludere l'accordo a cui attribuiva un così grande valore.

Il grande prestigio di cui era circondato il nome di V. E. in Francia era uno degli elementi che avrebbero maggiormente facilitata l'intesa franco-italiana. Tutti gli uomini di stato francese che avevano infatti avvicinato l'E. V. avevano tratto dai loro colloqui l'impressione che l'intenzione di accordarsi colla Francia fosse sincera da parte del Capo del Governo d'Italia e ch'Ella, al pari del signor Barthou, scorgesse in un accordo fra le due grandi Nazioni latine la maggiore garanzia per la pace in Europa.

797

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEf?PR. R.V. 8908/1079. Budapest, 10 settembre 1934.

Miei telegrammi nn. 149 e 151 (1).

l. Il Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio, facendo la comunicazione relativa all'articolo de La Stampa di Torino del la settembre, dal titolo « Goemboes riferirà a Roma sui colloqui di Varsavia » -articolo che è stato qui riportato dal Magyarsàg come «!ispirato dai circoli competenti italiani» -ha aggiunto che il Presidente personalmente non dava importanza all'« infelice espressione», ma che le opposizioni, specialmente quella legittimista, si apprestavano a deporre alla Camera una interpellanza per sapere se *«il Capo del Governo ungherese, nel giudizio dell'Italia, fosse un prefetto del Regno». Mi pregava quindi di metterlo in grado di dichiarare che il Ministro d'Italia gli aveva fornito soddisfacenti spiegazioni sulla cosa * (2).

Il secondo segretario di questa R. Legazione, nel raccogliere la comunicazione, ha risposto al Maggiore Petnehazy: l'articolo de La Stampa, che poi era una corrispondenza da Praga, non poteva essere ispirato dato che i compatenti organi italiani erano stati messi al corrente della smentita ungherese alla notizia del viaggio del Presidente a Roma per l'autunno; lo sorprendeva l'apprendere che così futile motivo potesse servire di pretesto antitaliano a quell'opposizione legittimista che, per pubblica dichiarazione del suo capo, il Conte Sigray, rimproverava anzi al Presidente Goemboes di «compromettere l'amicizia con l'Italia attraverso il suo marcato orientamento verso Berlino; non vedeva infine come il Ministro d'Italia potesse fornire sue spiegazioni sulle espressioni più o meno felici di un giornale.

Confermerò questa risposta, aggiungendo che ho informato della cosa codesto R. Ministero pregandolo di esaminare se sia possibile fare pubblicare da La Stampa una noticina di redazione con cui si confuta l'asserzione del Magyarsàg che l'articolo in questione era ispirato dai circoli competenti.

2. Quello che più conta rilevare dal complesso della comunicazione è che «la stampa di opposizione morde il freno», «alla Camera, che si riapre fra qualche settimana, si prepara un attacco sulla politica estera, attacco di cui

circa le reazioni del Governo ungherese nei riguardi dell'articolo della stampa e di quello di Bethlen.

il Governo non può non preoccuparsi data la delicata attuale situazione dei

partiti~

Non volendo far trapelare le sue apprensioni per le notizie di nostre trattative in corso o prossime con la Francia e gli Stati della Piccola Intesa, e forse per l'assenza di comunicazioni del R. Governo sulla portata di tali notizie, il generale Goemboes, *temendo in altra forma di riuscire sgradito alla persona di S. E. il Capo del Governo, ha evidentemente inteso di avvertirci che, perdurando l'attuale situazione di incertezza di questa opinione pubblica, potrebbe venire a trovarsi esposto a qualche serio imbarazzo*.

Sembra indizio poco promettente il tono dell'articolo Bethlen, pubblicato sul Pesti Naplo, che rappresenta la prima rilevante manifestazione di questi circoli politici. Espressioni come questa: *«L'Ungheria non può accontentarsi del ruolo di un oggetto di inventario »; «il Governo ha il dovere di richiamare l'attenzione del Governo dell'amica Nazione italiana ~; « il pianto del bambino muto non è sentito da nessuno ~; « non ho minimo dubbio che Mussolini, il grande amico della Nazione magiara, non ci comprenderà», sono chiari inviti al Governo di uscire dal suo riserbo *.

3. Nella conversazione col secondo Segretario della R. Legazione, il Capo della Segreteria del Presidente ha definito « una sciocchezza del Ministero degli Esteri» la smentita ufficiale al viaggio a Roma di Goemboes dopo Varsavia (mio telespresso n. 8504/1031 del 28 agosto u.s. (1), aggiungendo che «forse il Presidente del Consiglio si prepara già a far visita al Duce».

Ieri lo stesso autore della smentita, il barone Apor, che in questo momento fa la spola fra il Governo ed il Conte Bethlen, rientrato alla Capitale dopo lunga assenza, mi diceva che « una visita del Presidente Goemboes a Roma servirebbe a disperdere certi equivoci l>.

E stamane il giornale che aveva pubblicato la notizia del viaggio, il Magyar Retto, sotto il titolo «La smentita alla smentita ufficiale~. mette in rilievo l'articolo... incriminato de La Stampa, e si domanda: «Non sappiamo a chi credere: a noi stessi, che scriviamo sempre la verità, alla smentita ufficiale oppure al giornale semiufficioso del Governo italiano, che forse non è in errore? Il semiufficioso italiano ha smentito la smentita ufficiale ungherese. Consigliamo la «fonte competente» di usare maggiore cautela nel pubblicare le smentite l>.

L'A Reggel poi pubblica che forse sarà differito il viaggio del Presidente Goemboes a Varsavia e che l'« abituale viaggio~ a Roma non è in relazione con quello, «perché il Patto italo-ungaro-austriaco, concluso nel marzo scorso, rende desiderabile la più stretta collaborazione nel campo della politica estera. *Nel corso dell'autunno perciò il Presidente del Consiglio si recherà immancabilmente a Roma:..

Dove si vede che qui si attende un invito e si vuole tranquillizzare l'opinione pubblica con la prospettiva della visita al Duce. *

59 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

(l) T. 3189/149 R. del 7 settembre e t. 3213/151 R. del 9 settembre, non pubblicati: riferivano

(2) Questo e i successivi passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussolin!.

(l) Cfr. n. 737.

798

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3236/84 R. Ginevra, 11 settembre 1934, ore 16,13 (per. ore 18,15).

Cancelliere austriaco giunto ieri.

Come da intesa iersera invitatomi pranzo e successivamente intrattenutoml lunghissimo colloquio presente anche ministro degli affari esteri.

Sinteticamente enumero punti fermi raggiunti nella serata:

l) Con assoluta deferenza verso V. E. hanno entrambi riconosciuto che proposta patto politico debba essere lasciata iniziativa Italia;

2) Sono rimasti convinti opportunità che aderiscano Francia e Inghilterra e che prime firmatarie offrano poi anche alla Germania di partecipare.

3) Sono disposti lasciare patto aperto firma altri Stati (Piccola Intesa).

4) Concordano nella necessità di una formula semplice che consenta tutta la necessaria elasticità alla nostra azione di difesa Austria. A tale proposito ministro degli affari esteri mi ha accennato possibilità adottare come falsariga formula di cui telegramma R. legazione a Vienna n. 310 in data 8

u.s. (1).

5) Unica formalità richiesta è che nella formula sia evitato solito concertarsi dei firmatari per decidere azione comune in caso bisogno ma si lasci iniziativa a ciascuno per evitare che malvolenza di uno solo possa ritardare ovvero sabotare azione degli altri.

Successivamente cancelliere parlatomi difficoltà bilancio statale. Mantenimento forze militari altezza compito che Europa aspetta da Austria impone sacrifici. Ho risposto che mi rendo conto difficoltà espostemi per quanto rapporti nostri esperti mi avessero fatto ritenere situazione migliorata negli ultimi tempi, ma che ritenevo assoluta necessità non fare per il momento alcun cenno prestito per evitare abbinamento patto politico a concessioni finanziarie. Ho aggiunto che d'altronde conclusione patto col rafforzare sicurezza Austria avrebbe notevolmente diminuito bisogno spese militari mentre progettata conversione prestito avrebbe apportato altro sensibile alleviamento condizioni bilancio.

Ministro riconosciuta opportunità soprassedere per suesposte ragioni, ma ha tenuto ad insistere necessità aiuto riferendosi insieme con cancelliere a promessa ricevuta da V. E. Come già riferito stamane telefonicamente S. E. Suvich, reputo opportuno informare al più presto colleghi Francia e Inghilterra della intenzione manifestata dal Governo di Vienna di addivenire ad un patto e della nostra adesione a tale punto di vista nei termini sopra esposti.

Intanto avendomi cancelliere fatto vive premure per iniziare subito trattative, prego V. E. compiacersi impartirmi urgenza istruzioni linee generali patto che dovrò negoziare tenendo presente che maggiori difficoltà sembrano venire da Governo inglese (l).

(l) Cfr. n. 781.

799

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3235/85 R. Ginevra, 11 settembre 1934, ore 16,13 (per. ore 18,15).

Secondo gli ordini di V. E. e servendomi dei due telegrammi comunicatimi (2), ho attirato iersera attenzione del cancelliere austriaco sull'inopportunità dell'ingerenza del Governo inglese nella politica interna austriaca e sull'urgenza di provocare l'allontanamento di Selby da Vienna.

Cancelliere si è mostrato del mio avviso e ministro degli affari esteri austriaco, dietro mio suggerimento, ne parlerà a sir John Simon.

800

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PO~TA 5841/1589. Belgrado, 11 settembre 1934 (per. il 15).

A seguito dei rapporti da me in precedenza inviati a V. E. relativamente all'attività nazista in Jugoslavia e con particolare riferimento alle comunicazioni ed informazioni di cui ho avuto occasione di prendere a Roma diretta conoscenza circa l'eventualità e la possibilità di organizzate, e più o meno prossime, incursioni in Austria di formazioni naziste inquadrate in Jugoslavia, ho l'onore sciogliendo la riserva verbale fatta costà, di attirare la cortese attenzione di V. E. sui seguenti elementi di giudizio relativi alla questione indicata qui sopra:

a) le diligenti indagini e gli esatti rapporti fatti dal R. Console Generale in Lubiana sui concentramenti di profughi nazisti in Jugoslavia, portano, nel loro complesso ad escludere, almeno per il momento, l'or~anizzazione dei concentramenti stessi come punti di partenza di nuove formazioni destinate a future incursioni od azioni in Austria poste in essere ed effettuate con il beneplacito, e con l'aiuto, più o meno aperto, del Governo jugoslavo;

b) l'esclusione di tale possibilità sembra essere confermata dall'ormai sicura smentita data dal R. Console Generale in Lubiana e da questo Addetto Militare alle voci, provenienti da Vienna e da Zagabria sul concentramento alla frontiera austriaca di due Reggimenti jugoslavi di Alpini. L'assenza di forze

militari, la cui presenza sembrerebbe essere necessaria per mantenere nel caso di formazioni di regolari legioni naziste quell'ordine pubblico che normali forze di polizia non basterebbero ad assicurare, è nuova riprova della non organizzazione di tali supposte nuove legioni;

c) le dichiarazioni fatte da Jevtich ai giornalisti stranieri a Bled il giorno 6 settembre devono, pur ammettendo i tradizionali tortuosi metodi jugoslavi e le consuete riserve mentali di questi politici essere considerate sufficientemente esplicite ed impegnative sull'a;:-gomento. Esse dicevano testualmente: «Come Stato civile noi siamo in dovere nello stesso modo come lo sono gli altri Stati, di offrire ai profughi politici il diritto d'asilo. Ma quando da diverse parti si afferma che la Jugoslavia rende possibile a questi profughi politici di riorganizzarsi e di preparare un'azione politica contro l'Austria in territorio jugoslavo, allo1·a devo rilevare che il Governo jugoslavo non tollererebbe mai una simile azione. Rilevo inoltre che tutte le notizie che si riferiscono all'aiuto da parte dei circoli jugoslavi alle tendenze dei nazional-socialisti, tendono soltanto a rovinare le relazioni tra la Jugoslavia e gli Stati vicini».

d) un ultimo elemento, ed il più importante, sembra infine escludere la supposta formazione in Jugoslavia di legioni austriache naziste analoghe a quelle già esistenti in Baviera: la necessità per la Jugoslavia di non oltrepassare con il suo atteggiamento verso i nazi e con la sua politica verso la Germania, almeno per il momento, quei limiti massimi segnati dalla sua appartenenza e dalla sua fedeltà, *almeno formale* (1), al sistema francese. E ciò malgrado la poca chiarezza della politica francese verso Belgrado negli ultimi tempi, dovuta però forse, come ebbi a segnalare a V. E. con mio rapporto n. 54.75/150 del 25 agosto (2), in primo luogo all'atteggiamento ed alle idee fondamentalmente antitaliane di questo Ministro di Francia. Poiché infatti accanto al dissidio fra il Quai d'Orsay e questo Ministero degli Affari Esteri, opera la supina difesa di qualsiasi atteggiamento jugoslavo di questo signor Naggiar * (il cui padre era un siriano assunto nella carriera degli interpreti di Francia) *.

Che poi debba sussistere un limite, determinato anche da un minimo di pudore politico, a qualsiasi manifestazione anche soltanto di tolleranza simpatica verso il nazismo sta ad indicarlo, oltre tutto, anche l'imminente viaggio ufficiale di Re Alessandro a Parigi.

Ma se il complesso degli elementi sopracitati porta, almeno per il momento, ad escludere la possibilità della formazione, grazie ad un appoggio di questo Governo di nuove effettive regolari formazioni naziste pure organizzate in vere e proprie legioni e destinate a prossime incursioni in Stiria ed in Carinzia come alla utilizzazione dei nazisti qui rifugiatisi, per future azioni in Austria, il complesso degli avvenimenti verificatisi alla frontiera austrojugoslava dai fatti di luglio in poi, il lavorio svolto dagli agenti germanici in sicura collaborazione con agenti jugoslavi specialmente durante l'estate, in Slovenia ed in Croazia, l'atteggiamento delle popolazioni di tali regioni aper

(l} Questo e i successivi passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussollnl. (2} Non pubblicato.

tamente simpatizzante per il nazismo, il libero corso dato a tali simpatie dalle autorità locali in un paese dove nulla può essere espresso senza il loro beneplacito, una effettiva organizzazione di propaganda nazista col cartello della assistenza (rapporto da Lubiana del 1° settembre n. 352 R. (l) da me non ancora conosciuto quando ero costà) ed infine l'atteggiamento e la stessa ambigua politica svolta dal Governo di Belgrado, tutto porta in conclusione a provare non solo un generico favoreggiamento dei profughi nazisti, ma una vera e propria politica jugoslava inequivocabilmente tendente ad assicurarsi la simpatia negli orientamenti delle cancellerie europee.

Ma pur sempre con i limiti di pudore che ho sopra indicati.

Occorre perciò in ogni caso fare una netta distinzione fra concorso, o consenso anche tacito, a formazioni militari ex novo, o utilizzazione militare dei nazisti rifugiatisi in Jugoslavia per incursioni armate in Eustria con provenienza dalla Slovenia, e simpatia o tolleranza di simpatia per il nazismo, e la sua propaganda. Certo è un poco anche scherzare col fuoco, ma è condizione pericolosa connessa a qualsiasi politica equivoca. Dico scherzare col fuoco poiché già scrissi, e dissi anche a S. E. il Capo del Governo, da quante diverse parti e per quali differenti motivi sorgessero in Jugoslavia simpatie per il nazismo. Specie poi in Slovenia (così a contatto con la Carinzia dove, insieme alla Stiria, il nazismo ha il massimo dei suoi aderenti), dove Belgrado ha così forti opposizioni, benché tacite.

Quali siano i favoreggiamenti, gli aiuti, gli incoraggiamenti dati dalle autorità jugoslave ai profughi nazisti è stato esattamente riferito a V. E. dal R. Console Generale in Lubiana (che è fra i miei collaboratori più attenti e precisi) e mi viene ora confermato dal Segretario di Legazione Alessandrini che ha (tornando da Bled) percorso durante i giorni scorsi le regioni nord della Jugoslavia constatandovi la cordialità estrema delle relazioni fra profughi vecchi e nuovi ed autorità locali, e avendovi raccolto notizie della costituzione di comitati fra cittadini jugoslavi per la raccolta di fondi in favore dei profughi ecc.

E' vero anche, e bisogna tenerne conto, che dal 3 o 4 corrente le autorità jugoslave hanno fatto allontanare da Maribor, cioè dalle immediate vicinanze con la frontiera austriaca, l'« Ufficio Centrale di aiuto ai profughi austriaci » costituito subito dopo i fatti del luglio.

Se da questi avvenimenti locali risaliamo a tutta la politica generale del Governo di Belgrado durante le ultime settimane rileviamo *un accrescersi d'intensità nelle manifestazioni in favore della Germania* che trovano la loro esatta corrispondenza, come rilevo dagli interessanti rapporti del R. Ministro in Praga, nelle tendenze sempre più chiaramente e logicamente manifestantisi in Cecoslovacchia per un avvicinamento all'Italia. Il *ritmo* di tali manifestazioni sembra * crescere* in Jugoslavia con l'avvicinarsi della data della visita di Barthou a Roma, ed attraverso di esse sempre più chiaramente si delineano le due politiche che la Jugoslavia più che praticare tiene pronte per quelle determinazioni che avessero a maturarsi fra altre Cancellerie europee, e sopratutto per il caso che esse abbiano a maturarsi a Roma.

Non è certo fra le più trascurabili *la mamfestazione germanofila * che trovo espressa nell'articolo dell'ex Ministro Jovan Jovanovich pubblicato a Berlino nella Europiiische Revue del mese di Agosto.

Ne trascrivo i passi più importanti:

«La politica estera della Jugoslavia ha esclusivamentp carattere difensivo e si basa sulla sicurezza; questo è quindi il significato del Patto della Piccola Intesa, del Patto Balcanico, dell'alleanza con la Francia e dell'avvicinamento alla Bulgaria ed alla Albania.

La politica dell'Italia ha influito in alta misura sull'attuale situazione nell'Europa sud-orientale. L'Italia ha assunto nella politica centri' europea e balcanica, la parte dell'ex Monarchia austro-ungarica. L'attuale alleanza della Jugoslavia con la Francia non è ur.a conseguenza della riconoscenza jugoslava per la Francia per l'aiuto durante la guerra oppure per l'aiuto che continua a ricevere dalla stessa, bensi è la conseguenza degli sforzi che l'Italia fa per isolare la Jugoslavia. Belgrado ha già tentato a suo tempo un accordo tripartito fra Jugoslavia, Italia e Francia, ma l'Italia non ha accettato il piano ed ha preso una direzione del tutto contraria.

E' quindi seguita l'alleanza tra la Francia e la Jugoslavia e la politica che ha portato alla visita di Barthou a Belgrado.

Però in Jugoslavia si manifesta sempre più senso e comprensione per la futura vita internazionale e per .la realtà. E ciò è stato dimostrato dalla conclusione del trattato di commercio con la Germania il quale ha creato la base per un costante aumento degli scambi fra i due Paesi e che può formare anche la premessa per delle conversazioni politiche. Il Trattato di commercio fra i due Paesi spiana la via per una più stretta collaborazione fra la Jugoslavia e la Germania. Senza Germania e senza Jugoslavia l'Europa sud-est non può venir organizzata. Il trattato di commercio fra la Germania e la Jugoslavia può servire anche di ammonimento indirizzato a coloro che credono che il problema delle relazioni fra gli Stati danubiani possa essere risolto senza la Germania. Può essere anche compreso come una risposta all'accordo italaaustriaco-ungherese, però esso non ha più il significato del « Drang nach Osten».

Tuttavia bisogna ammettere che esiste un certo «Drang » germanico il quale ha la sua origine nella stessa forza di espansione del popolo germanico di 66 milioni di abitanti. Mussolini fonda la sua politica estera sulle stesse particolarità quantunque l'Italia possegga Colonie ed il numero, nonché il suo incremento demografico sia inferiore di quelli della Germania. Perché dovrebbesi negare alla Germania, incuneata fra gli slavi ed i latini il diritto di uno sbocco?

La Jugoslavia si trova in una posizione favorevole perché dal 1919 non ha avuto con la Germania nessun disaccordo o conflitto. La Germania ha assunto un contegno positivo di fronte al consolidamento nei Balcani e specialmente di fronte al consolidamento delle relazioni fra la Jugoslavia e la Bulgaria cosa che va d'accordo con la politica Jugoslava, mentre invece non combina con la politica italiana che non riconosce il motto «I Balcani ai popoli balcanici».

La posizione della Jugoslavia nei Balcani e nel bacino danubiano dopo il rafforzamento delle relazioni con la Germania, diverrebbe più forte e più sicura.

Un'intesa della Germania con la Jugoslavia potrebbe appianare anche alcune difficoltà fra la Francia e la Germania ed in seguito a tale intesa la Jugoslavia non sarebbe come lo è stata finora «la porta'> bensì il «ponte fra l'occidente e l'oriente».

*Sembra * poi probabile che *la Germania compia qui in questo momento il massimo sforzo* (ho già segnalato nel mio telegramma di ieri (l) a V. E. il dubbio che il recente offensivo articolo del Vreme sia effetto dell'azione e del *denaro tedesco) se non per attirare a sé la Jugoslavia, almeno per opporla all'Italia prima che il viaggio di Barthou a Roma realizzi quella «riconciliazione fra Roma e Belgrado'>* che: a) segnerebbe la fine del favoreggiamento jugoslavo ai profughi nazisti e sopratutto l'impossibilità per la Germania, moralmente tenuta ad occuparsi di essi, di tutelarli come attualmente avviene attraverso il « Deutsche schwebisch Kulturbund '>; b) renderebbe più lontana nel tempo e ben più difficile la realizzazione dell'Anschluss; c) toglierebbe alla Germania una possibile alleata, particolarmente apprezzata sia per se stessa sia per l'isolamento in cui la Germania sente di cadere; d) metterebbe *un argine* per un tempo indeterminato all'ostinato sogno germanico del *« Drang nach Osten :.*.

Il Governo di Belgrado certo realizza il pensiero tedesco e sente quella minaccia tedesca che oggi diretta sull'Austria si ripercuoterebbe domani sulla Slovenia e sulla Croazia con non minore intensità e con non minori cieche pretese. Ma è ben certo, e ciò è provato in tutta la condotta jugoslava negli avvenimenti recenti ed in corso, che il Governo di Belgrado è dominato in questo momento ed in tale problema, come del resto in quasi tutti i momenti ed in quasi tutti i problemi della vita nazionale jugoslava, da un primo essenziale elemento per esso direttivo: la politica italiana. Da tale elemento il Governo jugoslavo, o dirò meglio il Governo di Re Alessandro, è dominato, non solo per realtà politica ma anche per reazione psicologica, in tale modo da subordinare ad esso qualunque altra considerazione o calcolo. Riporto le parole della Stampa del 10 se1ttembre che bene esprimono il pensiero primordiale ed essenziale di Belgrado nella questione austriaca: « L'Italia non può conquistarsi l'egemonia nel bacino danubiano con l'aiuto dell'Austria e dell'Ungheria poiché in tal caso essa unirebbe contro di sé persino degli avversari come lo sono la Germania e la Piccola Intesa. La Jugoslavia non tollererebbe assolutamente che la frontiera italiana sia prolungata sul nordovest jugoslavo'>.

A tale fondamentale pensiero, che corrisponde ad un inespresso ma indubbio timore dell'Italia Fascista odierna, la Jugoslavia subordina ogni suo atteggiamento e persino, nel suo più recondito intendimento, la stessa aderenza al sistema francese ove questo non significasse più per essa una sufficiente garanzia antitaliana, tenendo aperta, il più accortamente possibile ed anche a costo di facilitare con l'attuale politica una futura comparsa dei prussiani sulle Caravanche, la via ad un reale compromesso con Berlino.

Parmi in conclusione che la situazione presente giustifichi pienamente quello che scrivevo all'E. V. il 30 giugno u.s. con numero 1166 (l) e che qui mi permetto ripetere:

«Per dirla in linguaggio musicale, le dominanti jugoslave sono: a) *intangibilità del suo territorio, quindi non revisionismo. * Per altro ammissione sommessamente ripetuta, di possibilità di * raggiustamenti di frontiere verso l'Ungheria *però in altra atmosfera politica e sotto determinate condizioni generali; b) necessità di un lungo periodo di pace per ottenere la fusione delle differenti parti del Regno che se legate (salvo i 2 milioni di minoranze) da un generico sentimento slavo, presentano tuttavia difformità e disuguaglianze

con conseguenti pericolosi urti e conflitti e periodiche crisi che solo la esistenza di un lungo periodo accentratore e creatore di tradizioni unitarie potrà sanare; c) quindi sostanzialmente *volontà di pace *, non disgiunta per altro da

un freddo tenace prepararsi alla difesa, alla guerra, per la direttiva fondamentale a) così come per la direttiva b) persistere di un duro inflessibile regime interno senza ritorni morali e scrupoli di qualsiasi sorta.

Ne deriva che in politica estera:

l) la Jugoslavia si appoggerà sempre a quello Stato che, sia pure per proprio specifico interesse e per finalità proprie (né in politica può essere diverso), le assicuri la direttiva a) anche se la finalità c) prima parte, possa eventualmente essere compromessa;

2) e col progredire della sua situazione interna tenterà ad assumere sempre più, compatibilmente con la situazione internazionale, ad affermare una situazione di preminenza nei Balcani percorrendo gradualmente la marcia storica che porta alla unificazione di tutti gli slavi del sud, cioè per adoperare una espressione ormai comune, * la formazione della Jugoslavia integrale. *

Queste caratteristiche si ritrovano in tutti gli avvenimenti politici nei quali la Jugoslavia ha partecipato e partecipa, e spiegano ogni volta ed in ogni contingenza l'attitudine di Belgrado.

Occorrerà, io credo, un vasto e profondo rivolgimento europeo prima che le dominanti fissate abbiano a mutarsi. Ma è proprio per ciò che la politica estera jugoslava è poi praticamente comandata dall'attitudine italiana».

(l) -Per lP. istruzioni cfr. n. 806. (2) -Cfr. n. 760, allegati.

(l) Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 787.

801

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3240/88 R. Ginevra, 12 settembre 1934. ore 0.10 (ver. ore 2,45).

Stamane venuto vedermi Tewfik Ruschdi bey per lagnarsi nostra opposizione candidatura turca al Consiglio.

Ho risposto che non combattevamo affatto la candidatura turca ma semplicemente sostenevamo quella cinese non solo per ragioni di politica generale, ma anche per uniformarci alle tendenze manifestate più volte dal Governo turco di non voler essere considerato come asiatico.

Del resto istruzioni pervenutemi dal mio Governo erano di tenere nella migliore considerazione desideri turchi per cui qualora candidatura cinese dovesse rivelarsi incapace di affermarsi, R. Governo non sarebbe stato alieno dal considerare l'opportunità di appoggiare la candidatura turca.

Tewfik Ruschdi bey è rimasto pienamente soddisfatto. Del resto credo che malgrado ogni sforzo la candidatura cinese non potrà riuscire a sormontare tutte le opposizioni e noi saremo liberi di considerare la convenienza di accontentare i turchi.

(l) Cfr. n. 465.

802

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3251/92 R. Ginevra, 12 settembre 1934, ore 0,20 (per. ore 6 del 13).

Ho convenientemente illustrato a Barthou e successivamente a Simon e ad Eden il contenuto delle conversazioni avute col cancelliere austriaco.

Ho messo in rilievo che essendosi l'Austria rivolta all'Italia per ottenere una qualche forma di garanzia sufficiente, V. E. aveva favorevolmente preso in esame tale richiesta e aveva considerato l'opportunità di un qualche accordo al quale si associassero anche altre Potenze interessate. La forma di tale accordo non era ancora precisata ma era inteso che essa dovesse essere in armonia con i principi della collaborazione internazionale.

V. E. aveva infatti pensato di concordare con Francia e Inghilterra una forma d'accordo che soddisfacesse la richiesta austriaca, prospettando l'opportunità di una successiva adesione della Germania ed eventualmente anche di altri piccoli Stati.

Barthou si è dichiarato pienamente d'accordo ed anzi, allorché esaminando i vari lati della questione abbiamo entrambi convenuto doversi attendere la maggiore resistenza da parte inglese, egli si è spontaneamente offerto di sostenere la cosa presso Simon.

Come previsto, ho trovato presso ministro affari esteri inglese diversa disposizione d'animo che presso suo collega francese. Gli ho esaurientemente dimostrato quanto potesse riuscire pericoloso alla situazione internazionale il lasciare andare la cosa alla deriva e Simon giunto ad ammettere la ragionevolezza della richiesta austriaca e della nostra iniziativa e ha testualmente commentato che «l'Austria è per l'Italia ciò che il Belgio è per la Francia».

Ha aggiunto però essere impossibile proporre all'opinione pubblica inglese un qualunque impegno formale.

Prendendo lo spunto dall'esempio del Belgio, :t.o chiarito che noi riconoscevamo pienamente la graduazione di importanza che uno stesso problema presenta per i vari interessati. E' proprio per questo che V. E. aveva ventilata l'idea di un patto sufficientemente elastico da permettere una gamma di impegni corrispondente agli interessi di ciascuno.

Né ho potuto rinunziare a ricorrere anche all'argomento che quanto proponevamo all'Inghilterra lo proponevamo non solo per dare maggiore forza alla garanzia progettata, ma anche per conformarci al principio della collaborazione internazionale cui sappiamo essersi costantemente ispirata politica inglese.

Risultato del colloquio è stato il pieno riconoscimento da parte tanto di Simon quanto di Eden della fondatezza della tesi italiana. Al che ho risposto suggerendo di tradurre questa buona disposizione se non nella forma di impegno formale almeno in quella di una dichiarazione di appoggio inglese al patto eventualmente da stipularsi.

Entrambi mi hanno ammessa la possibilità di una tale forma di adesione da parte inglese, riservandosi di esaminare più a fondo la complessa questione.

803

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3254/589 R. Londra, 12 settembre 1934, ore 21,45 (per. ore 6 del 13).

Foreign Office ha ricevuto lunedì nota tedesca relativa patto orientale mutua assistenza; essa è stata comunicata a Simon a Ginevra, ma Foreign Office non conoscendo ancora impressione che ha fatto a Simon né giudizio di questi sul suo contenuto e sulla possibilità di un ulteriore sviluppo non si pronuncia.

Vansittart mi ha detto oggi o considerare nota tedesca come rifiuto o di entrare in negoziati.

E' vero che nell'ultima parte nota lascia adito alla possibilità di un patto consultivo, ma un tale patto, come egli stesso ebbe a dirmi, (mio telegramma per corriere n. 120) (l) non sembra al Foreign Office di nessun interesse e utilità.

Nota tedesca si fonda in gran parte sul discorso di Barthou a Bayonne, che fu quanto mai inopportuno, ma che da solo non giustifica atteggiamento tedesco.

In realtà Germania assunto fin dal primo momento atteggiamento ostile al patto, cercando sempre manàarlo a picco. Non sarebbe difficile rispondere alle obiezioni tedesche ma è dubbio oltre tutto che convenga farlo.

Sargent che ho visto dopo mi ha detto le stesse cose. Egli non crede che all'Inghilterra convenga rispondere nota tedesca.

Governo britannico non ha mai inteso partecipare ai negoziati ed è con il Governo francese e Governo dell'URSS che Germania deve entrare in discussione, per questo Foreign Office si è per ora limitato chiedere a Parigi quale sia giudizio francese sulla risposta tedesca.

Ho accennato a Sargent all'editoriale del Temps nel quale si prospetta possibilità patto sicurezza da concludersi provvisoriamente tra la Francia e paesi Europa Orientale, e che sarebbe aperto all'adesione della Germania.

Sargent mi ha risposto che tale patto non avrebbe alcun significato e alcun valore per pace Europa, né è da pensare che la Germania che ora si rifiuta entrare in negoziati con la Francia e URSS, domani aderirebbe ad un patto concluso tra questi due Paesi, senza la sua partecipazione.

Un patto di tal genere, d'altra parte, non presenterebbe quei caratteri garanzia multilaterale ai quali Governo britannico particolarmente tiene.

Tanto Vansittart quanto Sargent mi hanno parlato a titolo strettamente confidenziale, poiché nell'assenza di Simon, essi non credono di potersi pronunciare sull'atteggiamento che il Governo britannico in definitiva assumerà.

(1) T. per corriere 3110/0120 R. del 27 agosto, non pubblicato.

804

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 12 settembre 1934.

L'Ambasciatore Chambrun non ha ancora informazioni dal suo governo, ciò che egli attribuisce all'assenza del signor Barthou da Parigi, impegnato nelle gravi discussioni di Ginevra.

Mi chiede se posso dargli una risposta nei riguardi della iniziativa francese per una estensione del Piano danubiano alla Cecoslovacchia.

Gli rispondo che mi pare conveniente per ora lasciare in sospeso la cosa dato che a Ginevra si sta trattando una convenzione che riguarda l'Austria, dall'esito della quale potranno essere influenzati i rapporti con gli Stati vicini.

A prescindere da ciò non mi pare che il progetto francese sia la forma migliore per risolvere il problema: i rappresentanti diplomatici a Vienna non sono i meglio indicati per t:-attare tali questioni. D'altra parte l'argomento della estensione dell'accordo di Roma è così delicato che va trattato discretamente, mentre una riunione del genere di quella proposta a Parigi farebbe del chiasso e non gioverebbe probabilmente allo scopo.

L'Ambasciatore mi dice che a Parigi sarebbero ad ogni modo d'accordo con le osservazioni da me fatte nel colloquio precedente (1), di dare cioè una parte principale all'Austria nelle eventuali trattative con la Cecoslovacchia e di far partecipare anche l'Ungheria.

L'Ambasciatore pensa che si potrebbe riunirei lunedì prossimo ritenendo che nel frattempo gli perverranno le istruzioni da Parigi.

Ricordo all'Ambasciatore l'importanza dell'applicazione dell'art. 13 del Patto di Londra; a tale riguardo gli chiedo come si deve interpretare l'accenno da lui fatto sulla possibilità di esaminare le aspirazioni italiane nell'Africa Orientale rinunciando da parte nostra ad estendere il dominio italiano nel sud-tripolino.

L'Ambasciatore precisa che si tratta di una sua idea personale non avendo ancora istruzioni da Parigi; ad ogni modo egli esclude che si possa trattare della cessione di Gibuti perché è una base indispensabile per arrivare alla colonia francese dell'Africa Orientale e dell'Indocina e perché Gibuti è capolinea della ferrovia che serve all'Etiopia.

Ad ogni modo di ciò si parlerà nella prossima riunione.

(l) Cfr. n. 769.

805

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

IJ. 3452. Londra, 12 settembre 1934.

Ti mando qui accluso un resoconto del colloquio che ho avuto oggi con Vansittart. Egli mi ha pregato di mettere bene in chiaro che, intrattenendomi della politica jugoslava, non intendeva minimamente prendere un'iniziativa che potesse essere giudicata da S. E. il Capo del GÒverno come una ingerenza inglese nei rapporti itala-jugoslavi, ma erano delle considerazioni fattemi a titolo privato e confidenziale e perché io a tale titolo ne riferissi. La preoccupazione del Foreign Office è in sostanza che tra Polacchi e Jugoslavi si stabilisca una politica comune e che questo possa essere, nell'avvenire, il preludio di una nuova Piccola Intesa che finisca col fare più o meno direttamente capo a Berlino.

Egli si è riferito a una conversazione che Murray ha avuto col Barone Aloisi (l). Non so naturalmente se questo sia un puro appiglio. Quello che, nel corso della conversazione, mi è sembrato interessante rilevare è sopratutto la più decisa tendenza del Foreign Office a una politica di « blocco » della Germania, in piena conformità con il discorso di Baldwin del 30 luglio.

Colgo questa occasione per assicurarti che, in base al telegramma n. 1174/ C (2), ho dato a Sargent tutte le informazioni che egli desiderava sul convegno di Firenze. Sargent mi ha letto un telegramma di Selby nel quale si riferiva a un colloquio con il Cancelliere Schuschnigg, aggiungendomi che era stato dato a Murray incarico di mettere S.E. il Capo del Governo al corrente del suo contenuto. E' questa la ragione per la quale non te ne riferisco.

ALLEGATO

COLLOQUIO VITETTI-VANSITTART (3)

APPUNTO Londra, 12 settembre 1934.

Stamane Sir Robert Vansittart mi ha pregato di passare da lui, e mi ha chiesto se avevo notizie da dargli circa la visita di Barthou a Roma, e le possibilità che tra l'Italia e la Francia si venga a un chiarimento di rapporti, come è da tempo nelle sincere ed amichevoli speranze del Governo britannico, e a un regolamento delle questioni in pendenza tra i due paesi. Egli aveva seguito con molto interesse i segni di un riavvicinamento franco-italiano, e gli pareva che vi fosse in questo momento negli

uomini di stato francesi, e particolarmente in Barthou, una migliore comprensione della situazione dell'Italia e della necessità di andare incontro alla politica italiana. Questo gli dava speranza che Barthou andando a Roma avrebbe potuto concludere qualche cosa di concreto, nel senso di un soddisfacente regolamento di quelle questioni -statuto degli Italiani in Tunisia, confini libici, armamenti navali -che sono rimaste insolute con danno non solo dei rapporti franco-italiani ma della situazione generale dell'Europa. Egli aveva espresso più volte chiaramente agli uomini di stato francesi il suo pensiero, e francamente aveva loro detto quanto la politica francese, in particolare nella questione navale, avesse dovuto ispirarsi a una valutazione più realistica della situazione e dei bisogni dell'Italia.

Ora, sulla questione dell'Austria un sostanziale accordo politico tra l'Italia e la Francia si è verificato. L'Inghilterra si augura che questo accordo si consolidi e si sviluppi, persuasa che solo così può essere assicurata l'indipendenza dell'Austria, che 11 Governo britannico ritiene elemento essenziale della sicurezza e dell'equilibrio dell'Europa.

L'atteggiamento assunto dalla Jugoslavia di fronte al problema austriaco non può non preoccupare il Governo britannico. Vi sono oramai segni precisi di una tendenza jugoslava ad avvicinarsi alla Germania, seguendo in questo il movimento già iniziato dalla Polonia. Se la Jugoslavia passasse definitivamente nell'orbita della politica tedesca, il problema austriaco diventerebbe subito più grave: l'Austria sarebbe presa tra due fuochi. I metodi della politica balcanica verrebbero ad aggiungersi ai metodi nazisti per rendere insostenibile la posizione di qualunque Governo in Austria. La Jugoslavia aprirebbe alla Germania la via dei Balcani.

lo so, mi ha aggiunto Vansittart, che questa nostra preoccupazione è divisa dal vostro Governo. Il barone Aloisi ne ha parlato con Murray. È perciò che voglio farvi sapere come la pensiamo noi. Noi crediamo che non bisogna perdere la Jugoslavia. Per quanto a noi non risulti che la Jugoslavia abbia degli impegni politici con la Germania, ii suo atteggiamento di fronte alla crisi austriaca ha destato delle apprensioni; ed è certo che la diplomazia tedesca lavora a Belgrado. A Belgrado bisogna che lavoriamo anche noi. Io non voglio minimamente dare l'impressione che l'Inghilterra vi faccia dei suggerimenti. Voi conoscete meglio di noi i vostri interessi, e la maniera come proteggerli. Se noi abbiamo un voto da esprimere è solo che la Jugoslavia si persuada che i suoi interessi la portano a un miglioramento delle sue relazioni con l'Italia e non con la Germania e che ins\eme con un chiarimento dei rapporti italajugoslavi [sic]. Evidentemente la situazione sarebbe diversa se la Jugoslavia avesse già contratto degli impegni con la Germania, ma -secondo le informazioni del Foreign Office -a tali impegni ancora non si è giunti. Ad ogni modo è una situazione che deve essere sorvegliata, poiché è comune interesse delle Potenze Occidentali impedire la costituzione di una intesa orientale -dalla Polonia alla Jugoslavia -sotto l'egida della Germania.

(l) -Cfr. n. 756. (2) -Cfr. n. 754. (3) -Ed. in DE FELICE, pp. 513-514.
806

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 1242/42 R. Roma, 13 settembre 1943, ore 2.

Ho esaminato punti indicati telegramma V. E. n. 84 (l) e confermo le indicazioni fornitele per telefono.

Circa punti l), 2) e 3) osservo che pur fiancheggiando (ma in modo discreto) azione austriaca, occorre per le note ragioni che formalmente risulti che

iniziativa parte da Governo austriaco. Quanto maggiore appaia la nostra ingerenza tanto minore ne sarà efficacia. Approcci presso Barthou e Simon conviene sieno fatti dallo stesso Schuschnigg. In questo stadio tali approcci dovrebbero mantenere carattere quanto più discreto possibile per poi stabilire -tenuto conto della reazione francese e specialmente inglese -la procedura da adottare per la presentazione formale sempre da parte di Schuschnigg dell'iniziativa austriaca, riservando quindi ad allora la decisione se tale presentazione debba avvenire soltanto ai Governi italiano, francese e inglese o non piuttosto, come apparirebbe preferibile anche al Governo tedesco e ad altri Governi.

Circa punti 4) e 5) d'accordo. Sarebbe bene tuttavia introdurre una clausola che impegni i vari Governi a non tollerare sul proprio territorio movimenti o azioni diretti contro l'ordine costituito in Austria o che possono turbare la situazione politica dell'Austria.

Confermi a Schuschnigg dichiarazioni fattegli a Firenze circa l'assistenza finanziaria che non abbiamo affatto dimenticato, che anzi riteniamo parte necessaria dell'azione in pro' dell'Austria ma che solo ragioni tecniche, secondo quanto hanno indicato i vari esperti, consigliano di rinviare di qualche tempo in considerazione della operazione di conversione in corso (l).

(l) Cfr. n. 798.

807

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9031/127 P.R. Belgrado, 13 settembre 1934, ore 11,40 (per. ore 14,30).

Telegramma di V. E. n. 111 (2).

Molti giornali jugoslavi riportano noto articolo Vreme.

Vi sono altri attacchi contro di noi ad esempio sulla Novosti.

Anche Echo Belgrade organo questa legazione di Francia al quale collaborano vari cittadini francesi riporta noto articolo.

Prego V. E. esaminare urgenza se sievi compatibilità tra questa odiosa campagna di stampa e nostra delegazione parlamentare ad imminente conferenza che dovrebbe arrivare sabato.

H08.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. U. 9766/113 P.R Roma, 13 settembre 1934, ore 22,30.

Telegramma di V.S. n. 127 circa Vreme, Echo Belgrade etc. (3).

Sedici corrente si inaugura conferenza parlamentare. Partecipazione nostra delegazione non è stata finora revocata. Dica però a codesto Ministro Esteri o a chi lo sostituisce che è indispensabile che campagna stampa contro di noi cessi senz'altro. Altrimenti dovremmo riconsiderare intera quistione nostri rapporti con codesto Governo. Telegrafi (1).

(1) -Ritrasmesso a Londra, Parigi, Berllno, Washington, Vienna, Budapest, Belgrado e Praga con t. 1245/C.R. del 14 settembre. (2) -Con t. 9673/111 P.R. dell'll settembre Suvich aveva comunicato ad Alolsi che era stato vietata l'introduzione in Italia del Vreme e gll aveva dato istruzioni di astenersi da ogni ulteriore passo. (3) -Cfr. n. 807.
809

IL SOTTOSEGRETARIO PER LA STAMPA E LA PROPAGANDA, CIANO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 901555/581. Roma, 13 settembre 1934.

Facendo seguito alla conversazione telefonica avuta con te in merito, ti invio qui unita la documentazione (2) delle notizie tendenziose e allarmistiche sulla situazione economica e politica in Italia, apparse sulle Novosti del 14, 22 e 24 agosto, e cioè prima che dalla Stazione di Trieste venissero diramate le notizie sulla situazione economica Jugoslava, che hanno dato luogo alla nota verbale della Legazione Jugoslava in Roma, in data 5 corrente (3).

'futti gli altri giornali di Belgrado, di Zagabria, di Spalato e di Lubiana, hanno presso a poco, con unità di tono e di contenuto, stampato le stesse cose nei nostri riguardi.

Nel restituirti la nota verbale, ti unisco pure alcune rassegne stampa di I.!Uesti ultimi giorni, dalle quali risulta che i giornali jugoslavi continuano una campagna sistematica contro l'Italia e il Governo Fascista, campagna che tutto fa supporre sia ispirata (e i rapporti del Consolato di Zagabria lo confermano), dal Governo di Belgrado.

810

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. U. 9013/1096. Budapest, 13 settembre 1934.

Mio telespresso n. 1079 del 10 c.m. (4) e mio Telecorriere 054 del 12 c.m. (5).

1. Ieri il Presidente del Consiglio, trattenuto in provincia dalle manovre militari, mi ha inviato col suo Segretario particolare l'appunto qui allegato, pre

gandomi di farne oggetto di comunicazione a V. E. e scusandosi di servirsi del mio tramite dato che il Ministro d'Ungheria a Roma non è in sede. Ho detto al latore che, attesa la delicatezza della questione sollevata al n. 2, non potevo trasmettere l'appunto senza prima averne conferito col Presidente del Consiglio. Il che ho fatto stamane di buon'ora.

2. Ho premesso al Presidente che non avrei avuto difficoltà di trasmettere a

V. E. il suo questionario se egli vi avesse insistito dopo aver considerato quanto stavo per dirgli. Cioè: l. mi pareva che il n. 2 non contenesse tanto una richiesta di informazioni, quanto piuttosto una interpretazione del Protocollo di Roma del 17 marzo u.s., sulla quale non volevo pronunziarmi ma per la quale era mio dovere avvertire subito che il testo in mio possesso del Protocollo stesso non coincideva con quello da lui trascritto; 2. ritenevo inopportuna, ed in ogni caso intempestiva in mancanza di notizie ufficiali di trattative per adesioni di terzi Stati ai Protocolli di Roma, una precisazione che avrebbe potuto dar luogo ad impressioni che andavano certo al di là delle stesse intenzioni.

Mostrando di apprezzare i miei argomenti, il Presidente ha ritirato l'appunto e mi ha incaricato soltanto di chiedere a V. E. «cosa c'è di vero nella notizia della visita del signor Benes a Roma».

Egli ha tuttavia insistito nel sostenere che il testo del Protocollo di Roma si esprime nel senso che l'adesione di nuovi Stati dipende dalla « Erflillung realpolitischer Vorbedingungen ». Gli ho mostrato il testo tedesco in mio possesso. Mi ha risposto che ne ricordava un altro che avrebbe fatto ricercare dal barone Apor e mi avrebbe fatto vedere.

Ritengo che il Presidente si convincerà da se stesso di essere in errore.

3. Il Generale Goemboes mi è parso insolitamente nervoso ed inquieto, ed il passo che progettava di fare ne è prova evidente.

L'articolo di Bethlen e le ripercussioni che se ne sono avute (mio telegramma per corriere n. 054 di ieri) hanno aggiunto alle preoccupazioni -comprensibili -di carattere interno quella che all'estero si affermi l'impressione che la politica revisionista sia manifestazione di intransigenza del Governo non interamente condivisa dall'opinione pubblica.

Non è tanto la possibilità di una stretta intesa itala-francese -alla quale mi ha esplicitamente detto di non credere -che gli dà da pensare, quanto quella che il Governo italiano, per meglio rafforzare sul terreno economico l'indipendenza dell'Austria, sia portato a fare buon viso alle profferte di Benes.

Avverto ad ogni buon fine che il Presidente Goemboes si è raccomandato per una risposta possibilmente sollecita alla richiesta di informazioni sopra formulata.

ALLEGATO

GoMBoS A COLONNA

APPUNTO. [Budapest, 12 settembre 1934].

Vu que la presse internationale !ance continuellement des nouvelles ayant rapport avec les relations itwlo-hongroises S. E. le président du Conseil prie S. E. Colonna de vouloir bien avoir la bonté de lui procurer des informations concernantes Ies questions suivantes:

l. La nouvelle de la visite du Ministre des Affaires étrangères de la Tchécoslovaquie M. Benes à Rome correspond-t-elle à des réalités, ou non?

2) On a lancé des nouvelles que des pourparlers seront en cours pour faciliter l'admission des nouveaux états aux accords de Rome.

Le texte a;llemand des accords dit que l'adhésion des nouveaux états dépend de la: «Erfiillung realpolitischer Vorbedingungen ».

Comme méme dans la presse hongroise se cont élévés des voix qu'on peut interpréter d'une telle façon que la protection des minorités hongroises serait une condition suffisante pour la Hongrie, le chef du Gouvernement hongrois tient à déclarer que l'expression «realpolitische Vorbedingungen » ne peut pas étre limitée d'une manière si restreinte, et doit conserver le sens plus étendu (méme la réalisation des révendications territoriales de la Hongrie) qu'on l'a donnée au cours de sa visite à Rome pendant le mois de mars de l'année courante. Le chef du Gouvernement hongrois serait heureux si le Chef du Gouvernement italien lui rendra réponse dans un sens affirmatif.

3. Par les changements survenus dans la politique de la Pologne, la Tchécoslovaquie se croit menacée. Dans cet ordre l'idées cherche-t-elle maintenant des nouvelles combinaisons, méme à Rome? Le Chef du Gouvernement hongrois serait heureux d'avoir des commrmications sur telles démarches tchèques éventuelles à Rome.

(l) -Cfr. n. 812. (2) -Gl! allegati non al pubblicano. (3) -Non pubbl!cato. (4) -Cfr. n. 797. (5) -T. per corriere 3271/8998/054 R. non pubbl!cato, riferiva circa le ripercussioni sulla stampa ungherese dell'articolo di Bethlen.
811

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3260/96 R. Ginevra, 14 settembre 1934, ore 0,20 (per. ore 2,30).

Telegramma di V. E. 42 (1).

Sono lieto constatare che azione svolta corrisponde esattamente ordini V. E. come risulta da mio telegramma n. 92 (2) che si è incrociato con telegramma di

V. E. 42 nonché da miei precedenti telegrammi e particolarmente da penultimo capoverso mio telegramma 84 (3).

Sin dal principio personalmente ho sempre messo in chiaro che richiesta è partita da Governo austriaco. Contemporaneamente dietro mio suggerimento ministro affari esteri Austria sin da suoi primi approcci con Francia e Inghilterra ha messo in chiaro stesso principio.

60 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Mia azione avuto significato preparare terreno presso francesi e inglesi affinché richiesta austriaca, che V. E. era stato primo a conoscere, trovasse buona accoglienza. Stamane rivisto ministro degli affari esteri austriaco che mi ha confermato essersi attenuto miei suggerimenti ed ha accolto proposta che sia Governo austriaco a presentare a Governo italiano, francese e inglese progetto di testo.

Ci siamo riservati per un'ulteriore conversazione esaminare opportunità che presentazione avvenga sin dal principio unicamente suddette tre Potenze ovvero anche Germania e altri piccoli Stati.

Questo punto della questione è reso difficile dalla circostanza che i francesi propenderebbero presentarlo sin dal principio anche alla Piccola Intesa mentre inglesi hanno detto ministro d'Austria che considerano accettazione jugoslava molto problematica e in linea generale si sono mostrati contrari alla presentazione ad altri Stati oltre i tre per non allargare troppo la cerchia dei partecipanti e rendere così il patto scarsamente efficiente.

E' mia opinione che almeno in questo primo stadio non sia consigliabile discutere se non opportunità presentazione alla sola Germania. In ottemperanza parere V. E., ministro degli affari esteri austriaco presenterà probabilmente oggi a Simon testo di accordo che trascrivo:

« L'Italie etc. etc., et l'Autriche constatant que tous les Etats ont également droit à l'indépendance, à la sécurité at au libre développemènt de leurs institutions, persuadées que la sauvegard de ces droits à l'Autriche est d'un intérét vital pour le maintien de la paix en Europe, et désireux de coordonner leurs effort pacifiques, ont décidé de fortifier les garanties internationales déjà existantes en faveur de l'Autriche et, à cet effet, sont convenues de ce qui suit:

Article 1/er. Les Hautes Parties contractantes reconnaissent que toute per

turbation menaçant la souveraineté et ainsi l'indépendance politique de l'Au

triche est contraire à leurs intéréts reciproques.

Article II -Dans le cas où l'Indépendance de l'Autriche serait menacée par

suite d'actes d'immision provènant du déhors et dirigés contre l'ordre à l'inté

rieur ou la stabilité de son Gouvernement, les Hautes Parties contractantes s'en

gagent à lui préter leur concours afin de faire disparaitre la cause extérieure

de ces menaces.

Article III -Le présent traité, qui sera ratifié, restera en vigueur pendant une durée de ... ans. Il sera ouvert à l'adhésion de ...

Gli ho comunicato desiderio di V. E. di inserire clausola che impegni vari

Governi a non tollerare sul proprio territorio movimenti o azioni diretti contro

ordine costituito in Austria o che possano turbare la situazione politica.

In risposta a interrogazione di Simon su tale testo ho detto a riguardo Go

verno italiano non aveva espresso alcun parere per cui esso doveva essere con

siderato esclusivamente come espressione attuale tendenza Governo austriaco.

Circa ultima parte telegramma n. 42 di V. E., avevo già da prima rassicu

rato più volte cancelliere nei riguardi degli aiuti finanziari promessigli da V. E.

a Firenze.

Ciò era avvenuto tutte le volte che avevo dovuto cercare convincere cancelliere consentire ritardare sia per evitare abbinamento patto con nostre concessioni finanziarie e sia per non turbare operazione conversione in corso.

Ciò non pertanto stamane seguendo istruzioni di V. E. ha dato cancelliere nuove assicurazioni ripetendo note ragioni opportunità semplice rinvio.

(l) -Cfr. n. 806. (2) -Cfr. n. 802. (3) -Cfr. n. 798.
812

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9084/128 P.R. Belgrado, 14 settembre 1934, ore 12,20 (per. ore 14,30).

Telegramma di V. E. n. 113 (1).

Volgarissima campagna di stampa contro valore dell'esercito italiano determinata (anche se prende pretesto dalla inopportuna ed antistorica pubblicazione del San Marco ripetuta da radio Bari) una situazione estremamente penosa che era mio stretto dovere fare risaltare ancora più in vista imminente arrivo nostri deputati e senatori i quali potrebbero riceverne qualche poco simpatica ripercussione.

Quanto a comunicazione da fare a ministro affari esteri prego V. E. chiarirmi portata precisa della parola «riconsiderare» poiché ove mi venissero chieste spiegazioni mi è necessario darle precise ed interamente rispondenti a pensiero di V. E.

Non appena riceverò risposta di V. E. chiederò vedere ministro esteri o chi per esso.

Prego anche dirmi se sia autorizzato dichiarare formalmente che anche nostra stampa, compresa quella di provincia, e radio si asterranno da qualsiasi attacco poiché risposta che potrà essermi data per il caso presente è facile.

813

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A MOSCA, ATTOLICO, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, E A VIENNA, PREZIOSI E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, FRANSONI

T. 9828/C. P.R. Roma, 14 settembre 1934, ore 22.

(Per tutti meno Belgrado).

Ho telegrafato a R. legazione Belgrado quanto segue:

(Per tutti).

E' stata sospesa partenza delegazione italiana alla conferenza interparlamentare. Trasmetto a parte in cifra comunicato Stetani che ne dà notizia.

(Per tutti meno Belgrado). Provvedimento dovuto a violenta campagna antitaliana iniziata dal Vreme che ha oltrepassato ogni misura con articolo volgarmente offensivo per nostro esercito e ripresa da altri giornali jugoslavi.

(Per Parigi) fra i quali si è particolarmente segnalato Echo de Belgrade.

(l) Cfr. n. 808.

814

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3283/458 R. Addis Abeba, 15 settembre 1934, ore 10 (per. ore 18,20).

Ho avuto sempre le più cordiali e strette relazioni di amicizia personale con attuale incaricato d'affari di Francia, signor Balen, che spesso si confida con me e mi tiene al corrente di molte cose del suo paese, con perfetta lealtà.

Noto che dopo il suo ritorno dal congedo e partenza del signor de Reffyé (mio telegramma n. 375) (l) questo atteggiamento anche nei rapporti di ufficio si è ancora di più accentuato e tiene a fare delle marcate cortesie a tutti gli italiani di qua e a proposito del recente accordo per la radio, del quale argomento non avevamo mai prima parlato insieme, mi ha detto Governo francese essere stato assai dispiaciuto dello sviluppo che la questione aveva preso, e delle interpretazioni che le erano state date; e avere avuto istruzioni darmi conoscenza orale disinteresse «del suo Governo affare Sibilinski ».

Egli si è più volte espresso con me sulla necessità di un concreto riavvicinamento franco-italiano, di una politica concorde fra due paesi e mi ha mostrato ora la sua soddisfazione per le notizie di un prossimo incontro fra V. E. e signor Barthou.

A questo proposito pochi giorni fa mi ha raccontato che al ministero esteri gli erano state chieste spiegazioni circa un articolo apparso nella stampa europea a proposito di una affermata rinunzia delle potenze interessate all'accordo tripartito, ciò che avrebbe lasciato mano libera a una certa potenza. Gli era stato quindi domandato se era vero che la Francia abbandonava l'Etiopia.

Balen ha risposto evasivamente.

A puro titolo di cronaca. non avendo modo evidentemente di controllare in modo positivo segnalazione, ma sopratutto fonte di essa non essendo attendibile, riferisco d'altra parte essermi stato detto che mesi fa il signor de Reffyé avrebbe assicurato Imperatore, a sua domanda, che nel caso di conflitto fra l'Italia e Etiopia, l'amicizia della Francia verso Etiopia non sarebbe mai venuta meno qualunque fossero le circostanze.

Il signor Balen, al quale ho avuto modo di accennare in modo generico, mi ha assolutamente esclusa possibilità che il signor de Reffyé abbia comunque potuto esprimersi in tal senso (l).

(l) T. 7940/375 P.R. dell'B agosto, non pubblicato.

815

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 9865/116 P. R. Roma, 15 settembre 1934, ore 18.

Suo 128 (2).

V.S. può esprimersi con codesto Governo nel senso che ove la campagna di stampa contro l'esercito italiano non avesse a cessare e non fosse deplorata, dovremmo esaminare l'eventualità di sospendere le relazioni diplomatiche.

Se le sarà fatto osservare che i primi attacchi sono partiti da noi (articolo giornale San Marco e Radio Bari) risponda che fra il nostro e il loro atteggiamento non c'è alcuna proporzione.

816

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3321/0219 R. Berlino, 15 settembre 1934 (per. il 20).

Il ministro di Ungheria è venuto stamani a vedermi. Mi ha detto di avere avuto occasione di conversare recentemente a lungo col signor Koepke dell'Auswartiges Amt circa l'Italia e l'Austria. Gli posi la domanda se la Germania considerasse i rapporti con l'Italia irrimediabilmente compromessi, ricevendo la risposta che, lungi dal considerarli tali, si riteneva all'Auswartiges Amt che essi potessero rapidamente migliorare e ridiventare amichevoli. La sola questione che aveva turbato tali relazioni era stata quella austriaca ed il Cancelliere del Reich era fermamente deciso a seguire verso l'Austria-una politica di amicizia. Egli aveva infatti impartito ordini categorici per: pace con l'Austria sulla base della sua indipendenza assoluta da tutte le parti (cioè anche da parte dell'Italia,

Dice Il Mar che elementi americani risiedenti in Etiopia e interessati alla ricerca di pozzi petroliferi coll'ausilio di elementi inglesi abbiano influito sull'Imperatore facendogli credere a prossimi accordi franco-italiani per i quali la Francia lascerebbe mano libera all'Italia nel sud abissino confinante col nord somalo.

Sembra che Il negus, impressionato, abbia inviato subito a Parigi una missione condotta da Hellem Mariam, il quale, da Port Said, avrebbe anche inviato una cartolina al Mar con cui è in ottimi rapporti d'amicizia».

della Francia, ecc.; cessazione della propaganda antiaustriaca a mezzo della radio; dissoluzione della Landesleiteung e completa separazione fra il P.N.S. germanico ed il P.N.S. austriaco in modo che Habicht non ha più nulla a che fare con l'Austria; scioglimento dei legionari austriaci e loro distribuzione fra vari campi di « Arbeitsdients » trasformazione del « Kampfring » non nel senso che esso debba assumere le funzioni sin qui esercitate dalla « Landesleitung » ma come ufficio di stralcio per la liquidazione della posizione dei vari emigrati austriaci. Il « Kampfring » è stato posto sotto stretto controllo della polizia. Gli è stato vietato di svolgere qualsiasi attività politica e di ingerirsi in qualsiasi affare, non avendo alcuna veste ufficiale (quella che aveva invece la «Landesleitung »).

Avendo il signor de Masirevich accennato ai nazi austriaci che si sarebbero rifugiati in Jugoslavia, come ad una possibile fonte di nuovi turbamenti, il dr. Koepke disse che Hitler aveva fatto impartire ordini categorici di non accordare loro aiuti di nessun genere, né morali né materiali e di interrompere qualsiasi relazione col signor von Kothen che dalla Carinzia funge come capo di questi nazi rifugiatisi in Jugoslavia.

Il signor de Masirevich mi disse di avere detto al dr. Koepke che quanto aveva da lui udito era soddisfacente; occorreva però che i fatti corrispondessero alle parole, che vi fosse cioè in futuro una linea di condotta da parte del partito nazionalsocialista germanico totalmente diversa a quella seguita sinora che era consistita nel non tenere alcun conto delle disposizioni attribuite a Hitler e forse da lui effettivamente dettate. Koepke avrebbe risposto che gli inconvenienti del passato non si ripeterebbero e che l'Austria non avrebbe più costituito un punto dt discordia fra la Germania ed alcun altro Stato.

Il ministro d'Ungheria aveva allora domandato se i chiarimenti datigli fossero stati comunicati, sia pure soltanto in via di conversazione privata, al Governo italiano a mezzo dell'ambasciatore a Berlino o di quello a Roma, dato che essi sarebbero stati di natura da influire benevolmente sulle reciproche relazioni. Gli fu risposto che a dire il vero non vi si era sino ad ora pensato, ma che la cosa era meritevole di considerazione.

Il signor de Masirevich pose quindi il discorso sul patto di Roma chiedendo se il Governo del Reich, dato che mostrava ora migliori intenzioni verso l'Austria, non_ avesse intenzioni di esaminare gli accordi economici intervenuti fra l'Italia, l'Ungheria e l'Austria per eventualmente aderirvi. Il dr. Koepke rispose che il Governo tedesco è, come è noto, contrario ai patti plurimi e favorevole ad accordi fra due soli Stati. Il patto di Roma veniva poi considerato a Berlino come una cosa superata, né politicamente né economicamente efficiente.

Avendo il signor de Masirevich accennato allora al patto di garanzia concer

nente l'Austria, di cui si sta discorrendo a Ginevra, il dr. Koepke evitò di pro

nunciarsi al riguardo e disse solo che il Governo del Reich non vi potrebbe certo

partecipare se si trattasse di « camoufler » la preponderanza in Austria di un

altro paese.

Avendomi il ministro di Ungheria chiesto che cosa pensassi di quanto egli era venuto a riferirmi, gli risposi che consideravo le cose dettemi come interessanti. Non ero stato sorpreso di quanto il dr. Koepke gli aveva esposto circa il desiderio dell'Auswartiges Amt di vedere ritornare normali, anzi amichevoli, i rapporti con l'Italia perché ne avevo già avuto sentore da altro lato. La linea di condotta da me costantemente tenuta era stata quella di una correttezza assoluta che non aveva mai escluso il maggiore interessamento per le questioni politiche ed economiche interessanti i due paesi. L'Auswartiges Amt ne aveva avuto la prova in occasione dei recenti colloqui da me avuti col Segretario di Stato von Btilow e col direttore ministeriale Ritter circa i negoziati commerciali in corso, il promemoria tedesco di risposta alle proposte pel patto orientale ed altri argomenti di politica generale. Qualora il signor von Btilow o il dr. Koepke volessero rendermi edotto dei provvedimenti che il Governo del Reich aveva adottati nei riguardi dell'Austria, ritenendo che una simile comunicazione potesse influire benevolmente sopra i reciproci rapporti, io sarei stato assai lieto di riferire le notizie che mi fossero date all'E. V., considerando che nessuna attribuzione di un agente diplomatico sia più importante di quella che consiste nell'agevolare i buoni rapporti fra il proprio paese e quello in cui esplica la sua missione.

Il signor de Masirevich mi chiese se l'autorizzavo a fare conoscere in una eventuale propizia occasione quanto gli avevo detto, al che risposi che non vi scorgevo alcun inconveniente.

Egli mi disse per finire che nella sua conversazione col dr. Koepke gli aveva chiesto se l'Italia avesse mostrato negli ultimi tempi di avere mutato i propri sentimenti verso la Germania in questioni politiche importanti come la questione del disarmo o quella della Sarre. Il suo interlocutore aveva risposto che del disarmo non si era più parlato durante gli ultimi mesi, ma che egli era convinto che l'Italia perseverava nella linea di condotta sinora seguita. Per quanto concerneva la Sarre il barone Aloisi aveva ancora recentemente mostrato di svolgere un'azione obbiettiva che era grandemente apprezzata a Berlino.

Osservai che il dr. Koepke aveva detto la verità e ricordai al signor de Masirevich che la politica dell'E. V. non da oggi né da ieri è diretta a creare in Europa quella solidarietà di interessi, premessa indispensabile al mantenimento della pace, che non era disgraziatamente compresa da tutti gli Stati e che era anzi stata gravemente compromessa da quello in cui entrambi risiedevamo. Il che non toglie che le direttive politiche generali dell'Italia fascista rimangono le medesime, anche se i mezzi possono e debbono variare a seconda delle contingenze.

Questo ministro d'Austria che avevo avuto occasione di incontrare ieri sera mi disse di avere avuto su per giù le stesse notizie riferitemi dal ministro d'Ungheria circa i provvedimenti che sarebbero stati ordinati dal cancelliere del Reich. Egli non poteva purtroppo non essere scettico al riguardo e riteneva prudente attendere qualche mese per giudicare se i fatti corrispondessero questa volta alle promesse. Non vedeva ancora chiaramente quale fosse la funzione del « Kampfring »; anche a lui constava che gli si attribuiva quella di liquidare le posizioni degli emigrati austriaci, ma non aveva notizie precise al riguardo e non sapeva quindi in che modo si sarebbe svolta tale attività dell'organismo fondato dai nazionalsocialisti tedeschi per raccogliere i «cattivi austriaci» residenti nel Reich.

La situazione dei legionari era tutt'altro che facile. Molti di essi si consideravano traditi dai nazionalsocialisti in seguito alla chiusura della frontiera, perché avevano creduto fermamente alle promesse di Habicht e Frauenfeld che si sarebbero fatti marciare in Austria. Donde un malcontento e delle frizioni non indifferenti.

La cosa che sembrava preoccupare maggiormente il signor Tauschitz era il concentramento presso Marburgo di un forte gruppo di nazi della Carinzia. Si attribuivano infatti a questi fuorusciti intenzioni non dissimili da quelle che avevano nutrito per molto tempo i legionari concentrati nei pressi del confine austro-bavarese e checché si dicesse in contrario si aveva a Vienna l'impressione che direttamente per mezzo di interposte persone il Governo del Reich si interessasse ai nazi austriaci di cui si tratta.

Le tre settimane che ho trascorso a Badgastein mi hanno consentito di raccogliere, sia pure con ogni possibile cautela data la mia veste ufficiale, notizie sopra lo stato d'animo reale delle popolazioni del Salisburghese e delle regioni vicine. Esse non furono purtroppo favorevoli. L'uccisione del compianto cancelliere Dollfuss fu bensi sentita ma non ebbe la conseguenza di scuotere la fede politica dei nazionalsocialisti che sono numerosissimi nel Salisburghese Tirolo, Vorarlberg, Carinzia e Stiria. Essi naturalmente, dopo le esperienze fatte, non si esporranno più a buon mercato, per insurrezioni impropriamente preparate e quindi destinate all'insuccesso. Sopratutto i nazi appartenenti ai corpi statali

o civici di polizia eviteranno con cura ogni partecipazione a futuri «putsch )), ma non vi è dubbio che se, per dannata ipotesi, un movimento nazionalsocialista avesse avuto successo in Austria, il numero degli aderenti sarebbe grandissimo. Le cose starebbero per fortuna diversamente a Vienna, nell'alta e bassa Austria e nel Burgenland, dove i nazi sono in minoranza. Nella capitale vi è però il pericolo dei socialdemocratici che sarebbero tutt'altro che addomesticati e che potrebbero essere alleati dei nazi in occasione di un movimento per rovP.sciare l'attuale Governo, salvo a combatterli all'indomani.

Un patriota austriaco, tutt'altro che amico dei nazionalsocialisti, mi diceva che era stata molta grande l'impressione prodotta sopra un numero notevole di austriaci il coraggio dimostrato da Hitler il 30 giugno nell'andare personalmente ad arrestare Roehm ed a fermare per via i « Gruppenftihrer)) che si recavano al convegno di Wiesee. Si era rilevato che aveva agito come un «germano» autentico e ci si compiaceva della energia e dello sprezzo per il pericolo da. lui dimostrato ricordando che Hitler era egli stesso un austriaco. Il che dimostra che i tedeschi, chi più e chi meno, ragionano tutti allo stesso modo e subiscono un solo fascino: quello della forza (1).

Se si mettessero d'accordo almeno Hitler e Goebbels visto che stanno insieme parecchie ore del giorno, ne trarrebbe un grande vantaggio la Germania ed anche il resto del mondo...

(l) Cfr. quanto aveva comunicato con Telespr. rr. 4748 del 14 settembre Il ministro a Berna, Marchi: «Noto suddito etiopico Mar venuto stamani a quest'ufficio per parlare del progetto di viabilità abissina, su cui ho già riferito, si è lasciato andare ad alcune considerazioni e alcune confidenze sulla politica del suo paese.

(2) Cfr. h. 812.

(l) Si pubblicano qui alcuni brani del t. per corriere rr. 3322/0220 R. di Cerrutl del 16 settembre sulla situazione Interna tedesca: «La mancanza di direttive politiche !n Germania ha avuto una manifestazione palese nel giorni scorsi. Il Fiihrer a Nor!mberga ha proclamato solennemente che la rivoluzione naz!onalsoclalista è terminata, che ora !l paese è rientrato nell'assoluta normalità. Tali affermazioni marcavano una nuova, radicale differenza fra la ideologia naz!onalsoc!alista e quella fascista, giacché noi consideriamo che la rivoluzione fascista è tuttora e sempre in marcia. Se quindi potevamo avere ragione di compiacerci che Hitler avesse fornito un nuovo argomento per distinguere il naz!onalsocialismo dal fascismo, ecco che Goebbels pochi giorni dopo dichiara invece che il nazionalsoctalismo è una continua battaglia e non deve dar tregua al nemici sino a che ne esisterà uno.

817

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 5895/1617. Belgrado, 15 settembre 1934 (per. il 17).

Ho l'onore di riferire a V. E. in merito al Congresso degli emigrati allogeni dell'Istria e della Venezia Giulia, tenutosi a Maribor il 2 settembre scorso. Dal complesso delle informazioni ora giuntemi, dai rapporti inviatimi dal

R. Console in Lubiana e sopratutto dal resoconto del Congresso pubblicato dal giornale I etra, organo della Federazione fra le associazioni di fuorusciti, appare che il Congresso stesso pur non rappresentando formalmente che una continuazione ed una ripetizione di annue consuete manifestazioni del genere, ha segnato nella presente occasione un'intensità ed una violenza negli attacchi contro l'Italia raramente registrata in precedenza.

Come V. E. rileverà dalla allegata traduzione del resoconto dell'Istra le affermazioni della volontà jugoslava di tendere con tutti i mezzi all'acquisto delle «terre slave irredente » sono state precise ed inequivocabili. Le ingenuità e le assurdità frammiste alle affermazioni antitaliane delle varie requisitorie non diminuiscono la portata della manifestazione nei nostri riguardi.

E' da notare infine che la presenza di numerose Autorità ha indubbiamente dato al Congresso un voìuto particolare rilievo.

Quali siano state le ragioni che hanno consigliato il Governo di Belgrado a consentire, se non a provocare questa più violenta gazzarra antitaliana sembra agevole l'intendere se si inquadra la manifestazione nel complesso delle iniziative a noi contrarie qui poste in essere con intensità e con frequenza tanto maggiori quanto più si avvicina la data della visita di Barthou a Roma e quanto più vivi, sebbene inconfessati, si fanno qui i timori di eventuali determinazioni altrui ai danni di Belgrado.

La manifestazione di Maribor, sembra con molta probabilità diretta, secondo il consueto tortuoso ed involuto modo belgradese di concepire e realizzare una politica, tanto ad impedire o almeno ostacolare con le sue ripercussioni eventuali intese franco-italiane che non tengano sufficientemente conto di Belgrado, quanto ad inserire o meglio ad imporre comunque, gli interessi jugoslavi in quelle intese. Essa manifestazione si inquadra così in quella complessa politica jugoslava di cui ho avuto l'onore di segnalare gli elementi ed i momenti essenziali con

Concludendo mi pare di poter assicurare l'E. V. che mentre l'avvenire potrà riservare nuove sorprese in Germania, nulla fa nel momento presente credere che il partito nazionalsocialista abbia perduto in modo sensibile la propria forza. Quella che è indubbiamente scemata è la fiducia in un regime che ha commesso troppi errori. Ma anche gli sflduclatl concordano col Filhrer il quale ha proclamato essere oggi più che mai la Reichswehr il presidio della nazione. E la Relchswehr sarà indubbiamente quella che in ogni critica contingenza interna salverà la Germania.

Nella valutazione che si deve farne a scopi di politica internazionale la Germania, anche dopo l fatti del 30 giugno e del 25 luglio, rimane a mio giudizio un fattore importante e non totalmente parallzzato dalla propria situazione economica e politica interna.

il mio rapporto n. 5841/1589 dell'll settembre (l) e che fa pernio sul «problema italiano » per spostarsi fra Berlino e Parigi a seconda delle necessità che quel problema essenziale sembra imponga e sopratutto dei timori che esso suscita. Ciò tanto più che la manifestazione irredentista antitaliana ha luogo a Maribor, località ave più evidente può essere oggi la politica di Belgrado ed ove ai nazisti austriaci colà concentrati, agli agenti germanici colà accorsi, ed alle stesse popolazioni sloveno-tedesche indubbiamente simpatizzanti per il nord il Governo di Belgrado ha voluto dare un monito mettendo in scena con il Congresso un'affermazione di integralismo e di unitarismo etnico jugoslavo appunto in una località ave esso è discutibile, sulla base sempre, naturalmente, di quella antitalianità che è anche poi, in ogni caso profittevole ai fini della politica di Belgrado verso Berlino.

E se è vero che in tale manifestazione vi sono netti accenti irredentisti anche per la Carinzia jugoslava, il che poi può finire con l'inserirsi nel programma Grossdeutschland-Grossundslavien del quale ho intrattenuto V. E. nella primavera scorsa, è lo scopo irredentista giuliano, con le accuse ignobili al nostro paese che debbono anzitutto ritenere la nostra attenzione.

Specie nel momento presente. Ed è appunto per la delicatezza del momento presente, che non ho creduto subito aspramente protestare presso questo Governo, e col tono che il Congresso giustificherebbe appieno, contro propositi ed ordini del giorno e consenso di autorità jugoslava. L'utilizzazione di questa manifestazione ai fini della nostra politica non può essere ~atta nella giusta misura che da V. E. cioè proporzionata ed adattata e sfruttata in quel preciso modo che solo V. E. può valutare, e sfruttata contro Belgrado e soltanto contro Belgrado ed al massimo grado o no, oppure in altri cerchi politici e diplomatici.

In ogni caso si unisca tale Convegno, con la campagna di stampa contro di noi per la questione austriaca dove la malafede jugoslava è giunta al massimo delle sue espressioni, insieme al parossistico replicare a nostri giornali con così ignobili offese per il nostro Esercito ed il valore italiano, i rapporti italo-iu!!oslavi mostrano di essere giunti ad un punto di tale estrema tensione che od esige un ampio pieno leale immediato chiarimento, o può traboccare da un minuto all'altro in più precise complicazioni.

E' per tale motivo che, ripeto, soltanto V. E. può prescrivermi tono, limite, misura di ogni mio passo. Invio intanto a questo Ministero degli Affari Esteri con la nota qui unita in copia (2), la denunzia dettagliata di questo Congresso ed attendo di accompagnarla con mie dichiarazioni verbali che V. E. sia in possesso di questo mio rapporto e possa darmi ogni eventuale sua istruzione.

P.S. Mi sembra poi anche che sia la organizzazione irredentista e più ancora le manifestazioni ed i propositi che escono da Maribor possono da noi essere utilizzati nella polemica degli ustasi.

(l) -Cfr. n. 800. (2) -Non sl pubblica.
818

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1263/191 R. Roma, 16 settembre 1934, ore 15,15.

Suo telespresso n. 3364/1781 in data 27 agosto (1).

È evidente che cittadini italiani non debbono partecipare attivamente alla politica interna del paese, nulla sembrando vietare peraltro che .. essi mostrino simpatizzare per attuale regime prestando eventualmente anche libera e spontanea opera in favore di codesto Governo. È da evitarsi comunque loro inquadramento in formazioni politiche stabili: conseguenze dannose, cui V. S. accenna, nei riguardi di coloro che rifiutassero di cedere alle pressioni su loro esercitate in tal senso, potranno essere evitate con opportuna azione tempestivamente esercitata dai RR. consolati ed eventualmente da codesta legazione.

819

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 9129/1103. Budapest, 16 settembre 1934.

Mio telespresso 8504/1031 del 28 agosto (2).

l. Ho fatto negli scorsi giorni al Presidente Goemboes le comunicazioni di cui al telegramma per corriere n. 1202 del 6 corrente sulle relazioni italopolacche (3).

Il viaggio a Varsavia è fissato per il 9 ottobre. Goemboes vi si recherà senza il signor Kànya, che è ancora ammalato.

Tra il Governo ungherese ed il Governo polacco si tratta ancora per dare contenuto alle conversazioni, ed il barone Apor mi ha promesso ieri che mi terrà al corrente.

*A parte l'azione dimostrativa nei riguardi della Cecoslovacchia* (4) (mio telespresso n. 1031 del 28 agosto u.s.), non pare che la Polonia sia per il momento disposta ad aggiungere alle attuali complicazioni della sua politica quelle della situazione danubiana. D'altra parte le ripercussioni provocate dal passo polacco a Ginevra in materia di minoranze non facilitano il compito di questo Governo, la cui stampa ha sì cercato, a tutta prima, di presentare il gesto di Beck sotto luce revisionistica, ma per sentirsi ribattere da tutti i giornali con le parole stesse del primo delegato italiano a Ginevra, barone Aloisi, come

(-3) Cfr. n. 773.

quelle che danno alla questione del revisionismo la impostazione che più conviene all'Ungheria. In merito al viaggio a Varsavia avevano del resto portato abbastanza confusione l'articolo Bethlen e le polemiche cui esso ha dato luogo.

Discordi ne sono perciò le interpretazioni: alcuni mostrano di preoccuparsi che il Governo italiano possa considerare la visita a Varsavia come manifestazione rientrante piuttosto nel quadro della politica tedesca, e contrastante con le trattative in corso tra Italia e Francia; il Governo invece, nelle conversazioni e nei commenti della sua stampa, * tiene a sottolineare che il viaggio è ad un tempo sulla linea di Roma e su quella di Berlino *.

2. Da parecchi segni credo di capire che in questo momento non spiaccia in fondo al Governo ungherese che il viaggio di Goemboes a Varsavia si presti ad essere considerato come possibile atto introduttivo di nuovi orientamenti.

Segnalo a tal proposito che giorni fa sul demoliberale Magyarorszàg e sul liberale Esti Kurir è comparso un articolo dal titolo «Le relazioni ungaro-jugoslave », in cui, parlando dell'accordo per gli incidenti di frontiera e del recentissimo accordo commerciale (mio telespresso n. 1092 del 12 corrente mese) (1), si dice che « i circoli politici e diplomatici hanno seguito col più vivo interesse le trattative», che erano state «condotte con uno spirito amichevole» e che avevano *«mitigato notevolmente i rapporti ungaro-jugoslavi » *.

Ho creduto opportuno di mostrare al Direttore degli Affari Politici che avevo rilevato l'ispirazione dell'articolo. L'Apor mi ha confermato che era stato lui a volerlo, perché «effettivamente gli incidenti sulla frontiera ungaro-jugoslava erano finiti» e «all'Ungheria conveniva tenersi buona la Jugoslavia mentre s'impegnava nella campagna minoritaria contro la Romania». Ha aggiunto che erano state date istruzioni ad Eckhàrdt a Ginevra di «dire qualche parolina amabile a Jeftic ».

3. Senza voler sopravalutare questi segni (in certi ambienti di opposizione si vocifera che Goemboes, per parare al contraccolpo di un prossimo accordo itala-francese e * di una possibile intesa italo-austro-cecoslovacca, si prepari ad orientarsi verso la formazione di un blocco germanico-polacco-jugoslavoungherese), sta di fatto che gli ambienti governativi si sono compiaciuti in questi giorni di mettere sotto i nostri occhi le possibilità tattiche della politica estera ungherese»*

Ma già sono intervenute le dichiarazioni del barone Aloisi a Ginevra ad

attenuare nel Governo il nervosismo di cui ha dato tante prove negli ultimi

giorni.

Non sarà sfuggito all'attenzione di V. E. che invece il complesso dell'opi

nione pubblica ungherese, che non ha sulla coscienza gli atteggiamenti filo

germanici di certi ambienti governativi, ha dimostrato di avere più del Governo

serena fiducia nell'Italia e nella politica dell'E. V.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Cfr. n. 737. (4) -Questo e i successivi passi tra asterischi sono stati sottolineati da Mussolini.

(l) Non pubblicato.

820

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 9150/597 P. R. Londra, 17 settembre 1934, ore 10,52 (per. ore 13,15).

In relazione a colloquio di mercoledì relativo rapporti italo-jugoslavi mi propongo (ave nulla osti da parte di V. E.) richiamare attenzione Vansittart su violenta campagna antitaliana del Vreme (1).

821

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9173/132-133 P. R. Belgrado, 17 settembre 1934, ore 17 (per. ore 21,30).

Telegramma d l V. E. 116 (2).

Ho visto alle 11 Koijc ministro degli affari esteri ad interim.

Riassumo l'essenziale del colloquio.

Gli ho detto che in [risposta] al San Marco, che a sua volta replicava a due giornaletti jugoslavi, Vreme aveva pubblicato ignominioso articolo contro onore dell'esercito italiano. Articolo era stato riprodotto da molti altri giornali jugoslavi e campagna antitaliana, !ungi cessare, cresceva di intensità. Gli domandavo la cessazione di tale campagna contro l'Italia e il valore e onore esercito Italiano e la deplorazione dell'articolo del Vreme.

...

In caso contrario il Governo fascista sarebbe stato costretto a riconsiderare la intera questione dei nostri rapporti con il Governo jugoslavo.

Koijc non mi ha chiesto spiegazioni sulla portata di questa frase (non mi sono quindi valso del telegramma di V. E. 116) e mi ha risposto: «II Vreme ha reagito al San Marco, l'articolo non era ispirato, ma esso interpreta lo sdegno di tutti i serbi. Se avesse toccato l'esercito jugoslavo e forse anche lo stesso Sovrano non sarebbe stato più grande come toccare Kossovo.

È una nostra sconfitta. Ma dall'aver conservato il rancore ed il desiderio

di vendetta per secoli nasce la nostra resurrezione.

Kossovo per noi non è né storia né episodio militare, è la religione stessa della nostra patria.

Vi è equivalenza fra il San Marco ed il Vreme ».

Ho risposto non vi è confronto possibile fra i due articoli pur conoscendo il significato di Kossovo nella storia serba. Ma un apprezzamento storico diverso non giustificava espressioni del Vreme raccolte nelle fogne e che dovrebbero ripugnare agli stessi jugoslavi.

Ho insistito nel modo preciso sulle domande fatte e l'ho pregato di conslderarle con la maggiore serietà (che doveva essere desunta dall'astensione della nostra delegazione e dalla mia astensione dalle attuali riunioni internazionali), e darmi appena possibile una risposta che auguravo soddisfacente.

Ho concluso che se era vero che l'articolo del Vreme non era stato ispirato sarebbe stato più facile il deplorarlo. Koijc nel dirmi che mi avrebbe dato una risposta mi ha chiesto se eravamo pronti a deplorare l'offesa a Kossovo.

Tutto colloquio con Koijé svoltosi tono calmo.

Sono stato breve, conciso nella mia esposizione ed ho evitato per quanto possibile !asciarmi trascinare polemiche avvertendo che esse sarebbero state oziose poiché non avrebbero risolto questioni principali: porre da parte mia un quesito preciso, chiedere una risposta anche precisa, indicare eventuali possibili conseguenze di una risposta non soddisfacente, marcare la serietà della situazione. E gli ho ripetuto la frase «riconsiderare ecc.».

Conclusione discorso Koijc fa presumere quale forse potrebbe essere una sua risposta.

Fra i due articoli del giornale San Marco e del Vreme certamente non vi è equivalenza perché il primo offende il sentimento serbo (che Kossovo sia per i serbi cosa sacra lo indicai fino dal mio telegramma n. 122) (1).

Ma, comunque, attiro l'attenzione di V. E. ultima domanda di Koijc per il caso V. E. volesse farmi subito conoscere suo pensiero in proposito con eventuali istruzioni.

Koijc ha attaccato anche questione degli « ustazi » cui ho contrapposto organizzazione irredentista chiedendogli se egli sapesse se vi erano anche gruppi allogeni armati ed invitandolo ad informarsi presso Stato Maggiore cosa si era organizzato fra detti allogeni fra i quali moltissimi conservano ancora cittadinanza italiana.

Ha fatto poi cenno per il primo alla mia denunzia di sabato dei fatti di Maribor (mio telegramma n. 130) (2) affermando che avevano subito avviato un'inchiesta dalla quale intanto risultava che non era esatta notizia che a tali manifestazioni avesse partecipato generale Hadjic ed avesse prestato servizio ma musica militare.

Ha voluto poi stabilire un confronto fra questa manifestazione e le nostre irredentiste. Ho risposto fermamente che tale confronto non era mai né in nessun caso possibile.

D'altra parte per il momento non discutevo di tale questione.

Mi ero limitato a denunziare il fatto e mi riservavo eventualmente tornarvi su al suo momento.

Gli ho fatto però osservare che poiché egli mi affermava che ero male informato dovevo subito stabilire che le informazioni principali mi venivano dagli interessati stessi, cioè dal giornale Istria.

(l) -Per la risposta cfr. n. 826. (2) -Cfr. n. 815. (l) -Cfr. n. 787. (2) -T. 3279/130 R. del 15 settembre, non pubblicato, ma cfr. n. 817.
822

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 1267/222 R. Roma, 17 settembre 1934, ore 23,50.

Suo rapporto n. 3375/1236 del 7 corr. (l) Suo telegramma n. 589 (2).

Mio pensiero relativamente questione patto orientale e suoi vari aspetti

come si desume anche da atteggiamento italiano e tra l'altro dalla comunicazione fatta al momento in cui il progetto di patto si è venuto delineando è in genere analogo a quello di codesto Governo, secondo quanto appare anche dalle sue conversazioni con Vansittart e Sargent. Mi riservo di ritornare in modo più particolareggiato sull'argomento.

823

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA (3)

T. 9928/128 P.R. Roma, 17 settembre 1934, ore 24.

Informi se sia vero quanto afferma giornale Stampa di Belgrado che stampa magiara ha riportato articolo ingiurioso del Vreme del 9 andante dal titolo «Risposta agli eroi di Caporetto '> (4).

824

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 17 settembre 1934.

Questo Incaricato d'Affari di Ungheria informa che il suo Governo gli ha telegrafato di chiedere che la <<Delegazione Italiana a Ginevra si tenga in stretto rapporto colla Delegazione Ungherese » e che la «Delegazione Italiana sia invitata a prendere posizione contro ogni proposta o decisione che possa diminuire la protezione delle minoranze stabilita dai Trattati».

L'Incaricato d'Affari non ne sapeva di più.

Sull'ultimo dei due punti (questione minoranze) ho richiamato l'attenzione dell'Incaricato d'Affari sulle dichiarazioni fatte fare (l) all'Assemblea della Società delle Nazioni dalla Delegazione Italiana, dichiarazioni che la stampa ungherese aveva commentato favorevolmente. Il desiderio ungherese sarebbe stato comunque segnalato alla Delegazione Italiana. Analogamente per quanto riguardava la richiesta di tenersi in «stretto rapporto», quantunque la Delegazione Italiana questa volta, come le precedenti avesse avuto istruzioni in tal senso. Supponevo che per parte sua il Governo ungherese avesse fatto altrettanto per quanto riguardava la propria delegazione. Desideravo tuttavia pregare il Governo ungherese di segnalare i punti specifici che interessassero e ho assicurato l'Incaricato d'Affari di Ungheria che non si sarebbe mancato di portarli a conoscenza e di raccomandarli a Ginevra.

Allego testo di un telegramma alla Delegazione Italiana a Ginevra e per conoscenza alla R. Legazione Italiana a Budapest.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Cfr. n. 803. (3) -Minuta autografa di Mussolini. (4) -Colonna rispose con t. 9188/157 P.R. del 18 settembre: «Articolo Vreme è apparso come corrispondenza da Belgrado in riassunto nel notiziario estero su Pester Lloyd sotto il titolo «Inasprimento polemica stampa contro Italia » e su altri 3 g!ornal! d! secondaria Importanza non (dico non) governativi».
825

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (2)

T. 9927/117 P.R. Roma, 18 settembre 1934, ore 0,15.

Mi mandi 10 copie di quel giornale che ha ricordato un episodio di Custoza durante la qual giornata cento cavalleggeri croati avrebbero messo in fuga ben diecimila italiani. Tutto ciò per la necessaria documentazione presso questo ministero.

826

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 9942/224 P.R. Roma, 18 settembre 1934, ore 12,40.

Suo telegramma n. 597 (3). Sta bene che parlando con Vansittart ella accenni attuale situazione rapporti itala-jugoslavi.

Altra annotazione di Buti in risposta alla precedente: «Fatte fare» risponde a precisadomanda dell'Incaricato d'Affari se le dichiarazioni fossero dichiarazioni fatte dal Delegato italiano di sua iniziativa oppure su istruzioni del Governo e più precisamente di S. E. il Capo. Non parve che vi potesse esser dubbio di sorta sulla risposta. Inoltre era stato indicato alla Direzione Generale che era effettivamente cosi. (Da notare che era la seconda volta che il Governo ungherese chiedeva -e l'informazione era stata trasmessa -che la Delegazione italiana a Ginevra si tenesse in stretti rapporti colla Delegazione ungherese e si interessasse alle «minoranze»).

La direzione Generale non sa di altre «comunicazioni minister!ali, 20 settembre XII >>.

Principali manifestazioni ne sono convegno irredentista Maribor che con partecipazione autorità ha assunto spiccato carattere irredentistico antiitaliano e violenta vasta campagna stampa offensiva per esercito italiano che, se anche presentata come risposta ad articolo piccolo giornale zaratino San Marco, a sua volta rispondeva provocazioni jugoslave.

Causa va forse ricercata in preoccupazioni governo jugoslavo provocate da voci di accordo itala-francese. Tali preoccupazioni potrebbero anche spiegare recente politica filo-germanica governo jugoslavo che favorisce e permette sia incoraggiata nel suo territorio azione nazi contraria, governo austriaco.

È da notare che attuale campagna antiitaliana in Jugoslavia segue a breve distanza ripetute assicurazioni date a questa legazione jugoslava circa proposito governo italiano voler pervenire a serio miglioramento rapporto fra i due Stati.

(l) Annotazione a margine di Aloici: «Non risulta pervenuta alla Delegazione alcuna istruzione in merito alle dichiarazioni in questione che ho fatto invece dopo avere avuto consenso per telefono alla mia proposta da parte di S. E. Suvich. Pertanto prego dirmi se vi è stata una comunicazione ministeriale ».

(2) -Minuta autografa d! Mussol!n1. (3) -Cfr. n. 820.
827

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 9221/476 P.R. Shanghai, 18 settembre 1934, ore 13 (per. ore 0,30 del 19).

Suoi telegrammi segreti nn. 270 e 299 (l).

Ministro di Gina a Roma ritornato ieri dalla visita a Chang-Kai-Schek è venuto a vedermi stamane per chiedermi da parte del generalissimo di comunicare quanto segue a V. E.: la questione dell'elevazione ad ambasciata delle rispettive legazioni aveva assunto carattere di urgenza giacché Giappone aveva ultimamente, a due riprese, sollecitato una risposta alla sua proposta al riguardo.

II Governo di Nanchino non aveva ancora risposto. Intanto egli Liu Von-Tao mi informava che Chang-Kai-Schek aveva deciso di chiedere al R. Governo:

1° -l'invio in Cina di una missione navale italiana.

Tale missione, che all'invio avrebbe dovuto comporsi di un ammiraglio e di due ufficiali (uno dei quali specialista nella posa di mine sottomarine), una volta sul posto avrebbe studiato la situazione ed avrebbe provveduto, secondo i bisogni della marina cinese, sia a chiamare altri ufficiali a far parte di essa, sia a fare in Italia le ordinazioni di navi e di materiali di cui la Cina ha bisogno, giacché Chang-Kai-Schek ritiene che l'arrivo di una missione navale italiana composta sin da principio di 12 ufficiali darebbe molto nell'occhio alle altre potenze e sopratutto al Giappone.

Queste non solo avrebbero chiesto la stessa cosa ma avrebbero messo in relazione l'arrivo della nostra missione con l'elevazione ad ambasciata delle

{l) Non pubblicati

61 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

rispettive legazioni; correlazione che tanto il Governo italiano quanto quello cinese volevano evitare.

La missione, invece, nell'idea di Chiang-Kai-Schek, avrebbe dovuto ingrandirsi gradualmente come aveva fatto la nostra missione aeronautica comandata dal colonnello Lordi.

Anche per quello che si riferiva all'acquisto di navi e di materiali in Italia, Chang-Kai-Schek preferiva che ogni ordinazione fosse fatta dopo che la nostra missione si fosse resa conto dei reali bisogni della Cina e delle sue condizioni speciali costiere e di difesa marittima.

L'ammiraglio sarebbe qui venuto come «consigliere» di Chiang-Kai-Schek e non come consigliere del Governo cinese, e gli altri ufficiali come suoi segretari;

2° -Per quel che si riferiva all'acquisto di aeroplani Governo cinese aveva in questi ultimi due mesi già ordinati 50 aeroplani in Italia. Avrebbe continuato in questa via anche in seguito;

3° -Quanto ad una missione di specialisti tecnici di cui si era anche parlato in Italia, per il momento Chiang-Kai-Schek non era in grado di fissare nulla. Avrebbe studiato ed avrebbe fatto delle comunicazioni in seguito.

Liu Von-Tao ha aggiunto che egli mi parlava «ufficialmente» a nome di Chang-Kai-Schek ma non del ministero affari esteri il quale era ... (l) ed approvava tutto quel che egli mi aveva detto circa le missioni e le ordinazioni predette ma che non desiderava intrattenermene ufficialmente appunto perché non voleva che le decisioni stesse fossero considerate presto o tardi come condizioni poste all'elevazione delle ambasciate.

Infine Liu Von-Tao mi ha raccomandato la più assoluta segretezza perché -egli mi ha detto -i «giapponesi erano stati dettagliatamente informati della cosa da notizie da Londra».

Ho detto a Liu Von-Tao che, secondo quanto era a mia conoscenza, dalle conversazioni che egli aveva avuto a Roma prima della sua partenza codesto ministero era nella convinzione che le decisioni definitive su tale materia avrebbero dovuto essere prese dopo che la legazione di Cina a Roma avrebbe comunicato ufficialmente e per iscritto al R. Governo quanto il Governo cinese era deciso a fare in occasione della creazione dell'Ambasciata.

Mi ha risposto che effettivamente tali erano le intese da lui prese a Roma ma che una volta arriva<ta in Cina e ... (l) e con Chang-Kai-Schek ·e Wang ching-Wei egli stimava che sarebbe stato troppo tardi attendere il suo ritorno a Roma.

Egli mi pregava pertanto di sentire se V. E. era d'accordo su quanto precede riservandosi al suo arrivo in Italia di fare opportune comunicazioni scritte.

Resto pertanto in attesa istruzioni e direttive di V. E. che, data l'urgenza, pregherei inviarmi per filo anche per eventualmente concordare comunicato di cui ai telegrammi di V. E. nn. 270 e 299.

(l) Gruppo indeclfrato.

828

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9217/136 P.R. Belgrado, 18 settembre 1934, ore 17,40 (per. ore 21,15).

Con Stefani Speciale trasmetto articolo Novosti di ieri sera.

Sono tornato da Koijc.

Gli ho fatto rilevare che tale articolo era apparso dopo nostro colloquio. Ciò che mi riempiva di stupore. Non elevavo alcuna protesta poiché essa sarebbe stata sempre troppo poco espressiva del mio sentimento e del mio sdegno.

Per evitare però ogni equivoco e per il caso che egli mi avesse frainteso ieri, tenevo a ripetergli che se Governo jugoslavo desiderava sp-ingere all'estremo le nostre relazioni diplomatiche non aveva che continuare ancora su questo tono.

Koijc preso nota dell'articolo.

Mi ha detto che la risposta al mio passo mi verrebbe data da Jeftic che era atteso qui domani od al più tardi domani l'altro, ove egli dovesse fermarsi dal Re a Bled.

Si è poi nuovamente soffermato sul significato sacro di Kossovo per i serbi, ha deplorato che le relazioni fra i due paesi siano giunte a tal punto, ecc. ecc.

Mi sono limitato ad ascoltare.

Avevo vietato al R. addetto militare recarsi dal direttore Vreme per fargli sentire in modo tangibile il suo legittimo sdegno. Dopo nuovo articolo Novosti colonnello voleva nuovamente trascendere in qualche gesto.

Anche per dare un legittimo sfogo al suo risentimento ho finito col consentire che egli si rechi oggi dal ministro della guerra a fare sentire la sua protesta di ufficiale. R. esercito, dandogli però ogni consiglio di calma e di misura.

829

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1270/130 R. Roma, 18 settembre 1934, ore 18.

Suo rapporto 1096 del 13 corrente {l).

Dica a Gombos che da parecchio tempo Benès ha manifestato desiderio venire a Roma, ma viaggio è stato sempre rinviato. Da parte italiana non vi è un grande interesse a provocare tale viaggio. Un miglioramento della situazione nei confronti di Praga è un interesse austro-magiaro sopratutto economico. Benès non ha domandato formalmente di partecipare agli accordi tripartiti. Le cose stanno nei suesposti termini e se mutamenti interverranno, il Governo di Budapest ne avrà conoscenza a norma dei patti esistenti.

(l) Cfr. n. 810.

830

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 1274/239 R. Roma, 18 settembre 1934, ore 24.

In recente colloquio questo incaricato d'affari d'Etiopia ha detto che, avendo raccolto voci di armamenti italiani in Eritrea, si sentiva costretto a telegrafarne al proprio Governo.

Gli è stato replicato che Governo italiano era invece in possesso di informazioni da cui risultava che l'Abissinia provvedeva ad armarsi: se invii di armi in Eritrea avevano luogo, dovevano se mai mettersi in relazione con gli armamenti etiopici, non avendo l'Italia alcuna intenzione men che amichevole verso l'Etiopia. Riattaccandosi poi alle dichiarazioni di amicizia e di attaccamento all'Italia da lui fatte, gli è stato fatto presente che avrebbe reso un servizio al proprio paese non raccogliendo voci infondate: giudicasse invece se non fosse il caso di telegrafare ad Addis Abeba confermando i propositi pacifici ed amichevoli del Governo italiano.

Avendo egli menzionata la possibilità di un prossimo viaggio di S. M. il Re in Somalia, gli è stato detto che la notizia era un elemento per confortarlo circa inconsistenza delle voci da lui raccolte.

L'incaricato d'affari d'Etiopia ha concluso dicendo che, nel telegrafare al proprio Governo, avrebbe tenuto conto delle considerazioni espostegli. Quanto precede per Sua opportuna conoscenza.

831

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 18 settembre 1934.

L'Ambasciatore di Francia mi dice di avere avuto delle informazioni da Parigi. Prima di entrare in argomento egli mi chiede qualche notizia sull'attuale situazione fra l'Italia e la Jugoslavia, non sapendo rendersi conto come improvvisamente i rapporti siano diventati così tesi. Ancora pochi giorni fa Ducic gli aveva detto della cordiale accoglienza avuta dal Capo del Governo e della speranza di poter migliorare le relazioni tra l'Italia e la Jugoslavia.

Rispondo al Conte Chambrun che nel frattempo sono uscite le notizie sul Congresso di Maribor dove, con la partecipazione delle Autorità jugoslave, si è fatta la più violenta propaganda irredentista contro l'Italia e si sono avuti gli articoli del Vreme e di altri giornali jugoslavi contenenti le più ignobili calunnie contro l'esercito italiano.

L'Ambasciatore si preoccupa della cosa perchè è intenzione del Governo francese di fare una forte pressione su Re Alessandro, che sarà nei prossimi giorni a Parigi, perchè si induca a fare una politica filo-italiana.

Dico all'Ambasciatore che nelle nostre conversazioni conviene lasciare da parte la questione dei rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia che seguono il loro

corso. Noi non abbiamo nessuna intenzione di aggravare la situazione, ma evidentemente non possiamo passare sotto silenzio le provocazioni jugoslave. Venendo all'oggetto principale delle nostre conversazioni, l'Ambasciatore mi dice che da Parigi gli si sono fatte presenti le seguenti considerazioni:

-la Francia non ha avuto come territori attribuiti a titolo di proprietà in Africa, in seguito alla guerra, che due zone molto limitate nel Congo Belga. Pel resto ha avuto i mandati che hanno un altro carattere.

-Con gli accordi Bonin-Pichon la Francia ha già ceduto all'Italia due tratti di territorio in Libia che rappresentano una superficie uguale a circa un terzo del territorio francese; egli sa che si tratta di zone desertiche che non hanno nessuna possibilità di sfruttamento economico.

Quando si è trattato della regolazione degli ulteriori rapporti fra l'Italia e la Francia, la Francia aveva impostato la questione sulla seguente base: rinuncia alla ipoteca italiana in Tunisia verso rettifica del confine meridionale della Libia a favore dell'Italia.

Da ultimo il signor Chambrun fa presente che ogni concessione che la Fra!).cia dovesse fare all'Italia dovrà avere l'approvazione del Parlamento francese, per cui bisogna tener conto in modo assoluto di quella che è l'opinione pubblica in Francia.

L'Ambasciatore premette queste considerazioni per impostare il problema nei suoi veri termini, almeno come è visto dal punto di vista francese. Oggi siamo di fronte a una nuova fase ed egli mi chiede di esporgli nel modo più preciso possibile quali sono le nostre richieste. Il Governo francese intende trattare la cosa con lo spirito più amichevole, tenendo conto però degli elementi più sopra indicati.

Ho risposto che la questione relativa al diritto dell'Italia ad avere dei compensi è definitivamente risolta dalla decisione del 7 maggio 1919 del Consiglio Supremo degli Alleati. Gli Accordi Bonin-Pichon non hanno risolto la questione ma l'hanno espressamente lasciata aperta come è riconosciuto nei documenti stessi.

Per quanto riguarda le trattative successive del 1928 da parte nostra non si è mai accettata la tesi francese di cessioni nostre in Tunisia per avere dei compensi in Tripolitania. La sospensione di tali trattative ha lasciato la questione completamente aperta.

Ricordo anche all'Ambasciatore che con gli inglesi abbiamo liquidato la questione dell'art. 13 avendo ottenuto le importanti oasi di Giarabub e Cufra oltre il Giubaland. Recentemente poi abbiamo ottenuto anche il riconoscimento dei pezzi di Auenat.

Dato l'invito rivoltomi mi riservo di fargli sapere in modo più preciso le nostre richieste. Posso dirgli però fin d'ora che: per quanto riguarda la Tunisia noi chiediamo il rinnovo per dieci anni per la Convenzione del '96, richiesta da noi fatta anche nei pourparlers precedenti. Naturalmente queste Convenzioni devono avere un'applicazione larga e di buona fede.

Per quanto riguarda i compensi territoriali, l'aspirazione italiana è stata quella di aprirsi la strada per il lago Ciad per poter valorizzare la nostra colonia in Libia attraverso il movimento commerciale che avrebbe aperto la via di un centro come quello del Ciad, dove affluiscono alcune fra le più ricche regioni africane.

Come l'Ambasciatore sa, noi abbiamo chiesto anche la Somalia francese pur rendendoci conto della necessità della Francia di avere un punto di appoggio a Gibuti. Mi riservo però su tutti questi punti di ritornare nel prossimo incontro.

L'Ambasciatore mi raccomanda ancora di essere modesti nelle nostre richieste in modo che egli possa appoggiarle presso il Governo francese, ciò che risponderebbe al suo più vivo desiderio.

Mi avverte che per quanto riguarda l'Africa orientale egli non ha nessuna istruzione dal proprio Governo. Vuoi fare però sin d'ora, se io glielo consento, un accenno a Parigi.

Gli dico che non ho niente in contrario, tanto più che la cosa ha già formato oggetto di nostre richieste ufficiali e, anche in epoca più recente, di alcune conversazioni ufficiose.

L'Ambasciatore mi avverte anche che a Parigi si sta studiando un patto di amicizia che sarà sottoposto quanto prima alla nostra approvazione.

832

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 18 settembre 1934.

Ho l'onore di raggruppare i vari appunti preparati in questi ultimi giorni per l'E. V., secondo le indicazioni a mano a mano fornite, in relazione alle conversazioni dell'E. V. con l'Ambasciatore di Francia.

Tali appunti riguardano soltanto le due questioni delle Convenzioni tunisine e dei Compensi coloniali. Essi trattano succintamente e mettono in evidenza:

il primo, la diversa natura e la diversa impostazione diplomatica delle due questioni;

il secondo, le richieste di massima che (ove non si preferisca che siano i francesi ad avanzare offerte) potrebbero essere presentate da parte nostra nell'attuale stadio dei negoziati, badando ai precedenti passati e immediati;

il terzo, un'affermazione dell'Ambasciatore di Francia relativamente all'Oasi di Ghadames (sono indicate da ultimo in tale appunto considerazioni d'indole generale, relative all'art. 13, e viene fatto il raffronto con i Compensi datici dagli inglesi);

il quarto, la cronologia dei negoziati dal 1919 in poi, quale si desume dagli atti della Direzione Generale.

Tutti tali appunti, come è detto, sono schematici; riassumono: Non esauriscono l'argomento, che trova sua completa trattazione nei relativi incartamenti. Gli Accordi di San Giovanni di Mariana non hanno alcuna relazione con la questione dei Compensi coloniali in Africa; ma concernono l'attribuzione al

l'Italia di taluni territori dell'ex-Impero ottomano, ed hanno quindi riferimento ad un altro articolo del Patto di Londra, relativo alla sistemazione politica del Mediterraneo Orientale nel dopo-guerra, articolo che non ebbe, neppur esso, pratica applicazione a nostro vantaggio.

ALLEGATO I

BUTI A SUVICH

APPUNTO. Roma, 10 settembre 1934.

Nel colloquio che l'E. V. ha avuto con l'Ambasciatore di Francia il 5 corrente (l) è stato stabilito di abbordare lunedl prossimo le due vertenze esistenti fra Italia e Francia della Tunisia e dei Confini Libici. Il signor Chambrun ha espresso in tale occasione, come sua idea personale, l'opinione che sarà molto difficile un accordo se noi linsistiamo per il Lago Ciad; ma che sarebbe forse possibile coordinare i reciproci interessi, « lasciando libertà d'azione alla Francia verso il Sud Sahariano ed esaminando le aspirazioni italiane nella parte più orientale dell'Africa».

Al riguardo la Direzione Generale A.P. III ha l'onore di esporre le seguenti considerazioni:

a) come è già stato fatto presente in precedenti appunti, occorrerebbe evitare che, trattando contemporaneamente le due quistioni su indicate (Tunisia e Confini Libici,

o per meglio dire Tunisia e Compensi Coloniali dovutici dalla Francia), queste vengano abbinate, o comunque messe in rapporto, nel senso che eventuali Compensi Coloniali da parte della Francia siano subordinati ad una nostra contropartita consistente nell'abbandono della speciale situazione di cui godiamo in Tunisia. Le due questioni sono nettamente distinte fra di loro, oltre che per la loro natura, anche per la loro origine.

La Francia ci deve dei Compensi Coloniali in base agli impegni presi con l'art. 13 del Patto di Londra, articolo il cui testo è il seguente:

«Dans le cas où la France et la Grande Bretagne augmenteraient leurs domains coloniaux d'Afrique au depens de l'Allemagne, ces deux Puissances reconnaissent en principe que l'Italie pourrait réclamer quelques compensations équitables, notamment dans le reglèment en sa faveur des questions concernant les frontières des colonies italiennes de l'Erythrée, de la Somalie et de la Lybie et des colonies voisines de la France et de la Grande Bretagne ».

Si deduce da tale testo che i Compensi Coloniali per l'Italia sono da concretarsi in Africa, e possono essere ricercati sia alle frontiere della Libia, sia alle frontiere delle nostre Colonie dell'Africa Orientale. I Compensi determinati con la Gran Bretagna sono infatti consistiti tanto in una delimitazione delle frontiere orientali della Libia con l'abbandono delle pretese egiziane su Giarabub quanto nella cessione della provincia del Giubaland, a1la frontiera sud della nostra Somalia.

Gli impegni derivanti alla Francia in base al suddetto art. 13 hanno avuto un principio di esecuzione con l'Accordo Bonin-Pichon del 12 settembre 1919, che rettificava a nostro favore le frontiere occidentali della Libia, riconoscendo la sovranità italiana sui due salienti fra Gadames e Ghat e fra Ghat e Tummo; ma non sono esauriti: ciò perché il valore della cessione di tali salienti, del tutto desertici, è molto relativo, consistendo solo nell'ottenuto possesso delle vie carovaniere fra dette località. Tanto vero che lo stesso Accordo Bondn-Pichon, con la frase «tout en laissant d'autres questions pour un prochain examen », esplicitamente riconosce che la questione dei Compensi Coloniali resta aperta e deve essere ulteriormente esaminata.

La questione tunisina ha invece ongme dalla denuncia, fatta dal Governo francese il 9 settembre 1918, delle Convenzioni tunisine del 1896, denuncia motivata dalla Francia con ragioni esclusivamente di carattere economico, ed alla quale non fu allora da parte nostra sollevata obiezione appunto perché implicitamente ne derivava che non dovevano essere modificate le altre clausole delle Convenzioni (nazionalità, stabilimento, istituzioni italiane ecc.) di carattere essenzialmente politico, costituenti le condizioni alle quali praticamente l'Italia ha subordinato a suo tempo il riconoscimento della instaurazione del Protettorato francese sulla Reggenza.

In quanto precede si ritrova la prova che le due questioni (Tunisia e Compensi Coloniali) non hanno alcun legame fra loro, e tanto meno quindi offrono materia a reciproca compensazione; da un lato noi siamo creditori della Francia di Compensi Coloniali; dall'altro dobooamo pretendere il rinnovo delle Convenzioni tundsine del 1896, ammettendo al massimo la possibilità che esse sieno riesaminate esclusivamente nelle loro clausole di carattere economico.

b) L'accenno fatto a titolo personale dall'Ambasciatore di Francia, relativo alla «libertà d'azione alla Francia verso il Sud Sahariano e all'esame delle aspirazioni italiane nella parte più orientale dell'Africa», appare -come V. E. ha già riconosciuto del maggiore interesse.

Al riguardo sarebbe opportuno cercare di ottenere qualche maggiore precisione dall'Ambasciatore: non avanzare richieste da parte nostra, ma provocare offerte da parte francese.

Gli eventuali compensi della Francia nell'Africa Orientale non escludono compensi nel Sud Sahariano a mente dello stesso articolo 13.

In un primo tempo quindi, e salvo naturalmente gli elementi da dedursi nel corso dei negoziati, le nostre aspirazioni dovrebbero mirare parallelamente tanto all'Africa Orientale quanto al Sud Sahariano.

c) In merito all'accenno fatto dall'Ambasciatore di eventuali Compensi nell'Africa Orientale, è possibile che la Francia ci faccia intravedere la possibilità di !asciarci mano libera in Etiopia, nel senso che essa non invocherebbe all'occasione l'impegno dell'inviolabilità dell'Etiopia, reciprocamente assunto dalle tre Potenze firmatarie dell'Accordo tripartito del 1906; ed eventualmente anche rinuncerebbe a rivendicare

diritti derivantile da tale Accordo su alcune zone dell'Etiopia.

Se questo avvenisse, sembrerebbe opportuno di osservare, almeno in un primo tempo e per ragioni tattiche, che ci attendiamo che la Francia, nel concretare i Compensi Coloniali dovutici, li ricerchi in territori propri e non in territori altrui.

Ciò perché, anche per i futuri sviluppi della nostra politica verso l'Etiopia, l'obiettivo da raggiungere dovrebbe anzitutto essere la cessione da parte della Francia della Costa francese dei Somali, (Gibuti esclusa). Tale cessione infatti costituisce l'elemento indispensabile perché il disinteresse della Francia in Abissinia possa acquistare contenuto reale: con essa, da un lato ci sarebbe consentito, nell'eventualità di un conflitto itala-etiopico, di esercitare il controllo sulla ferrovia Gibuti-Addis Abeba, un tratto della quale passerebbe sul territorio italiano; dall'altro noi saremmo garantiti che né da parte della Francia, né da parte di altri Pa;esi, si potrebbe, attraverso la ferrovia di Gibuti, fornire armi all'Etiopia.

ALLEGATO Il

BUTI A SUVICH

APPUNTO. Roma, 12 settembre 1934.

In relazione alle questioni della Tunisia e dei Compensi Coloniali, che formano, fra le altre, oggetto di negoziato fra l'E. V. e l'Ambasciatore di Francia, la Direzione Generale Affari Politici, in base agli elementi a sua disposizione, ha l'onore di indicare di seguito, schematicamente, le richieste che potrebbero essere avanzate nell'attuale

fase del nego2liato, ove non si preferisse di lasciare all'altra Parte di presentare delle offerte.

l) Tunisia. Rinnovo delle due Convenzioni del 1896 per un periodo di dieci anni.

Si ricorda che la spiegazione u!/iciale data dalla Francia nel modo più esplicito al momento della denuncia delle due Convenzioni tunisine è stata, come risulta dalla Nota Barrère del settembre 1918 allegata in copia (1), che le clausole economiche delle Convenzioni dovevano essere rivedute e messe in armonia con la nuova situazione economica del dopoguerra, ma che nella denuncia stessa non era « aucune arrière-pensée politique », ciò che implicava che le clausoJe politiche delle Convenzioni (nazionalità, stabilimento, scuole, ospedali, ecc.) dovevano rimanere integre ed invariate. È su tale base pertanto che, come pel passato, pare convenga di insistere per ottenere il rinnovo deile due Convenzioni del 1896 ammettendo solo la possibilità di discussione o di riserve francesi sulle clausole di carattere esclusivamente economico. Il rinnovo eliminerebbe la precarietà di vita delle Convenzioni, che, come è noto, dopo la denuncia francese del 1918 restano in vigore per tacita riconduzione di 3 in 3 mesi.

Nel proporre tale rinnovo si pone l'alternativa:

a) rinnovare le Convenzioni, accordandosi nell'interpretazione di alcuni dei punti maggiormente controversi. La Direzione Generale degli Italiani all'Estero ha presentato in proposito un Appunto all'E. V.;

b) chiedere il «rinnovo puro e semplice» delle Convenzioni come è stato fatto in passato, senza affrontare la quistione assai difficile e complessa dell'interpretazione, pur chiarendo che -ove appaia opportuno -il rinnovo non significa da parte nostra abbandono dei punti di vista, a varie riprese espressi, circa l'interpretazione di alcune clausole delle Convenzioni. Analogamente non domanderemmo l'abbandono dei punti di vista oppostici dal Governo francese: manterremmo la nostra interpretazione contro la loro pratica, confidando che, raggiungendosi l'accordo, sarebbe più agevole di trovare un'intesa soddisfacente circa l'applicazione delle Convenzioni. Un'apposita formula potrebbe consacrare il criterio della «buona fede reciproca» (bona fide), in conformità dello spirito delle Convenzioni. Altrimenti la proroga non sarebbe più proroga, ma modifica.

2) Compensi coloniali. L'Ambascill!tore di Francia ha fatto presente che ritiene molto difficile un accordo se insistiamo per il lago Ciad, ma che un modo di mettere d'accordo i reciproci interessi sarebbe quello di lasciare libertà d'azione alla Francia verso il Sud Sahariano, esaminando le aspirazioni italiane nella parte più orientale dell'Africa. (Appunto di V. E. del 5 settembre) (2).

Pare opportuno non dipartirsi da questa impostazione del problema e farne anzi la base delle nostre richieste.

Premesso che i Compensi Coloniali, a mente dell'art. 13 del Patto di Londra possono essere ricercati tanto al sud quanto all'est (ai confini cioè di tutte e tre le nostre Colonie), si potrebbe cominciare con l'avanzare le nostre domande per quanto riguarda l'Africa Orientale, ed anzi, in conformità della mossa francese, far consistere da questo lato la parte centrale e fondamentale delle nostre richieste. Si potrebbe ricordare che già nel passato, quando si iniziò a Parigi nel 1919 la discussione italo-francese sui Compensi coloniali, noi chiedemmo che tali compensi fossero, fra l'altro, concretati nella cessione di Gibuti e del suo territorio. La Francia ci oppose allora, la necessità vitale per essa di mantenere il porto di Gibuti, per le sue comunicazioni con l'Indocina e con il Madagascar. Ci rendiamo conto di questa necessità, la quale però -riprendendo e sviluppando l'argomentazione francese -potremmo osservare che non esclude, anzi ammette la possibilità di compensi in tutto quello che non è Gibuti e, quindi nel territorio della Costa Francese dei Somali, pur lasciando a Gibuti un ragionevole entroterra.

Una tale cessione di territorio che implichi la discontinuità tra l'entroterra di Gibuti e l'Etiopia, con il conseguente controllo italiano su un tratto della Ferrovia Gibuti-Addis Abeba, ed eventualmente una compartecipazione finanziaria italiana nella Società ferroviaria, costituirebbe un sacrificio non esagera,to, da parte francese, se ci si limiti a considerare sia il valore intrinseco del territorio (trattandosi di territorio improduttivo) sia la sua estensione territorale. Si può ricordare a questo proposito che il solo Giubaland -cedutoci dall'Inghilterra in base allo stesso art. 13 del Patto di Londra -è grande più di due volte tutta la Costa Francese dei Somali e che la sua cessione non ha escluso la rettifica della frontiera orientale della Libia con il riconoscimento all'Italia di Giarabub e di Cufra. Una tale cessione di territorio da parte della Francia si presta ad essere presentata al Governo francese ed in genere all'opinione pubblica come il modo migliore per permettere un più completo sviluppo dei rapporti economici tra l'Italia e l'Etiopia, conseguenza naturale della nostra presenza in Eritrea; e rappresenta probabilmente quanto di più e di meglio si potrebbe ottenere dalla Francia in applicazione dell'art. 13 del Patto di Londra.

Una obiezione seria che potrebbero farci i Francesi è che, con la cessione su a,ccennata, la contiguità territoriale fra Gibuti e l'Etiopia venendo ad essere interrotta, potrebbe derivarne pregiudizio all'eventuale applicazione delle clausole del Tripartito che riconoscono alla Francia in Abissinia -come all'Italia e all'Inghilterra determinate wne di influenza; ma anche per questo apposite clausole dell'a,ccordo potrebbero salvaguardare alla Francia i diritti che le derivano dal Tripartito.

Resta la quistione delle frontiere meridionali della Libia.

Giusta la summenzionata impostazione Chambrun e partendo dall'adesione al concetto da lui espresso, secondo il quale la parte principale dei compensi dovrebbe essere concretata nell'Africa Orientale, rimane sempre da determinare l'andamento della frontiera meridionale della Libia. In proposito si potrebbe osservare a Chambrun che saremmo disposti ad a,ccettare l'argomentazione da esso addotta altre volte, di non pretendere niente che possa minacciare la compagine dell'Impero coloniale francese, che possa cioè separare l'Africa Occidentale da quella equatoriale su cui la Francia estende il proprio dominio. Ove quindi si riuscisse a concretare la parte principale dei Compensi Coloniali come è indicato nella prima parte del n. 2 di questo appunto, potremmo considerare stabilita la premessa essenziale per ridurre le richieste avanzate in precedenza per le frontiere meridionali della Libia, e ridurre quindi tali richieste all'attribuzione alla Libia del minimo che nel massiccio del Tibesti e al Sud-est di esso, è necessario per rendere possibile la vita ai presidi destinati alla sorveglianza della frontiera. Si potrebbe quindi in linea di larga massima almeno inizialmente suggerire che il confine del sud di Tumme traversi il massiccio del Tibesti seguendo la linea di cresta in direzione generale di sud-est, e che al di là del massiccio la frontiera segua ugualmente la direzione matematica di sud-est, in modo da lasciare all'Italia nell'Unianga centri di vita donde sia possibile esercitare effica,cemente la sorveglianza della frontiera, come già indicato.

3) Nell'eventualità della conclusione di un a,ccordo con i Francesi circa i confini libici, e verso l'Africa Orientale, occorrerebbe ottenere che, con apposita clausola, venga garantita la possibilità per noi di stabilire collegamenti ferrovliari, camionabili e aerei tra la Libia e, attraverso l'Africa Equatoriale Francese, le regioni del CentroAfrica; ciò che appare indispensabile alla vitalità economica ed agli sviluppi dei traffici della Libia.

L'adesione a tale richiesta, che potrebbe presentarsi ora o quando appaia più

opportuno nel corso dei negoziati, non rappresenterebbe una vera e propria conces

sione da parte dei Francesi, ma piuttosto una conseguenza naturale della definizione

delle vertenze africane itala-francesi e si risolverebbe tanto a vantaggio dei nostri

possedimenti come di quell1 della Francia.

Per tutto quanto è detto nel presente appunto la Direzione Generale non riter

rebbe conveniente pel momento -e forse, anche volendo, non sarebbe possibd.le

di scendere ad ulteriori particolari fintanto che non risultino maggiori elementi del

negoziati in corso.

ALLEGATO III

BUTI A SUVICH

Roma, 17 settembre 1934.

APPUNTO.

In recente colloquio, l'Ambasciatore di Francli.a ha accennato all'E. V., parlando dei compensi coloniali dovuti dalla Francia all'Italia in base all'art. 13 del Patto di Londra, che la Francia avrebbe con l'Accordo Bonin-Pichon del 12 settembre 1919 già ceduto all'Italia l'oasi di Ghadames.

Come V. E. ha rilevato l'affermazione è del tutto inesatta.

L'Accordo suddetto, nelle sue clausole territoriali, non fece che riconosr.ere come pertinenti alla Libia i territori, completamente desertici, (segnati in rosso nell'unita cartina) che formavano due salienti fra Ghadames e Ghat e fra Ghat e Tummo, assicurando di conseguenza alla Libia le comunicazioni dirette fra Ghadames e Ghat e fra Ghat e Tummo.

Per maggiore precisione si trascrive quanto al riguardo stabilisce l'Accordo Bonin-Pichon:

« Les oasis d'El Ba;rkat et de Fehout (segnato in bleu nella cartina allegata) sont attribuées à l'Italie. La roote de caravanes qui réunit Ghadames à Ghat en passant par Titagsin, Inehoartant, Hassi-El Misselan, Zouirat e Oued Amasin, la variante qui passe par Tarz -Ouilli, Oued -Tarat (Aoussedgim), Inehoartan, ou autre variante à l'ouest qui serait nécessaire pour as.sw-er en tout temps et saison une bonne communication sur territoire italien, particulrièrement dans les sections de Titagsin à Inehoartant et de Hassi-El-Misselan à l'Aoued Amasis, sont également attribuées à l'Italie. Le tracé de la noovelle frontière entre la Tripolitaine et l'Algérie à l'ouest de cette route de commun!.cation sera établi par voie de vérification sur les lieux. De Ghat à Tummo la frontière sera déterminée d'après la crete des montagnes qui s'étendent entre ces deux localités, en attribuant toutefois à l'Italie les lignes de communication directes entre ces mèmes localités. Le Gouvernement italien s'engage à occuper le plus téìt possible les postes de Ghat et de Ghadames ».

Da tale testo risulta che non si parla della cessione di Ghadames, la quale era gtià considerata come pertinente alla Libia, ed era stata del resto occupata dalle nostre truppe precedentemente allo scoppio della guerra europea.

Le due piccole oasi di El Barkat e di Fehout si trovano nelle immediate vicinanze, ma ad ovest di Ghat, che implicitamente era pure già considerata pertinente al territorio libico.

Si noti che, in applicazione del suddetto accordo Bonin-Pichon, è pendente con la Francia la questione dell'attribuzione di In-Ezzan. Questo punto d'acqua si trova circa a mezza strada fra Ghat e Tummo, ed è da noi considerata come pertinente alla Libia, in quanto si trova a nord della cresta di montagne che corrono fra Ghat e Tummo, o quanto meno sulla linea di comunicazione diretta fra queste due località. In-Ezzan è tuttora occupata da un presidio francese, che non è stata ritirata, malgrado le nostre proteste e richieste di sgombero.

Come si è già avuto l'onore di far presente a V. E. in precedenti appunti. i Compensi Coloniali attribuiti dalla Francia con l'Accordo Bonin-Pichon non rappresentano che un acconto, sia per la loro scarsa importanza, sia perché nel testo dell'Accordo stesso si precisava che la questione dei Compensi Coloniali rimaneva aperta. Ciò risulta esplicitamente dai periodi iniz.iali del testo dell'Accordo che qui si trascrivono:

«Nos deux Gouvernements étant convenus de sa1s1r l'occasion des négociations de la paix pour régler d'un commun accord certaines questions qui concernent les intérèts des deux Pays en Afrique, j'ai l'honneur de résumer ci-après les conclusions résultant jusqu'ici des conversations que j'ai eues avec V. E. à cet effet.

Par sa décision du 7 mai dernier, le Conseil Suprème des Alliés ayant reconnu que le Gouvernement italien était fondé à réclamer le bénéfice de l'art. 13 du traité

de Londres, le Gouvernement de S. M. le Roi d'Italie et le Gouvernement de la République se sont déjà mis d'accord sm 1es points suivants tout en réservant d'autres points pour un prochain examen ».

Si noti altresi che la Gran Bretagna, ne'l far onore agli impegni presi con l'art. 13 del Patto di Londra, da un lato ha riconosciuto come pertinenti alla !Jibia le due oasi di Giarabub e di Cufra (quest'ultima in realtà già precedentemente era stata dalla Gran Bretagna riconosciuta come pertinente alla Libia, ma successivamente alla proclamazione dell'indipendenza dell'Egitto, questo Stato sollevò pretese sull'oasi di Cufra, pretese che furono eliminate per pressione britannica), particolarmente importanti perché centri della setta senussita; e dall'altro ha ceduto all'Italia la provincia del Giubaland (alla frontiera meridionale della nostra Somalia), compenso particolarmente rilevante sia per la sua estensione territoriale, sia per il discreto valore produttivo, sia perché comprendente due porti sull'Oceano Indiano (Kisima.io e Porto Durnford), sia infine perché implicava la disponibilità da parte nostra di ambo le rive del fiume Giuba.

Cade acconcio qui di notare che l'art. 13 non ha nei rispetti francesi avuto finora completa applicazione perché la Francia si è sempre rifiutata di dare a tale articolo una applicazione equa e rispondente allo scopo proprio dell'articolo stesso. Di conseguenza piuttosto che liquidare l'art. 13 con un compenso inadeguato, si è finora ritenuto conveniente di lasciare aperta la questione.

Sarebbe prematuro dire se attu!lilmente la Francia sia più favorevolmente disposta di quello che lo sia stata in passato: certo è più favorevole quella che si potrebbe dire la forma mentis con cui il Governo francese riprende per l'ennesima volta la questione, almeno a giudicare dal tono delle conversazioni svoltesi a Parigi, da quelle svoltesi qui, e dall'intonazione della stampa francese.

Non vi è dubbio che se si dovesse liquidare la questione dell'applicazione dell'art. 13 in modo insoddisfacente, meglio varrebbe tenerla aperta; giacché tra un titolo di credito che non si realizza, e la sua estinzione con niente o quasi niente, la seconda alternativa è certo la peggiore.

Altro sarebbe il discorso se da parte francese si s~a veramente disposti a fare onore in modo equo all'impegno rappresentato dall'art. 13 del Patto di Londra.

ALLEGATO IV

BUTI A SUVICH

Roma, 18 settembre 1934.

La Direzione Generale A.P. (Ufficio III), di seguito a precedenti appunti, ha l'onore di indicare per sommi capi le fasi per cui sono passate le due questioni italofranc·esi relative ai Compensi Coloniali e alla denuncia delle Convenzioni italotunisine del 1896.

Trattazione della questione dei compensi coloniali durante le trattative di pace di V ersailles.

Il Patto di Londra del 1915 stabiliva all'art. 13 «que dans le cas où la France et la Gmnde Bretagne augmenteraient leurs domaines coloniaux d'Afrique au dépens de l'Aillemagne, ces deux Puissances reconnaissent en principe que l'Italie pourrait réclamer quelques compénsations équitables notamment dans le règlement en sa faveur des questions concernant les frontières de colonies italiennes de l'Erythrée, de la Somalie et de la Lybie et des colonies voisines de la France et de la Grande Bretagne ».

Il Consiglio Supremo degli Alleati con decisione del 7 maggio 1919, (v. allegato l) (l) dopo aver ripartito fra Francia e Gran Bretagna l'amministrazione delle ex-colonie tedesche in Africa, riconosceva che il Governo italiano era autorizzato a

reclamare il beneficio dell'art. 13 del Patto di Londra; ed in conseguenza costituiva una speciale Commissione per esaminare la questione. A tale commissione, che fu chiamata Commissione coloniale, parteciparono soltanto Delegati italiani, francesi ed inglesi. Le richieste itald.ane presentate alla Commissione furono le seguenti:

a) nei rispetti francesi, il collegamento carovaniero fra Ghadames e Grat; non specificando dove sarebbe terminato a sud il confine libico; la cessione di tutta la Costa dei somali francesi, compresa Gibuti;

b) nei rispetti inglesi, una linea di frontiera fra Libia e l'Egitto lungo il 25° grado di longitudine Oasciando quindi in nostre mani Giarabub), fino alla latitudine del 16° parallelo inoltre la cessione di tutto il Somaliland britannico e del territorio del Giubaland.

Nel corso del dibattito in seno alla Commissione, il Rappresentante francese assentì alla rettifica della frontiera occidentale della Libia. Il Rappresentante britannico assentì alla rettifica della frontiera orientale libica, nonché alla cessione di parte del territorio del Giub,.a. Ma i Rappresentanti francese e britannico rifiutarono la cessione della Somalia !rancese e della Somalia inglese. (La Somalia inglese ha estensione assai più vasta di quella francese: in luogo di essa gli inglesi ci hanno poi ceduto il Giubaland).

In seguito alle insistenze italiane il Rappresentante della Francia offerse, ai confini meridionali della Libia, l'oasi di Bardai ed una parte del Tibesti, offerta che fu rifiutata dal Rappresentante italiano. Successivamente questi chiese, come compenso, che il Mandato sul Togo fosse affddato all'Italia, ricordando che, nella seduta del 7 maggio del Consiglio Supremo nella quale furono distribuiti a Francia e Gran Bretagna i mandati africani, il Rappresentante dell'Italia aveva fatto osservare che l'Italia non avrebbe dovuto essere esclusa dal partecipare ai mandati coloniali poiché «se il mandato è un onere, l'Italia è pronta ad accettarne una parte; se al contrario il mandato offre vantaggi, l'Italia ha diritto a parteciparvi ».

I Rappresentanti francese e britannico rifiutarono di prendere in considerazione questa nuova domanda italiana. La Commissione così riassunse, nel suo rapporto al Consiglio Supremo, (Allegato 2) le conclusioni del suo lavoro: l) L'Italia accetta, sotto talune riserve da definire fra i due Governi, la proposta britannica del Giubaland; 2) l'Italia accetta dalla Gran Bretagna la rettifica di frontiera fra la Cirenaica e l'Egitto; 3) la Francia e la Gran Bretagna non credono poter dare la loro adesione all'incorporazione della Somalia francese e della Somalia inglese nei possessi italiani;

4) l'ItaLia non accetta la parte del Tibesti offerta dalla Francia, e ritira la domanda rivolta ad una rettifica della frontiera occidentale e meridionale della Libia, intendendo con ciò mantenere aperta la questione coloniale africana tra essa e la Francia;

5) l'Italia sarebbe disposta a rinunciare ad ogni pretesa sulla Somalia inglese e francese se le fosse affidata l'amministrazione della ex Colonia tedesca del Togo; 6) i Rappresentanti della Francia e della Gran Bretagna considerano questa domanda come inconciliabile con il mandato ricevuto dal Consiglio Supremo;

7) la Francia accetta la rettifica della frontiera occidentale della Libia, che le era stata primitivamente domandata, e mantiene l'offerta presentata all'Italia in vista di cercare le basi di una nuova delimitazione nella regione del Tibesti.

Seguirono a queste conclusioni trattative fra i Governi italiano ed inglese da una parte, e fra i Governi italiano e francese dall'altro. Col Governo inglese le trattative giunsero a risultati positivi; ma la loro indicazione sfugge all'indole della presente relazione.

Colla Francia le trattative furono riprese dal Ministro Tittoni nello stesso 1919 giungendosi, con l'accordo Bonini-Pdchon del 12 settembre detto anno (v. alleg. 2 ter), a determinare un acconto nei Compensi coloniali, che si concretò nella rettifica del confine occidentale della Libia.

Come è già stato fatto presente in precedenti appunti, nei quali il contenuto di questo accordo è specificato, l'accordo stesso lascia tuttavia aperta la questione dei compensi Coloniali francesi, espressamente rinviandone la trattazione ad un ulteriore esame (v.oltre, pag. 4).

Denuncia delle convenzioni tunisine del 1896: negoziati del 1921 ed anni immediatamente successivi.

Come è già stato indicato in altro appunto, con Nota 9 settembre 1918 l'Ambasciatore di Francia Barrère notificava al Ministero degli Esteri la denuncia della I e della II Convenzione 'l'Unisina, quella cioè commerciale e quella Consolare e di stabilimento, motivando la denuncia con ragioni di carattere esclusivamente economico, e proponendo nel contempo che le convenzioni rimanessero provvisoriamente in vigore per tacita riconduzione di tre in tre mesi.

Il Barone Sonnino prendeva atto dell'avvenuta denuncia, ed accettava la proposta di tacita riconduzione.

La prima occasione che si offerse al Governo italiano per cercare di ovviare al grave inconveniente della vita precaria delle Convenzioni, la cui definitiva denuncia significherebbe l'immediata snaturalizzazione della maggioranza della colonia italiana in Tunisia e praticamente la fine delle nostre istituzioni colà, si offerse nel 1921, al momento dell'emanazione di due Decreti, l'uno tunisino, l'altro francese, ambedue comportanti disposizioni circa l'acquisto ope legis della cittadinanza in Tunisia.

Il Governo italiano chiese allora al Governo francese:

a) l'affidamento formale e per iscritto che i Decreti non potevano in alcun modo applicarsi agli italiani di Tunisia, protetti dalle esistenti convenzioni;

b) il rinnovo puro e semplice delle convenzioni denunciate per il più lungo periodo di tempo. L'affidamento richiesto fu dato dal Governo francese soltanto oralmente: venne invece sempre dilazionata la risposta circa il rinnovo delle Convenzioni.

Negoziati Mussolini -Beaumarchais del 1928.

Nel 1928 ebbero luogo alcune conversazioni fra il Capo del Governo italiano e l'Ambasciatore di Francia a Roma, impostate sulle due principali questioni pendenti fra i due Paesi: questione tunisina e questione dei compensi coloniali, l'eventuale risoluzione delle quali sarebbe stata completata daJla stipUil.azione di un Trattato di amicizia e di arbitrato. Le due questioni per quanto trattate contemporaneamente vennero tenute separate.

A seguito di tali conversazioni, d'indole generica, l'Ambasciatore di Francia ebbe a presentare:

a) per la Tunisia, un progetto d'accordo, col quale, fra l'altro, si sarebbero applicate agli italiani in 'l'Unisia le stesse disposizioni sulla cittadinanza applicate dalla Francia nel territorio metropolitano, e si sarebbero soppresse le scuole RR. Italiane, lasciando sussistere solo le private;

b) un progetto di accordo sulle frontiere meridionali della Libia con il quale si proponeva la cessione all'Italia dell'oasi di Giada, insieme col territorio compreso fra l'attuale frontiera e le due piste Giado-Anai e Giado-Tummo. Tali piste sarebbero state internazionali, ed il loro uso comune alle forze di polizia, carovane e convogli delle due Potenze. Inoltre le forze di polizia carovane e convogli francesi avrebbero potuto far tappa a Giada e rifornirsi ivi di acqua. A seguito di tale cessione l'Italia avrebbe dovuto dichiarare che la clausola dell'art. 13 del Patto di Londra era stata completamente soddisfatta.

Le proposte francesi, che per la Tunisia miravano a risolvere la questione in modo del tutto favorevole alla Francia, e per i Compensi ColoniaU offrivano un terrdtorio del tutto desertico e di piccola estensione territoriale, furono seguite da nostre controproposte, nelle quali il Capo del Governo suggeriva «dopo matura considerazione delle questioni e nell'intento di restringere il più possibile le legittime domande italiane, quelle che sembravangli essere le soluziond minime delle questioni stesse »; e cioè:

a) per la Tunisia prorogare le convenzioni del 1896 senza alcuna variante per un minimo di 10 anni, come l'Italia aveva già nel passato proposto;

b) per i compensi coloniali; attrdbuire all'Italia la zona sud della Libia limitata ad occidente dall'll0 meridiano, a sud del 18 parallelo, ad oriente dal 24° meridiano, e quindi le zone di Giado e di Bilma, tutto H Tibesti e tutto l'Erdi e parte del Borku. (Si veda parte segnata in rosso nell'acclusa cartina -Allegato 3 bis). L'Ambasciatore inviò una nota di risposta a cui il Ministero replicò, senza tuttavia che alcun nuovo elemento fosse introdotto nelle trattative, ed il negoziato non giunse ad alcuna conclusione.

Si unisce (Allegato 4) la corrispondenza ufHciale relativa a questa fase di negoziati.

Trattazione delle questioni nel 1931.

Nell'ottobre 1931, essendo in progetto una visita del Presidente del Consiglio francese, signor Lavai, a Roma furono date istruzioni al R. Ambasciatore a Parigù di comunicare che, prima della visita, occorreva intervenisse un regolamento di talune questioni italo-francesi, e precisamente per quanto riguarda le due questioni. in oggetto:

-la cessione all'Italia del triangolo comprendente l'oasi di Giado e Giado stessa, restando in territorio italiano le piste congùungenti Giado con Tummo e Giado con Ghat, attraverso Inezan, la quale ultima località doveva essere dal Governo francese riconosciuta come di nostra sovranità;

-la proposta pura e semplice delle Convenzàoni tunisine per 10 anni.

Malgrado che la seconda di tali soluzioni avesse carattere aleatorio e la prima fosse ampiamente transazionale, l'accoglienza fatta alle comunicazioni verbl!ili del

R. Ambasciatore a Parigi fu, da parte dei Ministri francesi, genericamente cortese ma vaga, e da parte del Signor Berthelot -per usare l'espressione del R. Ambasciatore a Parigi -«quasi sgarbata e grettamente assente da ogni concezione e visione politica e diplomatica».

La risposta della Francia fu differita. Nel dicembre il Ministero degli Esteri chiudeva praticamente questa fase del negoziato, scrivendo al R. Ambasciatore a Parigi (v. Allegato 6), quanto segue:

« Non mi sembra per il momento necessario che Ella venga a Roma poiché la situazione in verità non presenta degli aspetti nuovi che meritino di riprendere in diversa considerazione i nostri atteggiamenti nelle varie questioni che interessano le relazioni politiche italo-francesi.

Infatti come Le è noto la soluzione che Ella chiama "ammd.nistrativa" delle due questioni del compenso coloniale e delle Convenzioni tunisine non era apparsa a s. E. il Capo del Governo che come un tentativo di spianare la via ad una visita del Signor Lavai a Roma da cui si potesse avere la certezza dd conversazioni serie ed ampie su tutti i problemi politici del momento con una certa garanzia di risultati soddisfacenti. Ora, il Suo troppo breve dialogo col Sig. Berthelot, l'atteggiamento riservato del Sig. Lavai, ma più ancora la situazione poJitica di quest'ultimo alla vigilia delle elezioni, e soprattutto lo stato d'animo francese inadatto alle trattative, come

v. E. stessa riconosce, sono chiare prove dell'impossibilità di farsi illusioni circa una utile ripresa di conversazioni in questo momento.

È evidente che non ci conviene perciò di soLlecitare questa risposta di cui siamo creditori perché tutto fa presumere che anche se una risposta ci fosse data, questa sarebbe inadeguata ed insoddisfacente, che noi rischieremmo di compromettere ancora lo stato delle questioni stesse e che infine daremmo a Parigi la sensazione di avere· una premura di giungere ad un accordo che verrebbe sfruttata, come al solito, dalla Francia a proprio vantaggio ».

Accenni alle questioni nel 1932.

Nel maggio 1932, in occasione dell'imminente nomina del Signor Herriot a Presidente del Consiglio francese, S. E. Grandi inviava istruzioni (v. Allegato 7) al R. Ambasciatore a Parigi di cercare di impostare in modo diverso la trattazione delle questioni itala-francesi.

« Il problema franco-italiano -diceva S. E. Grandi -è un problema che non può essere risolto attraverso lo studio dei dossiers relativi ma soltanto in atmosfera di vasta e reciproca comprensione. Ove fosse possibile, in quest'atmosfera, raggiungere un'intesa di carattere generale, non dovrebbe poi essere difficile di trovare equa e soddisfacente soluzione ai singoli problemi».

L'Ambasciatore a Parigi ebbe occasione di esprimere tali concetti al Presidente Herriot.

Contemporaneamente e successivamente si sono avutti. una serie di colloqui ufficiosi, e più che ufficiosi personali, di emissari italiani e di emissari francesi, in posizione ufficale e non ufficiale, nei quali tutti i vari aspetti delle relazioni italafrancesi sono stati presi in esame, e per quanto riguarda la questione in oggetto si è padato alternativamente di cessione di Camerun e di Somalia francese, in parte o in tutto, fissandosi da ultimo, pm quanto risulta alla Direzione Generale, particolarmente sulla Somalia francese. Si fa allusione ai contatti avuti da ultimo dal Sen. Theodoli con personalità francesi.

(l) Cfr. n. 769.

(l) -Cfr. serie V, vol. XI, n. 658. (2) -Cfr. n. 769.

(l) Gli allegati non sono stati rinvenuti.

833

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 3502 Roma, 18 settembre 1934.

Ti scrivo in fretta, al momento che il corriere sta per partire, per dirti che ho visto stasera Vansittart e che gli ho parlato, nel senso del telegramma

n. 224 (1), delle manifestazioni anti-italiane in Jugoslavia, del convegno irredentista e della partecipazione delle autorità ad esso, e della violenta campagna di stampa condotta contro di noi. Tutti fatti che Vansittart più o meno ignorava, e che hanno benissimo servito a mettere in contrasto il nostro atteggiamento, quale risulta dall'ultimo periodo del telegramma sopracitato, con l'atteggiamento della Jugoslavia.

Ricordando a Vansittart quanto egli aveva avuto occasione di dirmi circa il sincero favore con il quale il Governo britannico segue il riavvicinamento italafrancese, gli ho fatto notare come queste manifestazioni di ostilità da parte della Jugoslavia sembrano non essere disgiunte dalla preoccupazione che il Governo jugoslavo mostra di avere proprio per tale riavvicinamento. Non potevano essere perciò considerate come delle sporadiche manifestazioni di malumore. Tanto meno era possibile chiudere gli occhi al fatto che il Governo jugoslavo favoriva sul suo territorio l'azione nazi contro il Governo austriaco.

Neanche di questo Vansittart mi è sembrato che fosse al corrente, ed è stato, credo assai utile, richiamare la sua attenzione anche su questo aspetto del problema. Se infatti al principio della conversazione egli ha cominciato col dirmi che, dopo tutto, non gli pareva il casò di dare molta importanza alla stampa jugoslava, alla fine si è mostrato in tutto d'accordo con me nel riconoscere che il problema è ben più complesso e la politica jugoslava merita di essere sorvegliata con molta più attenzione.

Ho potuto notare che il fatto che maggiormente lo ha colpito è stato quel che io gli ho detto dell'incoraggiamento dato dal Governo jugoslavo ai nazi. Potrebbe forse essere opportuno tornare con lui sull'argomento, quando noi avessimo altri dati da mettere sotto gli occhi del Foreign Office, che considera l'espansione del nazismo nell'Europa Centrale il pericolo maggiore di fronte al quale l'Europa si trovi.

Vansittart mi ha detto anche che in ottobre vorrebbe venire a Roma, in forma naturalmente privata e mi ha chiesto se potevo informarlo della data della visita di Barthou, perché desiderava non trovarsi a Roma gli stessi giorni nei quali si troverà Barthou, e non trovarsi cosi preso in cerimonie ufficiali.

P. S. -Le informazioni che ho assunte presso Rottscheld e di Erlanger per la conversione del prestito austriaco sono assolutamente tranquillanti.

(l) Cfr. n. 826.

834

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9223/137 P. R. Belgrado, 19 settembre 1934, ore 10,40 (per. ore 12,30).

Mio telegramma n. 136 (1). Colloquio del R. Addetto Militare con Sottosegretario Guerra stato probabilmente utile. Sua rude franchezza trovato verosimile comprensione in questo Stato Maggiore.

835

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 9986/119 P. R. Roma, 19 settembre 1934, ore 16,30.

Suo telegramma 132 (2). Se codesto ministero esteri dovesse rinnovarle richiesta circa deplorazione da parte nostra a frasi giornale San Marco menomanti il ricordo della bat

62 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

taglia di Kossovo pregola riservarsi riferire facendo comprendere difficoltà causa assoluta sproporzione contenuto e forma rispettivi attacchi stampa.

Per sua informazione comunicale che Giornale d'Italia ieri sera riproduce articoli San Marco e Vreme ribattendo sulla base testimonianze alti comandi alleati e ex-nemici espressioni ingiuriose giornale Vreme (1).

(l) -Cfr. n 828. (2) -Cfr. n: 821.
836

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3310/105 R. Ginevra, 19 settembre 1934, ore 19,25 (per. ore 20,45).

In base a conversazioni che ho avute con il cancelliere della delegazione austriaca questi ha comunicato in via breve alle delegazioni francese ed inglese ed italiana un progetto di dichiarazione che invio per corriere (2).

Dopo una serie di considerandi che servirebbero di preambolo, si stabilirebbe un riconoscimento solenne che ogni perturbazione proveniente dall'esterno dell'Austria e che metta in pericolo l'integrità o l'indipendenza politica di essa sarebbe contraria al mantenimento della pace in Europa e nel caso che l'Austria avesse a dolersi di atti di intromettenza provenienti dall'Estero e diretti contro l'ordine e contro la sicurezza interna, il Governo austriaco si

San Marco».

le Gouvernement de . . . . . . . etc., et le Gouvernement d'Autriche,

consldérant que l'lntégrité et l'indépendance politique de l'Autriche constltuent un lntérèt vital pour le maintlen de la paix en Europe;

soucieux de sauvergarder cette intégrité et cette lndépendance contre toute atteinte ou menace venant du dehors,

sont convenus de ce qui suit:

Article 1er

Les Gouvernements signata!res reconnaissent solennellement que toute perturbation venant du dehors et qui mette en danger l'lntégrité ou l'lndépendance polltlque de l'Autriche sera!t contraire au mantien de la paix en Europe.

Artlcle 2.

Dans le cas où l'Autriche auralt à se plaindre d'actes d'immlxtion provenant de l'étranger (du dehors) et dirlgés contre l'ordre et contre la sécurité à l'intérieur. le Gouvernement d'Autriche s'adressera aux autres Gouvernements signataires afin qu'ils lui pretent leur cet concours en vue de mettre fin à cet état de choses. Sur cet appel ces Gouvernements prendront lmmédlatement toute mesure qu'ils jugeront appropriée.

Ces memes Gouvernements s'engagent dès à présent à ne pas tolérer sur leurs terrltolres des aglssements dirigés contre d'ordre établi en Autriche.

Article 3.

Le présent Tralté est ouvert à l'adhéslon des Gouvernements des Etats llmitrophes de l'Autriche.

Il restera en vlgueur pendant une durée de . . . . ans.

S'Il n'est pas dénoncé par l'un des Gouvernements slgnatalres un an avant l'expiratlon de ce délai il demeurera ultérieurement en vigueur jusqu'à l'expiratlon d'un an à dater de la dénonclation que l'un des Gouvernements signataires aurait notifiée aux autres ».

rivolgerebbe agli altri Governi firmatari affinché prestino il loro concorso allo scopo di mettere fine a questo stato di cose. In base a questo appello i Governi prenderebbero immediatamente ogni misura che giudicheranno appropriata. Gli stessi Governi si impegnerebbero fin da ora a non tollerare sui loro territori alcuna agitazione diretta contro l'ordine stabilito in Austria.

La delegazione inglese pur mostrando di apprezzare vivamente lo sforzo fatto per tener conto delle direttive che guidano attualmente il Governo britannico, ha sollevato dei dubbi sulla possibilità di aderire ad una qualsiasi dichiarazione comune.

Tuttavia delegazione inglese ha telegrafato a Sir John Simon, che è attualmente in Inghilterra, pregandolo di far conoscere il suo pensiero sollecitamente, secondo il desiderio ripetutamente ed insistentemente espresso dagli austriaci a noi, ai francesi ed agli inglesi.

Delegazione francese in linea di massima invece è decisamente favorevole ad una dichiarazione nel quadro della Lega delle Nazioni.

Come è noto, il Consiglio permanente della Piccola Intesa decideva fra l'altro il 14 settembre, pronunciandosi una volta di più per l'indipendenza completa di tutti gli Stati del bacino danubiano, per il loro riavvicinamento sul terreno economico e per la loro collaborazione con tutti gli Stati interessati, dichiarando che la S.d.N. sembrava al Consiglio Permanente della P. I. essere in caso di necessità la garanzia e la più appropriata per il mantenimento della pace e dell'ordine creato dai trattati.

Delegazione francese sostiene la tesi della P. I. e vorrebbe portare la questione austriaca al Consiglio perché la garanzia dell'Austria fosse dichiarata e riconosciuta dalla Lega delle Nazioni.

Ho detto alla delegazione francese ed in particolare a Barthou che non avremmo potuto seguirlo per questa via, ho cercato di dimostrargli i pericoli e gli inconvenienti di questa procedura ed ho insistito perché appoggi il progetto di dichiarazione formulato dalla delegazione austriaca.

Successivamente nella giornata di ieri ho fatto delle nuove pressioni tanto su Eden che su Barthou.

Il primo, dopo aver ancora una volta confermato i suoi dubbi sulla possibilità di firmare una dichiarazione anche se redatta in termini generali e non impegnativi, ha fatto qualche accenno alla possibilità di risolvere la questione austriaca mediante degli accordi da stipularsi fra Austria, Italia e Jugoslavia.

Questa soluzione è stata naturalmente da me respinta.

Il signor Barthou, forse perché incoraggiato dalla sua delegazione, si è mostrato più fermo nell'idea di regolare la questiont~ nel quadro della S.d.N., conforme ai postulati espressi dalla Piccola Intesa nt:lla riunione del 14 settembre.

Dopo ciò ho creduto utile di informare la delegaziune austriaca della situazione quale si presentava ed essa ha convenuto con me sull'opportunità di mantenere le posizioni assunte.

In questo senso m1 esprimerò con Barthou nel colloquio che avrò con lui stasera prima che egli parte per Parigi per assistere al Consiglio dei Ministri.

Egli sarà di ritorno qui lunedì.

(l) Con successivo t. 9988/120 P.R. delle ore 22 Suvich comunicò: «Per sua norma informarLa che né Bari né altra stazione radio Italiana ha mai riprodotto noto articolo

(2) Il testo della dichiarazione era il seguente: <<Le Gouvernement de . . .

837

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3309/107 R. Ginevra, 19 settembre 1934, ore 17 (per. ore 18,30).

Credo bene prospettare in grandi linee lo sfondo politico sul quale avvengono le continue fluttuazioni delle difficili trattative per l'Austria.

Le posizioni francese e inglese rivelano nervosismo e instabilità sicché ogni tentativo di agire di concerto a una delle due parti si ripercuote immediatamente sull'altra annullando il cammino precedentemente fatto verso di esse.

Con Francia sembra ci si fosse incamminati verso una certa concordanza di vedute sul problema austriaco, vincendo le forti diffidenze verso la politica italiana, sempre radicate fra l'elemento tradizionalista del Qual d'Orsay, allorché tre nuovi elementi entrati in giuoco, e cioè la stasi nelle conversazioni italo-francesi a breve distanza dalla venuta di Barthou, il mutato atteggiamento inglese e una forte pressione della Piccola Intesa hanno seriamente turbato il corso delle trattative.

Quanto agli inglesi, avevo portato Simon a riconoscere esplicitamente il parallelismo dei prob1emi della intangibilità belga e austriaca ai fini dell'equilibrio europeo nonché ad ammettere la probabilità di una dichiarazione inglese di adesione al nostro punto di vista, quando d'altro canto annunzio ufficioso della venuta di Barthou a Roma, dato dai giornali francesi, ha rafforzato le prospettive di un riavvicinamento italo-francese e conseguentemente ha risospinto l'Inghilterra verso la sua tradizionale politica della ricerca di un contrappeso germanico che ristabilisca l'equilibrio continentale europeo.

Alle vecchie ragioni di repulsione della pubblica opinione inglese contro l'assunzione di qualunque nuovo impegno, si aggiungono ora quelle dell'opportunità di iniziare uno spostamento verso la Germania che induca la Francia a riflettere e la distacchi dall'Italia.

Indizio del mutamento è l'odierna richiesta fattami dagli inglesi di chiamare la Jugoslavia a far parte dell'accordo già nella sua prima fase.

La Francia, sempre sensibilissima all'amicizia inglese, contemporaneamente a questo avvertimento britannico ha ricevuto nel fianco anche un'offensiva della P. I. che ha saputo approfittare del momento per lanciare le cinque proposlzwni fra cui quella che proclama la competenza della S.d.N. per ciò che riguarda l'assettamento politico dell'Europa danubiana.

Tale lo sfondo che rivela difficoltà dovute non a ragioni di opportunità tattiche ma a ben nota direttiva che costituisce per quanto possibile il fondamento tradizionale delle politiche francese e inglese.

Su tale sfondo manovrerò secondo i mutamenti e le esigenze del momento per attuare fino ai limiti del possibile le direttive di V. E., usando tutte le armi.

Salvo contrordini di V. E. ho intenzione di avvalermi -se necessario verso la Francia dell'argomento della inutilità della visita di Barthou in Italia dopo veri.ficatasi una divergenza su questo punto essenziale della nostra politica.

A Francia e a Inghilterra farei poi comprendere, in ultima analisi, che questa loro politica di astensione ci lascerebbe mano libera e ci costringerebbe a regolare fra noi due soli, Italia e Austria, la questione nel modo da noi ritenuto migliore.

838

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 3323/109 R. Ginevra, 19 settembre 1934 (1).

Dopo varie insistenze ho accettato da Benes un invito a colazione.

V,enuto il discorso sulla eventualità di una sua visita a Roma, gli ho detto

in conformità con istruzioni telefoniche di V. E. -che il Governo italiano non aveva assolutamente nulla in contrario, ma che stimava opportuno che tale visita avesse luogo solo allorché si potesse fondatamente ritenerla capace di condurre a qualche risultato concreto.

Benes ha pienamente riconosciuto la necessità di una conveniente preparazione. Ho allora subito cercato di approfittare di questo suo riconoscimento per ritentare con lui la manovra dell'anno scorso.

Come allora era l'opposizione della piccola Intesa che tratteneva la Francia dall'aderire al patto a quattro, così oggi è in gran parte la stessa opposizione che la trattiene dall'aderire al patto per l'Austria.

Allora questa opposizione fu smontata dall'efficace intervento di Beneà. Questo intervento segnò l'inizio del suo ravvedimento a nostro riguardo che si è poi sempre più sviluppato fino alle odierne reiterate profferte di venire a Roma.

Gli ho fatto comprendere che un suo nuovo intervento nell'attuale circostanza potrebbe ben avviare quella preparazione alla sua venuta a Roma che entrambi giudichiamo necessaria.

Ci siamo intesi.

Benes mi ha assicurato di essere disposto a collaborare con no1 m tutto quanto si riferisce alla nostra azione rivolta contro Anschluss. In particolare modo egli si sente abbastanza forte per ottenere l'adesione jugoslava.

Oggi si vede però costretto a rinviare una sua azione in tal senso fino a quando sarà per lo meno diminuita attuale tensione itala-jugoslava.

Puntando sul suo desiderio a ottenere ambito nulla osta alla venuta a Roma farò possibile per indurlo esercitare sua azione malgrado tale ostacolo al fine liberare Francia almeno dalla opposizione jugoslava alla esclusione della Piccola Intesa dalla prima fase dell'accordo.

(l) Il telegramma, redatto Il 19 settembre, venne In realtà spedito alle ore 12,13 del 20. Il colloquio Aloisi-Benes aveva avuto luogo alle 13,30 del 19 (cfr. Journal, p. 220).

839

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3312/110 R. Ginevra, 19 settembre 1934, ore 21,55 (per. ore 3 del 20).

Ho avuto oggi una lunga conversazione con Barthou prima della sua partenza per Parigi.

Gli ho dichiarato nettamente che non avrei potuto seguirlo nella tendenza manifestata dalla delegazione francese a portare la questione delle garanzie internazionali per l'Austria dinanzi al Consiglio della Società delle Nazioni.

Gli ho fatto opportunamente rilevare le conseguenze che avrebbero potuto derivare da una tale iniziativa. Barthou mi ha detto che stamane anche il ministro degli affari esteri austriaco gli aveva fatto le stesse energiche precise dichiarazioni.

Di queste duplici dichiarazioni italiane e austriache egli prendeva atto e mi prometteva di commentarle opportunamente al prossimo consiglio dei ministri a Parigi.

Allo stato attuale delle cose egli vedeva i due ostacoli maggiori nella pressione della Piccola Intesa, volta a incanalare il problema verso una soluzione societaria e nella crescente opposizione inglese.

Riguardo alla prima gli ho riferito quanto mi aveva detto prima Benes (mio telegramma n. 109) (1).

Barthou ha approvato il tentativo di alleggeri.re la pressione della P. I. sulla Francia mediante un nostro intervento diretto su Benès e mi ha incoraggiato a proseguire su questa via.

Riguardo all'opposizione inglese gli ho fatto notare che, in ultima analisi, si potrebbe anche ritornare all'antico progetto di un patto limitato a Italia, Austria e Francia, con eventuale adesione della Piccola Intesa, accontentandosi poi di quelle dichiarazioni che si sarebbero potuto riuscire a ottenere dagli inglesi.

Barthou ha annuito.

Intanto su mia richiesta ha accettato di fare ancora pressione per piegare gli inglesi e a tale scopo mi ha detto di voler esaminare l'opportunità di fare un passo a mezzo dell'ambasciatore francese a Londra.

Sarei d'avviso che il R. Governo facesse intanto in ogni modo anche esso una pressione a Londra.

(l) Cfr. n. 838.

840

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 7790/1250. Atene, 19 settembre 1934.

S. E. Rodopulos, Sottosegretario di Stato alla Guerra, che ho precedentemente segnalato come un nostro buon amico e come un entusiasta del Fascismo, è venuto oggi a vedermi per farmi conoscere, in via riservatissima, anche a nome di S. E. il generale Kondylis, Ministro della Guerra, che tanto lui quanto il suo Ministro desideravano che le prossime forniture militari per l'esercito greco potessero esser fatte in Italia, anche senza passare sotto l'incerta alea delle aste.

Egli però mi faceva presente che tale desiderio si trovava ostacolato dalle condizioni finanziarie del suo Paese che gli impediscono di fare acquisti all'estero contro versamento di divise, delle quali è privo il tesoro ellenico. Egli mi pregava pertanto di esporre in via riservatissima il desiderio suo e del Ministro della Guerra di dare la preferenza al nostro Paese per le prossime ingenti forniture militari elleniche purché si trovasse un mezzo, con scambi e con pagamenti rateali, per superare le difficoltà finanziarie suindicate.

Tanto lui quanto il generale Kondylis intendevano dare tale preferenza al nostro Paese non soltanto perché erano convinti da tempo della eccellenza della nostra industria, ma anche e sopratutto perché erano dei profondi ammiratori del Fascismo.

A traverso queste forniture belliche, da riservare esclusivamente al nostro Paese, essi erano convinti di rendere più intimi e più stretti i vincoli fra l'Italia e la Grecia. E poiché essi sperano che in un prossimo avvenire anche in Grecia, spazzati dalla vita pubblica i vecchi esponenti del mondo democratico parlamentare, si possa addivenire ad un governo non dissimile da quello Fascista, egli sin da ora desiderava dar inizio a quella collaborazione fra Italia e Grecia che poi dovrebbe divenire completa.

Mentre ho ringraziato S. E. Rodopulos delle sue simpatiche dichiarazioni, l'ho assicurato che in via del tutto riservata non avrei mancato di far conoscere le sue proposte agli organi competenti italiani nella speranza che possa esser trovata una combinazione atta a soddisfarlo.

Le forniture militari alle quali la Grecia dovrà in breve provvedere, e delle quali ha dettagliatamente riferito il R. Addetto Militare, ammontano a circa quattro miliardi di dracme; quelle più urgenti, che saranno fatte al più presto, a circa un miliardo e mezzo di dracme. Esse interessano numerosi rami industriali. Si dovranno infatti fare forniture di polveri, trattori, camions, fucili, maschere antigas ecc.

Tanto S. E. Rodopulos quanto il generale Kondylis, per quanto facciano parte del Gabinetto popolare, sono col generale Metaxas e colla Mercuris i più fattivi e i più forti esponenti del partito dittatoriale che tende a riformare, a traverso un colpo di Stato, il governo della cosa pubblica greca, dandogli una impronta nettamente fascista.

Vedrà l'E. V. se nell'attuale momento economico politico possa esser conveniente dar seguito alle proposte di S. E. Rodopulos facendo studiare un sistema atto a superare le difficoltà finanziarie elleniche.

Per quello che posso di qua giudicare mi permetto di raccomandare in special modo alla E. V. le proposte di questo sottosegretario di Stato alla Guerra, poiché, a parte il beneficio che le nostre industrie potrebbero trarre da ingenti forniture alla Grecia, sarebbe veramente opportuno stringere a noi importanti elementi politici greci, che, oltre ad essere forse destinati a prendere il totalitario governo della cosa pubblica greca e a darle una impronta fascista, restano comunque anche oggi nell'attuale Gabinetto fattori importanti della vita politica ellenica e gli arbitri assoluti di ogni qualsiasi fornitura militare.

841

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3327/141 R. Belgrado, 20 settembre 1934, ore 12,30 (per. ore 16,30 ).

Questo ministro Inghilterra, tornato da Londra 8 giorni fa, mi ha riservatamente detto avere avuto istruzioni adoperarsi in ogni possibile modo per facilitare riavvicinamento italo-jugoslavo.

A tal fine egli intendeva vedere Re Alessandro al più presto.

Per questo scopo si era fermato a Bled per attendervi il Re il quale aveva tardato suo arrivo ed era poi giunto colà quando egli veniva a Belgrado. Egli è tornato Bled ieri sera su invito del Re. Ministro d'Inghilterra era perfettamente al corrente di ultimo incidente,

conosceva anche linee fondamentali articolo Giornale d'Italia di cui al tele

gramma di V. E. n. 119 di ieri (1).

Egli ha esplicitamente riconosciuto gravità ingiurie del Vreme, espresse speranza che Jeftic, persona ragionevole, vorrebbe ciò riconoscere con me al suo ritorno.

Poiché ministro d'Inghilterra ha visto ieri Puric posso supporre che egli

si sia espresso in tal senso anche a questo ministro degli affari esteri.

842

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3326/114 R. Ginevra, 20 settembre 1934, ore 12,45 (per. ore 13,45).

Delegati ungheresi sono venuti a più riprese per avere informazioni su nostro progetto circa accordo con Austria.

Dopo preventiva intesa col ministro degli affari esteri austriaco, che da parte sua ha proceduto analogamente, li ho informati delle linee generali della nostra azione, promettendo loro di tenerli al corrente.

(l) Cfr. n. 835.

843

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3340/125/115 R. Ginevra, 20 settembre 1934 (per. il 22).

Ammiraglio Ruspoli, cui detti incarico di sondare con discrezione l'attitudine francese nei riguardi della conferenza navale del 1935, mi riferisce le seguenti impressioni da lui riportate nei cordiali colloqui avuti con vari membri della delegazione francese e del Segretariato della Società delle Nazioni.

«La Francia non è favorevole al rinnovo del trattato di Washington e si mostra preoccupata della minaccia germanica e diffidente della politica italiana.

L'attuale riavvicinamento tra Francia e Italia è, secondo l'opinione francese, non tanto dovuto alla volontà delle due parti quanto una conseguenza di errori di altri. Questi potrebbero un giorno ravvedersi e allora non inverosimilmente ricomincerebbe l'altalena della politica italiana. Secondo i francesi occorre quindi che la Francia proceda con la maggiore circospezione perché gli italiani hanno pretese ed appetito senza limiti e. qualunque concessione fatta loro rischierebbe di essere il punto di partenza per nuove ed esorbitanti richieste.

Nei riguardi particolari della questione navale il Governo francese non ha ancora formulato alcun programma. Questo non potrà dipendere se non dai risultati cui giungeranno le tre Potenze oceaniche di fronte alle richieste del Giappone, ed altresì dalla soluzione che potrà essere data al problema degli armamenti germanici, ossia alla sostituzione delle clausole, non solo navali ma anche militari ed aeree, del trattato di Versailles con nuovi accordi contrattuali.

II confermare all'Italia la "parità navale" riconosciutale a Washington sarebbe equivalente al firmare uno "chèque en blanc" del quale gli italiani potrebbero un giorno avvalersi per turbare l'esistente rapporto di forza fra le due nazioni. Anche un accordo che prevedesse l'uguaglianza delle nuove costruzioni navali delle due marine, pur garantendo per vari anni la superiorità della Francia, sarebbe soluzione tendenzialmente paritaria e quindi un riconoscimento della tesi italiana di cui i francesi non vogliono sapere.

Per queste ragioni, e specie dopo la decisione da parte dell'Italia di costruire due navi da 35.000 tonnellate più potenti delle due "Dunkerque", i francesi ritengono che il riprendere le conversazioni navali sarebbe poco profittevole, almeno fino a quando i due paesi non si saranno definitivamente accordati su di una linea di condotta comune nei riguardi degli armamenti del R.eich ».

Le impressioni dell'ammiraglio Ruspoli coincidono con quelle che ho avute io stesso, ed al riguardo aggiungo avermi il signor Barthou detto di avere dato istruzioni a Chambrun di trattare a Roma tutte le questioni pendenti tra Francia e Italia all'esclusione della questione navale.

844

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 3745/1918. Vienna, 20 settembre 1934.

Segretario Generale mi ha stamani detto d'aver ricevuto dal Direttore degli Affari Politici Hornbostel, che trovasi a Ginevra, il testo di uno schema di patto di sicurezza che sarebbe stato colà concordato dalla Delegazione austriaca in piena intesa con la nostra Delegazione (1).

Egli me ne ha riassunto le linee fondamentali. Queste non mi sono sembrate -tranne la menzione dell'obbligo da parte dei firmatari di non tollerare sul proprio territorio azioni atte a turbare la situazione politica dell'Austria -di molto diverse da quelle del primitivo testo, di cui al mio telegramma n. 310 dell'8 corrente (2).

Al riguardo il signor Peter ha osservato che non gli pareva scevro di inconvenienti un articolo, incluso nello schema, che consente ai contraenti di intervenire immediatamente, non appena il Governo di Vienna abbia loro notificato di sentirsi minacciato. Ha rilevato che, in tal caso, ciascuno dei firmatari potrebbe inviare truppe sul territorio austriaco, ed il paese rimanere così esposto a sgradite sorprese e a probabili gravi complicazioni. A lui pareva quindi opportuno un maggiore esame di detto articolo, allo scopo di trovare un espediente atto a derimere il pericolo accennato. Una sua idea -non ancora vagliata -era quella di stabilire che i Governi firmatari potrebbero intervenire solo « d'accordo con il Governo austriaco ~. in guisa da lasciare a Vienna la decisione circa lo Stato che, a seconda del pericolo annunziato, meglio sembrasse indicato a prestare l'invocato soccorso. Ha chiarito il suo pensiero nel senso che, di fronte ad una minaccia dalla frontiera tedesca, il governo austriaco non potrebbe sollecitare che un soccorso dall'Italia; di fronte ad un pericolo dalla frontiera jugoslava un soccorso dall'Italia e dall'Ungheria. Ha anzi soggiunto che solo così, a suo avviso, si potrebbero evitare contemporanee azioni militari da parte della Jugoslavia e della Cecoslovacchia, rispettivamente verso la Carinzia e verso Vienna, qualora la Jugoslavia e la Cecoslovacchia, come Stati limitrofi, dovessero aderire al patto.

Signor Peter mi ha inoltre accennato, senza specificare, che la Francia

sembrerebbe sempre più disposta a «far giocare la Società delle Nazioni, e ciò

forse anche per vincere le riluttanze inglesi ad assumere impegni di sorta~.

Anche a questo riguardo egli aveva una sua personale idea, onde poter sal

;are allo stesso tempo, come egli ha detto, l'autonomo funzionamento del patto e soddisfare al desiderio francese. A quanto ho compreso l'espediente del Peter consisterebbe nel fare annunziare in una seduta dell'Assemblea l'idea di un patto di sicurezza per l'Austria: questo annunzio, nel suo pensiero, mentre varrebbe a far in certo modo avallare da tutti gli Stati colà riuniti il patto in questione, ne lascerebbe d'altra parte intatta l'autonomia nella cerchia dei suoi firmatari.

Peter ha concluso ripetendomi che le sue parole non rispecchiavano che idee personali, non sottoposte ad alcun esame approfondito, i negoziati svolgendosi a Ginevra, e le sommarie notizie da lui ricevute essendogli pervenute, a semplice titolo di informazione, dai funzionari recatisi colà.

Signor Peter mi ha infine confidato che il Ministro d'Austria a Berlino gli aveva riferito che il Direttore degli Affari Politici della Wilhelmstrasse, nell'accennare alle notizie apparse sulla stampa tedesca circa il predetto patto, aveva manifestato al signor Tauschitz il suo disappunto per il fatto che l'Austria non preferisse una diversa via: quella cioè di un patto diretto fra Vienna e Berlino.

Peter ha mostrato di non dare alcun peso a questa apertura: si è affrettato infatti ad osservarmi che l'attuale situazione austro-tedesca gli appare tale da fargli ritenere assai difficile financo «quel semplice modus vi vendi», che valesse a mettere i rapporti austro-tedeschi almeno sullo stesso piede di quelli che intercedono tra l'Austria e l'URSS ». Della necessità di tale modus vivendi egli era tuttavia tanto persuaso, che non aveva mancato di intrattenerne il Cancelliere al primo colloquio con lui avuto dopo il suo ritorno da Ginevra.

Come ho sovente segnalato, il signor Peter si è sempre mostrato propenso non solo a non aggravare in alcuna guisa la situazione fra Vienna e Berlino, ma anche proclive ad ogni espediente o negoziato inteso ad un approccio o ad una détente con la Germania; alla quale egli sempre più assegna, specie in seguito alle relazioni stabilitesi tra Mosca e Parigi, il compito di formare con gli altri Stati interessati un blocco antislavo.

Peter mi ha infine detto che von Berger verrà qui, senza alcuna pubblicità, per un paio di giorni, anche per riferire sul corso dei negoziati relativi al patto, circa il quale egli cerca di crearsi un successo personale.

(l) -Cfr. n. 836, nota 2. (2) -Cfr. n. 781.
845

IL MAGGIORE RENZETTI A ... (l)

L. P. Roma, 20 settembre 1934.

Il diciotto dello scorso mese, mentre mi trovavo fuori sede per seguire una severa cura contro i disturbi nervosi ed intestinali causati dall'intenso lavoro e dalla vita dura ed agitata degli ultimi anni, mi raggiungeva la decisione di S. E. il Capo del Governo che mi destinava al R. Consolato di Colombo.

La notizia giuntami inaspettata e fuori sede, la destinazione ad un semplice Consolato mentre nel 1927 mi era stato affidato un Consolato generale in Inghilterra, mi hanno fatto supporre una punizione.

Ho esaminato nei giorni trascorsi la mia azione e la mia condotta in tale periodo ma non sono riuscito a trovare nulla che a mio subordinato giudizio mi rendesse meritevole di punizione. Ho la coscienza di avere lavorato onestamente ed efficacemente in Germania e di aver ottenuto risultati fecondi e reali: di non aver mai brigato od intrigato per ottenere cariche o promozioni: non ho mai fatto questioni personali ed ho condotto una vita illibata fatta di tanti sacrifici, di lotte e di lavoro; ho cercato sempre di collaborare con tutti. Giunto Hitler al potere, e neppure allora ho presentato direttamente

o indirettamente delle richieste persuaso che le Superiori Gerarchie avrebbero provveduto da sole al mio avvenire, mi sono posto in disparte per evitare delle suscettibilità, per eseguire gli ordini ricevuti, per non intralciare in alcun modo l'azione delle nostre autorità sempre pronto e disposto a collaborare lealmente e appassionatamente con ognuno; ho evitato di occuparmi di politica, di mettermi in mostra ed ho invece continuato, raggiungendo positivi risultati, l'opera intesa ad inviare turisti e studiosi in Italia, a far conoscere il Fascismo ed i prodotti italiani, a favorire gli interessi nostri. Ho condotto tale azione, come del resto le altre in passato, da semplice privato, non officiate quindi da alcuno: da fautore di cordiali relazioni fra Italia e Germania, veste questa presa appunto per espletare efficacemente la mia azione. Ho mantenuto è vero i contatti e le cordiali relazioni con i tedeschi ma sempre quale privato: i tedeschi potrebbero dire a questo proposito che io non ho mai chiesto nulla per me, che li ho aiutati, che non ho mai mancato di indirizzarli verso le nostre autorità.

So che anche oggi mi viene mossa l'accusa di «voler fare l'ambasciatore». Io non avevo mai preso sul serio tale voce, messa in giro da alcuni anni, certo da coloro ai quali dava fastidio l'opera che svolgevo in Germania e la stima e fiducia di cui sono circondato in quel paese. Ritenevo che la mia condotta mi ponesse al disopra di accuse e di dicerie.

Io ho compito il mio dovere in Germania senza pensare a diventare «qualche cosa». In passato, allorquando qualche tedesco mi ha prospettato la possibilità di rappresentare il mio paese, e ciò mi sarebbe facile provarlo, ho respinto categoricamente offerte ed ho pregato di non ritornare sull'argomento aggiungendo che mi si doveva considerare come un buon amico del nazismo e della Germania, come un fascista che poneva la sua modesta opera a servizio dell'azione tendente a raggiungere la comprensione in Italia e Germania.

Le nomine e le cariche non piovono certo dal cielo. Ora io non ho mai chiesto nomine, non mi sono mai dato arie di ambasciatore o di aspirante ambasciatore, non ho mai incaricato qualcuno, italiano o tedesco, di intercedere per me, mi sono posto in disparte rinunciando a soddisfazioni esteriori. Ho invece ritenuto che in Germania fosse utile, se non necessaria l'opera di un privato per «lavorare i tedeschi» per stare indisturbato fra essi, per iniziare adesso un'azione intesa a organizzare una opposizione intelligente ed efficiente contro l'elemento di fanatici e di incompetenti che si annida presso Hitler. Ciò non mi pare significhi lavorare per diventare ambasciatore! Se io attendevo qui di avere l'onore di essere ricevuto da S. E. il Capo del Governo, non era per richiedere nomine, ma solo per prospettargli quanto a mio modesto giudizio, poteva farsi in Germania accanto all'azione ufficiale delle nostre autorità, con le quali del resto io mi sono tenuto in rispettose e cordiali relazioni, per tentare di ottenere dei risultati utili a noi.

(l) Il destinatario non è indicato.

846

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3336/143 R. Belgrado, 21 settembre 1934, ore 17,40 (per. ore 20).

Mio telegramma n. 136 (1).

Jeftic mi ha [ricevuto] stamane... (2).

Colloquio è durato due ore.

Con teleg:mmmi successivi riassumo dettagli colloquio.

Trascrivo qui appresso dichiarazioni conclusive cui termini sono stati controllati da Jeftic:

1°) -Egli desidera anzitutto che nessun comunicato sia fatto che indichi termini sue dichiarazioni altro che con suo previo consenso e con eventuale sua conoscenza del testo.

Poi ha detto:

1°) -Il Governo jugoslavo non può rispondere alle domande che gli sono state rivolte per l'articolo del Vreme se non nello stesso identico modo che il Governo italiano crede poter rispondere per l'articolo del San Marco.

2°) -Il Governo jugoslavo non ha alcuna responsabilità per l'articolo del Vreme, salvo che per aver dato un permesso generale alla stampa di rispondere al San Marco.

3°) -Egli deplora però che si sia arrivati a tale punto di polemica violenta ed ingiustificata.

4°) -È pronto a qualsiasi altra dichiarazione più ampia se ve ne sarà una identica da parte italiana.

5°) -Indipendentemente dall'articolo del Vreme, egli non può a nome del Governo jugoslavo che esprimere la maggiore sua ammirazione per l'esercito italiano già suo alleato.

6°) -Egli farà ogni suo possibile sforzo per mitigare l'attitudine della stampa jugoslava ma non risponde delle inevitabili reazioni alla nostra stampa ed alla nostra radio.

Il presente telegramma continua col n. successivo (3).

(l) -Cfr. n. 828. (2) -Gruppo indecifrabile. (3) -Con t. 9309/144 P.R. del 21 settembre Galli avvertì che affidava a De Ciutlis, in partenza per un congedo i t. per corriere con la relazione del suo colloquio con Jeftic (cfr. n. 847, 848 e 849).
847

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3348/077 R. Belgrado, 21 settembre 1934 (per. il 23).

Mio telegramma filo n. 144 di oggi (l).

Jevtic dettomi che rispondeva alle domande poste a Kojic si è dilungato sull'attitudine ostile stampa italiana cui la Jugoslavia aveva sempre evitato rispondere. Alla stampa italiana corrispondeva ostilità politica del governo malgrado che più e più volte il governo jugoslavo avesse fatto sentire in ogni possibile modo la sua sincera volontà di intesa la più ampia e la più durevole. Tutte le sue proposte avevano trovato poca accoglienza.

Il Governo jugoslavo aveva poi represso al più possibile le repliche e le polemiche di stampa finché si era giunti all'articolo del San Marco ed alle notizie quotidiane date dalla Radio di Bari in serbo e dirette evidentemente alla popolazione croata e sempre tendenziose ed offensive per la Jugoslavia. Dopo la pubblicazione del San Marco la eccitazione della opinione pubblica era giunta a tal punto che il Governo aveva dovuto dare la libertà di rispondere. Ne era uscito l'articolo del Vreme. Il Governo non lo aveva né redatto né permesso preventivamente non ne portava quindi alcuna responsabilità. Ma se vi erano offese ed ingiurie sul Vreme esse equivalevano a quelle del San Marco. Egli quindi non poteva nulla riconoscere di più di quello che il governo italiano riconoscesse. Egli non accettava di fare alcuna dichiarazione che suonasse anche menomamente umiliazione ed inferiorità della Jugoslavia. Tanto più quando da lungo tempo si lasciava da noi una libertà di organizzazione e di armamento agli ustasci, la quale era culminata nell'attentato di Zagabria e non era cessata di poi. Egli non poteva andare più in là di una deplorazione quando però ve ne fosse anche una nostra per il San Marco. Era poi necessario intendersi per l'avvenire. Egli non poteva pretendere alcun impegno futuro se non ve ne fosse uno identico da parte nostra. Sul terreno della suscettibilità e dell'amor proprio non potevano esservi differenze fra Italia ed Jugoslavia.

Segue con n. 078 (2).

848

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3351/078 R. Belgrado, 21 settembre 1934 (per. il 23).

Mio telecorriere n. 077 (3).

Ho risposto:

Occorreva separare varie parti sua risposta. Campagna di stampa prima dell'incidente. Non mi occupavo di questa. Ma dovevo subito osservare che la

Jugoslavia non era stata davvero indietro negli attacchi. Ancor meno nelle repliche. Per queste ultime bastava io citassi l'articolo del Vreme del 1° settembre intitolato «Chi minaccia l'indipendenza dell'Austria: la Jugoslavia o l'Italia?», quello delle Novosti del 22 agosto intitolato «Manicomio». Dovevo poi indicargli che nel solo mese di settembre avevo trovato 54 fra articoli notizie false tendenziose etc. nella stampa jugoslava. Non c'era nulla di simile nella nostra. Non era quindi esatto se egli affermava che gli attacchi partivano dall'Italia la stampa jugoslava non avesse risposto.

Attitudine della stampa per il futuro. Ciò poteva eventualmente essere oggetto di un accordo fra i due Stati, o di un impegno o meglio poteva derivare da una situazione politica effettivamente migliorata. Non dovevo occuparmi neanche di questo. Come non dovevo esaminare organizzazione di ustasci od altro perché allora avremmo dovuto portare l'esame sulla organizzazione degli irredentisti giuliani e su qualche singolare dettaglio militare di questa. Il nostro esame avrebbe preso troppo tempo e ci avrebbe fatto deviare dalla questione in corso.

Oggi dovevamo soltanto esaminare le volgari offensive e le ingiurie contro il nostro esercito ed il valore italiano pubblicate dal Vreme. Vi era tale una sproporzione e tale una differenza di tono fra il San Marco ed il giornale jugoslavo che nessuna equivalenza era mai possibile.

Il San Marco citava fatti storici effettivamente verificatisi e li giudicava, diciamo, erroneamente. Il Vreme inventava fatti inesistenti, e cercava nel fango e nelle fogne tutto quello che aveva potuto trovare per gettarlo contro l'esercito italiano. Questa era la differenza essenziale e non vi erano argomenti sillogismi cavilli capaci di colmarla.

Se egli non capiva la differenza non sapevo che lingua adoperare per farmi comprendere.

Questo era il punto capitale della questione. Su questo io gli chiedevo una risposta precisa che potesse essere soddisfacente per il mio Governo. Se essa non fosse venuta dovevo ricordargli quanto avevo detto due volte a Kojic: Le conseguenze assai serie che avrebbero potuto derivarne nei nostri rapporti diplomatici.

Segue con n. 079 (1).

(l) -Cfr. n. 846, nota 3. (2) -Cfr. n. 848. (3) -Cfr. n. 847.
849

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3350/079 R. Belgrado, 21 settembre 1934 (per. il 23).

Mio telegramma n. 078 (l) .

Jeftic dopo dettomi che tutto era accaduto in sua assenza, e che egli non aveva ben letto il Vreme ha replicato che era una disputa fra giornali nella quale il governo jugoslavo aveva da entrare per vedere chi avesse insultato

di più e chi di meno. Tale valutazione era ben difficile. Egli poteva deplorare si fosse giunti a tal punto ma non era la Jugoslavia quella che per la prima aveva attaccato l'onore dell'esercito. Era fatale ed inevitabile che nella reazione si eccedesse. Egli poteva dispiacersene, ma non poteva nulla dichiarare di più. L'onore dell'esercito italiano non poteva d'altronde essere toccato da un gazzettiere come neppure quello dell'esercito jugoslavo.

Ha ripetuto che non avrebbe mai accettato nulla che suonasse inferiorità od umiliazione. Piuttosto egli assumerebbe ogni maggiore responsabilità. Ma sperava la situazione reciproca non peggiorasse ancor più, mentre constatava dolorosamente che i governi fossero costretti a regolare la propria politica su pubblicazioni irresponsabili di giornali. Era pronto a troncare ogni campagna futura, sicuro che se anche da noi lo si volesse i tre quarti del male di stampa cesserebbero da un giorno all'altro, e l'altro quarto in breve tempo successivo, così soltanto i due governi potrebbero esaminare con maggiore serenità i reali rispettivi interessi, ed in armonia con quelle che sono le necessità generali dell'Europa nel presente momento. Del resto la situazione dei due paesi era giunta a tal punto che ormai non v'era più che da prepararsi anche ad ulteriore e pericoloso peggioramento come anche al contrario auspicare un chiarimento immediato. Egli era subito pronto a questa seconda opera, come avrebbe affrontato serenamente le peggiori eventualità.

E le sue considerazioni generali sono continuate lungamente su questo tema.

Finché lo ho forzatamente condotto alla dichiarazione che ho telegrafato in principio a V. E. e che redatta in primo luogo da me è poi risultata quello che V. E. ha letto dopo infiniti pentimenti correzioni di Jeftic e direi quasi pavido timore di responsabilità verso il Sovrano.

Segue con n. 080 (1).

(l) -Cfr. n. 849. (2) -Cfr. n. 848.
850

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3349/080 R. Belgrado, 21 settembre 1934 (per. tz 23).

Miei telegrammi per corriere nn. 077, 078 e 079 (l).

Dichiarazione Jeftic è certo inferiore a quanto di meno potevasi desiderare, poiché negare la sproporzione fra San Marco e Vreme è negare l'evidenza. Essa manca poi di qualsiasi slancio e calore che dovrebbe essere sempre trovato in consimili dichiarazioni e nelle contingenze difficili in cui si trovano ì due paesi.

Assicuro però V. E. che ritengo sarebbesi difficilmente potuto ottenere di pm. Essa è stata presa parola per parola con fatiche, insistenze, pressioni etc. etc.

Sopratutto traspariva in Jeftic fuori delle sue frasi roboanti, una grande paura di critica, certo del Sovrano. Poi occorre tener conto della sua stentata difficoltà di espressione.

Infine occorre tener presente che anche questa resistenza può essere in funzione dell'accordo franco-italiano (vedi mio telespresso n. 5895/1617 del 15 corrente -Maribor -) (l).

V. E. vorrà adesso telegrafarmi al più presto quello che crederà rispondere ad Jeftic.

Nella ipotesi che l'E. V. non voglia ancora, ed oggi, spingere la situazione all'estremo mi permetto vivamente insistere per quello che riguarda l'attitudine futura della nostra stampa e della radio. Anzi richiamandomi al colloquio che ebbi l'onore di avere con S. E. il Capo del Governo il 1° settembre (2), e rifacendomi alle di lui espressioni circa la necessità di un effettivo chiarimento e, ripeto, sempre che V. E. per considerazioni generali, non creda insistere per ulteriori più remissive dichiarazioni che credo assai difficili ad ottenere, parmi che sarebbe il caso di esaminare se a questo chiarimento non si debba giungere di nostra spontanea volontà, e non sotto le pressioni inglesi, o per la mediazione francese. Ormai i due Governi spingono concordemente a questo miglioramento. Soltanto V. E. può decidere qual conto tenere dì tale circostanza, ma a me pare che ad esso veniamo di iniziativa nostra od esso non sarebbe davvero consigliabile dopo la presumibile insistenza francese su Re Alessandro, come Barthou continua a dichiararci, e la pressione inglese. Francia ed Inghilterra corrono il palio del riavvicinamento Italia-Jugoslavia.

Già del resto Jeftic ha accennato, sia pure senza troppo soffermarsi, a questa sua disposizione ad esaminare subito la situazione dei due paesi. In ogni caso egli ha voluto rilevare la differenza fra le dichiarazioni fatte da

S. E. il Capo del Governo a Ducic il 31 agosto, e poi gli attacchi del San Marco e la propaganda attraverso la radio di Bari, affermando che mentre accoglieva con gioia le prime non comprendeva l'attitudine quasi contemporanea delle seconde.

Che poi il miglioramento possa essere possibile e fruttifero, non ho bisogno ùi ripetere ancora quale sia il mio pensiero, poiché lo ho esposto a V. E. in ogni possibile occasione ed in ogni diverso modo.

Conoscevo a fondo la Serbia prima della guerra, ora la Jugoslavia. Non ignoro nessuno dei difetti anzi delle tare morali di questo popolo, e nessuna delle debolezze intrinseche della unione degli slavi del sud. Ma vi è un nucleo centrale coesivo di tutti gli altri gruppi che ha una forza ed un'idealità politica che annulla ed assorbe tutti gli altri difetti e tutte le altre debolezze, e che costituisce una realtà che non si può disconoscere.

Come vi è un fondo tradizionale e storico di simpatia italiana che viene dai vecchi serbi che lottavano contro l'Impero Austro-Ungarico con noi, che malgrado ogni propaganda nefasta non è ancora del tutto spenta, e che può risorgere dall'oggi al domani per dare frutti che pochi possono oggi immaginare.

63 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

Su questa base sentimentale, con il riconoscimento di quelle che sono le finalità essenziali e le necessità permanenti della vita della Jugoslavia, ricercando quegli scopi comuni dei due paesi che effettivamente sussistono, si può creare un edificio di così alto beneficio per noi da compensare tutto il gravame che ne verrebbe per naturale diverso adattamento di altre forze ed attività. Né in ciò dire credo di esprimere alcunché che non sia sempre stato nelle più alte finalità di S. E. il Capo del Governo, poiché egli le vide fino da quando sgomberata la terza zona giunse poi al trattato di amicizia del 1924. Questo spirò per anemia perché i tempi non erano forse ancora maturi, perché tutte le asprezze del nuovo stato di cose fra Italia ed Jugoslavia non si erano ancora rivelate appieno, né la situazione generale europea era così limpidamente chiara nella sua essenza come lo è oggi.

Non è forse errato affermare che oggi tutto il calice dell'amaro italajugoslavo è versato, e proprio perciò è il momento di pensare seriamente ad una diversa via, se non si creda continuare per quella sulla quale si è incamminati, ma che può porci a fronte dell'irreparabile.

(l) -Cfr. n. 850. (2) -Cfr. nn. 847, 848 e 849. (l) -Cfr. n. 817. (2) -Cfr. n. 757.
851

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3387/0161 R. Vienna, 21 settembre 1934 (per. il 26).

Mio collega di Francia mi ha confidato stamani, in via del tutto personale, che lo stato di nervosità e di preoccupazione del Governo jugoslavo, nei riguardi della questione austriaca, è oltremodo intenso. Belgrado diffiderebbe più che mai dell'intesa italo-austro-ungherese, che essa considererebbe essenzialmente diretta contro la Jugoslavia; paventerebbe la restaurazione asburgica, cui preferirebbe lo stesso Anschluss; apparirebbe infine insoddisfatta un po' di tutto e di tutti.

Per quanto concerne il movimento legittimista austriaco, mio collega mi ha detto d'averne intrattenuto ieri il cancelliere. Questi ebbe a dichiarargli di avere riprovato le manifestazioni avvenute a Eisenstadt (mio teleposta

n. 1900 del 17 corrente) (l) e di avere già rivolto speciali raccomandazioni al leader legittimista Wiesner, che aveva personalmente convocato.

Cancelliere aveva aggiunto che Belgrado si preoccupava e si doleva intanto. della permanenza a Vienna dei fuorusciti croati e dell'azione del generale Sarkotic, mentre era un fatto che il Governo austriaco nulla potrebbe fare contro i primi, senza che fosse previamente provata una loro delittuosa attività, e contro il secondo, la cui grave età -se non altro -dovrebbe far cadere senz'altro ogni sospetto di operante azione politica.

Mio collega mi ha poi detto di avere fatto e di fare tutto il possibile affinché questo ministro di Jugoslavia valuti la situazione austriaca nelle sue

reali linee, -e così la rappresenti al suo Governo, -e di avere l'impressione di esservi riuscito. Cosicché a lui ormai pareva che l'atteggiamento di Belgrado dipenda da preoccupazioni, che non trovano esattamente le loro origini nelle segnalazioni di questo suo rappresentante: ad ogni modo egli non crede sia il caso di dare un'eccessiva importanza al contegno e al linguaggio di Belgrado, e ciò anche per la c limitata possibilità:. che la Jugoslavia possiede contro tutto quanto viene ritenuto necessario per la salvaguardia dell'indipendenza austriaca.

Anche questo ministro degli esteri mi ha detto di avere rilevato, nei colloqui da lui avuti a Ginevra con il signor Jeftic, una intensa nervosità e preoccupazione, specie nei riguardi della questione della restaurazione asburgica. Il che non era stato con Benes, cui egli era riuscito fare comprendere ed ammettere i tre seguenti postulati:

l) -che la restituzione dei beni degli Asburgo è al postutto un semplice dovere morale;

2) -che l'eventuale autorizzazione ad un ritorno in Austria c degli Asburgo» (il Berger non ha specificato il caso del ritorno dell'arciduca Otto) non produrrebbe una situazione diversa da quella esistente in Ungheria, dove risiedono indisturbati i noti arciduchi;

3) -che la questione della restaurazione asburgica, non essendo attuale, non può ulteriormente formare oggetto di osservazioni e di proteste all'estero, senza che lo Stato, che per caso proceda a quest'ultime, assuma la responsabilità derivante a chi commette un'indebita immistione nelle altrui cose interne.

Il barone Berger mi ha detto inoltre che Benes è ansioso di recarsi in Italia e che anzi non gli aveva nascosto tale suo desiderio.

(l) Non pubblicato.

852

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI

T. S. M. 1289/308 R. Roma, 22 settembre 1934, ore 2.

Telegramma di V. S. n. 476 (1).

1. Prendo atto con compiacimento comunicazione fatta ufficialmente a

V. S. da Liou Von Tao a nome generalissimo Chang-Kai-shek relativa missione navale italiana, acquisti in Italia navi e aeroplani e tecnici italiani e confermo direttiva costantemente indicata non stabilire alcuna connessione formale tra elevazione R. rappresentanza ad ambasciata e provvedimenti che Governo cinese prenderà in tale occasione.

2. -Prego V. S. far conoscere al generalissimo che sono d'accordo con lui su carattere urgenza che ha assunto elevazione ad ambasciata R. legazione in Cina. Pertanto appena V. S. mi avrà telegrafato che Chang-Kai-shek è d'accordo (cfr. miei telegrammi n. 271 (l) e 299 (2) farò diramare comunicato di cui le ho trasmesso testo con mio telegramma n. 271 sopracitato del 3 corrente. 3. -Se lo consentono formalità ordine interno che -secondo quanto ebbe a dire Liou Von Tao a questo Ministero -debbono essere adempiute in Cina, gradirei che elevazione delegazione cinese in Italia venisse annunciata contemporaneamente o almeno subito dopo annuncio creazione R. ambasciata in Cina. 4. -Proposta che risposta ufficiale affermativa al Governo cinese alla richiesta istituire R. ambasciata in Cina venisse da noi data soltanto dopo comunicazione scritta da parte cinese, era stata fatta da Liou Von Tao. Considerato possibilità urgenza annunciare decisione italiana creare ambasciata, già col telegramma n. 271 suggerivo che venisse abbreviata procedura concordata, e a tal fine proponevo -e confermo ora proposta -diramazione comunicato secondo indicato n. 2 del presente telegramma. 5. -Senza farne affatto -conditio sine qua non -sarebbe evidentemente utile che comunicazioni verbali fatte a V. S. dal ministro in Cina (suo telegramma n. 476) fossero fatte risultare da uno scambio di lettere tra lei e Liou Von Tao destinato a rimanere segreto. 6. -Telegrafi (3).

(l) Ctr. n. 827.

853

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 1290/45 P. R. Roma, 22 settembre 1934, ore 2,15.

Ho ricevuto schema accordo per Austria (4). Converrebbe omettere clausola relativa apertura alla firma per Stati vicini Austria.

Prego V. E. continuare trattative iniziate con Francia Gran Bretagna tenendo presente che sarà opportuno che all'accordo finale partecipi possibilmente la Germania. Tale riguardo informola avere fatto passo Londra secondo suggerimento di V. E.

Tuttavia V. E. tenga presente che non si vuol dare l'impressione di una troppo forte pressione da parte nostra; trattative potrebbero anche essere ri

prese in fase successiva in cui una nostra azione più diretta potrà essere meglio giustificata dopo tentativo fatto risolvere questione su terreno internazionale. Per sua norma informola che eventualmente saremmo anche disposti firmare da soli accordo con l'Austria lasciando possibilità ad altri aderire successivamente.

Per quanto riguarda intervento Benes converrà che esso risulti determinato da interesse del suo paese e che Benes non abbia l'impressione di agire nel nostro interesse.

(l) -Cfr. n. 759. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 862. (4) -Cfr. n. 836, nota 2.
854

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3344/145 R. Belgrado, 22 settembre 1934, ore 17,40 (per. ore 20).

Richiamo Stefani speciale odierna con nuovo articolo del giornale Novosti. Mi sono recato subito da Puric sdegnato e mi sono espreso con termini molto chiari.

Gli ho detto che avrei atteso fino stasera a telegrafare a V. E. l'articolo nella speranza che egli, prima di sera, fosse autorizzato a farmi una dichiarazione che attenuasse la grave impressione di V. E. ed evitare cosi qualche sgradevole decisione.

Puric, visibilmente contrariato, presi ordini da Jeftic, mi ha [detto] che a nome del Governo jugoslavo deplorava le offese recate all'esercito italiano, che Governo jugoslavo aveva fatto ogni sforzo per impedire nella sua stampa la continua azione degli attacchi al nostro esercito, ma trattandosi di una campagna scatenata, era difficile reprimere d'un tratto.

Egli rinnovava formali assicurazioni che simili attacchi non si farebbero più.

Ha tenuto a precisare, ed ha molto insistito su ciò, che se V. E. riteneva fare un qualsiasi comunicato su questo incidente, cosi come Jeftic aveva detto ieri a me, esso non poteva contenere alcunché delle dichiarazioni di ieri come di oggi se non dopo comune accordo.

Meglio, secondo Puric, non fare alcun comunicato, ma cessare ogni offesa reciproca. Gli ho risposto che la dichiarazione fattami ieri da Jeftic poteva ritenersi difficilmente soddisfacente.

Invece poteva, a quanto mi viene riferito, esserlo quella sua di oggi.

Ma occorreva che gli attacchi contro il nostro esercito cessassero.

Puric ha rinnovato le sue assicurazioni, e poi mi ha confermato per telefono che gli ordini erano stati rinnovati e categorici. Puric mi ha quindi pregato intervenire con ogni possibile insistenza presso

v. E. perché anche stampa italiana cessasse da suoi attacchi.

Mi ha detto che Giornale d'Italia ha annunziato un articolo che porterebbe il titolo 4: Nuova prova dell'infamia jugoslava :. o qualche cosa di simile.

Se tale campagna seguiti, cosi come se seguitino le notizie che egli asserisce inviate dalla radio, il Governo jugoslavo non saprebbe come trattenere la sua stampa dal replicare, e non si finirebbe più.

Il presente telegramma continua col n. di protocollo successivo (1).

855

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3345/146 R. Belgrado, 22 settembre 1934, ore 20 (per. ore 22,30).

Seguito del telegramma precedente (2).

Puric è poi passato a rammaricare, come ieri Jeftic, che i passati colloqui non avessero approdato ad una conclusione che poteva essere allora anche di una alleanza militare.

Si è assai dilungato su tale argomento, dicendo fra l'altro che senza il mancato attentato di Zagabria, anche la questione degli ustasci non avrebbe avuto importanza perché n Go.verno jugoslavo, che non aveva mai ignorato tale organizzazione armata, la aveva sempre considerata una materia di scambio in nostra mano al momento della conclusione delle trattative nelle quali esso aveva sempre creduto.

Poi la fiducia è venuta man mano cessando.

Tuttavia era sua personale impressione che n Governo jugoslavo fosse pronto a chiarire subito definitivamente i rapporti itala-jugoslavi e ad addivenire ad un soddisfacente componimento di tutti gli interessi reciproci e ha

affermato la cosa ben nota della unità economica itala-jugoslava aggiungendo che essa sarebbe stata perfetta, sarebbe stata più che perfetta con l'accessione economica dell'Austria.

Ha aggiunto essere molto difficile trattare con gli ungheresi per la loro irriducibilità.

Ha concluso dicendo che la Jugoslavia non amava intermediari sollecitatori e consiglieri e preferiva regolare i suoi rapporti con noi, qualora ciò fosse stato possibile e desiderabile da V. E. come lo è da parte jugoslava, direttamente.

Chiestogli se sapesse cosa ne pensava oggi il Re, mi ha risposto che gli era impossibile darmi una risposta.

La fiducia del Re era stata molto scossa e la sua disillusione grandissima.

Ma l'interesse maggiore di un accordo avrebbe fatto anche obliare :nomenti sgradevoli. Salvo che per quest'ultima domanda mi sono limitato ad ascoltare assentendo genericamente.

(l) -Cfr. n. 855. (2) -Cfr. n. 854.
856

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 3403/0223 R. Berlino, 22 settembre 1934 (per. il 27).

Sono stato questa mattina dal direttore ministeriale dr. Ko.epke per intrattenerlo di questioni di minore importanza. Egli pose il discorso sopra gli avvenimenti del 25 luglio scorso dicendo che potevo immaginare la costernazione che essi avevano causato all'Auswartiges Amt che aveva sempre temuto il verificarsi di qualche fatto che comp:·omettesse le relazioni amichevoli esistenti fra la Germania e l'Italia. Mi disse che non riteneva di commettere una mdiscrezione informandomi che l'opinione dell'Auswartiges Amt era sempre stata quella che ci si dovesse attenere strettamente ai protocolli firmati da Stresemann ed il ministro austriaco Ramek, giusta i quali era stato convenuto da un lato che nè il Reich nè l'Austria dovessero intraprendere alcunché di natura da compromettere l'eventuale «Anschluss ~ dell'Austria al Reich e dall'altro che la questione dello «Anschluss » non era considerata da nessuna delle due parti come attuale. Purtroppo tali idee non erano prevalse e l'Auswartiges Amt aveva dovuto assistere, pur protestando più di una volta, alla trattazione del problema austriaco da parte di organi del partito nazionalsocialista con metodi deplorevolissimi e pieni di pericoli. I dolorosi fatti del 25 luglio avevano però aperto gli occhi al cancelliere del Reich e gli ordini categorici da lui impartiti venivano ora eseguiti. Si trattava dello scioglimento della «Landesleitung » di Monaco, dell'allontanamento definitivo dalla trattazione degli affari austriaci di Habicht, Frauenfeld, ecc., dello scioglimento delle legioni austriache e della distribuzione dei loro membri nei vari campi di lavoro, della soppressione della propaganda a mezzo della radio ed infine della completa separazione del partito nazionalsocialista austriaco dal partito nazionalsocialista del Reich.

Chiesi al dr. Koepke se l'Auswartiges Amt fosse presentemente l'organo incaricato di trattare le questioni austriache, ricevendo risposta negativa con la spiegazione che la sola funzione esercitata da esso era quella di insistere molto spesso presso il ministero della propaganda affinché la stampa tedesca cessasse dal vilipendere l'Austria. Tutti gli ordini del cancelliere del Reich concernenti i provvedimenti di cui mi aveva parlato passavano invece per il tramite esclusivo di Hess, cioè del partito, cosicché l'Auswartiges Amt si trovava nella situazione molto difficile di dover rispondere verso gli Stati esteri di azioni di cui il Governo del Reich non è affatto responsabile, dato che esse vengono compiute su direttive esclusive del partito nazionalsocialista. Ciò nonostante il dr. Koepke sperava anzi credeva che si potesse contare sopra un periodo di tranquillità nei riguardi dell'Austria, tanto più che la questione di maggiore importanza per il Reich, anche in considerazione della prossima sua soluzione, era quella della Sarre. Non gli pareva probabile che si volesse rendere ancora più ardua la soluzione non facile del problema della Sarre creando nuove complicazioni in Austria. Non poteva però in coscienza assumere personalmente la responsabilità di garantirmi che non vi sarebbero state altre sorprese nei riguardi dell'Austria, perché le cose erano tutt'altro che chiare.

Credetti a questo momento dire al dr. Koepke risultarmi che le buone intenzioni manifestate da Hitler al suo ritorno dal convegno di Venezia, buone intenzioni giusta le quali la propaganda per l'Austria doveva cessare essendovi tutti i motivi per desiderare di procedere d'accordo con l'Italia nella soluzione di altri problemi politici molto più importanti, erano state frustrate dall'azione sabotatrice degli elementi estremisti. Se un tale stato di cose durasse tuttora era più che comprensibile l'apprensione che molte persone nutrivano e che egli stesso aveva testé mostrato di condividere. Il dr. Koepke mi rispose senza esitazione che le notizie da me raccolte rispondevano in tutto e per tutto alla realtà e che si era trattato di un vero e proprio sabotaggio delle disposizioni impartite da Hitler. Un austriaco, recatosi a conferire con lui verso la metà di luglio, al quale egli aveva ricordato che il cancelliere del Reich voleva che cessasse la campagna terroristica nei riguardi dell'Austria, non aveva esitato a dichiarargli che il cancelliere poteva parlare fin che voleva ma che egli ed i suoi amici sapevano meglio di lui quello che occorreva fare.

Egli non aveva mancato di redigere un appunto circa la strana affermazione di questo austriaco e l'aveva rimesso al barone von Neurath, che a sua volta l'aveva portato a Hitler. I fatti avevano dato ragione a chi aveva mostrato di non fare alcun conto delle disposizioni del cancelliere del Reich.

Chiesi al dr. Koepke se il signor von Papen fosse ritornato a Vienna ed appresi che l'Auswartiges Amt aveva fatto premure perché egli vi si recasse subito, cioè con qualche giorno di anticipo sul suo progetto iniziale. Conversazioni che erano state necessarie e che avevano avuto luogo in questi giorni con Hitler ed il barone von Neurath non gli avevano ancora permesso di iniziare il suo viaggio. Il dr. Koepke riteneva però che von Papen sarebbe partito nei prossimi giorni. Si domandava piuttosto -e non fece meco mistero di essersi posto questo quesito sino dal primo momento -che cosa sperasse di poter fare il signor von Papen a Vienna. Il suo ottimismo e la sua faciloneria non gli avevano sinora servito un gran che, perché le questioni gravi erano rimaste tali anche se egli le considerava semplici. Credeva ricordare in proposito l'affermazione di von Papen al suo ritorno da Roma nell'aprile scorso che il problema austriaco sarebbe stato risolto in un quarto d'ora di conversazione fra Hitler e S. E. il Capo del Governo!

Accennando agli accordi di garanzia concernenti l'Austria di cui si starebbe parlando a Ginevra, accordi di cui il Governo del Reich non è al corrente, il dr. Koepke osservò che se si esaminassero i protocolli firmati da Stresemann e Ramek di cui mi aveva parlato dianzi, si vedrebbe come essi, pur salvaguardando il principio che popoli tedeschi potessero in avvenire avere una sorte comune, stabilivano la garanzia dell'indipendenza dell'Austria.

A suo modo di vedere era però un errore il voler fare della questione austriaca un problema internazionale politico, mentre è dal lato economico che la situazione dell'Austria dovrebbe essere considerata dagli Stati più particolarmente interessati, che sono quelli finitimi e quindi anche, anzi in primo luogo la Germania. Forse un giorno ci si renderà conto <li ciò ed allora sarà possibile risolvere in modo soddisfacente il problema.

Parlando poi dello stato d'animo creato dagli avvenimenti del 25 luglio tanto in Germania che in Italia il dr. Koepke mi disse che si era andati alquanto oltre dalle due parti.

Per fortuna però la stampa dei due paesi aveva tralasciato negli ultimi giorni di adoperare un linguaggio di troppo acerba critica. Su quella tedesca aveva influito l'azione moderatrice dell'Auswartiges Amt che annette la maggiore importanza all'amicizia dell'Italia.

Gli dissi che, per buona fortuna, i negoziati commerciali che durano da ormai cinquanta giorni e che si sono svolti proprio durante il periodo di maggiore tensione erano stati improntati, dalle due parti, a spirito conciliante ed alla maggiore cortesia. Speravo quindi di poter firmare entro pochi giorni gli accordi raggiunti i quali avrebbero permesso la continuazione delle relazioni commerciali tanto importanti per l'economia dei nostri due paesi.

Il dr. Koepke, che non era al corrente dei negoziati stessi, si compiacque assai di quanto gli avevo detto e mi parlò, dal suo lato della Sarre dicendo che l'Auswartiges Amt contava sopra l'azione del barone Aloisi che aveva avuto sin qui tanto felici risultati. Non nascosi al dr. Koepke che il compito di quest'ultimo sarebbe stato agevolato da una minore propaganda tedesca e sopratutto da una propaganda fatta con criteri diversi da quelli seguiti dal dr. Goebbels. La risposta del dr. Koepke fu volutamente reticente ma mi lasciò chiaramente intendere che l'Auswartiges Amt si rende conto dell'effetto contrario sortito dalla propaganda nazionalsocialista. II risultato della votazione non poteva ad ogni modo essere dubbio ed i vari problemi connessi con il risultato stesso sarebbero stati risolti in conformità delle precise disposizioni del trattato di Versailles. Da parte tedesca si aveva la ferma intenzione di agevolare la sistemazione delle cose nella Sarre. Egli teneva a ripetermi che l'essenziale era che si potesse giungere al 13 gennaio senza che sopravvenissero altri avvenimenti di natura tale da creare nuove opposizioni alla Germania e da dare buon gioco alla Francia nella sua propaganda nel territorio della Sarre.

857

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 22 settembre 1934.

Ho l'onore di allegare due appunti: uno che fornisce ulteriori elementi in relazione all'ultimo colloquio di V. E. con l'Ambasciatore di Francia (l); un altro, -giusta le indicazioni di V. E. -che traccia una possibile formulazione verbale delle nostre richieste nell'attuale fase del negoziato.

ALLEGATO I

BUTI A SUVICH

RELAZIONE. Roma, 21 settembre 1934.

Con riferimento al colloquio che V. E. ha avuto con l'Ambasciatore di Francia in data 18 corrente, la Direzione Generale Affari Politici 3 ha l'onore di esporre le seguenti considerazioni, e fornire taluni elementi e precisioni, in rela7Jione al contenuto del colloquio stesso:

a) L'Ambasciatore ha osservato che la Francia, in seguito alla guerra, non ha avuto come territori attribuiti a titolo di proprietà in Africa che due zone molto limitate nel Congo francese; e che inoltre ha avuto dei mandati che hanno un altro carattere.

V. E. ha subito risposto richiamandosi alla decisione del Consiglio Supremo del 7 maggio 1919 e facendo osservare che l'Accordo Bonin-~chon non ha risolto la questione, anzi l'ha lasciata esplicitamente aperta.

In realtà le due zone che la Francia in seguito alla guerra ha ottenuto a titolo di proprietà hanno notevole estensione territoriale e rilevante importanza dal punto di vista politico ed economico. Si tratta di quei terr1tori del Gabon che la Francia cedette alla Germania con la Convenzione franco-tedesca del 4 novembre 1911 per ottenere dalla Germania le mani libere nel Marocco. Tali territori, estendendosi dall'Oceano Atlantico al medio Congo, a;ll'Ubanghi e al Lago Tchad, separavano la colonia francese del Gabon dall'Africa Equatoriale francese, spezzando quindi la continuità territoriale dell'Impero coloniale francese. Inoltre essi davano aJlla Germania tratti delle sponde destre dei fiumi navigabili Congo e Ubanghi, e mettevano cosi i territori coloniali tedeschi in contatto con il Congo belga.

Appare quindi chiaro che il ritorno alla Francia di taJli territori ha costituito per essa un notevolissimo interesse dal punto di vista politico ed economico.

L'accenno fatto dall'Ambasciatore di Francia alla forma di mandati che hanno assunto le altre acquisizioni territoriali francesi in seguito alla guerra merita le seguenti osserva7lioni:

L'attribuzione ad uno Stato di mandati in genere, e particolarmente di mandati di tipo B (come sono tutti quelli francesi in Africa) rappresenta indubbiamente un vantaggio per la Potenza Mandataria, tanto dal punto di vista politico, quanto da quello economico.

Infatti pur tenendo presente il carattere di provvisorietà che hanno tutti i mandati, è stabilito nell'articolo 22 del Patto che la cessazione del mandato non potrà verificarsi se non quando le popola7Jioni sotto mandato saranno riconosciute capaci di governarsi da sole. Ora, particolarmente per i mandati di tipo B (come per quelli di tipo C) questa condizione non si verificherà, se mai, che in un futuro molto lontano. Nel frattempo l'applicazione pratica del regime dei mandati lascia possibilità alle Potenze mandatarie di usufruire praticamente della missione loro confida;ta in modo non troppo diverso da quello che esse farebbero se i territori di mandato fossero vere e proprie colonie.

Anche il princlpio di parità economica, vigente per i mandati di tipo B, lascia alle Potenze mandatarie la possibilità di costituirsi praticamente delle posizioni di privilegio economico nei ternitori sotto mandato. Le osservazioni ed i richiami che al riguardo la Commissione dei Mandati ha, in varie riprese, dovuto far presenti al Consiglio costituiscono la prova dell'esattezza di questa affermazione.

Comunque, quando il Consiglio Supremo con la decisione del 7 maggio 1919, a seguito dell'attribuzione dei mandati africani alla Francia e alla Gran Bretagna, _ riconobbe che l'Italia poteva prevalersi dell'art. 13 del Patto di Londra per chiedere alle dette due Potenze compensi coloniali, riconobbe implicitamente altresl che l'attribuzione di detti mandati costituiva un vantaggio per le Potenze mandatarie e che si era quindi verificata la con(iizlione stabilita dall'art. 13 del Patto di Londra autorizzante l'Italia ad ottenere compensi coloniali in Africa.

È interessante notare a questo proposito che, nelle discussioni con la Gran Bretagna per i Compensi Coloniali, non è stato mai da questa opposto il fatto che le proprie acquisizioni territoriali in Africa sono costituite solo da mandati, e non da territori in piena sovranità; come è avvenuto per la Francia ohe ha avuto mandati e territori di diretto dominio.

Naturalmente neLl'attribuzionè dei compensi coloniali, già determinata nei rispetti della Gran Bretagna e da determinarsi nei rispetti della Francia, l'Itllilia ha tenuto e tiene conto del fatto che alle dette due Potenze le acquisizioni territoriali in Africa sono state attribuite (per la Gran Bretagna totalmente, per la Francia parzialmente) sotto forma di mandato. Ciò si nota, per precisare che l'eventuale liquida:l'lione totale dei Compensi Coloniali all'Italia non autorizzerebbe Francia e Gran Bretagna a trasformare in vere e proprie colonie i territori di mandato africand. Com'è noto, noi svolgiamo a Ginevra anche per i Mandati africani una politica di opposizione alla trasformazione dei Mandati in colonie (che per ora non si applica che all'Inghilterra: vedi questione della Oloser Union); e l'Inghilterra, almeno finora, non ha mai ricorso all'argomentazione che l'Italia non aveva più voce in materia, essendo stata soddisfatta dei Compensi Coloniali.

Come è stato ripetutamente osservato, e come appare chiaramente dal contesto, fin qui non si è parlato che di Compensi Africani, di Mandati africani e di applicazione dell'art. 13, del Patto di Londra. Queste questioni sono infatti nettamente separate e distinte dalla questione dei Mandati nei territori ex ottomani e dei diritti da noi vantati per una modli.ficazione a nostro vantaggio dell'equilibrio politico nel Mediterraneo Orientale, diritti che prendono origine da altro apposito articolo del Patto di Londra del '15 (art. 9, trascritto in calce) (l) che ci assegnava la zona di Adalla, ed al successivo accordo di San Giovanni di Moriana del 20 aprile 1917 (qui allegato in copia) (2) che ci assegnava in più la zona e la città di Smirne.

b) Nella conversazione con V. E. l'Ambasciatore di Francia ha pure osservato che con gli Accordi Bonin-Pichon la Repubbldca aveva già ceduto all'Italia due tratti dl territorio in Libia che, seppure completamente desertici, « hanno una superficie uguale a circa un terzo del territorio francese ».

A tale proposito ed a complemento delle cose già dette, senza discutere sull'esattezza del paragone fatto, si potrebbe osservare che, a parte il nessun valore economico di dette zone, la sovranità francese sui due salienti fra Ghadames e Ghat e fra Ghat e Tumno poggiava su basi quanto mai incerte, in quanto fra l'Impero ottomano e il Sud-algerino non era mai stata demarcata una linea di frontiera. Quei due salienti non erano in realtà originati che da espansioni della ocoopazione francese, avvenute senza alcun titolo, in zone non presidiate da truppe ottomane. Ciò è comprovato dal fatto che dopo la nostra occupazione della !Abia, ma prima e durante la guerra europea, noi trattammo con la Francia per la eliminazione di quei due salienti, ai quwli ritenevamo di avere diritto indipendentemente dall'attribuzione di Compensi Coloniali.

c) L'Ambasciatore di Francia ha pure accennato ad un abbinamento delle due questioni di Tunisi e dei Compensi Coloniali.

D'une man!ère générale la France, la Grande-Bretagne et la Russie reconnaissent queI'Italie est intéressée au ma!nt!en de l'équ!libre dans la Méd!terranée et qu'elle devra, en cas de portage total ou part!el de la Turquie d'Asie, obten!r une par équitable dans la région méditerranéenne avoisinant la province d'Adal!a où l'Ital!e a déjà acquis droits et des intérèts qui ont fait l'objet d'une convention italo-britannique. La zone qui sera éventuellement attribuée à l'Ital!e sera délimitée, le moment venu, en tenant compte des intérèts existant de la France et de la Grande-Bretagne.

Les intérèts de l'Ital!e seront également prls en considération dans le cas où l'intégrité territoriale de l'Empire ottoman serait maintenue et où des modiflcations seraient faites aux zones d'intérèts des Pulssances.

Si la France, la Grande-Bretagne et la Russie occupent des terrltoires de la Turquie d'Asie pendant la durée de la guerre, la région méditerranéenne avoisinant la province d'Adal!a dans !es Umites indiquées ci-dessus sera réservée à l'Ital!e, qui aura le droit de l'occuper. [Nota del doeumento]

Già nella nota 7 ottobre 1929 a firma Musso lini (1), diretta all'Ambasciatore di Francia in Roma, si precisava che «il R. Governo non ha mai, né mai poteva, considerare le due questioni come fra loro connesse, se non nel tempo in cui si presentano per essere risolte in modo soddisfacente per le due Parti». (Anche se la replica francese, fatta con la nota del 23 luglio 1930, rimase da parte nostra senza risposta, esiste tra gli Atti del tempo la minuta pronta ma non spedita -il nostro silenzio non può comunque significare acquiescenza alla tesi francese dell'abbinamento).

d) Il Signor Chambrun ha finalmente osservato «che ogni concessione che la Francia dovesse fare lllll'Italia dovrà avere l'approvazione del Parlamento francese, per cui bisogna tener conto in modo assoluto di quella che è l'opinione pubblica in Francia».

Si ha l'onore di far presente all'E. v. che, non una vera e propria contropartita, ma a parte altre considerazioni, una certa ragione di soddisfazione dell'opinione pubblica francese potrebbe essere trovata, nel caso si determinasse il principale Compenso nell'Africa Orientale, ,in una nostra rinuncia generica alle riserve e proteste da noi avanzate quando nel 1919 Francia e Gran Bretagna modificarono, sotto la veste di interpretazione, l'andamento della così detta «linea del Sud-Est» (Accordo del 1899) a vantaggio della Francia ed a scapito dell'Hinterland libico; nonché alle domande da noi successivamente avanzate per ottenere dei Compensi Coloniali al Sud della Libia verso il Lago Tchad.

ALLEGATO II

BUTI A SUVICH

APPUNTO. Roma, 22 settembre 1934.

Si ha l'onore di tracciare di seguito, in relazione alle indicazioni fornite ed alla richiesta di V. E., una possibile formulazione verbale delle richieste italiane nell'attuale stadio del negoziato per le questioni deLla Tunisia e dei Compensi Coloniali:

A) Tunisia -Proroga per dieci anni della Convenzione Consolare e di StabHimento e della Convenzione Commerciale del 1896, con applicazione larga ed in buona fede.

A spiegazione di quest'ultima clausola, si potrebbe far presente che il ,rinnovo non può significare da parte nostra l'abbandono dei punti di vista, a varie riprese espressi, circa l'interpretazione di alcune clausole delle Convenzioni. Noi intenderemmo, con il criterio della buona fede, indicare che le Convenzioni devono essere applicate nello spirito e con gli intendimenti con cui furono concluse nel 1896: ché altrimenti non si avrebbe più una proroga, ma una modifica di quanto nel 1896 fu stabilito.

B) Compensi Coloniali.

Si potrebbero a scopo tattico presentare due richieste alternative.

La 18 è quella tradizionale, già presentata ai francesi, che per la Francia ha un notevole valore negativo in quanto tende a separare l'Africa Occidentale dall'Africa equatoriale francese; ma non avrebbe per noi che un'importanza relativa, non estendendosi sino aJ. Lago Tchad.

La 28 alternativa è quella che appare meglio rispondere agli tnteressi nazionali.

ta alternativa -compensi al sud della Libia, con la cessione di un territorio delimitato ad occidente dall'undecimo meridiano E. Greenwich, a sud dal diciottesimo parallelo, ad oriente dal ventiquattresimo meridiano. In questo territorio entrerebbero le oasi di Giado e di Bilma, le zone del Tibesti e dell'Unianga e parte dei territori del Borcu e dell'Ennedi.

Tale richiesta è quella contenuta nella nota diretta da S. E. il Capo del Governo all'Ambasciata di Francia in data 29 giugno 1929, a seguito delle conversazioni Mussolini-Beaumarchais.

Si noti che una parte di tale territorio è da noi già considerato come pertinente alla libia (indipendentemente da ogni Compenso Coloniale), per il fatto che si trova a nord della linea con direzione matematica di sud-,est, di cui all'Accordo anglo-francese del 1899, linea che la Francia si era impegnata a non oltrepassare con gli Accordi Visconti Venosta-Barrère del 1900 e Pnnetti-Barrère del 1902. Viceversa, come noto, la Francia ha occupato tale territorio dopo l'Accordo anglo-francese del 1919 (dnterpretativo nel senso francese dell'Accordo del 1899), Accordo del '19 circa H quale noi abbiamo presentato formali proteste e nserve.

2a alternativa -Ridurre le nostre richieste di compensi al sud della Libia al solo riconoscimento da parte della Francia dd una linea di frontiera che, seguendo in massima la direzione generale della linea matematica del Sud-Est (Accordi del '900 e del 902), lasci all'Italia, nel Tibesti e nell'Unianga, centri di vita donde sia possibile esercitare effdcacemente la sorveglianza delle frontiere;

e chiedere alla Francia come principale Compenso Coloniale in Africa la cessione parziale della Costa francese dei Somali, escludendo cioè Gibuti con un piccolo hinterland, ma in modo che rimanga interrotta la continuntà fra il retroterra di Gibuti e l'Etiopia.

C) Sia nella presentazione della 1a alternativa come nella presentazione della 2a cessione da parte della Francia a nostro favore dei diritti riconosciutile in Etiopia daa'Accordo Tripartito del 1906; intendendosi che tale cessione implica oltre i dirittA che la Francia già esercita, anche quelli che potrebbe esercitare nel futuro.

In conseguenza, e tra l'altro, dovrebbero intervenire speciali accordi perché la maggioranza azionaria della Società franco-etiopica per la Ferrovia di Gibuti passi in nostre mani.

D) Ugualmente, sia nel caso della 1a che della 2a alternativa, conferma del nostro diritto di stabilire collegamenti ferroviari, camionabili ed aerei fra la Libia e, attraverso l'Africa Equatonale Francese, le regioni del Centro Africa; ciò che appare indispensabile alla vitalità economica ed agli sVIiiuppi dei traffici della Libia.

La richiesta di cui alla lettera D) non è che una conferma di un diritto già genericamente riconosciutoci fin dal 1902. La richiesta di cui alla lettera c) rappresenta invece una richiesta in più, e di notevole. importanza, dn confronto delle richieste avanzate nel 1928: però la situazione politica è oggi evidentemente altra che quella di allora.

Gli Accordi Visconti Venosta-Barrère e Prinetti-Barrère che prepararono diplomaticamente la nostra occupazione della Libia furono tenuti segreti. Le nostre richieste attuali dovrebbero pure rimanere segrete -soprattutto finché restano allo stato di richieste -e specialmente per quanto ha riguardo a quello che è chiamata la seconda alternativa ed al disìnteresse francese dal Tripartito.

(l) Cfr. n. 83!

(1) Art. 9 del Trattato di Londra del 1915.

(2) Non si pubblica.

(l) Cfr. serle VII, vol. VIII, n. 49.

858

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. Vienna, 22 settembre 1934.

In riferimento al mio telegramma n. 321 del 22 corrente (1), mi onoro trascrivere a V. E., qui a tergo, il testo tradotto di una risoluzione adottata dal Consiglio dei Ministri jugoslavo nella sua seduta del 31 agosto u.s.

Tale documento mi è stato consegnato in via del tutto confidenziale da questo Ministro degli Affari Esteri, von Berger, il quale mi ha detto di averlo avuto da fonte fiduciaria; e mi ha pregato pertanto di mantenere al riguardo la più stretta discrezione.

ALLEGATO

RISOLUZIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI JUGOSLAVO DEL 31 AGOSTO 1934

ll Governo di Sua Maestà ha consta.ltato all'unanimità di voti che H problema a.ustriaco sta divenendo il punto debole della politica estera jugoslava. La tesi dell'indipendenza dell'Austria perde la sua importanza, dal momento in cui l'Austria è trasformata in un territorio di influenza italiana.

L'influenza italiana a Vienna è esercitata per conto del Quirinale dalle Hcimwehren e per conto del Vaticano dal clericalismo.

Tale influenza sta al momento attuale dirigendosi meno contro la Gennania che contro la Jugoslavia. ll Governo di Sua Maestà crede che la politica italiana, prospettando l'argomento in realtà non esistente di una minaccia contro l'Austria da parte della Jugoslavia, cerca di raggiungere 'iue scopi:

1°) far entrare le formazioni annate delle Heimwehren nell'esercito regolare austriaco;

2°) far sorgere degli attriti nelle relazioni fra Belgrado e Parigi, e fra Belgrado e i due altri Stati della Piccola Intesa.

Il Governo jugoslavo crede di dover attirare l'attenzione del Ministro degli Affari Esteri jugoslavo sulla miopia del Gabinetto francese e sulla duplicità della politica estera cecoslovacca, che spera in tal modo di poter distruggere l'intesa itala-ungherese.

Il Consiglio dei Ministri prega il Ministro degli Affari Esteri di voler entrare d'urgenza in contatto con il Governo francese, e di appoggiarsi in tali démarches alla parte influente dello Stato Maggiore francese, H quale, a quanto si sa, è in fondo convinto che gli interessi della Francia e dei suoi alleati sono minacciati da parte italiana.

Il Governo Reale jugoslavo spera anche che il Ministro degli Affari Esteri riuscirà finalmente a porre Praga e Bucarest sulla medesima direttiva, spiegando ai Gabinetti francese, cecoslovacco e rumeno che se essi non fossero pronti ad aiutare la Jugoslavia, il Governo Reale rivendicherebbe il diritto di cercare altre vie per assicurare l'unità e lo sviluppo della Jugoslavia.

(l) T. 3342/321 R. non pubbllcato.

859

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3347/122 R. Ginevra, 23 settembre 1934, ore 1,45 (per. ore 3,15).

Pranzato con Eden. Confidatomi di aver ricevuto chiarimenti da Londra circa decisioni che saranno prese consiglio dei ministri inglese 27 corrente nei riguardi questione austriaca. Primo punto: Governo inglese desidera che all'accordo prendano parte anche Germania e Stati confinanti con Austria, eccetto Svizzera.

Osservatogli che tecnicamente un allargamento eccessivo renderebbe problematico raggiungimento risultato concreto; che anche ammessa tale possibilità, partecipazione grande numero avrebbe automaticamente indebolito efficacia, e infine che Austria in principio erasi rivolta per garanzia alla sola Italia e che Italia era arrivata di sua esclusiva iniziativa all'estremo limite dello spirito di collaborazione e sopratutto della praticità chiedendo la partecipazione delle Potenze Occidentali all'accordo con eventuale successiva adesione Piccola Intesa.

Secondo punto: Inghilterra confermerà di non potere assumere alcun nuovo impegno.

Solo dopo concluso patto itala-franco-austro-tedesco, nonché successiva adesione Piccola Intesa potrebbe considerare opportunità di appoggiare accordo a mezzo di una dichiarazione.

Ribattutogli che, dopo dichiarazione inglese 17 febbraio di diretto interesse indipendenza austriaca, una semplice dichiarazione rappresenterebbe ora assunzione di impegni ben modesti e certo legata impegni altre nazioni ma che comunque tale dichiarazione avrebbe qualche valore solo se fatta prima dell'accordo in modo da agevolarne accoglimento da parte della Germania e Jugoslavia.

Terzo punto: Eden mi ha detto di avere ragione di ritenere personalmente che il Governo britannico preferirebbe che il patto progettato fosse inserito nel quadro della S.d.N.

Fattogli notare contraddizione fra desiderio partecipazione Germania accordo e desiderio tale inserzione allorché uno dei principali partecipanti, e cioè appunto Germania, travasi attualmente fuori della S.d.N.

Ho aggiunto che comunque non avrei mai potuto seguirlo su tale via. Mi ha detto che avrebbe teleg:rafato' subito a Londra risultato dei nostri colloqui.

860

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 23 settembre 1934.

Mi permetto di attirare l'attenzione di V. E. sugli uniti telegrammi (1). Accludo anche quello di ieri contenente le dichiarazioni di Jeftic (2).

Mi riservo di riferire domani sull'argomento per avere gli ordini da V. E. sia nel caso che si voglia raccogliere l'accenno fatto da parte jugoslava per una chiarificazione dei rapporti fra i due paesi, sia nel caso che si vogliano portare le cose a un punto estremo. Da tutto l'insieme si ha l'impressione che il Governo jugoslavo non sia disposto ad andare oltre le dichiarazioni contenute nei telegrammi.

Riferirò anche sulle possibili misure da prendersi da parte nostra.

(l) Probab1lmente sono l nn. 847, 848, 849, 850, 854 e 855.

(2) C!r. n. 846.

861

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 1295/247 R. Roma, 24 settembre 1934, ore 1.

Seguito telegramma n. 239 (1).

In risposta al telegramma inviato a codesto ministero degli affari esteri, questo incaricato d'affari d'Etiopia ha ricevuto un telegramma col quale si rammarica che Italia ha creduto prendere misure per difesa sue colonie sulla base di false voci, e lo si incarica di dare formale assicurazione al Governo italiano che l'Etiopia non ha alcuna intenzione aggressiva.

L'incaricato d'affari d'Etiopia ha portato contenuto di detto telegramma a conoscenza di questo Ministero. Si è preso atto dell'assicurazione formale data e gli sono state ripetute assicurazioni altrettanto formali da parte nostra (2).

862

IL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 3359/486 R. Shanghai, 24 settembre 1934, ore 11,01 (per. ore 21).

Telegramma di V. E. n. 308 (3) giunto ieri sera incompleto e quasi tutto indecifrabile. Rinnovo la preghiera ripetere subito per filo: poiché servizio radio attraverso R. nave funziona in questo momento malamente e con gravissimo ritardo. In attesa credo opportuno informare V. E.:

lo -Che di mia iniziativa sotto il pretesto salvaguardare mia responsabilità esatto informatore di fronte a V. E., dopo la conversazione Liu Von-Tao di cui al mio telegramma n. 476 (4) gli chiesi se voleva confermare per iscritto sue dichiarazioni. Egli ha aderito e mi ha consegnato la lettera che riproduce integralmente contenuto mio telegramma suddetto e con cui assume ancora impegno rifare analoga comunicazione scritta a Roma dopo suo ritorno in Italia.

Salvo avviso contrario di V. E. non (dico non) riterrei pertanto necessario scambio lettera di cui mi sembra fatto cenno nell'ultima parte del telegramma di V. E. cui mi riferisco;

V. -E. ebbe a scrivere che se gli Abissini attaccassero prima di una nostra possibile mobilitazione la Colonia <<sarebbe sommersa ». Io spero proprio che, almeno parzialmente, si potrebbe ovviare a tale disastro ». (-4) Cfr. n. 827.

2° -Ho detto a Liu Von-Tao che, a mio avviso, risposta Governo cinese alla proposta giapponese avrebbe dovuto essere ritardata almeno fino a definitive istruzioni di V. E. che, data distanza, avrebbero dovuto ritardare qualche giorno.

Egli ha consentito con me e mi ha fatto assicurazioni in proposito; Liu Von-Tao è partito nuovamente per Kung chiamato da Chang-Kai-Shek e tornerà presto Shanghai; Ieri sono stato invitato da questo ministro affari andare Nanchino mercoledì. Partirò domani sera e perciò mi sarebbe utile ottenere ripetizione chiesta ed altre eventuali istruzioni prima della mia partenza. Suppongo che ministro esteri mi chiederà trasmettere ufficialmente a V. E. domanda creazione ambasciata.

(l) -Cfr. n. 830. (2) -Già in data 23 luglio De Bono aveva scritto a Badoglio, osservando: <<È mia norma pensare sempre al peggio. Devo però significare a V. E. che concordi, serie informazioni escludino almeno finora, la probabilità di un colpo di testa abissino. Ma, ripeto, ci prepariamo ad ogni peggiore evento. (3) -Cfr. n. 852.
863

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3364/126 R. Ginevra, 24 settembre 1934, ore 16,40 (per. ore 19,30).

Presidente conferenza disarmo pubblica nel Journal des Débats un lungo articolo sui problemi mondiali ed il disarmo.

Questione è stata ripresa in esame anche dal Segretariato della Lega delle Nazioni, il quale ha proposto ad Henderson di riprendere i lavori ai primi di novembre scopo concludere tre protocolli: il primo relativo pubblicità e controllo fabbricazione materiali da guerra; secondo relativo pubblicità spese militari e terzo immediata istituzione nota commissione permanente disarmo per controllo esecuzione due precedenti protocolli e loro integrazione con ulteriori misure disarmo.

Ho fatto sapere ad Aghnides che per conto nostro non vedevamo ragione modificare intesa intervenuta (mio telegramma n. 81 del 10 settembre) (l) per cui convocazione bureau era stata esplicitamente subordinata ad un esame della situazione ed a conversazione delle tre principali delegazioni da avere luogo alla fine ottobre. Nello stesso senso mi esprimerò con altre delegazioni allo scopo di stroncare ingiustificata e per lo meno prematura attività del Segretariato della Lega delle Nazioni.

864

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3366/127 R. Ginevra, 24 settembre 1934, ore 19,35 (per. ore 20,45).

Stamane ricevuto Berger reduce da Vienna e messolo corrente attuale ·stato trattative per Austria.

64-Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

Mi ha detto:

1° -Che Schuschnigg. già accordatosi con legittimisti per sventare manovra di cui al mio telegramma n. 117 in data 21 corrente (l).

2° -Che durante suo soggiorno a Vienna è stato sottoposto a fortissime pressioni da parte della Germania la quale, esasperata possibilità accordi Austria con Potenze occidentali, si è dichiarata disposta concedere qualsiasi vantaggio economico-finanziario-politico pur di indurre Austria ad un accordo bilaterale austro-tedesco con esclusione qualsiasi altra Potenza.

3° -Che per ogni eventualità Governo austriaco aveva studiato una formula per l'inquadramento dell'accordo nella S.d.N. che egli mi comunicava confidenzialmente.

Ho preso atto due prime comunicazioni, tacendogli mia personale impressione che nella notizia dei ponti d'oro offerti dalla Germania all'Austria, potesse esservi tantino esagerazione non nuova nella storia trattative itala-austriache.

Circa terza comunicazione ho tagliato corto escludendo categoricamente possibilità inquadramento S.d.N. Concluso pregandolo attendere risultato nostre trattative con Francia e Inghilterra, rimanendo fermo sulle posizioni concordate fra noi due.

(l) Cfr. n. 790.

865

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO IN CINA, BOSCARELLI

T.u.s. 1298/313 R. Roma, 24 settembre 1934, ore 22,30.

Telegramma di V. S. n. 486 (2). Incaricato d'affari di Cina ha comunicato a questo ministero che 26 corrente Governo cinese dirigerà a V. S. nota con la quale chiederà ufficialmente elevazione ad ambasciata R. legazione in Cina ed informerà che si propone elevare ad ambasciata legazione di Cina in Italia. Appena le sarà pervenuta nota suddetta V. S. vorrà senz'altro rispondere che, al fine far corrispondere rispettive rappresentanze sia importanza Cin21. come grande paese, sia importanza rapporti politici economici e culturali tra

Italia e Cina, R. Governo aderisce di buon grado richiesta cinese e prende atto con compiacimento suo proposito creare in pari tempo ambasciata di Cina in Italia (3).

(l) -T. 3334/117 R. del 21 settembre, non pubbllcato, con 11 quale Aloisi riferiva averg!l detto Benell di possedere informazioni sicure circa l'inizio, in concidenza con l'arrivo di von Papen a Vienna, di una manovra tedesca consistente nel far cominciare ai nazisti austriaci una campagna leglttimista ». (2) -Cfr. n. 862. (3) -Questo telegramma è stato redatto sulla base di un appunto di Scaduto per suvlch dello stesso 24 settembre su cui Mussollni ha annotato «Si». Tale appunto termina con 11 seguente capoverso: «Durante la conversazione l'Incaricato d'Affari di Cina ha avuto occasione di dire confidenzialmente che di recente l'Ambasciata del Giappone ha ripetutamente cercato di appurare le intenzioni cinesi ed ltallane circa l'elevazione ad Ambasciata delle rispettive Rappresentanze diplomatiche ».
866

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A TOKIO, AURITI, E A WASHINGTON, ROSSO E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, FRANSONI

T. R. 1299/c. R. Roma, 24 settembre 1934, ore 24.

R. Governo ha deciso elevare R. rappresentanza in Cina rango ambasciata per farla corrispondere sia importanza Cina come grande paese sia importanza rapporti politici economici e culturali fra .l'Italia e la Cina.

Nell'imminenza diramazione comunicato in tal senso, prego V. E. comunicare subito verbalmente quanto precede codesto Governo a titolo di cortesia coll'intesa che fino pubblicazione comunicato notizia va considerata riservata (1).

867

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. S. 89/RR. (2). Belgrado, 24 settembre 1934.

Mio telegramma filo n. 141 del 20 corrente (3).

Questo ministro d'Inghilterra tornato da Bled mi ha detto di avere avuto colà col Sovrano jugoslavo lunghi colloqui sulla situazione presente. Tutta la storia dei rapporti itala-jugoslavi è stata passata in rivista, con le varie fasi delle note trattative. Re Alessandro gli ha confermato ancora una volta che egli era in quel momento deciso di addivenire con noi alla più stretta intesa, che si era abbandonato a questo progetto con la maggiore fiducia. Di qui tanto maggiore il suo dispetto per la interruzione delle trattative quando egli si attendeva una risposta da parte di V. E., risposta che gli si faceva ogni tanto sperare, fin che alla fine egli non vi aveva creduto più. Poi era venuta tutta la faccenda degli ustaci ed il mancato attentato, che Re Alessandro ha preso come cosa personale, e che ha determinato una crisi di fiducia dalla quale egli non si è ancora risollevato.

Tuttavia sir Neville ha adoperato ogni suo argomento per persuaderlo a guardare soltanto all'avvenire e dimenticare il passato. L'Italia è una grande e potente vicina, la persona di S. E. il Capo del Governo è la più grande personalità dell'epoca moderna (aggiungo che questa è la sincera convinzione del ministro d'Inghilterra che ha passato qualche tempo in Italia all'inizio del regime e che me la ha sovente ripetuta) la tranquillità dell'Europa e la difesa del germanesimo deve essere la massima preoccupazione di tutti gli

Stati. Sono i principali motivi che consigliano un definitivo e completo riavvicinamento fra l'Italia e la Jugoslavia.

Sir Neville in questa occasione non ha risparmiato col Re il suo giudizio reciso sull'ignobile articolo del Vreme, giudizio che egli aveva fatto sapere anche al ministero degli affari esteri (a me ha detto che alla lettura di quell'articolo gli si erano sentiti rizzare i capelli sulla testa).

Il Re alla fine avrebbe convenuto nella conclusione di sir Neville. Però, mi ha risposto il ministro d'Inghilterra, non siamo venuti a nessuna conclusione. Vi è nel Re una crisi di fiducia che occorre superare. Del resto (sempre a mia risposta) per arrivare ad un riavvicinamento non spetterebbe logicamente a Re Alessandro il primo passo, ma a S. E. Mussolini poiché è da parte di S. E. che mancò a suo tempo una risposta.

Poi mi ha chiesto cosa pensavo di una sua idea. Prossimamente Re Ales-= sandra andrebbe a Parigi forse in ferrovia attraverso l'Italia, più probabilmente per mare col Dubrovnik. Perché Re Alessandro non farebbe una breve sosta in Italia o scalo in un porto italiano e non si incontrerebbe con Mussolini. L'incontro dei due capi, dice il collega inglese, è il solo modo per arrivare ad un componimento della situazione. Ma il Re non si fermerebbe che se ne fosse in qualche modo pregato dal vostro Capo del Governo.

Gli ho risposto che non vedevo perché dovesse essere il Capo del Governo italiano a chiedere al Re Alessandro di fermarsi comunque in Italia, (più ancora in questo viaggio parigino) specie dopo le offese all'esercito e dopo un comizio di emigrati come quello di Maribor, comizio che per ora il Governo jugoslavo era ben lungi dallo sconfessare. Poi io non potevo neanche a titolo personale assumermi un'iniziativa qualsiasi di tal genere presso S. E. il Capo del Governo. Del resto era egli sicuro che Re Alessandro avrebbe accettato? Ho aggiunto pure che non avrei neanche riferita a Roma una tale conversazione perché non avrei mai voluto far nascere il sospetto nel pensiero di V. E. di perseguire finalità e vie che non siano quelle per le quali ho precise istruzioni.

La sola impressione precisa che ho avuto di tale discorso è che, quando ho chiesto a sir Neville a che conclusione fosse venuto il Sovrano dopo avere riconosciuto la necessità di un riavvicinamento con noi, egli sia stato reticente. Ma non posso in coscienza affermare se l'ultima parte del colloquio {incontro di V. E. con Re Alessandro) sia stata fatta a me di spontanea iniziativa del ministro di Inghilterra oppure di intesa col Re, come ne ho avuto e ne ho tuttora il sospetto.

In ogni caso il discorso fra me ed il collega inglese ha avuto un carattere puramente personale. V. E. sa che io sono a lui legato da molta e sincera amicizia e confidenza, quindi è agevole a lui parlare con me con estrema sincerità, come a me con lui, salvo naturalmente quelle riserve e cautele che sono nel nostro reciproco mestiere e sono legate al dovere ed alla prudenza.

Durante questa conversazione sir Neville mi ha detto che Re Alessandro si è mostrato con lui seccatissimo del prossimo viaggio a Parigi «ancora più inutile di quello di Sofia » ed irritato della petulante insistenza del ministro di Francia Naggiar.

(l) -Annotazione a margine d! Buti dello stesso 24 settembre: «Comunicato allegato approvato da s. E. !l Capo del Governo da pubblicare !l giorno dopo l'invio del presente telegramma e più precisamente nei giornali del 26 mattina». (2) -n telegramma manca di numero di protocollo generale perché non fu usato nelle raccolte di telegrammi in arrivo. (3) -Cfr. n. 841.
868

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 24 settembre 1934.

L'Ambasciatore de Chambrun, prima di entrare in argomento, mi chiese se posso dargli qualche informazione sulla situazione italo-jugoslava.

Gli rispondo che non posso dirgli nulla di nuovo se non che, come avevo previsto nella nostra conversazione precedente la situazione era ancora peggiorata. Se l'Ambasciatore ha letto i risultati del Congresso di Maribor si sarà reso conto che da parte nostra si dimostra la massima moderazione. Comunque la questione jugoslava non entra nelle nostre conversazioni.

L'Ambasciatore, a mia domanda, mi dice che da Parigi non ha nessuna istruzione perché il suo Governo attende che da parte italiana si specifichino le richieste.

Gli dico che non ho nessuna difficoltà a farlo. Passiamo in rassegna 1 vari problemi: Tunisia. -Noi chiediamo la proroga per 10 anni delle Convenzioni del 1896 con una larga applicazione. L'Ambasciatore sa che in questo riguardo ci sono serie difficoltà essendo le interpretazioni su molti punti diverse.

Per le scuole ad esempio la Francia sostiene che noi non abbiamo diritto di aumentarle o di estenderle; mi chiede se noi saremmo disposti a fare entrare le scuole italiane nel diritto comune verso concessione da parte della Francia della facoltà di aumentare e di estendere le scuole stesse.

Gli rispondo che ritengo di no. Comunque ora non è il caso di entrare nei dettagli, che dovranno tuttavia essere discussi particolarmente prima della conclusione dell'accordo.

L'Ambasciatore mi osserva che l'ultima posizione francese era quella di limitare la cosiddetta «ipoteca italiana in Tunisia » mentre ci si trova di fronte ad un aumento delle nostre richieste perché, se egli ben comprendeva, noi chiedevamo di ritornare su alcune interpretazioni del trattato che la Francia considera già come acquisite e consolidate.

Compensi coloniali. -Espongo all'Ambasciatore le ragioni che giustificano la nostra richiesta e le fasi attraverso le quali la questione è passata: oggi è del tutto impregiudicata. La nostra richiesta, come l'Ambasciatore sa, era di avere il territorio compreso fra 1'11o e il 24° meridiano e il 18° parallelo, con l'intenzione di aprirci così direttamente la strada verso il Ciad. Conoscendo l'opposizione francese a questa nostra richiesta, si è pensata un'altra soluzione che consisterebbe nei seguenti punti:

l) rettifica o meglio fissazione del confine meridicmale della Libia seguendo la linea matematica sud-est dell'incrocio del Tropico del Cancro col 16° meridiano;

2) cessione della costa francese dei somali meno la città di Gibuti.

Ricordo che la Somalia francese, compresa la città di Gibuti era stata chiesta dall'Italia come compenso subito dopo la fine della guerra.

L'Ambasciatore mi osserva che le nostre domande gli paiono molto forti.

Per quanto riguarda i confini meridionali della Libia egli osserva che si

tratta di un territorio di centinaia di migliaia di chilometri quadrati, oggi già occupati dalla Francia; egli si rende conto che si tratta di territorio in massima parte sabbioso, tuttavia non c'è dubbio che a Parigi la richiesta di una cosi vasta zona a titolo di fissazione e di rettifica di frontiera farà la più grande impressione.

Egli chiede nel modo più pressante che si voglia esaminare se non è possibile limitare la nostra richiesta.

Per quanto riguarda la Somalia, sua impressione è che la cessione della intera colonia francese (esclusa la città di Gibuti che rimarrebbe tagliata dal suo retroterra) non possa essere accettata dal Parlamento francese.

Egli mi chiede con molta insistenza, perché vorrebbe poter appoggiare la nostra richiesta a Parigi, di limitare la nostra domanda e darle un'altra forma: per esempio una rettifica della frontiera dell'Eritrea fino alla costa dei somali oppure la cessione di qualche punto sulla costa stessa o di una zona per costruire un braccio ferroviario che vada ad allacciarsi alla ferrovia GibutiAddis Abeba.

Osservo all'Ambasciatore che la nostra richiesta non dovrebbe impressionarlo tanto; gli inglesi ci hanno ceduto il Giubaland che è un territorio molto più grande e molto più ricco. L'unico elemento importante della costa francese dei somali è dato da Gibuti che rimarrebbe alla Francia.

L'Ambasciatore non contesta le ragioni da me addotte, ma osserva che in Francia farà certo una grande impressione l'idea di cedere una intera colonia. Egli insiste ancora per vedere se si può trovare qualche altra soluzione; egli pensa ad esempio che all'Italia possa interessare che la Francia si ritiri dall'Abissinia favorendo l'espansione italiana in quel Paese.

Gli rispondo che certamente noi abbiamo interesse ad una tale soluzione che dovrebbe anche consentirci di utilizzare la ferrovia Gibuti-Addis Abeba; ma indipendentemente da questo c'è il problema dei compensi territoriali che deve trovare una soluzione, anche per un certo parallelismo con quanto ha fatto l'Inghilterra.

Data l'ora si è deciso di rinviare la conversazione a domani alle 5 (1).

L'Ambasciatore insiste molto perché io riveda la nostra richiesta sulla base

delle sue osservazioni.

Gli rispondo che non ho nulla in contrario, ma che non vedo nessuna

possibilità di modificarla.

(l) Il nuovo colloquio ebbe luogo 11 26. Cfr. n. 883.

869

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 6062/1670. Belgrado, 24 settembre 1934 (per. il 28).

Miei telegrammi nn. 145 e 146 del 22 corrente (1).

Debbo completare quanto ho telegrafato a V. E. sabato scorso.

Avvertii molto fermamente Puric che se insieme alla dichiarazione fattami da Jeftic il giorno prima, dichiarazione che mi sembrava difficile v. E. trovasse del tutto soddisfacente, fosse arrivata la trasmissione del nuovo articolo delle Novosti, le conseguenze avrebbero potuto essere assai serie. Io mi chiedevo se in Jugoslavia si era persa la testa, o se si perseguivano obiettivi che mi sfuggivano. In ogni caso dovevo anche notare un singolare seguirsi di articoli. Dopo il primo colloquio con Koijc la sera stessa esce un articolo sulle Novosti, dopo il colloquio con Jeftic anche la sera stessa altro articolo delle Novosti. Se era una pura involontaria coincidenza essa mostrava comunque scarsa premura del Governo per por fine alla triste ingiuriosa polemica contro il nostro esercito, poiché telegrafo e telefono esistono anche in Jugoslavia. Se si voleva mostrare indifferenza per i miei passi, la sorpresa conclusiva sarebbe stata grande. Speravo egli non mi desse come prima risposta quella datami da Koijc nel secondo colloquio, cioè che era un giornale di Zagabria, al che avevo replicato che anche Zagabria era in Jugoslavia.

Avrei atteso fino alla sera per fare la trasmissione telegrafica dell'articolo. Ma non potevo tardare oltre la sera. Confidavo che prima di sera io potessi riferire a V. E. una dichiarazione più ampia e soddisfacente di quella del giorno prima.

Puric assentatosi pochissimi minuti e visto Jeftic è tornato per farmi la dichiarazione che ho telegrafato a V. E. e che è certo assai più soddisfacente di quella di Jeftic. V. E. giudicherà quali osservazioni eventuali fare al desiderio di concordare un eventuale comunicato alla nostra stampa e mi darà le sue istruzioni.

Aggiungo che Puric si è mostrato visibilmente e sinceramente turbato per l'articolo delle Novosti. Ha cercato avanzare qualche scusa. Ma lo ho interrotto dicendogli era preferibile non trovasse giustificazioni alle quali non potevo credere.

*Mi è sembrato poi profondamente sincero quando ha invocato l'alta autorità di v. E. per por fine alla polemica di stampa ed alle radio diffusioni da Bari che secondo le sue affermazioni continuano quotidianamente e con molta violenza contro la Jugoslavia* (2).

Più ancora allorché richiamando i passati colloqui, ha espresso la sua convinzione personale che il Governo jugoslavo sarebbe sempre pronto a ripren

derli, e meglio all'infuori di qualsiasi intermediario e sollecitatore. La Jugoslavia, ha aggiunto, preferisce trattare i suoi affari da sé.

Per questa parte rilevo che se Puric afferma che di fronte alla utilità di un accordo il sentimento ed il risentimento di Re Alessandro passerebbero in seconda linea, la mia impressione personale su quelle che sono oggi le disposizioni Reali non è diversa da quella che ebbi l'onore di esprimere a S. E. il Capo del Governo il 1° settembre (1). Non oserei cioè oggi affermare la sua volontà precisa e fiduciosa di accordo, senza effettuare prima precisi assaggi ed approcci preventivi.

Più interessante per V. E. può essere quanto mi ha detto a proposito dell'Ungheria. Nel telegramma n. 146 V. E. avrà trovato la frase seguente di Puric: *Essere molto difficile trattare con gli ungheresi per la loro irriducibilità *.

Il colloquio su tale tema ha avuto un lungo sviluppo. Ho detto a Puric che io non avevo nessun incarico, che soltanto perchè l'occasione si presentava trattavo tale argomento, che era solo una curiosità personale che mi spingeva a farlo. Gli ho poi esposto che la politica italiana verso l'Ungheria aveva come fine principale mostrarle che essa poteva avere una via anche attraverso Roma, e non soltanto attraverso Berlino. Era necessario fare ogni sforzo per evitare che Budapest si gettasse nelle braccia germaniche. Vi era una condizione di fatto che non si poteva disconoscere nè sopprimere: due milioni e mezzo di ungheresi fuori confini. Come potevasi pretendere che gli ungheresi obliassero questa grave piaga, e cessassero dal reclamare i loro connazionali? Budapest si sarebbe sempre piegata da quella parte che le offrisse qualche speranza. Di ungheresi la Jugoslavia ne aveva mezzo milione circa 250 mila erano concentrati nel triangolo che sta fra Osiek-Sombor-Subotica. Che ne pensava? Quale soluzione egli vedeva?

Purich, facendo anche lui la premessa che quanto mi diceva era del tutto personale mi ha risposto: *«È difficile trattare con gli ungheresi. Non si accontentano mai*.

Dopo il discorso di Horty a Mohacs nel 1926, vi furono illusioni anche da noi. Ma sono illusioni che cadono presto. Ogni lavoro che si può fare con essi è in pura perdita. Ho parlato più volte accademicamente con ungheresi: le loro pretese minime arrivano fino a Novi Sad, il che è assurdo. In quella regione gli jugoslavi son oggi il 40 %. un trenta per cento è tedesco, di ungherese non vi è che il 30 per cento e rappresentano lo strat0 sociale più basso. In nessun luogo vi è un seguito compatto di popolazione ungherese salvo che nel piccolo triangolo che ha per vertice la città di Senta. Ma una rettifica di confini in tale punto taglierebbe per metà il territorio jugoslavo. È una situazione pressoché inattuabile. Del resto non contenterebbe gli ungheresi mai, mentre scontenterebbe per sempre noi. Anche in Rumenia la cosa è insolubile: gli ungheresi sono compatti ma staccati e separati dall'Ungheria da una larga fascia di rumeni. Solo in Cecoslovacchia vi è compattezza di popolazione e continuità territoriale con l'Ungheria. Se fossimo d'accordo Italia ed Jugoslavia il nostro accordo dal punto di vista economico sarebbe perfetto, più ancora se con l'Austria e la questione

austriaca come minaccia del germanesimo non esisterebbe più. Ma per l'Ungheria vi è poco da fare. Essa è irreducibile. Nè darle qualsiasi vantaggio economico per uno sbocco all'Adriatico (alludeva a Fiume-Sussak) calmerebbe per nulla le sue pretese».

(l) -C!r. nn. 854 e 855. (2) -Questo passo tra asterischi è stato segnato a margine da Mussollnl. I successivi sono stati sottollneatl.

(l) Cfr. n. 757.

870

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3369/130 R. Ginevra, 25 settembre 1934, ore 2,10 (per. ore 4,50).

Dopo colloquio con Berger (mio telegramma n. 127) (l) ho avuto due lunghe animate discussioni, una con Barthou e una con Eden e Barthou, le quali hanno messo a nudo quei motivi fondamentali delle politiche francese ed inglese che rendono difficile la conclusione di un patto realmente efficiente e non solo formale il quale effettivamente addossi ad altre Potenze parte delle responsabilità derivanti dall'assunzione di una garanzia indipendenza austriaca.

Barthou mi ha portato le conclusioni dei recenti consigli dei ministri francesi le quali segnano una notevole divergenza dalle precedenti esposizioni fattemi da Barthou stesso e rivelano una stretta connessione con l'attuale atteggiamento della politica francese verso Inghilterra.

Ho pertanto ritenuto opportuno ridiscutere la questione anche con Eden. Nel colloquio a tre che ne è seguito Barthou ha ribadito quanto aveva prima esposto a me solo.

Egli ha tenuto a mettere ben in chiaro che la Francia desidera intendersi con noi sulla questione austriaca su di una base che abbia una portata non minore della dichiarazione del 17 febbraio ma che considera come condizioni imprescindibili per qualunque accordo:

1o -che Inghilterra aderisca, o almeno sia consenziente, ragione per cui Francia appoggia tutti i desiderata inglesi e cioè partecipazione all'accordo di tutti gli Stati confinanti con l'Austria, eccetto Svizzera, e inquadramento nella Società delle Nazioni.

2° -Che accordo progettato non indebolisca vincoli Francia con Piccola Intesa. Eden a sua volta ha così riassunto obiettivi politica inglese: lo -Astensione dalla firma dell'accordo, salvo a procedere ad una qualche manifestazione di appoggio dopo beninteso che tutti gli altri abbiano firmato;

2° -Partecipazione di tutti gli Stati interessati alle trattative, sin dal loro inizio. Ho ribattuto energicamente punto per punto diehiarazioni di entrambi, ripresentando e sviluppando argomenti di cui a miei telegrammi 107 in data 19 corrente; 110 in data 19 corrente e 122 in data 22 corrente (2).

Discussione molto contrastata e spesso secca.

Alla fine è stata ventilata possibilità di una via di uscita che mi sembra unica adatta a raggiungere primo obiettivo essenziale, che pel momento è quella di mettere in moto le trattative. Essa consisterebbe nel prendere come unico possibile punto di partenza quello solo su cui non esistono fra noi divergenze, e cioè dichiarazioni 17 febbraio. Su tale base potrebbero incominciare trattative fra Italia, Francia e Austria alla ricerca di una formula.

Salvo contr'ordini di V. E. continuerò ad insistere per tale soluzione.

Riassumendo, è chiaro che per il Governo inglese l'affare austriaco non vale l'assunzione di un serio impegno e quello solo che vale è continuare a tenersi buona la Francia e insieme non disgustare la Germania (mio telegramma 107 del 19 corr.). *Ed è ugualmente chiaro che allo stato delle trattative la Francia vede l'intesa con l'Italia aleatoria e comunque sicurezza superficiale e tale da non consentirle né di intiepidire la grande amiciza inglese né di allentare un sol anello della catena che la unisce alla Piccola Intesa* (1). Dopo la defezione polacca poche cose la Francia teme quanto la possibilità che anche

la Jugoslavia si intenda con la Germania (mio telegramma 132 in data odierna) (2).

(l) -C!r. n. 864. (2) -Cfr. nn. 837, 839 e 859.
871

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 3374/132 R. Ginevra, 25 settembre 1934, ore 11,38 (per. ore 13,40).

Ministro degli affari esteri Austria mi ha detto di esser venuto in possesso di parte del processo verbale della seduta del consiglio dei ministri jugoslavo tenutosi il 30 luglio scorso, il cui contenuto egli ha già comunicato a suo tempo a Preziosi (3).

Da tale processo verbale si rileva che tutti i ministri jugoslavi hanno invitato il ministro degli affari esteri a svolgere un'azione a Parigi e a Praga per contrastare il predominio italiano in Austria considerato pericolo maggiore dell' Anschluss.

Ogni giorno la ripercussione dell'azione che va svolgendo la Jugoslavia è maggiormente avvertita sulle trattative che sto svolgendo.

872

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3397/479 R. Addis Abeba, 25 settembre 1934, ore 19 (per. ore 20 del 2 6). Telegramma di V. E. n. 239 (4).

Ministro degli affari esteri mi ha convocato per informarmi del telegramma ricevuto da codesto incaricato d'affari di Etiopia che ha segnalato sopratutto l'intensificato invio di armi in Eritrea.

A nome dell'Imperatore e del Governo egli mi ha pregato di comunicare all'E. V. che tutte le voci che attribuiscono all'Etiopia intenzioni aggressive sono assolutamente false.

L'Imperatore non ha altro desiderio che quello di continuare ad avere le migliori relazioni con tutte le Potenze confinarie e sopratutto con l'Italia.

Mi pregava quindi di raccomandare al R. Governo di non dare ascolto alle voci malignamente messe in giro, ha aggiunto che se della notizia concernente i nostri armamenti nelle colonie si fossero impossessati i giornali, questi avrebbero potuto gonfiarla con probabile [peggioramento] dei nostri rapporti.

Mi sono espresso col Blata Herui secondo i concetti del telegramma al quale mi riferisco, aggiungendo che avrei in ogni modo comunicato all'E. V. le sue dichiarazioni. II presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (1).

(l) -Il brano tra asterischi è stato sottolineato da Mussolini. (2) -Cfr. n. 871. (3) -Cfr. n. 858, allegato. (4) -Cfr. n. 830.
873

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, FRANSONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3379/393 R. Parigi, 25 settembre 1934, ore 19,05 (per. ore 20,30).

Direttore generale affari politici del Quai d'Orsay, in una conversazione di carattere generale essendosi venuto a parlare dei lavori di Ginevra, ha accennato alle conversazioni per la questione austriaca.

Mi ha detto considerarsi indispensabile che l'Inghilterra mantegna aperta posizione assunta con la nota comune del 17 febbraio scorso e consenta almeno agli altri accordi che in favore indipendenza Austria Stati interessati decidessero di prendere.

Quanto a Jugoslavia e Cecoslovacchia, che desiderano partecipare eventuale accordo sullo stesso piede dell'Italia e della Francia, signor Bargeton ha osservato che il Governo francese non potrebbe far cosa sgradita ai suoi alleati della Piccola Intesa.

Nella conversazione essendosi fatto cenno alla visita di Barthou a Roma, Bargeton ha detto di sperare che divergenza di opinioni tra l'Italia e Jugoslavia nel negoziato in corso a Ginevra possa essere superata, venendo diversamente a mancare uno degli scopi della visita a V. E.

(l) Cfr. n. 878.

874

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 1304/128 R. Roma, 25 settembre 1934, ore 22,30.

Trasmetto progetto comunicato di cui al telegramma in pari data (l):

«Il ministro d'Italia a Belgrado ha richiamato l'attenzione del Governo jugoslavo sugli articoli offensivi sull'esercito italiano pubblicato dal Vreme e da altri giornali jugoslavi.

Il ministro degli affari esteri gli ha dichiarato che il Governo jugoslavo non ha alcuna responsabilità né nell'articolo del Vreme -che risponde al San Marco -né negli altri articoli. Nessuno di essi è stato né approvato né autorizzato dal Governo jugoslavo, il quale deplora che si sia arrivati a tal punto di polemica violenta ed ingiustificata.

Il ministro degli esteri jugoslavo ha espresso a nome del proprio Governo la maggiore ammirazione per l'esercito italiano già alleato in guerra.

Il ministro d'Italia a Belgrado ha a sua volta dichiarato che l'attacco del San Marco non aveva avuto né l'autorizzazione né l'approvazione del Governo italiano e che il valore dell'esercito serbo è fuori questione».

875

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (2). Roma, 25 settembre 1934.

Ho detto al Barone Aloisi, su sua richiesta, di non cedere sulla questione dell'Austria per venire ad una soluzione di compromesso: a noi ci conviene piuttosto lasciare la questione aperta per l'eventualità di un accordo diretto -dopo finita Ginevra -fra noi e l'Austria.

Non possiamo aderire a portare la cosa nel quadro della Società delle Nazioni perché ciò escluderebbe a priori la partecipazione della Germania.

Mi sono riservato di dare conferma, dopo avere preso le opportune istruzioni.

Il Barone Aloisi mi chiede una risposta sulla questione della Cina.

Mi riservo di inviargli oggi un telegramma in proposito dopo avute le necessarie istruzioni. Mi pare che dopo avere sollevato la questione in pieno della riforma della Società delle Nazioni noi non possiamo oggi farci patrocinatori di una piccola riforma di compromesso per creare un posto permanente in più nel Consiglio.

Il Barone Aloisi ritiene che la Cina potrà sollevare la questione al momento in cui il Giappone uscirà definitivamente dalla S.d.N.

(l) -Cfr. n. 877, partito in realtà alle ore 0,45 del 26 settembre. (2) -L'appunto si riferisce ad un colloquio telefonico con Aloisi che era a Ginevra.
876

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 6170/1671. Belgrado, 25 settembre 1934 (per. il 27).

Telegramma di V. E. n. 120 del 20 corrente (l).

Più ancora che l'articolo ha irritato la trasmissione che fu affermato essere

stata fatta dalla Radio di Bari. La asserita trasmissione, ed in croato, consi

derata come una voluta diretta offesa al sentimento serbo, della quale i nostri

servizi volevano rendere consapevole tutta la Jugoslavia, fu spunto maggiore

per giustificare l'insolenza del Vreme.

Perciò mi era stata assai utile nella mia conversazione con Jeftic del

21 corrente la smentita che V. E. mi telegrafò il 20.

Se avessi ricevutQ prima questa smentita l'avrei fatta conoscere al Ministro d'Inghilterra al quale, prima del di lui ritorno a Bled, avevo detto ogni possibile argomento contro il Vreme e la stampa jugoslava, argomenti che poi egli mi assicura avere ripetuto al Re. Fra altro anche che io avevo contato 54 articoli a noi ostili nella stampa jugoslava e solo dal 1° settembre. (Il Re gli ha risposto come Jeftic: cioè che solo dal 1° corrente la stampa jugoslava era stata libera di rispondere alle provocazioni italiane).

Debbo ora attirare l'attenzione di V. E. sul fatto che il San Marco del 19 corrente porta un articolo di replica al Vreme. L'articolo comincia così: «Una Jugoslavoleria è stata radiodiffusa in varie lingue dalla stazione di Bari etc. etc. ».

Ora francamente ciò mi mette in imbarazzo, anche perchè avendo ieri a sir Neville dato assicurazione che tale trasmissione non era stata fatta, egli ha esclamato: «Ma se la Regina che ascolta ogni sera a Bled la vostra radio mi ha detto di avere sentito essa stessa tale articolo tradotto in croato»!! Al che ho replicato: «Avrà sentito qualche altra cosa, ma non questa»!!

877

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 1303/127 R. Roma, 26 settembre 1934, ore 0,45.

~

Suo telegramma n. 145 {2).

Di fronte rinnovati attacchi stampa jugoslava nostra reazione continua e si intensifica.

Saremmo disposti risolvere situazione attuale con comunicato in cui siano contenute dichiarazioni riportate ai punti 3 e 5 del telegramma di v. s. n. 143 del 21 corrente (3).

Da parte nostra disposti dichiarare che valore esercito serbo è fuori causa.

(-2) Cfr. n. 854.

Comunque comunicato deve essere redatto in modo che risulti enorme sproporzione fra atteggiamento stampa due paesi. Da parte nostra saremmo disposti pubblicare comunicato secondo progetto che le telegrafo a parte (1).

Accordo per comunicato potrà determinare détente che potrebbe a sua volta preparare esame possibilità radicale chiarimento rapporti.

(l) -Cfr. n. 835, nota l, p. 908. (3) -Cfr. n. 846.
878

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3398/480 R. Addis Abeba, 26 settembre 1934, ore 10 (per. ore 20).

(Il presente telegramma fa seguito al precedente) (2).

Ministro affari esteri non ha mancato replicare che Governo etiopico era convinto della volontà di pace del R. Governo e dell'E. V. anche nel quadro della politica generale seguita dalla E. V. nel mondo, in tal senso essendo state anche tutte le segnalazioni del Negadras Afework, fino quehlo di cui ora mi intratteneva.

Circa poi le voci alle quali Blata Herui aveva accennato, ho creduto tuttavia richiamare a titolo personale la sua attenzione sul fatto che mi era stato riferito che il degiaco Gabré Mariam ricevendo ufficiali belgi ultimamente giunti ad Harrar (mio telegramma n. 441) (3) li avrebbe invitati a sollecitare la preparazione di soldati data... (4) nell'Ogaden e facendo chiaramente allusioni all'Italia.

Su tale notizia mi riservo riferire dopo accurato controllo.

Ministro affari esteri ha evitato di rispondere su questo punto al quale, del resto, non ho che accennato non avendo né dettagli, né sicurezza della sua veridicità.

È mia impressione che codesto incaricato d'affari d'Etiopia non abbia esattamente riportato al suo Governo le dichiarazioni fattegli... (4) l'incarico a segnalare la notizia dei nostri armamenti.

Del viaggio di Sua Maestà nessun cenno è stato fatto nella conversazione.

Pur essendomi ispirato al telegramma di V. E. n. 239 nella mia replica di carattere personale, sarò grato a V. E. se vorrà fornirmi le sue istruzioni per le comunicazioni da fare da parte del R. Governo in risposta alle dichiarazioni del Governo etiopico, come anche qualunque altro elemento per mia norma di linguaggio.

Ho notato grande importanza che il Blata Herui annette alla cosa.

Anche recente articolo, come quello del Guillaume sul Journal des Débats e voci qui giunte specialmente in relazione al riavvicinamento itala-francese, hanno risvegliato grandemente le preoccupazioni sia dei circoli etiopici responsabili, sia di tutti gli ambienti di Addis Abeba.

(l) -Cfr. n. 874. (2) -Cfr. n. 872. (3) -T. 8770/441 P.R. del 6 settembre non pubblicato. (4) -Gruppo indeclfrato.
879

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 settembre 1934 [mattina].

Il Barone Aloisi mi telefona che questa mattina Massigli gli ha presentato l'unito progetto di dichiarazione (l) da farsi fra Italia, Francia e Inghilterra. Si chiede da parte francese la nostra adesione per fare assieme delle insistenze sulla Gran Bretagna. Ho fatto al Barone Aloisi le seguenti osservazioni:

l) la dichiarazione attuale è meno forte di quella del 17 febbraio, in quanto questa ultima parla della «comunanza di vedute p_er quel che riguarda la necessità di mantenere l'indipendenza e l'integrità dell'Austria ecc.», mentre la dichiarazione attuale si limita a una dichiarazione platonica che «ogni perturbazione ecc. che metta in pericolo l'indipendenza ecc. è contraria al mantenimento della pace in Europa;

2) la specificazione: «perturbazione venuta dal di fuori» può legarci le mani di fronte a un movimento, sia pure provocato dal di fuori ma che appaia come movimento interno;

3) anche ammettendo che la dichiarazione attuale equivalga presso a poco alla dichiarazione del 17 febbraio, è da chiedersi se, dopo gli avvenimenti così gravi successi in AustrLa nel frattempo, una riaffermazione pura e semplice di principi già dichiarati non costituisca un indebolimento della posizione già presa;

4) l'adesione eventuale della Cecoslovacchia e della Jugoslavia alla dichiarazione (secondo l'ultimo capoverso), potrebbe rendere la dichiarazione attuale meno aderente alla nostra politica di quello che non sia stato la dichiarazione del 17 febbraio;

5) è discutibile se la Germania, esclusa dalle negoziazioni fra le Grandi Potenze, vorrà aderire allo stesso titolo dei Paesi della Piccola Intesa -e ciò anche quando fosse animata dal desiderio di farlo.

Di fronte a queste considerazioni di carattere negativo, sta l'osservazione fattami dal Barone Aloisi, che, dopo le discussioni avvenute a Ginevra e seguite con interesse dalla opinione pubblica mondiale, un risultato puramente negativo (come sarebbe quello di partire senza fare nessuna dichiarazione) darebbe l'impressione di un dissenso fra le Grandi Potenze ed aumenterebbe le resistenze e l'opposizione contro il Regime attuale in Austria.

Si potrebbe d'altronde pensare ad un comunicato che mettesse in rilievo la comunanza di vedute e la solidarietà fra le Potenze nei riguardi del problema dell'Austria e indicasse che gli scambi di vedute continuano per giungere al più presto ad un accordo preciso. Ciò darebbe modo anche di richiedere l'adesione della Germania prima di metterla di fronte a un fatto compiuto.

Siccome il Barone Aloisi deve dare una risposta al più presto, chiedo a v. E. di volermi dare appena possibile le necessarie istruzioni.

(l} Cfr. n. 880.

880

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3394/139 R. Ginevra, 26 settembre 1934, ore 19,35 (per. ore 21,15).

Massigli è venuto a dirmi che delegazione francese, dopo avere attentamente riesaminata questione austriaca in base alle ultime considerazioni e dopo avere conferito lungamente con Eden aveva formulato seguenti dichiarazioni che essa aveva fiducia potessero essere accettate anche dall'Inghilterra.

«En considérant que la déclaration du 17 février 1934, signée au nom des Gouverncments de la France, du Royaume Uni et de l'Italie a affirmé la nécessité de maintenir conformément aux traités en vigueur l'indépendance et l'intégrité de l'Autriche, constatant que les circonstances actuelles rendent plus particulièrement souhaitable la réaffirmation solennelle de cette déclaration, les Gouvernements de France, Italie, Angleterre déclarent que toute perturbation venant du déhors et mettant en danger l'indépendance politique, l'intégrité territoriale et la souverainété de l'Autriche serait contraire au maintien de la paix en Europe. La présente déclaration sera communiquée, aux fins de leur adhésion, aux Gouvernements des Etats limitrophes de l'Autriche ».

A conferma di quanto riferito telefonicamente stamane a S. E. Suvich e sopratutto a conferma di quanto esposto nei miei telegrammi n. 107, 122 e 130 (l) circa estrema difficoltà trattative osservo:

lo -che la dichiarazione progettata, pur non potendosi evidentemente ritenere sufficiente, presenta la rilevante differenza formale di essere un vero e proprio atto internazionale recante le firme dei tre Governi di fronte a un semplice comunicato alla stampa, se pure concordato, quale la dichiarazione del 17 febbraio;

2° -che essa costituisce comunque un passo innanzi di fronte alla dichiarazione del 17 febbraio, specie nel penultimo capoverso;

3° -che questa formula lascia immutata la situazione di fronte ad una evPntuale ingerenza della Società delle Nazioni e d'altra parte lascia aperta possibilità eventuali accordi più impegnativi fra noi ed Austria. A questo riguardo posizione da assunta in queste trattative non lascia alcun dubbio al riguardo;

4° -che il rinunziare a questa dichiarazione, o anche solo il rinviarla, potrebbe venire interpretato come dovuta ad un'intervenuta divergenza di vedute tra le Potenze occidentali a tutto vantaggio della Germania, che ne profitterebbe immediatamente nei suoi attuali tentativi di negoziati con l'Austria.

Tutto ciò che ancora si può tentare è cercare di ottenere un testo firmato non solo dalle tre Potenze ma anche dall'Austria in modo che risulti il suo consenso a questo interessamento delle 3 Potenze occidentali alla sua integrità.

A tale scopo ho già pregato il ministero degli affari esteri d'Austria di fare pressioni presso delegazione inglese; pressioni che per parte mia appoggerò oggi stesso presso Eden.

(l) Cfr. nn. 837, 859 e 870.

881

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3395/164 R. Budapest, 26 settembre 1934, ore 20,06 {per. ore 20,30). Telegramma di V. E. n. 135 (1).

Ho fatto al presidente del Consiglio Gombos comunicazione circa visita a Roma.

Nell'accoglierla con visibile soddisfazione, mi ha detto che, essendo suo viaggio a Varsavia rinviato al 14 ottobre, sarà a disposizione di S. E. il Capo del Governo dal 21 ottobre in poi.

Ho pregato ill presidente del Consiglio non dare pubblicità notizia suo viaggio a Roma fino a che non mi pervenissero al riguardo istruzioni di V. E.

882

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

T. PER CORRIERE RR. 3429/0228 R. Berlino, 26 settembre 1934 (per. il 29).

Ho procurato durante le ultime due settimane di appurare, in via del tutto riservata e talvolta indiretta, quale sia il pensiero di Hitler di fronte alla situazione politica creatasi negli ultimi mesi.

Le informazioni da me raccolte permettono di dedurre che Hitler si rende conto dell'ostilità esistente contro la Germania, la attribuisce però precipuamente al malvolere dei suoi nemici, ritiene ch'essa potrà essere vinta e considera che la situazione politica del Reich migliorerà, sino a diventare ottima, in un tempo non eccessivamente lungo ed un seguito a varie contingenze favorevoli.

Sembra infatti che il cancelliere del Reich ritenga, in base ad informazioni pervenutegli dai suoi fiduciari, che la situazione interna della Francia si aggraverà nei prossimi tre o quattro mesi, *in modo tale da esporre la vicina Repubblica a sovvertimenti gravi; che la situazione economica dell'Italia, da lui considerata assai critica, le imporrà una politica di raccoglimento * (3); che l'opinione pubblica inglese si va pian piano distogliendo dall'avversione verso il nazionalsocialismo ed accostando a Berlino perchè essa vuole la pace ad ogni costo e si rende conto che i perturbatori di questa sono i nemici della Germania. Quanto all'U.R.S.S. Hitler, pur tenendo presenti le sue dichiarazioni di non desiderare una guerra col Giappone, riterrebbe un simile avvenimento come probabile, anzi

( 3) Questo e i successivi passi fra asterischi sono stati sottol!neati da Mussol!ni.

65-Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

certo, ragione per la quale considera necessaria un'intesa sempre più stretta verso la Polonia per poter eventualmente raccogliere insieme i risultati di una comune azione verso est, da svolgersi il giorno in cui l'U.R.S.S fosse coinvolta in gravi complicazioni al fronte estremo orientale ed all'interno.

Considerando che la Germania, sotto il suo Governo, saprà vincere, grazie alla sua tecnica progredita, le difficoltà causatele da1la mancanza di materie prime sostituendo queste ultime che non potranno più essere importate dall'estero con surrogati esistenti all'interno, Hitler sarebbe persuaso che il Reich si avvia verso un periodo di prosperità. La vittoria economica da lui ritenuta certa dovrebbe avere, sempre secondo il cancelliere del Reich, l'effetto di aprire gli occhi agli avversari della Germania e la conseguenza di spingerli a ricercare la sua amicizia.

Hitler nutrirebbe le maggiori speranze di poter, dopo la votazione per la Sarre, intavolare trattative con la Francia per addivenire con essa ad un'intesa di natura politico-economica. Come già accennai egli ritiene pure che fra pochi mesi si avverent un mutamento sostanziale in favore della Germania da parte dell'opinione pubblica inglese, e, scontando tale evenienza, considera col massimo favore una politica di accordi con l'Inghilterra, tanto più facile a * raggiungersi in quanto che fra i due paesi non esistono presentemente ragioni di rivalità *.

In tale stato di cose l'amicizia dell'Italia potrebbe non più avere per la Germania lo stesso valore che in passato. Hitler penserebbe peraltro che l'Italia, trascorso che sia periodo di risentimento causato dagli avvenimenti del 25 luglio, cercherà di ristabilire buone relazioni con la Germania sia per ragioni economiche che per ragioni politiche, onde non esporsi a rimanere isolata.

In altri termini Hitler sarebbe convinto che in brevissimo tempo la Germania diventerà il centro de l'attività politica del mondo e che tutte le altre Potenze andranno a gara per cattivarsi la sua amicizia.

Tali idee non debbono causare eccessivo stupore perché rispondono alla mentalità del cancelliere del Reich che non conosce altri paesi all'infuori della Germania e che, nella sua esaltazione nazionalista, assumente talvolte aspetti mistici, ritiene in buona fede che tutto il resto del mondo guardi a questo paese con ammirazione anche se apparentemente gli muove critiche.

La verità, per chi voglia considerare le cose in modo obbiettivo e sulla base dei fatti, è alquanto diversa.

Cominciando dall'URSS, l'iniziativa franco-sovietica di un patto orientale e l'adesione sovietica alla Società delle Nazioni sono entrambi fatti che non furono certo ispirati da sentimenti di amicizia per la Germania. Tralascio di parlare del patto orientale circa il quale è stato scritto tanto in questi ultimi mesi. Quanto all'entrata dell'URSS nella Società delle Nazioni, la Germania non vi prestò fede per molto tempo, * fino a quando cioè fu annunciata la sua decisione di aderire al consesso ginevrino. Ricordo che pochi mesi or sono il segretario di Stato voa Btilow, ad una mia osservazione circa la sempre maggiore ostilità che si andava sventuratamente creando fra la Germania e l'URSS, rispondeva che non si doveva esagerare la portata di certi sintomi e che si doveva piuttosto pensare che i rapporti fra i due eserciti permanevano molto cordiali e sopratutto che Berlino e Mosca avevano una piattaforma politica comune, quella di essere entrambe Potenze che non facevano parte della Società delle Nazioni *. Oggidì questo ultimo interesse comune è scomparso ed, ancorché nulla di positivo mi risulti per il momento al riguardo, suppongo che la cordialità dei rapporti fra la Reichswehr e l'esercito Rosso dipenderà dalla maggiore o minore intimità di rapporti che si andrà creando fra quest'ultimo e l'esercito francese.

La politica degli Stati baltici si svolge con carattere nettamente antigermanico. L'intesa realizzata fra Lettonia, Lituania ed Estonia, intesa alla quale la Germania, pur non volendolo ammettere, fu sempre contraria, ha per base una solidarietà politica con riserva esplicita per la sola questione di Vilno. Ne deriva che la questione di Memel viene considerata d'interesse comune; e ciò può avere conseguenze molto serie per il Reich. Inoltre la Lettonia, che fino ad un anno fa, fu molto cauta nella sua politica di snazionalizzazione dei tedeschi per non urtare le suscettibilità della Germania, si è posta, se le mie informazioni confidenziali sono come non dubito esatte, sopra una via che segue le orme di quella decisamente ostile seguita dalla Lituania. Sinora il Governo del Reich non credette muovere alcuna osservazione alla Lettonia in proposito, cosicché questo Stato, giudicando la passività di Berlino come una prova di debolezza, si proporrebbe di condurre con maggiore energia la politica iniziata.

Colla Danimarca la situazione è migliorata grazie ad una certa energia dimostrata da quel Governo nel non tollerare manifestazioni nazionalsocialiste sul suo territorio, energia aumentatasi per la profonda impressione prodotta dagli avvenimenti di Vienna del 25 luglio scorso.

*L'opinione pubblica olandese è decisamente e francamente ostile alla Germania hitleriana*. Da mie informazioni riservate risulta che i banchieri di Amsterdam, i quali nel giugno scorso sarebbero ancora stati disposti a fare anticipazioni a commercianti tedeschi, decisero di mutare atteggiamento dopo i fatti del 30 giugno. L'uccisione del cancelliere Dollfùss produsse poi in Olanda una sensazioni così penosa che cì vorrà molto tempo per dissipare quel senso dì sfiducia che trasparì persino nel recente discorso del trono della Regina Guglielmina. Devo aggiungere che il ministro di Olanda a Berlino, conte Limburg Stirum, diplomatico che gode di molto prestigio nel corpo diplomatico e che è pure molto ascoltato in Olanda, avendo prima di venire qui ricoperto l'importante posto di governatore generale delle Indie, rifiutò costantemente *di avere rapportt con i nazionalsocialisti, limitando le sue relazioni con l'Auswartiges Amt *.

L'opinione pubblica britannica diede giudizi ripetuti ed assai severi sulla Germania e l'atteggiamento tenuto dal Governo inglese in seguito ai fatti di Vienna fu conforme a quello della stampa. Unici elementi che, per forza di cose, debbono mostrarsi meno ostilì, anzi quasi favorevoli, sono quegli industriali che nel mercato tedescu crovano un buono sbocco per i propri manufatti. Anch'essi sono peraltro stati scottati dai mancati pagamenti di merci fornite ai loro clienti tedeschi e sono stati male impressionati dal diverso trattamento fatto a venditori svizzeri e svedesi. L'ambasciatore d'Inghilterra si mostrò meco tanto più irritato al riguardo inquantoché aveva appreso dal nostro collega d'America che il Governo del Reich aveva recentemente pagato in oro agli Stati Uniti un'ordinazione di motori per aeroplani per il valore di un milione di dollari. Egli osservava che i denari per gli armamenti ci sono dunque in Germania e che quelli che non si trovano mai sono i denari necessari a pagare i fornitori di merci non destinate a preparativi di guerra.

Per quanto riguarda la Francia la situazione non è certo migliorata negli ultimi tempi. La reazione immediata di Parigi agli accordi tedesco-polacchi, l'energia con la quale Barthou intraprese l'intesa con l'URSS, in modo da conservare la morsa in cui serrare la Germania, sia pure allarmandola, la politica di patti plurimi da lui patrocinata ed infine e sopratutto la possibilità di un'intesa con l'Italia costituiscono altrettante prove della ferma intenzione del Governo francese di perseverare nella politica mirante a creare quella « sicurezza » che dichiarò sempre dover precedere qualsiasi concessione in materia di riarmamento del Reich. Immutato, anzi confermato dal discorso di Bayonne del signor Barthou, rimase pure l'altro punto fondamentale della politica francese che la Germanta non può sperare di ottenere alcuna concessione in materia di armamenti sino a che essa non consenta a rientrare nella società delle Nazioni nelle stesse condizioni in cui ne sortì al mese di ottobre scorso. Di fronte a questi atteggiamenti categorici vi è però quello passivo assunto dalla Francia verso una Germania che, ponendo in non cale le ripetute dichiarazioni relative ad un riarmamento che non le può venire concesso, accresce la Reichswehr, la trasforma da esercito di mestiere in esercito di coscrizione, la fornisce del materiale bellico più moderno e che contemporaneamente si crea con ritmo assai celere una flotta militare aerea nonostante il divieto stabilito dal Trattato di Versailles, * istruendo in apposite scuole le molte migliaia ài aviatori di cui avrà bisogno *. Questa situazione è quanto mai strana e costituisce una contraddizione che non si riesce a spiegare. Il Governo del Reich, come ebbi già occasione di riferire ripetutamente a V. E., dopo un periodo in cui temette che la Francia potesse indursi a porre un ultimatum ed a fare una guerra preventiva, ritiene ora di poter invece escludere una simile eventualità e procede quindi nei suoi armamenti facendo il ragionamento che se anche dovesse un giorno esserle mossa una guerra nella quale essa assumerebbe la difensiva ad oltranza, quanto maggiori fossero le forze e le armi di cui dispone se tanto maggiore sarà la sua resistenza. Donde tutto l'interesse di armarsi.

Che Hitler pensi sempre ancora ad un accordo bilaterale con la Francia è cosa indubbia ed a mio giudizio se la questione della Sarre potesse essere risolta senza lasciare strascichi profondi, egli tenterebbe subito di conversare con Parigi. L'esperimento già fatto con la Polonia ha dimostrato che quando Hitler si mette in mente di concludere un'intesa con un altro Stato non se ne lascia distogliere da considerazioni circa il caro prezzo chiesto dall'altra parte contraente. Così, nel caso della Polonia, Hitler non esitò, per vantaggi ipotetici futuri, a mettere fuori di discussione per 10 anni la rivendicazione del corridoio, il che probabilmente significa dar il tempo alla Polonia di snazionalizzare in gran parte i tedeschi di quella regione o perlomeno di *polonizzarla molto attivamente con numerosi coloni polacchi. Mi si potrà obbiettare che tra la Francia e la Germania il dissidio è profondamente impresso negli animi dei popoli e questa è una verità che nessuno può revocare in dubbio*.

Anche il disprezzo dei tedeschi per i polacchi non era cosa di poco momento e se esso perdura tuttora, specialmente nelle classi della nobiltà terriera, si deve però riconoscere che la grande maggioranza del popolo tedesco, visto che Hitler ha creduto di fare pace con la Polonia, ha accettato il fatto compiuto con soddisfazione e senza discutere. Pertanto non credo si debba né si possa escludere in modo assoluto l'ipotesi di un tentativo di accordo con la Francia e penso invece che gli sforzi di Hitler saranno tanto maggiori se il raggiungimento dell'intesa italo-francese di cui molto si parla in questo momento dovesse procrastinarsi o fallire.

La mossa del signor Beck a Ginevra, nei riguardi della protezione delle minoranze, ha posto la Germania in una situazione curiosa e imbarazzante. Da un lato, sia per l'amicizia che ostenta presentemente per la Polonia, sia perché la dichiarazione polacca costituiva un colpo di piccone fortissimo alla odiata costruzione societaria di Ginevra, la Germania doveva applaudire; dall'altro invece il pensiero dei molti soprusi ai quali il Governo polacco sottopone la minoranza tedesca le avrebbe dovuto imporre di unire la sua voce alle proteste degli altri. Né il trattamento fatto al principe di Pless, né quello a cui sono sottoposti i molti piccoli proprietari esercenti ed intellettuali tedeschi dell'Alta Slesia poté indurre il Governo del Reich ad assumere un atteggiamento che potesse riuscire poco gradito a Varsavia. *Prevalse il concetto di mostrare di credere alle buone lntenzioni della Polonia nei riguardi delle minoranze tedesche *.

Questa linea di condotta è in fondo una conferma delle speranze che la Germania ripone nello scoppio di un conflitto sovietico-giapponese. Ignoro quanto vi sia di vero nelle voci pubblicate dalla stampa estera secondo le quali sarebbero intervenuti fra il Governo del Reich e quello polacco accordi precisi in vista del· conflitto suddetto. Non vedo però per quale ragione simili intese, se non sono già avvenute, non possono essere concluse in qualsiasi momento giacché è certo che, nonostante tutte le smentite ufficiali, i circoli governativi tedeschi guardano verso il nord-est d'Europa come alla regione in cui potrebbero maturare i prossimi gloriosi destini della Germania, sia pure divisi con quelli della Polonia.

L'amicizia tedesco-polacca potrebbe poi avere, se già non l'ebbe, una immediata manifestazione ai danni nostri in quanto che la Polonia potrebbe essere facilmente indotta da Berlino ad esercitare una pressione sopra il Governo di Budapest, che è tradizionalmente se pure non intimamente legato da amicizia con quello di Varsavia, perché esso si inducesse a stringere maggiormente i propri legami con il Reich. Il recente grido d'allarme del conte Bethlen a proposito del pericolo cui sarebbe esposto il revisionismo da un'intesa italo-francese ha infatti fatto sorgere in Germania le maggiori speranze di poter staccare l'Ungheria dall'Italia. Qui non sì è forse capito che nelle parole del conte Bethlen si doveva vedere anche una manovra per abbattere Goemboes e per riprendere quel potere che, ceduto temporaneamente ad un luogotenente prescelto, era stato da quest'ultimo preso fermamente in mano e tenuto per molto maggior tempo di quanto il conte Bethlen avesse potuto prevedere e senza alcuna intenzione di restituirlo al primo cenno.

Fra l'Ungheria e la Germania i legami sono peraltro sempre stati fortl.

Ricordi di guerra, simpatia di uomini politici per la Germania * (Goemboes è nel fondo dell'anima sua nazionalsocialista e de Kanya è sempre stato ammiratore convinto dei tedeschi e nemico dell'Halia) *, l'eventuale promessa della retrocessione del Burgenland in caso di Anschluss dell'Austria, ed il pensiero stesso che il giorno in cui il Reich confinasse con il territorio magiaro sarebbe vantaggioso essere in ottimi termini con esso, sono tutti argomenti che militano in favore di intimi rapporti tedesco-ungheresi.

Gli sforzi fatti dalla Germania nazionalsocialista e specialmente dal signor Rosenberg per attirarsi le simpatie della Jugoslavia sono stati coronati da successo. Quanto più i rapporti italo-tedeschi sono andati perdendo la loro intimità, tanto più si è accresciuta l'amicizia fra il Reich e la Jugoslavia. Le assicurazioni date o anche solo prospettate d'ingrandimento della Jugoslavia con l'acquisto di territori austriaci della Carinzia dovettero essere la contropartita del consenso jugoslavo, forse anche solo tacito, all'Anschluss. Ciò può spiegare l'atteggiamento tenuto dalla Jugoslavia dopo i fatti di Vienna del 25 luglio e la levata di scudi contro i provvedimenti militari italiani intesi unicamente a salvaguardare l'indipendenza dell'Austria.

Gli jugoslavi potevano non avere alcun interesse a guardare verso la Germania sino a che essa era poco armata. Ma noi dobbiamo tenere presente che la Germania è già ritornata ad essere attualmente un fattore militare importante e * che fra tre anni al massimo sarà nuovamente una potenza militare di prim'ordine. In tale stato di cose la Jugoslavia potrebbe benissimo procedere ad una riconsiderazione della propria politica e chiedersi se non corrispondesse meglio ai propri interessi di legare la propria sorte a quella del Reich anziché continuare a rimanere satellite della Francia*.

Se si pensa ai legami sentimentali che la guerra combattuta insieme ha

creato tl"a la Germania, la Bulgaria e la Turchia appare evidente la possibi

lità che si possa ricostituire una continuità di interessi che dal centro d'Europa

discenda verso i Balcani e raggiunga l'Asia.

Un tale stato di cose lederebbe gli interessi vitali nostri non meno di quelli

della Francia e non potrebbe essere tollerato. Appunto perciò la Francia do

vrebbe scorgere tutto il suo interesse a rivedere radicalmente la propria poli

tica nell'Europa centrale e nei Balcani e ad accordarsi con noi per arginare

il «Drang nach Slid-Osten », aspirazione e sogno della Germania imperiale

che è stato integralmente compreso nel programma nazionalsocialista, impe

dendo con i mezzi di cui dovrebbe poter tuttora disporre che la Jugoslavia con

tinui la sua politica anti-italiana che, nel caso specifico del problema austria

co, è in definitiva politica filo-germanica.

Dalla esposizione della situazione politica quale la vedo da questo osser

vatorio risulta, se non mi inganno, che nell'ottimismo di Hitler vi è senza dub

bio molta esagerazione.

Esiste però il dato di fatto innegabile che la Germania *è militarmente

di nuovo potente * ed in grado di esercitare quindi una forte attrazione o

pressione da un lato sopra gli Stati che vogliono la revisione dei trattati di

pace, dall'altro su quelli che, tuttavia alleati della Francia, considerano, per

vari motivi, la situazione odierna con occhi ben diversi da ieri. La Polonia ha già mutato la sua politica; la Jugoslavia da molteplici ed indubbi segni, sta meditando qualcosa di simile. Per l'Ungheria costituirebbe una tentazione molto grande l'adesione ad una politica che potrebbe avere come * conseguenza la spartizione della Cecoslovacchia, con l'annessione dei tedeschi dei Sudeti alla Germania, dei cèchi alla Polonia e degli Slovacchi ad essa stessa. Posta in moto che fosse la valanga dell'influenza germanica nei Balcani, essa non potrebbe essere fermata facilmente*.

Sino ad ora furono I'« Anschluss » o anche solo la « Gleichschaltung » dell'Austria alla Germania nazionalsocialista i problemi che preoccuparono tutti. Non sarebbe però ancora maggiore il pericolo qualora la Germania ostentasse di disinteressarsi in avvenire dell'Austria, dichiarando di considerare questo problema per ora insolubile, e si desse invece d'attorno per attrarre nella propria orbita gli Stati che si trovano al sud dell'Austria? In caso di successo della sua politica, costituendosi un blocco tedesco-polacco-sudslavo-magiaro-turco in quale situazione verrebbe a trovarsi la piccola Austria circondata da tre parti da Stati che si sarebbero messi d'accordo sulla sua sorte?

E cosa significherebbe per la Francia una Germania fulcro di un blocco di Stati nell'Europa di mezzo?

Di fronte a così gravi incognite, alla possibilità di complicazioni in vari punti dello scacchiere politico del mondo il «fattore Italia» conta e pesa oggi assai più che per il passato perché il nostro paese, rinnovato dal Fascismo, ha la coscienza della propria forza ed ha dimostrato ancora recentemente di sapere esattamente quello che vuole. Esso dovrebbe quindi non essere sottovalutato da alcuno.

(l) -con t. 1302/135 R. del 25 settembre Suvich aveva inviato le seguenti istruzioni: «PregoLa comunicare al generale Gombos a nome S. E. Capo del Governo che una Sua visita a Roma nella seconda metà di ottobre in giorno da fissare sarà gradita». (2) -Annotazione a margine di Mussol!ni: «Importante».
883

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 26 settembre 1934.

In relazione alle istruzioni impartite da S. E. il Capo del Governo, nel senso che anche la nostra II richiesta alternativa di compensi coloniali (principale compenso nell'Africa Orientale, e rettifica di confine al Sud della Libia) comprenda il territorio e l'oasi di Giado, la Direzione Generale Affari Politici III ha l'onore di far presente all'E. V. che la soluzione da V. E. proposta all'Ambasciatore di Francia nel colloquio del 24 corrente potrebbe essere così modificata:

1°) cessione della costa francese dei somali meno la città di Gibuti ed eventuale limitato hinterland;

2°) rettifica del confine meridionale libico, ad est del 16° meridiano seguendo la linea attuale di occupazione francese, pur lasciando all'Italia talune località da determinarsi atte a permettere la vita ai presidi italiani di sorveglianza della frontiera;

ad ovest del 16° meridiano, modificando l'accordo Bonin-Pichon del 12 settembre 1919 in modo da comprendere nel territorio libico il territorio e l'oasi di Giado.

Si tratterebbe in sostanza di modificare la nostra precedente richiesta, diminuendo il territorio domandato ad est del 16° meridiano, e chiedendo in più, ad ovest, Giado.

In relazione alla nostra richiesta della cessione della costa francese dei somali meno Gibuti, l'Ambasciatore di Francia ha suggerito di limitare la nostra domanda e darle un'altra forma: «per esempio una rettifica della frontiera dell'Eritrea fino alla costa dei somali oppure la cessione di qualche punto sulla costa stessa o di una zona per costruire un braccio ferroviario che vada ad allacciarsi alla ferrovia Gibuti-Addis Abeba».

Al riguardo la Direzione Generale Affari Politici III ha l'onore di farpresente all'E. V. che la cessione della costa francese dei somali come compenso coloniale avrebbe adeguata importanza per noi, se ed in quanto tale cessione implichi il controllo e la disponibilità da parte nostra di un tratto di territorio che determini la discontinuità fra Gibuti e l'Abissinia, e quindi faccia passare su territorio divenuto italiano il relativo percorso della ferrovia GibutiAddis Abeba.

Solo cosi noi potremmo, in caso di conflitto, evitare i rifornimenti bellici all'Etiopia per la via più breve che è quella ferroviaria, ed in tempo di pace far passare parte dei nostri traffici con l'Etiopia attraverso l'esistente linea ferroviaria e attraverso il tronco che da questa si diramerebbe verso un punto del Golfo di Cagiura di nostra sovranità.

È evidente che tale cessione, implicante l'interruzione della Continuità territoriale fra l'Etiopia e l'hinterland di Gibuti, dovrebbe essere completata con particolari accordi relativi alla compartecipazione italiana nella Società della Ferrovia di Gibuti (che è una Società privata) ed al traffico da svolgersi sui due tratti ferroviari concorrenti, l'uno sboccante a Gibuti, l'altro nel Golfo di Cagiura.

La cessione della ferrovia e la discontinuità fra Gibuti e l'Abissinia sono garanzia che un eventuale disinteressamento della Francia dall'Abissinia acquisti contenuto reale.

Queste indicazioni, con tutte quelle dei precedenti appunti, hanno, com'è nella loro indole, carattere sommario.

È evidente che non solo per la definizione di un accordo, ma anche per la esatta determinazione di un accordo di massima i termini precisi dovrebbero essere accuratamente considerati e stabiliti.

884

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 26 settembre 1934.

Il signor Chambrun mi dice di avere l'impressione che la polemica con la Jugoslavia sia un po' calmata.

Gli affermo che in tale riguardo non c'è nulla di nuovo.

Si riprende poi la conversazione sulle possibili concessioni della Francia per arrivare ad un accordo prima della visita di Barthou.

L'Ambasciatore mi chiede se avendo riflettuto su quanto mi ha detto l'ultima volta (1), potevo presentargli le nostre richieste in modo da rendergli possibile di appoggiarle a Parigi.

Gli rispondo che ho riesaminato la situazione del Sud libico e che potrei presentargli la domanda nella forma seguente: mantenimento come base dell'occupazione attuale con qualche rettifica a nostro favore a Oriente del 16° meridiano per ragioni di sicurezza della colonia e in più Giada.

L'Ambasciatore mi osserva che la proposta odierna, anziché migliorare la situazione, rende più difficile l'accordo con la Francia per la <J.Uestione di Giada. Egli aveva capito che noi impostavamo la questione sulla base seguente: rinuncia da parte italiana alla spinta verso il Ciad per ottenere invece dei compensi nella zona dell'Abissinia. Ora Giada, che dista dalla nostra frontiera parecchie centinaia di chilometri, importerebbe la cessione all'Italia di un territorio di

40.000 chilometri quadrati. Per l'Italia non può avere nessun interesse Giada, che è un posto isolato che, anziché facilitare l'organizzazione della sicurezza, importerebbe nuovi e inutili oneri. Per la Francia invece Giada è di molta importanza perché attraverso questa oasi passa la linea che congiunge la Tunisia con le regioni dell'Africa centrale. Il fatto di chiedere Giada quindi darebbe a Parigi l'impressione che da parte italiana non si voglia arrivare ad una conclusione.

Il signor Doumergue, che è stato Ministro delle Colonie e conosce bene la situazione di questa parte dell'Africa, aveva raccomandato vivamente a Barthou di evitare che si parlasse di Giada appunto per le ragioni sopraindicate.

D'altra parte, anche ricordando la conversazione col signor Beaumarchais, la richiesta di Giada si presenta male perché bisogna ricordare che allora la Francia offriva Giada (del resto con molte restrizioni) çome compenso per una limitazione dei diritti italiani in Tunisia e senza alcun'altra cessione territoriale all'Italia. Ora bisogna rendersi conto che sarebbe difficile a pochi anni di distanza giustificare di fronte all'opinione pubblica francese, oltre Giada, le altre richieste italiane.

L'ambasciatore, che vuole conchiudere l'accordo e vuole mettere tutta la sua buona volontà nell'appoggiare le nostre domande, non potrebbe veramente farsi patrocinatore della cessione di Giada. Egli mi prega insistentemente di riesaminare la posizione, non sapendosi render conto perché noi dovremmo insistere per avere la cessione di un territorio perfettamente inutile anziché cercare di ottenere dei vantaggi dalla parte dell'Africa orientale ove egli vede i nostri interessi. Il signor Chambrun, senza dirlo espressamente, fa capire che sarebbe disposto ad appoggiare le nostre domande per la cessione di una parte della Somalia francese perché si lasciasse un hinterland conveniente a Gibuti, nonché una collaborazione francese per la penetrazione italiana in Etiopia o altri provvedimenti che possono ad esempio riguardare la ferrovia Addis AbebaGibuti, atti sempre a favorire l'espansione italiana in Abissinia.

Rimaniamo d'accordo che in giornata di oggi avrei fatto avere all'ambasciatore un appunto preciso sulle nostre richieste.

(1) Cfr. n. 868.

885

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1044/967. Ginevra, 26 settembre 1934 (per. il 29).

Questa Delegazione francese mi ha chiesto se ero in grado di dare una qualche risposta alle suggestioni fatte il 5 settembre a S. E. Suvich dall'Ambasciatore di Francia in Roma (1).

Ad illustrazione della questione la Delegazione francese mi ha rimesso il promemoria che qui unito invio in copia.

LA DELEGAZIONE FRANCESE A GINEVRA AD ALOISI

PROMEMORIA. Ginevra, 24 settembre 1934.

Le 5 septembre dernier, M. de Chambrun a entretenu M. Suvich de certaines suggestions du Gouvernement français rela~ives aux moyens propres à « intensifier et à élargir » selon les termes du communiqué publié à l'issue des entreUens de Florence, le rayon d'action des accords de Rome. Le Gouvernement français verrait à la base de cet effort nouveau en faveur de l'Autriche, un développement de la collaboration des pays les plus directement intéressés au sauvetage de ce pays, c'est-à-dire des Etats de la Petite Entente en premier lieu, et plus particulièrement de la Tchécoslovaquie.

Afin de permettre entre les représentants de ces pays les contacts directs, nécessaires à l'établissement d'une telle collaboration, des réunions pourraient etre organisées à Vienne meme entre un représentant autrichien et les représentants diplomatiques de la France, de l'Italie, de la Tchécoslovaquie et si possible de la Roumanie et de la Yougoslavie, assistés éventuellement Ies uns et les autres de conseillers techniques ainsi que du conseiller étranger de la Banque Nationale.

Il conviendrait d'éviter toute publicité aux travaux ainsi entrepris, afin surtout de leur laisser leur caractère purement pratique. Leur objet principal serait de dresser le bilan spécifiquement économique de la République Fédérale et de rechercher les moyens de l'améliorer en se limitant en propre aux questions d'ordre douanier, de contingentement, etc., les questions d'assistance financière demeurant réservées à l'examen direct des Gouvernements en raison de leurs répercussions politiques. Les études ainsi poursuivies aboutiraient à des recommandations pour la coordination de l'aotion à entreprendre par chacun des Etat-s intéressés, qu1 pourraient etre soumises à d'autres pays européens. Il conviendrait alors d'apprécier l'opportunité d'envisager la participation de ces autres pays, ou si l'on devrait se borner à poursuivre par la seule voie diplomatique l'action ainsi entamée. En tout cas de cause, il sera.i.t utile de prévoir une série de réunions ultèrieures pour connaìtre, en particulier, de la suite réservée pour chaque pays aux recornmandations précitées.

En réponse à une question de M. Suvich, M. de Chambrun a ultérieurement spécifié que la Hongrie devrait également etre invitée à participer aux conversations proposèes, s'il est assuré, cornme le croit le Gouvernement italien, que le Gouvernement de Budapest ait définitivement renoncé à toute interférence des questions politiques et économiques.

(1) Cfr. n. 769.

886

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. U. 9517/1149. Budapest, 26 settembre 1934 (per. il 1° ottobre).

Mio telegramma 158 del 20 c.m. (1).

l. Nel corso del colloquio odierno il Presidente Goemboes mi ha detto che il «suo amico» von Papen gli aveva all'ultimo momento fatto sapere che rinviava al 28 c.m. la sua partita di caccia a Kiràlyszallas.

Giorni fa qualche giornale ungherese aveva riportato dal Telegraph di Vienna che Papen si sarebbe annunziato anche all'« amico» Mecsér, reduce entusiasta dell'adunata di Norimberga (mio telespresso n. 9101/1110 dell8 u.s.) (2).

Questo Ministro d'Austria, da qualche tempo più del solito sospettoso di connivenze ungaro-tedesche, mi diceva stasera di aver chiesto al nuovo direttore degli Affari Politici, Barone Bessenyei, quanto ci fosse di vero nella notizia del Telegraph e ne aveva ricevuto la più categorica smentita. Il barone Hennet aggiungeva di ritenere che von Papen era stato pregato di non venire in Ungheria a seguito della cattiva impressione prodotta in Austria dalla prima notizia di tale visita.

La verità è forse che neanche il Ministero degli Affari Esteri sa di questi <<incontri fra amici», ai quali -per comprensibili ragioni -non ho creduto di attribuire importanza sia parlando con Goemboes che col Ministro d'Austria.

2. Il Presidente mi ha pure detto in succinto che il Principe Starhemberg,. suo ospite di caccia per due giorni, giudicava la situazione interna austriaca ancora incerta.

Per il resto il vice-Cancelliere gli avrebbe confermato quanto aveva formato oggetto dell'incontro col Cancelliere Schuschnigg nell'agosto scorso (mio telegramma per corriere n. 051) (3), comprese le assicurazioni sull'atteggiamento del Governo austriaco nella questione legittimista.

Goemboes non mi ha detto però se le conversazioni con Starhemberg erano valse a disperdere i suoi nuovi sospetti sulle «impazienze) dell'Austria di intendersi con la Cecoslovacchia ed il suo malumore per l'atteggiamento tenuto dalla stampa ufficiosa austriaca nelle polemiche suscitate dall'articolo Bethlen. Né io -per ovvie ragioni -l'ho incoraggiato a riferirmi i particolari delle conversazioni, che, se sono state veramente amichevoli, devono essere state anche assai animate.

(1) -T. 3328/158 R., non pubbllcato, con 11 quale Colonna aveva riferito avergll detto Oombos che avrebbe avuto come ospite nella sua residenza d! caccia ne! giorni seguenti Starhemberg e von Papen. (2) -Non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 699.
887

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 27 settembre 1934 [mattina].

Il Barone Aloisi telefona che l"Inghilterra non intende aderire al progetto francese di cui si era parlato ieri ritenendo che non sia il caso di confermare la dichiarazione già fatta il 17 febbraio.

Barthou ha preparato un comunicato che al Barone Aloisi pare assolutamente insufficiente. Tale comunicato riafferma semplicemente il principio del 17 febbraio.

Rispondo al Barone Aloisi di essere d'accordo con lui nel ritenere insufficiente tale comunicato.

È evidente che la dichiarazione di cui si è parlato ieri non può essere firmata se non è fatta d'accordo con l'Inghilterra, altrimenti sarebbe veramente un regresso. D'altra parte nella giornata di oggi (Barthou parte questa sera) non è possibile venire ad un accordo più sostanziale. Ritengo perciò che, per non dare l'impressione del fallimento delle trattative per l'Austria, convenga fare un comunicato (o dare in questo senso delle informazioni alla stampa), comunicato da cui risulti che la questione dell'Austria è stata trattata con unità di vedute dai Governi e che le trattative continuano per arrivare ad un risultato concreto.

888

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3410/148 R. Belgrado, 27 settembre 1934, ore 21,35 (per. ore 2 del 28).

Mio telegramma n. 147 (1). Lunghissime conversazioni con Kojich che mi ha detto avere potuto parlare solo pochissimi minuti di questa questione ieri sera con Jeftic.

Mi ha detto che trovava comunicato proposto troppo lungo che era preferibile restringerlo anche per cercare di togliere ogni possibile importanza all'incidente e non legare troppo i due Governi agli eccessi di stampa.

Riteneva poi indispensabile che un comunicato fosse più equilibrato per le due parti.

Gli ho risposto che verosimilmente V. E. non era alieno dall'accettare qualche suggestione secondal·ia ma era indispensabile che la differenza di tono fra San Marco e Vreme risultasse in modo non dubbio.

Su questo punto come su quello relativo all'onore ed al valore dell'esercito italiano V. E. sarebbe stato certamente e giustamente irriducibile.

Si rendesse egli conto della enorme importanza delle altre comunicazioni che avevo fatto (e gli ho ripetuto la seconda parte del telegramma di V. E.

n. 127 {1). Eravamo ad un momento psicologico che il Governo jugoslavo doveva sentire per agire prontamente in conseguenza.

Egli mi ha poi rimesso un testo di comunicato concordato col Presidente del Consiglio e che trasmetto con telegramma successivo (2).

(l) T. 3415/147 R., pari data, non pubblicato.

889

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3413/149 R. Belgrado, 27 settembre 1934, ore 21,30 (per. ore 23,25).

Mio telegramma n. 148 (3).

Questo è il contenuto del comunicato proposto:

Il ministro Italia a Belgrado ha attirato l'attenzione del ministro degli affari esteri sull'articolo apparso nel Vreme e sul tono dei giornali jugoslavi a seguito delle pubblicazioni del Giornale San Marco e di altro giornale italiano.

Il ministro degli affari esteri ha dichiarato deplorare che si sia arrivati in questa polemica di stampa violenta ed ingìustificata ad un grado che offende l'onore e la reputazione dell'esercito italiano.

Il ministro d'Italia ha espresso dal suo canto la deplorazione per la campagna condotta nel giornale San Marco che non può per niente toccare l'onore e la reputazione dell'esercito serbo.

Segue col telegramma n. 150 {4).

890

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3417/323 R. Vienna, 27 settembre 1934, ore 22,16 (per. ore 6,45 del 28).

Odierno articolo della Reichspost, che ho inviato con Stefani speciale

n. 174, merita particolare attenzione.

Secondo a capo.

Dopo la parola «reputazione» segue: «dell'esercito italiano».

Terzo a capo. Dopo San Marco segue: «che non può per niente toccare l'onore e la reputazione dell'esercito serbo ».

Kojich mi ha detto che in ogni caso riservava la approvazione del presidente del consiglio ma adopererebbe la sua influenza per attenerla. Non ha accettato in nessun caso d! togliere e malgrado ogni mia replicata Insistenza la parola deplorazione per il San Marco, adducendo l'argomento del parallelismo>>.

Fra l'altro contiene asserzione che Austria (la quale intende rimanere, oltre che autonoma, anche indipendente in ogni direzione) malgrado momentanei contrasti con Germania, non può perdere di vista che essa è l'altro Stato tedesco e che sua politica estera deve corrispondere al sentimento del popolo austriaco.

Tale frase, che mi risulta avere destato impressione presso questa rappresentanza francese, corrisponde in certo modo a quanto ebbe a dire segretario generale degli affari esteri (fine del mio telespresso n. 1918 del 20 corrente) (l) nonché ad analoghi accenni fatti recentemente a questo ultimo dallo stesso cancelliere (2).

(l) -Cfr. n. 877. (2) -Cfr. n. 889. (3) -Cfr. n. 888. (4) -Del t. 3412/150 R. del 27 settembre si pubblicano solo l seguenti brani: «Ho osservato a Kojich che non potevo prenderml la responsabllltà di trasmettere tale testo che v. E. non avrebbe certamente accettato. Ho ancora ripetuto argomento differenza Vreme ecc. ... dopolunga discussione ho accettato di trasmettere a V. E. le seguenti modlficazionl:
891

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 27 settembre 1934.

Questo Incaricato d'Affari d'Ungheria ha informato di aver ricevuto una comunicazione dal proprio Governo colla quale U Governo ungherese -dinanzi anche a notizie che parlano di possibilità che l'indipendenza dell'Austria sia garantita o comunque riaffermata dalle Potenze della Piccola Intesa dichiara che l'Ungheria vedrebbe con piacere riaffermata e riassicurata l'indipendenza dell'Austria e ne prenderebbe nota con soddisfazione, se tale riaffermazione avvenisse *solo per parte delle Grandi Potenze* (3), anche registrata dalla Società delle Nazioni.

Scritto e Ietto in francese a De Vègh.

892

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 3409/143 R. Ginevra, 27 settembre 1934, ore 22,17 (per. ore 24).

Facendo seguito conversazione telefonica con S. E. Suvich, comunico avere firmato questa sera con Eden e Barthou a nome nostri rispettivi Governi seguenti dichiarazioni:

«Après avoir procédé à un nouvel examen de la situation de l'Autriche, les représentants de la France, de la Grande Bretagne et de l'Italie sont toml'Jés

d'accord, au nom de leurs Gouvernements, pour reconnaitre que la déclaration du 17 février 1934, en ce qui concerne la nécessité de maintenir l'indépendance et l'intégrité de l'Autriche, conformément aux traités en vigueur, conserve toute sa force et continuera à inspirer leur politique commune ».

Credo opportuno spiegarne portata alla stregua istruzioni comunicatemi da

V. E., che riepilogo:

l) Ottenimento di una rinnovata manifestazione di solidarietà nelle direttive politiche delle Potenze occidentali nei riguardi della questione austriaca in quella forma che le circostanze e il momento avessero reso possibile.

Tale manifestazione avrebbe dovuto servire a eliminare la possibilità di una opposizione a una nostra eventuale azione in profondità in altro senso.

2) Esclusione della S.d.N.

3) Esclusione dei piccoli Stati.

È certo che dichiarazione risponde al punto primo in quanto è una riaffermazione, a circa 8 mesi di distanza e dopo tragici avvenimenti in Germania e in Austria, della solidarietà fra le direttive politiche delle tre Potenze occidentali.

Tale riaffermazione è fatta in una forma che segna in due punti una decisa miglioria di fronte alla dichiarazione di febbraio, e ciò in un punto formale in quanto ho ottenuto che firma fosse a nome dei rispettivi Governi, e in un punto sostanziale in quanto essa si riferisce esplicitamente non solo alla politica presente ma anche a quella futura, assicurando così il fiancheggiamento al proseguimento della nostra azione politica relativa alla questione austriaca.

La dichiarazione risponde poi pienamente ai punti due e tre in quanto esclude qualsiasi intromissione, o anche semplice riferimento, allo S.d.N. e alla Piccola Intesa.

Nel corso sforzi, durati ininterrottamente tutto periodo Assemblea, rivelatesi a nudo linee di forza delle varie Potenze, loro solidità e loro connessione, secondo quanto ho esposto a v. E. nei telegrammi dei giorni scorsi.

Emerso chiaramente che dalla Francia è difficile, ma da Inghilterra è assurdo attendersi impegno preciso.

Solo impegno su cui sia possibile contare in caso di pericolo, non può venire da altri che da coloro che considerano come noi indipendenza austriaca come questione assolutamente vitale.

Massima resistenza rivelatasi ieri allorché Inghilterra improvvisamente rifiutò proseguire ogni ulteriore discussione sulla base proposta francese comunicata ieri a V. E. con mio telegramma n. 139 (l).

Contemporaneamente Piccola Intesa faceva presso Barthou opposizione violenta contro sua esclusione e in genere contro qualunque tentativo francese di riavvicinamento all'Italia.

Titulescu e Fotich riveiatisi violenti, mentre Benès conciliante.

Giornata di oggi spesa a rlafferrare Inghilterra, sostituendo attuale dichiarazione alla proposta francese di ieri. Impressione della firma negli ambienti internazionali è in vario senso fortissima.

In questo momento ministro affari esteri austriaco dichiarami testualmente: «Qualora fossi rientrato Vienna senza questo documento tutta l'opinione pubblica sarebbesi rivoltata contro di me.

Fallimento trattative sarebbe stato unanimamente interpretato in Austria come vittoria diplomatica ottenuta dalla Germania senza colpo ferire».

(1) -Cfr. n. 844. (2) -Annotazione a margine di Mussolini «Notevole». (3) -Il passo tra asterischi è stato sottolineato da Mussollnl.

(l) Cfr. n. 880.

893

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3414/151 R. Belgrado, 27 settembre 1934, ore 23 (per. ore 3 del 28).

Mio telegramma n. 150 (1). Ieri Jeftic e stasera Kojic mi hanno poi ripetuto che intendevano che la détente con l'Italia iniziasse subito e fosse rapida e piena.

Essi si adopererebbero in ogni campo e non solo nella stampa, lietissimi se si potesse realmente giungere al capovolgimento delle attuali relazioni italajugoslave.

Ho detto che non vi dovevano essere equivoci.

Quando parlavo di détente di stampa non intendevo solamente i giornali di Belgrado ma di tutta la Jugoslavia compresi quelli specifici che escono col solo scopo di propaganda antitaliana come ve ne sono in Slovenia ed in Croazia.

Fidavo su quanto Jeftic mi aveva detto che i tre quarti dell'attitudine antitaliana finirebbero da un giorno all'altro e l'altro quarto in breve tempo successivo.

Kojic mi ha assicurato che ciò sarebbe effettivamente, che se qualche cosa sfuggisse alle istruzioni che verrebbero date mi sarebbe grato di ogni mia segnalazione per provvedere senza indugio.

Il Governo jugoslavo intendeva mettersi sulla nuova via con ogni decisioné e ferma volontà di iniziativa al fine che esso desidera fermamente e sicurariùinte.

Ad ogni buon fine mi preme rimarcare che dopo la mia conversazione con Puric del 22 corrente (2), la stampa jugoslava ha enormemente moderato il suo tono.

Anche gli ultimi due numeri dell'Echo de Belgrade non contengono nulla

contro di noi, ciò che è assai significativo.

(l) -Cfr. n. 889, nota 4. (2) -Cfr. nn. 854 e 855.
894

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3416/152 R. Belgrado, 27 settembre 1934, ore 23 (per. ore 0,31 del 28).

Mio telegramma n. 151 (1).

Non per impressioni subiettive, che potrebbero essere fallaci, ma per quelle raccolte in vari ambienti informo V. E. che subito dopo articolo del giornale Vreme, che ha fatto enorme impressione ovunque, anche fra corpo diplomatico, sentimento pubblico attendevasi a gravissima reazione italiana e si era diffuso quasi un senso di generale timore.

Miei passi a ministero degli affari esteri compresi in tutta loro gravità quale preludio di avvenimenti più gravi. Sussisteva preoccupazione anche nel ministero della guerra.

Negli ambienti ministero degli affari esteri si era pure sentito serietà della situazione e si disapprovava da molti l'eccesso del Vreme, facendosi rimprovero all'ufficio stampa averlo lasciato passare. Da un paio di giorni si nota un senso di distensione e si diffondono voci eccessivamente affrettate e premature circa il riavvicinamento con l'Italia ma esse indicano il vivo desiderio dell'opinione pubblica di giungere ad un accordo con noi.

895

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, A VIENNA, PREZIOSI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1312 R. Roma, 27 settembre 1934, ore 24.

(Per Vienna): Telespresso 229026/C del 7 corrente (2).

(Per Budapest e Ginevra) Ho telegrafato R. legazione Vienna quanto segue;

(Per tutti) «Delegazione ungherese . Ginevra ha diretto nota delegazioni italiana e austriaca per informare che è sua intenzione depositare S.d.N. protocolli 1 e 2 del 17 marzo 1934 con procedura che consenta contemporanea registrazione da parte delle tre Potenze occidentali.

R. Governo non avrebbe difficoltà deposito anche protocollo n. 3.

Prego V. S. dare notizia di quanto sopra a codesto Governo e aggiungere che se esso avesse obiezioni riguardo registrazione dei tre protocolli, specialmente allo scopo di non offrire particolare motivo presso S.d.N. discussioni

66 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XV

circa trattamento differenziale a favore Austria ed eventualmente anche accordo Semmering, R. Governo sarebbe disposto riconsiderare questione insieme Governo ungherese.

Attendo risposta telegrafica » (l).

(l) -C!r. n. 893. (2) -Non rinvenuto.
896

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 27 settembre 1934.

l) L'espressione « bienveiHant » (2° rigo, 1° allegato) (2) indica evidentemente una condiscendenza francese: quella « bona fide » -corrente nei negoziati internazionali -darebbe la possibilità di un richiamo a tutti i precedenti.

2) Le indicazioni di cui alla lettera a) dell'Appunto di oggi (e quelle corrispondenti dell'Appunto di ieri) (3) non lasciano più per le frontiere libiche alcun margine ai negoziati, come lo lasciavano invece quelle dell'Appunto del 22 corrente (4).

ALLEGATO

COMPENSATIONS COLONIALES

La solution, proposée en 1928, visant à approcher la Lybie de la région du Tchad (cession du territoire au Sud de la Lybie compris entre le llème méridien E. Gr., le 18ème parallèle Nord et le 24ème méridien E.Gr.) ayant rencontré des oppositions on propose la solution suivante de la question des Compensations Coloniales en Afrique:

a) au Sud de la Lybie, maintien des lignes de frontière et d'occupa!tion actuelles, avec quelques rectifications en faveur de l'Italie (points d'eau à determiner soit à l'Est qu'à l'Ouest du 16ème méridien E.Gr.), particulièrement dans le but de permettre la surveillance de la frontière;

b) cession de la «Cote française des Somalis », à l'exception de Gibuti et d'un certain territoire limi,té comme hinterland; et comparticipation italienne dans le chemin de fer Gibuti-Addis Abeba, capable d'assurer à l'Italie le controle du dit chemin de fer, dans l'intèrét du développement des rapports économiques entre l'Italie et l'Ethiopie; controle qui comporterait qu'une partie de chemin de fer passe sur la zone de la «Cote française des Somalis » à ceder à l'Italie.

TUNISIE -Prorogation à dix ans des deux Conventions de 1896 et leur interprétation dans un esprit bienveillant.

n. -857).
(l) -Preziosi rispose con T. 3433/325 R. del 29 settembre quanto segue: «Signor Schfiller mi ha detto non vede speciali obiezioni contro registrazione protocolli n. l, 2 e 3. Ha aggiunto che egli è pronto a fare sue -cioè del suo Governo -tutte quelle obblezionl che v. E., per motivi d'ordine più generale, potesse segnalargli confidenzialmente, ed a sostenerle per suo conto verso Ungheria. Schiiller è poi d'accordo circa contemporaneità eventuale registrazione,attendendo, In tal caso, precisioni. ». (2) -Non rinvenuto. (3) -Cfr. n. 883. (4) -SI tratta veroslmUmente dell'allegato II dell'appunto di Buti del 22 settembre (cfr.
<
APPENDICI

APPENDICE I

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 16 aprile 1934)

AFGHANISTAN

Kabul -MERIANO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PENNACCHIO Luigi, interprete.

ALBANIA

Ttrana -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; DANISCA Pietro, interprete; BALocco Riccardo, colonnello di artiglieria, addetto militare.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -PERsrco Giovanni, incaricato d'affari; ToNcr Ilio Dino, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARLOTTA Mario, ambasciatore; CoRTINI Claudio, consigliere; MAccHI, dei conti di Cellere, Pio, console con funzioni di secondo segretario; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale.

AUSTRIA

Vienna -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRAzzr Umberto, primo segretario; STRANEO Carlo Alberto, primo segretario; CHASTEL Roberto, vice console con funzioni di terzo segretario; Dr NoLA Carlo, addetto commerciale; FABBRI Umberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

BELGIO

BruxelleS -VANNUTELLI REY Luigi, ambasciatore; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, primo segretario con funzioni di consigliere; FERRONE, dei conti di San Martino, Ettore, primo segretario; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi); PARONA Angelo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi); Prccro Ruggero, generale di squadra, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorgio, capitano, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

BOLIVIA

La Paz -ToNI Piero, incaricato d'affari.

BRASILE

Rio de Janeiro -CANTALUPO Roberto, ambasciatore; LEQUIO Francesco, consigllere; CAVALLETTI Francesco, vice console con funzioni di secondo segretario.

BULGARIA

Sofia -CORA Giuliano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANNELLI Pasquale, primo segretario; VENTURINI Antonio, vice console con funzioni di secondo segretario; BARIGIANI Andrea, reggente la Delegazione commerciale; DE BOTTINI DI SANT'AGNESE Achille, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; SoLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -Rocco Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERIO Alberto, primo segretario; GurDOTTI Gastone, console con funzioni di secondo segretario; CoRvi Antonio Menotti, addetto commerciale; CADORNA Raffaele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Belgrado).

CILE

Santiago -PEDRAZZI Orazio, ambasciatore; BARATTIERI DI SAN PIETRO conte LudoViCO, vice console con funzioni di secondo segretario.

CINA

Shanghai -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANFuso Filippo, console con funzioni di primo segretario; CITTADINI CEsi Gian Gaspare, vice console con funzioni di secondo segretario; Ros Giuseppe, interprete; DI RENZO Marco, interprete; FRATTINI Enrico, colonnello del genio, addetto militare (residente a Tokio); SPAGONE Gino, tenente di vascello con funzioni di addetto navale; LoDI Ettore, colonnello, addetto aeronautico.

COLOMBIA

Bogotà -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTARICA

S. José -NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama).

CUBA

Avana -MAcARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

DANIMARCA

Copenaghen -CAPAsso ToRRE DI CAPRARA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PANSA Mario, console con funzioni di primo segretario; Luz1 Renato, addetto commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE COURTEN conte Raffaele, capitano di fregata, addetto nava.de (residente a Berlino); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

DOMINICANA (Repubblica)

San Domingo -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

EGITTO

Cairo -PAGLIANO conte Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NONIS Alberto, primo segretario; MELLINI PONCE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario; DALL'ARMI Giuseppe, direttore coloniale; 0MAR Umberto, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -GRAZZI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

EQUATORE Quito -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ESTONIA

Tallinn -WEILL ScHOTT Leone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARAZZANI Mario, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Varsavia).

ETIOPIA Addis Abeba -VINCI GIGLIUcci conte Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoMBELLI Giulio, console con funzioni di primo segretario; MAccHI, dei conti di Cellere, conte Francesco, vice console con funzioni di secondo segretario; MoRENO Martino Mario, direttore coloniale; PoL~ LICI Dante, volontario interprete; RuGGERO Vittorio, colonnello di fanteria, addetto militare.

FINLANDIA

Helsinki -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZAMBONI Guelfo, console con funzioni di primo segretario; MARAZZANI Mario, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Varsavia); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a BerLino).

FRANCIA

Parigi -PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA conte Bonifacio, ambasciatore; FRANSONI Francesco, consigliere; ScAMMACCA Michele, primo segretario; LANDINI Amedeo, console; AssETTATI Augusto, console con funzioni di secondo segretario; REVEDIN, dei marchesi di San Martino, conte Giovanni, vice console con funzioni di terzo segretario; TOMMASINI Mario, consigliere di emigrazione; BEVILACQUA Michele, segretario capo di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PARONA Angelo, capitano di fregata, addetto navale; Pxccxo Ruggero, generale di squadra, addetto aeronautico; RoMANO Giorgio, capitano, addetto aeronautico aggiunto.

GERMANIA

Berlino -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; DIANA Pasquale, consigliere; MAGISTRATI Massimo, console con funzioni di primo segretario; SERRA Giovanni Battista, console con funzioni di secondo segretario; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di terzo segretario; RxcciARDI Adelchi, consigliere commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; DE CouRTEN conte Raffaele, capitano di fregata, addetto navale; TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico.

GIAPPONE

Tokio -AuRITI Giacinto, ambasciatore; MARIANI Luigi, consigliere; GARBACCIO Livio, primo segretario; MELKAY Almo, interprete; FRATTINI Enrico, colonnello del genio, addetto militare e aeronautico; PARDO Diego, capitano di vascello, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore, deputato; VITETTI Leonardo, consigliere; PRUNAS Renato, primo segretario; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di terzo segretario; CASARDI Aubrey, console con funzioni di quarto segretario; BRUGNOLI Alberto, vice console con funzioni di segretario; DE FAcci NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; VILLARI Luigi, consigliere di emigrazione; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; MONDADORI Umberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; IACHINO Angelo, capitano di vascello, addetto navale; TRIGONA Ercole, capitano, addetto aeronautico.

GRECIA

Atene -DE Rossi DEL LION NERO Pier Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASSINIS Angiolo, primo segretario; CATTANI Attilio, console con funzioni di secondo segretario; DE SANTO Demetrio, interprete, con titolo di segretario; CoRONATI Emilio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di fregata, addetto navale.

GUATEMALA

Guatemala -GRAZZI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HAITI

Porto Principe -MAcARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

HONDURAS

Tegucigalpa -GRAZZI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

IRAQ

Bagdad -PoRTA Mario, incaricato d'affari; BELLINI Leone Fabiano, interprete; PEDRONI Antonio, ff. cancelliere interprete.

JUGOSLAVIA

Belgrado -GALLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, primo segretario; ALESSANDRINI Adolfo, console con funzioni di secondo segretario; ScELDIA Antonio, volontario interprete; FRANCESCHINI Antonio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; CRESPI Alfredo, capitano di vascello, addetto navale; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico; ToscHI Vincenzo, primo capitano di fanteria con funzioni di addetto militare aggiunto.

LETTONIA

Riga -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario; MARAZZANI Mario, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -CHIARAMONTE BORDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -RoGERI, dei conti di Villanova, Delfino, inviato straordinario e minitro plenipotenziario.

NICARAGUA

Managua -GRAZZI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario residente a Guatemala).

NORVEGIA

Oslo -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoNFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console con funzioni di primo segretario; DE CouRTEN conte Raffaele, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); TEuccr Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoNAco Adriano, primo segretario; NOTARANGELI Tommaso, reggente la Delegazione commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN conte Raffaele, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); TEuccr Giuseppe, maggiore addetto aeronautico (residente a Berlino).

PANAMA

Panama -NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione -MARIANI Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERSIA

Teheran -CwcoNARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RossET DESANDRÈ Antonio, console con funzioni di primo segretario; DI MONTEFORTE Giuliano, ff. interprete.

PERU'

Lima -BIANCHI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

POLONIA

Varsavia -BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore; BELLARDI Ricci Alberto, consigliere; CITTADINI conte Pier Alfonso, primo segretario; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; ANGLE Romano, ff. interprete; MARAZZANI Mario, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -Tuozzi Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE PAoLIS Pietro, primo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid); RoDA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Madrid); LoMBARDI Giuseppe, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid); FERRARIN Francesco, capitano, addetto aeronautico (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -SoLA Ugo, inviato straòrdinario e ministro plenipotenziario; OTTAVIANI Luigi, primo segretario; MARINI Vittorio, console con funzioni di secondo segretario; DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; RoccHI Cesare, ff. archivista interprete; ZANOTTI Mario, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; CRESPI Alfredo, capitano di vascello, addetto navale (residente a Belgrado).

SANTA SEDE

Roma -DE VECCHI DI VAL CISMON conte Cesare Maria, ministro di Stato, senatore, governatore onorario di colonia, ambasciatore; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, consigliere; SALLIER DE LA TouR CoRIO duca Paolo, console con funzioni di primo segretario; LANZA Riccardo, maggiore di cavalleria.

SIAM

Bangkok -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bovo Goffredo, console interprete.

SPAGNA

Madrid -GUARIGLIA Raffaele, ambasciatore; GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, consigliere; DELLA PoRTA Francesco, primo segretario; ARRIGHI Ernesto, vice console con funzioni di secondo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; RoDA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; LOMBARDI Giuseppe, capitano di fregata, addetto navale; FERRARIN Francesco, capitano, addetto aeronautico.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -Rosso Augusto, ambasciatore; Rossr LoNGHI marchese Alberto, consigliere: MIGONE Bartolomeo, primo segretario; ToMMASI Giuseppe, console con funzioni di secondo segretario; FERRERO Andrea, vice console con funzioni di terzo segretario; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; PENNAROLI Marco, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; CASARDI Ferdinando, capitano di vascello, addetto navale; SBERNADORI Paolo, maggiore, addetto aeronautico.

SUD AFRICA Capetown -LABIA Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RULLI Guglielmo, primo segretario.

SVEZIA Stoccolma -PATERNÒ DI MANCHI DI BILICI marchese Gaetano, 1nv1ato straordinario e ministro plenipotenziario; SERENA Dr LAPIGIO Ottavio, primo segretario; MANciNELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN conte Raffaele, capitano d1 fregata, addetto navale (residente a Berlino); TEuccr Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARISSIMO Agostino, primo segretario; FRANCO conte Fabrizio, vice console con funzioni di segretario; PoGGI Cesare, consigliere di emigrazione; FERRONE Adolfo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare: Prccro Ruggero, generale di squadra, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorgio, capitano, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -LoJACONO Vincenzo, ambasciatore; Dr GIURA barone Giovanni, consigliere; TALIANI Pio, console con funzioni di primo segretario; D'ACUNZO Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; PISA Ezra, interprete; ARRIVABENE Antonio, reggente la Delegazione commerciale; PoDESTÀ Giuseppe, ff. interprete; MANNERINI Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; SoLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico.

UNGHERIA

Budapest -CoLONNA Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario; Lo FARO Francesco, vice console con funzioni di secondo segretario; PESCATORI Federico, vice console con funzioni di terzo segretario; Dr NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); MATTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; BERARDIS Vincenzo, primo segretario con funzioni di consigliere: DI STEFANO Mario, primo segretario; LANzA Michele, vice console con funzioni di secondo segretario; PIACENZA Guido, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

URUGUAY

Montevideo -MAzzoLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BAISTROCCHI Ettore, vice console con funzioni di segretario.

VENEZUELA

Caracas -GEMELLI Bruno, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI (Situazione al 25 luglio 1934)

MINISTRO

MussOLINI Benito, capo del governo, primo ministro segretario di Stato. Segretario particolare: SEBASTIANI Osvaldo, consigliere della Corte dei Conti.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

SuvxcH Fulvio, deputato.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del ministro col Parlamento e col corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di gabinetto: ALoisi barone Pompeo, ambasciatore.

Segretari: JACOMONI Francesco, consigliere di legazione con funzioni di vice capo di gabinetto; VIDAU Luigi, console generale di 2• classe; CosMELLI Giuseppe, primo segretario di legazione di la classe segretario particolare del sottosegretario di Stato; CoRTESE Luigi, primo segretario di legazione di 28 classe; BORGA Guido, DEL DRAGO Marcello, TORELLA Raimondo, consoli di 2a classe; LEPRI Stanislao, LANZA D'AJETA Blasco, MAZIO Aldo Maria, vice consoli d! 2a classe.

Addetto al gabinetto: BIFULco Vittorio, primo segretario nella amministrazione centrale delle Finanze.

UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO

Capo dell'ufficio stampa: CIANO dei conti di Cortellazzo Galeazzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Aggregati aH'ufficio: DEPRETIS Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe a riposo; BoNTEMPs Aldo, primo commissario consolare.

SERVIZIO STAMPA ESTERA

Spoglio della stampa estera e della stampa italiana nei riguardi della politica estera -Segnalazioni di notizie ed informazioni di stampa -Informazioni a giornali ed agenzie italiane ed estere -Servizi stampa delle Regie Rappresentanze all'estero -Pubblicazione della « Rassegna della stampa estera ~ -Traduzioni.

Capo del servizio: SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenlpotenziario di 2• classe.

Segretari: MASCIA Luciano, primo segretario di legazione di l a classe; DE VERA D'ARAGONA Carlo Alberto; BERGAMASCHI Bernardo, primi segretari di legazione di 2• classe; CAPECE GALEOTA Giuseppe, console di 2• classe; CARACCIOLO Filippo, 0RSINI barone Alberto, volontari diplomatico-consolari.

Addetti al servizio: RANDI Oscar, direttore provinciale di 2• classe nell'amministrazione delle Poste e Telegrafi; ANTINUCCI Umberto, capitano d'artiglieria.

SERVIZIO PROPAGANDA

Capo del servizio: DE PEPPO Ottavio, inviato straordinario e ministro plenlpotenziario di 2• classe. Segretari: ODENIGO Armando, MALASPINA Folchetto, consoli di 2• classe; CASERTANO Raffaele, console di 3• classe; DE NovELLis Gennaro, addetto consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di capi di Stato, principi e autorità estere -DecoraziQni nazionali ed estere Libretti e richieste' ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: SENNI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1• classe.

Segretari: AssERETO Toml!laso, consigliere di legazione; CAFFARELLI Filippo, CAPRANICA DEL GRILLO marchese Giuliano, primi segretari di legazione di la classe; VANNI, dei duchi d'Archirafi, Francesco Paolo, console di 2• classe; CARAccrow, dei duchi di San Vito, Roberto, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: BUTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Addetto alla direzione generale: GALLI Guido, console di classe.

UFFICIO I

Belgio -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati Baltici -Stati Scandinavi Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche.

Capo ufficio: QuARONI Pietro, consigliere di legazione. Segretari: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di la classe; SILVESTRELLI Luigi, console di 3a classe.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: CosMELLI Giuseppe, primo segretario di legazione di l" classe; reggente.

Segretari: DE AsTIS Giovanni, primo segretario di legazione di P classe; CoPPINI Maurilio, console di 2a classe; CLEMENTI Raffaele, SoRo Giovanni Vincenzo, volontari diplomatico-consolari.

UFFICIO III

Africa -Iraq -Palestina -Penisola Arabica -Siria -Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di 2a classe. Segretari: ZOPPI Vittorio, primo segretario di legazione di 2a classe; THEODOLI Livio, vice console di 2a classe; MARCHIORI Carlo, volontario diplomaticoconsolare.

UFFICIO IV

Asia (eccetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania.

Capo ufficio: ScADUTO Gioacchino, primo segretario di legazione di P classe. Segretaria: CIMINO Carlo, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO V

America del Nord -America Latina.

Capo ufficio: TORTORA BRAYDA Camillo, consigliere di legazione. Segretario: CERULLI IRELLI Giuseppe, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO ALBANIA

Capo ufficio: FARALLI Iginio Ugo, console generale di la classe. Segretario: CASTELLANI Vittorio, console di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e mi

nistro plenipotenziario di l a classe. Comandato: DEI MEDICI conte Ugo, vice intendente di finanza.

UFFICIO I

Affari commerciali concernenti l'Europa.

Capo ufficio: GUGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario di legazione di la classe.

Segretario: BADOGLIO Mario, Vice console di P classe; HIERSCHEL DE MINEREI Oscar, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Affari commerciali concernenti paesi extra-europei.

Capo ufficio: SANTOVINCENZo Magno, console di 2a classe, reggente. Segretario: Lo Jucco Giacomo, console di 2a classe.

UFFICIO III

Politica doganale -Trattati di commercio -Affari finanziari -Prestiti.

Capo ufficio: SEGRE Guido, console generale di 2a classe.

Segretari: ScAGLIONE Roberto, console di 2a classe; LuciOLLI Mario, addetto consolare.

UFFICIO IV

Fiere -Mostre -Congressi economici e finanziari -Politica del turismo.

Capo ufficio: RoNCALLI Guido, primo segretario di legazione di P classe. Segretario: ZANOTTI-BIANCo Massimo, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE

Direttore generale: ARONE Pietro, barone di Valentino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango. di console generale onorario; MoNTESI Giuseppe, consigliere dell'emigrazione di P classe; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

67 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XV

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti del Ministero degli Affari Esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezione degli Uffici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del Ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e consigli del Ministero relativi al personale predetto -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali e loro uffici Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini di detto personale -Passaporti diplomatici.

Capo ufficio: MARCHETTI DI MuRIAGLIO conte Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 28 classe.

8

Segretari: FoRNARI Giovanni, console di 2a classe; DANEO Silvio, console di classe: THIENE (di) conte Gian Giacomo, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Personale di ogni altro gruppo o categoria dipendente dall'amministrazione degli Affari Esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e Consigli del Ministero, ed in generale tutte le questioni relative alle carriere ed all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso.

8

Capo ufficio: GLORIA Ottavio, console generale di classe.

Segretari: FECIA DI CossATO Carlo, primo segretario di legazione di 2a classe; PINNA CARBONI Mario, addetto consolare.

UFFICIO III

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BoNAVINO Arturo, AGoSTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; TORRES Oreste, primo commissario consolare; MANzo Ciro, commissario consolare; BIONDO Gaspare, FoRINO Lamberto, vice commissari consolari.

Addetti all'ufficio: MANCA Elio, segretario capo dell'emigrazione; PAZZAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria; RENGANESCHI Vittorio, segretario capo di ragioneria; PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria; RoTA Armando, segretario di ragioneria; GAFFI Alfonso, consigliere del Ministero delle Finanze; TuRETTA Apulio, primo capitano di artiglieria; MAssiMO Luigi, primo capitano di fanteria.

UFFICIO IV Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'amministrazione centrale e dei RR. Uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei RR. Uffici -Tutte le questioni concernenti una nuova sede per il Ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: SILLITTI Luigi, console generale di l a classe. Segretario: PLATANIA Giuseppe, capo sezione della carriera amministrativa. Addetto all'ufficio: MoNACO Potito, commissario consolare.

Sezione tecnica. FAUSTO Florestano, esperto tecnico.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI SANTA SEDE E AFFARI PRIVATI

Direttore generale: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe, consigliere di Stato, senatore.

UFFICIO I

Trattati e Atti.

Capo ufficio: LANINO Edoardo, console generale di 2a classe.

Segretari: LANZARA Giuseppe, console di 2a classe; BARBOGLIO Francesco, addetto consolare; SAVORGNAN Alessandro, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BALSAMO Giovanni, consigliere di legazione. Segretario: MANSI conte Stefano, addetto consolare.

UFFICIO III (*)

Affari privati d'Europa.

Capo ufficio: MANFREDI Emilio, console generale di la classe. Segretario: VALERIANI Valeria, console di 2a classe.

UFFICIO IV (*)

Affari privati dei Paesi extra-europei.

Capo ufficio: MAccoTTA Luigi, console generale di P classe.

Segretario: LANZETTA Umberto, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO

Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

UFFICIO I

Opere per gli italiani all'estero -Ispettorato Fasci all'estero -Organizzazioni giovanili.

Capo ufficio: CosTA SANSEVERINO Francesco, primo segretario di legazione di 1a classe.

Segretari: Bosio Giovanni Jack, Nuccw Alfredo, DE SIMONE Paolo, consoli di 3a classe; DEL ToRso Germanico, volontario diplomatico-consolare: RABBY Ezio, LAMPERTICO Gaetano, consiglieri dell'emigrazione di 2a classe; DI MATTEI Alfredo, VACCHELLI Alessandro, primi segretari dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, segretario dell'emigrazione.

Addetti all'ufficio: COLONNA Piero, dei principi di Paliano; BRANDOLINI D'ADDA conte Annibale; TEDESCO Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria; MANCINI Edoardo, primo capitano di fanteria; CoNTADINI Giuseppe, capitano dei CC. RR.; CoRRENTI Antonino, LANDI Francesco, ispettori di P classe delle FF.SS.

UFFICIO II

Espatri e lavoro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di Ja classe.

Segretari: MASI Corrado, OLIVERI Umberto, consiglieri dell'emigrazione di 2• classe; IMMIRZI Alfonso, CANNONE Niccolò, primi segretari nella carriera amministrativa.

Addetti all'ufficio: COTTAFAVI Francesco, ispettore centrale dell'emigrazione.

Comandato: PAGANI Aldo, commissario di P. S.

(*) Gli uffici III e IV sono temporaneamente riuniti in un unico servizio autonomo al quale è preposto il console generale di 1 • classe DELLA CROCE DI DoJoLA conte Galeazzo.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: PuLLINO Umberto, console generale di l • classe.

Segretario: MoNTANARI Franco, vice console di 2• classe.

Comandati: VENIALI Francesco Giorgio, ispettore superiore del Ministero dell'Educazione Nazionale; DE FINA Andrea, provveditore agli studi; TAMBRONI Filippo, preside nei Licei; BiscoTTINI Umberto, preside nei Ginnasi; MALGERI Eugenio, professore negli Istituti tecnici; MoscHETTI Edoardo, professore nelle Scuole di avviamento professionale; SARRA PACENZA Angelina, prima ispettrice scolastica; FAsSARI Cesare, direttore didattico; REORDA-VACINO Alfonsina, direttrice didattica.

In missione: LENZI Armando, ispettore scolastico capo.

SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI

Capo del serv1z10: BIANCHERI CHIAPPORI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Aggregati al servizio: MELI LuPI m SoRAGNA marchese Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe; BovA ScaPPA Renato, primo segretario di legazione di l" classe; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; RusPOLI Fabrizio, contrammiraglio in ausiliaria; Bosco Giacinto, professore di diritto internazionale nell'Università di Urbino.

UFFICIO I

Società delle Nazioni.

Capo ufficio: PIETROMARCHI Luca, primo segretario di legazione di l• classe.

Segretari: PLETTI Mario, vice console di la classe; CIRAOLO Giorgio, addetto consolare.

UFFICIO II

Istituto internazionale di agricoltura -Ufficio internazionale del lavoro e altri istituti internazionali.

Capo ufficio: BERTELÈ Tommaso, primo segretario di legazione di l" classe.

Segretario: Rossi LONGHI Gastone, primo segretario di legazione di 2• classe.

SERVIZIO STORICO-DIPLOMATICO

Capo del servizio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Addetti al servizio per la sezione geografica: Bozzi Stefano, primo tenente di fanteria.

Addetto al servizio: RAFFAELLI Pietro.

UFFICIO I

Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico ed amministrativo -Sezione geografica -Tipografia riservata.

Capo ufficio: MAzzoLINI Quinto, console di la classe.

Segretari: 0RSINI RATTO Mario, GUERRINI MARALDI Agostino, consoli di 2a classe, BELLIA Franco, addetto consolare.

Tipografia riservata

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO II

Archivio Storico -Archivio di deposito -Conservazione ed incremento delle collezioni dei mano!Jcritti del Ministero e dei Regi Uffici all'estero Conservazione degli originali dei trattati internazionali -Conservazione delle carte riservate degli Archivi del Ministero e dei Regi Uffici all'estero -Inventari -Biblioteca.

· Capo ufficio: N. N.

Segretario: N. N.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

Vice bibliotecario: N. N.

SERVIZIO CORRISPONDENZA

Capo del servizio: RoMANELLI Guido, console generale di la classe.

Addetto al servizio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di l a classe. UFFICIO I

Cifra.

Capo ufficio: CANTONI MARCA Antonio, consigliere di legazione.

Segretari: RovAsENDA DI RovASENDA Vittorio, primo segretario di legazione di la classe; CANNICCI Achille Angelo, console di 2a classe; CASCIARO Marco, DE MALFATTI DI MONTETRETTO barone Carlo, consoli di 3a classe.

UFFICIO II

Archivi -Apertura e registrazione corrispondenza. Organizzazione e sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: LIBERATI Enrico, console di P classe.

Segretario: MoscATI Riccardo, console di 2a classe.

UFFICIO III

Affari generali.

Capo ufficio: BABUSCIO Rizzo Francesco, console di 2a classe, reggente.

Segretari: MONTECCHI Romeo, console di 2a classe; BARONE Giovanni, console di 3a classe; 0RLANDINI Gustavo, CORSI Fernando, SALLIER DE LA TOUR conte Carlo, primi segretari nella carriera amministrativa.

RAGIONERIA CENTRALE(*)

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo.

DIVISIONE I (retta, alla immediata dipendenza del direttore capo di ragioneria, dal capo sezione BARTOLINI Luigi).

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al Ministero delle Finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni -Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniale -Servizio dei cambi

(•) Il personale della Rag!oner,!a non contrassegnato dalla lettera E (Ester!) fa parte del Ministero delle Finanze.

Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal Ministero degli Affari Esteri escluso quello delle scuole italiane all'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Riscontro del giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infruttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciali -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente, sia a mezzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il Cassiere del Ministero -Operazioni relative al finanziamento dei RR. Uffici all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria Movimento di capitali Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Capo sezione: BARTOLINI Luigi.

Segretari: CASONI Enrico, MONTUORI Pietro, consiglieri; BARDI Donatello, Tosr Emilio, FIORESE DELLA ScALA Pia Alberta, primi segretari; OccmONERO Matteo. vice segretario; URBANI FALLANI Velin,, ragioniere.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento Liquidazione delle competenze ai RR. commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Stralcio delle contabilità di guerra -Inventario -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensili e varie Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero -Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CIOTTI Remigio, direttore capo di ragioneria (E).

Capo sezione: N. N.

Segretari: Tuzi Alberto, consigliere, BLANDI Silvio (E), MAzzA Ferrante (E), segretari capi di ragioneria; ZAFARANA Gino, VoLPE Mario, RiccA Alfredo (E), primi segretari; GARGANO Guglielmo, vice segretario.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei RR. Uffici diplomatici e consolari all'estero, nonché di quelli di pubblica sicurezza di cantine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei RR. Uffici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero -Esame dei rendiconti di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle Società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti.

Direttore capo della divisione: PoNCINI Francesco, direttore capo di divisione.

Capo sezione: DE ANNA Giuseppe.

Segretari: TARINI Ugo, ROMANO Giuseppe, consiglieri; ASBOLLI Attilio, MARTINA Filippo, primi segretari; DRAGO Giuseppe, PASSANTE Ruggero. vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

CONSULENTE GENERALE

N. N.

CONSULENTI

GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l a classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università di Roma, senatore; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato, con titolo onorario di consigliere di legazione; ALBERTAZZI conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto e legislazione coloniale nell'Università di Roma.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA (Situazione al 20 giugno 1934)

Afghanistan -KASSIM Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ALI Ahmed, primo segretario.

Albania -KonHELI Mark, incaricato d'affari; XHoMo Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina-CANTILLO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO ASTENGO Oscar, primo segretario; DE PELESSON Hector, tenente colonnello, addetto militare; MEJIA Claudio A., capitano aviatore, addetto aeronautico.

Austria -RINTELEN Anton, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROTTER Adrian, consigliere di legazione; ScHWARZENBERG Johann E., terzo segretario di legazione; FRIEBERGER Kurt, addetto stampa; LIEBITZKY Emi!, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Belgio -DE LIGNE principe Albert, ambasciatore; D'AsPREMONT LYNDEN conte Gobert, primo segretario; LAMY Léon, addetto.

Bolivia -DE UGARTE José Samuel, incaricato d'affari.

Brasile -PEçANHA Alcibiades, ambasciatore; DE MAcEno SoARES José Roberto, consigliere; BAGGI DE BERENGUER CESAR Jacome, secondo segretario; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STAMENOFF Ivan, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); STANCIOFF Ivan D., segretario; DAsKALOFF Teodossi, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEJNOHA Jaroslav, consigliere; HERMANN Frantisek, primo segretario; CHAROUS Jaromir, segretario; PLECHATY Ladislav, segretario, addetto stampa; RosiK Vitezslav, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico.

Cile -N. N., ambasciatore; BARRos BEAUCHEF Jorge, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); ERRAZURIZ OVALLE Carlos, addetto commerciale.

Cina -LIU VoN TAo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CHou YIN, primo segretario; Lo HOAI, primo segretario; CHANG KIEN, addetto; YoH LUN, addetto.

Colombia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SANTOS Gustavo, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); DE VALENZUELA Eduardo, segretario.

Cuba -DE ARMENTEROS Y DE CARDENAS Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, addetto, incaricato d'affari (ad interim); PELLERANO ALFAU Arturo J., addetto commerciale; TRUJILLO MOLINA Annibale, colonnello, addetto militare.

Egitto -WAHBA Sadek pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAFWAT Abdel Kerim, segretario; TAHER AL-0MARI Mohammed, addetto agricolo; ABDEL MoNEIM Mohammed, addetto.

El Salvador (Repubblica di) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -ZALDUMBIDE Gonzalo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Estonia -ScHMIDT Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON Davide, primo segretario.

Etiopia -GHEVRE YEsus Negadras Afevork, incaricato d'affari.

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia -DE CHAMBRUN Charles, ambasciatore; DE DAMPIERRE Robert, ministro plenipotenziario, consigliere; GuERIN Hubert, primo segretario; GARNIER Jean Paul, secondo segretario; DARIDAN Jean, terzo, segretario; BoPPE Roger, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale con funzioni di addetto commerciale; RouMILHAC Georges, addetto finanziario; PARISOT Henry, colonnello, addetto militare; DE LA GIRAUDIERE Jacques, maggiore, addetto aeronautico; DE LAROSIERE Robert, capitano di corvetta, addetto navale; BARY Hubert, tenente di vascello, addetto navale aggiunto.

Germania -VoN HASSELL Ulrich, ambasciatore; SMEND Hans, consigliere; VoN BuLOw Dankward-Christian, consigliere di legazione con funzioni di primo segretario; HoLM Fritz, segretario; ScHMID-KRUTINA Hermann, segretario; VON HOHENTHAL Joachim, segretario VON NEURATH Konstantin, addetto; FISCHER Herbert, generale, addetto militare; LOYCKE Otto, capitano di corvetta, addetto navale; HOFFMANN VoN WALDAU Otto, addetto aeronautico.

Giappone -MATSUSHIMA Hajime, ambasciatore; IWATE Yoshio, consigliere; HARIMA Toshiharu, primo segretario; Ki.T3UDA Naokichi, addetto; INOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; WATANABÈ Taizo, addetto; NuMATA Takazo, tenente colonnello, addetto militare; KOJIMA Hitoshi, capitano di fregata, addetto navale.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric James, ambasciatore; MuRRAY John, consigliere; TURNER R. M., consigliere per gli affari commerciali; NrcHOLS sir Philip, primo segretario; McC L URE sir William, addetto stampa con rango di primo segretario; JEBB Gladwyn, secondo segretario; NoBLE sir Andrew, secondo segretario; CORNELius V., addetto onorario; HERBERT A. J., addetto onorario; HARPHAM W., consigliere commerciale aggiunto; STEVENS Harold Raphael, colonnello, addetto militare; POTT Herbert, capitano di vascello, addetto navale; HETHERINGTON Thomas Gerard, colonnello, addetto aeronautico; STOPFORD F. V., capitano di fregata del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Aleksandros, consigliere; MELAS Michele, segretario.

Guatemala -DuRAN MoLLINEDO Vietar, generale, incaricato d'affari; DuRAN Y FIGUEROS J. Ramiro, addetto.

Haiti -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Iraq -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Jugoslavia -Ducré Yovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KASSIDOLATZ Dragomir, consigliere; MILIKié Iliya, primo segretario; RrsTié Yovan M., secondo segretario; VuKOTié Yovan, addetto; KoTNIK Ciril, addetto ZAJCié Bozidar, addetti stampa; PoPovré Zarko, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e navale; DRAGUICEVIé Ivan, comandante, addetto aeronautico.

Lettonia -SPEKKE Arnolds, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania -CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILErsrs Petras, segretario.

Messico -TELLEZ Manuale C., inviato straordinario e ministro plenlpotenzlarlo; URIBE Horacio, primo segretario; BoJORQUEZ CoRDOVA Jesus, addetto commerciale; Rmz Conrado L., tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Berlino); Rmz GARGOLLO Manuel, tenente colonnello del genio, addetto militare aggiunto; PADILLA AVILA Jesus, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenzlarlo.

Nicaragua -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -IRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C. L., primo segretario; BAKKE Arnold, consigliere commerciale (residente a Berna).

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A. N., inviato straordinario e ministro plenlpotenziario; VAN PANHUYS W. E., segretario; VAN RIJN J. J., addetto commerciale.

Panama -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziarlo.

Paraguay -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Persia -SEPAHBODI Anouchiravan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HADJEB-DAVALLOU Mohammed, primo segretario; KHADJÈ NouRY Nezam, segretario.

Perù -MANZANILLA Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; 0RTIZ DE ZEVALLOS Emilio, primo segretario; BRAZZINI Ezio, addetto onorario.

Polonia -WYsocKI Alfredo, ambasciatore; DE RoMER Tadaus, consigliere; CHROMECKI Taddeo, segretario; MIKULSKI Boleslaw, addetto onorario; MICHALOWSKI conte Jozef, addetto onorario; MAZURKIEWICZ Roman, consigliere commerciale.

Portogallo -DE CASTRO Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE 0LIVEIRA BERNARDES Armando, primo segretario.

Romania -LuaosiANU Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LECCA Giorgio, consigliere; BILCIURESCO Grigore, segretario; PoRN Eugenio, consigliere commerciale; ADAMIU Aurelio, console; SKELETTI Emilio, colonnello, addetto militare; GHEORGHIU Ermil, tenente colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi); NICULEscu Giorgio, comandante, addetto navale (residente a Londra).

Santa Sede -BoRGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunzio apostolico; TESTA Gustavo, monsignore, consigliere; SERENA Carlo, monsignore, uditore.

Siam -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BovARA SNEHA Phra, primo segretario, incaricato d'affari; VIsuTRA VIRAJ-JADES Luang, secondo segretario; PRASERT MAITRI Luang, secondo segretario; JITAWI Luang, addetto.

Spagna -GoMEZ OcERIN Justo, ambasciatore; DE OJEDA Gonzalo, ministro plenipotenziario, consigliere; DE RANERO Juan Felipe, primo segretario; Joaao Jaime, secondo segretario; CARRAsco Manuel, addetto onorario; FIGUEROA Eduardo, addetto onorario; SosTRE MALUQUER Ramon, addetto onorario; BUYLLA Adolfo Alvarez, consigliere commerciale; SICARDO José, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; NAVARRO Enrique, capitano di corvetta, addetto navale ed aeronautico per la marina; HIDALGO DE CISNERos Ignacio, maggiore di aviazione, addetto aeronautico per l'esercito.

Stati Uniti d'America -LoNG Breckinridge, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; LIVENGooo Charles A., addetto commerciale; TITTMANN Harold H., primo segretario; BAY Charles A., secondo segretario; HARRISON Randolph jr., terzo segretario; McNAIR Laurence N., capitano di vascello, addetto navale; PILLOW J. G., colonnello di cavalleria, addetto militare ed aeronautico; BRADY Francis M., capitano addetto militare ed aeronautico aggiunto; HowARD Herbert Seymour, capitano di vascello, addetto aggiunto (re;;;idente a Parigi); BoDE Howard B., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Sud Africa (Unione del) -Louw Eric H., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HEYMANS Albert, primo segretario; HoTz Abe Alexander, secondo segretario.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ALMQUIST Karl Fredrik, segretario; DE LAGERCRANTZ H. G., capitano di cavalleria, addetto militare ed aeronautico.

Svizzera -WAGNIÈRE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BROYE Eugène, consigliere; REzzoNICO Clemente, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario.

Turchia-VASSIF Hussein, bey, ambasciatore; NEBIL Zeki, consigliere; SABIT Irfan, secondo segretario; ZADE I. CHADI Kavur, terzo segretario; ZIA Suphi, addetto commerciale; NEDIM Mahmud, addetto commerciale aggiunto; RAHMI, capitano di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico aggiunto.

Ungheria -VILLANI barone Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VEGH Miklòs, consigliere; DE LUKACS-KIRALDY Gyorgy, primo segretario; DE SzENTMIKLOSY Andras, console con funzioni di segretario; DE PARCHER Felice, addetto; DE BETHLEN conte Gabriele, addetto; HUSZKA lstvan, addetto stampa; SzAaò Ladislav, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste -PoTEMKINE Vladimir, ambasciatore; HELFAND Lev, prdmo segretario; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; FRIDGUT Pavel, secondo segretario; LEvENSON Michail, rappresentante comme.rciale; ATRAPETIAN Ervand, rappresentante commerciale aggiunto; ScHAPIRO Boris, rappresentante commerciale aggiunto; LUNEFF Pavel Petrenko, addetto militare ed aeronautico; ANziPO-CIKUNSKY Lev, addetto militare ed aeronautico per Ia marina; LIKHOVITSKY Teodoro, addetto aeronautico aggiunto; ScEI Boris, addetto navale aggiunto.

Uruguay -RAMON GuERRA Ubaldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CUESTAS Federico, primo segretario; RAMON GUERRA José Carlos, addetto; REVELLO Nicolas, addetto; DE CASTRO Julio, addetto commerciale aggiunto (assente).

Venezuela -PARRA PEREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO J. M., consigliere: RoJAS Hugo, addetto.